Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Allegato B
Seduta n. 168 del 12/6/2007
TESTO AGGIORNATO AL 4 LUGLIO 2007
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzioni in Commissione:
La XI Commissione,
premesso che:
ai sensi del comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, «sono considerati lavori particolarmente usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee»; in base alla definizione appena citata, la Tabella A allegata al decreto legislativo n. 374 del 1993 individuava tra le attività particolarmente usuranti, in relazione al profilo dell'aspettativa di vita e dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità, quella dei «marittimi imbarcati a bordo»;
successivamente, la legge 27 dicembre 1997, n. 449, all'articolo 59, comma 11, affidava - in attuazione di quanto previsto nella legge 8 agosto 1995, n. 335, di riforma del sistema previdenziale - ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali l'identificazione dei criteri per pervenire ad un elenco delle mansioni usuranti;
nel decreto ministeriale 19 maggio 1999, l'attività dei marittimi imbarcati a bordo non risultava più essere inclusa tra quelle particolarmente usuranti, escludendo in tal modo i lavoratori interessati dai relativi benefici previdenziali;
in data 2 maggio 2007, nel corso dell'esame della mozione n. 1/00154 relativa alla crisi del settore della pesca e dell'acquacoltura, il Governo ha dichiarato di condividere - come richiesto nel dispositivo della mozione - l'opportunità di inserire l'attività dei marittimi imbarcati, con riferimento segnatamente a coloro che operano sui natanti da pesca, tra quelle definite particolarmente usuranti ai fini dell'estensione dei relativi benefici previdenziali;
dato il numero esiguo dei lavoratori coinvolti, l'onere economico sarebbe modesto a fronte di un atto di giustizia e di vera civiltà;
impegna il Governo:
a predisporre iniziative concrete alla luce dell'impegno assunto lo scorso 2 maggio, al fine di introdurre l'attività dei marittimi imbarcati, con riferimento a coloro che lavorano sui natanti da pesca, nell'elenco delle mansioni particolarmente usuranti;
a valutare, altresì, la possibilità di estendere - in virtù dei particolari ritmi di lavoro che tale attività presenta, per cui è possibile che questi lavoratori debbano sottostare a lunghi periodi di inattività a causa di fermi-pesca o di condizioni metereologiche sfavorevoli all'attività peschereccia - ai marittimi imbarcati sui natanti da pesca la disciplina relativa al trattamento di integrazione salariale.
(7-00204)
«Baldelli, Marinello, Misuraca, Licastro Scardino, Angelino Alfano, Pili, Ceroni».
La XI Commissione,
premesso che:
la problematica inerente la soppressione dell'Assegno Speciale corrisposto dalla Cassa Ufficiali dell'Esercito è stato oggetto di trattazione fin dal 1977, più volte riproposto ma ancora senza soluzione;
nelle varie occasioni gli Stati Maggiori sono stati sempre favorevoli a tale ipotesi;
anche la Corte dei conti si è pronunciata per la soppressione dell'A.S. atteso che lo stesso «non risponde più alle finalità che ne costituivano il fondamento» e che «genera disparità di trattamento tra gli Ufficiali dell'Esercito italiano/Carabinieri
e Ufficiali delle altre Forze Armate». A parere del suddetto Organo l'istituto risulta «anacronistico», senza utilità per il personale e generatore di disparità di trattamento;
la difficile situazione patrimoniale relativa alla gestione dell'Indennità Supplementare (I.S.) e dell'A.S. (entrambi gestiti dalla Cassa Ufficiali Esercito) hanno portato, nel 1996, all'unificazione delle due gestioni e all'aumento dei contributi, a carico peraltro dei soli Ufficiali dell'Esercito e dell'Arma dei Carabinieri, dal 3 per cento al 4 per cento sull'80 per cento della voce stipendio;
gli Ufficiali della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare non percependo la provvidenza suddetta corrispondono solo il 2 per cento sull'80 per cento, della voce stipendio per la sola liquidazione dell'I.S.;
l'assegno in parola è corrisposto dopo ben otto anni dal collocamento in pensione e non è reversibile;
una valutazione condotta sviluppando delle ipotesi concrete al fine di quantificare il rapporto costo-beneficio per il personale ha fornito risultati allarmanti riscontrando che, nella maggioranza dei casi, «per recuperare» il solo importo dei contributi versati durante il servizio, il personale dovrebbe superare di almeno 20 anni la speranza media di vita (attualmente attestata attorno ai 77 anni). Dai conteggi effettuati per un generale di corpo d'armata e per un tenente colonnello o generale di brigata si evince che i primi dovrebbero raggiungere i 98 anni ed i secondi i 120 anni;
si può, pertanto, affermare che la maggior parte del personale effettua dei versamenti che non riuscirà mai a recuperare;
tale situazione è destinata a peggiorare in quanto:
a) la riduzione dello strumento militare prevede una contrazione degli arruolamenti ed un aumento dei collocamenti in quiescenza, che produrranno una diminuzione delle entrate ed un aumento delle uscite per la Cassa Ufficiali;
b) il recente incremento (avvenuto nel 2005), del 10 per cento dell'A.S. ha già comportato una maggiore spesa fissa rispetto alla precedente misura di circa 60,00 euro pro capite, che moltiplicata per il numero dei beneficiari (7.755 nel 2005) si traduce in un maggior onere di circa 465.000,00 euro annui, a fronte di un futuro incremento delle entrate, dovuto alla rideterminazione del fitto dell'immobile di Via Todi (circa 637.000,00 euro a regime);
c) l'aumento del numero dei beneficiari dell'A.S. dei prossimi 5 anni comporterà un onere aggiuntivo fisso di circa 1,5 milioni di euro. Tale situazione, aggiunta ai precedenti aumenti, annullerà entro il 2010 le maggiori entrate derivanti dall'immobile di Via Todi,
impegna il Governo
ad adottare tutte le iniziative e tutti i provvedimenti necessari idonei a garantire e tutelare gli aventi diritto alle prestazioni della Cassa Ufficiali dell'Esercito.
(7-00205)«Amoruso, Ascierto».
La XIII Commissione,
premesso che:
la superficie mondiale delle piantagioni di pioppo ammonta complessivamente a 7 milioni di ettari, di cui 2,6 sono piantagioni specializzate per la produzione di legno, mentre gli altri sono rappresentati per lo più da fasce e impianti lineari, con funzione protettiva e ambientale;
l'Italia rappresenta uno dei principali Paesi importatori di legno di pioppo in Europa;
la produzione italiana e in particolare di pioppo, è da sempre caratterizzata da una elevata qualità, adatta sia alla sfogliatura per la produzione di pannelli
compensati, sia per la produzione di segati destinati all'importante settore degli imballaggi di legno, pallets e in particolare cassette per ortofrutta, non riscontrabile in altri Paesi;
la superficie pioppicola nel nostro Paese è attualmente di circa 118.000 ettari, di cui 83.000 in colture specializzate e inserite tra le attività agricole;
nell'ultimo ventennio si è assistito ad una riduzione delle piantagioni pioppicole, di circa il 25 per cento e la produzione di legno di pioppo è passata da circa 2 milioni di metri cubi per anno a poco più di un milione e mezzo;
il legno di pioppo proveniente dalle piantagioni, rappresenta il 50 per cento del legname da lavoro prodotto in Italia e l'industria compensatiera nazionale, assorbe e valorizza il maggior quantitativo di legname di pioppo immesso sul mercato;
attualmente la coltivazione della pioppicoltura, attraversa una profonda crisi, testimoniata dalla riduzione delle superfici coltivate che nel nostro Paese sono passate da 150.000 ettari a partire dagli anni '70, agli attuali 83.000 ettari di colture specializzate;
soltanto nella pianura Padana, dove si concentra la larga parte degli impianti specializzati nella coltivazione di pioppo, le superfici coltivate sono passate dai circa 65.000 ettari agli inizi degli anni '80, agli attuali 35.000;
in particolare, la carenza di offerta interna di legno di pioppo, derivante dai residui di abbattimenti e dagli scarti di altre trasformazioni industriali, ha indotto l'industria dei pannelli a rivolgersi a fonti di approvvigionamento alternative, con ripercussioni negative sul mercato e sui prezzi del legname come si è verificato proprio nel corso di questi ultimi anni;
nonostante l'importante contributo positivo alla bilancia commerciale del nostro Paese, l'industria di trasformazione del legno di pioppo di alta qualità, sta attraversando una crisi strutturale che è conseguente alle difficoltà della pioppicoltura italiana;
conseguentemente risulta necessario, che ampie superficie agricole, finora destinate a piantagioni di bietola, tabacco e cereali, attualmente in fase di riconversione, potrebbero essere vantaggiosamente e facilmente destinate alla pioppicoltura, con evidenti possibilità di una vantaggiosa ripresa per l'intera filiera interessata;
inoltre, raddoppiare l'attuale superficie pioppicola, riportandola ai livelli del 1980, costituirebbe una valida soluzione ai fini dei benefici ambientali, in quanto oltre alla produzione di tronchi di qualità (utilizzati per soddisfare le esigenze dell'industria dei compensati e dei segati per l'industria degli imballaggi di legno), è da considerare la possibilità di recupero, del 30-35 per cento, di assortimenti legnosi meno pregiati (ceppaie e ramaglie), da destinare alla produzione di energie rinnovabili; tali aspetti più strettamente ambientali, vanno considerati anche nella realistica possibilità, di attuare una pioppicoltura ecologicamente disciplinata, attraverso la certificazione forestale della pioppicoltura;
peraltro la classica pioppicoltura, non ha mai determinato problematiche relative all'impatto ambientale, anzi ha favorito il mantenimento di buoni livelli di biodiversità rispetto alle altre colture agrarie;
non meno importante risulta il contributo in termini di assorbimento della CO2 (quasi 1 milione di tonnellate all'anno per superfici di 50-60 mila ettari), da parte delle piantagioni di pioppo che possono certamente contribuire al conseguimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto;
in considerazione delle osservazioni suesposte, al fine di favorire dal punto di vista sia produttivo che occupazionale, la filiera legno-mobile è necessario incrementare la superficie pioppicola di qualità;
gli interventi urgenti da attuare, dal punto di vista sia economico-finanziario che più specificatamente agricolo, per sostenere l'attività della pioppicoltura devono essere volti a:
a) sostenere i costi di impianto (euro/ettaro 3.500) in ragione del 90 per cento per i terreni precedentemente destinati alla pioppicoltura; 100 per cento per le superfici agricole, attualmente in fase di riconversione come quelle a cerali, bietola e tabacco;
b) favorire la cure colturali annuali, stimate in 1.300 euro/ettaro all'anno, volte all'ottenimento di produzioni legnose di qualità, nel rispetto dei disciplinari di produzione sostenibile, previsti dagli schemi di certificazione (PEFC, FSC), in ragione del 50 per cento delle spese ammissibili;
c) sostenere la qualità delle coltivazioni di pioppo, con organismi operanti sul territorio e in grado di certificare la buona gestione forestale, allo scopo di perseguire la migliore qualità finale delle piante da pioppo;
d) incentivare il recupero degli assortimenti legnosi attualmente non utilizzati quali: ceppaie e ramaglie, in quanto il costo per il recupero quantificabile in circa 1.000 euro per ettaro, risulta superiore al valore di realizzo; tale materiale potrebbe essere adeguatamente reintegrato, per scopi energetici, alla stessa stregua della biomassa ottenuta da impianti dedicati (SRF); il sostegno dovrebbe essere addizionato al contributo iniziale per l'impianto, per un valore corrispondente al 50 per cento del costo di recupero;
e) sostenere le imprese disposte ad attrezzarsi per il recupero degli assortimenti legnosi meno pregiati, attualmente lasciati sul terreno con rischi di carattere fitosanitario; il sostegno dovrebbe essere pari al 50 per cento del costo di ammortamento delle attrezzature necessarie;
è auspicabile, al fine di evitare il ripetersi di penalizzazioni e sperequazioni avvenute in passato, rispetto all'altra arboricoltura da legno e alle colture agrarie che hanno beneficiato annualmente di contributi finanziari da parte delle istituzioni comunitarie, utilizzare parte delle risorse disponibili per ottemperare al Protocollo di Kyoto;
dalle considerazioni suesposte risulta indispensabile, sostenere la pioppicoltura che rappresenta sicuramente uno strumento efficace e vantaggioso, al fine di utilizzare al meglio i crediti di carbonio, favorendo in tal modo la riforestazione produttiva, anche nel rispetto della tradizione del nostro paesaggio agrario;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di prevedere una serie di interventi a sostegno della pioppicoltura, con particolare riferimento alle indicazioni esposte in premessa; a collaborare con le associazioni pioppicole al fine di perseguire le seguenti finalità:
a) definire opportune iniziative volte all'espansione delle superfici agricole destinate alla pioppicoltura tradizionale;
b) favorire il processo di filiera basato sui principi dell'ecocertificazione forestale secondo le norme UNI EN ISO 14001 e secondo criteri specifici dei sistemi di certificazione forestale, promuovendo nuovi sbocchi per l'uso e la commercializzazione dei prodotti pioppicoli, come dimostrano alcune positive esperienze regionali;
c) valutare sotto il profilo sia tecnologico, che commerciale, le produzioni sia quelle già ottenute, sia quelle potenzialmente ottenibili;
d) promuovere una serie di iniziative con le associazioni pioppicole, attraverso un tavolo di filiera, volte ad effettuare una attività di controllo per la produzione pioppicola di qualità, derivante dalle nuove piantagioni messe a coltura, affinché sia acquisita dall'industria
di trasformazione per soddisfare il proprio fabbisogno di materia prima, ad un prezzo equo di mercato.
(7-00203)«Misuraca, Carlucci».
La XIII Commissione,
premesso che:
secondo gli Orientamenti Comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007/2013, di cui alla comunicazione (2006/C 319/01), in particolare le indicazioni recate nel Capitolo V lettera B, V.B. Aiuti per l'indennizzo dei danni causati alla produzione agricola o ai mezzi di produzione agricola, pur se in linea generale, la Commissione non riconosce l'insorgere di malattie animali o vegetali come una calamità naturale o un evento eccezionale, tuttavia, in alcune circostanze, la stessa Commissione ha di fatto riconosciuto un'infezione epizootica molto diffusa e completamente nuova come evento eccezionale;
in tal senso, dato che questo tipo di eventi è per sua natura difficile da prevedere, la Commissione ha deciso di continuare a valutare caso per caso le proposte di concessione di aiuti a norma dell'articolo 87, paragrafo 2, lettera b), del trattato tenendo presenti le prassi precedentemente seguite in questo settore;
sempre in materia di orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato in agricoltura, la Commissione precisa altresì che se le aziende agricole colpite da situazioni eccezionali o da effetti dovuti ad avversità atmosferiche, incontrano difficoltà economiche, tali aziende possono essere sostenute grazie ad aiuti per il salvataggio e per la ristrutturazione;
in seno alla possibilità di concedere sussidi pubblici in favore di aziende agricole colpite da situazioni non prevedibili e ad ogni modo connesse ad avversità ambientali eccezionali, appare chiaro che non vi è una preclusione insuperabile da parte della Commissione europea, anzi esistono margini espliciti perché la stessa Commissione ne approvi l'erogazione;
la norma nazionale che disciplina la materia degli aiuti pubblici in favore delle aziende agricole colpite da avversità atmosferiche o calamità naturali, è il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, recante «Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole». Ai sensi di tale disposizione, è previsto l'intervento del Fondo di solidarietà nazionale (FSN) al fine di promuovere principalmente interventi di prevenzione per far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche, alle strutture aziendali agricole ed alle infrastrutture agricole, nelle zone colpite da calamità naturali o eventi eccezionali, entro i limiti delle risorse disponibili sul Fondo stesso e nel rispetto degli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato nel settore agricolo;
l'ispettorato agrario della provincia di Trapani sta informando le istituzioni competenti della regione Sicilia e quelle nazionali che a causa del perdurare di anomale situazioni climatiche, la produzione vitivinicola della stessa provincia, per la presente annata agraria, sarà del tutto compromessa, con danni agli agricoltori interessati molto vicini alla perdita totale del reddito agricolo per tale coltura;
sempre l'ispettorato agrario della provincia di Trapani, utilizzando i dati del servizio informativo meteorologico siciliano, riferisce che analizzando il periodo 1o settembre 2006-20 maggio 2007 si evidenziano due dati di alterazione climatica molto evidente: in primo luogo la piovosità passa da 291 mm della media degli ultimi 30 anni a 737 mm dell'anno in corso, con un balzo del + 153 per cento e in secondo luogo l'aumento medio delle temperature che incide maggiormente nei mesi di dicembre/gennaio (+ 1,5 oC) e marzo e aprile (+ 1,65 oC);
l'analisi dei dati conferma il fenomeno di tropicalizzazione del clima siciliano dovuto ad un consistente aumento delle temperature minime e delle precipitazioni;
l'aumento evidente delle temperature nel periodo invernale/primaverile, accompagnato da una piovosità superiore al 150 per cento rispetto alla media, ha creato condizioni favorevoli ad uno sviluppo incontrollato delle patologie funginee e in particolare della Plasmopora Viticola;
la provincia di Trapani è la provincia più vitata d'Italia con circa 88.000 ettari di superficie vitata di cui 70.000 ettari di vigneto impiantato e 18.000 ettari di diritti in portafoglio;
la produzione media annua è di circa 7 milioni di quintali di uva, conferita, per il 90 per cento presso una trentina di Cantine Sociali;
il numero di aziende censite al catasto vitivinicolo è di circa 30.000;
la viticoltura rappresenta per il territorio la voce di gran lunga più importante della Produzione Lorda Vendibile agricola e una delle voci più importanti dell'economia del territorio trapanese;
il comparto attualmente vive una profonda crisi strutturale che ha portato al crollo dei prezzi del vino sfuso e alla conseguente crisi finanziaria delle aziende viticole che negli ultimi due anni non sono riuscite a coprire i costi di produzione;
la preventivata perdita del 50 per cento del raccolto dell'intera provincia, con punte molto estese dove la perdita è del 100 per cento accompagnata anche da danni diretti alle piante, comporterà, in assenza di urgenti iniziative pubbliche di sostegno, il fallimento di migliaia di aziende viticole, con danni enormi sul piano economico e sociale per l'intera Sicilia occidentale;
gli agricoltori hanno tuttavia adottato, con diligenza e secondo le prescrizioni del competente servizio agrometereologico, le previste azioni di lotta alla peronospora, ma i risultati sono stati vani;
la situazione di crisi produttiva venutasi a creare in provincia di Trapani a danno del comparto vitivinicolo e la conseguente perdita di reddito delle relative aziende agricole, dovuta alle imprevedibili e non fronteggiabili avversità climatiche che hanno indotto la proliferazione incontenibile della fitopatia della peronospera può rientrare nell'ambito delle avversità per cui è previsto l'intervento dello strumento del Fondo di solidarietà nazionale, secondo i criteri recati dal decreto legislativo n. 102/2004,
impegna il Governo
ad intraprendere ogni iniziativa affinché, in collaborazione con la Regione siciliana, si possa venire incontro alla situazione di crisi che sta colpendo i produttori vitivinicoli della provincia di Trapani, in tal senso valutando innanzitutto la possibilità di far rientrare il fenomeno avverso nei casi previsti dal decreto legislativo n. 102/2004 e conseguentemente far provvedere a dichiarare lo stato di calamità naturale o di avversità climatica.
(7-00206)«Fundarò, Lion».
La XIII Commissione,
premesso che:
la lettera g), del comma 1120, dell'articolo 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, (Finanziaria 2007), prevede l'abrogazione dell'articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239, recante «riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia». In tal senso è disposta la soppressione del diritto alla emissione dei certificati verdi di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e successive modificazioni, per l'energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata, per il teleriscaldamento;
per quanto riguarda il comparto agricolo, tale norma soppressiva rappresenta secondo il sottoscrittore del presente atto una gratuita quanto inaspettata e
grottesca penalizzazione, che al momento sta comportando gravi ripercussioni ed incertezze nei confronti degli agricoltori che gestiscono strutture attinenti al teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre;
gli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre corrispondono alla definizione e sono conformi ai requisiti previsti dal decreto ministeriale 24 ottobre 2005, sulle direttive per la regolamentazione dell'emissione dei certificati verdi alle produzioni di energia di cui all'articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239;
in relazione al soppresso articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239, è intervenuto l'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20, recante «attuazione della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia, nonché modifica alla direttiva 92/42/CEE», che nel merito prevede che «I diritti acquisiti da soggetti titolari di impianti realizzati o in fase di realizzazione in attuazione dell'articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239, come vigente al 31 dicembre 2006, rimangono validi purché i medesimi impianti posseggano almeno uno dei seguenti requisiti:
a) siano già entrati in esercizio nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge 23 agosto 2004, n. 239, e la data del 31 dicembre 2006;
b) siano stati autorizzati dopo la data di entrata in vigore della legge 23 agosto 2004, n. 239, e prima della data del 31 dicembre 2006 ed entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2008;
c) entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2008, purché i lavori di realizzazione siano stati effettivamente iniziati prima della data del 31 dicembre 2006;
si deve evidenziare che per quanto riguarda il teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre, il citato articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 20/2007, rende assolutamente non attuabili i progetti di tale ambito agricolo poiché i tempi sono assolutamente non congrui con le tempistiche di realizzazione e non tengono conto dei ritardi accumulati sia a causa delle lungaggini connesse all'approvazione delle confacenti norme legislative, sia a causa della mancata pubblicazione dei documenti previsti dall'articolo 6 del citato decreto ministeriale 24 ottobre 2005, relativamente alle procedure tecniche per l'espletamento delle funzioni assegnate al gestore della rete ed alla relativa documentazione tecnica per il riconoscimento di cogenerazione e teleriscaldamento;
in particolare, l'articolo 11, comma 1, del decreto ministeriale 24 ottobre 2005 aveva previsto che in «novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, il gestore della rete adottasse e sottoponesse all'approvazione dei Ministri delle attività produttive e dell'ambiente e della tutela del territorio le procedure tecniche per l'espletamento delle funzioni adesso assegnate dal decreto». Ad oggi non sono state ottemperate le scadenze da parte dei due ministeri, relative alla pubblicazione delle procedure tecniche di qualifica e rilascio dei certificati verdi per gli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, né sono state emanate le procedure per la gestione e l'emissione dei certificati verdi per gli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento;
questa vacanza di regolamentazione ha conseguenze sui soggetti attuatori dei progetti di impianti di teleriscaldamento destinato ad ambienti agricoli o serre, anche laddove questi rientrino nelle limitazioni temporali delle scadenze previste dal citato comma 1, articolo 14, del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20;
stante l'attuale quadro di riferimento, nessun nuovo impianto può essere realizzato, soprattutto a causa delle tempistiche progettuali relative a questa categoria di impianti, che risultano essere
assai complesse e necessitano di adeguate concertazioni fra i soggetti attuatori e gli enti preposti alle autorizzazioni;
secondo il sottoscrittore del presente atto la restrizione operante per il teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre è assolutamente discriminatoria, infatti essa non si esplica per gli altri impianti già da tempo programmati e di proprietà di soggetti industriali e di ex multiutility, i quali possono beneficiare a pieno delle norme transitorie di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 20/2007, vanificando in tal modo il carattere programmatico della Direttiva 2004/8/CE, che, chiaramente, prevede che i regimi di sostegno siano previsti per la promozione e non per il consolidamento. A tal fine il primo considerando della medesima direttiva indica chiaramente che «Attualmente nella Comunità il potenziale per l'uso della cogenerazione come mezzo per risparmiare energia è sottoutilizzato. ... È pertanto necessario adottare misure che consentano di sfruttare meglio questo potenziale nel quadro del mercato interno dell'energia»;
si conviene che il teleriscaldamento, segnatamente quello dedicato agli ambienti a destinazione agricola, non dovrebbe essere incentivato con i meno remunerativi Titoli di Efficienza Energetica (i così detti certificati «bianchi» derivanti dall'applicazione dei provvedimenti attuativi dell'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 79/1999 e dell'articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164), in quanto non disciplinabile come pura efficienza energetica o risparmio energetico, poiché rappresenta la forma di cogenerazione in assoluto più difficile da realizzarsi e, pertanto, deve essere tenuta distinta e diversamente incentivata, poiché i più premianti certificati «verdi» sono previsti anche nel ventiseiesimo considerando della stessa Direttiva 2004/8/CE;
le ingiustificate penalità generate dalle disposizioni di cui si discute sono, per il sottoscrittore del presente atto, in evidente contrasto con i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento (a tal proposito si ricorda anche il considerando numero 30 della medesima Direttiva 2004/8/CE, «sulla necessità di un contesto economico e amministrativo stabile ... evitando frequenti cambiamenti nelle procedure amministrative»), in modo particolare per gli operatori del comparto agricolo per i quali il termine del 31 dicembre 2008 per l'entrata in esercizio prevista dal decreto legislativo n. 20/2007, articolo 14, è assolutamente troppo breve, mentre l'ottenimento delle autorizzazioni, allo scopo previsto alla data del 31 dicembre 2006, risulta retrodatato rispetto alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo n. 20/07;
le vigenti incertezze relative alle misure di sostegno per il teleriscaldamento di ambienti agricoli e serre, pure in caso di applicazione dei certificati bianchi, non permettono di avere rassicurazioni certe in merito al regime di sostegno alla cogenerazione ad alto rendimento, in particolare per quanto riguarda i criteri di cui alle lettere d) ed e), del comma 3, articolo 6, del decreto legislativo n. 20/07, in quanto, pur riconoscendo la «specificità dell'impiego in agricoltura per il riscaldamento delle serre destinate alla produzione floricola ed orticola», non offre elementi concreti, soprattutto per ciò che attiene all'emanazione del necessario decreto di attuazione delle norme, per il quale sono previsti sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 20/2007;
per quanto riguarda i certificati «bianchi», va segnalato che trattasi di titoli che incentivano, con uguale intensità agevolativa, una molteplicità di interventi che ricadono nell'efficienza energetica e nel risparmio energetico, ed hanno ambiti di applicazione che per diversità tecnologiche e disparità gestionali li rendono inconciliabili e, ad ogni modo, poco efficaci per il teleriscaldamento di rilevanza agricola;
si evidenzia, infine, come dall'applicazione dei certificati verdi in favore del
teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre, non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, poiché essi sono a carico del sistema elettrico per l'efficienza del sistema stesso e, peraltro ampiamente assorbibili e proporzionati ai criteri di promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia, come prevista dal citato decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20,
impegna il Governo:
ad intraprendere ogni possibile iniziativa volta a ripristinare e sostenere il diritto alla emissione dei certificati verdi di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e successive modificazioni, per l'energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento nello specifico settore del teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre;
in particolare, tramite l'adozione di eventuali iniziative normative, a prevedere che:
a) il periodo di diritto ai certificati verdi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 7 febbraio 2007, n. 20, resti confermato in otto anni;
b) per i soli impieghi connessi al teleriscaldamento di ambienti a destinazione agricola e serre:
1) il periodo di diritto ai certificati verdi sia di dodici anni;
2) qualora dovesse verificarsi un eccesso di offerta di certificati verdi, il gestore dei Servizi Elettrici GSE S.p.A. ritiri la differenza tra i certificati verdi in corso di validità e i certificati verdi necessari per assolvere all'obbligo della quota minima dell'anno precedente;
3) la data di entrata in esercizio prevista dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20, sia prorogata al 31 dicembre 2012 e che la data relativa alla corrispondente autorizzazione sia prorogata al 31 dicembre 2008;
4) non si applichi la limitazione percentuale del 20 per cento di cui all'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20.
(7-00207) «Lion».