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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO LUISA CAPITANIO SANTOLINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI VOLONTÈ ED ALTRI N. 1-00071, BERTOLINI ED ALTRI N. 1-00073, FABRIS ED ALTRI N. 1-00075, GASPARRI ED ALTRI N. 1-00076, MARONI ED ALTRI N. 1-00077 E VILLETTI ED ALTRI N. 1-00078
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. La famiglia italiana, fondata sul matrimonio, gode ai sensi degli articoli 29 e 31 della Costituzione di un regime preferenziale, in ragione della sua insostituibile funzione nella società. Infatti è riconosciuta da tutti gli osservatori e da tutti gli esperti, quale vero e unico welfare esistente in Italia da decenni, è ed è sempre stata un formidabile ammortizzatore sociale, è un soggetto economico a pieno titolo, garantisce il ricambio generazionale ed è il luogo di una relazione profonda ed educativa tra i sessi e le generazioni. Ma la famiglia non è solo luogo di affetto e di solidarietà: è una «società naturale», cioè una struttura sociale basata su un patto pubblico tra due persone che, di fronte alla collettività, si assumono responsabilità e compiti e che quei compiti promettono di onorare sulla base di un progetto di vita duraturo e fecondo. Nessuno può negare la verità di queste affermazioni e far finta di ignorare che la società italiana è fortemente in debito con le famiglie italiane per l'insostituibile ruolo che hanno avuto nella storia della Repubblica; nessuno può essere così ideologicamente collocato, da negare che il valore sociale della famiglia fondata sul matrimonio sia incomparabile rispetto a qualunque altra aggregazione o comunità esistente nella nostra come in qualsiasi altra società; nessuno può negare che il principio di uguaglianza impone di trattare nello stesso modo situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse.
Ebbene oggi, rispetto al 1948 ed anche dal punto di vista dei pronunciamenti della Corte costituzionale, le cose non sono cambiate: la distinzione tra la famiglia fondata sul matrimonio e convivenza more uxorio rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha affermato, infatti, nel 1996, che nella considerazione «dei rapporti personali e patrimoniali di coppie nelle due diverse situazioni, considerazione la quale - fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi - tenga presente e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale»; in altre parole, la giurisprudenza costituzionale ha sempre escluso la possibilità di far ricorso all'analogia per applicare alle convivenze more uxorio la disciplina prevista per le famiglie fondate sul matrimonio, in quanto l'analogia «presuppone la similarità delle situazioni, la quale, oltre a non essere presente tra il rapporto coniugale e quello di mera convivenza in sé considerati, non è voluta dalle stesse parti, che nel preferire un rapporto di fatto, hanno dimostrato di non voler assumere i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio» (1998).
Tuttavia da tempo alcune forze politiche hanno sollevato un dibattito sulle «unioni libere» come è più corretto chiamarle, affermando da un lato che è una «battaglia di civiltà», «un progresso nella tutela dei diritti e della non discriminazione» e dall'altro che è un fenomeno chePag. 64riguarda milioni di persone. Anche i media, quasi tutti, parlano delle coppie di fatto quasi fosse una emergenza nazionale, ma nessuno si prende la briga di indicare in modo serio la dimensione di questo enfatizzato «problema». In realtà le coppie di fatto sono meno di mezzo milione (dati Istat 5 gennaio 2006), su 22 milioni di famiglie fondate sul matrimonio, e di queste la metà è fatta da coppie che vivono insieme in attesa di sposarsi e dell'altra metà una parte consistente è costituita da persone con un precedente matrimonio, che non si sposano con il partner per non perdere benefici economici precedentemente acquisiti. Massimo Livi Bocci ha dichiarato che «se è vero che la tendenza è in crescita, soprattutto al Nord e nelle grandi città, le dimensioni del fenomeno sono ancora modeste. Se estendessimo l'esperienza francese all'Italia, non più di 10.000-15.000 coppie farebbero ricorso al nuovo istituto nei primi anni».
Nei 19 registri anagrafici per le coppie di fatto omo od etero sessuali istituiti presso i comuni italiani gli iscritti sono 285.
I sostenitori della regolamentazione delle coppie di fatto invocano l'articolo 2 della Costituzione e contemporaneamente affermano che in ogni caso, mettersi sotto la tutela della legge, sarebbe sempre una scelta libera di coloro che intendono avvalersene. Si può rispondere, come eminenti giuristi hanno fatto, che l'articolo 2 tutela sempre i diritti del singolo, anche nel caso in cui le formazioni sociali nel quale è integrato volessero limitarli e che l'articolo 2 «non può essere invocato per dare rilevanza costituzionale ad alcuna formazione sociale, perché quando la Costituzione lo ha voluto fare lo ha detto espressamente come nel caso dei partiti politici o dei sindacati»; inoltre appare evidente che se lo status di convivenza dovesse giustificare il riconoscimento pubblico di alcuni diritti da parte dello Stato, allora bisognerebbe imporre legalmente a tutte le coppie di fatto tale status, anche a quelle che liberamente convivono senza obblighi, né doveri e che non vogliono essere tutelate.
In realtà non esiste alcun vuoto legislativo, nessun cittadino italiano è discriminato per mancanza di leggi, e chiedere una legislazione sulle coppie di fatto significa pretendere riconoscimenti di diritti senza corrispondenti doveri: in questo modo ogni patto di convivenza «si configura come un rapporto giuridico parassitario a carico della comunità» come è stato recentemente ed autorevolmente affermato dal Prof. Francesco D'Agostino, Presidente emerito del Comitato nazionale di bioetica.
Parlando di convivenze, infine, credo si debba convenire che anche due amici che vivono sotto lo stesso tetto sono conviventi, così come due anziane o vecchie signore che si aiutano negli ultimi anni della loro vita o due operai fuori sede che si mettono insieme per risparmiare sulle spese. Viene da chiedersi: daremo anche a loro la possibilità di accedere alla pensione di reversibilità o alla eredità in caso di decesso del convivente?
Da ultimo è opportuno precisare quanto segue: che per salvaguardare la posizione dei figli nati fuori dal matrimonio l'articolo 30 della Costituzione attribuisce ad essi lo stesso trattamento sul piano giuridico e morale attribuito ai figli nati nell'ambito del matrimonio; che per soddisfare quei pochissimi casi in cui si invoca una tutela specifica, si può ricorrere a semplici atti amministrativi che possono chiarire certe situazioni e permettere le relative soluzioni; che il principio costituzionale secondo il quale è da reputare illegittima ogni discriminazione ingiustificata nei confronti delle persone in conseguenza delle loro scelte sessuali, non può portare a negare che le forme di convivenza tra persone dello stesso sesso abbiano, a prescindere da qualsiasi giudizio di ordine morale, una funzione diversa da quella della famiglia fondata sul matrimonio.
Tutto ciò premesso, la Camera impegni il Governo: ad avviare iniziative di promozione della famiglia fondata sul matrimonio; a non intraprendere, nell'esercizio delle proprie funzioni compresa l'iniziativa legislativa, azioni che possano, attraverso ilPag. 65riconoscimento del rilievo pubblico alle convivenze more uxorio comprese quelle tra persone dello stesso sesso, attribuire a tali formazioni i diritti che vengono acquisiti in conseguenza della formazione di una famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio, come riconosciuto dall'articolo 29 della Costituzione.