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Allegato B
Seduta n. 138 del 30/3/2007
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SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta scritta:
FABRIS. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
il comparto delle telecomunicazioni rappresenta uno dei settori più importanti per l'economia del nostro Paese;
negli ultimi anni, anche grazie alla regolamentazione di settore, sono stati introdotti elementi di concorrenza che oltre a determinare un indubbio beneficio per il consumatore finale hanno rappresentato un importante fattore di crescita per l'intero comparto;
l'Assemblea della Camera, nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese ha approvato un emendamento - introducendo il comma 2-bis all'articolo 1 - finalizzato a consentire all'utente di conoscere l'indicazione dell'operatore che gestisce il numero chiamato;
l'emendamento è stato introdotto durante l'esame del provvedimento in Assemblea e subito dopo è stata apposta dal Governo la fiducia sul decreto-legge;
avendo riguardo al contenuto del suddetto emendamento è possibile rilevare che la maggiore trasparenza tariffaria a favore del consumatore è - a ben vedere - esclusivamente teorica dal momento che, nella sostanza, il comma 2-bis rappresenta una premessa funzionale al superamento delle attuali disposizioni normative, a favore dell'ex monopolista Telecom, in grado di alterare il mercato;
nel settore mobile, dove già è prevista, la differenziazione tra chiamate tra utenti che si appoggiano sulla stessa rete e quelle tra reti diverse, non ha, di fatto, prodotto vantaggi concorrenziali, in quanto è stata elusa attraverso una ridefinizione dell'offerta tariffaria;
nella telefonia fissa, invece, la necessità di introdurre questa previsione non sussiste in quanto Telecom Italia, per obblighi regolamentari (divieto di discriminazione tra destinazione di chiamata), e gli altri operatori fissi e mobili, per scelta commerciale, già non differenziano le proprie tariffe per destinazione di chiamata verso gli operatori fissi;
non a caso l'Autorità competente prima, e il TAR successivamente, hanno sempre respinto la richiesta, da parte dell'ex monopolista, di poter differenziare le proprie tariffe per direttrice di traffico. E ciò proprio al fine di evitare di favorire, di fatto, l'operatore più grande con la predisposizione di tariffe on net - per chiamate, cioè, che originano e sono dirette sulla stessa rete - sfruttando il cosiddetto «effetto rete», ovvero la possibilità per l'operatore più grande di beneficiare delle sinergie derivanti dalle proprie infrastrutture tecniche e commerciali a danno degli operatori concorrenti più piccoli e, ad avviso dell'interrogante, degli stessi consumatori;
l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ritenuto quindi, anche di recente, di confermare (delibera 642/06/CONS) il divieto per Telecom Italia di
formulare prezzi finali differenziati, sulla base dell'operatore di terminazione, con riferimento alla singola chiamata, condividendo la posizione dell'Antitrust, in quanto «l'introduzione eventuale di una differenziazione dei prezzi finali in relazione all'operatore di terminazione, oltre ad influire negativamente sulla trasparenza delle offerte, rischierebbe di costituire - al momento - un pregiudizio allo sviluppo di una effettiva concorrenza, tenuto conto della notevole forza di mercato detenuta da Telecom Italia sui mercati dei servizi di traffico»;
la stessa Autorità, infine, in linea con quanto avviene - o è già avvenuto - negli altri Paesi europei, ha avviato una consultazione con gli operatori, finalizzata a valutare l'opportunità di una separazione della rete di Telecom Italia, ritenendo questa soluzione strategica per favorire la concorrenza -:
quali iniziative intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa considerato il rischio che il legittimo obiettivo di una maggiore trasparenza a favore dei consumatori, venga vanificato dall'utilizzo - strumentale - della disposizione di cui in premessa al fine di perseguire un ulteriore rafforzamento delle posizioni dominanti di Telecom Italia, attraverso pratiche discriminatorie - prezzi più alti - per chiamate verso operatori alternativi e ciò a danno, non solo degli altri operatori più piccoli, ma soprattutto, e conseguentemente, degli stessi consumatori;
quali iniziative, anche normative, intenda assumere per evitare che la disposizione introdotta dal comma 2-bis si traduca di fatto in un danno alla concorrenza introducendo, verosimilmente, criticità di difficile risoluzione per gli operatori alternativi, a maggior tasso di innovazione, e ad esclusivo vantaggio dell'ex monopolista Telecom Italia, che già detiene oltre il 70 per cento delle quote di mercato.
(4-03142)
PAROLI e MILANATO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 311/06 ha modificato ed integrato il testo del decreto legislativo 192/05 recante attuazione della direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul rendimento energetico nell'edilizia;
il decreto in oggetto, all'allegato A, reca una definizione di impianto termico che prevede la cosiddetta «assimilazione»: sono assimilati agli impianti termici, se fissi, «stufe, caminetti, apparecchi per il riscaldamento localizzato ad energia radiante, scaldacqua unifamiliari» quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare è maggiore o uguale a 15 kilowatt»;
per superare il limite di potenza nominale indicato sono sufficienti uno scaldacqua o una stufa in ghisa; gran parte dei caminetti la cui potenza nominale è peraltro da calcolare, si collocano su una fascia analoga;
tale novazione legislativa ha suscitato forti perplessità presso le associazioni dei produttori ed anche le associazioni dei consumatori; infatti la norma determina incertezza su quale sia effettivamente la «somma delle potenze nominali del focolare» e non appare chiaramente esplicitato se la sommatoria delle potenze del focolare si applichi solo agli apparecchi da riscaldamento o a tutti gli apparecchi impiegati nell'abitazione;
una letterale applicazione della norma assimilerebbe, secondo gli interroganti ingiustamente, ad abitazione dotata di «impianto termico» (dovendo quindi ottemperare a tutte le disposizioni ed obblighi di legge) una abitazione dotata di un normale caminetto, una stufa o radiatore individuale e uno scaldacqua;
in tale casistica rientrerebbero, infatti, la maggior parte delle abitazioni
prive di impianto centralizzato di riscaldamento e delle case di campagna o di vacanza;
l'eventuale superamento del limite indicato di 15 kilowatt, non solo determinerebbe l'applicazione di sanzioni, ma aprirebbe ulteriori incertezze in ordine agli obblighi di manutenzione annuale e di mantenimento in efficienza degli apparecchi suddetti;
nella risposta fornita dal Ministro alle interrogazioni in Commissione n. 5-00789 D'Agrò e n. 5-00790 Saglia e Lazzari, relative a tale questione, il Governo ha espresso «l'intendimento di contrastare, e regolamentare, la diffusa consuetudine di riscaldare ambienti anche di grandi edifici con l'installazione di un elevato numero di radiatori (ad esempio installando un radiatore a gas in ogni stanza), escludendo dal rispetto della normativa vigente, e quindi dagli obblighi progettuali e dai successivi controlli, sia l'edificio che il sistema di riscaldamento ambienti». (...) «Inoltre, l'installazione di un numero eccessivo di singoli radiatori, non motivata da specifiche esigenze di flessibilità dell'utenza, non favorisce il rendimento complessivo dell'impianto e la sicurezza dell'immobile»;
tale argomentazione si unisce a quella in base alla quale «il decreto legislativo in questione non pone, al momento, alcun obbligo di controllo e manutenzione per gli scaldacqua istantanei a gas (...) fino alla data di entrata in vigore di taluni provvedimenti attuativi dei decreti legislativi in questione»;
da quanto esposto deriva non soltanto l'oscurità e la difficile applicabilità della norma, quanto la sua natura potenzialmente invasiva e vessatoria nei confronti dei cittadini -:
per quale motivo nessun altro paese della Comunità abbia adottato una simile definizione di impianto termico;
se esistano e siano in possesso del Ministero evidenze empiriche, studi e ricerche relativi al fenomeno della «installazione di un numero eccessivo di singoli radiatori, non motivata da specifiche esigenze di flessibilità dell'utenza», che forniscano una base scientifica alla novazione normativa e differenzino così marcatamente il nostro paese dal resto d'Europa;
se sia a conoscenza che vi sarebbero evidenti problemi e costi gestionali ingiustificati per milioni di famiglie;
se sia vero che sul titolare dell'abitazione, pena una eventuale contravvenzione da 300 a 5.000 euro, graverebbe l'obbligo di denuncia del proprio impianto termico, di adeguamento o sostituzione dell'impianto esistente, della manutenzione annuale ed eventuali collaudi stagionali;
se non si ritenga che la nuova disposizione ostacolerebbe l'installazione di nuovi apparecchi del tipo indicato, con grave danno delle aziende italiane del settore, mentre non risulta che altri Paesi europei abbiano adottato una normativa così restrittiva in ordine all'utilizzo degli impianti domestici;
se non ritenga infondato che in ben due diverse occasioni i rami del Parlamento hanno invitato il ministero a modificare tale normativa: il 28 luglio 2005 il parere della 10a Commissione permanente (Industria, commercio, turismo) del Senato (parere favorevole con osservazioni al decreto legislativo 192/2005, espresso con il voto favorevole di tutti i Gruppi), recava tra l'altro la raccomandazione di modificare nell'allegato A la definizione di impianto termico sopprimendo l'ultimo periodo; il 13 dicembre 2006 la X Commissione permanente (Attività produttive) della Camera dei deputati esprimeva analogo giudizio: nel parere favorevole con osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia, nella parte delle osservazioni il parere recava la seguente lettera f): «f) all'allegato A, punto 13, appare opportuno sostituire la definizione di «impianto termico»
con la seguente: «impianto termico è un impianto tecnologico destinato alla climatizzazione degli ambienti con o senza produzione di acqua calda per usi igienici o sanitari o alla sola produzione centralizzata di acqua calda per gli stessi usi, comprendente i sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolazione e di controllo. Sono quindi compresi negli impianti termici individuali di riscaldamento, mentre non sono considerati impianti termici, apparecchi quali stufe, caminetti, radiatori individuali, scaldacqua unifamiliari»;
se non si ritenga opportuno valutare iniziative a una correzione di tale normativa di incertissima applicabilità, che secondo gli interroganti produrrebbe un danno alla nostra industria, potenziali vessazioni nei confronti dei cittadini, nessun risultato effettivo sul piano del risparmio energetico;
se non ritenga, viste le difficoltà applicative segnalate dagli operatori, dalle aziende e dai consumatori, di intervenire nei modi più appropriati, avvalendosi della prevista facoltà di modificare la definizione di impianto termico, come consentito dal comma 4 dell'articolo 14 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, non modificato dal decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 311.
(4-03143)