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Allegato B
Seduta n. 165 del 6/6/2007
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LAVORO E PREVIDENZA SOCIALE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:
ROCCHI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto bancario Intesa San Paolo sta procedendo, al di fuori da ogni contrattazione con le parti sindacali, al licenziamento di personale femminile al compimento del sessantesimo anno di età in modo del tutto generalizzato anche in situazioni in cui è presente un periodo di scarsi versamenti contributivi e di esigue contribuzioni, ex legge 104 o con donne assunte al posto del coniuge deceduto;
per il momento è stata documentata tale situazione in circa un centinaio di casi ma dati precisi non esistono, anche perché l'Istituto ha trattato e continua a trattare i licenziamenti a livello del tutto personale prospettando alle lavoratrici una buona uscita di 15 mensilità qualora accettino di buona norma l'offerta;
normalmente è prassi della Banca Intesa San Paolo non richiedere l'esercizio dell'opzione per rimanere in servizio fino al raggiungimento massimo del periodo contributivo previsto dalla legge;
la Corte Costituzionale con sentenza n. 498 del 1988, ha ritenuto che per
quanto concerne le lavoratrici dipendenti, la tutela obbligatoria deve ritenersi estesa a tutte le lavoratrici che, pur avendo raggiunto l'età pensionabile, non hanno ancora conseguito l'età massima lavorativa, con la conseguenza che alle stesse compete il diritto di proseguire il rapporto di lavoro anche al compimento dell'età pensionabile fino al giorno del raggiungimento dell'età massima, senza necessità di alcun onere di comunicazione, da parte loro, al datore di lavoro, e con la conseguenza che a quest'ultimo è fatto divieto di esercitare il recesso ad nutum nell'arco del tempo indicato;
le associazioni sindacali di categoria hanno inviato lettera di diffida all'Istituto bancario facendo impugnare il provvedimento alle lavoratrici e per conoscenza lo stesso documento è stato fatto pervenire al Comitato Nazionale Parità e alla Consigliera di Parità;
il Piano industriale presentato dall'Istituto parla genericamente di riduzione di costi e razionalizzazioni ma non dà cifre su eventuali esuberi, né tanto meno tale aspetto è stato discusso e concordato con i sindacati -:
se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e come intenda procedere in merito per tutelare e garantire tali lavoratrici da un licenziamento che oltre a produrre gravi condizioni economiche per le interessate le discrimina come donne venendo meno a qualsiasi principio di parità e di uguaglianza di trattamento rispetto agli altri lavoratori dello stesso istituto bancario.
(5-01108)
ROSSI GASPARRINI e MORRONE. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
l'Agenzia INPS di Cesena risulta essere la più grande agenzia INPS presente sul territorio nazionale;
nel rapporto tra carichi di lavoro e forza lavoro, la citata agenzia presenta il maggiore indice di produttività della regione Emilia Romagna, con un indice di complessità ambientale (diversificazione produttiva, articolazione contrattuale dei lavoratori dipendenti, differenziazione delle composizioni aziendali tra piccola media e grande industria, forte componente migratoria eccetera) più elevato della regione;
gestisce un carico di lavoro che equivale a quasi l'80 per cento del carico di lavoro della Sede madre (Forlì) con una forza lavoro che è inferiore al 40 per cento della stessa, garantendo, in ogni caso un livello di produzione equivalente;
gestisce, infine, nell'ambito delle prestazioni a sostegno del reddito diverse tipologie di disoccupazione, malattia, maternità, che sono quelle che, spesso sole nel nucleo familiare, possono garantire i livelli minimi di sopravvivenza con percentuali di domande tra le più elevate nella regione -:
per quali motivi non siano definite le domande di mobilità segnalate alla Direzione Generale dell'INPS dalla Direzione Regionale per l'Emilia Romagna e nemmeno vengano istruite le altre domande, presentate da personale di altri Enti Pubblici, con destinazione Agenzia INPS di Cesena.
(5-01109)
COMPAGNON e MAZZONI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
in data 25 agosto 2006 i due istituti bancari Banca Intesa e San Paolo-IMI convocavano i rispettivi consigli di amministrazione in seduta straordinaria al fine di esaminare un progetto di fusione;
l'obiettivo perseguito era la creazione di un colosso bancario di dimensioni europee, settimo tra i grandi gruppi del vecchio continente e quinto dell'Eurozona;
i consigli di amministrazione dei due istituti di credito, riunitisi a Milano e Torino, approvavano all'unanimità la fusione;
l'inizio attività della nuova società era previsto per fine 2006-inizio 2007;
la razionalizzazione della presenza territoriale della nuova banca avrebbe inevitabilmente comportato, come annunciato già all'indomani della fusione, una riduzione fino a circa il 10 per cento degli sportelli complessivi, ed una conseguente riduzione di personale;
in data 1 dicembre 2006, l'istituto bancario San Paolo-IMI S.p.a. concludeva, con le delegazioni di Gruppo DireCredito-FD, FABI, FALCRI, FIBA/CGIL, SILICEA, SINFUB, UGL Credito, UIL C.A. un accordo relativo alle future riduzioni di personale, in vista della fusione;
secondo quanto pubblicato il 9 gennaio 2007 dal quotidiano Il Sole 24 Ore, nei prossimi giorni i vertici del gruppo incontreranno per la prima volta dopo la fusione le rappresentanze sindacali per dare forma e sostanza all'accordo di massima già raggiunto sugli esuberi volontari e per definire i criteri di uniformità delle diverse piattaforme aziendali;
in particolare, con l'accordo le parti condividevano l'intento di attivare il Fondo di Solidarietà del settore del credito, regolato dal decreto ministeriale n. 158 del 2000 e n. 226 del 2006, al fine di incentivare l'esodo, anche se in forma esclusivamente volontaria;
il comma 3 della premessa all'articolato del Regolamento di Istituzione del Fondo emesso con decreto ministeriale del 28 aprile 2000, n. 158 chiarisce come la ratio ispiratrice del decreto sia, in attesa di un'organica riforma del sistema degli armonizzatori sociali, la definizione per le categorie ed i settori di imprese sprovvisti di tale sistema, di misure di sostegno del reddito e dell'occupazione nell'ambito dei processi di ristrutturazione aziendale e per fronteggiare la crisi;
nell'articolo 2 del Regolamento tale finalità viene richiamata ribadendosi che: «il Fondo ha lo scopo di attuare interventi nei confronti dei lavoratori delle aziende [...] che, nell'ambito ed in connessione con processi di ristrutturazione o di situazioni di crisi [...] o di riorganizzazione aziendale o di riduzione o trasformazione di attività di lavoro, favoriscano il mutamento ed il rinnovamento delle professionalità e realizzino politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione;
il decreto ministeriale n. 158 del 2000 crea una sorta di ammortizzatore sociale per i lavoratori di quelle aziende che, per obiettive difficoltà congiunturali di mercato, versassero in una situazione di crisi, o che, per scongiurare un'imminente e non altrimenti evitabile crisi, fossero costrette ad una ristrutturazione o riorganizzazione per rimanere concorrenziali sul mercato o che, per le stesse ragioni, fossero costrette alla riduzione o trasformazione, con conseguenti ricadute negative in termini occupazionali;
la fusione San Paolo-IMI e Banca Intesa è motivata unicamente da obiettivi di accrescimento del profitto, e sfugge quindi alla condizione di necessarietà, tanto più che essa fusione è attuata attraverso un'operazione di concambio azionario, senza impegni di liquidità;
pertanto, l'operazione sembra esulare dalle finalità per le quali il Fondo di Solidarietà è stato istituito -:
se, ed in quale misura, ritenga possibile l'accesso dell'istituto bancario San Paolo-IMI al suddetto Fondo di Solidarietà e in caso contrario, quali soluzioni alternative intenda adottare per sostenere i livelli occupazionali.
(5-01110)
FABBRI e ZANETTA. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
il combinato disposto della legge del 5 giugno 1997, n. 147 e del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, determina, per i lavoratori frontalieri stagionali, una grave penalizzazione,
prevedendo un trattamento previdenziale di disoccupazione particolarmente limitato;
tutto ciò comporta un grave disagio sociale per questa particolare categoria di lavoratori, in special modo per quelli che lavorano negli alberghi, che si trovano a rimanere privi di reddito per diversi mesi all'anno e, cioè, nel periodo di chiusura delle strutture alberghiere, che va da metà ottobre a metà marzo;
in particolare, il trattamento di disoccupazione per i lavoratori frontalieri stagionali si limita a soli 90 giorni ed è pari al 50 per cento della retribuzione, contro quello dei colleghi svizzeri che, oltre a beneficiare del trattamento per tutto il periodo di chiusura, percepiscono l'80 per cento dello stipendio -:
se non ritenga assolutamente urgente ed indispensabile intervenire, anche a livello normativo, per modificare le condizioni di questa particolare categoria di lavoratori stagionali, per evidenti ragioni di equità sociale.
(5-01111)
BODEGA, GRIMOLDI, FAVA e ALLASIA. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa riportate su La voce di Mantova e La Gazzetta di Mantova dell'8 febbraio 2007, si apprende che la crisi del settore tessile ha colpito anche una delle aziende ritenute come un esempio di solidità nel mondo produttivo della calza, la Pompea;
risulta, infatti, che lo scorso 6 febbraio, durante l'incontro avvenuto tra sindacati e direzione, la Pompea abbia presentato un piano industriale per il triennio 2007-2009 che porterà al taglio di 210 dipendenti su 830 addetti presenti negli stabilimenti ubicati nella provincia di Mantova: 180 nei reparti confezione e stiro di Asola e 30 tra gli impiegati di Medole;
mentre l'azienda parla di «necessaria ristrutturazione degli insediamenti produttivi locali e di impegno per gestire con gli ammortizzatori sociali la riduzione dei lavoratori» per recuperare competitività, le organizzazioni sindacali si sono dichiarate contrarie alla mobilità forzata, ritenendo «esistano tutti gli elementi per individuare soluzioni che non penalizzino i lavoratori», e contrari anche ad ogni provvedimento unilaterale, reputando necessario prima una verifica approfondita del piano industriale;
gli esuberi in Pompea rappresentano l'ennesima vicenda dolorosa che coinvolge l'Alto Mantovano, basti ricordare i fatti inerenti Filodoro di Casalmoro, desaparecido oramai dalla scena produttiva, o lo snellimento avvenuto nella Csp. La situazione economica del solo distretto di Castel Goffredo ha registrato in questi anni una caduta verticale: secondo i dati del Centro servizi della calza, nelle 250 imprese collegate tra il 2001 e il 2005 si sono persi 1.805 posti di lavoro -:
se e quali misure il Governo intenda adottare per scongiurare sia una crisi occupazionale ed economica per ben 210 dipendenti e relative famiglie, sia il rischio di una deindustrializzazione del distretto di Castel Goffredo, come in passato è già avvenuto per la maglieria nel Destra Secchia o per il giocattolo nel Cannettese.
(5-01112)
BELLANOVA, SCHIRRU, CINZIA MARIA FONTANA e DELBONO. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Lecce sono circa 17 mila gli iscritti nelle liste dei disabili ai sensi della legge 12 marzo 1999, n. 68, «Norme per il diritto al lavoro dei disabili»;
l'articolo 9, comma 6 della suddetta legge stabilisce che i datori di lavoro, pubblici e privati, soggetti alle disposizioni della presente norma, sono tenuti ad inviare agli uffici competenti un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero ed i
nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili;
il 13 marzo 2007 la Provincia di Lecce, in relazione a tale normativa, ha approvato e pubblicato gli elenchi delle scoperture dei datori di lavoro pubblici e privati tenuti alle assunzioni dei disabili e non, in relazione alle scoperture rilevate negli organici al 31 dicembre 2006;
da tali prospetti risultano 17 scoperture riservate a lavoratori con disabilità presso la sede Inps di Lecce;
negli ultimi anni l'Inps di Lecce non ha ottemperato agli obblighi stabiliti dalla richiamata norma;
il 2 agosto 2006 il Servizio Politiche del Lavoro e Formazione Professionale della Provincia di Lecce inviava una comunicazione rivolta all'Inps-Sviluppo Gestione e Risorse, Area Acquisizione Risorse Umane presso via Ciro il Grande in Roma cui non è ancora seguita risposta, in cui si rilevava che già da diversi anni esiste nella sede provinciale dell'Ente una scopertura di numero 13 unità, richiamando la procedura, avviata nel 2003, di assunzione con chiamata nominativa di numero 5 unità, e la richiesta di precisazioni circa le procedure da seguire per dare corso alle assunzioni delle restanti 8 unità;
ai sensi dell'articolo 15, comma 3 della legge in argomento si stabilisce che ai responsabili di inadempienze di pubbliche amministrazioni, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», si applicano le sanzioni penali, amministrative e disciplinari previste dalle norme sul pubblico impiego -:
se il Ministro non ritenga di dover intervenire per chiarire il comportamento disdicevole seguito dall'Inps che presso la sede di Lecce rifiuta di ottemperare all'obbligo di assunzione di personale disabile nonostante l'esistenza di scoperture rilevate già da diversi anni e quindi se il Ministro non ritenga di dover ripristinare la condizione di diritto sancita dall'articolo 4 della Costituzione della Repubblica italiana nei confronti dei 17 mila lavoratori della provincia di Lecce iscritti nelle liste dei disabili fino ad oggi fortemente penalizzati dall'impossibilità di accedere a dei posti rimasti vacanti per anni, in palese violazione della legge 12 marzo 1999, n. 68.
(5-01113)
Interrogazioni a risposta scritta:
STUCCHI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da organi di stampa si apprende la notizia che entro il mese di settembre verrà chiuso lo stabilimento di Brembate del gruppo tedesco della Beiersdorf Spa, stabilimento che si occupa della produzione della famosa crema Nivea;
per i 192 addetti della Beiersdorf si profila l'ipotesi dell'apertura della procedura di mobilità;
per l'azienda, che opera nella zona bergamasca da più di 35 anni, la scelta della chiusura del sito di Brembate è derivata dalla riorganizzazione, a livello europeo, della catena produttiva e logistica del settore cosmesi. Rimarrà, infatti, aperta solamente la sede direzionale e commerciale di Milano, mentre la produzione sarà trasferita, in impianti del gruppo, in Germania e Spagna per quanto riguarda i prodotti contenuti in flaconi di plastica e in Polonia per quelli in vasetto, così facendo del gruppo tedesco in Italia rimarrà aperta solo la Comet spa, operante nella zona di Como, che produce nastri adesivi;
la spiegazione, da parte dei vertici del gruppo tedesco, della decisione assunta, è quella di far fronte ad una pressione competitiva sempre maggiore che interessa il mercato mondiale della cosmesi, infatti non si sta parlando di una crisi economica
perché la Beiersdorf in Italia copre circa il 72,6 per cento del fatturato totale, ma di pura competitività;
fanno inoltre sapere dal gruppo che il sito di Brembate verrà posto in vendita e qualora si profilassero ipotesi di acquisto con eventuale assorbimento del personale queste verrebbero prese in considerazione, ma ancora non si ha nulla di certo;
alla luce di tutto ciò chi ne fa le spese sono sempre i lavoratori che molto presto si troveranno senza un posto di lavoro e con prospettive davvero misere;
la maggior parte dei lavoratori è personale che lavora da anni in questa azienda e che sul futuro di questa ha costruito il proprio, ha organizzato la propria vita magari stipulando un mutuo per acquistare una casa, come spesso avviene, e che di punto in bianco si trova senza lavoro per decisioni prese da vertici che non conoscono minimamente la realtà locale e che guardano solamente ai bilanci, non pensando, quindi, ai destini di coloro che vi lavorano;
le organizzazioni sindacali hanno denunciato la gravità della situazione e hanno evidenziato che la decisione della chiusura del sito produttivo è avvenuta in assenza di preavviso alcuno e senza nessun tipo di confronto preventivo con la società -:
se siano a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali interventi urgenti i Ministri intendano assumere per tutelare i posti di lavoro messi a rischio dalla chiusura dell'azienda;
se non si ravvisi la necessità di giungere ad un incontro con la Beiersdorf al fine di invitare i vertici aziendali a ritornare sulle proprie decisioni e, qualora questo tentativo dovesse fallire, se non si individui la possibilità di promuovere interventi volti a garantire, anche tramite lo stanziamento di fondi ad hoc, la tutela dei posti di lavoro;
se non ritengano opportuno valutare una politica industriale, su tutto il territorio nazionale, che prevenga i movimenti delle multinazionali che dispongono, in modo del tutto inaccettabile, del territorio e decidono sulla testa delle persone;
se non ritengano di dover intervenire urgentemente al fine di limitare il fenomeno della delocalizzazione delle aziende, soprattutto nel caso in cui le stesse non si trovino in situazioni di difficoltà economiche o di passività di esercizio, mirando così alla salvaguardia dei livelli occupazionali.
(4-03877)
HOLZMANN. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
lo stabilimento Speedline di Bolzano pare destinato alla chiusura con conseguente perdita dei posti di lavoro per circa centocinquanta dipendenti;
sul quotidiano Il corriere dell'Alto Adige, nell'edizione di martedì 5 giugno 2007, in un articolo dal titolo «Speedline nel caos il diktat di Tabina - Bolzano chiuda», si fa riferimento ad un incontro tra i sindacati, svoltosi la scorsa settimana presso il Ministero, nel corso del quale pare si sia chiesto alla proprietà la chiusura dello stabilimento di Bolzano ed il conseguente trasferimento della produzione di ruote in lega leggera per autocarri;
nei prossimi giorni (presumibilmente già domani pomeriggio) si svolgerà un incontro a Bolzano tra la proprietà (gruppo Mazzucconi), i sindacati e la Provincia, per discutere del futuro dello stabilimento di Bolzano -:
se il Ministero ritenga possibile un piano industriale che possa mantenere l'occupazione presso lo stabilimento di Bolzano;
in caso contrario, se sia intenzionato a concedere un secondo anno di cassa integrazione per i lavoratori.
(4-03889)
SERENI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo gli stessi dati dell'Istituto superiore di sanità, il dramma dell'esposizione all'amianto coinvolge tra un milione e un milione e duecentomila lavoratori, mentre secondo altre fonti, i lavoratori coinvolti sarebbero oltre tre milioni, soprattutto nei settori navale, chimico, ferroviario e nell'edilizia. Ogni anno, le persone colpite dal mesotelioma della pleura sono in aumento, al punto che nel 2006, secondo i dati del registro nazionale dei mesoteliomi, i lavoratori affetti da questa patologia erano 1200, con un incremento rispetto al 2005 del 20 per cento;
sin dagli anni '40 le FS hanno utilizzato l'amianto in grandi quantità. Dapprima, quale isolante per le condotte del vapore e di parti dei locomotori a vapore e poi, dagli anni sessanta, per isolare termicamente e acusticamente le carrozze, con strati di 50 mm sulle lamiere;
le ex Officine Grandi Riparazioni di Foligno, oggi OMC, in qualità di più grande sito italiano, hanno lavorato centinaia di unità di materiale rotante coibentate con l'amianto e, per molti anni, senza l'adozione delle ben che minime misure di precauzione, tanto che a partire dai primi anni '90 diverse fonti giornalistiche e sindacali denunciarono il sostanziale fallimento del Piano decennale di bonifica delle carrozze e dei locomotori;
come già testimoniato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1986, l'esposizione a qualunque tipo di fibra di amianto e a qualunque grado di concentrazione in aria determina in ogni caso un aumento del rischio sanitario;
sin dalla piena entrata in vigore delle disposizioni previste dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, che ha consentito anche ai ferrovieri di potersi far riconoscere i benefici previdenziali previsti nei casi di esposizione all'amianto dalla legge 27 marzo 1993, n. 271, sono state avviate le procedure relative e, poi, le conseguenti controversie giurisdizionali. Se non che, a fronte di cause afferenti situazioni soggettive ed ambientali del tutto analoghe conclusesi con pronunciamento a favore dei lavoratori, in taluni casi è stata presentata istanza di appello dalla competente sede INPS, allungandone così i tempi e rispetto alle quali si è inoltre registrata, nelle more, una mutata giurisprudenza della Cassazione circa la competenza, dapprima attribuita al giudice ordinario (Cass. Civ. Sez. Unite, 1o aprile 1999, n. 207) e in seguito alla Corte dei Conti (Cass. Sez. Unite, 28 settembre-8 novembre 2006, n. 23734-28), così determinando disorientamento e disparità di aspettative e condizione tra lavoratori, tutti titolari di medesimi diritti percorsi di vita lavorativa, alcuni dei quali, addirittura, sono stati chiamati al pagamento delle spese processuali;
tali situazioni appaiono come la conseguenza, anche, di un complessivo quadro normativo non sempre coerente ed esauriente -:
quali siano gli elementi a disposizione del Ministro con riferimento ai procedimenti riguardanti i lavoratori delle ex OGR di Foligno;
quali iniziative intenda adottare per favorire il riesame delle situazioni previdenziali dei lavoratori ex esposti alle fibre d'amianto, al fine di favorire la rapida soluzione dei casi controversi;
come valuti l'esigenza di una verifica e rivisitazione del complessivo quadro normativo, al fine di superare ogni possibile disparità di trattamento ed incertezza giuridica.
(4-03894)
ROCCHI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
l'Enel Produzione prospetta la dismissione di alcune centrali nel territorio siciliano, tra cui il sito di Porto Empedocle con l'ipotesi della cessione del ramo d'azienda in questione, e la diminuzione
degli investimenti in Sicilia spostando gli impianti in altre dislocazioni al Centro e al Nord d'Italia, evidenziando la scelta di privilegiare una logica di mercato e finanziaria anziché un progetto industriale di pubblico servizio in particolare su un territorio come quello siciliano dove tra l'altro ci sarebbero le condizioni e le competenze per investire e sviluppare quelle tecnologie idonee alla produzione di energia elettrica attraverso fonti rinnovabili;
anni di disattenzione delle istituzioni Regionali siciliane, una liberalizzazione sbilanciata sulla business politic, politiche industriali miopi hanno determinato una situazione che sfocerà in tempi brevi oltre che in una grave crisi occupazionale anche in una crisi di fornitura energetica a tutta l'isola;
la Sicilia registra infatti un costo medio dell'energia elettrica molto superiore alla media nazionale, una qualità del servizio tra le più basse d'Italia, l'assenza di un piano energetico regionale che sia anche di indirizzo per le politiche industriali delle aziende, una rete di trasmissioni sul territorio inadeguata e carente, tutte scelte aziendali che hanno fatto perdere negli ultimi anni centinaia di posti di lavoro;
entro il 30 giugno le centrali di Porto Empedocle e Augusta saranno cedute al Gruppo Falck malgrado la netta opposizione delle istanze sindacali all'interno di una vertenza assai più complessa riguardante le opzioni strategiche più generali del Gruppo Enel ma in particolare i sindacati respingono la prospettata chiusura e la dismissione dell'impianto di una delle due centrali in questione, quella di Porto Empedocle, come ipotizzato nell'accordo tra Enel e Gruppo Falck per il trasferimento delle stesse;
la centrale Enel di Porto Empedocle svolge la sua attività da oltre quarant'anni, contribuendo allo sviluppo economico del territorio e garantendo occupazione e lavoro;
il Consiglio Comunale di Porto Empedocle ha approvato una mozione che chiede all'Enel chiare ed esaustive rassicurazioni sul futuro dello stabilimento e dei lavoratori impegnati e al contempo la salvaguardia del sito produttivo oltre al potenziamento, l'ammodernamento e/o la riconversione dell'impianto al fine di assicurare un prospettiva produttiva e di lavoro al territorio;
le segreterie provinciali di FILKCEM-CGIL, FLAEI-CISL E UILCEM-UIL, in merito alle problematiche legate al futuro dell'impianto di Porto Empedocle nel ribadire all'Enel, dimostratasi al momento del tutto insensibile alle richieste delle organizzazioni sindacali, la necessità della salvaguardia del sito produttivo, la valorizzazione degli impianti esistenti e il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e la contrarietà alla Cessione del Ramo d'Azienda, rilanciano l'ipotesi di mantenere la produttiva del sito Enel anche attraverso la riconversione a ciclo combianato;
su questi temi, presso la Prefettura di Palermo, si è aperto un tavolo tra le Segreterie sindacali regionali e l'Enel-Gem Produzione nel tentativo di conciliazione della vertenza a che a tutt'oggi non ha portato ad alcuna soluzione condivisa -:
se il ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali azioni concrete intenda il ministro mettere in atto per tutelare il diritto al lavoro delle maestranze dello stabilimento Enel Geni di Porto Empedocle e garantire un futuro all'economia già compromessa del territorio.
(4-03895)
STUCCHI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da organi stampa si apprende la notizia che, entro il mese di settembre, sarà ristrutturata la produzione per lo stabilimento a Pedrengo della Chemtura Manufacturing Italy, filiale italiana della
multinazionale statunitense, azienda che si occupa della produzione di antiossidanti standard;
i lavoratori colpiti saranno dai 125 ai 135, sui 175 in organico, per i quali si profila l'ipotesi dell'apertura della procedura di mobilità;
per la Chemtura di Pedrengo la ristrutturazione riguarderà il settore degli antiossidanti standard; questa ristrutturazione è legata a problemi di competitività sui cui pesano i costi di produzione che si registrano in Europa; infatti il gruppo in una nota spiega che: «il significativo aumento di produttività ottenuto in anni recenti a Pedrengo e a Ravenna è stato del tutto vanificato dall'incremento dei costi di esercizio e delle materie prime»; da qui la decisione di cessare sia a Pedrengo che a Ravenna la produzione di tre tipi di antiossidanti utilizzati nella produzione della plastica per aumentare la durata dei prodotti; continuerà, invece a Pedrengo, la sola produzione di miscele di antiossidanti vendute in forme granulari e destinati alla plastica;
le produzioni si fermeranno di fatto prima del mese di settembre, infatti, si ventila l'ipotesi che questo avverrà già entro il mese di giugno ed il tempo che rimarrà da qui a settembre servirà solamente per sistemare l'impianto e per l'effettiva uscita del personale, entro ottobre;
alla luce di tutto ciò chi ne fa le spese sono sempre i lavoratori che molto presto si troveranno senza un posto di lavoro e con prospettive davvero misere;
la maggior parte dei lavoratori è personale che lavora da anni in questa azienda e che sul futuro di questa ha costruito il proprio, ha organizzato la propria vita magari stipulando un mutuo per acquistare una casa, come spesso avviene, e che di punto in bianco si trova senza lavoro per decisioni prese da vertici che non conoscono minimamente la realtà locale e che guardano solamente ai bilanci, non pensando, quindi, ai destini di coloro che vi lavorano;
le organizzazioni sindacali hanno denunciato la gravità della situazione e hanno evidenziato che la decisione della chiusura del sito produttivo è avvenuta in assenza di preavviso alcuno e senza nessun tipo di confronto preventivo con la società -:
se siano a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali interventi urgenti i ministri intendano assumere per tutelare i posti di lavoro messi a rischio dalla chiusura del sito produttivo dell'azienda;
se non si ravvisi la necessità di giungere ad un incontro con la Chemtura al fine di invitare i vertici aziendali a ritornare sulle proprie decisioni e, qualora questo tentativo dovesse fallire, se non si individui la possibilità di promuovere interventi volti a garantire, anche tramite lo stanziamento di fondi ad hoc, la tutela dei posti di lavoro;
se non ritengano opportuno valutare una politica industriale, su tutto il territorio nazionale, che prevenga i movimenti delle multinazionali che dispongono, in modo del tutto inaccettabile, del territorio e decidono sulla testa delle persone;
se non ritengano di dover intervenire urgentemente al fine di limitare il fenomeno della delocalizzazione delle aziende, soprattutto nel caso in cui le stesse non si trovino in situazioni di difficoltà economiche o di passività di esercizio, mirando così alla salvaguardia dei livelli occupazionali.
(4-03901)