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Allegato B
Seduta n. 141 del 4/4/2007
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SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta in Commissione:
CAPARINI, FAVA e ALLASIA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
sono 201 le aziende che attendono la liquidazione della quasi totalità del compenso ad esse spettante, da parte del Toroc, il comitato appositamente costituito con la partecipazione azionaria del comune di Torino, Regione Piemonte, enti locali e CONI;
in occasione dei XX Giochi Olimpici invernali di Torino 2006 il Toroc ha appaltato i lavori per circa 26 milioni di euro relativi alle strutture temporanee dei siti olimpici alla società Consortium Mfp la quale a sua volta ha subappaltato i lavori inerenti i servizi a 201 imprese che vantano crediti per 20 milioni di euro;
la società Consortium è stata costituita appena poco prima dell'aggiudicazione dell'appalto con un capitale sociale di soli 10 mila euro e nessun dipendente;
il Toroc si è limitato a chiedere una garanzia di appena 1 milione di euro, prima facie inadeguata anche per gli iniziali 22 milioni di forniture;
la società Consortium appare, altresì, essere stata scelta in evidente contrasto con i criteri indicati dal Toroc per l'aggiudicazione: l'attinenza al settore, il numero di dipendenti e il prestigio dell'azienda;
a seguito di una gestione del tutto fallimentare, nel mese di maggio la società Consortium è fallita generando ansie e preoccupazioni per oltre 200 aziende che ora rischiano a loro volta di fallire ma non prima di aver licenziato almeno 1.500 lavoratori;
nel gennaio 2006 la Procura della Repubblica di Torino e la Guardia di Finanza hanno aperto un'indagine nei confronti del Toroc, prelevando ingenti quantità di documenti relativi ai conti ed alla natura giuridica del comitato;
fra le imprese subappaltanti la ditta associata Ronchi Impianti di Ronchi Filippo di Botticino (Brescia) che vanta un credito di 1.280.064,99 euro su un totale fatturato di 1.649.917,39 euro;
altre 50 imprese artigiane bresciane hanno prestato la loro opera in subappalto per la citata azienda per un imponibile complessivo di 626.848 euro;
il fallimento del General Contractor Consortium Mfp oltre a determinare un danno irreparabile all'impresa subappaltante che rischia a sua volta il tracollo finanziario ed operativo, coinvolge circa 100 dipendenti e fornitori che rivendicano i pagamenti;
tale fallimento, oltre a generare inevitabile scalpore e la costituzione in comitato delle aziende creditrici, provoca ripercussioni ingestibili per piccole imprese artigiane che per natura sono meno protette e più esposte alle logiche di mercato e degli Istituti bancari, quando si generano casi anomali di questo tipo e per i quali non si percepiscono i tempi di soluzione;
le notizie di stampa suggeriscono l'indifferibile intervento istituzionale a favore di tante imprese così duramente colpite -:
quali iniziative il Ministro intenda intraprendere considerato che molti imprenditori hanno aderito e partecipato al subappalto di Consortium Mfp sapendo che alle spalle era presente una realtà istituzionale che il Toroc stesso avrebbe dovuto garantire;
se il Ministro non intenda istituire un fondo di solidarietà per le imprese al fine di consentire alle imprese coinvolte il pagamento di contributi previdenziali e di onorare le scadenze fiscali ed amministrative o in alternativa, un intervento per la sospensiva degli stessi pagamenti fintanto che dalla procedura fallimentare non saranno corrisposte le spettanze dovute;
se non ritenga necessario intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di accertare le eventuali responsabilità del Toroc nella vicenda, dall'altro, evitare che ben 201 aziende siano costrette a dichiarare fallimento nell'impossibilità di poter ricevere le somme ad esse dovute.
(5-00923)
Interrogazioni a risposta scritta:
PELLEGRINO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1995 si occupa degli equipaggiamenti elettrici per le macchine da lavoro e stabilisce quale attenzione deve prestare il lavoratore nello svolgere determinate operazioni e quando sono presenti dispositivi che consentano di evitare che si possa accedere, con il corpo o parti del corpo, alla zona della macchina dove è presente un pericolo. Oltre a questi dispositivi devono essere realizzate scelte tali per cui, in caso di guasti sul circuito di comando della macchina, non si producano avviamenti indesiderati o mancati arresti della stessa macchina (strategie già previste dal decreto anzi citato);
la diligenza nel procedere, per quanto riguarda la sicurezza delle macchine ed in particolar modo dell'equipaggiamento delle stesse è regolamentato da norme tecniche, le cui prime edizioni sono risalenti al 1968 (legge n. 186 del 1968). Quella legge ha realizzato il superamento dei limiti di una norma giuridica definendo il rispetto di una norma tecnica presupposto di conformità alle disposizioni della norma giuridica;
analogamente alla nostra legge n. 186 del 1968 le direttive europee stabiliscono, i requisiti essenziali di sicurezza che il prodotto deve avere per poter essere
«marcato CE». Anche le direttive non trattano gli aspetti tecnici, rimandando questo aspetto alle norme tecniche europee EN (la norma europea regolamentante gli equipaggiamenti elettrici delle macchine è la EN 60204-1 che in buona parte originata dalla CEI 44.1.1968);
una sentenza della Corte di Giustizia Europea datata 2003 (sentenza 10 aprile 2003), attua una direttiva europea, la direttiva 89/655 sui «requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro»;
mettendo a confronto la sentenza della Corte di Giustizia europea e la direttiva europea si evince che il combinato disposto non è stato totalmente recepito con il decreto legislativo n. 626 del 1994, producendo un effetto non fedele alle direttive, cosicché le ASL (organo che istituzionalmente è incaricato della vigilanza del territorio) nella loro funzione di vigilanza si sono attenute al citato decreto. Come sostenuto dalla Corte di Giustizia Europea, lo strumento usato dalle ASL era incompleto. Infatti per adempiere al contenuto del decreto del Presidente della Repubblica n. 462 del 2001 il datore di lavoro deve obbligatoriamente richiedere periodicamente, la verifica degli impianti elettrici, che deve essere effettuata da un organo autorizzato: le ASL;
il risultato è che manca pressoché totalmente la verifica degli adempimenti che riguardano le attrezzature di lavoro, manca al punto che i costruttori delle macchine prevalentemente si limitano a marcare CE la macchina senza ottemperare neppure agli adempimenti più strettamente legati alla marcatura CE (realizzazione del fascicolo tecnico della macchina, realizzazione del manuale per l'uso). La mancata realizzazione del fascicolo tecnico, non consente al costruttore di poter definire correttamente, la conformità della costruzione, ai requisiti essenziali di sicurezza (RES) della direttiva, a cui la costruzione è assoggettata. In merito, mancando l'individuazione dei pericoli e la conseguente valutazione dei rischi, che sono parte del fascicolo tecnico, non si può in alcun modo stabilire correttamente se si sono soddisfatti i RES della direttiva;
inoltre si è stabilito che il fascicolo tecnico della costruzione può essere richiesto e quindi esaminato solo dal Ministero delle attività produttive o dal magistrato, quindi l'ispettore ASL che in qualità di UPG è praticamente l'unico a poter esaminare una macchina funzionante in un ambiente di lavoro, non ha la possibilità di fare il più semplice accertamento del tipo -:
se il governo intenda assumere provvedimenti per verificare la sussistenza di quanto anzi premesso e se confermato, ritenga opportuno disporre quanto necessario alla risoluzione.
(4-03176)
PICCHI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la qualità e la tipicità della piccola industria e dell'artigianato del Nostro Paese con la loro professionalità, l'intelligenza e fantasia hanno portato i prodotti e lo stile italiani ad essere riconosciuti ed apprezzati in tutto il mondo;
l'articolo 517 codice penale - e, in materia di frode l'articolo 515 - puniscono, se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge, «chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto», in particolare assicurando il consumatore sull'origine e la provenienza da un determinato produttore e non già da un determinato luogo (ad eccezione delle ipotesi espressamente previste dalla legge);
il precedente Governo ha predisposto apposite norme, finalizzate a promuovere il Made in Italy, alla lotta alla contraffazione e a tutelare i diritti di proprietà
industriale e intellettuale delle imprese italiane sui mercati esteri e nazionali; in particolare, l'entrata in vigore del decreto legislativo denominato «codice dei diritti di proprietà industriale» del 10 febbraio 2005, n. 30, ha rafforzato, modificandola e semplificandola, la tutela della proprietà industriale con la riunificazione di circa 40 leggi ed innumerevoli provvedimenti di altro tipo proliferati dopo il fallimento dell'ultimo tentativo di un testo unitario della Proprietà Industriale che risale addirittura al 1934, e al tempo stesso adeguando la disciplina nazionale al diritto internazionale più moderno vigente nel settore; ancora più in particolare, l'indicazione Made in Italy è stata introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004), definito come «a tutela delle merci integralmente prodotte sul territorio nazionale o assimilate ai sensi della normativa europea in materia di origine», affidando ad un successivo Regolamento di Esecuzione opportune e più approfondite integrazioni, dopo aver verificato l'effetto di tali norme in una materia complessa e delicata da sviluppare ed integrare in modo adeguato;
una vera e propria normativa europea sull'etichettatura dell'origine dei prodotti industriali non esiste, in quanto esiste soltanto il regolamento CEE n. 2913/92 del consiglio del 12 ottobre 1992 (e successive modifiche) che istituisce un codice doganale comunitario (G.U.L.302 del 19 ottobre 1992) per fornire alcune definizioni sull'origine delle merci ai soli fini dell'applicazione della tariffa doganale, ma nulla dispone sull'etichettatura;
in particolare, in tale Regolamento CEE n. 2913/92:
vengono considerate all'articolo 23 «originarie di un Paese le merci interamente ottenute in tale Paese» e se ne fa un elenco citando i minerali estratti dal sottosuolo, i prodotti agricoli e d'allevamento, quelli della pesca tramite navi battenti bandiera del Paese, eccetera;
inoltre definisce all'articolo 24 «una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più Paesi è originaria del Paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale»;
tuttavia, il successivo Regolamento CEE n. 2454/93 (e successive modifiche) ha meglio precisato, sempre con riferimento all'applicazione della tariffa doganale, che non sono sufficienti a conferire l'origine del prodotto alcune lavorazioni o trasformazioni semplici come il cambiamento dell'imballaggio, la lavatura, la riduzione in pezzi, la semplice riunione di parti per costituire un prodotto completo, eccetera;
pertanto, in molti casi sembra difficile prevedere che cosa si intenda per Made in Italy, dato che moltissimi prodotti sono fatti con materia prima importata, oppure sono importati componenti o semilavorati che vengono assemblati per ottenere il prodotto finito; pertanto può accadere che venga importato un prodotto finito (o quasi) e poi spacciato per italiano con la semplice operazione di imballaggio ed etichettatura;
marchi collettivi, con i relativi Regolamenti concernenti il loro uso, sono già stati registrati da privati per fornire servizi di tracciabilità di prodotti on-line, vedi per esempio il marchio True Italy; mentre altri sembrano essere utilizzati come indicazione di origine, vedi ad esempio «100 per cento italiano»;
un «logo nazionale», consistente in una «i» ed una «t» stilizzate, ed un portale «Italia.it» sono stati presentati alla stampa a Palazzo Chigi, come brand di promozione coordinata per il turismo del Sistema Italia;
procedono i lavori a livello Comunitario per rafforzare una unica indicazione di origine denominata made in UE per consolidare il progetto di unificazione dei Paesi europei in uno Stato unico e per contrastare la crescente invadenza di prodotti dell'estremo oriente, considerando al tempo stesso che il processo di allargamento della Comunità europea prevede un numero sempre maggiore di Stati membri
(nel 2004 hanno aderito Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia; nel 2007 Romania e Bulgaria)-:
come il Ministro interrogato intenda integrare e sviluppare la normativa attuale e garantire un'efficace tutela, un opportuno utilizzo ed una chiara interpretazione dell'indicazione Made in Italy garantendo una soluzione soddisfacente per gli operatori del Nostro Paese a beneficio dell'attività industriale nazionale;
quali siano gli intendimenti del Ministro per contrastare efficacemente le false e fallaci indicazioni di provenienza sui prodotti industriali per tutelare il Made in Italy;
qual è la politica e la strategia del Governo correlata al suddetto «logo nazionale» ed al portale «Italia.it» per il settore turistico e se il suddetto logo è stato registrato come marchio; in caso affermativo, se è previsto un Regolamento sull'uso di tale marchio (come previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 30 del 10 febbraio 2005);
come il Ministro giudica l'istituzione a livello comunitario di una indicazione di origine made in UE.
(4-03194)
GARAGNANI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante accoglie l'appello di forze economiche e sociali della città di Bologna preoccupate per il venir meno di una preziosa manifestazione come il SAIE 2, stante l'indeterminatezza della posizione della giunta comunale e la latitanza degli enti locali, in primis della Regione Emilia Romagna -:
quale ruolo intenda assegnare al sistema fieristico di Bologna nel contesto nazionale a fronte della citata latitanza;
quali siano gli orientamenti che il Governo intende adottare per il sistema fieristico italiano, che risente del processo di concentrazione di alcuni grossi poli a scapito di altri, in particolare quali interventi il Governo intenda porre in essere per la Fiera di Bologna che gode di una sua particolare rilevanza nel contesto nazionale ed internazionale e che rischia di perdere il ruolo prezioso finora svolto a favore di quella di Milano che già eccelle in determinati settori ma che non può pretendere, a parere dell'interrogante di esercitare il monopolio di questo settore.
(4-03213)