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Allegato B
Seduta n. 161 del 30/5/2007
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GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta immediata:
BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
su La Stampa di lunedì 7 maggio 2007 è uscita un'inchiesta sul nuovo modulo organizzativo messo a punto dal presidente del tribunale di Torino Mario Barbuto, che ha consentito ai giudici di sfornare sentenze in serie ed azzerare, nel giro di pochi anni, l'arretrato nel settore civile;
secondo l'ultima relazione di Strasburgo, infatti, al 30 novembre 2006, nella sede centrale del tribunale solo il 3,86 per cento delle cause erano ancora pendenti a 3 anni dal loro inizio, mentre di quelle sotto i 3 anni il 68,46 per cento avevano appena un anno di vita, il 22,77 per cento due e l'8,76 tre;
in accordo con i magistrati e l'ordine forense si sta ora tentando di trasferire il modello anche nel settore penale, dove i tempi sembrerebbero essere maturi;
l'improvvisa accelerata ha, però, creato, paradossalmente, una vera e propria paralisi della cancelleria, che, a seguito dell'accumulo delle sentenze, non riesce ad evadere le pratiche; il cancelliere della IV sezione penale del tribunale di Torino, Franco Graziani, spiega come dall'inizio dell'anno le notifiche non ancora eseguite sono nella sostanza raddoppiate, mentre i tempi medi di smaltimento di una pratica sono passati dai 2-3 mesi del gennaio 2006 ai 6-8 mesi del gennaio 2007;
simili ritardi generano gravi conseguenze innanzitutto per il cittadino-indagato, che, ad esempio, si vede notificare una sentenza di assoluzione con mesi di ritardo;
attualmente la IV sezione penale del tribunale di Torino conta circa 200 pratiche inevase e il numero si moltiplica per le altre cancellerie, in cui le esecuzioni sono addirittura ferme al 2002;
a questo si aggiungono le sempre più frequenti lamentele degli avvocati, che protestano perché non riescono ad ottenere copie o estratti delle pratiche, per cui, quando riescono a recuperare il fascicolo, lo trattengono con conseguenti problemi di responsabilità a carico del personale delle cancellerie;
quanto descritto è essenzialmente ascrivibile ad una cronica carenza di personale, cui si aggiunge il fatto che la sperimentazione informatica ha in concreto rallentato i ritmi, cosicché le sentenze non vengono eseguite -:
se il Ministro interrogato non ritenga di dover far fronte a questa situazione, avvalendosi di eventuali trasferimenti volontari da altre strutture o di convenzioni con altri enti pubblici che vadano a sanare le carenze di organico riscontrate, tenuto anche conto del fatto che la sostanziale paralisi del sistema lede il fondamentale diritto dei cittadini ad una giustizia vera e tempestiva, oltre a costare molto denaro all'erario.
(3-00911)
BARANI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nelle recenti elezioni amministrative, a Pontremoli, in provincia di Massa Carrara, si è nuovamente verificato un singolare caso di coinvolgimento, nella politica, di un'intera famiglia;
nella locale lista civica Enrico Ferri, ex Ministro passato alla storia per il limite dei 110 chilometri orari sulle autostrade, ambiva alla carica di sindaco della città;
tra i candidati alla carica di consigliere comunale è stato presentato, nella stessa lista, pure il figlio, Jacopo Ferri, consigliere della regione Toscana;
secondo quanto consta all'interrogante, durante la campagna elettorale un altro figlio, Cosimo Ferri, magistrato nella stessa provincia di Massa Carrara e giudice nei processi che interessano i cittadini del luogo, membro del Consiglio superiore della magistratura, avrebbe svolto numerosi interventi di «pressione psicologica», secondo il comune sentire dei cittadini, attraverso incontri con elettori, telefonate, attività promozionali nelle piazze della città e presenza costante, nei due giorni delle votazioni, presso le aree antistanti ai sei;
in questo ultimo caso potremmo parlare dì «conflitto di interessi» tra le aspirazioni politiche dei cittadini, la libertà di voto e la magistratura, trovando singolare e preoccupante che, da anni, nell'ambito della stessa provincia ci siano permanentemente un giudice e due politici, tutti familiari, a svolgere attività istituzionali che dovrebbero essere ben separate, ma che immancabilmente finiscono per essere in perenne rapporto agli occhi dell'opinione pubblica -:
quali iniziative intenda avviare il Ministro interrogato, intervenendo su questo caso, forse unico in Italia, al fine di ristabilire, anche attraverso la segnalazione al
Consiglio superiore della magistratura e con una norma chiarificatrice, le opportune distanze tra magistratura e politica, restituendo in questo modo serenità alla più alta espressione democratica che è il diritto alla libertà di voto.
(3-00912)
BALDUCCI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel quadro dei diversi ed importanti interventi riguardanti l'accelerazione e la razionalizzazione del processo penale, una particolare attenzione è stata riservata alle modifiche che potranno assicurare una maggiore speditezza del rito, nell'ottica di garantire a tutti la ragionevole durata del processo ai sensi dell'articolo 111, secondo comma, della Costituzione e in ossequio ai principi posti da diverse convenzioni internazionali, nonché dalla stessa Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
allo stesso tempo, devono essere valutate positivamente tutte quelle previsioni tese al conseguimento di un'effettiva deflazione del processo penale, anche attraverso l'introduzione di nuove disposizioni in materia di sospensione del processo con messa alla prova, istituto - quest'ultimo - mutuato dall'esperienza del processo minorile e riadattato, in modo da poter essere applicabile anche ai maggiorenni;
a fronte di ciò è lecito, tuttavia, domandarsi quale potrà essere l'effettivo impatto dei. nuovi istituti sul versante della tutela della persona offesa dal reato, che costituisce una componente fondamentale nell'ambito del nuovo processo penale, sebbene non sia sempre dotata di adeguati poteri e facoltà;
si tratta, a ben vedere, di realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze deflattive e gli interessi di cui la persona offesa è portatrice, al fine di consentire all'imputato - qualora ne sia effettivamente meritevole - di accedere a percorsi di pronta socializzazione, ma - allo stesso tempo - in modo da non frustrare il legittimo desiderio di giustizia dell'offeso;
bisogna, cioè, tenere in debita considerazione le esigenze di riparazione del danno sociale cagionato dall'illecito penale, dovendosi non solo evitare che le nuove previsioni siano percepite dalla coscienza collettiva come pericolosi arretramenti dello Stato di fronte alle legittime aspettative di giustizia degli individui, ma anche in modo da non giungere a un reale indebolimento della protezione della persona offesa;
si ritiene, perciò, che sia estremamente utile ed opportuno procedere a un parallelo e pronto potenziamento dei poteri e delle facoltà spettanti all'offeso dal reato -:
quali iniziative legislative intenda adottare per rafforzare, avuto riguardo alle meritevoli esigenze di protezione, la posizione della persona offesa dal reato in rapporto alle diverse fasi del procedimento penale.
(3-00913)
PALOMBA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
ad oltre quindici anni della riforma sui giudici di pace e ad oltre undici anni dall'inizio della attività, i tempi appaiono maturi sia per eseguire un serio bilancio dell'attività svolta, sia per operare i necessari correttivi diretti ad enfatizzare l'efficienza ed efficacia dell'azione e, al tempo stesso, accentuare la professionalità del magistrato onorario chiamato a svolgere quella funzione;
nel corso dell'anno 2004 sono sopravvenuti circa 1.480.000 procedimenti e ne sono stati esauriti circa 1.320.000, con una pendenza finale di circa 930.000 procedimenti. Il contenzioso sopravvenuto negli uffici del giudice di pace nell'anno 2005 è stato pari al 37,5 per cento del contenzioso di primo grado nel settore civile e pari a 1.505.000 procedimenti, mentre è stato pari a circa il 15 per cento di quello complessivo di primo grado relativo al settore giudicante penale;
per quanto riguarda la capacità di smaltimento si deve osservare che nel settore civile le pendenze sono aumentate nel corso del 2005 di circa il 7 per cento, passando da circa 930.000 a circa 1.000.000, pari al 75 per cento delle sopravvenienze annue, tendenza confermata anche nel primo semestre dell'anno 2006, in cui a fronte di una diminuzione di circa il 4 per cento delle sopravvenienze, si è constatata una riduzione di circa il 6 per cento del numero di procedimenti definiti, con un incremento di circa il 4 per cento della pendenza totale, segno che le attuali strutture, anche a causa delle vacanze di organico, non sono in grado di far fronte alle sopravvenienze annue. Interessante è la modifica intervenuta nella struttura del contenzioso, che ha visto una riduzione del 20 per cento di quello ordinario e dei procedimenti speciali ed un aumento del 50 per cento di quello rappresentato dalle opposizioni alle sanzioni amministrative, pari a circa il 40 per cento delle sopravvenienze totali;
nel settore penale le pendenze sono aumentate del 12 per cento, anche se le stesse sono pari a circa il 30 per cento delle sopravvenienze, per il fatto che l'inizio dell'esercizio della giurisdizione nel settore penale è relativamente recente;
occorre, quindi, adottare misure che consentano un rapido riequilibrio della capacità di risposta dell'ufficio alla domanda di giustizia, tenendo conto, altresì, dell'ormai avvenuto radicamento nel territorio della nuova istituzione giudiziaria e del fatto che le decisioni che vengono adottate tendono a consolidarsi in primo grado in misura maggiore rispetto alle controversie definite dal tribunale, anche in ragione delle differenti tipologie di contenzioso trattato. Innanzi al giudice di pace, infatti, solo l'8 per cento delle sentenze in materia civile sono oggetto di impugnazione (dato che sarà presumibilmente oggetto di incremento a seguito dell'innovazione normativa introdotta nel 2006, che ha trasformato il ricorso per cassazione in giudizio di appello), a fronte dell'attuale 22,5 per cento che caratterizza le impugnazioni avverso le decisioni del tribunale in materia di contenzioso ordinario (e del 21 per cento per quanto attiene le controversie di previdenza ed assistenza). Ciò significa che circa il 90 per cento delle sentenze pronunziate dal giudice di pace in materia civile passa in giudicato, a fronte del 78 per cento di quelle del tribunale (ove peraltro la percentuale di impugnazioni è passata dal 15 per cento al 22 per cento, in coincidenza con l'attività svolta dalle sezioni stralcio); Nel settore penale, invece, la situazione appare maggiormente omogenea, dal momento che circa il 15 per cento delle sentenze del giudice di pace è oggetto di impugnazione, a fronte di circa il 24 per cento delle sentenze pronunziate dal tribunale;
considerato che attualmente possono essere nominati altri 1.000 giudici di pace e la competenza per valore dell'ufficio è stata fissata nel 1991, si ritiene da un lato che l'ufficio possa fare fronte ad un aggiornamento di tale competenza - in considerazione del fatto che allo stato il contenzioso ordinario trattato si è ridotto del 20 per cento - e dall'altro che occorra procedere contemporaneamente ad una revisione dell'organizzazione degli uffici e dello statuto dei giudici di pace, al fine di ottenere quella maggiore efficienza ed efficacia dell'azione giurisdizionale che sono necessarie per procedere ad una reale ottimizzazione delle risorse;
per perseguire tale obiettivo, sembra necessaria la modifica dello status dei giudici di pace, avendo cura di evitare la dispersione delle conoscenze acquisite e contemporaneamente accentuare la professionalità degli stessi mediante un sistema di aggiornamento professionale permanente, unito ad un rigoroso sistema di valutazione dell'attività svolta, non sembrando congruo, a fronte dell'eliminazione di limiti alla rinnovabilità dell'incarico, introdurre un regime complesso di incompatibilità e una valutazione quadriennale;
nonostante l'evidente inquadramento della funzione della magistratura di pace, fin dal momento della sua comparsa nello scenario della giustizia, il giudice di pace ha sofferto di una crisi di identità;
da un lato il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n, 917, all'articolo 47, lettera f), assimila ai fini tributari i compensi che il medesimo riceve per l'attività svolta al reddito da lavoro dipendente, dall'altro la Corte di cassazione esclude in modo categorico che tra l'amministrazione della giustizia ed il giudice di pace possa intercorrere un rapporto assimilabile a quello di pubblico impiego, stante il diverso sistema di reclutamento, basato, per questo ultimo, «su scelte politiche discrezionali», e in assenza sia di un rapporto di subordinazione, dato il carattere onorario della funzione, sia di una retribuzione, avendo gli emolumenti ad esso corrisposti natura indennitaria o di rimborso spese (Cassazione, Sezioni unite, n. 11272 del 1998);
in questa indeterminatezza di status, dal maggio 1995, periodo di inizio dell'attività, i giudici di pace sono rimasti senza copertura previdenziale, a differenza di altre categorie di lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori «parasubordinati», ai quali, da ultimi, è stata assicurata una tutela assicurativa e previdenziale con la legge 8 agosto 1995, n 335;
tale discriminazione non pare accettabile sotto il profilo tanto giuridico-costituzionale, quanto sociale;
la spesa conseguente all'erogazione del contributo a carico del ministero della giustizia, che si prevede pari a 6.441.200 euro, può trovare copertura nella riduzione dell'organico dei giudici di pace da 4700 a 4000 unità, per 4.771.200 euro;
la determinazione dell'onere del ministero è previsto nella misura del 9,33 dell'ammontare delle indennità complessivamente corrisposte ai giudici di pace nel 2001, per cause definite, udienze, decreti ingiuntivi emessi e indennità forfettaria mensile, secondo i seguenti dati:
a) indennità per ogni causa definita: euro 56,81;
b) indennità per decreti ingiuntivi: 10,33 euro;
c) indennità per udienza: 36,15 euro;
d) indennità forfettaria fissa: 258,33 euro;
e) totale compensi annui per 4000 giudici di pace: euro 69.037.600;
f) totale compensi annui per 4700 giudici di pace: euro 73.808.800;
g) totale risparmio riduzione organico: euro 4.771.200;
h) onere previdenziale totale (9,33 per cento): euro 6.441.200;
i) onere previdenziale netto: euro 1.670.000;
la riduzione dell'organico dei giudici di pace consentirebbe di riequilibrare meglio il rapporto tra carichi di lavoro e dotazioni organiche, che in molti sedi e distretti è ancora molto basso, nonostante l'attribuzione della competenza penale ed il previsto aumento della competenza per valore a 6.000 e 25.000 euro;
il lavoro svolto allo stato viene retribuito a cottimo, sistema del tutto inaccettabile, atteso che esso determina ipotesi di sfruttamento e discriminazione;
a fronte di tutto quanto rappresentato, non sembrano del tutto congrui gli orientamenti circolanti all'interno del tavolo tecnico intercorso tra le associazioni di categoria con rappresentanti del Governo, che al momento, dopo più di un anno, parrebbero aver prodotto esclusivamente incompatibilità, la negazione di ogni forma di tutela previdenziale, la mancata razionalizzazione del regime delle indennità, restando in ombra gli aspetti migliorativi della condizione giuridica dei giudici di pace, in attuazione dei precetti costituzionali
inviolabili sopra invocati (ex articoli 2, 3, 35, 36, 37, 38, 104, 107 Costituzione) -:
se il Ministro interrogato condivida le osservazioni sopra esposte e quali siano le sue determinazioni in merito alle questioni evidenziate, con particolare riferimento alla disciplina ordinamentale, all'equità e garanzia nella corresponsione dei compensi, alla stabilità delle funzioni, alla necessità di una disciplina previdenziale, con indicazione dei tempi nei quali egli intenda emanare una disciplina coerente con i principi sopra esposti e con le legittime aspettative dei giudici di pace.
(3-00914)
Interrogazione a risposta orale:
CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
notizie di stampa hanno ricostruito la vicenda relativa alle dichiarazioni rese dal comandante della Guardia di Finanza, Generale Roberto Speciale, in occasione di un procedimento disciplinare operato dalla Procura Generale di Milano relativo al trasferimento di alcuni ufficiali del corpo costituenti, nella sostanza, l'intera gerarchia lombarda;
in particolare, su Il Giornale del 24 maggio 2007 tali dichiarazioni sono così testualmente riportate: «Visco mi ha riferito, non avendo dato esecuzione istantanea a quanto era stato da lui ordinato, di riunirmi subito con i generali Pappa e Favaro per dare agli ordini esecuzione immediata... Visco aggiunse che se non avessi ottemperato a queste direttive erano chiare le conseguenze cui sarei andato incontro»;
sempre nello stesso quotidiano, a proposito dell'eventuale apertura di un procedimento penale a carico del Vice Ministro, ori Vincenzo Visco, per l'eventuale reato di abuso di ufficio, il procuratore generale Mario Blandini risulterebbe aver dichiarato: «Non abbiamo insabbiato niente, quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto. Volevamo solo sapere se quei quattro ufficiali erano stati trasferiti per violazione dei doveri disciplinari e se, nei loro confronti, c'era un intento punitivo o meno. Quanto a un eventuale abuso d'ufficio di Visco, dalla nostra indagine, dalla deposizione di Speciale e dall'esame di altri finanzieri che abbiamo sentito, non sono emersi, in modo prepotente, gli estremi per una comunicazione di reato a carico di Visco»;
la precisazione circa la mancata emersione «in modo prepotente» di estremi per una comunicazione di reato, lascia perplesso l'interrogante dal momento che il codice di procedura penale contempla la «prepotenza» come elemento decisivo per l'apertura di un'indagine;
le affermazioni riferite al Vice Ministro Visco cosiccome riportate nella ricostruzione apparsa su Il Giornale, paiono - sempre secondo l'interrogante - rivestire gli estremi di una notizia di reato, ragion per cui ci si dovrebbe aspettare l'apertura di un procedimento o, quanto meno, la trasmissione, sempre da parte della Procura Generale di Milano, degli atti all'autorità giudiziaria competente -:
se risultino avviate indagini da parte degli uffici competenti in ordine ai fatti descritti in premessa.
(3-00907)
Interrogazione a risposta scritta:
CAMPA. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nel 1997, il decreto legislativo n. 398 del 1997 all'articolo 16, comma 2-ter ha previsto la riduzione ad un anno della durata della Scuola di specializzazione per le professioni legali (S.S.P.L.) riservata ai laureati del corso quinquennale in giurisprudenza secondo il nuovo ordinamento, tenendo conto dell'aumento a cinque anni del loro ciclo accademico;
con tale norma veniva assegnata ai Ministri interrogati la competenza per emanare un regolamento volto ad adeguare l'ordinamento didattico delle S.S.P.L. alla prevista durata annuale del corso di studi. Tale regolamento interministeriale ad oggi non risulta ancora emanato;
il ritardo ha prodotto il paradossale effetto che i primi laureati in giurisprudenza del nuovo ordinamento, che hanno svolto il corso di studi quinquennale, e che avrebbero dovuto godere di diritto della riduzione ad un anno del corso di specializzazione, si trovano costretti a frequentare il biennio al pari dei colleghi che hanno conseguito la laurea quadriennale;
ciò perchè, in assenza di qualsivoglia regolamento interministeriale, le S.S.P.L., negando l'auto-applicatività del suddetto decreto legislativo, hanno esteso il ciclo di studi biennale anche per coloro che abbiano conseguito la laurea quinquennale, prevedendo che il corso di durata annuale entrerà in vigore solo dall'anno accademico 2007-2008, in tal modo mortificando la ratio e le finalità del decreto legislativo n. 398 del 1997;
questa soluzione, che discrimina i laureati più meritevoli quanto a tempestività nel completamento degli studi, e stata anche ratificata dall'Esecutivo col collegato alla Finanziaria, salvo poi accettare un Ordine del Giorno presentato dalla maggioranza e sostenuto con dichiarazione di voto dall'intero arco parlamentare (l'O.d.G. 9/1750/108 di Marco Beltrandi e Maurizio Turco) che impegna il Governo: sanare questa incredibile situazione e che è rimasto finora inadempiuta;
va considerato anche che il diploma di specializzazione per le professioni legali è oramai requisito necessario per l'accesso ai concorsi da uditore ai sensi dell'articolo 124 del regio decreto n. 12 del 1941, e che lo slittamento della durata della Scuola di Specializzazione impedisce ai migliori nuovi laureati di accedere ai prossimi concorsi da uditore giudiziario, con la conseguente dispersione delle risorse umane più valide -:
quali motivi ostativi impediscano di dare tempestiva attuazione alla norma di cui al comma 2-ter dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 398 del 1997, al fine di consentire ai laureati in giurisprudenza che più tempestivamente abbiano svolto il proprio ciclo di studi, nel quinquennio previsto dal nuovo ordinamento, di potere conseguire la specializzazione annuale, già a partire dall'anno accademico 2006-2007, così da garantire agli stessi la tutela dei propri diritti quesiti, e favorendo l'adozione di una disciplina maggiormente conforme ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, anche alla luce del fatto che il corso annuale in vigore dal prossimo anno ricalcherà pedissequamente il programma svolto nel presente esercizio in sede di primo anno.
(4-03803)