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Allegato A
Seduta n. 157 del 15/5/2007
PROPOSTA DI LEGGE: FRANCESCHINI ED ALTRI: NORME IN MATERIA DI CONFLITTI DI INTERESSI DEI TITOLARI DI CARICHE DI GOVERNO. DELEGA AL GOVERNO PER L'EMANAZIONE DI NORME IN MATERIA DI CONFLITTI DI INTERESSI DI AMMINISTRATORI LOCALI, DEI PRESIDENTI DI REGIONE E DEI MEMBRI DELLE GIUNTE REGIONALI (A.C. 1318)
(A.C. 1318 - Sezione 1)
QUESTIONI PREGIUDIZIALI PER MOTIVI DI COSTITUZIONALITÀ
La Camera,
premesso che:
l'iniziativa legislativa si pone in contrasto con diverse norme costituzionali, in particolare, con gli articoli 2, 3 e 51 della Costituzione: l'atto di iniziativa infatti prevede disposizioni che comprimono, per un profilo essenziale, la possibilità che l'ordinamento costituzionale offre al cittadino di concorrere al processo democratico;
l'articolo 51 della Costituzione, in particolare, ha lo scopo di creare le condizioni possibili per assicurare l'accesso della società civile, nelle sue più significative componenti al mondo delle istituzioni politiche;
la proposta di legge si pone in netto contrasto con tali esigenze ed in particolare:
il dettato dell'articolo 11 della proposta di legge (incompatibilità determinate dalla specifica natura del patrimonio del titolare della carica di Governo) individua criteri di carattere generale, di tipo quantitativo o legati alla natura pubblica del committente, prescindendo da valutazioni concrete sul conflitto di interessi, ancorché meramente potenziale;
il combinato disposto dell'articolo 11 e degli articoli 12 (separazione di interessi), 13 (effetti dell'invito all'opzione) e 15 (disciplina del trust cieco), obbligando l'alienazione delle attività imprenditoriali appartenenti a chi riveste le cariche pubbliche, non è conforme e non trova base nella Costituzione: infatti pone l'alienante in condizioni di grave debolezza contrattuale, di cui si avvantaggerebbero i potenziali acquirenti, alterando le posizioni di parità tra i contraenti e la garanzia della concorrenza in un regime di libero mercato, in violazione degli articoli 3 e 41 della Costituzione;
la proposta di legge, sempre in riferimento all'articolo 51 della Costituzione e in relazione alle richiamate previsioni, comporta la violazione del diritto del cittadino di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Tale diritto trova fondamento nell'articolo 3, primo comma, della Costituzione, che afferma l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge «senza distinzione di condizioni sociali», e con il secondo comma che affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Per questo non è possibile ritenere conforme al dettato costituzionale una norma che per il solo fatto di possedere ricchezze, ponga il cittadino di fronte alla scelta tra la rinunzia ai suoi beni e la carica pubblica;
si riscontra poi per un profilo la violazione dell'articolo 41 della Costituzione che sancisce il principio della libertà di iniziativa economica privata, sia pur con le limitazioni previste per la salvaguardia dell'utilità sociale e sicurezza, libertà e dignità umana;
nessuna incompatibilità invece con i principi costituzionali vigenti in tema di diritto di proprietà e di libertà di iniziativa economica privata sembrerebbe configurarsi laddove il ricorso al blind trust riguardasse beni fungibili. Qualora invece l'utilizzo dell'istituto del blind trust per la risoluzione dei problemi connessi ai potenziali conflitti di interesse di chi accede a cariche di Governo riguardasse beni individuati (e segnatamente imprese), potrebbero ipotizzarsi dubbi in riferimento ai principi desumili dagli articoli 42 (tutela del diritto di proprietà) e 43 (trasferimento coattivo di imprese in mano pubblica), giacché il trasferimento dell'impresa che verrebbe a realizzarsi potrebbe essere considerato non indotto da motivi di interesse generale, non essendo ricollegabile alla destinazione del bene ma alla situazione soggettiva del suo titolare;
si riscontra, poi una violazione dell'articolo 76 della Costituzione con riferimento alla genericità dei criteri di delega previsti dall'articolo 21 ai fini dell'integrazione, con decreto delegato, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di conflitti di interessi di amministratori locali, in quanto fa riferimento ai principi e criteri desumibili dalle specifiche e analitiche disposizioni sostanziali e procedurali previste per le cariche di Governo dello Stato, lasciando ampio margine al legislatore delegato;
la formulazione dell'articolo 21 del provvedimento in esame viola altresì l'articolo 81 della Costituzione in quanto attribuisce all'Autorità complesse funzioni di controllo e vigilanza che, in misura variabile in base agli ampi margini di discrezionalità lasciati al legislatore delegato, imporranno grandi spese, per la necessità di provvedere alla ricezione e alla valutazione di un numero elevatissimo di dichiarazioni concernenti le cariche di Governo a livello regionale, provinciale e comunale, senza l'indicazione dei mezzi per farvi fronte;
la creazione di una Autorità indipendente chiamata a esprimere valutazioni di natura politica in base alle quali il titolare di una carica di Governo è messo in condizioni di optare per l'esercizio della funzione o per l'alienazione del suo patrimonio, stravolgerebbe, fra l'altro con legge ordinaria dello Stato, l'attuale quadro dei rapporti tra gli organi costituzionali come previsto in Costituzione. In particolare si romperebbe il vincolo fiduciario tra Governo e Parlamento, cui compete in via esclusiva il giudizio sul Governo e si interromperebbe l'attivazione dei poteri conoscitivi e di indirizzo, che valgono sia a rafforzare la consapevolezza della fiducia tra organi costituzionali, sia a testimoniare la vigilanza dei governati sull'operato dei governanti,
delibera
di non procedere nell'esame dell'A.C. 1318.
n. 1. Ronconi, D'Alia, Giovanardi, Volontè.
La Camera,
premesso che:
la presente proposta di legge volta ad adottare una disciplina dei conflitti di interessi presenta profili di dubbia costituzionalità alla luce degli articoli 3, 41, 42, 43 e 51 della Costituzione;
la proposta di legge in esame si presenta come una legge contra personam con evidente violazione del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, che impone innanzitutto al legislatore di legiferare avendo riguardo ad una generalità di destinatari, e non alla situazione di specifici soggetti;
il principio di uguaglianza è ulteriormente violato in quella sua particolare specificazione che si trova affermata all'articolo 51 della Costituzione che intende garantire a tutti i cittadini l'accesso alle cariche elettive in condizione di uguaglianza. Tale disposizione impone al legislatore un'estrema cautela nel configurare ipotesi di incompatibilità o comunque di ostacolo all'accesso a cariche pubbliche che vengono invece nel testo in esame ampliate oltre ogni ragionevole giustificazione;
neppure è possibile invocare a sostegno dell'interevento legislativo in esame l'esigenza di colmare lacune nell'ordinamento, poiché risulta già vigente nell'ordinamento una disciplina dei conflitti di interessi contenuta nella legge 20 luglio 2004, n. 215;
appare particolarmente grave sotto il profilo degli equilibri istituzionali che caratterizzano la forma di governo parlamentare italiana attribuire, come fa il presente progetto di legge, ad una costituenda autorità amministrativa indipendente - caratterizzata da un collegamento estremamente labile con la sovranità popolare - il potere di dichiarare la decadenza del titolare della carica di governo, normalmente dotato di un'investitura fiduciaria espressa dal Parlamento;
i poteri attribuiti alla Autorità sopracitata confliggono altresì con le norme della costituzione economica italiana, poiché si prevede che la risoluzione del conflitto di interesse possa comportare anche la vendita forzosa dei beni del titolare della carica di Governo, con evidente lesione della proprietà privata, come sancita e garantita dall'articolo 42 della Costituzione;
viene, in ultima analisi, compromessa fortemente anche la libertà di iniziativa economica dei cittadini italiani ed in particolare viene colpita la posizione di quanti svolgendo un'attività economica di tipo imprenditoriale si trovano nella pratica impossibilità di concorrere all'assunzione di cariche pubbliche per effetto di una disciplina estremamente restrittiva,
delibera
di non procedere nell'esame dell'A.C. 1318.
n. 2. Maroni, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Cota, Dozzo, Dussin, Fava, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Pini, Stucchi.
La Camera,
premesso che:
la presente proposta di legge presenta numerosi e gravissimi aspetti di incostituzionalità tali da porla in forte conflitto con i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale;
si rilevano, in particolare, i seguenti principali profili di incostituzionalità:
a) violazione grave ed evidente dell'articolo 3, primo comma, della Costituzione che garantisce la pari dignità sociale e l'assoluta eguaglianza dei cittadini davanti alla legge «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», in quanto le norme contenute nella presente proposta di legge discriminano i cittadini che svolgono attività professionali o imprenditoriali o che dispongono di un patrimonio significativo ai quali, è reso molto oneroso e penalizzante sotto il profilo economico ricoprire cariche di Governo a livello nazionale, regionale e locale;
b) violazione sostanziale dell'articolo 41 della Costituzione che garantisce libertà di iniziativa economica, privata, in quanto alcune norme caratterizzanti contenute in questo provvedimento penalizzano fortemente i lavoratori autonomi:
imprenditori e professionisti le cui possibilità di svolgere funzioni di Governo a livello centrale e locale sono rese ardue, costose sotto il profilo economico ed in alcuni casi, quasi impraticabili;
c) violazione dell'articolo 42 della Costituzione che riconosce e garantisce la proprietà privata in quanto la legge in discussione penalizza fortemente coloro che detengono patrimoni al di sopra di 15 milioni di euro ai fini dell'accesso a cariche di Governo;
d) violazione dell'articolo 51 della Costituzione che garantisce a tutti i cittadini la possibilità di accesso a cariche pubbliche in condizioni di uguaglianza, mentre questa proposta di legge penalizza fortemente e discrimina pesantemente determinate categorie di cittadini ai fini dell'accesso a cariche di governo a livello statale, regionale e locale;
e) violazione della lettera e dello spirito delle norme costituzionali contenute nel Titolo V della parte seconda della Costituzione e, in particolare, degli articoli 117 e 122, in quanto gli articoli 21 e 22 del testo contengono norme eccessivamente penetranti e direttamente vincolanti per regioni ed enti locali in merito al conflitto di interessi di amministratori locali e di presidenti e membri delle giunte regionali, in contrasto con i principi di autonomia, anche statutaria, garantiti dalla Costituzione e con la funzioni legislative attribuite dalla Costituzione alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano,
delibera
di non procedere nell'esame dell'A.C. 1318.
n. 3. Elio Vito, Bondi, Leone, Armosino, Bertolini, Brancher, Fratta Pasini, La Loggia, Moroni, Romani, Bruno, Boscetto, Biancofiore, Carfagna, Cicchitto, Fitto, Santelli, Verdini.
La Camera,
premesso che:
la proposta di legge in esame è affetta da numerosi vizi di costituzionalità e, fra questi, è particolarmente grave quello inerente ai poteri del tutto abnormi attribuiti sui titolari di cariche di Governo alla nuova autorità per la prevenzione dei conflitti d'interesse;
la proposta di legge introduce ipotesi incostituzionali di decadenza da cariche di Governo, pur sotto le mentite spoglie di tacito esercizio di «opzione» dell'interessato (anche tacita) per cariche non compatibili o per il mantenimento di beni che dovrebbero essere alienati o fatti oggetto di trust cieco. La decadenza conseguirebbe soprattutto a valutazioni discrezionali dell'istituenda Autorità. In questo modo, il testo interferisce pesantemente con le prerogative costituzionali del Parlamento, unico soggetto competente ad esprimere giudizi politici sull'operato del Governo, mediante lo strumento della mozione di sfiducia, individuale o collettiva;
l'incostituzionalità di cui si è detto è ancor più grave ove si rilevi che le valutazioni demandate all'Autorità sono anche politiche, non soltanto tecniche, ove si richiede all'Autorità, ed alle altre Autorità amministrative indipendenti, di valutare l'idoneità del patrimonio di chi governa a «condizionare l'attività di Governo», per cui si tratta di un giudizio sull'idoneità del prescelto a governare, che spetta invece agli elettori, e quindi al Parlamento, in sede di voto di fiducia;
quanto detto configura la violazione di una lunga serie di fondamentali articoli della Costituzione quali:
l'articolo 1, secondo comma, che attribuisce la sovranità al popolo e non certo ad una Autorità;
l'articolo 94, che riserva al Parlamento il potere di accordare o di revocare la fiducia al Governo;
il titolo I e il titolo II della prima parte della Costituzione che disciplinano rispettivamente Parlamento e Governo,
delibera
di non procedere nell'esame dell'A.C. 1318.
n. 4. Elio Vito, Bondi, Cicchitto. Leone, Armosino, Bertolini, Brancher, Fratta Pasini, La Loggia, Moroni, Romani, Bruno, Boscetto, Biancofiore, Carfagna, Fitto, Santelli, Verdini.
La Camera,
premesso che:
la proposta di legge in esame, agli articoli 14 e 15, definisce la nozione del cosiddetto trust cieco e ne disciplina l'istituzione, prevedendo che il titolare di cariche di Governo, che si trovi in una situazione di incompatibilità accertata dall'Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione, debba affidare la gestione del proprio patrimonio mobiliare;
la costituzione di un trust cieco, inteso, ai sensi dell'articolo 14, come «quella tipologia di trust ove il trustee ha la più ampia discrezionalità in merito alla consistenza qualitativa dei beni in trust, mentre i beneficiari ne possono avere solo una conoscenza quantitativa», può pregiudicare la corretta gestione dei beni del soggetto incompatibile;
alla luce di quanto sopra riportato, l'obbligo del conferimento dei beni al trust cieco appare suscettibile di configurare una lesione del diritto di proprietà, costituzionalmente sancito e garantito;
l'articolo 12 della proposta di legge prevede, altresì, la possibilità, per il soggetto che si trovi in una delle condizioni di incompatibilità, di procedere all'alienazione parziale o totale dei propri beni;
nel caso in cui il soggetto decida di effettuare tale scelta, il completamento delle operazioni di vendita, tuttavia, deve avvenire entro un periodo di centoventi giorni, prorogabili dall'Autorità per non più di altri novanta, creando, di fatto, un effetto distorsivo sulle regole del mercato, posto che il potere negoziale di chi è obbligato a vendere è sicuramente menomato, se non addirittura annullato dalla necessità dei venditore di concludere la transazione entro un determinato limine di tempo e, inoltre, in base a determinate modalità;
il ricorso alla vendita dei beni, inoltre, penalizza la salvaguardia della continuità e dell'efficienza dell'impresa, considerata anche la irreversibilità di una simile scelta, con un danno inevitabile all'economia nazionale e, conseguentemente, finirebbe per negare un valore che trova fondamento nell'articolo 41 della Costituzione;
entrambe le soluzioni prospettate dalla normativa in esame, al fine della risoluzione delle situazioni di conflitto d'interesse, arrecano grave pregiudizio alla libera attività economica del cittadino, configurando, di fatto, una sorta di «incompatibilità preventiva», a causa della quale il soggetto interessato si trova nella condizione di dover rinunciare ad una eventuale incarico se desidera mantenere una seppur minima partecipazione alla gestione del proprio patrimonio;
questo genere di costrizione alla rinuncia preventiva è gravemente lesiva di quanto disposto dall'articolo 51 della Costituzione, laddove garantisce che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge,
delibera
di non procedere nell'esame dell'A.C. 1318.
n. 5. Bocchino, Benedetti Valentini, La Russa, Giorgio Conte, Holzmann, Gasparri, Frassinetti, Salerno, De Corato, Foti.