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Allegato B
Seduta n. 129 del 19/3/2007
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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta orale:
LION, CAMILLO PIAZZA, FUNDARÒ e PELLEGRINO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nell'ordinamento italiano non sono mai mancate disposizioni generali aventi
lo scopo di tutelare le risorse idriche naturali contro interventi che ne potessero compromettere le disponibilità, la qualità e la fruibilità presente e futura, ciò anche quando nel processo di formazione culturale non era particolarmente presente una diffusa sensibilità ambientale;
a decorrere dagli anni Settanta, in particolare, è stata adottata una specifica normativa in materia di tutela delle acque, volta a proteggere le risorse idriche dagli usi irrazionali, affidando allo Stato la potestà di definire ed indicare i criteri generali per un corretto e razionale utilizzo dell'acqua ai fini produttivi, irrigui, industriali e civili anche mediante la individuazione di standards di consumi, per favorire il massimo risparmio nell'utilizzazione delle acque e promuovendo, fra l'altro, processi di riciclo e di recupero delle sostanze disperse;
la norma iniziale di cui trattasi è la legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento», che delegava ad un apposito Comitato di Ministri di predisporre documenti volti alla corretta gestione delle risorse idriche e a tutelarle da danni e relativi pericoli;
il citato Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento, con la delibera 4 febbraio 1977, concernente «Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all'articolo 2, lettere b), d) ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319», in materia di prelievi aveva raccomandato, ai sensi dell'allegato 2 alla delibera, relativo ai «Criteri generali per il corretto e razionale uso dell'acqua», che in genere il prelievo diretto da fiumi non regolati avrebbe dovuto realizzarsi con portate modeste rispetto a quelle naturali negli alvei, e così pure i volumi attinti dai laghi naturali avrebbero dovuto essere modesta cosa rispetto a quelli propri del corpo idrico; solo così non si sarebbe destata alcuna preoccupazione per eventuali effetti nocivi dovuti ad un depauperamento delle condizioni originali del corpo idrico stesso;
quando si fosse trattato di un prelievo attuato in un serbatoio artificiale, costruito espressamente per l'uso in questione o per più usi congiunti, era da osservare che la costruzione dell'invaso avrebbe determinato un notevole cambiamento degli aspetti qualitativi originali del corso d'acqua, che, unito alle modifiche sulle portate naturali, avrebbe potuto essere determinante ai fini dello sversamento di scarichi in tutto l'alveo, a monte ed a valle della sezione di sbarramento. Tra le conseguenze più salienti, pertanto, occorreva tener presente soprattutto l'immobilizzazione di cospicue masse d'acqua, che comportavano:
a) la decantazione in materia inorganica ed organica trasportata dalla corrente;
b) la formazione di estese superfici in grado di esaltare l'evaporazione, e quindi un progressivo arricchimento nella concentrazione di sostanze disciolte ed in sospensione;
c) l'esposizione ai raggi solari, talvolta in maniera non uniforme per la presenza di zone d'ombra dovute all'orografia circostante. Ciò avrebbe comportato il riscaldamento differenziato dell'acqua invasata (secondo strati a diversa profondità o secondo zone a diversa localizzazione) e quindi causa di correnti di densità che producevano un rimescolamento variabile nel tempo pur se talvolta benefico. Sarebbero cambiate, inoltre, le condizioni vitali per i tipi di flora e di fauna inizialmente contenuti nelle acque fluenti;
d) l'esposizione alle variazioni climatiche, specie di temperatura;
alcuni di questi aspetti, seppure in misura meno appariscente, potevano presentarsi anche nel prelievo mediante traversa;
gli aspetti indicati dovevano essere tenuti in debito conto sia durante la progettazione di nuove opere di prelievo, che durante la stesura dei programmi di funzionamento di opere già esistenti;
onde evitare che l'esercizio degli impianti determinasse situazioni dannose allo stato di salute dei corpi idrici e di pregiudizio per l'utilizzo ulteriore delle acque, specifiche indagini si sarebbero dovute condurre caso per caso, ricorrendo, se necessario, a studi su modello e all'impiego delle più avanzate tecniche di analisi dell'informazione, da eseguirsi presso laboratori ed istituti di ricerca specializzati;
con la successiva legge 18 maggio 1989, n. 183 recante «Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo», ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera i), è stato prescritto che al fine di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, si dovessero svolgere attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi, che curassero in particolare, e tra l'altro, la razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, con una efficiente rete idraulica, irrigua ed idrica, garantendo, comunque, che l'insieme delle derivazioni non pregiudicasse il minimo deflusso costante vitale negli alvei sottesi nonché la polizia delle acque;
al perseguimento delle finalità della legge n. 183/1989, è stato preposto lo strumento del Piano di bacino. In tal senso, ai sensi dell'articolo 17, «Il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato». Inoltre, è previsto che «le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino»;
ulteriore norma recante misure di protezione delle risorse idriche è stata la legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante «Disposizioni in materia di risorse idriche». Tale legge, tra l'altro, ha disposto, in soluzione di continuità rispetto all'analoga raccomandazione del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento sopra richiamato, che un principio fondamentale da osservare fosse quello secondo cui (ex articolo 1, comma 3) «gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici», e conseguentemente, come criterio applicativo (ex articolo 3, comma 3), che nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio, le derivazioni si devono regolare in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati;
da ultimo, sempre in materia di tutela quantitativa della risorsa e di risparmio idrico, è intervenuto il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», la cui Parte III, relativamente alla pianificazione del bilancio idrico, prescrive (articolo 95, comma 2) che «nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dalle Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative», nonché (articolo 95, comma 4) «tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall'Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.»;
il decreto legislativo n. 152/2006 ha altresì provveduto ad adattare il «Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici» di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, allo scopo esplicitando che nelle concessioni di derivazione delle acque pubbliche, il provvedimento di concessione è rilasciato se è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;
per quanto esposto, si evince chiaramente che nello Stato italiano sono sempre esistite norme e disposizioni esplicite volte alla tutela delle risorse idriche, sia dal punto di vista quantitativo, sia ambientale e soprattutto di carattere precettivo in merito al mantenimento dei deflussi naturali dei corpi idrici nei propri alvei quando le relative acque fossero state utilizzate anche per fini produttivi. Non si evincono previsioni inverse che deroghino il principio del rispetto del bilancio idrico o che giustifichino la soppressione dei deflussi naturali dei corpi idrici;
il lago di Idro è uno dei principali laghi prealpini italiani di origine glaciale. Questo corpo idrico è attualmente qualificato come area sensibile ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed è stato designato «sito di importanza comunitaria» ai sensi dell'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE, facendo parte della rete europea Natura 2000, rete ecologica europea costituita da zone speciali di conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e della flora selvatiche. Il lago d'Idro è particolarmente importante per la presenza di un habitat naturale e di specie prioritarie a norma dell'articolo 1 della direttiva;
intorno agli anni Trenta il lago di Idro è entrato nel novero dei laghi naturali ampliati e/o regolati, con ciò provvisto, all'incile, di opere di regolazione idrauliche, e artificiali in quanto realizzati mediante manufatti di sbarramento;
in seguito al citato ampliamento il corpo idrico eridiano ha potuto invasare acque aggiuntive rispetto a quelle proprie e di tali risorse «nuove» è stato deciso l'uso produttivo tramite disciplina allo scopo regolata. In un primo tempo la regola di controllo degli afflussi e dei deflussi non ha tenuto conto degli equilibri naturali del sito e a causa di dislivelli eccessivamente ampi tra quota di massimo invaso e quota di massimo svaso si erano creati gravi squilibri ambientali che fecero decretare una nuova regolazione delle acque che facesse salve peculiarità dell'habitat lacuale e in tal senso garantisse il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati;
la gestione delle acque del lago di Idro però, nonostante gli evidenti e noti problemi di carattere ambientale e sociale che le regolazioni annuali comportavano, ha tuttavia continuato ad essere svolta in maniera tale da compromettere gli equilibri ecologici del territorio eridiano, con ciò creando anche gravi malesseri e agitazioni presso le popolazioni rivierasche;
inopinatamente, almeno a decorrere dagli anni Novanta, le acque del lago sono state costantemente derivate partendo dal loro livello naturale fino a scendere a quote che hanno creato danni ambientali incalcolabili sia per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici, sia faunistici-ittiologici. In questa situazione è completamente venuto a mancare un tratto di emissario del lago, in particolare il fiume Chiese, che per oltre 23 chilometri dall'incile non ha più visto defluire alcuna portata d'acqua impedendo di fatto ogni forma di vita e la perdita di patrimoni naturalistici di irripetibile rarità;
in effetti, va fatto presente che nel corso degli anni le opere artificiali relative al volume ampliato del lago di Idro hanno iniziato a manifestare fenomeni di usura, peraltro non sottoposte a conseguente manutenzione
e relativo ripristino in sicurezza, e che in tale circostanza la galleria di scarico di fondo ha manifestato problemi strutturali connessi alle caratteristiche geomeccaniche delle rocce nelle quali è stata realizzata. Nel 1992 si è verificato un cedimento della stessa e per ritenuti motivi di sicurezza, il Servizio Nazionale Dighe ha di seguito provveduto, in data 18 agosto 1992, ad imporre la quota di 368,00 m. s.l.m. come quota temporanea di massima regolazione, imponendo peraltro l'effettuazione di lavori di sistemazione della galleria;
in questo stesso periodo, per dare applicazione alle norme sulla prioritaria e fondamentale tutela delle risorse idriche e del territorio, ma bisogna anche dire con quella che gli interroganti reputano una sospetta coincidenza con le iniziative che venivano assunte dal RID, l'Autorità di Bacino del Fiume Po ha condotto una sperimentazione durata cinque stagioni irrigue a partire dal 1996 fino al settembre 2000, al termine del quale, nel gennaio 2001 ha deciso di adottare il documento «Attività del Comitato di Sperimentazione, Relazione conclusiva» unitamente al relativo «Regolamento transitorio per la Gestione del Lago d'Idro e dei serbatoi dell'Alto Chiese» che prevedevano in via definitiva, la riduzione dell'escursione del lago d'Idro a 3,25 metri corrispondenti ad un volume utile di 35,411 milioni di mc, l'applicazione, nell'alveo del fiume Chiese, del rilascio per deflusso minimo costante vitale pari a 2,2 mc/sec, pari a complessivi 13,685 milioni di mc stagionali;
per quanto riguarda gli interventi di ripristino dei citati cedimenti del 1992, allo scopo realizzati dal Magistrato per il Po, Ufficio Operativo di Mantova, essi si sono conclusi nel 1996. Successivamente nel 1999 in relazione alle procedure di collaudo dei citati lavori il Servizio Nazionale Dighe ha segnalato il generale peggioramento in più punti delle caratteristiche statiche dell'opera ed ha richiesto nuovi ed ulteriori interventi di consolidamento. Conseguentemente, il Registro Italiano Dighe (RID), ipotizzando un rischio sia per un eventuale innalzamento ed una possibile esondazione del lago, ma anche di mobilitazione, certamente remota, di un consolidato corpo franoso sito in sponda sinistra immediatamente a valle dell'esistente traversa, con presunta possibilità di formazione di uno sbarramento naturale soggetto a successiva tracimazione ai sensi dell'articolo 24, comma 6, lettera f), del decreto del Presidente della Repubblica 24 gennaio 1991, n. 85, ha disposto la limitazione sopra indicata;
sempre il RID, il 18 luglio 2003 ha stabilito una nuova limitazione all'esercizio dell'invaso del lago, con quota alla quale riferire l'esercizio ordinario, a 367,00 m.s.l.m. e quota raggiungibile esclusivamente solo in caso di eventi eccezionali, a 368,00 m.s.l.m., ha altresì dichiarato la messa fuori esercizio dell'opera di sbarramento fino al termine dei lavori idonei a garantire le necessarie condizioni operative di sicurezza;
in conseguenza di ciò, in tempo ordinario, ad esclusione di eventi idrologici intensi, non possono defluire acque in superficie del fiume Chiese in quanto la quota di 367,00 m. m.s.l. corrisponde alla quota di sfioro naturale del lago in Chiese che resta privo d'acqua e neppure possono essere erogate acque nel Chiese tramite la galleria di scarico;
resta fatto salvo l'esercizio della derivazione della centrale Enel che può prelevare acque dal lago fino a 30 mc/s la cui restituzione nel fiume avviene a Vobarno (Brescia);
va a questo punto fatta una seria riflessione, anche se pleonastica. Gli usi produttivi delle risorse idriche possono essere necessari ma non certamente fondamentali e ad ogni modo sono esercitabili in subordine all'osservanza del prioritario principio della tutela delle acque e dell'ambiente, nonché degli obblighi fondamentali volti a garantire la sicurezza sanitaria e sociale dei cittadini. Le norme di protezione e di salvaguardia sopra enumerate, che va detto sono solo alcune delle moltissime che in tale materia sono applicabili,
sono il fondamento su cui bisogna posizionarsi, e che bisogna osservare, per poter procedere agli utilizzi, diversi da quelli naturali, delle acque pubbliche. In mancanza dei preordinati requisiti di tutela previsti dalle norme di cui trattasi, tra cui in particolare il rispetto del deflusso minimo vitale e del bilancio idrico, da sempre esplicitamente indicati, non si può procedere all'uso delle stesse acque, pena l'incorrere, tra l'altro, nella fattispecie del danno ambientale;
si deduce che ove non sia possibile salvaguardare l'integrità dell'habitat relativo ai corpi idrici e soprattutto non si sia in grado di evitare effetti dannosi conseguenti al depauperamento delle condizioni originali dei corpi idrici, restino preclusi tutti quegli usi e quelle operazioni su tali corpi idrici che abbiano la capacità di arrecarvi, sia pure potenzialmente danni e alterazioni;
nel caso del Lago di Idro, a seguito della dichiarazione di criticità delle opere relative alla parte dell'invaso ampliato pronunciate dal RID e delle conseguenti limitazioni alle escursioni dei livelli di regolazione delle acque, allorquando si era dimostrato che l'uso delle risorse lacuali comprometteva il deflusso minimo vitale e non garantiva il bilancio idrico, fino a quando non fossero state ripristinate le condizioni di sicurezza delle strutture atte a contenere i volumi di acqua aggiuntivi rispetto a quelli naturalmente contenuti dal lago, e su cui poter esercitare i prelievi, non si sarebbe dovuta attuare alcuna gestione idrica e quindi, nelle more di tali condizioni di sicurezza e di assenza di acque aggiuntive invasate, il lago avrebbe dovuto vivere secondo i propri afflussi e deflussi naturali, senza pozzi o sorgenti artificiali che ne modificassero gli equilibri;
ciò non è stato, ed anzi, in concomitanza dell'entrata in vigore del progetto di gestione deciso dall'autorità di bacino del fiume Po, in maniera secondo gli interroganti stupefacente si è deciso di traslare il dislivello di regolazione delle acque al di sotto della quota naturale del lago, di fatto regolando le risorse proprie del lago e non quelle del serbatoio aggiuntivo. Sorge il sospetto che tale traslazione sia servita a compensare la limitazione delle disponibilità di risorse idriche per usi produttivi conseguente alla decisione assunta dall'autorità di bacino del fiume Po. Viene altresì da domandarsi a cosa servano le opere di contenimento delle acque nuove e quindi le stesse acque aggiuntive, se in prima battuta è possibile derivare ad libitum acque dal lago, semplicemente facendolo scendere sotto il proprio livello naturale. In queste circostanze sembra palesemente inutile dover costruire le opere che ne ampliano le capacità di invaso se banalmente da esso si può prelevare acqua senza particolari vincoli;
il quesito posto è ovviamente pleonastico e retorico, infatti, ai sensi della normativa da sempre applicabile, e come sopra in parte enunciata, in mancanza di risorse idriche aggiuntive a quelle naturalmente disponibili circa il corpo idrico eridiano, sarebbe stata preclusa qualsiasi derivazione delle acque di tale lago che fosse stata capace di impedire il deflusso minimo vitale nel fiume Chiese sin dall'incile ed il rispetto del bilancio idrico lacuale -:
se non intenda accertare quali siano stati, e da chi siano stati adottati, i provvedimenti, dagli interroganti giudicati abusivi e irregolari alla luce delle vigenti norme sulla tutela delle acque e del territorio, che hanno permesso l'utilizzo delle acque del lago di Idro in maniera contraria ai principi di conservazione e di protezione per esse giuridicamente sanciti, facendo di fatto diventare prioritari e fondamentali gli usi produttivi rispetto a quelli relativi agli equilibri ambientali allo scopo tutelati da norme aventi carattere di principio fondamentale;
se in particolare non intenda verificare (e conseguentemente, ove praticabile, prendere adeguati provvedimenti sanzionatori e di monito contro gli eventuali trasgressori), come sia stato possibile che i soggetti competenti in materia di gestione
e di esercizio delle risorse idriche del lago di Idro, pur se in presenza di problemi strutturali alle opere di tenuta dell'invaso ampliato, e in tale circostanza interdittivi all'esercizio della parte di serbatoio artificialmente associato al lago di Idro, invece che sospendere o ridurre le derivazioni per gli usi produttivi fino al ripristino in sicurezza delle stesse opere, senza neppure effettuare una necessaria valutazione di impatto ambientale abbiano addirittura proceduta traslare la regolazione delle acque al disotto del livello naturale del lago, facendole scendere dannosamente a livelli inferiori alla loro quota originaria di invaso, con ciò impedendo il deflusso, minimo vitale altrimenti garantito per legge, provocando deterioramenti in incommensurabili all'ambiente lacuale e sub lacuale, al territorio ed alle popolazioni eridiane, all'integrità sanitaria delle acque e ad un tratto considerevole del fiume Chiese, e se per tali provvedimenti esistevano motivazioni legittime, ossia se gli usi produttivi allo scopo esercitati fossero necessariamente ed inevitabilmente prioritari rispetto alla salvaguardia ambientale;
quali sostanziali ed inderogabili misure intenda adottare per garantire che sia mantenuto il deflusso minimo vitale a partire dall'incile naturale del lago di Idro.
(3-00743)