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Allegato A
Seduta n. 143 del 12/4/2007
INTERPELLANZE URGENTI
(Sezione 1 - Iniziative conseguenti alla dichiarazione conclusiva dell'Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita svoltasi nel mese di marzo 2007)
A)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
in data 16-17 marzo 2007 i media hanno diffuso l'appello delle gerarchie ecclesiastiche contenuto nella dichiarazione conclusiva dell'assemblea generale della Pontificia accademia per la vita, reso pubblico dal relativo presidente Elio Sgreccia. In tali dichiarazioni si invita al «doveroso esercizio» di una «coraggiosa obiezione di coscienza i medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari, ed altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo». Tale doverosa mobilitazione si renderebbe necessaria perché, ad avviso della Santa Sede, «la coordinata che mette alla prova la coscienza cristiana è costituita, oltre a quella culturale, dalle norme giuridiche vigenti, sia quelle codificate sia quelle definite dai tribunali e dalle sentenze dei tribunali, che in misura crescente e sotto una forte pressione di gruppi coalizzati e influenti, stanno aprendo la breccia rovinosa delle depenalizzazioni: si prevedono eccezioni al diritto individuale alla vita»;
tali pubbliche dichiarazioni potrebbero integrare il reato previsto e punito dal codice penale all'articolo 414, in quanto istigazione alla commissione di uno o più reati e, in particolare, di quello previsto e punito dall'articolo 328 del codice penale (rifiuto e omissione d'atti d'ufficio). L'istigazione pare tanto più grave quanto è rivolta ad una categoria di pubblici ufficiali e funzionari quali i magistrati, soggetti per il dettato dell'articolo 101 della Costituzione esclusivamente alla legge. La Corte costituzionale ha chiarito in più occasioni che l'obiezione di coscienza dei giudici è in netto contrasto con la tutela dell'ordine giuridico. Pare evidente che una disobbedienza civile degli organi dello Stato, deputati proprio a far rispettare quella legge a cui disobbediscono, si tradurrebbe nella morte dello Stato di diritto e della legalità;
invitare i magistrati a disapplicare la legge italiana quando in contrasto con i principi della fede cattolica, così come affermato dallo Stato del Vaticano, costituisce una violazione del Concordato lateranense fra la Repubblica italiana e la Chiesa cattolica (legge 20 marzo 1985, n. 121) e, in particolare, del suo primo articolo: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese». Con tali esortazioni, lo Stato del Vaticano non ha semplicemente espresso un'opinione su norme che non condivide (cosa assolutamente legittima), ma si è adoperata affinché la legge - e quindi l'«ordine» - della Repubblica italiana fosse trasgredita. Tutt'altro che un
esempio di quel «pieno rispetto» per l'ordine, l'indipendenza e la sovranità dell'Italia previsto dal Concordato;
tali dichiarazioni costituirebbero, anche in assenza di un patto concordatario, una grave offesa alla sovranità dello Stato italiano. Se ad invitare i magistrati a non applicare la legge fosse stato un qualsivoglia altro Paese, si sarebbe immediatamente aperta una grave e duratura crisi diplomatica -:
se, a fronte di quella che si palesa come una chiara ed evidente violazione del Concordato, il Governo italiano non ritenga di poter ravvisare in essa gli estremi per un sostanziale superamento del Concordato stesso in riaffermazione di una piena indipendenza e sovranità della Repubblica italiana.
(2-00434)
«Poretti, Villetti, Beltrandi, Capezzone, D'Elia, Mellano, Turco».