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Allegato B
Seduta n. 115 del 26/2/2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
secondo il «Rapporto sulla stima delle potenzialità dei traffico merci alpino», realizzato per la Direzione generale Trasporti della Commissione europea, «occorre optare rapidamente per uno sviluppo durevole del trasporto attraverso le Alpi e avviare immediatamente la costruzione della nuova linea transalpina per fare fronte alla saturazione della linea storica e degli assi stradali, favorendo il trasporto modale dalla strada alla rotaia»;
entro il 2027 non solo la linea storica del Frejus sarà satura e non potrà trasportare più di novanta milioni di tonnellate di merce all'anno, ma anche l'intero sistema ferroviario alpino sarà saturato nel 2028 con una capacità totale di 271 milioni di tonnellate;
dal rapporto emerge, pertanto, la mancanza di alternative alla realizzazione della Tav Torino-Lione a meno che non si vuole rischiare di lasciare il nostro Paese in una situazione di paralisi nel medio periodo;
il prossimo mese si discuterà a Bruxelles la risoluzione che destinerà definitivamente gli 8,3 miliardi di finanziamenti comunitari ai progetti Ten, cui seguirà il bando della Commissione diretto ai Paesi interessati ai progetti Ten che dovranno presentare a loro volta la documentazione richiesta per essere in regola;
il Ministro Padoa Schioppa ha confermato l'impegno del Governo italiano a realizzare la linea Torino-Lione e che vi sono solo «da discutere alcuni aspetti» e da definire «precise modalità»;
permane tuttavia la contrarietà alla realizzazione del tracciato da parte di alcune forze della maggioranza;
il copresidente della Commissione intergovernativa italo-francese, Luis Besson ha detto di essere «favorevole ad un approfondimento sul dossier» purché questo non significhi andare «oltre il terzo trimestre di quest'anno»;
qualora ciò avvenisse l'Italia perderebbe i finanziamenti comunitari attuali e dovrebbe aspettare il 2013 per accedere a nuovi fondi a disposizione,
impegna il Governo
ad evitare, nell'interesse del Paese, ulteriori dilazioni e ritardi nella decisione della realizzazione della Tav Torino-Lione.
(1-00109) «Tassone, Volontè».
La Camera,
premesso che:
l'acqua è un bene primario e collettivo, e la sua gestione pubblica fino ad oggi ci ha consentito bassi costi, controlli accurati e nella maggioranza dei casi ottima qualità. Ma il marketing assordante delle imprese del settore delle acque minerali mette in secondo piano tutte queste qualità, spingendo un modello di consumi che parla di confezioni in plastica, di trasporti insostenibili, di prezzi tutto fuorché contenuti. E spesso pagando canoni di concessione agli enti pubblici che ne permettono l'imbottigliamento assolutamente risibili;
oggi le aziende di acque minerali sono uno dei maggiori inserzionisti pubblicitari in Italia. Per convincere i consumatori a comperare «l'acqua da bere» nel 2005 gli imbottigliatori hanno acquistato spazi pubblicitari per 379 milioni di euro, e tutto questo per battere un concorrente particolare, che è l'acqua degli acquedotti: buona (poche le eccezioni), controllata (più dell'acqua in bottiglia, come hanno dimostrato diverse inchieste), comoda (arriva in casa), e poco costosa;
se le acque minerali non fossero sostenute da una pubblicità martellante, nessuno o pochi sentirebbero il bisogno di comperarle;
di fatto l'acqua in bottiglia fa concorrenza ad un bene comune, lo ha riconosciuto anche l'Antitrust nel maggio del 2005 nel caso «Mineracqua contro Acea», solo che le forze in campo sono impari: contro i 379 milioni di euro che l'industria spende per sostenere l'acqua in bottiglia, gli acquedotti non investono nulla per pubblicizzare il proprio servizio;
nella suddetta decisione l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust) ha chiuso il caso Mineracqua (l'associazione di categoria degli imbottigliatori) contro Acea, condannando per pubblicità ingannevole l'azienda che gestisce il servizio idrico a Roma e in altri Ambiti territoriali italiani. Il messaggio diffuso da Acea era: «A Roma l'acqua di montagna sgorga dal rubinetto», seguito dalla dicitura, «direttamente dal tuo rubinetto pura acqua di sorgente, buonissima da bere». Secondo la ricorrente Mineracqua «il messaggio è ingannevole in quanto attribuisce all'acqua una provenienza geografica non corretta, evocando nella mente del pubblico valori positivi in termini di purezza che non si associano ad acque di provenienza diversa da quella montana». L'aspetto senz'altro più interessante della sentenza, però, è che l'Autorità ha riconosciuto che «nel caso di specie il potenziale pregiudizio economico delle imprese associate a Mineracqua è evidente e deriva dal fatto che i consumatori potrebbero essere indotti dal messaggio a preferire il consumo dell'acqua del rubinetto al consumo dell'acqua minerale, sicuramente più dispendioso»;
l'aumento degli investimenti pubblicitari (nel 1990 si spendevano circa 31 milioni di euro) va di pari passo con l'incremento dei consumi di acque minerali. In vent'anni i consumi di acqua in bottiglia nel nostro Paese sono triplicati (così come la produzione di bottiglie di plastica). Oggi ogni italiano ne consuma in media 188 litri l'anno, quasi otto volte la media mondiale. E questo anche grazie ad un'invadenza pubblicitaria capace anche di convincere i consumatori che «l'acqua fa dimagrire»;
anche se le acque sotterranee fanno parte del demanio pubblico, in 14 regioni su 20 le aziende pagano non alcun canone per la quantità di acqua effettivamente prelevata e imbottigliata, ma solo un «canone di coltivazione», in pratica l'affitto del terreno all'interno del quale si estrae l'acqua. La Nestlè ad esempio, che vende nel mondo 19 miliardi di litri d'acqua, è anche in Italia leader del mercato. In Trentino imbottiglia tra i 90 e i 110 milioni di litri d'acqua («Pejo fonte alpina») ma paga al comune di Pejo meno di 30 mila euro l'anno;
a novembre 2006 la Conferenza Stato-Regioni ha invitato le 14 Regioni a uniformare la propria legislazione a quella di Piemonte, Lombardia, Veneto, Umbria, Basilicata e Sicilia che già chiedono un «canone di imbottigliamento». Dove esistono, oggi le tariffe variano tra 0,0003 euro per litro (in Basilicata) e i 0,003 euro per litro (in Veneto, per effetto di un emendamento alla Finanziaria regionale 2007 approvato a fine gennaio). Alcune regioni prevedono uno sconto per chi sceglie di imbottigliare nel vetro;
la provincia autonoma di Trento, la Toscana e la Campania sono «produttori» importanti, ma gli imbottigliatori non pagano;
la regione Toscana, dove si produce circa l'11 per cento della minerale imbottigliata in Italia, si è dotata nel luglio 2004, di una legge (la 38/2004) che prevede il pagamento di un canone di concessione commisurato ai prelievi. Ma da due anni e mezzo manca il regolamento attuativo e intanto Panna e Uliveto (nel 2002, hanno fatto l'83 per cento di un fatturato complessivo, a livello regionale, di 225 milioni di euro) continuano a pagare 46 mila euro (la prima) e meno di 20 mila euro (la seconda),
impegna il Governo:
ad assumere iniziative normative affinché siano regolamentati e limitati gli spazi pubblicitari per le acque minerali e stabilite regole chiare e non ingannevoli sulle qualità delle acque vendute e sui benefici che per i consumatori derivano dal loro consumo, proprio prendendo esempio dalla decisione dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato contro l'azienda Acea come esposto in premessa;
a sostenere iniziative di informazione e sensibilizzazione circa la qualità delle acque degli acquedotti italiani oggetto costante di analisi organolettiche e microbiologiche che le indicano spesso migliori di molte acque imbottigliate;
ad intervenire con opportuni provvedimenti, nell'ambito delle proprie competenze, affinché, come sollecitato dalla Conferenza Stato-Regioni, tutte le Regioni uniformino la propria legislazione in modo da obbligare le imprese utilizzatrici ad un congruo ed equo pagamento per un bene, quello dell'acqua, che fa parte del demanio pubblico.
(1-00110)
«Camillo Piazza, Bonelli, Boato, Cassola, Francescato, Lion, Pellegrino, Poletti, Trepiccione».
Risoluzione in Commissione:
La XIII Commissione,
premesso che:
nella seduta del Parlamento europeo del 13 novembre 2006, è stata discussa una interrogazione parlamentare sul futuro del regime supplementare nel settore del latte, dal seguente testo:
«la Commissione europea ha l'intenzione di intraprendere un "controllo sanitario" della PAC nel 2008, che probabilmente includerà un dibattito sul futuro delle quote lattiere. L'attuale regime delle quote di latte, in vigore dal 1984 e previsto sino al 2015, è stato messo in causa da alcuni settori ed è stato discusso alla riunione informale dei ministri dell'Agricoltura a Oulu.
Alla luce di tali segni di una possibile eliminazione del sistema delle quote (eliminazione graduale), sembra necessario attualmente tenere un vero e proprio dibattito, in maniera che i produttori e l'industria abbiano il tempo di adattarsi alle possibili future modifiche.
Intende la Commissione europea mantenere il sistema delle quote lattiere fino al 2015, il che offrirebbe una certa protezione a molti produttori, oppure intende smantellare il sistema delle quote progressivamente o gradualmente a partire dal 2008? Se si intende procedere ad un'eliminazione graduale, quali misure specifiche ne deriverebbero per i produttori di latte?»;
il Commissario Mariann Fischer Boel ha risposto dichiarando, tra l'altro, che «se non sarà presa alcuna decisione, il sistema è destinato ad esaurirsi il 31 marzo 2015. Se il Consiglio dovesse decidere di continuare con il sistema delle quote oltre il 2015, si potrà predisporre una transizione graduale dalle norme vigenti a uno scenario senza limiti alla produzione»;
nel corso del dibattito i parlamentari europei hanno trattato e approfondito numerosi aspetti del regime delle quote latte e, pur affermando l'ormai anacronistica vigenza di questo strumento di regolazione del mercato, hanno anche rimarcato che attualmente le quote individuali garantiscono una preziosa rendita ad alcuni produttori di piccole e medie dimensioni di Stati occidentali della Comunità e consentono di limitare le fluttuazioni naturali dei prezzi di mercato, pertanto avevano raccomandato il mantenimento del sistema e solo dopo il 2015 una eventuale eliminazione;
quasi tutti i parlamentari hanno espresso critiche al regime, soprattutto riguardo al fatto che il sistema vigente è arcaico, inibisce lo sviluppo del settore
lattiero-caseario e ne diminuisce la competitività sul mercato mondiale;
l'abolizione del sistema incontra però l'opposizione dei paesi che hanno condizioni naturali sfavorevoli per la produzione lattiero-casearia. Per loro, siffatta abolizione comporterebbe lo spostamento della produzione verso altre regioni, causando la perdita della fonte di sostentamento e di un reddito continuo per molti agricoltori. Si rischia quindi di diventare presto importatori netti;
secondo alcuni esperti, l'impatto negativo di un sistema rigido di quote sarà ancor più forte per i Paesi deficitari di quota rispetto ad altri Stati membri, poiché tutto il sistema in pratica limita le opportunità di modernizzazione e l'uso del potenziale di produzione a causa del basso livello di aiuti per il settore del latte nell'Unione europea. Molti sostengono che le quote latte hanno ormai perso la loro ragion d'essere economica, visto che per giunta vi sono alcuni paesi che attualmente non fanno pieno uso delle proprie quote;
la questione del superamento del regime del prelievo supplementare ha però evidenziato che non si possa sostenere il controllo della produzione di latte dopo il 2015 nelle condizioni attuali, che spesso creano oligopoli nel settore. Questo infatti rappresenta un modello produttivo che appartiene alla filosofia passata della PAC. D'altro canto, però, non si può neppure accettare che le quote per la produzione di latte siano liberalizzate da un giorno all'altro prima del 2015. Nel periodo di transizione che si sta attraversando è necessario rafforzare le misure di trasparenza, efficacia e competitività per il settore in certe regioni dell'Unione;
nella discussione parlamentare non è stato omesso di evidenziare che vi sono paesi che vengono significatamente danneggiati da quote che non corrispondono alla domanda dei consumatori. Ne sono un esempio l'Italia e la Spagna, cui è venuta ad aggiungersi la Polonia, un nuovo Stato membro, che è sicuramente nella stessa situazione. Per tale ragione, se le quote vanno mantenute, i quantitativi vanno rivisti in nome dell'equità e della solidarietà europea;
i costi elevati delle quote hanno fatto balzare alle stelle il costo della mungitura, mentre la politica europea nel settore lattiero-caseario viene sempre più criticata. Finora alcuni Stati membri hanno perso fino al 60 per cento delle loro esportazioni nel mercato globale, mentre l'Unione europea e il settore lattiero-caseario europeo hanno perso il 4 per cento a livello di produzione mondiale;
come evidenziato da un parlamentare finlandese, la produzione di latte è un'attività ad alta intensità di capitale. Gli investimenti necessari sono cospicui. Una moderna struttura di produzione può costare fino a un milione di euro. Però di solito crea occupazione solo per le aziende a conduzione familiare;
molti giovani agricoltori hanno effettuato investimenti colossali per acquisire maggiori diritti di produzione. Non è infrequente che le quote di produzione raggiungano un valore d'acquisto di 150.000 euro o più. La produzione di latte pertanto necessita di un quadro di riferimento certo per il medio-lungo periodo, in modo che anche chi vi ha investito le proprie risorse contando su un sistema protetto, ma anche tenendo conto del legittimo affidamento, possa adeguarsi ai cambiamenti in maniera appropriata nel caso la politica di settore subisse dei cambiamenti;
un parlamentare inglese ha ben evidenziato che dal momento che la domanda attuale di prodotti lattiero-caseari è nettamente superiore alla produzione globale, l'Europa farebbe meglio ad accettare questo fatto e a valutare cosa fare dopo il 2015. Da un lato, vi sono gli imprenditori che vogliono espandersi, ma vengono schiacciati dai costi elevati delle quote. Dall'altro lato, vi sono aree in Europa in cui le quote non sono più in atto, e il Regno Unito ne costituisce un esempio calzante. Sussistono pertanto tutti
i motivi per valutare la definizione di un calendario adeguato dopo il 2015 al fine di predisporre un sistema migliore e più efficace;
secondo tale parlamentare, le quote latte devono diventare commercializzabili sul piano internazionale. Il prelievo, oggi troppo elevato, deve essere abbassato, soprattutto laddove le vendite sono praticamente slegate dal sostegno comunitario e quando la quota viene effettivamente usata. Si deve inoltre considerare il livellamento (perequazione) delle quote latte sul piano europeo. Quando un paese non riesce a colmare l'intera quota e un altro paese avrebbe bisogno di un margine in più, si dovrebbe semplicemente applicare una compensazione a posteriori. Dovrebbe altresì ipotizzarsi un graduale aumento delle quote per i produttori lattiero-caseari e per le cooperative che vendono i propri prodotti senza sostegno comunitario;
la quota di per sé non è un bene finanziario dal valore assolutamente conservabile, si è accertato infatti che nel Regno Unito, dieci anni fa le quote individuali valevano quasi una sterlina al litro, mentre ora valgono solamente un penny al litro. Si deve pertanto ricordare che per molti versi le quote non sono una sostanza tangibile e il loro valore può scomparire dall'oggi al domani. Bisogna essere attenti al modo in cui si affronta questo aspetto. Nel Regno Unito adesso il vero problema è rappresentato dal potere dei supermercati e dal ribasso dei prezzi. Qui non si riesce nemmeno ad arrivare alla quota nazionale, il che segnala un problema dovuto al prezzo;
per quanto riguarda gli attuali lavori delle istituzioni europee in materia di quote latte, si evidenzia che il 18 dicembre 2006, la Commissione europea ha adottato la «Proposta di Regolamento del Consiglio» COM (2006) 822, [2006/0269/CNS], «recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli»;
le fasi di esame della Comunicazione da parte delle istituzioni comunitarie, prevedono il seguente calendario: 19 marzo 2007 dibattito o esame previsto, da parte del Consiglio; 8 maggio 2007 adozione del parere previsto in Commissione, prima lettura o lettura unica, da parte del Parlamento europeo; 21 maggio 2007 possibile sessione da parte della DG della Presidenza, prima lettura, in seno al Parlamento europeo; 11 giugno 2007 accordo politico sull'atto finale licenziato in seno al Consiglio;
la Sezione III, Sottosezione I, Sottosezione II, di tale Comunicazione, riguarda il regime delle quote latte. Nel merito, dall'articolo 62 all'articolo 82, vengono previste specifiche misure sul prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, modificando sensibilmente il regime vigente;
alla luce dei due avvenimenti richiamati e in considerazione degli auspici del Parlamento europeo manifestati nell'ambito della discussione dell'interrogazione sullo stato delle quote latte, tesi a chiedere una transizione graduale e progressiva dall'attuale sistema delle quote all'abolizione del 2015, nonché delle disparità attualmente esistenti nella ripartizione dei quantitativi globali tra gli Stati membri, diventa necessaria una posizione ferma del Governo italiano in seno alla discussione della Comunicazione prevista per il 19 marzo e successivamente per l'11 giugno. In tal senso, il Governo italiano dovrebbe chiedere specifiche modifiche alla Sezione III del testo della Comunicazione, così da prevedere, in particolare, che si possa attuare il trasferimento libero all'interno di tutta l'Unione europea dei quantitativi di riferimento, così che vi sia circolazione di quote tra i produttori di diversi Stati membri, nonché la possibilità di attivare la perequazione di fine periodo dei quantitativi eventualmente non utilizzati da singoli Stati membri in favore di quelli che hanno superato il proprio limite,
impegna il Governo:
a chiedere, in sede comunitaria, una efficace modifica dell'attuale regolamentazione
sul regime delle quote latte, in maniera da contribuire a superare le criticità che tale sistema comporta alla produzione lattiera dello Stato italiano, in quanto assegnatario di un quantitativo nazionale troppo esiguo rispetto alle proprie esigenze ed alla sua domanda interna;
per gli scopi di cui sopra, a presentare, nel corso dell'esame della «Proposta di Regolamento del Consiglio» COM (2006) 822, «recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli», specifici emendamenti al testo del provvedimento, diretti, in particolare, ad introdurre nel sistema di gestione delle quote, la possibilità di attivare le cessioni temporanee e i trasferimenti di quote tra i produttori di differenti Stati membri (circolazione delle quote all'interno della Comunità europea. Modifiche agli articoli 70 e 71 del testo della Comunicazione), nonché la riassegnazione, a fine periodo, della parte eventualmente inutilizzata delle quote nazionali destinate alle consegne e alle vendite dirette, se del caso proporzionalmente alle quote nazionali a disposizione di ciascuno Stato membro, che abbia superato il proprio quantitativo garantito (Perequazione comunitaria di fine periodo. Modifiche agli articoli 77 e 80 del testo della Comunicazione).
(7-00130) «Lion».