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Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (A.C. 648-1571-1782-1849) (ore 12,23).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 648 ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Violante, presidente della I Commissione, in sostituzione del relatore, onorevole Bocchino, ha facoltà di svolgere la relazione.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, sostituisco il collega Bocchino e, quindi, svolgerò una relazione informale nel senso che poi nel dibattito ciascuno esporrà le proprie posizioni e le proprie opinioni.
Questo provvedimento riprende un testo che era già stato votato nella scorsa legislatura con alcune correzioni; infatti, nella scorsa legislatura si era registrato un consenso abbastanza unanime sul fatto che la lingua italiana fosse riconosciuta come lingua ufficiale della Repubblica all'interno della Costituzione, nella parte dei principi fondamentali. Poi questo consenso si ruppe nel momento in cui i colleghi della Lega desiderarono introdurre una previsione che riguardava anche i cosiddetti idiomi locali. Su questo ci fu una rottura; infatti, il progetto fu approvato dalla Camera, ma si arrestò al Senato. Alla Camera venne licenziato con il solo voto dell'allora maggioranza, perché ci fu dissenso nell'allora opposizione in ordine a questo punto.
La proposta che qui presentiamo introduce all'articolo 12, dopo la parte relativa alla bandiera, un comma riguardante quest'altro simbolo del carattere, della storia e delle tradizioni italiane. La previsione così enuncia: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali». Si è discusso in Commissione se inserire questa previsione nell'articolo 6 - che riguarda le minoranze linguistiche - o nell'articolo 12 ed infine si è deciso di riferirla all'articolo 12 perché l'articolo 6 ci è sembrato che dovesse riguardare unicamente la tutela delle minoranze linguistiche.
Il problema della lingua non si pose nei lavori della Costituente perché allora non fu sentita come un'esigenza, nonostante fosse implicito che l'italiano era la lingua ufficiale della Repubblica; si pensò, invece, con particolare attenzione, per le note ragioni storiche e politiche, a stabilire la tutela delle minoranze linguistiche come elemento caratterizzante della nostra identità civile e politica, inserendola nei principi fondamentali.Pag. 35
In ordine al tema che stiamo dibattendo, vorrei dire che esiste una versione di destra e una di sinistra. Io le esporrò entrambe e concluderò il mio intervento, perché poi sarà compito dei colleghi decidere quale delle due scegliere; ma sono versioni coincidenti.
Nella destra la questione della lingua, così come la questione della nazione, del sangue e via dicendo, fa parte di un patrimonio ideale che risale ad una lettura conservatrice del Risorgimento; infatti, il Risorgimento intese le questioni riguardanti la lingua, la nazione e la cultura come elementi di un tutt'uno che però, letti in modo diverso, sono diventati un elemento di conservazione, non di propulsione.
Per quanto riguarda la lettura di sinistra, vorrei richiamarmi alle pagine scritte da Pasolini sulla lingua italiana. Pur avendo mosso contestazioni molto dure nei confronti del sistema delle istituzioni del nostro paese, Pasolini sottolineò con forza la funzione di koinè della lingua italiana, di grande elemento riunificatore. Infatti, come ci hanno ricordato e spiegato il presidente dell'Accademia della Crusca ed altri illustri linguisti, sentiti in Commissione, la lingua nasce prima della nazione italiana, e nasce prima dello Stato, a differenza di quanto è avvenuto in Francia, dove nasce prima lo Stato, che impone quella lingua. Da noi è stato diverso: è stata la lingua che ha creato la nazione e lo Stato. Ed è francamente singolare che quello che costituisce l'elemento di comunicazione e di identità nazionale sia stato trascurato, finora, tra gli elementi costitutivi dei principi fondamentali della nostra Repubblica. Questa è - come dire? - la lettura di sinistra. Si tratta, quindi, di una lettura che non fa riferimento ad elementi identitari esclusivi, ma allo strumento di identificazione e di comunicazione proprio della nostra tradizione culturale.
Alle considerazioni che ho espresso desidero aggiungere un rilievo di carattere soggettivo. Se i colleghi hanno tempo per riflettere sulla situazione nella quale il nostro paese si trova, si accorgeranno che sono in atto alcuni processi centrifughi che riguardano la società, la politica e le istituzioni. Faccio riferimento, ad esempio, al fenomeno che sta caratterizzando molti comuni italiani (sono più di una decina), che stanno chiedendo, per rivendicare determinate prerogative, di passare da una regione all'altra o da una provincia all'altra, e non sempre da una regione a statuto ordinario ad una a statuto speciale, ma anche ad un'altra regione a statuto ordinario, scegliendo quella dove vi sono più vantaggi, più risorse, e così via. Ebbene, mentre, in passato, si sarebbe probabilmente attivato un processo di rivendicazione, da parte del comune, nei confronti della regione o della provincia, per ottenere il riconoscimento di determinati diritti, interessi o risorse, la soluzione che si trova oggi è quella di andare via.
Trovo che faccia parte dello stesso capitolo il proliferare di autorità che non hanno un elemento di riconoscimento. Mi riferisco, ad esempio, a quella in ordine alla quale abbiamo appena concluso la discussione sulle linee generali. In seguito, faremo una proposta su questo tema, spero d'intesa tra maggioranza ed opposizione. Assistiamo alla proliferazione di soggetti che - come dire? - spogliano il pubblico di determinate prerogative ad esso proprie e spostano fuori dal pubblico quelli che del pubblico dovrebbero essere elementi propri. Guardiamo al modo in cui si è sviluppata la vicenda dell'esame del disegno di legge finanziaria: svariati interessi corporativi hanno esercitato una forte pressione sul sistema politico, sul sistema di governo, senza che alcuno di essi riconoscesse la forza di un interesse generale del paese.
Di fronte a questi dati, una classe politica dirigente che ponga con forza l'esigenza del riconoscimento di valori unificanti, identitari unificanti, non farebbe un discorso reazionario, ma un discorso volto a ricostruire un ordine, all'interno del nostro paese, attorno ad un punto sul quale credo sia difficile mostrare dissenso: quello che stabilisce l'elemento di comunicazione e che fa riferimento alla base sulla quale sono stati costruiti la nazione Pag. 36e, successivamente, lo Stato e la Repubblica. Questi sono gli elementi che volevo evidenziare.
Infine, signor Presidente, ricordo che esiste già nel nostro ordinamento una norma che riconosce l'italiano come lingua ufficiale della Repubblica: si tratta dell'articolo 1 della legge n. 482 del 1999, in materia di tutela delle minoranze linguistiche. Quindi, il principio c'è già: si tratta di portarlo all'interno della Costituzione, ma non come principio nuovo. Se mi permette, signor Presidente, di richiamare la nostra amicizia, abbiamo discusso, tempo fa, in merito all'opportunità di toccare i principi fondamentali: ricorderà che, d'accordo con lei, affermai che era preferibile non toccare quella parte della nostra Costituzione. In questo caso, però, non si tratta di inserire un elemento di novità, ma di tirare fuori qualcosa che c'è già, che è implicito nella nostra storia, nella nostra cultura, nell'impianto della nostra identità nazionale, e che esiste già nell'ordinamento (grazie ad una legge ordinaria).
Questi sono gli elementi che rassegno all'attenzione dei colleghi. Spero che nel dibattito che si svolgerà si possa trovare una larghissima intesa all'interno di questa Camera per sostenere la proposta in esame. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente Violante.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, mi collego all'ultima riflessione svolta dal presidente Violante in ordine al modo in cui il Parlamento, in sede di processo di eventuale revisione costituzionale, possa e debba rapportarsi sempre con enorme rispetto di tutto il testo costituzionale e, in particolare, della prima parte della Costituzione (più usurata o usurabile dal tempo è la parte che riguarda l'ordinamento) e con un atteggiamento che direi, in senso laico, quasi sacrale nei confronti dei primi 12 articoli che costituiscono i principi fondamentali.
Condivido l'osservazione fatta dal presidente e relatore, onorevole Violante, in merito ad una scelta di revisione costituzionale condivisa, fondata, equilibrata e maturata, nell'atteggiamento di non cambiare il testo dei primi 12 articoli della Costituzione, ma eventualmente di arricchirlo perché, come sappiamo, sono passati quasi sessant'anni dalla loro entrata in vigore. Vi è una sacralità laica, scusate l'espressione che però rende bene l'idea dell'atteggiamento con cui bisogna accostarsi ai principi fondamentali della Costituzione, che consente, nel rispettarli pienamente nella loro lettera formale e nella collocazione, eventuali arricchimenti.
Oggi si discute dell'articolo 12 della Costituzione, ma ritengo che in un prossimo futuro, spero non lontano, si possa tornare, come abbiamo fatto nella scorsa legislatura, ad ipotizzare, con grande equilibrio, un arricchimento ulteriore dell'articolo 9 della Carta costituzionale, senza nulla cambiare del testo oggi vigente, ma aggiungendo un elemento di arricchimento giuridico e culturale per quanto riguarda la tutela degli ecosistemi e dell'ambiente come è stato fatto recentemente nella Costituzione francese e, meno recentemente, in quella tedesca e in varie altre Costituzioni nobilissime di paesi dell'Unione europea, in ordine a materie che non potevano essere percepite nella loro importanza quando tali Costituzioni furono approvate.
La discussione che oggi ci accingiamo a svolgere è di grande importanza sotto il profilo della delicatezza della revisione costituzionale, da intendere però nel senso dell'innovazione e non in quello della sostituzione di uno dei principi fondamentali della Costituzione. Si tratta di una discussione importante anche con riferimento al merito specifico dell'innovazione Pag. 37ed al modo in cui tale questione si è posta nel corso delle ultime tre legislature (XIII, XIV e XV).
È assolutamente necessario affrontare la discussione di un provvedimento che prevede l'inserimento in Costituzione del principio - una norma a tale riguardo esiste già nell'ordinamento - in base al quale si riconosce l'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica. Si tratta di un aggiornamento - per usare un termine giovanneo che fa riferimento all'epoca in cui si svolse il Concilio Vaticano II - che però deve essere depotenziato di qualunque carica ideologica. Non voglio attizzare polemiche, semmai le voglio spegnere, ma non c'è dubbio che, se rileggiamo il testo delle due relazioni che accompagnano le due proposte di legge presentate dai colleghi di Alleanza Nazionale, che sono condivisibili nel merito, questa carica ideologica purtroppo è fortissimamente presente con l'unica attenuante, che mi permetto di sottoporre all'attenzione dei colleghi, anche di Alleanza Nazionale, che quelle relazioni sono state identiche - per curiosità le ho rilette - nella XIII, nella XIV e nella XV legislatura. Proposte presentate nella XIII legislatura, se non ricordo male su ispirazione di un ex collega, molto anziano ma tuttora molto attivo e vitale, Pietro Mitolo, ma aventi, come detto, una forte carica di contrapposizione ideologica assolutamente non condivisibile.
Contrapposizione ideologica a che cosa? Alla tutela delle minoranze linguistiche, che è prevista nell'articolo 6 della Costituzione, così come si è realizzata in alcune regioni a statuto speciale e, in modo molto particolare, nella regione Trentino-AltoAdige/Südtirol, alla quale appartengo e nella quale vengo eletto.
Risulta indispensabile, quindi, ricostruire cosa è avvenuto nella XIII legislatura ed accennare al dibattito che si è svolto nell'Assemblea costituente. Nella XIII legislatura, purtroppo contrastata fortissimamente da settori del centrodestra di allora, venne approvata un'importantissima legge, la legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante «Norme a tutela delle minoranze linguistiche storiche». Ci sono volute, signor Presidente, rappresentante Governo, colleghi, ben tredici legislature perché, finalmente, si arrivasse ad attuare, sul piano nazionale, il disposto dell'articolo 6 della Costituzione che, dal 1o gennaio 1948, recita solennemente e castigamente: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». La legge di attuazione sul piano nazionale risale, quindi, alla fine del 1999 e sono orgoglioso di aver contribuito alla sua stesura, insieme all'allora relatore, il collega Maselli, e di essermi battuto per la sua approvazione.
In precedenza, erano stati approvati lo statuto speciale della Valle d'Aosta, con la tutela della minoranza di lingua francese, e quello del Trentino-Alto Adige/Südtirol, con la tutela sia della minoranza di lingua tedesca, che è in maggioranza nel territorio della provincia autonoma di Bolzano, sia della minoranza di lingua ladina, per quanto riguardava, allora, quel territorio. Ricordo che questi statuti speciali risalgono al 1948 e che la nuova formulazione dello statuto del Trentino è stata approvata nel 1972, con alcune modifiche effettuate alla fine della XIII legislatura.
Ancora nella XIII legislatura, più specificatamente al termine della stessa, oltre alla già citata e fondamentale legge n. 482 del 1999, fu approvata la legge n. 38 del 2001 a tutela della minoranza slovena nella regione Friuli-Venezia Giulia, anch'essa, purtroppo, contrastatissima non da tutti, ma da alcuni settori del centrodestra.
Ricordo ancora che, nella stessa legislatura, ricchissima, quindi, sotto questo profilo, nella legge costituzionale di modifica dei cinque statuti delle regioni a statuto speciale, approvata verso la fine della stessa, all'articolo 4, che riguardava lo statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol, furono, su nostra iniziativa, introdotte alcune norme a tutela anche delle minoranze linguistiche presenti nella provincia autonoma di Trento e non soltanto di quelle della provincia autonoma di Bolzano. Mi riferisco ai ladini della Val di Fassa, ai Mocheni della Valle del Fersina e ai Cimbri della Luserna, piccole minoranze Pag. 38linguistiche (la più consistente è quella dei ladini, seguita dai Mocheni, che riguardano quasi un'intera valle e, poi, dai Cimbri attinenti ad un solo comune) che avevano pieno diritto ad una tutela che in passato non era stata prevista esplicitamente.
Il tema della tutela delle minoranze linguistiche fu affrontato con molta attenzione dall'Assemblea costituente. La norma costituzionale (l'articolo 6), collocata nei principi fondamentali della Costituzione, inizialmente fu elaborata dalla Commissione dei settantacinque, perché fosse inserita nell'ambito del Titolo V, che riguarda le autonomie regionali e locali, e, quindi, nella seconda parte della Costituzione. A differenza della proposta originaria della Commissione dei settantacinque, nell'Assemblea costituente il tema fu radicalmente ripensato e trattato non come una questione specifica riguardante le autonomie regionali, ma come un principio fondamentale della Costituzione repubblicana.
L'Assemblea costituente volle togliere la norma dal Titolo V dove l'aveva ipotizzata la Commissione dei settantacinque - la maggioranza dell'Assemblea - e la volle inserire nei principi fondamentali subito dopo l'articolo 5, un articolo che - come tutti noi ricordiamo - recita nella sua parte iniziale che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali.
Anche in questo caso, senza polemiche a posteriori - che non servono più a nulla, essendo ormai nel 2006 - ma semplicemente ai fini di una ricostruzione storica che ci permetta di capire cosa è avvenuto, permettetemi di sottolineare le ragioni di questa scelta fondamentale da parte dell'Assemblea costituente. L'articolo 6 della Costituzione repubblicana recita che la Repubblica tutela (l'espressione usata non è «può tutelare», bensì «tutela») con apposite norme le minoranze linguistiche, perché non c'era, all'epoca, una norma sull'ufficialità della lingua italiana che già allora comunque esisteva nell'ordinamento. Perché tutto questo? Si usciva - ciò si ritrova nel dibattito dell'Assemblea costituente - da vent'anni di regime fascista, di oppressione e di espropriazione dei diritti delle minoranze linguistiche. Non si poteva usare la propria lingua, erano stati addirittura cambiati i cognomi, aboliti i toponimi e così via per vent'anni. Per questo motivo, i costituenti vollero introdurre la norma precettiva secondo cui la Repubblica tutela (non, invece, «può tutelare») con apposite norme le minoranze linguistiche e inserirla nei principi fondamentali, dove si hanno già l'articolo 2, sui diritti inviolabili dell'uomo (uno dei diritti inviolabili dell'uomo consiste nell'uso della propria lingua); l'articolo 3, sulla pari dignità ed eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, religione ma, soprattutto, di lingua; l'articolo 5, che poco fa ho già citato e, subito dopo, l'inserimento dell'attuale articolo 6. Come è già stato ricordato, la legge n. 482 del 1999, la prima legge di organica attuazione dell'articolo 6, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», all'articolo 1 afferma solennemente che la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.
Quindi, di per sé, tutto ciò di cui stiamo discutendo oggi in sede costituzionale è pacifico e proprio per tale ragione può essere opportunamente acquisito e inserito nel testo costituzionale.
Tuttavia, è interessante ricordare che è all'articolo 1 della legge sulle minoranze - nel suo incipit - che troviamo - come è giusto che sia - l'affermazione per cui la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.
Vorrei però ricordare più puntualmente e retrospettivamente che l'italiano, come lingua ufficiale, era già nell'ordinamento sia postcostituzionale che precostituzionale, per esempio nella legge sul notariato, la n. 89 del 1913, all'articolo 54; molto più avanti, nell'ordinamento dello stato civile, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, agli articoli 19, 22 e 34; nel Codice di procedura penale, all'articolo 109; nel Codice di procedura civile, all'articolo 122; nello stesso Statuto della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, all'articolo 99 e in moltissime Pag. 39altre leggi o norme specifiche di settore, che non cito puntualmente solamente per ragioni di tempo.
Pertanto, il fatto che nella XIII legislatura venne inizialmente presentata quella proposta di legge costituzionale sull'articolo 12 per il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica aveva un suo fondamento, perché già nell'ordinamento è così e, quindi, è senz'altro un fatto positivo riconoscerlo anche in Costituzione (non era previsto in Costituzione per le ragioni storiche che poco fa ho ricordato).
Tuttavia, le motivazioni non condivisibili con cui quella proposta era sostenuta ideologicamente - basta leggere i due testi identici e le due relazioni identiche - erano in polemica con la tutela delle minoranze linguistiche, specificamente nei confronti della minoranza di lingua tedesca del Trentino-Alto Adige/Südtirol. Si tratta di una polemica assolutamente sbagliata, infondata costituzionalmente e non condivisibile, anche se era condivisibile il testo dell'innovazione costituzionale proposta.
Nella XIV legislatura le varie proposte di legge costituzionale, fra cui una da me presentata insieme al collega Bressa ed alla collega Amici, furono approvate in un testo unificato alla Camera, ma con un dissenso della gran parte del centrosinistra sull'aggiunta ulteriore del comma secondo cui: la Repubblica valorizza gli idiomi locali. Vi fu molta polemica in quest'aula, come si evince dai documenti riguardanti il dibattito nel quale sono personalmente intervenuto. Personalmente, a nome dei Verdi, non mi dichiarai contrario rispetto a quel principio da inserire in Costituzione. L'Assemblea si spaccò sostanzialmente a metà: il testo fu approvato ma, come ha ricordato poco fa il presidente Violante, si arenò nell'aula del Senato, anche per dissensi interni alla maggioranza di allora. Ripeto, personalmente ritengo che quella norma non fosse di per sé inaccettabile.
In questa legislatura siamo ripartiti con le due storiche - chiamiamole così - proposte di Alleanza nazionale (e, purtroppo, con le due identiche relazioni assolutamente non condivisibili nell'impianto ideologico che le sostiene), una proposta di legge presentata da me, a nome del gruppo dei Verdi, ed una proposta di legge presentata dal collega Zaccaria, firmata anche da me e da numerosi colleghi del suo gruppo e di altri gruppi del centrosinistra. Il testo approvato in I Commissione in sede referente, relatore il collega Bocchino, si è fatto positivamente carico - per questo il mio è giudizio positivo: ho cercato di ricostruire le vicende non per caricarle di polemiche, ma per depotenziarle, in vista dell'auspicabile risultato finale - di tutte le preoccupazioni emerse nelle scorse legislature. Si tratta di un testo condivisibile ed equilibrato che recita: «All'articolo 12 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali». Pertanto, ogni sospetto di un uso strumentale, ideologico o unilaterale di questa norma viene fugato dal risultato che abbiamo ottenuto con larghissimo accordo in Commissione e con un dibattito che, salvo qualche rara eccezione, si è svolto in modo sereno ed equilibrato.
Il 18 ottobre 2006, abbiamo anche ascoltato il presidente, il vicepresidente ed un componente dell'Accademia della Crusca che ci hanno fornito una loro memoria scritta: mi riferisco al professor Francesco Sabatini, presidente, alla professoressa Nicoletta Maraschio, vicepresidente, ed al professor Vittorio Coletti, socio nazionale dell'Accademia della Crusca. Al di là di questo nome che può suscitare, in chi non ne conosce la storia gloriosa, qualche ironia, in realtà da questi tre altissimi esponenti, tutti ordinari di storia della lingua italiana (il primo all'università di Roma, la seconda all'università di Firenze, il terzo all'università di Genova), abbiamo ascoltato considerazioni di grande intelligenza, sapienza storica ed esperienza sotto il profilo della materia specifica della Pag. 40linguistica ed anche un suggerimento terminologico che abbiamo unanimemente accolto.
Quindi, da una parte vi è l'audizione informale, svolta il 18 ottobre 2006, di esponenti dell'Accademia della Crusca (e faccio riferimento alla memoria scritta, che ritengo di grande interesse, che è stata depositata in Commissione), dall'altra emerge, nell'ambito del testo approvato in sede referente (e che ho testè citato testualmente) la necessità di inserire, all'articolo 12 della Costituzione, questa nuova norma in forma complementare rispetto alle altre garanzie costituzionali. Mi riferisco all'articolo 2 della nostra Carta (diritti inviolabili dell'uomo), all'articolo 3 (uguaglianza dei cittadini senza discriminazione di lingua), all'articolo 6 (la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche) e, ovviamente, alle relative norme di attuazione (in particolare, la più volte citata legge n. 482 del 1999).
Bisogna fare riferimento, inoltre, alle garanzie previste non solo dalla Costituzione, ma anche dalle altre leggi costituzionali, in particolare dagli statuti speciali della Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, del Trentino-Alto Adige/Südtirol e del Friuli Venezia Giulia. In tal modo, ogni strumentalizzazione nazionalistica (cosa diversa dall'entità nazionale) è evitata in radice.
Ribadisco, dunque, che abbiamo varato di comune accordo e con grande consenso un provvedimento assolutamente equilibrato.
Sotto il profilo del diritto costituzionale comparato, vorrei altresì ricordare che nel 1992, in sede di ratifica del Trattato di Maastricht, il Parlamento francese ha inserito nella Costituzione, per la prima volta, il riconoscimento del francese quale lingua della Repubblica (perché non era previsto). Infatti, l'articolo 2, comma 1 della Costituzione francese, così come novellato nel 1992, recita che: «La lingua della Repubblica è il francese».
Tuttavia, ritengo maggiormente interessante, sotto l'aspetto che ci interessa, ciò che è attualmente previsto dall'articolo 8 (anche in tal caso, quindi, rientra tra i principi fondamentali) della Costituzione austriaca, che leggo testualmente: «La lingua tedesca è la lingua ufficiale della Repubblica, senza pregiudizio dei diritti che la legislazione federale riconosce alle minoranze linguistiche». Vorrei osservare che il nostro testo è più essenziale, ma è sostanzialmente analogo a quanto ho testè illustrato all'Assemblea.
Vorrei da ultimo ricordare (anche perché si tratta di una delle Carte più recenti) la Costituzione spagnola, il cui l'articolo 3 reca un testo abbastanza lungo, ma interessante da leggere. Tale articolo, infatti, recita che: «Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla ed il diritto di usarla. Le altre lingue spagnole saranno anch'esse ufficiali nelle rispettive comunità autonome in armonia con i loro statuti. La ricchezza dei diversi linguaggi della Spagna è un patrimonio culturale che deve formare oggetto di rispetto e protezione speciali».
Vorrei osservare che il testo spagnolo è un po' ridondante, tuttavia lo trovo di grandissimo interesse. Infatti, da una parte vi è la lingua ufficiale e, dall'altra, si prevede il riconoscimento delle altre lingue, nonché l'uso parificato, così come è contemplato nei nostri statuti regionali speciali. Tale testo, inoltre, fa comprendere che potrebbe essere accoglibile un'ipotesi. Ricordo che ho avanzato siffatta ipotesi sia nella mia proposta di legge n. 1782, sia negli emendamenti da me presentati, anche se non intendo insistere troppo, se non si registrerà un largo consenso. Infatti, alla formulazione oggi all'esame dell'Assemblea, più volte ricordata, si potrebbe aggiungere un comma che preveda che: «la Repubblica valorizza gli idiomi locali». Il testo spagnolo, del resto, ci fa comprendere che si tratta di una tematica non soltanto italiana.
In tal modo, si avrebbe una sorta di «stratificazione»: al vertice, ovviamente, vi sarebbe l'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica; ad un secondo livello, avremmo la normativa sulla tutela delle minoranze linguistiche, le quali risulterebbero Pag. 41anche parificate sui territori tutelati dagli statuti speciali; al terzo livello, più in basso (ma comunque significativo ed importante), vi sarebbe non l'ufficialità o la tutela, ma la valorizzazione degli idiomi locali.
So che altri colleghi sia di centrodestra, sia di centrosinistra non sono d'accordo su questo punto, ma per la ricchezza del nostro dibattito, anche sotto il profilo storico-culturale, desidero ricordarlo. Ribadisco pertanto che, al di là dell'inserimento o meno di questa ulteriore disposizione, in ogni caso ritengo il testo predisposto dalla I Commissione, così come è stato oggi prospettato all'Assemblea, pienamente condivisibile, assolutamente equilibrato ed interamente inserito nel contesto delle nostre garanzie costituzionali.
Vorrei da ultimo ricordare, signor Presidente, che abbiamo sottoscritto e ratificato il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966. Esso è stato ratificato e reso esecutivo, purtroppo, con undici anni di ritardo, con l'approvazione della legge 25 ottobre 1977, n. 881. Desidero citare testualmente l'articolo 27 di tale Patto.
«In quegli Stati nei quali esistano minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione e di usare la propria lingua in comune con gli altri membri del proprio gruppo». Ho voluto fare questa citazione di un patto internazionale di grandissima importanza a livello mondiale, che noi abbiamo in precedenza sottoscritto e ratificato, rispettivamente fin dal 1966 e dal 1977, perché è un completamento del sistema di norme nell'ambito del quale oggi si inserirà, se questa proposta di innovazione costituzionale avrà seguito, come mi auguro, anche questa norma che prevede che l'italiano sia la lingua ufficiale della Repubblica, nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali.
Credo che questo excursus storico, politico, culturale ed istituzionale sia servito, per i colleghi che magari non hanno partecipato alle «tappe» precedenti, a capire che - forse, e me lo auguro - oggi potrebbe essere maturo il momento per approvare ed inserire questa norma nella Costituzione, in un ambito di grande equilibrio costituzionale. Mi auguro - so che vi sono anche alcuni dissensi, rispettabilissimi - un'ipotesi di larga convergenza parlamentare, perché solo con un'ipotesi di larga convergenza parlamentare è possibile immaginare di innovare il testo costituzionale, in particolare di innovare un testo che riguarda l'ultimo dei dodici articoli dei principi fondamentali della nostra Repubblica. Grazie per l'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, in apertura del mio intervento vorrei ringraziare l'onorevole Boato.
MARCO BOATO. Perché sono leale!
ROBERTO COTA. Lo faccio perché devo dire che anche nei lavori della Commissione l'onorevole Boato è stato molto leale. Oggi, in aula, ci ha fatto un excursus molto interessante ed anche equilibrato dei corsi e ricorsi storici.
Signor Presidente, noi non abbiamo dubbi, nel senso che l'italiano è la lingua che noi tutti parliamo e nessuno lo vuole mettere in dubbio. Allora, il problema non è se in quest'aula dobbiamo parlare un'altra lingua oppure se nella vita di tutti giorni e con riferimento agli atti dello Stato non si debba più parlare l'italiano. Il problema è che cosa rappresenta questo provvedimento, che segnale dà questo provvedimento, che bisogno sottende questo provvedimento. Dopo tanti anni dall'approvazione della Costituzione, in cui non era stato inserito un articolo come questo, inserire tale articolo senza accogliere, peraltro, gli emendamenti che noi Pag. 42abbiamo proposto ha un solo significato, ed è il significato che il presidente Violante ci ha dato poco fa, nel suo intervento introduttivo: questa è la risposta ad alcune spinte centripete, ossia questa è la risposta di fronte ad istanze, legittime, di federalismo e di autonomia che prendono, queste sì, sistematicamente corpo in maniera sempre più forte. E prendono corpo non soltanto con il pronunciamento degli elettori, ma perché consideriamo anche il fatto che la maggioranza degli elettori al nord ha detto una certa cosa (anche se l'ha detta con riferimento ad una modifica della Costituzione che non riguardava direttamente quei territori, ma riguardava il complesso dei territori dello Stato). Se quella riforma avesse riguardato soltanto i territori delle regioni interessate, il «sì» sarebbe stato ancora maggiore ed ancora più incisivo.
Come dicevo, non soltanto le istanze di federalismo hanno questo tipo di consenso popolare, ma anche gli stessi amministratori locali e rappresentanti istituzionali delle regioni, indipendentemente dalla loro collocazione politica, sono favorevoli alla rivendicazione dell'autonomia e del federalismo e, più in generale, dell'identità.
Al riguardo, penso alla presidente della regione Piemonte, la quale - anche non appartenendo al centrodestra - ha dichiarato nell'ambito del consiglio regionale (sede pubblico-istituzionale) d'essere favorevole al federalismo, all'attribuzione in capo al Piemonte di una serie di competenze legislative e alla difesa dell'identità regionale.
A fronte di una simile situazione, approvare un provvedimento di questo tipo rappresenta un segnale sbagliato nei confronti del Paese e delle istanze di autonomia e di federalismo che arrivano dal territorio. Stiamo parlando di un segnale statalista e centralista che si pone in contrasto con le singole identità; infatti, se così non fosse, sarebbero stati accolti, ad esempio, gli emendamenti presentati dalla Lega.
È proprio per questo motivo che, poco fa, ho ringraziato il collega Boato: egli, infatti, ha avuto nei confronti del provvedimento un approccio equilibrato e non ideologico. In Commissione, Marco Boato si è detto favorevole al testo unificato, ma anche ai nostri emendamenti, tanto che anch'egli ha presentato un emendamento in tutto e per tutto convergente con il nostro.
Per quanto ci riguarda, abbiamo chiesto che assieme alla lingua italiana venissero riconosciute, mediante una legge regionale, anche le lingue storiche regionali; inoltre, secondo noi, il pronunciamento dei consigli regionali può estrinsecarsi in una delibera e non in una legge. Infine, abbiamo proposto che la Repubblica valorizzi gli idiomi locali e la stessa richiesta, come ricordato in precedenza, è stata avanzata anche dall'onorevole Boato.
Non abbiamo nulla contro l'italiano, ma non vogliamo che questa legge assuma un significato sbagliato, riaffermando il concetto di uno Stato centralista contro le autonomie e le identità dei territori.
Non vi è momento più sbagliato di questo per approvare una legge con tali caratteristiche. S'intende introdurre in Costituzione una norma che rappresenta soltanto un orpello, una questione di forma, e non si sente il bisogno di realizzare una modifica di sostanza che attribuisca alle regioni il federalismo vero, il federalismo fiscale.
Quindi, perché non si approva questa legge dopo aver risposto positivamente a quelle regioni del nord che chiedono nuove competenze e l'attivazione del federalismo fiscale?
Con riferimento alla tutela delle lingue regionali, vorrei anche dire ai pochi colleghi presenti in aula che essa è sentita - parlo da piemontese, ma lo stesso potrebbero sostenere i veneti - in maniera così forte che in molti statuti regionali si sono riaffermati principi legati alla tutela degli idiomi e delle culture locali e regionali.
Preferisco parlare in proposito di culture dei territori. Ebbene, questi princìpi sono stati non solo inseriti all'interno dello statuto, ma anche approvati a larga maggioranza. Quindi, questa impostazione crea davvero un solco tra il «palazzo», cioè lo Stato che vuole essere sempre più Pag. 43centralista, e i territori, che si coalizzano in nome della propria autonomia e della difesa della propria identità, dei propri interessi e di valori più alti ed altrettanto importanti.
Per questi motivi, il gruppo della Lega ha compiuto la scelta in sede di Commissione di non partecipare al voto finale e di presentare questi emendamenti - e ancora speriamo che possano essere approvati - affinché questa legge non dia un segnale sbagliato di debolezza. Infatti, uno Stato che sente il bisogno di dare questa impostazione si presenta debole, invece di mostrarsi forte. Non è un segnale di forza. Se poi vogliamo parlare di ideologia, abbiamo agito in questa maniera perché questa legge non si presenti come una «marchetta» ideologica, basata su un'ideologia che riteniamo sbagliata (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, non mi farò trarre, non dico in inganno, ma neppure in fascinazione dall'intervento dell'onorevole Cota perché altrimenti dovrei subito «metterla in politica», affermando che il disegno di legge in esame - nonché quelli analoghi presentati nelle precedenti legislature -, relativo alla modifica dell'articolo 12 della Costituzione, segue una spinta molto politica, volta a prevenire i mali che potrebbero derivare dalle ragioni esposte dall'esponente della Lega. Quindi, non seguirò l'esempio dell'onorevole Cota - di cui ho ascoltato l'intervento e del quale rispetto pienamente le motivazioni - per tentare invece di motivare ai presenti e a coloro che leggeranno il mio intervento dubbi ed ostacoli presenti sul cammino che porta all'approvazione di tale provvedimento. Lo farò partendo da alcune considerazioni, di cui la prima è relativa all'identità di una nazione, la seconda verte su questioni strettamente costituzionali e la terza riguarda direttamente l'italiano.
Sgombrando il campo da eventuali equivoci, vorrei subito chiarire che nessuno in quest'aula - compresi il sottoscritto e i colleghi di Rifondazione Comunista - non intende valorizzare pienamente la lingua italiana, le civiltà succedutesi sulla nostra penisola e l'importanza universale del contributo che la civiltà italiana ha dato - e sta dando - al mondo. Tuttavia, su tale aspetto vorrei tornare nell'ultima parte del mio intervento.
Intanto, vorrei affrontare una prima questione, sollevata dall'onorevole Boato sia in Assemblea che in Commissione. Infatti, egli ha parlato di una sacralità - intesa laicamente - dei princìpi della nostra Carta costituzionale. L'onorevole Boato - così come ha fatto il presidente Violante nel corso della sua sobria relazione - si è giustamente premunito di comprendere i motivi per i quali oggi è importante introdurre l'ufficialità della lingua italiana nella Costituzione. L'onorevole Boato - così come, con motivazioni più politiche e sociologiche, ha argomentato l'onorevole Violante - ritiene che la lingua italiana, anche grazie al modo in cui si è sviluppata, non autoritario né statalista, possa essere oggi un fondamento dell'unità della nazione. Io penso, onorevole Violante e onorevole Boato, che se c'è una lezione da trarre dall'andamento delle costruzioni delle Carte costituzionali dopo la seconda guerra mondiale, essa a mio avviso sta nel fatto che si debba parlare giustamente di una sacralità laica della Costituzione, nel senso che non ci sono i simboli a rendere comune un destino di un popolo. In verità, quel che fonda l'unità di un popolo e lega i cittadini l'un l'altro è il patto costituzionale. Infatti, se noi ci affidassimo alla simbologia e ai famosi segni, potremmo commettere un errore. Certo, occorre anche che vi sia un'adesione sentimentale alla convivenza civile; tuttavia, il fondamento di quest'ultima e il patto di cittadinanza stanno nei diritti costituzionali e nel patto che reciprocamente un cittadino ed una cittadina fanno, l'un l'altro. Questo è anche il fondamento, a mio avviso, del motivo per cui in Europa - mi si consenta la parentesi, ma è per chiarire meglio il mio pensiero - può nascere una Costituzione democratica europea, Pag. 44pur non esistendo un popolo europeo. Infatti, sappiamo che siamo decine di popoli che costituiscono - per fortuna! - questa nostra Europa. Ritengo che la costruzione di un popolo ha carattere storico e che la sanzione di quest'ultima risiede nella Carta costituzionale e nei principi costituzionali. Ha ragione, quindi, l'onorevole Boato nel dire che vi è una sacralità dei principi.
Signor Presidente, non devo fare della retorica nel richiamare il fatto che stiamo toccando non la prima parte della Costituzione, bensì i principi della nostra Carta costituzionale e utilizziamo l'introduzione della lingua italiana come lingua ufficiale nel dodicesimo principio della nostra Costituzione. Quest'ultimo tocca un simbolo. Noi pertanto utilizziamo in maniera distorta una simbologia per tentare di dare unità al nostro popolo. Essa sta nel patto rinnovato, anche con l'ultimo referendum, con i valori della nostra Carta costituzionale. Questo è, secondo me, il patriottismo di cui hanno parlato Rusconi e Habermas; un patriottismo democratico, nel senso che i valori democratici della Carta costituzionale ed il patto comune tra i cittadini fondano una nazione.
Di questo la nostra collega Graziella Mascia ha parlato in Commissione, riferendosi soprattutto all'identità nazionale di cui ha fatto un suo punto di critica anche nella passata legislatura. Inoltre, vorrei ricordare all'onorevole Boato - considerato che anch'io sono andato a rileggere gli atti della passata legislatura - che egli si è dovuto continuamente difendere da una lettura nazionalistica. Lo ha fatto stamattina, con estrema intelligenza e sobrietà, anche l'onorevole Violante, dicendo che vi sono due approcci alla modifica dell'articolo 12 della Costituzione, uno di destra e uno di sinistra: uno che esalta l'identità nazionale e l'altro che invece sottolinea un valore democratico, il quale ancora, tuttavia, non ho discoperto.
E vengo al secondo punto, onorevole Violante. Ovviamente mi rivolgo anche all'onorevole Zaccaria qui presente che, essendo docente di diritto costituzionale, spero si possa convincere dell'erroneità della proposizione da lui formulata nel tentativo di contenere i danni che possono intervenire quando poniamo nella Costituzione l'italiano quale lingua ufficiale.
Onorevole Zaccaria, prima di intervenire sono andato a rileggere quali sono i soggetti a cui la Carta costituzionale fa riferimento. Mi si consenta, visto che parlo ad un professore di diritto costituzionale, ma è solo per sottolineare il volgere ed il ritmo del mio intervento, di ricordare che la nostra Carta costituzionale si rivolge ai cittadini, alle persone, a tutti. Non a caso essa si riferisce a tali soggetti, in quanto parla di diritti universali, di diritti da attribuire ad ogni persona, in quanto essere umano o in quanto cittadino, a seconda dei diritti che vengono concessi.
Onorevole Zaccaria, non troverà mai nella Costituzione italiana un diritto afferente alla maggioranza dei cittadini italiani. Lei ha dovuto far riferimento, nel comma aggiuntivo che riguarda il riconoscimento della ufficialità della lingua italiana, alle garanzie e alle leggi costituzionali perché ha percepito perfettamente - lo dimostrerò con le carte relative ai lavori dell'Assemblea costituente e alla Corte costituzionale - che, disciplinando questo istituto, stiamo disciplinando un diritto della maggioranza degli italiani rispetto alle minoranze. Non c'è Carta costituzionale moderna che regoli i diritti della maggioranza: i diritti sono della minoranza perché quelli della maggioranza, al più, potranno essere relativi al procedimento politico, disciplinato nella seconda parte della Costituzione. Neanche in quella parte, tuttavia, troviamo un riferimento alle maggioranze, ma alle istituzioni e al Governo, sorretti, appunto, dalle maggioranze.
Nella prima parte della Carta costituzionale, quella relativa ai principi fondamentali, non c'è alcun riferimento ai diritti della maggioranza. Per questo motivo, onorevole Boato, il costituente non si è riferito alla lingua italiana e non per ragioni storiche, non a causa del momento storico, cioè l'immediato dopoguerra. Quella circostanza era un fatto contingente che può averlo reso molto sensibile Pag. 45ai problemi delle minoranze linguistiche. Il costituente sapeva che, quando si disciplinano i diritti, bisogna regolamentare quelli posti in favore delle minoranze oppure quelli attribuiti a tutte le persone presenti nella società nazionale. Per questo motivo, non è stata disciplinata la lingua della maggioranza degli italiani, per non incorrere nell'errore di attribuire, in Costituzione, un diritto alla maggioranza. Infatti, come giustamente ha ricordato l'onorevole Boato questa mattina, la norma relativa alle minoranze linguistiche, non a caso, è stata spostata, dalla seconda parte della Costituzione a quella relativa ai principi fondamentali, cioè all'articolo 6. È giusto disciplinare i diritti delle minoranze nella Costituzione perché sono diritti che si esercitano contro la maggioranza. Ecco la risposta che mi attendo da lei, onorevole Zaccaria. I diritti, in Costituzione, sono previsti e disciplinati contro la maggioranza e contro la possibilità che la maggioranza usufruisca del suo potere per contenere, comprimere e reprimere i diritti della minoranza. Se una disciplina è prevista, nella Carta costituzionale, è quella dei diritti della minoranza. Il motivo, quindi, non è il fatto contingente e storico che ci può semplicemente rappresentare l'humus culturale per comprendere il motivo per cui i padri costituenti furono spinti in quella direzione. L'onorevole Boato avrà sicuramente letto, conoscendo la sua cultura in materia, la relazione preparata dal Ministero per la Costituente per l'Assemblea costituente. In tale relazione si evidenzia con molta nettezza tutto questo. Il Ministero per la Costituente rifiutò la nozione di minoranza etnica, ma riconobbe l'esistenza, in Italia, del problema delle minoranze linguistiche e suggerì di affrontarlo. A mio avviso, vi è proprio un errore culturale e di tecnica legislativa nella dizione proposta all'Assemblea.
Un'altra argomentazione, signor Presidente, riguarda il fatto che noi abbiamo un convitato di pietra in questa discussione. In questo caso, sono non le minoranze linguistiche, che ricevono una tutela nell'articolo 6 della Costituzione e nella legge del 1999, ma sono i migranti e le migranti. Questo è il vero problema che è davanti a noi. Infatti, quando, nel 2006, si parla di identità, non si tratta dell'identità della nazione italiana, che è cosa acquisita al punto che possiamo permetterci di entrare a far parte dell'Europa con il nostro patrimonio e di fondare una nuova società sovranazionale (di questo, spero, potremo parlare in altre occasioni, quando avremo modo di discutere della Costituzione europea). Il problema è quello di difendere, presuntivamente, l'italianità nei confronti delle nuove correnti di migranti. Faccio anche una previsione e, cioè, che le forze del centrodestra stanno lavorando per inserire in Costituzione questa norma perché vorranno vincolare anche l'attribuzione della cittadinanza alla conoscenza della lingua italiana (Commenti del deputato Menia).
Vorrei fare un riferimento sociologico. Se esaminate i dati forniti dal Servizio studi della Camera che, come al solito, è preparatissimo in materia, relativi alla Germania, agli Stati Uniti d'America e al Canada, vi accorgerete che i migranti di seconda generazione naturalmente parlano la lingua del luogo.
I migranti di prima generazione, ovviamente, hanno difficoltà a comunicare nella lingua che incontrano (in questo caso l'italiano), mentre quelli di seconda generazione si integrano perfettamente e conoscono a menadito, per svolgere le funzioni sociali ed intessere relazioni umane, la prima lingua. Pertanto, non sussiste nemmeno il problema di difesa dell'italiano o di affermare, a fronte dei pericoli che stanno nascendo, la caratteristica peculiare dell'italiano.
Mi si consenta una seconda considerazione di ordine culturale. Ha fatto bene l'onorevole Boato a riferirsi al documento prezioso - anch'io lo condivido - dei rappresentanti dell'Accademia della Crusca.
Cosa hanno affermano di interessante gli Accademici della Crusca sull'articolo 12 (lo riconosco, sarei un ipocrita a misconoscerlo)? Il francese, come sappiamo, fu imposto da una serie di leggi e fu parte del Pag. 46processo di centralizzazione e della costruzione dello Stato francese (i primi dispositivi risalgono a Francesco I che, nello sforzo della monarchia verso lo Stato nazionale, utilizzò l'omogeneizzazione linguistica per imporre gli istituti della monarchia).
Secondo gli Accademici della Crusca, rispetto a questo tipo di fenomeni, l'italiano gode di una particolarità preziosa che deve essere motivo di riflessione in questa Camera: è vero che l'italiano è stato imposto come lingua ufficiale pubblica dopo l'unità d'Italia, ma è anche vero che, per processi spontanei, cui hanno collaborato i letterati, gli scienziati e la gente comune, con il loro parlare, si è costituita, a partire dal Cinquecento, una lingua, quella italiana, che è divenuta predominante in ambiti letterari colti ed è la lingua utilizzata in maniera più vasta.
Questo processo evolutivo della lingua italiana, che ha caratterizzato la società civile italiana, è un bene prezioso che, a mio avviso, dovrebbe essere preservato e non ostacolato, paralizzato con una norma di rango addirittura costituzionale.
Ritengo che questa caratteristica della nostra lingua, così bella, ricca e aperta al contributo delle altre lingue (al riguardo, Elettra Deiana, in un bellissimo intervento svolto nella passata legislatura, ha spiegato come l'italiano si sia andato arricchendo), si pone a garanzia del fatto che non solo l'italiano è vivo e vegeto, ma continuerà a svilupparsi; quindi, dovremmo preoccuparci piuttosto di avere una politica di diffusione dell'italiano all'estero, di rafforzamento dei nostri istituti culturali, di promozione della nostra lingua nel mondo, perché si conosca direttamente il nostro ricchissimo patrimonio letterario e scientifico.
Certo, non è con questa gabbia, con questa struttura imposta dall'alto che potremo garantire lo sviluppo della nostra lingua! Ce lo hanno detto anche gli Accademici della Crusca. Dunque, poiché ritengo che la caratteristica tipica delle lingue stia nel rappresentare un elemento storico naturale che si sviluppa in maniera evolutiva, non vi è bisogno assolutamente di apportare una modifica, addirittura scomodando l'articolo 12 della nostra Carta costituzionale, per rendere ufficiale la lingua.
D'altro canto, come ha ricordato l'onorevole Boato, con la legge del 1999, all'articolo 1, viene riconosciuta l'ufficialità della lingua, mentre con altre leggi ne viene disciplinato l'uso nei tribunali, nel notariato, nella pubblica amministrazione.
Vorrei fare due ultime considerazioni. Innanzitutto, ricordiamoci come è stato approvato l'articolo 1 della legge n. 482 del 1999 (cito a mente, ma dovrebbe essere questa). Non fu un prodotto, onorevole Boato, della Commissione, ma fu un prodotto dell'Assemblea, a seguito dell'approvazione degli emendamenti del centrodestra. Rispetto all'articolo 1 della legge del 1999, potrei farmi schermo dicendo che è inutile e ridondante ripetere quella dizione all'interno dell'articolo 12 della nostra Carta costituzionale. Anche in quella legge, che doveva essere di attuazione dell'articolo 6, è stato erroneo - anche se, ovviamente, rispetto quella legge - inserire un articolo nel quale si afferma, come per scusarsi della difesa delle minoranze linguistiche, che l'italiano è la lingua ufficiale.
Vorrei concludere, onorevole Presidente, sperando di non aver rubato troppo tempo, citando la sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 1982. È inutile che vi dica che cosa riguardasse. La Corte fu adita ed affermò: «Diversi sono, tuttavia, i motivi della duplice dichiarazione di non fondatezza. Infatti, a proposito del primo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale, si deve ricordare che la Costituzione afferma, per implicito, che il nostro sistema riconosce l'italiano come lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell'esercizio delle loro attribuzioni».
Giustamente, la Corte costituzionale afferma che ciò è implicito, per il ragionamento che ho fatto prima. Nella Costituzione, non possiamo trovare un diritto della maggioranza, ma, ovviamente, il diritto Pag. 47della maggioranza è implicito. In essa non può che trovare spazio il diritto delle minoranze che, giustamente, la sentenza della Corte richiama.
Infine, se riconosciamo in Costituzione l'ufficialità della lingua italiana, come concepiremo tutte le ufficialità riconosciute negli statuti della Val d'Aosta o del Trentino-Alto Adige/Südtirol? Concederemo delle deroghe; ma, allora, questo carattere di ufficialità nasce già «monco»!
In altri termini, già sappiamo che questa ufficialità risponde semplicemente a ciò che molti deputati e deputate vogliono, ossia il famoso segnale identitario. Noi, come Rifondazione Comunista, questo segnale identitario della nazione italiana - oggi, che stiamo costruendo l'Europa, più di ieri - non vogliamo darlo.
Riteniamo che l'accoglienza, il meticciato, l'incontro fra le culture siano importantissimi e che, dunque, la convivenza delle lingue sia estremamente importante.
Vorrei concludere il mio intervento con un richiamo all'articolo 21 della nostra Carta costituzionale, che l'onorevole Zaccaria ben conosce, perché insegna questa materia da anni. Mi chiedo: il riconoscimento dell'ufficialità della lingua italiana non lede l'articolo 21, che stabilisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola (e non con l'italiano!), qualunque essa sia, lo scritto o ogni altro mezzo di diffusione?
Per tutte queste ragioni di ordine culturale, politico e di redazione costituzionale, farà bene Rifondazione Comunista (ovviamente, si verte in materia costituzionale e, quindi, vi potranno essere anche opinioni differenti) ad esprimere un voto contrario su questa proposta di modifica dell'articolo 12 della nostra Carta costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge costituzionale è rinviato alla parte pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.
La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 15,05.