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CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO PIETRO FOLENA SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1496 ED ABBINATE
PIETRO FOLENA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, il disegno di legge delega presentato dal Governo in materia di diritti di trasmissione dei campionati sportivi professionistici arriva oggi in aula dopo una discussione lunga e approfondita in Commissione, che ha modificato il provvedimento per certi aspetti in modo radicale.
Un lavoro che si è svolto parallelamente a quello dell'indagine conoscitiva sul cosiddetto scandalo di Calciopoli. La VII Commissione, infatti, prendendo atto dei fatti avvenuti nel mondo del calcio in questi mesi, ha avviato un'indagine conoscitiva, ancora in corso, il cui scopo non è - evidentemente - quello di costituire un ulteriore ed improprio grado di giudizio sportivo (non sarebbe nelle sue competenze, né tanto meno sarebbe opportuno violare l'autonomia dell'ordinamento sportivo), quanto quello di individuare le cause e i processi che hanno portato alla corruzione del campionato di calcio. Già nella scorsa legislatura, giova ricordarlo, la VII Commissione svolse nel 2004 un'indagine conoscitiva che conteneva nella relazione finale approvata all'unanimità indicazioni precise e cogenti, anche in materia di diritti televisivi e di ripartizione delle risorse economiche, purtroppo disattese dalle istituzioni sportive e dalle autorità competenti. Poi, dopo tanta inerzia, è arrivato il ciclone di «calciopoli».
La giustizia sportiva ha fatto il proprio compito. Si può o meno essere d'accordo con le sentenze emesse, con le loro revisioni, e con le pene inflitte. Tutti però possono concordare con il fatto che il sistema, questa volta, ha funzionato, individuando i responsabili e comminando loro delle punizioni. Spiace, tuttavia, che taluni protagonisti di quella vicenda oggi siano nuovamente in attività. Ma quello che la giustizia sportiva non può fare è rimuovere le cause all'origine dei fenomeni che stiamo in altra sede analizzando. Questo é invece un compito che spetta all'organizzazione del calcio, in primo luogo. Ed in secondo luogo al legislatore e al Governo.
Uno dei fattori che hanno determinato i fatti accertati dalla magistratura ordinaria e da quella sportiva (uno dei fatti, sottolineo) è lo squilibrio - enorme - tra le grandi squadre e quelle «minori». Uno squilibrio che ha posto alcuni club in una sorta di torre d'avorio alla quale nessuno poteva accedere. Le tre grandi squadre del Nord, alle quali possiamo aggiungere anche le due della Capitale, in sede di contrattazione individuale dei diritti televisivi, hanno potuto incassare cifre che superavano anche di 12 volte quelle ottenute da squadre come l'Empoli o il Cagliari. In un sistema calcistico in cui i «diritti tv» rappresentano il grosso delle entrate delle società, è evidente come tale squilibrio non poteva che ripercuotersi sul campo, attraverso l'acquisto di giocatori più quotati e quindi - solitamente - con risultati sportivi migliori. Un circolo vizioso per il quale le squadre più forti (economicamente e sportivamente) potevano diventare sempre più forti. Ma soprattutto questo ha indotto ad una stortura in una attività che dovrebbe essere segnata dalla competizione sportiva: più risultati significa più potenziale «audience» e più «audience» significa più profitti. Non solo: per le squadre quotate in borsa più risultati significa maggiori performance sui mercati azionari. Si è creata così una competizione parallela a quella sul campo, una competizione sull'etere e a Piazza Affari, che con il passar del tempo è divenuta la «vera» competizione, perché era quella che poteva in qualche modo dare maggiori risultati anche economici a società che - lo ricordiamo, ed è uno dei punti che la Commissione dovrà esaminare anche nell'indagine conoscitiva - sono società a fini di lucro (alcune, come si diceva, Spa con parte del capitale posizionato sul mercato).
Società per le quali, negli anni passati, si è persino arrivati a prevedere misure eccezionali e di favore (il decreto «spalmadebiti») che hanno trovato ostacoli in Europa, ma soprattutto che hanno trasmesso l'idea del calcio come business che, fondandosi sul tifo degli sportivi, chiede aiuti e provvidenze, in nessun altro settore economico pensabili in tale misura. Quest'idea, diciamolo con onestà intellettuale, è stata largamente trasversale alle forze politiche, a destra come a sinistra. Non si può quindi imputare solo o in particolare al precedente Governo. Si è infatti fatta strada negli anni Pag. 139Novanta, anche per l'insufficienza del vecchio ordinamento calcistico e sportivo, la convinzione che l'autonomia dello sport si fermasse di fronte al mercato, visto come bacchetta magica dei problemi del calcio, salvo poi chiedere gli aiuti. Risale, per esempio, all'azione del centrosinistra nella XIII legislatura la riforma che con la presente legge delega verrà rivista e la trasformazione delle squadre di calcio in società a fini di lucro. Va quindi condotta una critica complessiva all'equazione «sport uguale mercato», alla quale nessuno è stato immune. Una critica non basata su un'astrazione ideologica («il calcio è solo un gioco»), un'astrazione che ovviamente non trova riscontro nella realtà, ma una critica fondata sull'analisi di ciò che il «mercatismo» ha generato nel calcio (ma anche in altri sport, penso al ciclismo in primo luogo). Gran parte di quest'economia è stata di carta, di plusvalenze, di trucchi contabili - si è giunti a ipotizzare lo scorporo in apposite società dei marchi, sportivi senza effettive transazioni economiche, così da aumentare fittiziamente il loro capitale -, in borsa è stato quotato il valore dei giocatori, nel momento in cui gli stadi - per cui lo Stato scandalosamente e non senza ruberie aveva speso cifre importanti per i mondiali del Novanta - versavano in condizioni di crescente insicurezza. La violenza negli stadi, oltreché frutto di qualche sparuta minoranza spesso aizzata dalle società o da settori di esse, è prodotta anche dalla loro gestione e dalla mancanza di innovazione. E così può succedere che si percepisca una politica di due pesi e due misure, come in occasione dei decreti sulla violenza negli stadi che hanno colpito le tifoserie mentre ha nei fatti assolto le società, affrontando solo parzialmente il tema della loro responsabilità, limitata alla vendita nominativa dei biglietti.
A ciò si aggiunge la formazione di società trasversali, vere e proprie batterie di giocatori e allenatori, spesso più forti di singole società sportive, in grado di condizionare oggettivamente e soggettivamente i campionati, e la pressione che questo sistema di interessi economici esercita sugli arbitri.
Attraverso la critica all'impostazione «mercatista» passa la necessaria riforma del calcio che serve a salvare lo spirito sportivo e il valore sociale dello sport - certamente - ma anche una corretta ed equilibrata concorrenza tra soggetti che, almeno per ora, rimangono società che devono generare un profitto.
Un sistema del genere doveva - quasi ineluttabilmente - generare dei fenomeni degenerativi. È un dato acquisito il fatto che il calcio sia anche mercato. Ma se il premio del profitto sostituisce in tutto e per tutto quello del prestigio, allora non ci si può meravigliare se qualcuno viola le regole sportive per acquisire più profitto possibile. Mi riferisco anche alle vicende come quelle legate al doping, oltre, ovviamente, allo scandalo di «calciopoli». Vicende nelle quali l'imperativo della vittoria ha cancellato ogni idea di correttezza sportiva.
La redistribuzione dei profitti, quindi, diviene un passo obbligato verso un calcio più sano. La legge delega all'esame si muove, per l'appunto, in questa direzione.
Si tenga conto che la vendita centralizzata dei diritti, e la ridistribuzione delle risorse, è un orientamento presente nei più importanti campionati sportivi europei. Alcuni esempi, riguardanti il calcio.
In Germania la vendita dei diritti della Bundesliga è centralizzata ed è in capo alla stessa Lega; le risorse vengono così ripartite: 3 per cento alla federazione, il restante 97 per cento ai club (precisamente 77,5 ai club della prima divisione e il 22,5 a quelli della seconda); per la prima divisione i proventi vengono divisi al 50 per cento in parti uguali e per l'altro 50 per cento in base ai risultati sportivi, in particolare tenendo conto degli ultimi 3 anni; per la seconda divisione il rapporto è 75 a 25.
Anche in Francia la vendita è centralizzata e operata dalla Lega; gli introiti sono ripartiti in queste percentuali: 87,5 per cento ai club (di cui 81 per cento alla seria A e 19 per cento alla B), 5 per cento allo Stato, l per cento all'associazione calciatori, 2,5 per cento al calcio dilettantistico, 4 per cento per il funzionamento della Lega; per la serie A le risorse vengono ripartite per metà in parti uguali, l'altra metà in base ai risultati sportivi e ai passaggi televisivi; per la B, il 91 per cento va in parti uguali, il restante 9 per cento in base alla classifica.
In Inghilterra la vendita centralizzata porta ad una suddivisione per il 50 per cento in parti uguali, il 25 per cento in base ai passaggi televisivi e un altro 25 per cento in base ai risultati sportivi.Pag. 140
È chiaro quindi che la vendita centralizzata e la ripartizione dei proventi è un orientamento prevalente nei maggiori paesi europei e segnatamente per i paesi calcisticamente più importanti.
Preliminarmente occorre analizzare due questioni: la prima è il perché il legislatore deve intervenire in un rapporto tra soggetti privati quali sono i club sportivi; la seconda è se la delega al Governo sia lo strumento migliore per un eventuale intervento.
Alla prima questione occorre rispondere positivamente. Lo sport, e il calcio per l'Italia in modo particolare, non è solo «affare privato» tra società. Il suo valore sociale e culturale infatti è sotto gli occhi di tutti e ad ulteriore conferma basta constatare lo sgomento con il quale la società italiana ha accolto le inchieste della magistratura ordinaria e di quella sportiva. Il calcio è segnatamente lo «sport nazionale» del nostro paese. Quello che i bambini giocano nei campi e per le strade. Quello più seguito e più partecipato. Sul calcio si costruisce una parte consistente del «senso comune» del paese. Il legislatore, quindi, non può e non deve essere estraneo a quanto avviene nel calcio, neppure quando si tratti di «calcio virtualizzato» - quello cioè trasmesso attraverso i mezzi di comunicazione - che in ogni caso trova origine in competizioni reali, svolte sul campo e viste da decine di migliaia di spettatori negli stadi.
Così come il legislatore non può non intervenire quando - all'interno di un mercato - si determinino condizioni di oligopolio tali da escludere permanentemente - almeno a livello potenziale - altri concorrenti. Visione «sociale» e visione «liberale» in questo caso vanno a braccetto e si sostengono l'una con l'altra: un mercato falsato genera eventi sportivi falsati. Ed eventi sportivi falsati a loro volta perpetuano un mercato falsato. Questo sport bicefalo (il calcio dei mercati e quello dei campi sportivi), se non regolato in modo differente, genera una stortura anche nel tessuto della società. Basti pensare a cosa può significare per un ragazzo che si avvicina allo sport l'idea che occorra vincere a tutti i costi e che il proprio corpo altro non è che una macchina al servizio di un sistema più grande, nel quale la salute, il miglioramento fisico, la disciplina in campo, la solidarietà sportiva, non contano più ma conta solo e soltanto il risultato e il conseguente profitto. Ricordiamo a questo proposito l'esempio del campione Rino Gattuso, che ha il merito di essere promotore di una fondazione che aiuta i ragazzi in condizione disagiata ad avvicinarsi ai gioco del calcio. Gattuso ha sostenuto e sostiene il rinnovamento nel movimento calcistico, ivi compresa la necessità di punire i responsabili dei fenomeni corruttivi, nonostante militi in uno dei club colpiti dalle sanzioni sportive.
Quindi il legislatore ha il dovere, a questo punto, di fare ciò che è in suo potere per riequilibrare il sistema, poiché il valore sociale del calcio è, in ogni caso, superiore a quello del mercato ma anche, come si è detto, perché il mercato dei diritti tv va in ogni caso regolato al fine di riequilibrare le potenzialità dei vari competitori.
Nel corso dell'iter in Commissione, abbiamo però constatato come una regolazione sia necessaria anche agli altri sport professionistici. Su stessa segnalazione della Lega basket e della Federazione abbiamo quindi deciso di estendere la normativa a tutti gli sport professionistici i cui campionati sono organizzati da soggetti (le leghe) che associano diverse società di diversi team in competizione tra loro. Oltre al calcio, quindi, anche la pallacanestro verrà assoggettata alla nuova normativa. Altri sport professionistici, come il ciclismo, non solo non hanno organizzazioni simili alle leghe, ma non organizzano campionati o tornei in cui due squadre disputano in competizione tra loro un incontro sportivo. Mentre sport, i cui campionati, invece, sono organizzati da leghe, non sono considerati allo stato sport professionistici (vale a dire le squadre non sono società a fini di lucro).
La secondo questione è quella dell'opportunità della delega al Governo. Anche qui si ritiene che vi sia tale opportunità. Un provvedimento puntuale del Parlamento, infatti, difficilmente potrebbe tenere conto di tutte le esigenze in campo in una fase peraltro segnata da rapidissimi mutamenti tecnologici. Occorre invece un processo di concertazione tra i vari attori (i club, le leghe, gli operatori di comunicazione) che può essere svolto efficacemente solo dall'esecutivo, che già si è mosso in tal senso attraverso tavoli tecnici, come è facilmente desumibile dalle notizie di stampa. Alla fine di questa concertazione, il legislatore delegato potrà meglio rispondere alle esigenze Pag. 141presentate dai diversi soggetti. Sarebbe infatti un atto dirigistico - e quindi o inefficace o peggiorativo dello stato di cose - varare delle norme senza le necessarie mediazioni di interessi.
Signor Presidente, a questo punto sarebbe ipocrita da parte del relatore tacere sull'iter di questo provvedimento. La delega - come ho appena sostenuto - è una forma ottimale quando si tratti di regolare rapporti tra soggetti privati che debbono essere coinvolti per lo meno nella «concertazione» delle norme di dettaglio. Tuttavia l'opposizione ha protestato contro la decisione del Governo di richiedere una delega in materia con motivazioni che non sono apparse peregrine al relatore. Si è detto, ad esempio, che la VII Commissione stava svolgendo l'indagine conoscitiva di cui ho parlato. Una delega che «piomba» in un momento del genere può essere vissuta - si è detto - come un esproprio del Parlamento. Non condivido tale visione. Tuttavia, in quanto presidente della Commissione, ho preso seriamente in considerazione l'obiezione. Si è detto, ancora, che la delega avrebbe ulteriormente ritardato l'applicazione del nuovo regime. Che era necessario dare alla Commissione la sede legislativa. Il sottoscritto, come relatore e come presidente, ha esperito sino all'ultimo il tentativo di arrivare a trasformare la delega in una legge non delegante con l'intento esplicito di conciliare le richieste dell'opposizione con quelle del Governo, riuscendo anche a superare le legittime perplessità di quest'ultimo. Ma, inopinatamente, il relatore si è trovato poi di fronte al riproprorsi delle ragioni per cui nella scorsa legislatura la proposta del gruppo di Alleanza Nazionale, su cui si realizzò un'ampia convergenza, non andò avanti, e cioè il dissenso, per cui provo pieno rispetto, di un solo gruppo dell'opposizione, quello di Forza Italia, nel concedere la sede legislativa. Abbiamo allora mantenuto la delega, senza tuttavia rinunciare ad ascoltarci, e le modifiche fatte dalla Commissione sono state il frutto dell'ascolto di molti argomenti portati dai gruppi dell'opposizione.
Arrivando quindi al merito del provvedimento, che parte dalle constatazioni generali che sono state esposte in precedenza, esso reintroduce la contrattazione centralizzata dei diritti di trasmissione (non solo televisiva, ma su qualsiasi piattaforma tecnologica di trasmissione), stabilendo la contitolarità dei diritti da parte dei singoli club e delle leghe professionistiche che sono i soggetti delegati all'organizzazione dei suddetti campionati nonché associazioni private tra le stesse società sportive. Si viene così a sanare la stortura che il precedente quadro normativo - segnatamente il DL n. 15 del 1999 - ha introdotto per rispondere alle indicazioni comunitarie in materia di disciplina antitrust, peraltro successivamente riviste nel senso della possibilità della contrattazione centralizzata dei diritti di trasmissione. Il regime ancora vigente, infatti, prevedendo la titolarità esclusiva dei diritti da parte dei singoli club per ciascuna partita casalinga dagli stessi organizzata, non tiene conto dell'evidenza che le competizioni di campionato, oggetto principale della delega in esame, si svolgono per l'appunto all'interno di un torneo, senza il quale esse perderebbero tanto di significato sportivo quanto di rilevanza economica. Non tiene inoltre conto del fatto che esiste un soggetto terzo, per quanto formato dalle stesse società, che organizza il campionato, il quale è privato di ogni influenza sui prodotti derivati dall'insieme degli eventi sportivi (le singole partite) che essa organizza. Si viene quindi a creare un paradosso: le partite si svolgono perché esiste un campionato, ma esso sparisce nel momento in cui queste partite vanno nell'etere, sul satellite, su Internet, nei telefoni cellulari. Del resto, la stessa Restrictive Practices Court inglese, che con la sentenza del 2005 ha legittimato la commercializzazione centralizzata dei diritti televisivi della Premier League, ha stabilito che «il prodotto che presenta un valore economico è il campionato della Premier League nel suo complesso, piuttosto che le singole partite giocate nel corso di tale campionato. In altri termini, il valore dei diritti su una singola partita è amplificato dal fatto che essa fa parte di una competizione alla cui esistenza tutti i club necessariamente contribuiscono».
Il disegno di legge del Governo si pone così in linea con i recenti orientamenti europei in materia di sport, da ultimo espressi nel Rapporto indipendente sul calcio europeo 2006, realizzato con l'obiettivo di fornire alcune raccomandazioni alle autorità europee e nazionali affinché intervengano con norme trasparenti nell'ambito delle Pag. 142quali gli organi di autogoverno dello sport siano in grado di risolvere le questioni che interessano il settore.
Tra le misure volte a garantire l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, necessario per assicurare l'attrattiva del calcio, il Rapporto individua la redistribuzione delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali, che viene definita, nello stesso tempo, necessaria e compatibile con il diritto comunitario.
Il Rapporto propone poi l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza, in cui si precisino, tra l'altro, le regole sportive che non rientrano nell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, le misure che meritano deroghe al divieto di accordi tra imprese nonché la disciplina giuridica di specifiche tematiche quali la vendita collettiva dei diritti, la valorizzazione dei vivai, la partecipazione degli atleti alle rappresentative nazionali, le limitazioni agli stipendi, la concessione delle licenze ai club.
La contitolarità stabilita nel comma 2, lettera c), rende possibile la contrattazione centralizzata. Tale contrattazione, tuttavia, non è fine a se stessa ma propedeutica a quando stabilito nel comma 2, lettera f) e lettera g): vale a dire l'equa ripartizione delle risorse ottenute dalla commercializzazione dei diritti e la mutualità generale del sistema sportivo, come anche l'indicazione contenuta nella lettera e) tesa alla realizzazione di un sistema equilibrato di trasmissione che assicuri la concorrenza tra operatori e la salvaguardia dell'emittenza locale, indicazioni richiamate poi nella lettera c) del comma 3.
E qui, noi abbiamo introdotto una significativa modifica rispetto al testo originario. Abbiamo infatti previsto che le stesse leghe possano stabilire i criteri di ripartizione, sempre attenendosi ai principi della delega (e quindi almeno la metà degli introiti in parti uguali, il resto sulla base del bacino di utenza e del merito sportivo, nonché una quota parte riservata alla mutualità sportiva). Una modifica che riconosce l'autonomia dello sport. Ritengo che tale novità vada sottolineata e credo costituisca un significativo miglioramento del testo originariamente proposto.
Devo peraltro sottolineare che già il nuovo testo presentato dal relatore aveva individuato una formulazione più flessibile dei criteri di ripartizione delle risorse derivanti dalla vendita collettiva, non vincolata da limiti numerici, anche a seguito dell'orientamento espresso sul punto dal presidente dell'Antitrust.
Segnalo tuttavia che in questi ultimi anni, specie nel mondo del calcio, sono emerse da parte della Lega nazionale professionisti, cui le regole sportive attribuiscono un ruolo determinante nella distribuzione delle risorse dei diritti audiovisivi sportivi, profonde difficoltà nell'adottare adeguati meccanismi attraverso i quali ripartire, in modo più congruo ed equo, le risorse tra tutti i partecipanti al campionato di calcio di serie A e tra la massima divisione e la categoria inferiore. In particolare, come rilevato dal presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'audizione dell'11 ottobre 2006 preso la VII Commissione cultura, «la stessa Lega è parsa nella sostanza essere espressione, e in fondo strumento, delle squadre maggiori che hanno interpretato in modo assai riduttivo il concetto di mutualità».
Di ciò, s'era accorto, nella scorsa legislatura, il Parlamento che, sulla base dei risultati dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, approvati all'unanimità, della VII Commissione, aveva offerto al mondo del calcio l'occasione di dotarsi di strumenti di ripartizione delle risorse più equi e trasparenti.
Nonostante il parere favorevole dei più alti rappresentati del calcio professionistico, l'occasione sopra evidenziata non veniva accolta dalla lega nazionale professionisti e dalle società sportive ad essa affiliate.
Si spera invece che questa volta il mondo del calcio, in primis, ma anche quello del basket, riescano a trovare coesione al proprio interno e stabilire le regole attraverso cui, sulla base di principi espressi nella delega, si possa arrivare nei prossimi mesi a una ripartizione delle risorse più equa.
Riguardo la lettera h) del comma 2, è stata modificata la denominazione di «consumatori», riferita a coloro che fruiscono degli eventi sportivi trasmessi. Si ritiene infatti che lo sport non possa essere considerato - Pag. 143per i principi richiamati nella stessa legge delega - un «prodotto» che va «consumato». Si è quindi sostituita la parola «consumatori» con «utenti», meno connotata commercialmente.
Nel comma 3 si stabiliscono i criteri dell'esercizio della delega: la forma centralizzata di commercializzazione (lettera a), con l'indicazione della libertà di iniziativa individuale dei singoli club, derivante dalla contitolarità dei diritti di trasmissione; ai club è quindi garantita, attraverso i cosiddetti diritti minori (come accade in tutti i paesi europei) la salvaguardia di una propria autonomia commerciale proprio in relazione ai prodotti audiovisivi del campionato [comma 3, lettera a)] nonché la titolarità esclusiva dei diritti di archivio, che, di natura e destinazione diversa dai diritti primari di sfruttamento delle partite, fa parte del patrimonio culturale, storico e mediatico di ciascun club [comma 2, lettera d)]. Peraltro, come confermato nella relazione illustrativa, deve essere consentita ai club la possibilità di negoziare individualmente i diritti rimasti invenduti a seguito della commercializzazione in forma centralizzata.
Viene inoltre garantita la parità di accesso e di trattamento di tutti gli operatori di comunicazione in possesso del titolo abilitativo [lettera b)].
I divieti di acquisizione dei diritti su una determinata piattaforma se l'operatore non è in possesso dei titoli per la trasmissione e il divieto di sublicenziare i diritti [lettera c)], sono stati flessibilizzati dalla commissione. Anche questa è una modifica di fondamentale rilievo. Tali divieti, in determinati casi, contribuiscono ad assicurare una maggiore concorrenza sulle diverse piattaforme, impedendo che un network televisivo, ad esempio, acquisisca diritti che non può esercitare realmente per poi rivenderli o peggio per impedire alle nuove piattaforme di emergere, falsando così la concorrenza; ma proprio per meglio regolare il mercato, in particolare per le piattaforme emergenti, si è ritenuto di lasciare al Governo la possibilità di stabilire per quali piattaforme debbano valere certi divieti e per quali invece debbano valerne altri: si tratta infatti di realtà profondamente diverse tra loro. Non si può normare allo stesso modo il satellite, una piattaforma oramai consolidata, il digitale terrestre, in via di consolidamento, Internet e Umts, piattaforme allo stato ancora «emergenti». Un diritto uguale, in tal caso, produrrebbe materialmente forti disuguaglianze. Soggetti o situazioni diseguali, richiedono un diritto diseguale. Le piattaforme emergenti, inoltre, sono esplicitamente citate e oggetto di una specifica normazione in base alla lettera e); la lettera f) introduce il principio di «ragionevole durata dei contratti» , sempre allo scopo di garantire una effettiva concorrenza e evitare posizioni dominanti di lungo periodo da parte degli operatori.
Nell'ambito di tale flessibilizzazione è emersa la necessità di evidenziare il ruolo degli intermediari nella contrattazione dei diritti, consentendo loro, purchè indipendenti, di poter partecipare all'acquisizione dei diritti.
La lettera g) stabilisce i criteri per l'equa ripartizione delle risorse derivanti dalla commercializzazione dei diritti di trasmissione: almeno una metà in parti uguali tra le diverse squadre, l'altra metà divisa tra una quota residua destinata alla mutualità del sistema calcistico o del basket, ed un'altra che le leghe dovranno ripartire tenendo conto del bacino di utenza e dei risultati sportivi. Come ho detto, le quote saranno stabilite sperabilmente dalle leghe.
All'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'Autorità per le garanzie delle comunicazioni dovranno essere attribuiti, alla prima, funzioni di vigilanza e controllo sulla corretta applicazione della disciplina attuativa della legge [comma 3, lettera h)], alla seconda, attraverso una propria struttura a ciò organizzata, poteri regolatori al fine di rendere compatibile il mercato dei diritti audiovisivi sportivi con lo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione e del fenomeno della convergenza.
È da condividere la necessità di una applicazione rapida (luglio 2007) e di un periodo transitorio la cui normazione va evidentemente concordata tra le parti.
Infine mi preme sottolineare, non solo per l'importanza del loro merito, ma proprio per evidenziare come il nostro ha cercato di essere un atteggiamento libero e aperto alle modifiche provenienti anche dall'opposizione, alcune novità di particolare rilevanza rispetto al testo originario.
Particolarmente significativa è la norma, introdotta grazie ad un emendamento riformulato Pag. 144della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, affinché la ripartizione delle risorse sia destinata anche a favorire la valorizzazione e l'incentivazione delle categorie inferiori e lo sviluppo del settore giovanile. Come è emerso anche nel corso del dibattito e delle audizioni svolte, la questione della formazione dei giovani e dei vivai sta particolarmente a cuore alla Commissione tutta, ed in tal senso diversi sono stati gli emendamenti di tutte le parti politiche, proprio in considerazione del fatto che essa rappresenta una delle strade da intraprendere per risolvere la crisi del calcio ed imprimere a questo mondo una maggiore attenzione ai valori fondanti dello sport. Tale recupero può essere avviato, a mio avviso, solo attraverso la crescita della persona e la sua educazione alla competizione leale, al rispetto reciproco e al senso di responsabilità.
Quanto al carattere sociale dell'attività sportiva e la specificità del fenomeno sportivo, con una riformulazione di un emendamento di Forza Italia è stato soppresso l'inciso che specificava i principi della dichiarazione del Consiglio europeo di Nizza del 2000, ritenendo più opportuno un mero rinvio a tale importante documento europeo.
Ricordo inoltre che la disciplina, originariamente prevista per i soli campionati di calcio, è stata estesa a tutti gli sport professionistici (calcio, pallacanestro, pugilato, golf, ciclismo e motociclismo) anche se, sostanzialmente, oltre al calcio sarà coinvolta la sola pallacanestro, unico altro sport professionistico di squadra.
Recependo poi una condizione del Comitato per la legislazione, è stato chiarito che gli eventuali decreti integrativi e correttivi saranno emanati con le medesime procedure e gli stessi principi e criteri direttivi contenuti nella delega.
Con riferimento, infine, alla tutela degli utenti dei prodotti audiovisivi relativi agli eventi sportivi, la Commissione ha accolto un emendamento dell'UDC e di Forza Italia volto a recepire tale espressione - in vece della precedente espressione «consumatori» - ponendosi in linea con la formulazione utilizzata dalla normativa di settore; è stato inoltre accolto un emendamento dei Verdi, che ha definito il campo di applicazione di tale tutela in Italia e all'estero.
Al disegno di legge del Governo sono abbinate alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia di titolarità dei diritti di trasmissione televisiva dei campionati di calcio, il cui esame non è ancora stato avviato.
Si tratta, in particolare, della proposta di legge n. 587 (Ciocchetti ed altri) recante «Modifica all'articolo 2 del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 1999, n. 78, in materia di titolarità dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata dei campionati di calcio» e della proposta di legge n. 1195 (Ronchi ed altri) di analogo titolo e contenuto.
Le proposte, in sostanza, attribuiscono - mediante la sostituzione del primo periodo del comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15 - la titolarità dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata al soggetto organizzatore dei campionati nazionali di calcio di serie A e di serie B (vale a dire, la Lega calcio). Quest'ultima provvede a definire annualmente i criteri di ripartizione degli utili della cessione di tali diritti tra le società di calcio partecipanti ai campionati, subordinatamente all'approvazione dei criteri stessi da parte del consiglio nazionale del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).
Quanto alla proposta di legge n. 711 (Giancarlo Giorgetti e Caparini) recante «Modifica all'articolo 2 del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 1999, n. 78, in materia di titolarità dei diritti di trasmissione televisiva dei campionati di calcio e di destinazione dei relativi proventi», anch'essa muove dal principio della contrattazione centralizzata, così come la proposta Del Bue (proposta di legge n.1840) che assegna il compito di trattare i diritti alla alla FIGC e che reca anche una previsione risarcitoria per i club danneggiati dalle pay tv. La proposta di legge 1803 di Pescante ed altri, pur assegnando alla Lega la vendita centralizzata dei diritti, assegna questi ultimi alla titolarità del club ospitante la singola partita, ed è quindi viziata internamente, oltre a muoversi in una prospettiva già superata dai più recenti pronunciamenti in sede comunitaria.