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INTERVENTO DEL DEPUTATO GRAZIA FRANCESCATO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE BANDOLI ED ALTRI N. 1-00041 SULLE INIZIATIVE VOLTE A SOSTENERE L'APPROVAZIONE, DA PARTE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU, DELLA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghi, i Verdi sostengono con forza e con convinzione l'approvazione definitiva della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni che sarà sottoposta al voto, speriamo favorevole, dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Sono 550 le etnie del pianeta che si definiscono indigene (50 milioni di persone, 350 milioni se si prendono in considerazione anche coloro che hanno origine indigena). Parliamo del 10 per cento della popolazione mondiale, del 40 per cento della popolazione rurale, del 25 per cento di coloro che vivono in stato di povertà. Un universo arcaico, che viene da lontano (le etnie indigene che ancora rivendicano la propria identità tribale hanno spesso vissuto per secoli e millenni sullo stesso territorio) ma a cui stiamo negando il futuro. Una variegata e preziosa biodiversità culturale messa sott'assedio dai meccanismi del mercato globale e dal confronto/scontro con il modello di società occidentale. Già stremati da genocidi epocali (un esempio per tutti: quello messo in atto dai conquistadores spagnoli e portoghesi dopo la «scoperta delle Indie»), i popoli indigeni continuano a subire un duplice attacco, fisico e culturale. Un attacco che mira soprattutto a prendere possesso di ciò che resta dei loro territori ancestrali, guardati con cupidigia dalle oligarchie locali, dalle grandi multinazionali o da forti gruppi d'interesse economici e politici a causa delle immense ricchezze che queste terre custodiscono (dal petrolio, all'oro, ai metalli preziosi all'acqua, al legname pregiato, alle piante officinali utilizzate nelle produzioni alimentari o farmaceutiche).
Ma non sono soltanto le terre a essere prese di mira: è in gioco anche il prezioso corpus dei «saperi» indigeni, accumulati nel corso dei millenni, che si configura coma una vera e propria enciclopedia di uno sviluppo davvero sostenibile (dalle tecniche agricole di rotazione e messa a riposo dei terreni coltivati, alle metodologie di conservazione degli ecosistemi, dalla conoscenza delle virtù terapeutiche di piante e sostanze vegetali o animali alla saggezza degli «sciamani).
Il legame tra le popolazioni indigene ancora fedeli (totalmente o in parte) alle proprie culture originarie è talmente cruciale, è un'esigenza talmente primaria che quasi sempre la cacciata delle etnie dai propri luoghi ancestrali, gli esodi coatti o il displacement (la ricollocazione forzata in altre aree) si traduce nel declino o nell'agonia di interi popoli, non di rado in una vera e propria estinzione.
Un esempio tra i più tragici - e che purtroppo posso citare con cognizione di causa, perché noi Verdi da tempo operiamo in Colombia, in Bolivia, in Ecuador, in Brasile con progetti autonomi di cooperazione - riguarda la tristissima condizione delle 86 etnie indigene della Colombia. Il lungo conflitto armato che contrappone esercito governativo e formazioni paramilitari da un lato, dall'altro i due schieramenti «storici» della guerriglia (FARC ed ELM) vede i popoli indigeni tra le vittime più colpite dagli effetti nefasti della guerra. A questo bisogna aggiungere le conseguenze devastanti della cosiddetta «lotta alla droga»: per estirpare le piantagioni di coca (la foglia di coca è materia prima, peraltro «sacra» nelle tradizioni indigene che ne fanno un uso terapeutico ed alimentare assolutamente lecito e giustificato, mentre il prodotto finale - la cocaina - è il risultato di un processo di trasformazione i cui principali responsabili sono le gang dei trafficanti di droga nonché le bande paramilitari a questi legate) - bene, per estirpare le coltivazioni di coca, il Plan Colombia (finanziato per il 30 per cento dalle amministrazioni USA come piano antidroga, in realtà mirato a stabilire un controllo militare sul territorio colombiano, per tenere in piedi il regime di Uribe, da sempre »amico« del governo nordamericano) prevede che vengano cosparsi con sostanze chimiche tossiche (tra cui un «fungo» micidiale) i terreni coltivati a coca. Naturalmente i veleni finiscono col piovere su interi ecosistemi (addirittura all'interno dei parchi Pag. 146nazionali), distruggendo la coca, ma anche tutte le altre colture (si calcola che per «far fuori» un ettaro di coca si debbano spazzare via ben 40 ettari di foresta o di altre coltivazioni).
Ridotti in miseria, i campesinos, spesso indigeni, sono costretti ad abbandonare i loro territori: fino a due milioni e mezzo di persone nell'ultimo decennio, molti dei quali vanno a ingrossare le desolanti «cinture di povertà», che circondano le megalopoli come Bogotà o Medellin.
Per non parlare delle violazioni continue dei diritti umani, delle torture, delle sistematiche violenze che il regime di Uribe o i paramilitari (e spesso le formazioni armate finanziate dalle grandi multinazionali) infliggono ai leaders indigeni o alle comunità indigene che hanno il «torto» di ribellarsi alle angherie e ai sopprusi. Nonostante tutto, però gli indigeni sono riusciti a difendere la propria cultura, a lottare per il proprio riscatto, a stabilire alleanze che spesso si estendono al di là dei confini nazionali e trovano sostegno e solidarità nei movimenti ecologisti, di difesa dei diritti umani, nelle ONG che operano nella cooperazione e negli organismi internazionali che lavorano a sostegno delle etnie indigene. Come l'Ifad, ad esempio, che con più di 954 milioni di dollari ha finora supportato centinaia di progetti per lo sviluppo sostenibile insieme alle comunità indigene, azione oggi rafforzata grazie al neocostituito gruppo di supporto tra le agenzie delle Nazioni Unite sulla questione indigena, presieduto appunto dall'Ifad (vi rimando a questo proposito agli atti del meeting svoltosi a Tivoli dal 15 al 18 settembre scorso).
Noi Verdi - che da anni portiamo avanti in America Latina progetti centrati su uno sviluppo davvero sostenibile, in sintonia con l'approccio olistico che contraddistingue la cultura indigena (da sempre capace di vivere in armonia con l'ambiente e con la Madre Terra e in grado di fare riscoprire quest'arcaica sapienza anche a chi, nella civiltà occidentale, ha orecchie per intendere) - noi Verdi non possiamo dunque che votare a favore di questa mozione, cogliendo quest'occasione per rinnovare il nostro impegno a favore dei popoli indigeni e soprattutto la volontà di recuperare e valorizzare la «visione del mondo» che questi popoli - i veri, autentici ecologisti del pianeta - sono in grado di insegnarci, per aiutarci ad affrontare le grandi sfide del Terzo Millennio.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico della seduta del 19 novembre 2006, a pagina 70, seconda colonna, le righe dalla ventiseiesima alla trentacinquesima (da «Vi è poi un altro aspetto» fino a «Donatella Poretti») sono sostituite dalle seguenti:
«Vi è poi un altro aspetto, che è stato giustamente ricordato: con la legge Fini-Giovanardi si è cancellato l'esito del referendum sulle tossicodipendenze del 1993. Del resto, per la maggioranza di centro-destra è ormai un costume cancellare per legge gli esiti referendari non graditi. Anche il referendum dello stesso 1993 in materia elettorale è stato cancellato attraverso una "porcata riuscita male": così è stata definita da Calderoli - il Presidente sa che io non uso questo linguaggio - la nuova legge elettorale».