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Allegato B
Seduta n. 170 del 14/6/2007
TESTO AGGIORNATO ALL'11 LUGLIO 2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
contrariamente a quanto comunemente si pensa, è stato di gran lunga il Novecento il secolo del più grande macello di cristiani. Nel periodo che va dalla rivoluzione francese a oggi, ma in particolare nel XX secolo, sono state scatenate persecuzioni mai viste in 2000 anni per ferocia, vastità, durata e quantità di vittime. Ben 45.500.000 sono stati i martiri cristiani di questo secolo. Il fenomeno è stato ben illustrato in un articolo del professor Ernesto Galli della Loggia in un editoriale apparso sul Corriere della Sera del 14 maggio 2000;
scrive Olga Matera su Limes: «Il cristianesimo è la religione oggi più perseguitata del mondo. Conta migliaia di vittime; i suoi fedeli subiscono torture e umiliazioni di ogni tipo. Ma l'opinione pubblica occidentale, proprio quella di cultura cristiana, non concede a questo dramma alcuna attenzione»;
per quasi mille anni - aggiunge Bernard Lewis - dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l'Europa è stata sotto la costante minaccia dell'Islam. E ancora Samuel Huntington - l'Islam è l'unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell'Occidente -;
l'Islam ha un netto senso di superiorità rispetto alle altre religioni monoteiste. Per i musulmani i due libri sacri dell'Ebraismo e del Cristianesimo rappresentano i «precedenti» del Corano, rivelati in epoche diverse a popoli diversamente destinati. Il problema è che, mentre il Corano è la stessa parola di Dio, Torah e Bibbia rappresentano testi successivamente corrotti. In quanto ultima rivelata, la religione musulmana rappresenta oggi l'unica verità incorrotta;
la concezione islamica di verità infallibile del Corano rappresenta un ostacolo insormontabile al dialogo con le altre culture se, come è noto, religione, diritto, cultura sono un tutt'uno indistinto nell'Islam;
l'Islam si presenta fin dalle origini come un progetto globale che include tutti gli aspetti della vita. Include un modo di vivere, di comportarsi, di concepire il matrimonio, la famiglia, l'educazione dei figli, perfino l'alimentazione. In questo sistema di vita é compreso anche l'aspetto politico: come organizzare lo Stato, come agire con gli altri popoli, come rapportarsi in questioni di guerra e di pace, come relazionarsi agli stranieri;
tutti questi aspetti sono stati codificati a partire dal Corano e dalla sunna e sono rimasti «congelati» nei secoli;
se la legge religiosa determina la legge civile e gestisce la vita privata e sociale di chiunque vive in un contesto musulmano, e se questa prospettiva è destinata a rimanere immutata come è accaduto finora, la convivenza con chi non appartiene alla comunità islamica non può che risultare difficile;
in un Paese islamico il non musulmano dovrà, infatti, sottomettersi al sistema musulmano, o vivere in una situazione di sostanziale intolleranza ed umiliazione;
oggi, la situazione relativa alla libertà religiosa nell'Islam varia nei diversi Paesi, ed è direttamente correlata all'integrazione dei precetti shariatici nel corpo giuridico di uno Stato a maggioranza islamica;
molti non sanno che nella stragrande maggioranza di questi Stati la Sharia, nella sua accezione più radicale, è assurta al rango di legge costituzionale questo vale in Arabia Saudita, Pakistan, Iran ma anche in Egitto, in Giordania;
si basa sulla Sharia il sistema giudiziario della Tunisia, del Marocco, in parte quello dell'Algeria;
laddove regna la Sharia, la vita per i cristiani non è sicuramente semplice: si va dal divieto di mostrare simboli religiosi sugli edifici o sul corpo (ad esempio, la croce al collo) agli ostacoli frapposti alla professione e alla diffusione della propria fede, alla costruzione e ristrutturazione di luoghi di culto, fino al divieto di celebrare la messa persino in privato o di introdurre nel Paese testi religiosi non musulmani;
l'Arabia saudita rappresenta il caso più estremo: il paese vieta ogni culto che non sia musulmano. Tra i sei milioni di lavoratori stranieri in territorio saudita, almeno 600 mila sono cristiani e non possono celebrare il culto nemmeno in forma privata;
la partecipazione a riunioni clandestine di preghiera, come pure il possesso di materiale non islamico (bibbie, rosari, croci, immagini sacre) comportano l'arresto e l'espulsione, o addirittura la pena capitale;
in Sudan la repressione è sancita e condotta a livello istituzionale, con il Governo che chiama Jihad il conflitto etnico-culturale che imperversa nel sud e favorisce le conversioni forzate all'Islam nei campi profughi;
caso emblematico anche quello del Pakistan, dove la legge punisce ancora la blasfemia: è prevista la condanna a morte per chiunque sia accusato di offendere Maometto e l'ergastolo per chi offende il Corano;
in linea più generale, i cristiani nei paesi musulmani sono soggetti a numerose discriminazioni. Nel mondo del lavoro per esempio. Alcuni settori, come la ginecologia, sono vietati ai cristiani. Una volta i ginecologi erano quasi solo dottori cristiani. Ora, siccome i cristiani - con mani «impure» - non possono toccare le donne, la quasi totale maggioranza di essi è musulmana. Nel settore militare un cristiano può arrivare solo a un certo grado. Se sale troppo, anche se ha 40 anni, si preferisce mandarlo in pensione piuttosto che promuoverlo;
i libri di testo per gli scolari dell'Arabia Saudita contengono molte affermazioni di disprezzo verso cristianesimo e giudaismo. Un rapporto del Saudi Institute pubblicato recentemente, afferma che questa tendenza è presente anche nei libri di testo per le elementari;
particolarmente preso in esame è un libro edito dal ministero dell'educazione di Riyadh, che fa parte degli strumenti per il nuovo curriculum di studi;
una lezione del libro - rivolto ai bambini di 6 anni - afferma: «Tutte le religioni sono false, eccetto l'Islam». E una nota per i maestri raccomanda di «essere sicuri nella spiegazione di questo punto»,
impegna il Governo:
ad istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un «Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo», che avrà tra le altre funzioni di indirizzo al Governo in merito alla definizione delle quote di ingresso per lavoro da parte di extracomunitari provenienti da Paesi che non garantiscono il rispetto dei diritti delle minoranze cristiane e/o non hanno sottoscritto la Convenzione dei Diritti dell'Uomo;
a mettere a punto, con l'aiuto dell'Osservatorio, una specifica lista di «Stati persecutori», che, superando il concetto di minaccia esclusivamente terroristica da parte degli Stati islamici, comprenda tutti quei Paesi che incorporano nei loro sistemi giuridici le norme della legge della Sharia, basate sull'ineguaglianza degli esseri umani, e sulla commistione dei piani civile, politico e religioso;
a riconsiderare le relazioni diplomatiche, in particolare quelle relative alla cooperazione allo sviluppo che implicano l'erogazione di fondi da parte del nostro bilancio statale, con gli «Stati persecutori» e a portare a livello europeo la questione
relativa all'opportunità di mantenere con tali Paesi normali relazioni commerciali;
a limitare le nostre relazioni diplomatiche a quei soli Paesi che garantiscono condizioni di reciprocità e libertà sul piano dei diritti civili, religiosi e sociali.
(1-00184)«Gibelli, Maroni, Bricolo».
Risoluzioni in Commissione:
Le Commissioni III e XIV,
premesso che:
da fonti giurisprudenziali della Corte europea, risulta che l'Organisation des Modjahedines du peuple d'Iran (Mujahedin-e Khalq in persiano «OMPI»), è stata fondata nel 1965 e si è fissata l'obiettivo di sostituire il regime dello Scià di Persia, poi quello dei mullah, con un regime democratico. Nel 1981 essa ha partecipato al Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI), organo che si definisce come il «parlamento in esilio della resistenza» iraniana. Essa sarebbe stata composta da cinque organizzazioni separate, nonché da una sezione indipendente che costituiva un braccio armato operante in Iran e tutti i suoi aderenti hanno espressamente rinunciato a qualsiasi attività militare dal giugno 2001 ed essa non ha più, attualmente, alcuna struttura armata;
sempre da fonti giurisprudenziali comunitarie, con ordinanza 28 marzo 2001, il Secretary of State for the Home Department (Ministro dell'Interno del Regno Unito) ha incluso la predetta OMPI nell'elenco delle organizzazioni vietate al sensi del Terrorism Act 2000 (legge del 2000 sul terrorismo). La OMPI ha proposto due ricorsi paralleli contro tale ordinanza, una in appello dinanzi alla Proscribed Organisations Appeal Commission (Commissione d'appello relativa alle organizzazioni vietate, POAC), l'altro per cassazione dinanzi alla High Court of Justice (England and Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court) Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles) divisione della reale magistratura (formazione amministrativa);
il 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione n. 1373 (2001), che stabilisce strategie dirette alla lotta contro il terrorismo con tutti i mezzi e, in particolare, contro il suo finanziamento. Il n. 1, lett. c), di tale risoluzione dispone, segnatamente, che gli Stati congelino senza indugio i fondi e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entità appartenenti a tali persone o da esse controllate, e delle persone ed entità che agiscono in nome o dietro istruzione di tali persone o entità;
ai sensi degli articoli 2 e 3 della posizione comune n. 2001/931, la Comunità europea, nei limiti dei poteri che le sono conferiti dal trattato CE, ordina il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità elencati nell'allegato e garantisce che i capitali, le risorse finanziarie o economiche o i servizi finanziari o altri servizi connessi non siano messi a loro disposizione;
tale soluzione è stata portata avanti all'interno della Comunità, attraverso un punto di vista comune ed un regolamento: infatti, ritenendo che fosse necessario un regolamento per attuare a livello comunitario le misure descritte nella posizione comune n. 2001/931, il 27 dicembre 2001 il Consiglio ha adottato, sulla base degli articoli 60 CE, 301 CE e 308 CE, il regolamento (CE) n. 2580, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo;
da tale regolamento, emerge che, salvo le deroghe da esso previste, devono essere congelati tutti i fondi detenuti da una persona fisica o giuridica da un gruppo o da un'entità ricompresi nell'elenco di cui al suo articolo 2, n. 3. Allo
stesso modo, è vietato mettere fondi o servizi finanziari a disposizione i cali persone, gruppi o entità. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, elabora, riesamina e modifica l'elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il regolamento in conformità delle disposizioni di cui all'articolo 1, nn. 4, 5 e 6 della posizione comune n. 2001/931;
sempre secondo fonti comunitarie, ai sensi dell'articolo 1, n. 4, della posizione comune n. 2001/931, l'elenco riportato nell'allegato è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano che è stata adottata una decisione da parte di un'autorità competente nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati, che si tratti dell'apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una, condanna per tali fatti. Conformemente all'articolo 1, n. 6, della posizione comune n. 2001/931, i nomi delle persone ed entità riportati nell'elenco in allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per, semestre onde accertarsi che il loro mantenimento nell'elenco sia giustificato. Ai sensi degli artt. 2 e 3 della posizione comune n. 2001/931, la Comunità europea, nei limiti dei poteri che le sono conferiti dal trattato CE, ordina il congelamento, dei capitali e delle altre risorse; finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità elencati nell'allegato e garantisce che i capitali, le risorse finanziarie o economiche o i servizi finanziari o altri servizi connessi non siano messi a loro disposizione;
il 2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, ai sensi degli articoli 15 UE e 34 UE, la, posizione comune 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931. Il suo allegato aggiorna l'elenco delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica la posizione comune n. 2001/931. Il punto 2 di tale allegato, intitolato «gruppi e entità», comprende, tra gli altri, il nome della ricorrente, identificata come segue: «Organizzazione Mujahedin-e Khalq (MEK o MKO) [eccetto il «Consiglio nazionale di resistenza dell'Iran» (NCRI)] [anche nota come Esercito di liberazione nazionale dell'Iran (NLA, ala militare del MEK), Mujahidin del popolo dell'Iran (PMOI), Consiglio nazionale di resistenza (NCR), Società musulmana degli studenti iraniani]». Con decisione del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/334/CE, che attua l'articolo 2, paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2001/927/CEE, il Consiglio ha adottato un elenco aggiornato delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica il detto regolamento. Il nome della predetta Organizzazione compare in questo elenco negli stessi termini impiegati nell'allegato della posizione comune n. 2002/340;
il 17 giugno 2002, il Consiglio ha adottato, da un lato, la posizione comune n. 2002/462/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2002/340 e, dall'altro, la decisione 2002/460/CE, che attua l'articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2002/334 (Gazzetta Ufficiale L 160, pag. 26). Il nome della Organizzazione de qua è stato confermato negli elenchi previsti, rispettivamente, dalla posizione comune n. 2001/931 e dal regolamento n. 2580/2001;
con sentenza 15 novembre 2002, la POAC ha respinto il ricorso proposto dalla Organizzazione avverso l'ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001 di cui sopra ritenendo, segnatamente, che nulla le imponesse di sentire previamente la ricorrente, dato che una simile udienza era anche impraticabile o non auspicabile nell'ambito di una normativa diretta contro organizzazioni terroristiche. Secondo la stessa decisione, il regime legale del Terrorism Act 2000 prevede una leale possibilità di sentire il punto di vista della ricorrente dinanzi alla POAC;
da allora, il Consiglio ha adottato diverse posizioni comuni e decisioni che aggiornano gli elenchi controversi. Negli
atti così adottati ha sempre confermato il nome della OMPI negli elenchi controversi;
per contrastare questa situazione, comprendente anche il blocco di fondi dell'OMPI a causa di detta iscrizione nella lista, con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 26 luglio 2002, la Organizzazione ha proposto un ricorso nell'ambito del quale ha chiesto che il Tribunale di prima Istanza (caso T-228/02) voglia: annullare le posizioni comuni 2002/340 e 2002/462, nonché la decisione 2002/460, per le parti che la riguardano; di conseguenza, dichiarare inapplicabili nei suoi confronti tali posizioni comuni e la detta decisione; condannare il Consiglio a risarcirle il danno subito nella misura di un euro; condannare il Consiglio alle spese ed il procedimento si è svolto con discussione orale;
il Tribunale adito dalla ricorrente ha rilevato che determinate salvaguardie e determinati diritti, incluso il diritto ad una giusta udienza, l'obbligo di dichiarare le ragioni e il diritto ad un'effettiva protezione giuridica sono, come fatti di principio, pienamente applicabili nel contesto dell'adozione di una decisione comunitaria di bloccare i fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001;
il Tribunale ha ritenuto che in nessun momento precedente l'azione giuridica ci sia stata evidenza addotta contro l'OMPI ed a questa notificata, nemmeno la iniziale decisione di congelarne i fondi o la conseguente decisione di mantenerne il congelamento menziona informazioni specifiche o documenti d'archivio che dimostrino che una decisione che giustifichi il mantenimento all'interno della lista sia stata presa nei riguardi della stessa da parte di una competente autorità nazionale; da ciò deducendo che la decisione del Consiglio impugnata non contiene sufficienti motivazioni;
in conclusione, il Tribunale ha ritenuto che la decisione di congelare i fondi dell'OMPI non contenga sufficienti dichiarazioni delle motivazioni e che sia stata adottata nel corso di un procedimento durante il quale non è stato rispettato il diritto della ricorrente ad una giusta udienza, né che essa è stata messa in condizione di portare a conoscenza del Consiglio le proprie ragioni, in assenza di qualunque dichiarazione, né di avvalersi dei propri diritti di agire per le vie legali, né che i documenti prodotti prima dell'avvenuta presentazione del ricorso né le risposte fornite all'udienza del Consiglio e del Regno Unito in risposta alle domande poste dal tribunale, hanno messo l'OMPI in condizione di condurre una revisione giuridica, dal momento che essa non è stata messa nemmeno in condizione di determinare con una certa esattezza quale sia la decisione nazionale sulla base della quale è stata emessa la decisione contestata;
il Tribunale, quindi, è giunto alla conclusione che l'intera procedura che ha determinato le decisioni a carico dell'OMPI sia viziata e illegittimamente adottata, precisando che ai fini del ricorso in esame, il sindacato giurisdizionale del Tribunale stesso ha riguardato quindi solo gli atti già adottati, ancora vigenti ed impugnati al momento della chiusura della fase orale, vale a dire la posizione comune n. 2005/936, impugnata, e la decisione 2005/930, impugnata, anche qualora i detti atti fossero stati a loro volta abrogati e sostituiti da atti diversi al momento della pronuncia della presente sentenza; in tale ipotesi, infatti, da un lato la ricorrente conserverebbe un interesse ad ottenere l'annullamento degli atti impugnati, in quanto l'abrogazione di un atto di un'istituzione non equivale ad un'ammissione della sua illegittimità e produce un effetto ex nunc, a differenza di una sentenza di annullamento, in forza della quale l'atto annullato è eliminato retroattivamente dall'ordinamento giuridico ed è considerato come mai esistito. Dall'altro, come ammesso dal Consiglio in udienza, in caso di annullamento degli atti impugnati, in tale situazione il Consiglio sarebbe tenuto ad adottare le misure rese necessarie dall'esecuzione della sentenza, conformemente all'articolo 233 CE, il che potrebbe comportare che essa modifichi o revochi,
se del caso, gli eventuali atti che hanno abrogato e sostituito gli atti adottati successivamente alla chiusura della fase orale;
in conclusione, la sentenza del Tribunale di Prima Istanza ha riconosciuto l'illegittimità dell'inserimento nella lista della ricorrente ed ha chiarito che l'inserimento dell'OMPI nella lista è stato un atto illegale - con efficacia retroattiva - sin dal 2002, quando l'Organizzazione venne ivi inserita - ipoteticamente, in risposta alla richiesta del regime iraniano - condannando alle spese il Consiglio;
dunque, è stata riconosciuta l'illegittima inclusione dell'OMPI da parte del Consiglio nella lista delle organizzazioni i cui fondi sono congelati, per la lotta al terrorismo e ciononostante, il Consiglio e gli Stati membri sostengono che la sentenza si riferisca solo alla questione di ordine procedurale e non avrebbe altro effetto che quello di esortare il Consiglio a migliorare per il futuro le sue procedure; inoltre sostengono che il tribunale ha annullato la decisione del Consiglio impugnata, ma non ne avrebbe, annullata un'altra, sempre del Consiglio, la 2006/379, che avrebbe abrogato la precedente 2005/930, per cui il Consiglio avrebbe deciso di fatto, di mantenere l'OMPI nella lista;
detta libera interpretazione e illegittima decisione, contro la sentenza del: Tribunale di Prima Istanza, causante il protervio mantenimento dell'Organizzazione nella lista arreca alla stessa danni economici e d'immagine e risulta - ad avviso degli interroganti - totalmente illegittima ed inaccettabile. Per questo, si rende opportuno sensibilizzare le istituzioni europee affinché il principio di legalità sia rispettato da tutte le istituzioni medesime, soprattutto alla luce della mancata esecuzione di una decisione - del Tribunale di prima istanza - di un'Autorità deputata alla salvaguardia dei diritti ed alla, corretta applicazione dei Trattati della CEE, in quanto detta questione investe gli aspetti ordinamentali dell'attività e dei provvedimenti delle CEE e dell'attuazione degli accordi e trattati comunitari;
il Consiglio, convenuto e soccombente, deve rispettare senza ulteriori indugi e manifeste deroghe, né influenze politiche, la decisione del Tribunale di prima Istanza del 12 dicembre 2006 che ha annullato, come sopra, la decisione del Consiglio stesso 2005/930/CE del 21 dicembre 2005,
impegnano il Governo
ad assumere le più opportune iniziative presso le competenti istituzioni europee per dare corretta attuazione alla sentenza del Tribunale di Prima Istanza del 12 dicembre 2006, sul caso T-228/02, per rimuovere dalla lista di cui alla decisione impugnata, secondo quanto detto in premessa, l'Organizzazione dei Mojahedin del popolo dell'Iran ed anche dalla lista connessa alla decisione 2006/379 ed opporsi, quindi, ad ogni proposta di includere l'Organizzazione predetta nelle liste terroristiche.
(7-00214)
«Caligiuri, Craxi, Paoletti Tangheroni».
Le Commissioni IX e XIV,
premesso che:
la Commissione europea sta adottando una proposta di direttiva sui servizi postali che fissa al 1o gennaio 2012 la data ultima entro cui tutti gli Stati membri devono assicurare la piena apertura del mercato, e dunque abolire ogni diritto esclusivo per la fornitura dei servizi postali;
tale proposta mette a rischio la salvaguardia delle prerogative di servizio postale universale attualmente assicurate dalle Poste Italiane S.p.A. con gravi conseguenze tanto per i dipendenti dell'Azienda, i quali ancora una volta pagheranno un costo altissimo in termini di occupazione e qualità del lavoro, che per i cittadini, i quali inevitabilmente vedranno ridotta la qualità del servizio universale messo a loro disposizione sia in termini di tempi più lunghi di distribuzione
della corrispondenza, sia in termini di minore presenza di sportelli nelle zone rurali e montane;
impegnano il Governo:
ad intervenire presso le Istituzioni europee al fine di assicurare che venga effettuata una analisi dettagliata sul problema del finanziamento dell'onere del servizio postale universale in un mercato completamente aperto con l'obiettivo di individuare forme di finanziamento del servizio postale universale;
a proporre in sede comunitaria una profonda modifica della proposta di Direttiva, fissando regole e criteri validi per tutti gli stati membri dell'Unione Europea a sostegno del servizio pubblico universale del recapito postale.
(7-00213)
«Mario Ricci, Attili, Soffritti, Olivieri, Locatelli, Rotondo, Falomi».
La VI Commissione,
premesso che:
nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a notevoli cambiamenti negli scenari dell'economia mondiale. Secondo autorevoli esponenti della comunità accademica e importanti istituti internazionali come le Nazioni Unite o la Banca mondiale, alcune tra le più rilevanti trasformazioni si sono registrate nel campo della finanza, e della distribuzione del reddito. L'accelerazione dei processi di deregolamentazione finanziaria è stata accompagna da fenomeni di instabilità sempre più vistosi, soprattutto in campo valutario. Inoltre, il pressoché completo abbattimento dei vincoli alla libera circolazione internazionale dei capitali ha fortemente limitato le politiche economiche nazionali. E la combinazione tra instabilità finanziaria e impotenza della politica economica ha notevolmente contribuito alla inquietante divaricazione dei redditi verificatasi, durante gli anni '90, sia tra Paesi che all'interno dei singoli Paesi;
è ormai vastissima la letteratura economica in grado di dare fondamento e supporto ai nessi appena delineati. Sul piano teorico, i recenti studi sull'incompletezza, dei mercati, sulle asimmetrie informative, sul comportamento speculativo hanno ridestato l'attenzione degli economisti nei confronti del problema dell'instabilità finanziaria e valutaria. Sul piano dell'evidenza empirica, il frequente ripetersi di crisi valutarie in Europa, in Russia, nel Sud-Est asiatico e in America Latina, l'assenza, di «basi oggettive» in grado di spiegare gli enormi, repentini afflussi e deflussi di capitale che spesso attraversano i Paesi meno sviluppati; questi e molti altri eventi hanno sollevato fortissimi dubbi sui meccanismi autoregolativi e sulle proprietà taumaturgiche della «mano invisibile» del libero mercato, in particolare del mercato finanziario;
in tal senso, gran parte della comunità accademica sembra ormai aver fatto propria una famosa affermazione del premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, secondo il quale il sostegno politico degli ultimi vent'anni alla deregolamentazione finanziaria è stato «fondato più su un legame ideologico nei confronti di una concezione idealizzata dei mercati che sull'analisi dei fatti o della teoria, economica»;
la concezione idealizzata, dei mercati ha spesso indotto a, trascurare le straordinarie divaricazioni dei redditi associate al dilagare dei fenomeni di instabilità valutaria e finanziaria. Eppure, a conferma dell'allargamento della forbice distributiva, basterebbe ricordare le forti sperequazioni che sono state determinate dalle minacce di fuga dei capitali e dalle conseguenti politiche restrittive e disinflazioniste, o i costi in termini di compressione dei salari e della spesa sociale fatti pagare ai lavoratori e alle categorie più svantaggiate per conferire ai singoli Paesi credibilità internazionale, oppure, ancora, l'arresto della crescita economica e la disoccupazione scaturiti dallo scoppio
delle bolle speculative derivanti dall'apertura di molti Paesi, emergenti ai capitali internazionali;
la presa di coscienza nei confronti della strutturale instabilità dei mercati monetari e finanziari e dei danni che essa è in grado di provocare, ha riaperto il dibattito sulla necessità di attribuire alla politica innovativi strumenti di controllo e di Governo delle dinamiche economiche;
sul piano valutario, l'attuale impotenza delle istituzioni politiche nazionali si manifesta oggi nella esiguità delle riserve delle Banche centrali in confronto alla enorme massa di capitali privati circolanti, nella sostanziale incapacità dei singoli Paesi di controllare le ordate di capitale in entrata e in uscita, nel ricorso massiccio all'innalzamento dei tassi di interesse per tentare di rimediare alle crisi di fiducia; all'impotenza delle autorità nazionali si, aggiungono poi inadeguatezza e limiti ampiamente dimostrati nella loro azione dalle istituzioni internazionali;
è dunque sempre più sentita l'esigenza di conferire alla politica nuove leve, nazionali e internazionali, di controllo e di Governo dei mercati;
impegna il Governo:
ad istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una Commissione incaricata di elaborare una proposta e rendere tutte le iniziative bilaterali e multilaterali per sollecitare l'adozione dell'imposta europea sulle transazioni valutarie, fornire pareri al Governo per il raccordo con le istituzioni europee e gli altri Paesi aderenti all'Unione e per promuovere iniziative nelle altri sedi internazionali. Provvedere alla redazione di uno studio riguardante misure finalizzate a promuovere l'adozione dell'imposta e l'istituzione presso l'Unione Europea, nelle more della sua futura costituzione presso l'ONU, di un fondo internazionale al quale partecipino rappresentanti dei Governi, di organizzazioni di rappresentanza sociale e di organizzazioni non governative, per la raccolta e la distribuzione del gettito derivante dall'imposta ai fini del finanziamento della cooperazione allo sviluppo, della riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito, dell'assistenza, pubblica delle misure per l'aumento dell'occupazione nelle aree depresse, studio che verrà inviato al Presidente del Consiglio dei ministri che deciderà sulla trasmissione al Parlamento per l'espressione di un parere da parte dei competenti argani parlamentari.
(7-00215)
«Tolotti, Sereni, Mungo, Fluvi, Vacca, Ceccuzzi, Fincato, Iacomino».
La VIII Commissione,
premesso che:
come dimostrato sin dall'inizio della corrente legislatura, una strategia organica destinata alla politica di regolazione del settore autostradale rappresenta una vera e propria priorità nazionale, che ha costituito - e continua a costituire - un impegno essenziale dell'azione di governo, con particolare riferimento alle politiche di ammodernamento e riqualificazione delle dotazioni infrastrutturali e di miglioramento del servizio autostradale e viario;
in questa direzione il Governo è intervenuto, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, sui profili della concorrenza e della attività di impresa, promuovendo una ridefinizione - mediante negoziazione - delle condizioni del rapporto di concessione con le società concessionarie, per elevare la qualità e l'efficienza del servizio a tutela degli interessi dei cittadini e della intera comunità;
in particolare, sono stati posti in essere, a partire dall'ottobre 2006, numerosi interventi legislativi e regolamentari in materia, tra i quali l'articolo 12 del cosiddetto «provvedimento collegato» alla manovra di finanza pubblica per il 2007, che ha disposto una serie di modifiche
sostanziali alle convenzioni in concessione, attribuendo rilevanti poteri di intervento all'ANAS;
allo stesso tempo, sono in fase di esame nelle sedi competenti alcune modifiche al codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006) e sono in corso ulteriori attività istruttorie finalizzate ad attuare le previsioni normative nel frattempo adottate;
tra le varie misure approvate di recente, peraltro, una norma introdotta con il citato articolo 12 stabilisce che i concessionari autostradali, negli affidamenti di lavori, servizi e forniture, devono agire come «amministrazioni aggiudicatrici», ossia con gara formale in coerenza con i fondamentali ed irrinunciabili principi di trasparenza e di concorrenzialità, che vanno rispettati evitando, tuttavia, di dilatare i tempi di esecuzione dei lavori;
la Commissione europea, in ordine alla vicenda della mancata fusione tra le Società Autostrade ed Abertis, ha avviato una procedura di infrazione nei confronti del Governo italiano per ostacolo alla libera circolazione di capitali ed alla libertà di stabilimento con effetti restrittivi della concorrenza;
la recente riforma legislativa ha suscitato preoccupazione sia nelle organizzazioni sindacali, che temono possibili conseguenze negative per i tanti lavoratori impegnati nel settore sia nelle concessionarie autostradali che in sede di audizione parlamentare hanno prospettato il pericolo di paralisi di diversi bandi di gara per investimenti già programmati;
il quadro di riforma complessivamente adottato deve ora vedere la sua definitiva attuazione, anche al fine di sgombrare il campo dalle incertezze e garantire l'avvio di un percorso di rilancio del settore autostradale e, in particolare, dei relativi investimenti, nonché di prevenire conflittualità permanenti e un diffuso contenzioso, che rischia di condurre nel caos l'intero settore;
occorre, quindi, impegnarsi per recuperare i ritardi nella realizzazione dei previsti investimenti per l'ammodernamento della rete autostradale, che, pur non potendo trovare giustificazione esclusivamente negli appesantimenti e nei ritardi delle procedure autorizzatorie, vanno tuttavia affrontati con senso di responsabilità e grande attenzione;
per salvaguardare gli interessi degli utenti, dei lavoratori del settore e della comunità in generale, per garantire l'efficiente esecuzione degli investimenti programmati e da realizzare integralmente, nonché la sicurezza delle infrastrutture interessate, e per tutelare l'immagine complessiva del sistema-Paese, è necessaria una ampia condivisione fra i soggetti pubblici e gli operatori economici del comparto,
impegna il Governo:
a) a realizzare ogni possibile sforzo per giungere alla definitiva e condivisa soluzione, senza ulteriori rinvii, dei problemi aperti, in particolare mediante il rafforzamento del dialogo e del confronto con i soggetti economici, istituzionali, sociali interessati e l'effettiva conclusione del percorso di negoziazione con le stesse società concessionarie, tutelando con forza allo stesso tempo il ruolo pubblico volto al perseguimento degli obiettivi di efficienza, trasparenza e concorrenza, nel rispetto del ruolo imprenditoriale svolto da dette società;
b) ad attivarsi affinché sia applicato concretamente e in modo condiviso l'articolo 12 del «provvedimento collegato» alla manovra finanziaria per il 2007, con particolare riguardo ai controlli sull'adempimento degli obblighi convenzionali e alle relative sanzioni in caso di inadempimento;
c) a promuovere - nel quadro delle iniziative richiamate - anche un'attività complessiva di verifica e monitoraggio di tutti gli impegni assunti in base alle concessioni stradali ed autostradali in atto, al fine di garantire l'effettiva realizzazione -
d'intesa con le stesse società concessionarie e con il compiuto esercizio delle responsabilità di tutti i soggetti coinvolti - delle opere, i cui investimenti siano stati già programmati, in progetto o in esecuzione sulla rete autostradale;
d) a guidare la rapida transizione verso un nuovo sistema che consenta di separare chiaramente le funzioni che l'ANAS svolge in veste di concessionario dalle funzioni di controllo sulle stesse società concessionarie;
e) ad informare costantemente il Parlamento sull'evoluzione della situazione di cui in premessa, anche mediante tempestive relazioni del Governo alle competenti Commissioni parlamentari.
(7-00212)
«Iannuzzi, Mariani, Chianale, Realacci, Misiti, Lupi, Stradella, Adolfo, Mereu, Picano, Di Gioia, De Angelis, Foti, Lomaglio, Mondello, Margiotta, Marantelli, Viola, Benvenuto».