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Allegato B
Seduta n. 156 del 14/5/2007
...
GIUSTIZIA
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
il Consiglio superiore della Magistratura ha chiesto informazioni al Procuratore
Generale della Corte d'Appello di Bologna sul caso ACLI DOMUS, a seguito della segnalazione presentata dal Consigliere reggiano Celestina Tinelli;
ventiquattro parti offese, in data 20 aprile 2007, avevano presentato istanza di avocazione delle indagini al Procuratore Generale c/o la Corte d'Appello di Bologna, con riferimento al procedimento penale n. 13.321/01 RG.NR. Procura della Repubblica Tribunale di Reggio Emilia a carico di ex amministratori, liquidatori e sindaci della Coop. ACLI DOMUS, indagati per bancarotta fraudolenta;
le medesime parti offese, il 23 aprile 2007, hanno segnalato inspiegabili ed ingiustificate inadempienze da parte della Procura di Reggio Emilia, nel surriportato procedimento al Presidente della Repubblica, alla S.V. ed al Consiglio Superiore della Magistratura, sollecitando l'intervento diretto ed immediato delle tre figure istituzionali;
la segnalazione contiene anche la richiesta di una ispezione ministeriale presso la Procura di Reggio Emilia;
è tristemente nota la vicenda riguardante il crack, quantificato in circa tre milioni di euro, della Coop. Edilizia Acli Domus di Reggio Emilia in liquidazione coatta amministrativa dal 12 ottobre 2000, dichiarata in stato di insolvenza dal 21 marzo 2001;
le famiglie truffate sono circa sessanta;
le vittime del crack si dividono in tre categorie:
coloro che hanno versato anticipi per prenotare l'acquisto di una casa o un appartamento in corso di costruzione e che non hanno poi mai visto;
coloro che hanno versato somme per acquistare una casa o un appartamento in corso di costruzione e che non è stato loro consegnato;
coloro (undici) che hanno interamente pagato un appartamento finito (privo di abitabilità), ma che hanno dovuto versare ulteriori somme per cancellare l'ipoteca (di oltre un miliardo di lire) che Acli Domus aveva contratto con le Banche dalle quali aveva ottenuto i finanziamenti;
vi sono, infine, coloro che hanno venduto terreni o immobili all'Acli Domus senza peraltro ricevere il saldo del prezzo convenuto;
di fatto, l'affossamento della Coop. Acli Domus è conseguenza diretta dell'avvenuta distrazione di rilevanti somme di denaro a favore di soggetti terzi tra i quali alcuni amministratori, alcune Cooperative affiliate alle Acli (Coop. la Dimora - Coop. Prosecco - Circolo Archè - e forse altre) principalmente a favore del Consorzio Provinciale Acli;
la prima denuncia per truffa (presentata nel 1995 dai signori Cladone e Zarilli) fu subito archiviata con la motivazione che trattatasi di semplice illecito civile;
nel 2001, allorché il Commissario liquidatore nominato nel 2000 dal Ministero del lavoro presentò, presso la Procura, la sua prima relazione, fu iscritta la notizia di reato n. 13321/01 ed il fascicolo assegnato al Sostituto Procuratore dottor Padula;
di fatto, il magistrato assegnatario compì pochissimi atti d'indagine limitandosi semplicemente ad acquisire gli atti (interrogatori degli ex amministratori e sindaci e altro) compiuti dal Commissario liquidatore;
cosa che agli interpellanti appare gravissima il Magistrato procedente omise di delegare alla Guardia di Finanza accertamenti patrimoniali a carico degli indagati e dei soggetti beneficiari delle somme distratte;
furono omessi anche accertamenti diretti a fotografare i rapporti intercorrenti tra il Consorzio Acli e le Coop. ad esso affiliate;
il dottor Padula non provvide mai alla chiusura delle indagini;
soltanto alla fine del 2005 (dopo numerosi solleciti e richieste dell'avvocato Gherpelli, nominata difensore di parte offesa qualche mese prima) il fascicolo fu assegnato ad altro Magistrato: il Sostituto Procuratore dottoressa Salvi;
nel frattempo i reati di truffa aggravate si erano prescritti;
la dottoressa Salvi nel febbraio 2006 depositò avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415-bis del codice di procedura penale, formulando capi d'imputazione per bancarotta fraudolenta aggravata a carico di ex amministratori, ex consiglieri ed ex liquidatori (Roberto Codeluppi, Giovanni Cervi, Benito Oleari, Angelo Geminiani, Naldo Giovannini, Stefano Salsi, Franco Alberti);
seguivano richiesta di rinvio a giudizio e avviso di fissazione d'udienza preliminare;
dalla prima udienza del 5 dicembre 2006 il Gup dottor Nericci riteneva di disporre la rinnovazione della notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare per uno dei sette imputati rinviando alla udienza del 2 febbraio 2007;
alla successiva udienza del 2 febbraio 2007 veniva disposto un ulteriore rinvio richiesto dai difensori degli imputati per esaminare gli atti di costituzione di parte civile;
all'udienza di rinvio del 26 febbraio 2007, il Gup - previa declaratoria di nullità di tutti i capi d'imputazione - trasmetteva gli atti alla Procura della Repubblica per una più precisa riformulazione degli stessi;
i quotidiani locali diedero (come già avevano fatto negli anni precedenti) notevole spazio alla notizia sottolineando la disperazione dei truffati a fronte di una giustizia lumaca nonostante la estrema gravità dei fatti;
l'intera città, in quei giorni, si diceva scandalizzata sia per i fatti accaduti sia per l'andamento della giustizia;
il capo dell'ufficio, dottor Materia, a mezzo dei quotidiani locali chiedeva pochi giorni per esaminare personalmente gli atti e per l'assegnazione al Magistrato che avrebbe dovuto riformulare le imputazioni;
a distanza di due mesi, nonostante intermedio sollecito in data 30 marzo 2007 dell'avvocato Gherpelli, nulla era accaduto;
l'Ufficio della Procura di Reggio Emilia ha dimostrato, secondo gli interpellanti, grave disinteresse per il caso (alle tre udienze tenutesi davanti al Gup, l'Ufficio è stato rappresentato da tre diversi sostituti) suscitando il disappunto e la presa di posizione di numerose parti offese;
l'intervenuta prescrizione dei reati di truffa aggravata (ex articolo 640 e 61 n. 7 del codice penale) ha cagionato gravissimo danno patrimoniale patito (riservato nei delitti di bancarotta fraudolenta al Commissario liquidatore);
esse, infatti, in caso di costituzione da parte di quest'ultimo, dovranno accontentarsi di vedersi risarcito il solo danno morale;
dunque, a distanza di dodici anni dall'inizio dei fatti si è ancora ad un nulla di fatto;
il fascicolo (dal 16 dicembre 2004 al 28 dicembre 2005) è rimasto sul tavolo del capo dell'Ufficio in attesa di assegnazione alla dottoressa Salvi;
negli ultimi due mesi, si è ripetuta la situazione;
a distanza di dodici anni dall'inizio dei fatti appare opportuno fare chiarezza;
agli interpellanti appare estremamente preoccupante quanto forma oggetto del presente atto -:
se il Ministro della Giustizia non ritenga opportuno disporre un'ispezione ministeriale presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia, alla luce di quanto rappresentato, ai fini dell'eventuale promozione dell'azione disciplinare.
(2-00527) «Alessandri, Maroni, Barbieri».
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
in data 11 maggio 2007, il direttore del quotidiano Libero, Vittorio Feltri, ha firmato un editoriale dal titolo «Nuovo schiaffo al giornalismo: radiato Mughini», nel quale denuncia l'avvenuta radiazione del giornalista Giampiero Mughini dall'Ordine nazionale dei giornalisti italiani per aver scritto alcuni articoli, pur essendo stato sospeso per due mesi dall'Ordine;
nell'editoriale, il direttore di Libero, fra l'altro, scrive: «A questo punto l'Ordine ha stabilito che la libertà di stampa, quella di opinione e di pensiero non appartengono ai cittadini, come dice l'articolo 21 della Costituzione, ma a dei signori che stabiliscono chi può usufruirne. Cancellato, Mughini non è più giornalista. Ora, se Mughini dovesse intervistare qualcuno o raccontare un viaggio, potrebbero denunciarlo per esercizio abusivo della professione»;
il vicedirettore de Il Corriere della Sera, Pierluigi Battista, in un editoriale pubblicato il 14 maggio 2007, il cui titolo è: «Bavaglio a vita per Mughini? L'Ordine dei giornalisti e una sentenza sciagurata», afferma che «se a un giornalista italiano viene programmaticamente, perentoriamente, imperiosamente, inappellabilmente negato il diritto elementare di scrivere ed esprimersi, come pure dicono sia solennemente sancito dall'articolo 21 della nostra Costituzione, forse vale la pena spendere due parole di allarme e anche (oddio, che parola ormai resa grottesca dall'abuso che se ne è fatto) di indignazione»;
«Ora si scopre - scrive il vicedirettore de Il Corriere della Sera - che, in conseguenza di quella sentenza punitiva, il giornalista, condannato dai suoi colleghi depositari insindacabili del rigore etico della corporazione, avrebbe dovuto smettere di pensare, rendere pubblici i suoi pensieri, metterli su carta, comunicarli secondo le leggi che ne garantiscono la libera espressione. Ma ha disobbedito all'ordine (e all'Ordine) e allora gli hanno tagliato la testa. E la penna. La vicenda Mughini - afferma Pierluigi Battista nell'editoriale - ha dunque cambiato carattere: da disputa poco entusiasmante sul codice deontologico dei giornalisti (che i lettori potrebbero legittimamente considerare affari loro, cioè di noi della "casta") si è trasformata nell'applicazione prepotente del bavaglio a vita ai danni di un giornalista che vuole semplicemente continuare a scrivere e a rendere pubblico ciò che pensa»;
la Costituzione italiana, fra i principi fondamentali, all'articolo 21 stabilisce che:
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» e che «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»;
numerosi pareri giuridici e in particolare nel codice della legislazione sulla stampa a cura di Silvio Cantarano e Cassiodoro Cantarano, in riferimento alla legge 3 febbraio 1963 n. 69 «Ordinamento della professione di giornalista» si afferma che «anche chi non è iscritto all'albo può apportare al giornale il contributo della propria collaborazione. Il principio della libertà di collaborazione giornalistica è implicitamente, ma inequivocabilmente, riconosciuto dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69 che, nell'articolo 35, ponendo quale requisito per l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti una precorsa attività di collaborazione retribuita da almeno due anni a giornali e periodici, conferma che è ben possibile esprimere il proprio pensiero attraverso i giornali senza avere alcuna qualifica professionale»;
nella sentenza 21-23 marzo 1968 n. 11 la Corte Costituzionale ha riconosciuto come sia lecita per chiunque anche una collaborazione giornalistica «che non sia occasionale né gratuita»;
la legge 3 febbraio 1963 n. 69 - articoli 28 e 47 - e la giurisprudenza
costituzionale prevedono financo la possibilità che non iscritti all'Ordine e che «non esercitano l'attività di giornalista» assumano l'incarico di direttore responsabile di quotidiani o periodici;
tali principi costituzionali e legislativi concorrono coerentemente a che le nozioni di giornalista professionista (colui che esercita la professione in modo esclusivo) e di giornalista pubblicista (che svolge attività in modo retribuito e non occasionale) non siano di impedimento al principio di collaborazione giornalistica per coloro che non possiedono tali qualifiche;
fra le regole di deontologia professionale che la legge sull'Ordinamento della professione di giornalista eleva a norma legislativa, o fra i comportamenti che l'Ordine può sanzionare perché lesivi di interessi pubblici o di diritti altrui, o fra i diritti e doveri sanciti all'articolo 2 della legge 3 febbraio 1963 n. 69, non è previsto alcun vincolo al principio di collaborazione giornalistica;
al Capo II della legge 3 febbraio 1963 n. 69, «Dei trasferimenti e della cancellazione dall'albo», non vi è alcun riferimento alla fattispecie che avrebbe motivato, secondo quanto appreso dagli organi di stampa, la radiazione del dottor Giampiero Mughini dall'Albo -:
quali iniziative, per quanto di propria competenza, il Governo intenda assumere al fine di garantire il pieno rispetto, dei princìpi tutelati all'articolo 21 della Costituzione che sovrintendono ad ogni norma legislativa, ordinamentale e amministrativa che regolano l'esercizio della professione di giornalista;
quale sia il giudizio del Governo in ordine al principio di libera collaborazione, ribadito dalla Corte Costituzionale nella interpretazione delle norme legislative sull'ordinamento della professione di giornalista.
(2-00528)«Boato».
Interrogazione a risposta scritta:
MELLANO e D'ELIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la circolare del Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria del 20 febbraio 1998, n. 3470/5920 afferma, con riferimento ai detenuti sottoposti al regime detentivo di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 che il «diritto alla socialità», anche all'esterno della cella, si esercita in gruppi, di almeno due unità, «nei limiti della compatibilità tra soggetti»;
risulta che Giuseppe Misso (all'anagrafe Giuseppe Missi, nato a Napoli il 6 luglio 1947), detenuto sottoposto al citato regime di «41-bis» da oltre due anni all'interno dell'istituto penitenziario di Spoleto, non abbia mai potuto beneficiare della socialità a seguito della decisione della Direzione del carcere che propone al signor Misso la compagnia di un solo altro detenuto e che questa compagnia gli veniva e viene presentata come unica opportunità di esercitare il diritto alla socialità;
risulta che Giuseppe Misso, pur avendo avuto un comportamento definito «modello» dall'amministrazione carceraria di Spoleto, continua ad usufruire di un solo colloquio mensile di un'ora, mentre da tempo è richiesta la possibilità di usufruire, come accade per la quasi totalità dei detenuti sottoposti al «41-bis», di due colloqui mensili;
come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 1997 n. 376, il regime penitenziario denominato «41-bis» è motivato da sole esigenze di sicurezza, e non può essere interpretato ed applicato come aggravamento della penalizzazione nei confronti dei presunti appartenenti alla criminalità organizzata, e tanto si riflette inevitabilmente sulla necessità di garantire il diritto alla socialità nelle condizioni di «compatibilità» che la stessa circolare del DAP del 20 febbraio 1998 indica;
la stessa sentenza della Corte costituzionale del 1997, n. 376 chiarisce come la sottoposizione al regime del «41-bis» non esclude affatto l'attività di osservazione del detenuto e la necessità legale di garantire opportunità di risocializzazione, e tanto si riflette inevitabilmente sul riconoscimento della condotta carceraria irreprensibile ai fini dell'attribuzione di un ulteriore colloquio mensile -:
quali iniziative il Ministero della giustizia intenda intraprendere per assicurare a Giuseppe Misso, ristretto nell'istituto penitenziario di Spoleto, il diritto alla socialità;
quali iniziative il Ministero della giustizia intenda intraprendere per assicurare che a Giuseppe Misso vengano assicurati due colloqui mensili secondo i princìpi in tema di risocializzazione citati in premessa.
(4-03628)