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Discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027 e Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina (ore 17,03).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027 e Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Volontè ed altri n. 1-00052, D'Elia ed altri n. 1-00053, Bonelli ed altri n. 1-00054, Venier ed altri n. 1-00057 e Maroni ed altri n. 1-00059
(Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1) - i cui testi sono in distribuzione - che vertono sullo stesso argomento. La discussione, pertanto, si svolgerà anche su tali mozioni.
Avverto altresì che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Rampelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00026. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, le iniziative parlamentari sul caso cinese sono innumerevoli; rispetto al fermento culturale esistente sul tema, le mozioni in discussione oggi sono solo la parte più evidente perché legate ad eventi di grande attualità resi ancor più visibili dalla recente visita del Governo italiano a Pechino. I contorni di quella missione risultano a nostro giudizio poco chiari, e non soltanto perché ancora non si è capito Pag. 66il numero esatto dei partecipanti ed i costi effettivi per i cittadini italiani di quell'imponente delegazione - si è parlato di oltre mille persone -; soprattutto non è chiara, infatti, la strategia che si intende perseguire nell'evoluzione delle relazioni politiche, diplomatiche e commerciali con la Cina. La sensazione che si è percepita - si tratterà forse di una suggestione - è che il nostro Governo è impegnato a sostenere ed a promuovere, con i relativi accordi internazionali, il trasferimento delle nostre aziende in quelle terre e vorrebbe puntare sull'ammodernamento delle infrastrutture portuali del Mezzogiorno per stimolare le aziende asiatiche a preferire le nostre coste rispetto alle mete fin qui preferite per esportare in Europa.
So di non essere in maggioranza nell'esternare tutte le mie titubanze in ordine a tale approccio ma poco male se ciò potrà metterci nelle condizioni di misurare il concreto beneficio e la reale tenuta nel tempo di questa politica che raccoglie perplessità, a destra come a sinistra, e pare incapace di interpretare al meglio gli scenari futuri.
La bilancia commerciale italiana con la Cina ha un saldo negativo di quasi 4 miliardi di euro; il quesito che dovremmo porci dovrebbe pertanto vertere su come aumentare le nostre esportazioni anziché su come favorire le loro ovvero su come incrementare il PIL cinese con le produzioni di imprese italiane che si recano a Shanghai e nel Guangdong. Di fronte ad una dinamica economica e sociale così rilevante come quella che sta prepotentemente affermandosi nel continente asiatico, ci sembra che la risposta italiana sia banale, priva di profondità e lungimiranza ovvero «dopata» dal solito provincialismo nostrano.
Faccio fatica a capire perché tutti i partiti e tutti i sindacati svolgano la loro opera, solerte e ricorrente, per migliorare in Italia la condizione di chi lavora, salvo poi disinteressarsi dello schiavismo vigente nella Cina comunista, dove, come è noto, il costo del lavoro è bassissimo perché non sono riconosciuti i diritti sociali e sindacali più elementari e vengono sfruttati bambini e donne con orari di lavoro infernali ed in fabbriche insalubri. Queste primitive ed inaccettabili condizioni di sfruttamento sono la causa del risparmio sui costi della produzione ed inducono le imprese ed il Governo italiano a delocalizzare in tale paese le loro attività, ossia a trasferirle in un paese in cui ci sono quelle stesse aberrazioni combattute a casa nostra, con veemenza e convinzione, per decenni.
A ciò vi è da aggiungere il lavoro forzato cui vengono costretti milioni di dissidenti perseguitati dal regime, manodopera gratuita che accentua ulteriormente la concorrenza sleale. Finché non esistevano particolari propensioni da parte dell'Italia ad entrare nel sistema economico cinese, poco male; al massimo, si sarebbe potuta denunziare una scarsa sensibilità verso popolazioni di altre nazioni, ma oggi che sembriamo affetti dalla «sindrome cinese», il problema ci riguarda da vicino e dobbiamo chiederci se sia eticamente giusto partecipare, per una presunta convenienza economica, al gioco infame dello sfruttamento dei lavoratori. Vi è, forse, una vena di razzismo laddove si ritiene sfruttabile il genere che produce ricchezza per se stessi, oppure vi è quella forma di opportunismo economicista che animava le peggiori forme di capitalismo all'inizio dello scorso secolo.
È poi nota l'esistenza di un secondo elemento capace di abbattere notevolmente i costi di esercizio, ossia l'assoluta insensibilità verso l'ambiente: nessuna legge per ostacolare l'emissione di gas CFC, banditi dai paesi occidentali e colpevoli della riapertura del «buco dell'ozono» proprio in corrispondenza del Tibet, quando la comunità internazionale era riuscita a rimarginare tale ferita. Vi sono, inoltre, la mancata firma del protocollo di Kyoto, con un incremento esponenziale delle emissioni di anidride carbonica, la deforestazione, la densificazione edilizia nelle grandi città, con conseguente bradisismo, l'inurbamento e l'abbandono delle campagne, la realizzazione di centinaia di dighe, corrispondenti a devastanti inondazioni che compromettono migliaia di siti archeologici, l'inquinamento idrico, che ha Pag. 67finora totalizzato 2 milioni di morti per assunzione di arsenico! La Cina brucia, da sola, più carbone di Stati Uniti, Giappone ed Europa messi insieme e produce più del doppio di anidride solforosa degli Stati Uniti.
Mi piacerebbe sapere dal ministro Pecoraro Scanio, ad esempio, come si pensa di porre rimedio a tale criticità, che rischia di travolgerci. È infatti evidente che non si può essere ambientalisti in Italia e, poi, non mettere paletti sul piano dell'inquinamento alla Cina comunista quando si stipulano accordi internazionali e, anzi, si giunge all'ipocrisia di utilizzare quel paese come «pattumiera del mondo», grande inquinatore planetario congeniale ai nostri bisogni, perché distante dai nostri occhi quanto basta per non avere problemi interni, a casa nostra. L'aria e le acque sono patrimonio dell'umanità, i venti e le correnti le spingono verso di noi, anche se non le vediamo e, quindi, non producono immediato allarme sociale, né consenso elettorale per qualche partito. Se sono mefitiche e sudice ne pagheremo le conseguenze tanto quanto i cittadini con gli occhi a mandorla.
La Cina è governata da una dittatura, una dittatura comunista. Non sono riconosciuti i diritti più elementari dell'uomo. Non esistono diritti civili e politici. Non c'è libertà religiosa. Fonti del dissenso ci testimoniano che dal 1949 ad oggi sono state uccisi tra i 65 e gli 80 milioni di persone. Mentre i lager nazisti finirono nel 1945 ed i gulag sovietici negli anni Novanta, in Cina i laogai sono tuttora operanti e rinchiudono gli oppositori al regime, siano essi religiosi o politici. Si tratta di veri e propri campi di lavoro forzato dove si stima che siano presenti circa cinque milioni di persone, ne siano passati almeno cinquanta milioni e ne siano morti venti milioni. È una detenzione che non prevede capi d'imputazione, né processo, tantomeno l'esame o il riesame giudiziario o la possibilità di confrontarsi con un avvocato o con un giudice. Le autorità considerano i laogai fonte inesauribile di manodopera gratuita ed utilizzano continuamente il lavoro forzato per accrescere la produttività e i profitti. Il dumping si arricchisce anche di questo aspetto, mortificante e liberticida. Si lavora 16 ore al giorno, in assenza totale di sicurezza e di igiene.
In Cina è illegale avere un fratello o una sorella. Per sposarsi ed avere un figlio è obbligatorio avere una licenza speciale. Questa pianificazione familiare, imposta per legge, è causa di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate. Alcune immagini spettrali, consultabili su Internet, fanno vedere feti e bambini, formati ed abortiti, gettati sui marciapiedi, come fossero rifiuti di cui liberarsi, anche per sottrarsi alle punizioni del regime comunista.
Altro capitolo triste, che Romano Prodi ed Emma Bonino si sono dimenticati di trattare nel loro viaggio a Pechino, Nanchino e Shanghai, è quello relativo alla pena di morte. I reati punibili con la pena capitale sono oltre 60, ovviamente comprensivi di quelli politici, e le modalità dell'esecuzione mediante fucilazione sono terribili, perché si costringono familiari e scolaresche ad assistere all'evento criminale.
Infine, occorre precisare che le pallottole usate sono a carico del condannato e che sul numero di esecuzioni c'è incertezza, perché esiste, in materia, il segreto di Stato, ma ricordo che alcune componenti del partito comunista cinese avrebbero confessato numeri impressionanti (10 mila persone uccise ogni anno). A questa pratica si aggiunge quella dell'espianto degli organi e della loro vendita sul mercato internazionale, per il 95 per cento provenienti proprio dai condannati a morte. Anche su questo c'è il segreto di Stato, però, il 3 dicembre 2005, il ministro della salute ne avrebbe ammesso l'esistenza sul Times. In queste condizioni di assenza totale di democrazia e di libertà, il Presidente del Consiglio ha dichiarato inopinatamente che il Governo italiano sarebbe favorevole a togliere l'embargo sul commercio delle armi, introdotto dall'Europa dopo la sanguinosa repressione di piazza Tienanmen del giugno del 1989.
Nella risoluzione adottata nel dicembre 2003, il Parlamento europeo riteneva che la Cina dovesse dimostrare di aver compiuto Pag. 68progressi significativi nel campo dei diritti umani prima che l'Unione europea potesse riprendere in considerazione una revoca dell'embargo sul commercio delle armi. Negli anni seguenti, sono state approvate numerose altre risoluzioni sulla Cina: sulla violazione dei diritti umani di libertà e di religione (8 settembre 2005), sui rapporti con Taiwan (28 aprile 2005), sulla relazione annuale per i diritti dell'uomo nel mondo (fine 2005), sul Tibet, eccetera. Anche quest'anno, il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (351 voti favorevoli e 160 astenuti) una risoluzione nella quale si afferma che l'Unione europea non deve revocare l'embargo (7 settembre 2006, poche settimane prima che Prodi dichiarasse l'esatto opposto), recependo anche le preoccupazioni espresse dai paesi confinanti con la Cina, i quali dichiarano che, da metà degli anni Ottanta, la potenza asiatica incrementa ogni anno per cifre a due numeri le spese militari.
Al riguardo, occorre ricordare oltretutto che in Italia, comunque, è in vigore una legge, la legge n. 185 del 1990, che stabilisce il divieto di forniture belliche verso i paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo. Quindi siamo nel paradosso e, casomai l'Unione europea dovesse decidere di accogliere l'appello del Presidente del Consiglio italiano, comunque le nostre industrie non potrebbero legalmente procedere all'esportazione di armi verso la Cina, in forza della citata legge n. 185.
Quindi, la proposta è davvero stravagante, perché, oltre a non essere condivisibile (visto che non credo sia interesse dell'Italia e del mondo occidentale dotare un paese dove vige una dittatura sanguinaria di armamenti e di altre tecnologie militari) se fosse accolta, favorirebbe le industrie belliche inglesi, francesi e tedesche, libere da vincoli normativi nazionali.
Queste sono le molteplici ragioni per le quali, con la mia mozione n. 1-00026, si chiede al Governo italiano di non intraprendere azioni presso l'Unione europea per giungere alla revoca dell'embargo sul commercio delle armi con la Cina. Ci sembra davvero paradossale che si possa rifornire di armi, provenienti dall'Italia e dall'Europa, un paese dalle grandi tradizioni ma, comunque, attanagliato dalla morsa del comunismo, dove non esiste libertà di informazione, dove l'accesso ad Internet è censurato, dove non esiste la libera circolazione delle persone, che si macchia, ogni giorno, di crimini efferati, che si è anche di recente distinto per l'omicidio a freddo di un civile, eseguito dai soldati cinesi di stanza in Tibet. Parliamo di un paese che è il principale inquinatore del pianeta, che esegue migliaia di condanne a morte l'anno, comminate, oltretutto, attraverso processi sommari, che interna 5 milioni di cittadini nei campi di lavoro forzato (i laogai), che non riconosce i più elementari diritti umani, civili, religiosi e politici, che sfrutta i bambini e le donne nelle fabbriche e nel lavoro nero, che è il più grande contraffattore di marche occidentali, che ha ferocemente costruito una alleanza dagli esiti micidiali tra comunismo e liberismo, le cui conseguenze vengono pagate dall'uomo, in quanto tale.
Sinceramente ci è bastata l'inedia, fin qui testimoniata dalla comunità internazionale, dopo la repressione della protesta culminata con gli episodi di piazza Tienanmen, e, se di qualcosa l'Italia deve parlare nei rapporti diplomatici con la Cina, non è certo di come far giungere le armi a Pechino, che Pechino userà fatalmente contro il dissenso e contro i paesi confinanti, amici dell'Occidente, ma dell'inaccettabile condotta antidemocratica, violenta e spregevole, con la quale il regime comunista calpesta sistematicamente i diritti dell'uomo. Spero che il Parlamento italiano, ripudiando le dittature e i regimi totalitari, sappia riparare, attraverso l'approvazione di questa mozione, alle colpevoli distrazioni del suo Governo provvisorio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pedrizzi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00027. Ne ha facoltà.
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RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, la Cina è indubbiamente il primo partner strategico dell'Unione europea; sicuramente, è il suo primo partner commerciale, ed è anche un interlocutore importante per l'Italia. Ricordo che, nel 2005, le sue riserve valutarie valevano circa 819 miliardi di dollari, e per la fine di quest'anno potrebbero arrivare a mille miliardi di dollari. Si tratta, pertanto, di un paese importante non solo per l'immenso potenziale economico e finanziario, ma anche per le grandi progettazioni e per investimenti da capogiro.
Sul tema strettamente economico, con particolare riferimento al lavoro, si è già intrattenuto diffusamente, e con grande competenza e passione, il collega Rampelli. Io mi limiterò, Presidente, a puntare i riflettori sul tema della libertà religiosa in quel paese, nonché sulla violazione e sugli abusi dei diritti umani.
La Cina, infatti, è un immenso lager, dove la censura e l'abuso dei diritti sociali e religiosi si sposano, oggi, con l'ambizione di conquista del commercio internazionale a dispetto, come è stato già affermato, di ogni regola.
È questo, in parole povere e molto semplicemente e succintamente, il senso della risoluzione dell'Unione europea approvata, nel corso dell'ultima sessione parlamentare di Strasburgo, a grandissima maggioranza, e votata perfino dall'onorevole Occhetto! In tale risoluzione si denuncia che il numero delle esecuzioni capitali in Cina, pur essendo coperto dal segreto di Stato, si aggira intorno alle 8 mila all'anno.
Il Parlamento europeo, inoltre, ha espresso la sua preoccupazione per la spaventosa discriminazione socio-economica di cui sono vittime, in Cina, centinaia di milioni - ripeto: centinaia di milioni! - di lavoratori migranti, provenienti dalle campagne: si tratta dei nuovi schiavi del terzo millennio!
Alla luce di detta risoluzione dell'Unione europea, abbiamo presentato la mozione che sto illustrando, la quale riassume la situazione attuale della Cina e intende invitare il Governo ad assumere alcuni impegni precisi. Tale situazione è ben descritta dal rapporto 2006 sulla libertà religiosa nel mondo, curato dall'organizzazione «Aiuto alla chiesa che soffre». Da tale rapporto emerge che, nella Repubblica popolare cinese, arresti, torture e pene di morte vengono inflitti a cristiani, cattolici e protestanti e che queste condanne sono all'ordine del giorno.
Vi sono, sempre nella Repubblica popolare cinese, leggi che limitano del tutto la libertà religiosa ed obbligano i fedeli ad iscriversi ad apposite associazioni controllate dal Governo. Si tratta di norme che prevedono la comminazione di arresti e torture, la pena di morte e la distruzione e la vendita di edifici sacri!
Uno degli ultimi esempi in tal senso è l'incarcerazione di monsignor Giulio Jia Zhiguo, uno degli ultimi vescovi cinesi; per di più, due nuovi vescovi sono stati recentemente obbligati a compiere ordinazioni episcopali illegittime, perché non previste dal codice canonico e non riconosciute dalla Santa Sede.
A partire dal 29 luglio 2006, inoltre, molti cattolici cinesi hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l'arresto di migliaia di altri fedeli.
Ricordo che anche Amnesty International ha riferito che sono violate tutte le libertà religiose e civili. Come si apprende sempre da un rapporto di Amnesty International, recentemente il noto avvocato Gao Zhisheng, cristiano ed attivista per i diritti umani, è stato obbligato a chiudere il suo studio legale per essersi solamente rifiutato di ritirare una lettera aperta, indirizzata al Presidente ed al Premier della Repubblica popolare cinese, con la quale chiedeva alle autorità soltanto di rispettare la libertà di religione.
L'11 settembre 2006 è stato arrestato l'arcivescovo di Zhouzhi, monsignor Martino Wu Qinjing, per aver solamente celebrato una messa. Come si può constatare, le autorità cinesi continuano ad applicare politiche di persecuzione religiosa, nonostante l'impegno assunto nel summit Cina-Unione europea di proteggere e promuovere i diritti umani. Amnesty International durante il summit tra Cina ed Pag. 70Unione europea svoltosi sabato 9 settembre 2006 ha dovuto rilevare l'indifferenza di Pechino nei confronti dei propri impegni, diventata una sorta di sfida nei confronti dell'opinione pubblica internazionale.
Il 13 settembre 2006 - è stato già ricordato - con 351 voti favorevoli, 48 contrari e 160 astensioni, il Parlamento europeo ha adottato la relazione dell'eurodeputato Bastiaan Belder, nella quale vengono deplorate le costanti ingerenze dello Stato nella vita interna delle comunità religiose, specialmente per quanto riguarda formazione, selezione, nomina e indottrinamento politico dei monisti del culto. Nella relazione Belder si invita il governo cinese a porre fine alle persecuzioni e alla detenzione di tali gruppi di cristiani e si afferma il diritto per i cristiani che non si riconoscono nelle chiese patriottiche di praticare liberamente la propria fede.
Proprio nello stesso periodo di tempo in cui si votava la risoluzione del Parlamento europeo e in cui Prodi e le sue centinaia di accompagnatori svolgevano il loro viaggio di promozione propagandistica in Cina, a Pechino si restringeva ulteriormente la libertà di stampa.
Per quanto riguarda Internet, la rete è tenuta sotto stretta sorveglianza dai poliziotti informatici, che compiono arresti se si imbattono in argomenti vietati. I grandi siti come Google, Yahoo e MSN si autocensurano per poter operare in Cina. Nessuna critica al Governo è ammessa sulla stampa. Il reporter Zhao Yan è stato condannato a tre anni di reclusione per aver rivelato una notizia al New York Times. Tutti i corrispondenti stranieri che chiedono di lavorare in Cina sono obbligati a sottoscrivere una carta delle regole. Tra le imposizioni devono comunicare al Ministero degli affari esteri ogni spostamento fuori dal perimetro della capitale. L'agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha diramato una serie di norme, che sono entrate subito in vigore, rivolte alle agenzie straniere in Cina, imponendo loro vincoli severissimi. In 22 articoli si impone alle agenzie di fornire servizi ai clienti in Cina solo attraverso l'agenzia di stampa ufficiale ed operatori legalmente autorizzati. La lista di contenuti sensibili è abbastanza ampia da includere praticamente tutto. Le notizie delle agenzie straniere non conterranno nulla che violi i principi costituzionali, minacci l'unità, la sovranità e l'integrità territoriale, metta in pericolo la sicurezza nazionale, la reputazione e gli interessi, contrasti le politiche religiose ed etniche, diffonda informazioni false, getti nel caos l'ordine economico o minacci la stabilità sociale. Ai mezzi di informazione cinesi è vietato qualsiasi testo di agenzie straniere.
Proprio recentemente la limitazione della libertà di pensiero ha comportato il divieto per le grandi agenzie Internet di pronunciare (solamente pronunciare!) alcune parole. È vietato pronunciare le seguenti parole: «Taiwan»; «indipendenza»; «Tibet» o «Tienanmen». Un vero e proprio lager, quindi, anche per quanto riguarda l'informazione.
La nostra mozione, alla luce del tragico racconto di una situazione reale, vuole impegnare il Governo, innanzitutto, a riferire se ed in quale modo si sia adoperato, nel corso del recente viaggio in Cina, per far presente alle autorità della Repubblica popolare cinese tutto quanto abbiamo tentato, sia pure succintamente, di esporre.
Inoltre, vogliamo impegnare il Governo: a fornire chiarimenti in ordine agli interventi - vogliamo sapere se e come interverrà - a difesa dei diritti umani, tra cui quello fondamentale alla libertà di religione; ad assumere - e, se le assumerà, vogliamo sapere come le assumerà - iniziative per promuovere ed ottenere il rispetto dei diritti umani e di religione in Cina; a sostenere la condanna dei duri trattamenti e delle persecuzioni perpetrate dalle autorità cinesi sia nei confronti dei cristiani sia nei confronti dei singoli cittadini; ad adottare - e, se vorrà adottarli, come pensi di agire - ogni mezzo politico, diplomatico e commerciale volto ad ottenere la scarcerazione di tutti i detenuti per Pag. 71motivi politici e religiosi, se del caso rivolgendosi ai competenti organismi e tribunali internazionali. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei.
È iscritto a parlare il deputato Della Vedova, che illustrerà anche la mozione Paoletti Tangheroni n. 1-00033, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, sulla questione dei rapporti tra Italia e Cina e, di necessaria conseguenza, sulla questione dei diritti umani in Cina (tema di cui si occupano le mozioni e di cui si sono occupati, con puntualità, i colleghi che mi hanno preceduto) si sono espressi, in questa manciata di settimane che abbiamo alle spalle, un po' tutti gli analisti e i commentatori politici ed anche il Governo, mentre non si è ancora espresso il Parlamento. Ebbene, credo che non avere tempestivamente sollevato la questione in vista della visita del Presidente Prodi e della delegazione governativa (e non solo) che si è recata in visita a Pechino nel mese di settembre sia da ascrivere alla responsabilità del Parlamento, della maggioranza e, forse, anche dell'opposizione (complici, probabilmente, anche l'avvio della legislatura e l'estate). Oggi, abbiamo finalmente l'occasione per dare le linee guida o, comunque, le indicazioni del Parlamento al Governo in merito ad una questione che è sicuramente centrale (non c'è bisogno di spiegare perché) per la politica internazionale del Governo.
Peraltro, il nostro Governo si è molto espresso e molto esposto riguardo alla questione cinese, segnatamente in relazione a due temi fondamentali delle relazioni politico-diplomatiche con la Cina: il primo è quello dell'embargo sulla vendita di armi alla Repubblica popolare cinese; il secondo è quello dell'unificazione cinese, a cui il regime di Pechino tiene tanto (si tratta della strategia One China, per «una sola Cina», legata al desiderio, peraltro esplicitato dal regime di Pechino, di annettersi la democrazia di Taiwan).
Credo che vada denunciato in quest'aula, tardivamente, che sui predetti temi, in assenza di una discussione in Parlamento, il Governo italiano si è già espresso, innanzitutto, per bocca del Presidente del Consiglio Prodi e, poi, anche del ministro degli esteri D'Alema, il quale ha fatto una strana visita, come ha dichiarato, per «quagliare» (non si capisce bene a cosa volesse alludere, ma immagino che si riferisse ai rapporti economici e commerciali con la Cina), a poche settimane dalla visita (molto robusta, almeno in termini quantitativi) guidata dal Presidente del Consiglio. Credo che il Parlamento debba prendere atto, innanzitutto, di un punto fondamentale ed ineludibile (su questo aspetto tornerò). Del resto, sulla questione dell'embargo sulla vendita di armi alla Cina non è stata presentata alcuna mozione da parte della maggioranza (le tre che sono state presentate dicono, sostanzialmente, tre cose diverse, come dirò meglio più avanti).
Il nostro punto di partenza è che il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, è andato a Pechino a dire ufficialmente, nel discorso conclusivo a fianco delle autorità cinesi, che l'Italia è a favore della fine dell'embargo sul commercio di armi con la Cina. Questa è la posizione ufficiale del Governo italiano.
Le mozioni presentate servono anche, ancorché tardivamente, per affermare che questa non è la posizione del Parlamento italiano. Peraltro, nella sua visita, Romano Prodi, avendo esplicitamente sostenuto che la posizione italiana è quella della revoca dell'embargo sul commercio di armi, Prodi l'europeista, l'ex Presidente della Commissione europea, è stato smentito, a stretto giro di posta, dal portavoce della Commissione europea, che ha ribadito a Prodi, che forse non se ne era accorto, che l'Unione europea mantiene le proprie riserve (sto parlando della Commissione e non del Parlamento europeo, che non ha mai minimamente pensato di rimuovere tali riserve), «perché dal 2004,» leggo testualmente il comunicato arrivato da Bruxelles in risposta a Prodi, «quando la questione fu presa in considerazione, non vi sono ancora stati i necessari «progressi» Pag. 72in materia di diritti umani», mentre probabilmente Prodi ha stabilito che tali progressi vi fossero.
Sia chiaro un aspetto: per quanto mi riguarda, sono lungi dall'evocare embarghi economico-commerciali nei confronti della Cina che, peraltro, sarebbero del tutto velleitari. Anzi, ho salutato con favore il fatto che si riesca, forse, a stringere maggiori legami economici e commerciali con la Cina. È nell'interesse delle nostre aziende e, a mio avviso, anche dei consumatori italiani.
Ma Prodi non è stato soltanto smentito dalla Commissione europea, oltre che dal Parlamento europeo e, naturalmente, dal Congresso americano che, su tale aspetto, ha posizioni molto nette. Prodi ha voluto andare molto oltre quanto ha fatto nei mesi, nelle settimane e nei giorni immediatamente precedenti alla sua visita a Pechino, il Cancelliere tedesco, Merkel (ricordo che la Germania assumerà tra poche settimane la Presidenza di turno dell'Unione europea).
Il Cancelliere tedesco, una settimana prima che Prodi, con entusiasmo - ritengo - degno di miglior causa, andasse a dire alle autorità di Pechino che l'Italia è a favore della fine dell'embargo sul commercio di armi con la Cina, aveva detto, in una circostanza analoga, che non avrebbe seguito il cammino su cui si era avviato il suo predecessore, Schroeder, favorevole ad un percorso che portasse alla fine dell'embargo stesso. Il Cancelliere tedesco, Merkel, prossima ad assumere la Presidenza di turno dell'Unione europea, ha fatto nettamente marcia indietro, non ha fatto questa «fuga in avanti», eppure non mi sembra che la Germania abbia rallentato l'intensificarsi del rapporto economico e commerciale con la Cina o, men che meno, che abbia rallentato la presenza delle aziende tedesche in Cina, da Siemens a Volkswagen.
Dirò di più: Prodi non ha fatto cenno alla questione dei diritti umani in Cina. La Merkel ha avuto la forza, nel maggio 2006, nel caso di una visita analoga, alla cui base vi erano le questioni economiche, di non dimenticarsi che non era il capo della confindustria tedesca (come Prodi è parso dimenticare, mentre guidava una delegazione nella quale, giustamente, vi erano esponenti della Confindustria italiana), ed ha scelto di compiere un atto dimostrativo di quelli che pesano, in termini politici, perché hanno riflesso sui media molto di più di qualsiasi evocazione generica rispetto ai diritti umani.
Il Cancelliere tedesco si è recato in visita al vescovo, Monsignor Jin Luxian, uno di quelli appartenenti alla Chiesa cattolica romana e non a quella patriottica, controllata dal regime. Si tratta quindi di uno dei tre prelati cui il Governo cinese aveva vietato di partecipare, su invito di Benedetto XVI, al sinodo sull'Eucarestia tenuto a Roma. La Merkel ha compiuto un gesto dimostrativo radicale per testimoniare alle autorità cinesi, e possibilmente anche all'opinione pubblica, la sua vicinanza a chi in quel paese subisce una durissima repressione politica. A differenza di quanto ha affermato recentemente D'Alema, tale repressione non sta diminuendo, ma si sta inasprendo. In proposito il collega Pedrizzi ha citato poc'anzi la censura su Internet. Si tratta soltanto di una dichiarazione; tuttavia recentemente lo stesso Bill Gates ha affermato che, se non dovesse modificarsi la situazione, penserebbe di ritirare la sua azienda dal mercato cinese. Ebbene, Prodi di tutto questo non ha parlato; non si è sentito in dovere o in diritto di farlo e non ha avuto lo stesso riflesso, deciso e reiterato, della sua collega Angela Merkel.
Signor Presidente, passerò ad illustrare la mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 dopo aver sottolineato quanto segue. Non ho avuto modo di consultare tutti gli atti sopraggiunti in corso d'opera. Tuttavia sul rispetto dei diritti umani in Cina, argomento da me ritenuto così centrale, sui documenti della Camera e sul sito Internet (almeno fino a questo pomeriggio) ho trovato tre atti di sindacato ispettivo a firma di esponenti della maggioranza. Essi sono diversi tra di loro nella parte dispositiva, affermando concetti differenti. Vi è la mozione a prima firma D'Elia che impegna il Governo a sostenere, Pag. 73nella discussione in corso in sede europea, la posizione per la quale un'eventuale revoca dell'embargo da parte dell'Unione europea deve essere legata a progressi verificabili e tangibili della Cina nel campo dei diritti umani e delle riforme democratiche. Sicuramente si tratta di un passo avanti rispetto a quanto Prodi non ha neppure ritenuto opportuno evocare, passando direttamente al sostegno della fine dell'embargo.
Vi è la mozione a prima firma Bonelli, esponente dei Verdi, che invece pone in modo netto e a mio avviso condivisibile - in proposito credo di parlare a nome di tutti coloro che hanno firmato le mozioni -, la posizione secondo la quale il Governo debba sostenere il mantenimento dell'embargo. Si tratta quindi di una posizione piuttosto netta.
Vi è infine la mozione a prima firma Venier - sottoscritta anche dagli onorevoli Diliberto, Sgobio e Bellillo - che risulta un po' più «cinese» e che impegna genericamente il Governo a continuare un'azione di pressione volta ad ottenere un sostanziale miglioramento del rispetto dei diritti umani in Cina, miglioramento che tutte le persone, non dico di buona volontà, ma anche di media intelligenza, ritengono auspicabile.
Se non sono stati presentati altri atti a firma di autorevoli esponenti della maggioranza a nome dei rispettivi gruppi, così come avvenuto per la Rosa nel Pugno, i Verdi o i Comunisti italiani, vi è l'assenza di colleghi della Margherita o dei DS, che compongono il gruppo dell'Ulivo. Credo che si tratti di un dato politico significativo, da sottolineare in questa sede, tanto più che il Governo ha invece proseguito nella sua strada con un treno «cinese».
La mozione Paoletti Tangheroni n. 1-00033 è stata firmata anche da altri esponenti di Forza Italia.
Apro una parentesi: anche dai banchi dell'opposizione sono state presentate diverse mozioni (vi è quella a prima firma del collega Maroni, quelle già illustrate, a firma dei deputati di Alleanza Nazionale, e un'altra a firma degli altri presidenti di gruppo Vito, Volonté, La Russa), che hanno l'obiettivo convergente di chiedere al Governo l'impegno a non operare per la revoca dell'embargo, ma sic stantibus rebus - e noi a questo dobbiamo rifarci - di insistere sul mantenimento dell'embargo e sostanzialmente di disconoscere quanto fatto da Prodi, che peraltro viene disconosciuto anche da due delle mozioni presentate, se pur con accenti diversi, dai colleghi della maggioranza.
Nessuno di noi pensa che le politiche sulla Cina non possano che vedere al centro innanzitutto le relazioni economiche e che quello sia un punto ineludibile. Proprio per queste ragioni è nostro interesse che in Cina si viaggi verso la costruzione di istituzioni civili e di mercato che facciano della Cina stessa un interlocutore affidabile e compatibile dal punto di vista economico. Da ciò deriva che la questione dei diritti umani in Cina non può essere ridotta ad un problema che non abbia nulla a che fare con la natura complessa e problematica delle relazioni economico-commerciali con il mercato cinese.
La violazione delle libertà fondamentali non è una fisima umanitaria, ma attiene alla sostanza anche economica del modello cinese. Il legame fra la repressione politica e l'espansione economica è ancora oggi purtroppo il tratto caratteristico del capitalismo di Stato cinese; e questa caratteristica per il bene di tutti, anche dei produttori italiani ed europei, dovrebbe essere superata e non consolidata con l'avallo plaudente di alcune cancellerie occidentali.
Nessuno di quanti come me credono anche nella forza creativa del mercato e della competizione - e io lo credo, confortato in questo anche dal Dalai Lama, così come credo che comunque sia positivo che sul versante economico e commerciale la Cina venga inglobata nella più ampia realtà internazionale e che sia entrata nel WTO - è così cinico o ingenuo da ritenere che le persecuzioni personali, la repressione della libertà di stampa (sappiamo benissimo che in vista delle Olimpiadi il regime cinese ha messo la museruola anche alle agenzie internazionali che potranno dare notizie - non quelle sportive Pag. 74- riguardanti la politica, l'economia e la società cinese solo dopo che esse, prima ancora di essere messe in rete dalle loro agenzie, siano passate al vaglio della censura cinese), le repressioni della libertà in generale, quella sindacale, quella religiosa (su cui tornerò sopra) siano strumenti adatti e proporzionati all'obiettivo di assicurare la stabilità del regime cinese e l'espansione del mercato globale.
Più in generale, credo che il silenzio dimostrato dal Governo italiano sulla questione dei diritti umani e sui casi più evidenti e conosciuti di persecuzione civile e politica sia clamoroso, e che lo sia anche non rispetto alla nostra volontà. Ho citato la Merkel: non sono fissato con lei, ma è un punto di confronto. Ciò che il Governo italiano ha fatto o che il Presidente Prodi ha detto, se confrontato, non con il Premier canadese per intenderci, che sappiamo avere altra tradizione e altri margini di manovra (lo cito relativamente alla recente riunione dell'APEC), ma con ciò che ha fatto negli stessi mesi e quasi negli stessi giorni la Merkel è un punto di confronto ineludibile, a mio e nostro avviso, colleghi, anche per questo Parlamento.
Nella mozione da noi presentata abbiamo cercato di usare parole prudenti ma nette sulle due questioni, dell'embargo (su cui non tornerò) e della cooperazione in tema di diritti umani e di libertà personali, evocata, questa sì, da Prodi, ma non si comprende con quale contenuto.
Ci riferiamo nella mozione al cosiddetto «rapporto Belder», approvato dal Parlamento europeo. Pertanto, o nella cooperazione sui diritti umani ci sono alcuni aspetti cogenti, e dunque c'è un impegno reciproco, oppure credo che non si faccia molta strada se si tratta solo di un tavolo in cui le autorità italiane e pechinesi discutono di diritti umani, esponendo reciprocamente la propria visione al riguardo, a prescindere però dall'assunzione di qualsiasi vincolo od obiettivo.
La mozione inoltre denuncia due casi emblematici, riguardo alla realtà dei diritti umani in Cina: il caso dell'avvocato Gao Zhisheng, citato dal collega Pedrizzi poco fa, e quello del vescovo Martino Wu Qinjing. L'avvocato Zhisheng è noto in tutto il mondo per le sue iniziative in difesa delle libertà politiche - di lui si è occupato il Congresso americano, ma anche il Parlamento europeo -, religiose e civili e negli ultimi anni è stato il riferimento più autorevole della dissidenza cinese non violenta. Ha sfidato il regime di Pechino, è in galera, non si sa dove - non dico a che titolo - né quale sia il suo destino.
Monsignor Martino Wu Qinjing è stato arrestato proprio mentre iniziava la visita della delegazione italiana nella Repubblica popolare cinese, per non essersi voluto piegare alle minacce della cosiddetta Chiesa cattolica patriottica e per aver invece liberamente riaffermato la propria fedeltà al Papa e alla Chiesa di Roma. Nella nostra mozione chiediamo ai rappresentanti italiani anche due impegni precisi. Sappiamo che riferirsi a situazioni specifiche e precise è ciò che più urtica la sensibilità delle autorità cinesi, molto più delle vocazioni generali e dei grandi principi. Li costringe a prendere atto e possibilmente a dare risposte su questioni concrete, su casi di persone. Potremmo parlare di tante altre questioni, per esempio dei Falun Gong; recentemente abbiamo avuto in Italia un avvocato canadese, non praticante Falun Gong, che è venuto a spiegare quello che sta succedendo ai Falun Gong con gli espianti di organi, naturalmente forzati, per i trapianti in Cina.
Dunque insistere sui casi personali, com'è tradizione per esempio del Governo degli Stati Uniti, è forse un modo per essere urticanti nei confronti delle autorità cinesi, ma è anche un modo per testimoniare che i paesi liberi dell'Occidente, e mi auguro in futuro anche l'Italia - che non lo ha fatto in passato -, sono vicini non ai regimi, bensì alle persone e alle organizzazioni che lottano all'interno della Cina per la quinta modernizzazione (quella politica) cinese, che lottano per i diritti e le libertà. Questo è interesse anche di chi crede - come io credo, come noi crediamo - che il fatto che la Cina diventi una Pag. 75protagonista dell'economia mondiale non solo sia ineluttabile ma anche utile e che in prospettiva possa essere utile anche per i cinesi stessi. Noi però semplicemente ci rifiutiamo di credere, come qualcuno ritiene, che tanto, comunque, fra 30, 40 o 50 anni le cose si assesteranno da sole: primo, perché c'è il rischio che se noi non facciamo la nostra parte le cose non si assesteranno da sole nella direzione della prima potenza militare mondiale, quale sarà la Cina, aperta e possibilmente libera e democratica; secondo, perché nel frattempo ci sono milioni di persone che soffrono la repressione e che spesso muoiono in carcere (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbieri, che illustrerà anche la mozione Volontè ed altri n. 1-00052, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
EMERENZIO BARBIERI. A me fa molto piacere che per il Governo sia presente il sottosegretario Crucianelli, perché immagino che la sua formazione politico-culturale non sia molto distante, per quanto riguarda i sacri testi, dalla formazione politico-culturale dei dirigenti comunisti cinesi!
Da questo punto di vista, credo vi sia, almeno nelle memorie, un dato di omogeneità, di comunanza. Quindi, l'onorevole Crucianelli meglio di altri potrà comprendere le osservazioni che abbiamo inserito, come gruppo dell'UDC, nella nostra mozione.
Neanche un mese fa, il 29 ottobre, per la seconda volta in una settimana, il Governo comunista cinese (la cui legittimità è tutta da discutere, visto e considerato che non è mai stato eletto con elezioni libere e democratiche, così come le concepiamo noi) ha inviato centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa presso un'università privata della provincia meridionale dello Jiangxi, per fermare una manifestazione di massa organizzata dagli studenti.
La polizia ha obbligato gli universitari a non lasciare il campus (non commento; una decisione del genere, in un qualunque paese dell'Occidente, sarebbe stata definita come un atto autoritario e repressivo, ma, al riguardo, non vi sono stati commenti); inoltre, ha bloccato i telefoni (una cosa che noi, in Italia, abbiamo conosciuto durante il regime fascista; senza fare analogie, mi pare di capire che Mussolini sia stato studiato anche dai dirigenti comunisti cinesi) e le connessioni Internet dell'Istituto di tecnologia di Ganjiang.
L'invio di poliziotti è stato deciso per fermare la protesta di massa organizzata dagli studenti di Ganjiang, che avrebbe dovuto riunire circa sessantamila universitari provenienti da dieci istituti privati della provincia, per protestare contro una legge introdotta dal Parlamento cinese (ovviamente, anche quello è un Parlamento nominato, non eletto, della cui legittimità democratica è assolutamente corretto dubitare), una legge che, nonostante le promesse dei funzionari statali, non equipara i titoli di studio conseguiti presso istituti privati a quelli rilasciati dalle università pubbliche.
Il 5 novembre (tre settimane fa), il Governo della provincia orientale dello Shandong ha inviato oltre 1.400 poliziotti in tenuta antisommossa per fermare circa 1.000 abitanti di un villaggio alla periferia di Jinan che manifestavano contro la requisizione delle loro terre. Mi interessa sottolineare, onorevole Crucianelli, la presenza di 1,4 poliziotti per ogni manifestante. Si immagini lei, se una cosa del genere fosse accaduta alla manifestazione contro il lavoro precario fatta da alcuni sottosegretari, da alcuni partiti, Diliberto & company: avremmo avuto in piazza 23 mila poliziotti!
Il 12 novembre scorso, la polizia della provincia centrale del Sichuan si è scontrata con circa duemila persone che manifestavano contro un ospedale di Guangang, colpevole di aver lasciato morire un bambino perché la sua famiglia non poteva pagare subito il ricovero, anche se aveva promesso di pagare in seguito quanto dovuto (lo dico perché quando sento criticare la sanità americana mi scappa da ridere: credo che la sanità Pag. 76comunista cinese, sia, per alcuni versi, peggiore della sanità pubblica americana); gli scontri si sono conclusi con tre morti. Le autorità sono state costrette ad aprire un'inchiesta sulla vicenda.
Il 17 novembre, dieci giorni fa, la polizia, sempre in tenuta anti-sommossa (si vede che anche in Cina i poliziotti sono addestrati per questa funzione), ha circondato il villaggio di Dongzhou, nei pressi del porto meridionale di Shanwei (Guangdong), per liberare otto rappresentanti del Governo locale trattenuti dagli abitanti che protestavano contro l'arresto di un attivista del posto, colpevole di appendere dei manifesti anticorruzione nelle strade del villaggio.
Onorevole Crucianelli, pensi lei se una cosa del genere fosse esistita nel 1992 in Italia quando si appendevano i manifesti contro la Democrazia cristiana, perché composta da corrotti! Avremmo avuto le galere piene di manifestanti!
Il blocco ad oggi non è stato ancora tolto.
Alla fine del 2005, si è diffusa la notizia che monsignor Han Dingxian, vescovo non ufficiale di Yongnian (Hebei), è scomparso. Dal 1999 era stato arrestato e tenuto in isolamento in un hotel di proprietà del Governo comunista. Non poteva avere nessun contatto con i suoi fedeli ( la vicenda di Mindszenty in Ungheria è esattamente la stessa cosa), neanche con i parenti, ma ogni tanto - il sommo della perversione culturale non ha nulla da invidiare a quella sperimentata da Hitler in Germania - alcuni di loro potevano osservarlo dalla finestra. Il massimo della concessione! Ora da diverso tempo non si hanno notizie di lui, né si riesce più ad intravederlo neanche da parte dei parenti attraverso i vetri delle finestre. Tenga conto che parliamo di un vescovo che ha 66 anni ed in passato era già stato in prigione per vent'anni (fascismo e comunismo cinese).
Il vescovo di Zhengding (Hebei), monsignor Giulio Jia Zhiguo, è tutt'ora sotto estremo controllo ed isolamento (non può incontrare i suoi fedeli), periodicamente arrestato dalla polizia per essere sottoposto a sessioni di studio (ciò che ha inculcato Mao è rimasto in alcuni di questi dirigenti comunisti), dove viene sottoposto a lavaggio del cervello perché aderisca all'Associazione patriottica, lo strumento che l'onorevole Crucianelli ben conosce (nel senso che lo legge come lo leggo io, non perché partecipi a questo strumento), che ha come ideale la nascita di una Chiesa nazionale senza legame con la Santa sede. Monsignor Jia è stato arrestato in gennaio, in luglio, e novembre. Al momento si trova nella sua diocesi sorvegliato a vista.
Attualmente sono circa 30 i sacerdoti della chiesa non ufficiale in galera (la Chiesa cattolica è una, quella cattolica non ufficiale è una farsa, come chiunque cattolico sa).
Il 29 luglio scorso migliaia di poliziotti in tenuta antisommossa, oltre a centinaia di militari operai pagati dal Governo, una cosa che ricorda molto le manifestazioni di massa in favore dei regimi comunisti nei paesi dell'Europa dell'est, sono arrivati alla chiesa di Cheluwan (distretto di Xiaoshan, Hanzhou e Zhejiang) alle 13,30 e hanno cominciato ad usare la forza per cacciare via i fedeli protestanti (non sto parlando dei cattolici), radunati per fermare la distruzione dell'edificio, perché lo stesso non aveva ricevuto alcuna approvazione.
Subito dopo hanno distrutto la chiesa in modo completo, tanto per non sapere né leggere né scrivere.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,02)
EMERENZIO BARBIERI. Hanno fatto quello che fece Lenin in Russia nel 1919-1920.
Testimoni oculari affermano che la polizia ha usato manganelli elettrici e scudi antisommossa per disperdere i cristiani... Scusate, colleghi, segnalo che parlare alle spalle è un po' fastidioso!
Il Centro di formazione sui diritti umani e la democrazia afferma che la chiesa era già stata costruita anni addietro, ma era stata ristrutturata quest'anno Pag. 77a causa di un tifone che, nel 2005, l'aveva danneggiata. Non è la prima volta che edifici religiosi vengono requisiti in modo illegale per essere utilizzati in progetti di costruzione e di sviluppo edilizio. D'altra parte, sottosegretario Crucianelli, basterebbe mandare i nostri urbanisti di sinistra in Cina per riuscire a comprendere cosa vuol dire il sacco di Napoli, attuato nel 2005.
Lo scorso anno alcune suore cattoliche di Xian sono state picchiate per aver difeso una scuola di loro proprietà, venduta dal Governo a fini commerciali; infatti, come lei ben sa, il Governo si occupa anche di attività commerciali in Cina: ciò, sempre a proposito di corruzione.
In dicembre un gruppo di sacerdoti di Taiyuan sono stati picchiati a Tianjin per voler salvare le proprietà della diocesi requisite da ditte locali per sviluppi edilizi.
Secondo la China Aid Association, un'organizzazione non governativa con base negli Stati Uniti che opera per la libertà religiosa in Cina, il regime comunista cinese ha arrestato, nel corso dell'ultimo anno, 1958 fra pastori e fedeli delle chiese protestanti non ufficiali. L'organizzazione di cui sopra ha pubblicato, insieme alla denuncia, un rapporto dettagliato che spiega la persecuzione anticristiana portata avanti dalle autorità di quindici province cinesi.
Particolare oggetto della persecuzione governativa sarebbero gli incontri fra pastori ed insegnanti cristiani, visti con particolare ostilità dal Governo, che mira ad indottrinare le nuove generazioni: nulla di nuovo sotto il sole! Vi sono innumerevoli prove dei maltrattamenti e delle torture subiti dai leader delle comunità da parte della polizia e dei membri dell'Ufficio affari religiosi.
Nel corso della splendida missione italiana in Cina del mese di settembre 2006 - debbo dire che lo hanno sostenuto tutti i colleghi intervenuti fino ad ora: gli onorevoli Rampelli, Pedrizzi e Della Vedova - hanno destato sconcerto le dichiarazioni rilasciate dal vostro Presidente del Consiglio. Prodi ha detto «basta» all'embargo delle armi nei confronti della Cina; in quell'occasione non ho visto le piazze riempirsi di pacifisti. Addirittura, egli si è impegnato in sede europea affinché questo embargo venga rimosso.
Secondo il ministro degli affari esteri D'Alema, l'Italia è favorevole al superamento dell'embargo delle armi nei confronti della Cina «sulla base delle condizioni poste dall'Unione europea». Il ministro del commercio internazionale Bonino ha affermato che l'incremento delle relazioni commerciali ed economiche con la Cina deve comportare progressi sostanziali in materia di democrazia, diritti umani, Stato di diritto, diritti religiosi e individuali, che sono componenti basilari del dialogo politico.
Sottosegretario Crucianelli, all'indomani del colpo di Stato di Pinochet in Cile i comunisti italiani riempirono le piazze affermando che non si poteva neanche pensare di avere rapporti con un regime cileno autoritario e fascista, al punto da mettere in discussione la finale di coppa Davis con il Cile. In ogni caso, che differenza vi è in rapporto al regime cinese? Quest'ultimo si chiama comunista, ma la sostanza non cambia.
Noi con la nostra mozione impegniamo il Governo, alla luce dei fatti suesposti, ad indirizzare l'azione diplomatica, sia nei rapporti bilaterali sia a livello europeo, in modo tale da assicurare sia il rispetto dei diritti umani e civili sia la libertà religiosa e di espressione in Cina. Chiediamo che il Governo italiano si muova in modo concreto, non attraverso le solite ed inutili dichiarazioni, affinché in Cina vi sia libertà religiosa. Inoltre, impegniamo il Governo a subordinare la chiusura di accordi commerciali alla previa verifica di reali concessioni sul piano della democrazia e della libertà di religione in Cina e a desistere dall'impegno, preso in più di un'occasione, di perorare in sede UE la fine dell'embargo sul commercio di armi, decretato dopo i fatti di Tienanmen del 1989 (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00053. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, capisco tutto, la polemica politica, la scelta di campo, le contrapposizioni, lo scontro, ma non accetto che ci siano falsificazioni o mistificazioni riguardo a comportamenti di persone che non hanno nulla da imparare, per storia e per impegno politico di oltre un quarto di secolo, su come si difendono i diritti umani e su cosa si è fatto o si fa per promuoverli in parti del mondo come la Cina. Mi riferisco al collega Rampelli, che poco fa ha criticato Emma Bonino perché nel suo recente viaggio in Cina non avrebbe sollevato la questione dei diritti umani, mentre ho ascoltato e apprezzato, nell'intervento del collega Barbieri, parole vere riguardo alle dichiarazioni rese dalla stessa Emma Bonino prima del suo viaggio in Cina.
Collega Rampelli, da che pulpito viene la predica! Chiedo al collega Rampelli che cosa abbia fatto in occasione delle scorse missioni in Cina; mi riferisco alle visite in Cina, precedenti a quella di questo Governo, dell'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (nel novembre del 2003), e a quella successiva del 2004 del Vicepresidente del Consiglio di allora, Gianfranco Fini. Che cosa ha fatto? Ha presentato una mozione parlamentare? Io so che allora esponenti del suo partito, tra cui anche la Presidente, che in questo momento presiede la seduta, nell'ambito di Azione Giovani, ha preso posizione, ma non mi risulta che vi siano state mozioni parlamentari che criticassero il silenzio assoluto sui diritti umani che vi è stato nelle precedenti visite di Stato in Cina.
RICCARDO PEDRIZZI. Io l'ho presentata al Senato!
SERGIO D'ELIA. Ricordo che Emma Bonino, prima di partire per la Cina, con un'intervista, non su una radio privata o su un giornale locale, ma sul principale quotidiano italiano, il Corriere della sera, ha fatto l'elenco puntuale e preciso di tutte le violazioni che si compiono nella Cina. I cinesi di questo hanno paura: non che ci sia non un generico richiamo al rispetto dei diritti umani, ma la denuncia puntuale e precisa di tutte le violazioni dei diritti umani che avvengono in quel paese.
Non è vero che il Presidente Prodi non abbia parlato dei diritti umani; egli ha sollevato questioni relative alla pena di morte, ai diritti umani, alla libertà religiosa soprattutto; lo stesso hanno fatto il sottosegretario Vernetti, in visita in Cina, e la stessa Emma Bonino, che hanno chiesto una moratoria delle esecuzioni capitali.
Colleghe e colleghi, la situazione dei diritti umani in Cina è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo ascoltato un elenco molto eloquente nel dibattito in quest'aula; ciò non è più solo oggetto delle nostre denunce o di quelle delle organizzazioni non governative, ma di puntuali inchieste e rapporti delle organizzazioni internazionali. Citerò solo alcuni punti, proprio per completare il quadro che già alcuni colleghi hanno ben rappresentato riguardo a quello che accade in Cina.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite sulla tortura, presentato il 10 marzo 2006, dal 2000 lo special rapporteur e i suoi predecessori hanno contestato al Governo cinese 314 casi di presunta tortura, i quali riguardano ben oltre 1.160 persone, e che, oltre a questa cifra, occorre considerare un caso presentato nel 2003, che riportava in dettaglio presunti maltrattamenti o torture di migliaia di praticanti del Falun Gong, molti dei quali avvenuti nei campi di rieducazione attraverso il lavoro, i famigerati laogai, e negli ospedali psichiatrici.
A proposito di Falun Gong - lo ha richiamato il collega Della Vedova poco fa -, il 6 luglio 2006 è stato pubblicato il rapporto sulle denunce di espianto di organi ai praticanti del Falun Gong in Cina, risultato di una indagine indipendente condotta in Canada dall'avvocato David Matas e dall'ex parlamentare David Kilgour, che recentemente ha visitato il nostro paese (io l'ho incontrato e l'ha incontrato anche il collega Della Vedova). Pag. 79Secondo tali soggetti, da alcuni anni è stata attuata una raccolta su larga scala d'organi a praticanti del Falun Gong e questa pratica criminale continua tutt'oggi.
È stato lo stesso viceministro della sanità cinese, Huang Jiefu, ad ammettere, lo scorso 17 novembre, in occasione di un meeting di medici specializzati in trapianti svoltosi in Cina, che la maggior parte degli organi prelevati da cadaveri provengono da prigionieri giustiziati. Ci sono poi casi di carcerazione politica, in particolare di appartenenti a minoranze religiose ed etniche - tibetani, in primis -, di ricorso diffuso al lavoro forzato, di repressione sistematica delle libertà di culto e di espressione nonché delle libertà dei media a partire da Internet.
La regione del Tibet subisce da quasi mezzo secolo una forzosa campagna di sinizzazione, che ha distrutto il patrimonio culturale, religioso ed artistico di una delle più antiche civiltà dell'Asia. La legge cinese antisecessione del 14 marzo 2005 prevede espressamente il ricorso a «mezzi non pacifici» per risolvere l'eventuale dichiarazione di indipendenza da parte di Taiwan.
È evidente che il boom economico della Cina, lo status di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU nonché l'adesione all'Organizzazione mondiale del commercio impongono alla Cina una maggiore responsabilità nei confronti della comunità internazionale rispetto al passato, ma anche una maggiore credibilità nel campo delle riforme democratiche, del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto in quel paese. D'altro canto, lo sviluppo di relazioni commerciali sempre più intense e di relazioni politiche positive tra l'Unione europea e la Cina non può non fondarsi sul rispetto di principi fondamentali comuni che trovino un minimo comune denominatore in materia di diritti umani e di regole democratiche.
In passato si è scelto di essere compiacenti con una dittatura nella speranza di realizzare da subito buoni affari, invece di investire nel medio periodo in una maggiore libertà per i cinesi ed anche in una maggiore credibilità del nostro paese e dell'Europa sul piano delle relazioni internazionali. I cinesi hanno dimostrato di saper rispettare chi ha il coraggio delle proprie convinzioni e di saper concludere con coloro che riescono a dimostrare tali convinzioni gli affari migliori. Presentarsi in Cina e alla Cina solo con delle convenienze, lasciando a casa le proprie convinzioni, può farci guadagnare qualche contratto in più, ma allo stesso tempo può farci perdere molta credibilità.
Per quanto riguarda la questione dell'embargo, il dispositivo della mozione che ho presentato insieme a molti altri colleghi del centrosinistra è molto chiaro. La posizione che il Presidente Prodi ha dichiarato in Cina non è nuova; infatti già in qualità di Presidente della Commissione europea aveva manifestato la necessità di superare l'embargo alla Cina, mentre la posizione del ministro degli esteri è stata resa nota nei giorni scorsi.
Ma devo osservare, colleghi dell'opposizione, che tali due posizioni sono in piena continuità con quella espressa dall'allora Presidente Berlusconi il quale, durante il semestre del 2003 nel quale l'Italia ha guidato l'Unione europea, si è adoperato molto per togliere l'embargo sulle armi alla Cina; embargo che egli considerava - diceva testualmente - anacronistico. Come pure, in piena continuità con la posizione di Prodi e di D'Alema sulla questione dell'embargo, è la posizione favorevole ad una sua revoca sostenuta peraltro anche in un'intervista al Quotidiano del popolo dall'allora Vicepresidente Fini durante la sua visita di Stato in Cina nel dicembre del 2004. Prendo atto, ora, leggendo i dispositivi delle mozioni firmate da alcuni deputati di Alleanza Nazionale e di Forza Italia, della svolta nella posizione di questi gruppi, oggi assolutamente contrari alla revoca dell'embargo, almeno fin quando non saranno registrati - dichiarano alcuni di questi dispositivi - progressi nel campo dei diritti umani.
Anche la mozione di cui sono firmatario, come osservavo dianzi, pone la questione dell'embargo sulle armi alla Cina in relazione a quella dei diritti umani; ma la pone in una maniera diversa, in positivo, Pag. 80in un modo volto a favorire progressi tangibili della Cina nel campo dei diritti umani e delle riforme democratiche. Non possiamo accontentarci di contemplare il disastro cinese sul fronte dei diritti umani; credo che dobbiamo operare perché da quel disastro se ne venga fuori con dei progressi e con dei passi forse brevi nel primo e medio periodo, ma comunque tali da procedere nella direzione giusta.
Anziché dare per scontati lo status quo di oggi e la immutabilità della situazione in Cina, e anziché attendere prima le riforme per poi decidere in ordine alla revoca dell'embargo, ritengo più produttivo impegnarci oggi negoziando sulla revoca dell'embargo per ottenere progressi concreti che vadano nella direzione giusta. Un «no» assoluto e di principio alla revoca dell'embargo ci farebbe sentire più buoni e con la coscienza a posto, ma non ci farebbe esperire il tentativo di ottenere cambiamenti, progressi e riforme che pure in Cina si sono avuti nell'ultimo periodo. Dal 1o gennaio, infatti, entrerà in vigore una riforma importantissima del codice penale cinese che riguarda la pena di morte e che consiste nel trasferimento al giudice ultimo ed esclusivo della convalida delle condanne a morte, la Corte suprema del popolo. Ora, invece, le condanne a morte possono essere ratificate - per essere quindi eseguite - dalle corti provinciali. Ebbene, gli osservatori stimano che questo passaggio dalle corti provinciali alla Corte suprema cinese produrrà una diminuzione di almeno il 20 per cento delle esecuzioni, che sappiamo essere tantissime in quel paese e che saranno sempre troppe anche dopo questa riforma.
Sarebbe velleitario e, ritengo, anche alquanto ridicolo pensare di isolare la Cina con il sistema degli embarghi e dei boicottaggi, seppure attuati sul piano del commercio delle armi e, in ipotesi, su quello della partecipazione alle Olimpiadi. Semmai è la Cina, questo grande colosso, che ci accerchia e ci isola, considerato che non ha bisogno delle nostre armi e che le Olimpiadi si terranno comunque e potranno offrire invece (e va colta tale occasione) un'ulteriore possibilità di apertura al mondo e di ulteriori progressi sul versante dei diritti umani. D'altra parte, gli Stati Uniti, che non hanno imposto un'embargo statunitense sulle armi alla Cina, riescono tuttavia ad ottenere risultati con la loro politica che consiste nell'abbinare due strategie, quella del contenimento da un lato, ma anche quella del coinvolgimento dall'altro. Non possiamo pensare di ricostruire noi la grande muraglia cinese, che è stata infranta dal tumultuoso sviluppo economico di quel paese e dall'entrata della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio.
Ciò che possiamo fare, come dicevo in precedenza, è porre condizioni, negoziare la revoca dell'embargo, ovviamente importantissima per la Cina dal punto di vista simbolico, politico ed anche militare, considerando l'alta tecnologia di cui quel paese difetta ancora e per cui ha bisogno di importazione. A maggior ragione credo, proprio per i motivi ricordati, che occorra ottenere, in cambio di una revoca dell'embargo, ciò che è importante per noi, ossia più libertà, più democrazia, più diritti civili, religiosi e sindacali, si potrebbe dire genericamente «umani», per i cinesi. Credo anche che, in tal modo, si affermerebbe una maggiore libertà e credibilità del nostro paese e dell'Unione europea nelle relazioni internazionali.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta, che illustrerà anche la mozione Bonelli n. 1-00054, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, la Cina, come i colleghi hanno ricordato, è un immenso paese, che sta occupando, con sempre maggiore sicurezza, il proprio spazio sulla scena mondiale. Le scelte politiche, economiche, ed anche in materia di diritti umani del maggiore paese dell'Asia hanno un impatto diretto e percepito sul mondo intero. Una nazione di oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti, con una crescita economica esponenziale e mire commerciali globali non può che incutere rispetto.
I rapporti con la Cina costituiscono, dunque, un capitolo importante dei rapporti Pag. 81internazionali di ogni paese, ed il nostro non fa eccezione. Salutiamo, pertanto, con soddisfazione le due recenti missioni in Cina del Presidente del Consiglio e del ministro degli esteri. Il problema, tuttavia - per noi, al pari di tutti i nostri partner europei - è che la necessaria attenzione diplomatica e commerciale che prestiamo alla Cina rischi di vedere la questione del rispetto dei diritti umani in quel paese quale timida appendice all'agenda politica dei Governi. Ritengo sia prerogativa del Parlamento affrontare con maggiore libertà il tema, sempre delicato, dei diritti umani.
Per tale motivo, le diverse mozioni sui diritti umani in Cina, che discutiamo oggi e che voteremo domani, costituiscono un'importante opportunità. Anch'io sono colpita dalla maggiore radicalità dei colleghi Rampelli e Pedrizzi, che non fecero rampogne altrettanto ferme nei confronti dei propri rappresentanti, ossia del Presidente del Consiglio Berlusconi e del Vicepresidente del Consiglio Fini, quando questi ultimi parlarono della necessità di allentare l'embargo. Saluto la loro «conversione» e ritengo che il primato dei diritti umani, nella corretta gestione dei nostri rapporti internazionali, sia un aspetto che deve condividere l'intero Parlamento.
I problemi aperti sono stati, in larga misura, elencati dai colleghi. Oltre ai rapporti delle organizzazioni non governative più note, quali Amnesty International e Human Rights Watch, un'analisi abbastanza critica dello stato dei diritti umani in Cina è stata presentata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, nel marzo di quest'anno. Tali rapporti dimostrano la profonda contraddizione tra l'impetuoso sviluppo economico, sociale e tecnologico della Cina ed una situazione di stallo sul piano dei diritti e delle libertà civili; anzi, lo scorso anno vi sarebbe stato addirittura un aumento della repressione di attività percepite come disturbo o minaccia nei confronti dell'autorità governativa, una repressione che ha colpito, in particolare, la libertà di espressione e la stampa, con la chiusura di testate giornalistiche, la messa al bando di libri ed una attività di censura via Internet, che non ha paragoni nel mondo.
La Cina è membro fondante delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza della stessa organizzazione, ma credo che sia uno tra i pochi paesi al mondo dove si può finire in prigione per il mero possesso della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, come è successo, secondo Amnesty International, a due monaci tibetani. In Cina, sempre secondo Amnesty International, è tuttora in vigore l'uso di campi di detenzione per la rieducazione dei dissidenti, che ospiterebbero tra i 4 e i 6 milioni di prigionieri, costretti al lavoro forzato. Noi, come hanno ricordato i colleghi, non possiamo non tener conto di tale drammatica realtà. Altro motivo di grande preoccupazione è il ricorso massiccio alla pena di morte. Il numero delle sentenze capitali eseguite rimane segreto, ma la stima di Amnesty International è di 1.770 esecuzioni lo scorso anno ed è probabilmente in difetto.
Sono felice che il Parlamento e i colleghi convergano tutti sull'importanza di una richiesta di moratoria. La cortina di silenzio che avvolge le esecuzioni, e i processi che le precedono, copre e, in qualche misura, forse genera anche un fenomeno di enorme gravità, che coinvolge i cittadini di altri paesi, compresi quelli europei: la vendita e il trapianto di organi dei condannati a morte.
Ad aprile di quest'anno, in una dichiarazione pubblica senza precedenti, i vertici della British Transplantation Society, che presiede al controllo etico dell'attività dei trapianti in Gran Bretagna, denunciarono la raccolta e la vendita di migliaia di organi prelevati dai condannati a morte in Cina senza il loro consenso. Le prove di tali pratiche comprendevano le testimonianze dei numerosi pazienti, anche britannici, che erano andati in Cina.
Secondo la testimonianza di un giornalista britannico, che si è presentato come potenziale paziente in un grande ospedale cinese, tale pratica era ancora in vigore il mese scorso, nonostante la nuova legge, che avrebbe dovuto vietare la vendita Pag. 82di organi dal marzo di quest'anno. Al giornalista fu proposto un fegato, proveniente, secondo i medici dell'ospedale, da un condannato a morte, per il prezzo di 98 mila dollari. La scadenza di sole tre settimane per la disponibilità dell'organo era dovuta, sempre secondo i medici, al numero particolarmente alto di esecuzioni in corso, prima della festa nazionale del 1o ottobre di quest'anno.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, queste notizie mettono in luce quanto sia potenzialmente devastante per la Cina, ma anche per noi, il combinato disposto di quello che il rapporto di Amnesty definisce un controllo pressoché totale delle libertà individuali in quel paese, con un liberismo sfrenato e un mercato senza regole. Se, come confermano molte autorevoli inchieste giornalistiche, si sta consolidando il fenomeno del turismo dei trapianti in Cina, dobbiamo essere consapevoli che, in mancanza di regole condivise, questo vuol dire creare un reale incentivo, proprio per il meccanismo perverso della vendita di organi, al moltiplicarsi delle esecuzioni capitali. Queste nostre denunce non sono gratuite e dovrebbero contribuire a cambiare le cose. Infatti, atti di indirizzo, come quelli che spero quest'aula approverà, possono contribuire ad un miglioramento, per quanto parziale, della situazione in Cina. Questa è anche l'opinione di quei dissidenti cinesi che riescono a far pervenire al resto del mondo la propria voce.
Nella nostra mozione, prestiamo particolare attenzione alla questione della vendita delle armi. Ricordo all'aula che la legge vigente, la n. 185 del 1990, sull'esportazione dei materiali di armamento, vieta la vendita di armi verso paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo dalle Nazioni Unite o dall'Unione europea. La stessa legge vieta la vendita verso i paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle Convenzioni internazionali in materia di diritti umani e anche quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali. Questi per noi sono punti fermi.
L'Unione europea, dopo la sanguinosa repressione di piazza Tienanmen del 1989, ha sottoposto la Cina ad embargo, posizione ribadita più volte, anche recentemente, con la risoluzione del Parlamento europeo, citata dai colleghi e approvata a larga maggioranza il 7 settembre, che recita, tra l'altro, che l'Unione europea non dovrebbe revocare l'embargo, fintanto che non sia in vigore un codice di condotta giuridicamente vincolante sull'esportazione di armi e non sarà stata affrontata adeguatamente la situazione dei diritti umani e delle libertà civili o politiche, inclusa la questione di piazza Tienanmen.
L'Unione europea mantiene attualmente in vigore solo otto embarghi internazionali: nei confronti dei talebani, della Bosnia-Erzegovina, del regime di Myanmar, dei ribelli della Sierra Leone e del Congo, del Sudan, della dittatura di Mugabe e, infine, della Cina, alla quale, naturalmente, pesa enormemente stare in questo elenco.
La fine dell'embargo alle armi per la Cina ha una valenza altamente politica non solo per il ruolo internazionale che vuole rivestire, ma anche per motivi strategico-militari, in quanto fatica a reperire, sul mercato internazionale, sistemi d'arma tecnologicamente avanzati.
Faccio tuttavia presente al Governo e all'Assemblea che non si può ignorare la possibilità che la vendita di armi da parte dell'Europa alla Cina faccia aumentare, come già avvenuto in passato, il rischio di escalation nella regione, in particolare da parte di Taiwan.
Secondo un recente rapporto di Amnesty International, la Cina sta rapidamente emergendo come uno dei più grandi ed irresponsabili esportatori di armi, con un export che si aggira intorno al miliardo di dollari all'anno, contribuendo ad alimentare conflitti e gravi violazioni dei diritti umani in paesi quali Sudan, Nepal e Myanmar.
La Cina, infine, è l'unico paese, tra i grandi esportatori di armi, a non aver sottoscritto neanche uno degli accordi multilaterali che vietano il trasferimento di armamenti verso paesi che potrebbero Pag. 83commettere gravi violazioni dei diritti umani; inoltre, tale commercio è avvolto da segreto, in quanto da ben otto anni il Governo di Pechino non fornisce dati al registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali.
Alla luce di tutti questi fatti, signor Presidente e onorevoli colleghi, noi pensiamo che occorra procedere in primo luogo coordinandoci assolutamente in sede europea, senza intraprendere mosse unilaterali e tenendo ferma la risoluzione, approvata dal Parlamento europeo, che chiede tangibili e verificabili progressi nel campo dei diritti umani.
Chiediamo, altresì, che l'Italia si faccia promotrice dell'adozione di un codice etico di responsabilizzazione delle imprese italiane all'estero e che proponga, in sede di WTO, un nuovo sistema di regole internazionali per il rispetto dei diritti umani, nonché nuovi e più elevati standard ambientali (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Venier, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00057. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, signor sottosegretario, potremmo limitarci ad affermare che il nostro gruppo è molto soddisfatto e contento dell'azione del Governo, nonché del successo delle missioni compiute dall'Esecutivo italiano (prima con la presenza del Presidente Prodi, poi con quella del ministro D'Alema) in Cina.
Potremmo ritenerci altrettanto soddisfatti per quanto è stato fatto sia sul piano della ricostruzione della nostra politica estera, che anche in tale ambito non esisteva (si è trattato di una delle eredità più pesanti lasciate dal precedente Governo), sia sul terreno della pressione esercitata nei confronti della Repubblica popolare cinese rispetto alla questione che oggi siamo chiamati ad affrontare, vale a dire il rispetto dei diritti umani e civili in quel paese.
Ciò che ci ha indotto a presentare la nostra mozione, di cui illustrerò brevemente le differenze rispetto agli altri documenti all'attenzione dell'Assemblea, è l'assoluta ipocrisia con cui la destra ha voluto sollevare tali problemi in quest'aula.
Il collega D'Elia ha già ricostruito le profonde contraddizioni che si sono manifestate. Se i colleghi fossero conseguenti alle parole che hanno usato nel descrivere la situazione, che sono coerenti anche con quanto aveva affermato l'allora Presidente del Consiglio Berlusconi - ricordo i «bambini bolliti», nonché un truculento susseguirsi di descrizioni -, dovrebbero sostanzialmente chiedere al nostro paese di fare una dichiarazione di guerra nei confronti della Cina!
Ricordo che in realtà, fino a pochi mesi fa, al Governo di questo paese c'era una compagine che non ha fatto nulla per affrontare il tema del rispetto dei diritti umani sia in Cina, sia nel resto del mondo. Quanta ipocrisia ravviso in questo modo di porre le questioni, oggi che si è all'opposizione! Non credo assolutamente vi sia stato alcun ravvedimento da parte di questi colleghi!
Vedo solo il tentativo di una piccola speculazione di politica interna collegata ad un processo internazionale di grande respiro, che è quello dello scontro tra Stati Uniti e Cina che sta sullo sfondo drammatico di questo secolo e che vede delle piccole comparse italiane cercare un loro ruolo in questa grande rappresentazione che dobbiamo evitare. Lo scontro tra Stati Uniti e Cina può portare il mondo alla catastrofe e sicuramente porterà l'Europa all'inutilità, alla fine.
Vediamo esponenti del centrodestra, che hanno modificato la legge n. 185 del 1990 allargando la possibilità del commercio delle armi, e che oggi ci vengono a fare la lezione sulla questione dell'embargo. Esponenti del centrodestra che non si vedono mai in quest'aula vengono a ricordare come la violazione dei diritti umani non abbia un doppio standard, perché viene applicata sempre nei confronti di alcune nazioni e giustamente quando queste violano le convenzioni e gli standard internazionali; ma quando vedremo una mozione di Forza Italia su Abu Ghraib, su Pag. 84Guantanamo, sulla violazione del diritto internazionale e dei diritti umani? Questa coerenza sui diritti umani è la questione che dobbiamo porre quando affrontiamo anche un problema importante come la situazione di transizione, di cambiamento tumultuoso di un paese enorme, che rappresenta una parte fondamentale dell'umanità.
La Cina è cambiata profondamente; quanto provincialismo nelle affermazioni dei colleghi! La Cina non è più il paese di 10 o 15 anni fa, è un paese che oggi ha fatto uscire dall'arretratezza centinaia di milioni di persone, portandole da una condizione terrificante ad una condizione di sviluppo all'interno di un processo economico e sociale. Certo, anche se solo il 10 per cento di tutto ciò che è stato detto in quest'aula corrispondesse a ciò che accade, rappresenterebbe un fatto di una gravità enorme. È giusto, quindi, operare su questo terreno ed esercitare una pressione costante.
Dobbiamo parlare ancora di embarghi, di isolamenti dopo quello che è accaduto nella storia politica e nelle guerre che si sono succedute in questi ultimi anni? In realtà, dobbiamo prendere atto che siamo di fronte ad un mondo che sta cambiando. I protagonisti di questo mondo sono le grandi aggregazioni regionali. Uno dei grandi protagonisti del futuro dell'umanità è sicuramente la Cina, che deve seguire il proprio percorso verso un vero Stato di diritto. È questo che non è stato ancora raggiunto. La Cina non ha mai avuto nei suoi millenni di storia l'idea del primato della legge, di un diritto individuale nei confronti dello Stato. La Cina deve guadagnarsi culturalmente questo salto in avanti; è un fatto che impegnerà generazioni nella costruzione di un'idea di Stato di diritto, quella che è stata la conquista dell'Europa che ha diffuso anche nel resto del mondo; ma la Cina, nei processi di riforma che ha avviato, ha comunque posto questo obiettivo.
Noi dobbiamo lavorare tra la contraddizione di questo obiettivo proposto e lo stato di attuazione di tale prospettiva. La strutturazione di uno Stato di diritto non può essere un fatto abbandonato a se stesso, ma va seguito anche attraverso un dialogo continuo. Sappiamo, ad esempio, che vi è stata una grande collaborazione tra gli istituti universitari di diritto italiani e gli istituti cinesi sulla questione dello Stato di diritto e su come si possa costruire una cultura dello Stato di diritto in Cina nel rispetto del proprio modello sociale e politico. Questo abbiamo scritto nella nostra mozione, perché la questione dell'esportazione dei modelli solo in una direzione - a mio avviso - ha terminato il suo cammino. Non c'è un modello unico o una sola possibilità. Ogni paese, ogni popolo, tanto più uno composto da un miliardo e 300 milioni di abitanti, ha il diritto di poter definire le proprie prospettive. Noi dobbiamo aiutarlo, in un dialogo continuo, per far sì che quelle prospettive, anche di autonomia nella definizione del proprio modello sociale e politico, corrispondano ad una vera libertà, ad un possibilità di difendere i propri diritti politici, i propri diritti sindacali e civili.
Si sta parlando della Cina, ma quando vedremo i colleghi del centrodestra impegnati, con la stessa determinazione di alcuni colleghi della maggioranza, sulla questione dei diritti umani, sulla questione del diritto alla libertà religiosa in paesi come l'Arabia Saudita, tra i principali alleati degli Stati Uniti? Quando li vedremo condannare, con la stessa determinazione con la quale condannano la terribile pratica della pena di morte, applicata in modo massiccio e gravissimo in Cina, ciò che succede nelle carceri americane, dove le persone vengono «fritte» sulla sedia elettrica? Quando sapremo di questa vostra coerenza, colleghi del centrodestra? Quando lo farete, potrete anche presentarvi in quest'aula per dire che vi battete per i diritti umani!
In realtà, ancora una volta, voi strumentalizzate la questione dei diritti umani senza averne assolutamente i titoli.
FABIO GARAGNANI. Ma come ti permetti!
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IACOPO VENIER. Voi fate un'operazione che ha come unico scopo quello di tentare di screditare l'azione del nostro Governo.
Noi riteniamo, al contrario, che proprio il nostro Governo si stia impegnando in un'azione che combina l'apertura e la massima collaborazione del nostro paese nel processo di sviluppo cinese con la consapevolezza che tale sviluppo può essere aiutato e indirizzato, fino a portare alla definizione di un livello giuridico fondamentale dei diritti. Questa è l'azione che dobbiamo compiere! Dobbiamo lavorare per costruire la consapevolezza, nel gruppo dirigente cinese, che non c'è, da parte dell'Europa, nei confronti della Repubblica popolare cinese, alcun atteggiamento di aggressione o di possibile scontro sul piano internazionale e che, anzi, c'è l'idea della costruzione di un multipolarismo, di una collaborazione tra le varie aree del pianeta per un nuovo ordine internazionale, per un nuovo diritto internazionale, all'interno del quale ogni continente, ogni area geografica sceglierà il proprio modello e la propria prospettiva politica. Questo abbiamo voluto ribadire presentando la nostra mozione. Per questo crediamo che la maggioranza debba rivendicare, anche con grande orgoglio, l'azione di politica estera del nostro Governo. Si tratta, infatti, di una politica estera che, finalmente, conferisce un ruolo all'Italia sul piano europeo e sul piano internazionale.
Dal 1o gennaio avremo la responsabilità di sedere nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In quella sede, avremo la responsabilità anche di sovrintendere, di dare un indirizzo alla nuova politica delle Nazioni Unite. Credo che, in quella sede, dovremo intensificare le relazioni ed anche la capacità di pressione affinché i diritti umani siano davvero una conquista da diffondere e per la quale ci si batta, a prescindere dalla forma statuale, dalla collocazione internazionale o dalle relazioni geopolitiche definite. I diritti umani non vanno strumentalizzati: sono la base della nostra prospettiva e del nostro lavoro sul piano della politica estera e devono essere difesi nello stesso modo rispetto a tutte le violazioni, da qualunque parte esse vengano, mai utilizzati strumentalmente sul piano politico.
Per questi motivi, noi abbiamo presentato una mozione che riassume un giudizio sul percorso che, avviato dalla Repubblica popolare cinese alcuni decenni or sono, ha portato quel paese ad una crescita davvero impressionante ed importante. Ribadisco che lo sviluppo cinese, la sua qualità ed anche la sua stabilità condizionano lo sviluppo dell'intero pianeta (e stiamo parlando di un pezzo fondamentale dell'umanità).
Nel contempo, ribadiamo con grande determinazione sia il nostro impegno affinché i diritti umani siano terreno di iniziativa seria, non di strumentalizzazione, sia la condanna dell'atteggiamento di coloro i quali si attivano soltanto a corrente alternata: quando sono all'opposizione, quando qualcuno suona loro il campanello per intraprendere iniziative parlamentari o per compiere un tentativo, poco dignitoso, di strumentalizzare questioni che non hanno nulla a che fare con le grandi ed alte battaglie volte ad affermare i diritti dell'uomo. Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, il solo fatto che oggi, in Assemblea, siano state presentate molte mozioni sul rispetto dei diritti umani in Cina ha un doppio significato. Esso dimostra l'attenzione del Parlamento per il rispetto dei diritti umani, come più volte è stato dimostrato e, mi auguro, sempre senza alcuna strumentalizzazione, ed anche l'interesse del Parlamento per la Cina, che rappresenta, ormai, non solo per le dimensioni geografiche, ma anche per numero di abitanti e tasso di crescita economica, un punto di riferimento importante nella geopolitica mondiale ed è destinato a diventarlo sempre più. Oggi, bisogna fare i conti con la Cina Pag. 86ed aiutarla a diventare un paese sempre più adeguato agli standard internazionali per il rispetto dei diritti umani.
Peraltro, un paese di tali dimensioni ed in forte fase di sviluppo, che da qualche anno, ancorché con numerosi limiti e contraddizioni, ha iniziato ad aprirsi al mercato internazionale, è inevitabilmente soggetto a pressioni sia interne sia esterne, tendenti a far coincidere il maggior grado di libertà economica con un generale miglioramento della qualità della vita, intendendo quest'ultima non tanto e non solo come maggiore benessere economico, ma soprattutto come un'effettiva possibilità per l'individuo di esplicare, al meglio, la propria personalità sia come singolo sia come membro della comunità di appartenenza, con il rispetto di tutti i diritti personali.
Da questo punto di vista, il rispetto dei diritti umani assume un rilievo fondamentale. La comunità internazionale, e l'Europa in particolare, con la sua radicata tradizione democratica, non può permettersi, quindi, di assumere un atteggiamento di indifferenza, né tanto meno di tolleranza, ma, al contrario, deve attivarsi con tutti i mezzi, pacifici e democratici, a sua disposizione, affinché i più elementari diritti dell'uomo vengano rispettati in tutti i paesi, non solo in Cina, quando ciò non avviene.
In effetti, in Cina restano ancora aperte questioni particolarmente preoccupanti per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. Tutti conosciamo il ricorso alla pena di morte, che purtroppo viene utilizzata di frequente per un elevato numero di reati, il ricorso alla tortura, alla detenzione arbitraria, per non parlare della restrizione della libertà di espressione, di religione, di associazione. Vorrei ricordare i vescovi cattolici, cui è stato impossibile testimoniare la propria fede cattolica.
Però, bisogna dire che alcuni progressi negli ultimi anni sono stati compiuti e ciò anche grazie alle pressioni operate in tal senso dall'Unione europea, al cui interno l'Italia sta svolgendo un ruolo sempre più importante, anche per sostenere i diritti umani dell'individuo. Ci sembra che vi sia un impegno da parte della Cina a perseverare sulla ratifica del patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché è significativa la decisione di attribuire alla sola Corte suprema del popolo il potere di ratifica delle condanne capitali. Sono segnali importanti che questo paese sta dando alla comunità internazionale. Proprio per questo, bisogna favorire il dialogo continuo del nostro paese e dell'Unione europea con la Cina.
Certamente, ciò non significa rimanere indifferenti di fronte agli indiscutibili e preoccupanti dati che giungono ogni anno, relativi ai calpestati diritti religiosi e culturali in Tibet e nello Xiaoshan. Al contrario, riteniamo che un atteggiamento propositivo da parte dell'Europa e dell'Italia potrebbe agevolare, se non accelerare, il processo di democratizzazione cui la Cina non può sottrarsi.
Tra poco in Cina si terranno i giochi olimpici del 2008 ed oltre al prestigio che ne deriverà arriveranno anche le responsabilità. Se non vi sarà il rispetto dei diritti umani, la Cina non potrà dare nel corso di questi giochi l'immagine da lei desiderata. Per tale motivo, con i riflettori mediatici puntati sulle Olimpiadi del 2008, vi potranno essere maggiori opportunità per lavorare con la Cina e migliorare la sua posizione nella comunità internazionale, aiutandola ad inserirsi sempre di più nel processo di democratizzazione interna.
Dalle considerazioni da me svolte risulta evidente che il problema dei diritti umani è strettamente legato al completo inserimento di un paese nell'ambito delle relazioni internazionali. Esse vanno sempre maggiormente favorite, non solo con rapporti economici e commerciali, ma anche e soprattutto con rapporti politici, come accaduto negli ultimi mesi grazie al nostro Governo. Si tratta di stringere rapporti culturali con le università e con la società civile e scambi politici con il Parlamento. L'intensificazione di tali rapporti non potrà che avere effetti positivi sul fronte del rispetto dei diritti umani fondamentali.
Prima di concludere, vorrei aggiungere che parlare di eliminazione dell'embargo Pag. 87significa lavorare tutti insieme, Italia e Unione europea, per aiutare la Cina a diventare un paese sempre più democratico e rispettoso dei diritti umani (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paoletti Tangheroni. Ne ha facoltà.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, vorrei intervenire molto brevemente perché il collega Della Vedova ha parlato a nome del mio gruppo in modo esaustivo. Tuttavia, mi permetto di inserirmi nel dibattito per riprendere alcune cose che sono state dette e sottolinearne altre che invece non sono state dette, ma che a mio avviso è significativo richiamare per portare un contributo alla discussione, anche se purtroppo il collega Venier non è più presente e potrà leggere soltanto sul resoconto quello che dirò.
La mozione che abbiamo presentato contiene semplicemente la richiesta di impegnare il Governo a riflettere sull'iniziativa indubbiamente portata avanti da Prodi relativa alla sospensione dell'embargo. Ha detto questo ed in proposito non vi è alcun equivoco. Crediamo che non vi siano gli estremi per il ritiro dell'embargo. In proposito ricordiamo che esso fu introdotto in occasione di un fatto gravissimo, come quello verificatosi a Piazza Tienanmen, su cui ancora oggi la Cina non ha ritenuto opportuno fare chiarezza. Tuttavia, non vorrei riprendere quanto già affermato ampiamente dall'onorevole Della Vedova, quanto esprimere stupore per l'atteggiamento di alcuni colleghi (non mi riferisco soltanto all'onorevole Venier, ma anche ad altri) che con il solito atteggiamento della sinistra bacchettano, condannano, assolvono, promuovono o bocciano. Non è questo il sistema di porsi di fronte ad una situazione così grave. Mi chiedo infatti chi in questo caso stia effettivamente facendo strumentalizzazione.
Il collega Venier ha parlato di ipocrisia. Ma come si permette di dire questo? È ora di cominciare a capire che, se qualcuno afferma qualcosa da cui si dissente, non per questo deve essere giudicato e quasi sempre «bocciato». Tra l'essere ipocrita, o in cattiva fede, o «deficiente», esiste una quarta possibilità, come quella di pensarla in modo nettamente diverso. Al di là dell'ipocrisia, la differenza tra voi e noi è proprio questa. Noi riusciamo ad ipotizzare che qualcuno possa avere un'idea diversa dalla nostra. Signor Presidente, loro non ci riescono. Allora non ci sorprende che abbiano tanta condiscendenza verso sistemi sociali che prevedono i famigerati laogai presenti in Cina, aspetto che nessuno ha ricordato e che sicuramente è sfuggito all'onorevole Benedetto Della Vedova. Essi vanno chiamati con il loro nome.
Si è parlato molto di gulag addirittura in un modo volgarizzante. Diciamolo, allora: adesso ci sono i laogai, i gulag non ci sono più, ora si può parlare di laogai. I gulag però non sono stati sostituiti dai laogai perché questi ultimi esistevano contemporaneamente e forse ancora prima dei gulag stessi: nessuno ne parla, anzi! Il ministro D'Alema era stato da me personalmente sollecitato con un'interpellanza, a tempo debito, affinché impiegasse un po' del suo tempo nel viaggio in Cina non solo per andare a stabilire grandi patti economici, ma anche per visitare uno o due di questi campi di lavoro, su cui forse si fonda quella bellissima economia che noi vediamo, visto che i prigionieri lavorano diciotto ore al giorno e a cottimo e, se non producono ciò che è stabilito dal programma, non viene dato loro da mangiare: lo dicono la Laogai Research Foundation o anche Amnesty International. Il Presidente D'Alema, però, non è andato a visitare il laogai. Tuttavia, con la sensibilità che lo contraddistingue, ha colto dei «punti di sofferenza» in Cina. Punti di sofferenza! Sei milioni di prigionieri: punti di sofferenza! Mille e 600 esecuzioni - l'ha detto la collega della maggioranza - avvenute nello scorso anno: punti di sofferenza!
D'Alema dice che «vi sono limitazioni tuttora assai significative alla libertà di espressione»: infatti gli individui vengono Pag. 88condannati a morte, spariscono nei vortici, nelle gole profonde di quel grande paese! E potrei continuare.
Quindi, in realtà D'Alema non ha fatto niente per i diritti civili e per quelli umani, anzi, come abbiamo sentito dalla collega, bisogna essere comprensivi perché solo così si riuscirà forse a fare un piccolo passo verso la democrazia.
Credo che non possiamo sottrarci dal condannare sempre, ogni volta che ne capita l'occasione, tutto quello che va contro i diritti umani: noi l'abbiamo fatto! Io non accetto e respingo al mittente l'accusa che ha rivolto l'onorevole Venier al Governo precedente. Noi abbiamo sottoscritto - e guarda caso il primo firmatario era il vostro sottosegretario Vernetti - una mozione contro la Cina a favore del Tibet: non ci siamo vergognati di farlo! Era il vostro sottosegretario, che adesso accompagna D'Alema perché si renda conto insieme a lui dei «punti di sofferenza»!
Il nostro collega Venier - e concludo - ci accusa (non pensandola come lui, dobbiamo essere almeno «provinciali», non semplicemente di idee discordanti) di provincialismo. Ebbene, io rimando a lui, al mittente, anche questa accusa. «Provincialismo» è non capire che la Cina - come ha fatto lui - sia diventata quello che è e che i piccoli passi che ha fatto li ha fatti proprio in virtù della globabilizzazione che essi attaccano, poiché se un passo è stato fatto è perché vi è stata la globalizzazione: allora si metta d'accordo con se stesso, il collega Venier. Cerchi di non indurre tutti noi a renderci conto di una cosa, e cioè che, se condiscendenza vi è, è forse perché vi è condivisione della volontà di non accettare chiunque la pensi in modo diverso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'Italia dei Valori ritiene fatto degno di nota il poter discutere oggi, nell'aula di Montecitorio, del tema dei diritti umani in Cile... chiedo scusa: in Cina. Le mozioni oggi all'ordine del giorno infatti, al di là di qualche tono esasperato che si è udito, possono rappresentare un utile strumento per il confronto e per offrire al Governo un indirizzo condiviso sulle politiche verso la Cina, specie dopo i recenti viaggi del Presidente Prodi e poi del ministro D'Alema, rispetto a cui mi scuso in anticipo se non riuscirò ad essere equilibrato ed adeguatamente distaccato, e spiegherò appunto anche il motivo del lapsus iniziale sul Cile, proprio per le cose che ho sentito oggi in quest'aula.
Vorrei prima di tutto sottolineare una volta di più il senso di gratitudine e la soddisfazione del gruppo che rappresento per quelle visite, che hanno messo un sigillo istituzionale ad una necessità del sistema produttivo italiano, quella di dialogare intensamente con la Cina, con il suo popolo, con il suo mercato, sottolineando appunto che nessun Governo prima d'ora aveva compreso a questo livello il significato della sfida. È vero, anche in passato vi erano state visite di esponenti del Governo italiano. Voglio ricordare che nel 2004 è stato addirittura istituito un comitato governativo Italia-Cina, con compiti di promozione strategica dei rapporti bilaterali. Ricordo inoltre che il 6 novembre 2002 l'onorevole Adolfo Urso, allora viceministro delle attività produttive, aveva addirittura dichiarato ad Emporion, un periodico on line di geoeconomia, quanto segue: la Cina è oggi la nuova frontiera economica, è il paese che cresce ormai da 22 anni, da quando Deng Xiaoping decise di creare le prime zone libere, esattamente sulla costa di fronte ad Hong Kong; è l'unico caso fra i grandi paesi di sviluppo che cresce continuamente ad un ritmo accelerato; negli ultimi dieci anni è cresciuto con una media dell'8 per cento. Ricordo - sono ancora parole dell'onorevole Urso - che i cinesi registrati ufficialmente sono 1 miliardo e 370 milioni, il 22 per cento della popolazione mondiale. Tutto ciò dimostra - a parere dell'onorevole Urso - quanto sia importante per l'Italia essere presente in questo mercato. Pag. 89Noi - continua l'onorevole Urso - oggi siamo diventati il secondo partner commerciale europeo dopo la Germania. Abbiamo scavalcato sia la Francia sia la Gran Bretagna. L'anno scorso le nostre esportazioni verso Pechino sono aumentate quasi del 40 per cento rispetto all'anno precedente, nonostante la riduzione del commercio mondiale, e nei primi sei mesi di quest'anno - stiamo parlando appunto del 2002 - già del 20 per cento. Per noi - concludeva l'onorevole Urso - la Cina è, come crescita, il secondo paese dopo la Russia; l'Oriente ci sta riservando grandi e positive sorprese e l'Oriente per antonomasia si chiama Cina.
La Cina - lo voglio dire anche all'onorevole Pedrizzi - dunque era per il Governo di centrodestra un luogo importante, fino a valere un viaggio dello stesso Presidente Berlusconi. Tuttavia, il collega Urso non sollevò il tema dei diritti umani; anzi, nel maggio del 2003 e nel marzo del 2004 tornò egli stesso in Cina, a capo di una delegazione commerciale. Ma ancora, cari colleghi e care colleghe, per tentare di spegnere il sapore di forzata strumentalità degli atti di indirizzo che muovono questa nostra discussione, vorrei tanto dare atto all'onorevole Fini, già ministro degli affari esteri, di aver scritto all'omologo cinese, Li Zhaoxing, il 6 novembre del 2005, ovvero l'anno scorso, quel che segue: «caro collega - scriveva il ministro Fini -, in occasione della ricorrenza del trentacinquesimo anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche bilaterali, mi è gradito rivolgerle un particolare saluto a nome del Governo italiano. In questi 35 anni, i nostri due paesi, accomunati dall'obiettivo condiviso del potenziamento del sistema multilaterale e della promozione della pace, hanno stabilito salde ed amichevoli relazioni, sempre basate sulla comprensione ed il rispetto reciproci. L'Italia apprezza il ruolo crescente che il suo paese svolge sulla scena internazionale e guarda con fiducia all'ulteriore rafforzamento dei già eccellenti rapporti sino-italiani, sulla base del desiderio di reciproca conoscenza e dello spirito di mutuo beneficio che, da secoli, alimentano i contatti tra i nostri due popoli. Auspico (conclude l'onorevole Fini) che si possano rafforzare le proficue sinergie che i nostri due paesi sono già riusciti a stabilire nelle organizzazioni internazionali, in primo luogo nell'ambito delle Nazioni Unite. Aggiungo a ciò (scrive ancora) l'impegno dell'Italia per il successo del dialogo, sempre più articolato ed approfondito, tra la Cina e l'Unione europea, in vista della realizzazione di un costruttivo partenariato strategico. In tempi di crescente integrazione tra gli Stati, l'Italia intende promuovere sempre più i rapporti commerciali, culturali e tecnologici tra i nostri due paesi, certa che la prosperità di entrambi i popoli possa beneficiare considerevolmente dell'ulteriore intensificazione delle occasioni di scambio. La decisione, presa in occasione della visita di Stato del dicembre 2004 da parte del Presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, di fare del 2006 (ovvero quest'anno) l'anno dell'Italia in Cina testimonia della volontà di imprimere in tutti i settori crescente vitalità e dinamismo delle nostre relazioni. Con l'auspicio di poterla presto rivedere, desidero rinnovarle i miei sinceri auguri di personale benessere. Firmato Gianfranco Fini».
Quindi, Prodi e D'Alema non hanno fatto altro che proseguire con intelligenza e più marcato vigore su questa strada, intensificando gli sforzi per il bene di tutti. Certo, in Cina non sono rispettati i diritti umani e non lo sono non da oggi. Per esempio, per riprendere un passaggio della mozione del collega Rampelli, il mio personale ricordo del giugno del 1989 e della repressione di Piazza Tienanmen è anche un sit in di fronte all'ambasciata cinese di via Bruxelles a Roma, in cui venne a parlare l'onorevole Achille Occhetto, che condannò la dittatura e la mancanza di libertà.
Vede, caro collega Rampelli, nel giugno del 1989, la sinistra sapeva già manifestare contro le dittature comuniste - già, per modo di dire -; salutò con gioia il crollo del muro di Berlino pochi mesi dopo e seppe trarne la lezione. A destra, quanti di voi avevano manifestato contro la dittatura Pag. 90cilena, ancora in piedi, nonostante il referendum del 1988? O di quella paraguaiana o uruguaiana? E quanti di voi manifestavano contro le operazioni degli squadroni della morte in Salvador e in Honduras? Non sembra di vedere nei vostri partiti e nelle organizzazioni giovanili di destra il patrimonio consolidato del rifiuto non delle dittature comuniste, che sono una tragedia del Novecento, ma di ogni dittatura. Tra le vostre icone di libertà rientrano forse anche Allende, le madri di Plaza de mayo, il cardinale Romero?
I diritti umani, quindi, non sono un problema una tantum, sono un problema di sempre, cari colleghi, e lo sono anche in Cina, non c'è dubbio, come evidenziano beni gli scritti di Human Rights Watch e Amnesty International. Lo sono però anche in Birmania, per esempio, in cui dopo il golpe militare del 1962 è oppressa qualsiasi libertà ed il premio Nobel Aung San Suu Kyi è ancora agli arresti domiciliari. I diritti umani erano un problema e lo sono purtroppo ancora oggi in vaste parti dell'America centrale e meridionale (penso alle popolazioni indigene della Colombia e dell'Ecuador, sterminate e private delle risorse agricole e ambientali; penso ai «sem terra» del Brasile e alle famiglie argentine dei desaparecidos che solo faticosamente, negli ultimi anni, riescono ad ottenere una qualche giustizia.
E l'Africa? Intere generazioni di giovani e bambini divorati dalle cento guerre civili della Somalia, del Sudan, della Nigeria, della Repubblica del Congo, dall'AIDS in Kenya, in Zimbabwe, in Mozambico e altrove.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Dai governi comunisti!
FABIO EVANGELISTI. Il diritto alla salute, all'informazione sulle malattie, sono pur sempre diritti della persona e finalmente qualcosa sembra muoversi anche di là dal Tevere, in termini di nuova consapevolezza su questi temi. Il tutto, però, nell'indifferenza delle politiche internazionali delle grandi potenze, in cima a tutte quella unilateralista degli Stati Uniti che proprio in queste ultime settimane sta battendo i denti in una difficilissima crisi in cui si è infilato persino il Governo Berlusconi in maniera del tutto atipica.
Senza dire dei migranti! Non è, forse, un diritto umano quello di lasciare la propria terra, sia pure a malincuore, come fecero molti nostri nonni e bisnonni, i cui discendenti, gli italiani nel mondo, dobbiamo sempre e comunque salutare con calore, per andare a cercare la sopravvivenza in altri paesi? L'accoglienza e l'asilo sono diritti riconosciuti, anche se, purtroppo, ancora negati dalla legislazione italiana che presto dovremo cambiare, anche nel contesto di politiche europee tese ad abbracciare il concetto di diritto umano universale in modo più consapevole.
Presidente, il fatto di non potere prendere lezioni sui temi dei diritti umani dai firmatari delle mozioni oggi in discussione naturalmente non ci esime da un certo ragionamento sulla Cina. La Costituzione cinese, agli articoli da 33 a 41, prevede i diritti fondamentali della persona. Li elenca similmente alle Costituzioni delle democrazie evolute, ma, di fatto, quelle disposizioni sono e rimangono inapplicate, anche perché scritte senza i dovuti accorgimenti costituzionali.
La riserva di legge e la riserva di giurisdizione non assistono le limitazioni a quei diritti. Di fatto, provvedimenti restrittivi delle libertà sono rimessi alla discrezionale decisione della procura del popolo, sicché accadono fatti non conformi alla dignità umana.
La vita si svolge secondo una singolare commistione di socialismo reale e capitalismo selvaggio, non immune da una diffusa corruttela. È oppressa la libertà di espressione, quella di associazione e riunione e quella religiosa. L'ordinamento penale conosce e sperimenta tutti i giorni la pena di morte, senza le garanzie di un giusto processo.
Le minoranze, quella tibetana in testa, sono oggetto di persecuzione. Pertanto, nei rapporti bilaterali la nostra diplomazia Pag. 91dovrebbe spingere di più sul tasto dell'esperienza costituzionale, il principale veicolo di progresso e la convinta adesione al costituzionalismo contemporaneo, a un diritto mite che riconosca la persona come fine e non come mezzo.
Nel costituzionalismo contemporaneo i diritti non possono essere funzione di scopi statali prefissati. Per esempio, il diritto di associazione è fine a sé medesimo; è l'associazione, politica, sindacale e culturale, che si dà i propri scopi. Questi non possono essere imposti dall'alto e lo stesso vale per la libertà religiosa. È la coscienza di ognuno che spinge ad un culto ed alle sue celebrazioni.
L'esperienza e la sensibilità religiosa non possono essere marginalizzate solo perché inutili per i fini dello Stato. Anche in quest'aula, purtroppo, talvolta si odono espressioni che fanno immaginare o temere, ancor meglio, che vi sia qualcuno che non conosce o riconosce il valore della Costituzione.
Pertanto, «basta pena di morte» in Cina, negli Stati Uniti e in ogni parte del mondo! «Basta persecuzioni etniche e religiose», «basta libertà conculcate»! Da questo punto di vista, guai se sprecassimo l'occasione, come si fece in Cina con la Coppa Davis del 1976 o in Argentina con i mondiali di calcio del 1978, circostanze in cui, paradossalmente, i regimi militari trassero legittimazione internazionale.
Cogliamo l'occasione delle Olimpiadi in Cina del 2008 per farne leva democratica. Concludo, signor Presidente, preannuziando il voto contrario del mio gruppo sulle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Pedrizzi ed altri n. 1-00027, ove fosse posta ai voti per parti separate, tranne che per il terzo ed il quarto impegno della parte dispositiva. Sosterremo la mozione D'Elia ed altri n. 1-00053 (tra i presentatori figura anche l'onorevole Leoluca Orlando). Valuteremo, al termine, le mozioni Volontè ed altri n. 1-00052 e Venier ed altri n. 1-00057.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, in primo luogo, vorrei dire al collega Evangelisti che ho trovato assolutamente fuori luogo, oltre che infondata, l'accusa ai movimenti giovanili della destra. Non so, in particolare, a cosa si riferisse, ma io ho guidato un movimento giovanile del centrodestra e so benissimo che non vi è alcuna attinenza o contiguità dei movimenti giovanili italiani del centrodestra con le dittature sudamericane, mentre vi è molta più contiguità di certi partiti che sostengono la maggioranza con regimi di ispirazione comunista.
Al di là di questo, signor Presidente, oggi discutiamo di un tema importante. Vi è una comune convergenza sulla necessità di ribadire un serio percorso di diritti civili e politici in Cina. Cito alcuni fatti: a Dongzhou, nel dicembre 2005, alcuni cittadini, che chiedono un legittimo risarcimento per un esproprio di terre, vengono aggrediti dalla polizia che apre il fuoco contro i manifestanti. Si parla della repressione più dura dopo piazza Tienanmen. Nell'agosto del 2006, l'avvocato Gao Zhisheng, che si batte per i diritti civili e religiosi, viene arrestato. Nel settembre 2006, Monsignor Martino Wu Qinjing viene arrestato con la colpa di professare e di praticare il suo culto cattolico. Di questi ultimi due personaggi non si ha né notizia né traccia da tempo. Si tratta di tre esempi molto chiari e lampanti riferiti ad una situazione molto difficile. È evidente che se la Cina è il primo partner commerciale dell'Europa - il valore delle riserve di valuta per il 2006 è stimato in mille miliardi di dollari -, è altrettanto evidente il dovere della comunità internazionale, delle Nazioni Unite, del Parlamento europeo e del Governo italiano di muoversi nella direzione giusta. E la direzione giusta non è certo rappresentata dalla revoca dell'embargo sulle armi, peraltro limitato dalla legge n. 185 del 1990; quindi, sarebbe anche contro la legge italiana andare in questa direzione.
Bisogna, invece, procedere nelle sedi internazionali per fare pressioni allo scopo di affermare i Pag. 92diritti civili, la libertà religiosa e politica in un paese che li nega in maniera costante e sistematica.
Non ha logica, non ha luogo il paragone con gli Stati Uniti circa la pena di morte, visto che in Cina - da ciò che ci dicono appositi studi, anche se i dati non possono dirsi certi a causa delle secretazioni (nel paese vige il segreto di Stato sulle esecuzioni capitali) - si compiono circa 8 mila esecuzioni capitali all'anno. In Cina si processano dissidenti politici in modo sommario e si agisce indiscriminatamente contro chiunque dia fastidio al sistema, al meccanismo di potere monopartitico, mentre negli Stati Uniti vi sono diritti, regole e processi. C'è la necessità di agire in tema di affermazioni della libertà religiosa e di lotta alle censure: in Cina persino su Google non si possono digitare parole come piazza Tienanmen o Taiwan. Vi sono 150 milioni di lavoratori migranti che vivono sostanzialmente senza diritti, una percentuale di sfruttamento infantile inquietante, aborti e sterilizzazioni forzose, e l'AIDS sta diventando sempre di più una piaga sociale. Bisogna fare qualcosa e questo qualcosa non è la sospensione dell'embargo sulle armi. Per questo noi crediamo che se un ragazzo, da solo, è riuscito a fermare un carro armato, un paese come l'Italia e la comunità internazionale debbono e possono fare molto di più (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, colleghi, è solo di ieri la notizia dell'ennesima tragedia in una miniera cinese, nella quale sono morti decine e decine di lavoratori in seguito al crollo provocato da un'esplosione.
La questione del lavoro, del suo sfruttamento, dell'assenza di diritti è una delle tante questioni che segnano una crisi drammatica per quanto riguarda la presenza di diritti umani in un paese come la Cina.
Alla fine di questa lunga ed interessante discussione non ripeterò cose che già sono state dette; ricordo soltanto - questo è indubbio - che qualsiasi capitolo, qualsiasi tema affrontiamo, dei tanti nei quali la questione dei diritti umani si concretizza, noi troviamo un punto di grave sofferenza e di grave violazione sia che parliamo del pluralismo politico, della pena di morte, del Tibet, sia che parliamo della politica demografica e delle sue conseguenze, della libertà religiosa, di opinione, dei campi di cosiddetta rieducazione attraverso il lavoro. Quale che sia il grande tema al quale noi ci avviciniamo, troviamo un quadro che possiamo definire, senza alcuna esitazione, inaccettabile per la nostra coscienza, per l'idea che abbiamo di una democrazia e di una società fondata sul riconoscimento dei diritti umani come base della libera convivenza.
Detto questo, spero con sufficiente chiarezza, vorrei ricordare alcuni altri fatti, che sono già stati ricordati.
C'è qualche segnale di una tendenza diversa. Come è stato ricordato, il 31 ottobre è stata approvata in Cina una legge che limita alla sola Corte suprema la ratifica della pena capitale. Il 1o novembre è stata revocata una condanna contro un attivista, Chen Guangcheng, che era stato condannato nell'agosto; sono piccoli segni. Così come è un segno apparentemente paradossale - e non so quanti di voi ne siano a conoscenza - il fatto che proprio ieri si sia conclusa a Pechino una grande esibizione, durata 11 giorni, la più grande che si sia mai svolta, sulla questione dei diritti umani. Sono piccoli segni che ci dicono che c'è qualcosa che si sta muovendo.
Questo movimento deriva solo in piccola parte dalla nostra iniziativa, dalla iniziativa delle democrazie occidentali; questi piccoli movimenti nascono dalle dimensioni colossali di una contraddizione che si è aperta tra uno sviluppo così prodigioso e forte e le condizioni sociali e umane delle persone, una contraddizione che qualsiasi gruppo dirigente avveduto - e tutto si può dire del gruppo dirigente Pag. 93cinese meno che non sia un gruppo dirigente avveduto - ha tutto l'interesse ad affrontare.
Credo che l'apertura di questi piccoli spazi non possa essere per noi una ragione per indebolire l'azione, la pressione, la richiesta di un cambiamento, nella possibilità che c'è di contribuire ad un cambiamento. Penso che su questo, se riuscissimo per una volta ad avere fra di noi un confronto realistico che accantoni i toni propagandistici e cerchi di impegnare il Parlamento italiano, la Camera dei deputati - e poi, partendo da qui, le autorità di Governo -, su una linea condivisa, ci sarebbero le condizioni in questo momento per fare qualcosa di più. Naturalmente, occorre elaborare insieme una posizione politica che unisca la chiarezza nella visione della situazione, la consapevolezza e la forza non solo politica, ma morale, nell'affrontare questi problemi con il realismo, che non rappresenta un elemento di cinismo, ma rappresenta una delle condizioni perché la nostra politica non si limiti ad una pura declamazione, ma cerchi di ottenere dei risultati; il realismo di chi sa - non è stato ricordato, ma io vorrei farlo - che la Cina non è solo un interlocutore importante per quanto riguarda le relazioni economiche, non è solo un partner importante per il sistema delle imprese italiane.
La Cina è un interlocutore indispensabile, un paese necessario per costruire oggi una risposta ai grandi problemi della pace, una risposta per la definizione di una nuova stabilità internazionale, per promuovere quei passi concreti verso una nuova legalità istituzionale. Ciò non solo perché la Cina è membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma perché costituisce una delle grandi potenze che contribuiscono a definire gli assetti.
Per tale motivo ritengo che anche noi dobbiamo essere altrettanto chiari e determinati nel vedere la gravità del problema dei diritti umani e gli altri aspetti necessari per costruire una politica equilibrata. La responsabilità dei Governi è esattamente questa!
Non vorrei si dimenticassero le vie fondamentali di relazione decise dalla comunità internazionale. Infatti, se non si fosse tenuto conto di ciò, perché la comunità internazionale avrebbe deciso di assegnare alla Cina, in particolare alla città di Pechino, un appuntamento di grande rilievo come le Olimpiadi del 2008? Lo ha fatto immaginando che questo è anche un possibile terreno sul quale i problemi di cui stiamo discutendo possono trovare un punto di avanzamento.
Oggi, abbiamo di fronte due grandi appuntamenti rispetto ai quali dovremmo costruire la nostra iniziativa politica per i diritti umani, per realizzare concreti passi in avanti. Quando nelle mozioni si sostiene l'idea di un negoziato nel quale i paesi a democrazia consolidata facciano valere nei confronti della Cina la necessità di progressi sostanziali nel campo dei diritti umani, ritengo che tale discorso debba essere collocato anche nel tempo. Infatti, se collocassimo tale obiettivo, ad esempio, rispetto ad un appuntamento come le Olimpiadi del 2008 o l'Expo universale del 2010 - momenti nei quali sarà massima la visibilità di tale paese e in cui le autorità cinesi sapranno di avere su di loro gli occhi del mondo e dovranno tenerne conto - credo vi sarebbero le condizioni per costruire un'azione politicamente realistica per individuare gli interventi che possano consentire un passo in avanti.
Ringrazio l'onorevole Paoletti Tangheroni per il suo intervento nel quale ha evidenziato la necessità di ascoltarsi e di imparare.
Nella nostra storia che, su questo punto, è segnata da un'appartenenza a schieramenti predefiniti, vi è sempre stata un'incapacità di pesare con un'unica bilancia i fatti. Tutti, negli scorsi anni, siamo stati portati ad usare due pesi e due misure, ma questo è esattamente il problema che oggi abbiamo di fronte e che dobbiamo costruire nel quadro dei rapporti internazionali.
Ciò, però, significa sapere che sulla scena internazionale va posta con fermezza la questione della costruzione di un'iniziativa di diversi paesi - a partire Pag. 94dal nostro - che acquisti la forza di un impegno universale. Al riguardo, sarebbe un bene se il Governo italiano ed il Ministero degli affari esteri decidessero che gli uffici di ogni rappresentanza diplomatica italiana all'estero fossero organizzati in modo da prevedere dovunque la cura della tutela dei diritti umani; ciò darebbe il segno di un paese che non decide di intervenire di volta in volta su tali questioni ma che, invece, esprime un impegno di carattere istituzionale. Un impegno che naturalmente poi si atteggerebbe in maniera diversa a seconda delle differenti situazioni, ma collocandosi sempre nell'ambito di una linea molto efficace.
Esistono diverse mozioni; a tale riguardo, inviterei tutti i gruppi a valutare se non sussistano le condizioni in queste ore, prima che si proceda alla votazione degli atti, per raggiungere un consenso il più ampio possibile sulla questione all'esame. Dovremmo mostrare con chiarezza di avere su tale punto un impegno generale; un impegno che, anche per ragioni morali, si eleva al di sopra di qualsiasi velleità propagandistica. Non dobbiamo fare di tale questione uno strumento di polemica interna; al contrario, dobbiamo provare a definire alcune linee guida in una fase che è di forte ricerca. I diritti umani oggi non sono solo, come è ovvio, un modo per tutelare i tanti oppressi; sono anche un elemento essenziale della costruzione di una nuova linea di politica internazionale e di nuovi assetti generali. A tale riguardo, attraversiamo una fase di ricerca nella quale non esistono ancora le risposte o esse non sono, forse, ancora mature nella comunità internazionale; tuttavia, i problemi emergono invece con chiarezza e con prepotenza con domande che nessuno può più mettere da parte.
Se l'odierna discussione servisse, oltre che ad orientare le posizioni del nostro Governo, a proseguire con forza nella definizione dell'impegno nella difesa dei diritti umani, in Cina ma anche più in generale nell'ambito di un'attiva politica italiana sulla questione, e per fare passi avanti in tale direzione, ritengo che questa discussione potrebbe essere considerata molto utile ed importante (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli.
FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi consenta, a titolo di premessa generale, di illustrare le linee della politica dell'Italia e dell'Unione nei confronti della Cina sulla delicata materia dei diritti umani. Volutamente lo farò in modo ordinato, quasi burocratico, evitando di raccogliere sollecitazioni alla polemica quali quelle venute da alcuni interventi; ritengo infatti, come osservava giustamente ora l'onorevole Marcenaro, che sulla materia dei diritti umani sarebbe auspicabile una discussione il più possibile libera anche dalle proprie collocazioni e vocazioni politiche. Sarebbe auspicabile che si potesse registrare su questo terreno fondativo della nostra comune civiltà la convergenza più ampia possibile.
Questo dibattito, che pure è stato molto interessante, ricco e appassionato, in realtà, da tale punto di vista, lascia aperti molti interrogativi.
Non mi riferisco, ovviamente, all'onorevole Barbieri, che, con provocazione benevola, evocava le «biografie». Sarebbe interessante (vorrei dirlo allo stesso onorevole Barbieri) che il medesimo andasse a vedere chi, ad esempio proprio in Cina, più si oppone, oltre ai cinesi, ai diritti del mondo del lavoro, e farebbe scoperte interessanti, proprio a proposito di «biografie»; ma non essendo presente l'onorevole Barbieri, e volendo io restare fedele all'impegno di un intervento ordinato ed il Pag. 95più possibile tranquillo (ripeto: quasi burocratico), non entrerò in tali terreni di polemica.
L'Italia, lo voglio dire con grande chiarezza, con grande nettezza, persegue, anche in ambito europeo, un dialogo chiaro, franco e costruttivo con Pechino nelle materie relative alla protezione e promozione dei diritti umani. Siamo pienamente consapevoli del fatto che la dimensione europea, solo la dimensione europea, assicura quella massa critica necessaria a dare efficacia a chi vuole ingaggiare la Cina su un argomento delicato quale quello dei diritti umani. Siamo altresì consapevoli che la strada del dialogo, scelta dall'Unione europea, è da ritenersi politicamente più efficace rispetto ad azioni di confronto che potrebbero irrigidire l'interlocutore, senza conseguire risultati sul campo.
Sul piano europeo, sin dal 1997, esiste un dialogo strutturato Unione europea-Cina che, su base semestrale, si svolge alternativamente nella capitale europea che esercita la presidenza di turno dell'Unione ed a Pechino. Tali consultazioni forniscono anche occasione all'Unione europea di segnalare alle autorità cinesi casi individuali di detenuti per reati d'opinione, di vittime di trattamenti inumani e degradanti e di condanne a morte. La ventiduesima sessione del dialogo si è svolta a Pechino il 19 ottobre 2006, secondo un'agenda concordata che comprendeva le questioni del rispetto della libertà di espressione, la lotta alla discriminazione razziale, la riforma del sistema di giustizia penale e la cooperazione con i meccanismi «onlusiani» competenti per i diritti umani. In sede di valutazione dell'ultima sessione del dialogo, i partner dell'Unione europea hanno convenuto che i cinesi hanno certo compiuto alcuni progressi dall'inizio del dialogo, soprattutto in termini di procedure e di approvazioni di leggi, ma che ancora molto resta da fare. Pur con tutte le difficoltà incontrate, l'Italia ritiene che lo strumento del dialogo Unione europea-Cina rappresenti uno strumento fondamentale per assecondare un'evoluzione della politica cinese in materia di diritti umani.
Passo al tema delle violazione dei diritti umani, in particolare della libertà religiosa, al centro di tutte le mozioni presentate e, in particolare, di quelle aventi come primi firmatari rispettivamente gli onorevoli Pedrizzi, Paoletti Tangheroni e Volontè. Vorrei anzitutto precisare che, per l'importanza che riveste quale diritto fondamentale ed inalienabile, la libertà religiosa è uno tra i temi su cui si concentra maggiormente l'attenzione dell'Italia e dell'Unione europea nei confronti della Cina. In occasione dell'ultima sessione del dialogo Unione europea-Cina sui diritti umani, l'Unione europea ha nuovamente sollecitato la Cina ad uniformarsi al patto sui diritti civili e politici che la Cina stessa ha firmato ma non ha ancora ratificato e alle altre convenzioni internazionali. Per far ciò, la Cina dovrebbe ampliare la definizione di religione ufficiale ed eliminare l'obbligo di registrazione e approvazione per i gruppi e per le pratiche religiose che al momento non sono riconosciuti dalle autorità cinesi.
Su precisa iniziativa italiana - lo sottolineo, su precisa iniziativa italiana, anche in relazione a diverse polemiche che sono state fatte all'interno di quest'aula nei confronti della politica del Governo italiano - ripeto ancora, su precisa iniziativa italiana, sono stati inoltre esplicitamente menzionati gli atti di repressione verificatisi negli ultimi tempi nei confronti di gruppi religiosi protestanti e cattolici non ufficiali, sollecitando la Cina anche ad acconsentire al più presto alla visita dello special rapporteur delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa. In occasione dei viaggi in Cina del Presidente del Consiglio, onorevole Prodi, e del ministro degli affari esteri, onorevole D'Alema, la libertà religiosa ha occupato un posto di rilievo, insieme a tutta la tematica della tutela dei diritti umani.
In particolare, il Presidente del Consiglio non solo ha espresso le preoccupazioni italiane per le violazioni che si registrano in Cina del diritto alla libertà Pag. 96religiosa, ma è anche intervenuto esplicitamente in merito all'arresto, avvenuto l'11 settembre scorso, del vescovo cattolico.
Il ministro degli affari esteri Massimo D'Alema, per parte sua, nella sua recente visita in Cina del 13-15 novembre scorso, ha avuto modo di ribadire la posizione europea del Governo italiano sulla questione dei diritti umani, ricordando, negli incontri avuti con le massime autorità cinesi, la necessità che vengano compiuti da parte della Cina passi in avanti sul fronte della libertà di espressione, della libertà religiosa e della tutela dei diritti delle minoranze, citando, nello specifico, i casi del Tibet e dello Xinjiang. Il ministro D'Alema non ha mancato, inoltre, di evocare con la controparte cinese anche alcuni casi individuali di giornalisti e avvocati ingiustamente imprigionati perché sostenitori delle cause delle fasce più povere della popolazione. Da parte di entrambi è stato inoltre fatto osservare alla parte cinese il forte impegno dell'Italia nella campagna mondiale per l'abolizione della pena di morte. È stata reiterata la posizione italiana, che considera la pena di morte priva di ogni effetto di deterrenza, inumana, crudele e degradante.
Le mozioni attualmente all'esame, in particolare quelle degli onorevoli Rampelli e Paoletti Tangheroni, si soffermano poi sulla questione dell'embargo sulla vendita di armi alla Cina, deciso, come è stato ricordato in questo dibattito più volte, dalla Comunità europea il 27 giugno 1989, all'indomani del massacro di piazza Tienanmen. Il tema sarà esaminato dal Consiglio affari generali dell'11 dicembre prossimo, nel contesto più generale del dibattito sulle relazioni Unione europea-Cina. I ministri prenderanno le mosse anche dalle recenti raccomandazioni della Commissione, che suggerisce di lavorare assieme, nell'intento di migliorare l'atmosfera e le relazioni Unione europea-Cina, per affrontare la questione dell'embargo e i temi ad esso correlati.
Se questo orientamento fosse mantenuto, i ministri potrebbero confermare la disponibilità a continuare a lavorare in direzione della revoca dell'embargo, sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2004. Va ricordato che, già in quella occasione, i Capi di Stato e di Governo, nel ribadire la volontà politica dell'Unione europea di operare per un miglioramento della situazione dei diritti umani in Cina, avevano fatto stato della disponibilità dei paesi membri a prendere in considerazione l'ipotesi di una revisione dell'embargo e, comunque, un'eventuale revoca avrebbe dovuto essere affiancata sia da un apprezzamento del codice di condotta dell'Unione europea per l'esportazione di armi, sia dall'adozione della cosiddetta tool box.
Un primo accordo politico su questo codice di condotta rafforzato è stato raggiunto tra i partner comunitari nel giugno 2005. Tuttavia, l'adozione formale di una posizione comune da parte del Consiglio è stata sospesa, anche a causa degli effetti concomitanti dei due fattori: in primo luogo, l'approvazione da parte cinese, il 14 maggio 2005, della cosiddetta legge antisecessione; questa, pur ribadendo che la Cina farà ogni sforzo per la riunificazione pacifica dell'isola alla madrepatria, statuisce al tempo stesso la risolutezza di Pechino a fare ricorso a tutti i mezzi necessari per stroncare ogni tentativo delle forze indipendentiste di Taiwan; in secondo luogo, i progressi, ancora distanti dagli standard auspicati, che si erano potuti registrare nel dialogo Unione europea-Cina in materia di diritti umani.
Nei colloqui avuti dal Presidente del Consiglio Prodi e dal ministro degli esteri D'Alema, è stato ribadito che la decisione sull'embargo è una decisione europea e che l'Italia è pronta a dare un contributo positivo, una volta che si realizzino le condizioni necessarie alla rimozione dell'embargo, secondo quanto stabilito dal Consiglio europeo del dicembre 2004. La posizione italiana, espressa dal Presidente del Consiglio e dal ministro degli esteri, è in linea con quella europea, essendosi peraltro ispirata al comunicato congiunto emesso al termine del IX summit Unione europea-Cina, che si è tenuto il 9 settembre scorso ad Helsinki. Nel punto n. 6 del comunicato, l'Unione europea riconosce, Pag. 97infatti, l'importanza di tale questione e conferma la sua disponibilità a lavorare nella direzione di un superamento dell'embargo, sulla base del comunicato congiunto del summit Unione europea-Cina del 2004 e delle successive conclusioni del Consiglio europeo.
Come vedete, la posizione che ho voluto ribadire in questa sede è molto chiara. La posizione dell'Italia, infatti, è strettamente legata alle decisioni che saranno assunte in sede di Unione europea e, quindi, non ha nulla di unilaterale. Si tratta di un atteggiamento che, come ho già ribadito e ripetuto più volte, si collega strettamente al rispetto delle conclusioni approvate dal Consiglio europeo.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 19,50, è ripresa alle 20.