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Allegato B
Seduta n. 173 del 20/6/2007
TESTO AGGIORNATO AL 4 LUGLIO 2007
...
INTERNO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
in data 7 maggio 2006 l'onorevole Nicola Adamo, esponente di spicco del partito DS in Calabria, intervenendo ad un'importante manifestazione elettorale per le elezioni comunali di Cosenza in favore del candidato a sindaco avvocato Salvatore Perugini, affermava che nelle liste che sostenevano la candidatura alla carica di sindaco dell'onorevole Giacomo Mancini vi fossero «gruppi criminali che ostacolano la crescita della città attraverso un impegno diretto in politica», «delinquenti noti ai cittadini», «noti gruppi malavitosi che sono organici a questo sistema al punto tale che impediscono anche lo svolgimento di una corretta campagna elettorale in alcune zone della città», e ancora che «gruppi delinquenziali sono a1 servizio di alcuni» e «addirittura nostri candidati sono impediti in alcune zone nel fare campagna elettorale»;
tali affermazioni, tanto gravi quanto false, erano pubblicate con enorme risalto sui quotidiani locali il giorno successivo e diventavano argomento centrale della campagna elettorale del partito dei DS che sull'argomento imbastivano quella che gli interpellanti reputano una violenta campagna di odio e di falsità promuovendo numerose iniziative pubbliche accompagnate dalla diffusione di un numero impressionante di volantini e di manifesti distribuiti capillarmente in ogni zona della città;
in data 9 maggio 2006 a Cosenza si svolgeva la Conferenza regionale sulla sicurezza, alla quale partecipavano i Prefetti, i Questori (tra i quali naturalmente il dottor Guido Marino, Questore di Cosenza), i Comandanti regionali e provinciali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, del Corpo Forestale dello Stato e il Provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria della Calabria;
nel corso dei lavori il Prefetto dottor Luigi De Sena era sollecitato dai giornalisti che seguivano numerosi la Conferenza anche per interrogarlo e per avere chiarimenti su quello che era diventato l'argomento centrale della campagna elettorale di Cosenza;
a tali legittime richieste, il Prefetto De Sena rispondeva perentorio: «sono valutazioni di carattere politico. Per quanto ci riguarda non abbiamo ravvisato a Cosenza, come nelle altre realtà regionali interessate dalle elezioni, tali emergenze». E ribadiva, sconfessando di fatto quella che agli interpellanti appare una vera e propria campagna di odio imbastita dall'onorevole Adamo, che: «non c'è una influenza determinante della 'ndrangheta nelle elezioni» e poi opportunamente chiosava: «Certo anche loro però votano»;
l'intervento chiarificatore del Prefetto De Sena era pubblicato sui giornali locali l'indomani;
in data 22 maggio 2006, a soli sei giorni dal voto, gli agenti della Digos, diretti dal dottor Alfredo Cantafora, si recavano presso gli uffici dei Comune di Cosenza per «sequestrare» le liste elettorali dei candidati al consiglio comunale;
lo stesso giorno le televisioni e le radio locali e regionali, ed il giorno successivo i quotidiani, comunicavano con grande enfasi la notizia, spiegando che l'operazione della Digos era stata ordinata con esplicito mandato a firma della dottoressa Raffaella Sforza, sostituto procuratore della DDA di Catanzaro;
tutti i mezzi di informazione mettevano in relazione le denunce dell'onorevole
Adamo con l'azione della Digos. Alcuni quotidiani, addirittura, pubblicavano la foto dell'onorevole Adamo al fianco di quella della dottoressa Sforza alimentando il messaggio secondo il quale tra la denuncia del dirigente politico e fazione della Polizia, disposta dal magistrato, vi fosse uno stretto collegamento e ancora di più un nesso causale;
fino al giorno del voto il partito dei DS e tutto il raggruppamento che supportava la candidatura a sindaco dell'avvocato Salvatore Perugini utilizzava, nelle numerosissime manifestazioni, l'azione della Digos come una chiara conferma della veridicità delle affermazioni dell'onorevole Adamo e di conseguenza propagandavano l'indegnità delle liste elettorali che supportavano la candidatura dell'onorevole Giacomo Mancini;
in data 23 maggio 2006, il senatore Antonio Gentile di Forza Italia interveniva sulla vicenda del «sequestro» delle liste, e dichiarando: «La Direzione Distrettuale Antimafia ha richiesto i dati anagrafici dei candidati alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Cosenza. Tale iniziativa è intervenuta per notizia criminis, subito dopo la denuncia dell'onorevole Nicola Adamo che aveva parlato di "interi quartieri di Cosenza dove non era garantita l'agibilità democratica". A Cosenza c'è un clima di paura. In interi quartieri viene messa a rischio l'agibilità reale dei partiti democratici»;
sempre il senatore Gentile, nello stesso comunicato, continuava chiedendo: «se non sia il caso di valutare l'escalation dei fatti accaduti al fine di pervenire ad una decisione definitiva che possa prevedere il rinvio delle elezioni comunali di Cosenza consentendo agli organi competenti di poter svolgere le indagini del caso restituendo alla città un clima di serenità osservando il pieno rispetto delle leggi e delle regole troppe volte palesemente violate»;
è utile ricordare che il consigliere regionale Giuseppe Gentile di Forza Italia, che in quelle elezioni comunali di Cosenza doveva essere il candidato alla carica di sindaco per l'intera coalizione di centrodestra. Per supportare tale candidatura, erano state definite una serie di liste di candidati al consiglio comunale da collegare al candidato a sindaco. A poche ore dalla scadenza ufficiale del termine della presentazione delle liste, però, Giuseppe Gentile ritirava la sua candidatura, indicando quale candidato a Sindaco l'allora segretario provinciale di Forza Italia, dottor Sergio Bartoletti. Questi, formalmente candidato, veniva contestualmente abbandonato dalle liste già approntate per supportare Giuseppe Gentile. Il dottor Bartoletti doveva rinunciare anche alla lista di Forza Italia, che veniva esclusa dalla competente commissione elettorale. Sulla vicenda dell'esclusione della lista di Forza Italia pende procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Cosenza;
sempre in data 23 maggio 2006, il Quotidiano della Calabria faceva riferimento ad un chiarimento proveniente, a detta dell'articolista, dalla Questura;
le parole non sono virgolettate e sono riportate soltanto da questa testata;
le stesse, però, sono altamente significative: «il Questore Guido Marino precisa meglio il senso dell'acquisizione delle liste elettorali da parte della Digos. Al momento si tratta di un'acquisizione e non di un sequestro. La differenza non è di poco conto perché il sequestro presuppone proprio la consumazione di un reato che in questo caso è tutto da verificare. Allo stato non ci sono ancora indagati»;
in data 28 e 29 maggio 2006, in un contesto oggettivamente condizionato, ad avviso degli interpellanti, dai fatti sopraesposti i cosentini andavano a votare. L'avvocato Salvatore Perugini solo per poche centinaia di voti superava il 50 per cento dei consensi. Solo per 829 voti non si è disputato il turno di ballottaggio tra i due candidati a sindaco più votati e cioè tra l'avvocato Salvatore Perugini e l'onorevole Giacomo Mancini;
in data 14 marzo 2007 il sottosegretario alla Giustizia onorevole Luigi Li
Gotti, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, annunciata in data 17 giugno 2006, trasformata in interrogazione a risposta in commissione il 4 luglio 2006 e discussa in commissione Giustizia in data 13 marzo 2007 dall'onorevole Enrico Buemi, affermava che «la Procura della Repubblica di Catanzaro ha comunicato che il sostituto procuratore Sforza non ha conferito alcuna delega per l'acquisizione di copia delle liste dei candidati al consiglio comunale di Cosenza» nonché «che da parte dello stesso Ufficio di Procura non vi è stata alcuna richiesta di documentazione»;
lo stesso giorno, interpellato dai giornalisti che avevano appena appreso le parole chiare del sottosegretario, il Questore di Cosenza, dottor Guido Marino, spiegava «che non c'è stato da parte nostra nessun sequestro. Abbiamo messo in atto una normale attività di controllo; più che normale, doverosa. All'epoca tutti i giornali locali riportavano diffusamente di autorevoli esponenti politici che parlavano di inquinamento delle liste elettorali. A quel punto abbiamo voluto vederci chiaro. Ma non abbiamo sequestrato nulla, ci siamo limitati ad acquisire tutti i nomi dei candidati. Niente di scandaloso. Tutti i cittadini li conoscono. Sono affissi negli appositi spazi elettorali. Abbiamo fatto quindi attività di tipo esplorativo, l'esito della quale è stato riferito alla commissione elettorale centrale»-:
se il Ministro non ritenga che la condotta del dottor Alfredo Cantafora, collegata per nesso temporale alle imprecisate denuncie di una parte politica, non abbia di fatto sostenuto quella campagna che da una parte politica proveniva e di conseguenza abbia interferito sul democratico svolgimento della campagna elettorale;
su ordine di chi, in che forma e per quali motivi, il dottor Alfredo Cantafora, non avendo ricevuto alcun mandato dalla DDA di Catanzaro, si è recato ad «acquisire» i nomi dei candidati delle liste elettorali depositate al Comune di Cosenza;
per quale motivo si sia deciso di «acquisire» i predetti nomi con tanto clamore anziché attraverso la semplice lettura delle pubblicazioni affisse sui muri della città;
per quali motivi non siano state tenute nella debita considerazione dalla Questura di Cosenza le autorevoli dichiarazioni rilasciate dal Prefetto dottor Luigi De Sena il 9 maggio 2006 che smentivano, a soli due giorni dalla loro formulazione, le affermazioni dell'onorevole Adamo;
per quali motivi l'intervento della Questura non avvenne nell'immediatezza delle affermazioni dell'onorevole Adamo, risalenti al 7 maggio 2006, ma, al contrario, il 22 maggio 2006, a soli sei giorni dal voto;
per quali motivi la Questura di Cosenza non ha smentito, diversamente da come appariva sulle prime pagine della stampa locale, che non si trattava di sequestro e che non aveva ricevuto alcun mandato dalla DDA di Catanzaro, né per sequestrare né per acquisire le liste elettorali;
chi e per conto di chi, considerato che la notizia dell'intervento della DIGOS fu pubblicata su tutti i mezzi d'informazione, utilizzando le medesime espressioni e quasi le medesime parole, fu a divulgare quella che appare essere una velina.
(2-00619) «Villetti, Boselli, Mancini, Antinucci, Beltrandi, Buemi, Buglio, Crema, D'Elia, Di Gioia, Mellano, Angelo Piazza, Poretti, Schietroma, Turco».
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
Peppino Impastato era un giovane siciliano nato a Cinisi, in provincia di Palermo, nel 1948, da una famiglia mafiosa;
sin da ragazzo, ribellandosi alla cultura e alle attività mafiose del contesto di origine, entrò in contrasto e ruppe con il padre e la famiglia, dedicandosi all'attività politica attraverso l'adesione, nel 1965, al Psiup e fondando il giornalino L'Idea socialista;
nel 1976 fondò «Radio Aut», una radio locale privata che dalle sue frequenze trasmetteva accuse e denunce, sotto forma di programmi satirici, il più seguito dei quali era Onda pazza, dei delitti, delle attività illecite e delle connivenze politico-istituzionali dei mafiosi e, in particolare, del capomafia Tano Badalamenti il quale, attraverso il controllo dell'aeroporto di Palermo, aveva un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di stupefacenti;
nel 1978 Peppino Impastato si candidò al Consiglio comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia Proletaria ma, nel corso della campagna elettorale, il 9 maggio 1978, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo dell'onorevole Aldo Moro, venne ucciso e il suo corpo dilaniato dall'esplosivo fu trovato sui binari della tratta Palermo-Trapani;
le primissime indagini si orientarono sin da subito verso la pista del fallito attentato terroristico, sfiorando addirittura l'ipotesi del suicidio a seguito del ritrovamento, presso la casa di Peppino Impastato, di alcune lettere che, in realtà, risalivano a diversi mesi prima;
contro queste ipotesi, il fratello Giovanni Impastato e la madre Felicia Bartolotta Impastato ruppero pubblicamente con la parentela mafiosa e, insieme ai compagni di militanza e al Centro siciliano di documentazione, intitolato successivamente a Peppino Impastato, e diretto da Umberto Santino, iniziarono un'attività di documentazione che porterà, ben 25 anni dopo, nel 2002, alla condanna di Tano Badalamenti e del suo vice Vito Palazzolo, accusati di essere stati i mandanti dell'omicidio Impastato;
il 6 dicembre 2000, viene approvata, dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e delle altre associazioni criminali similari, presieduta dall'onorevole Lumia, una relazione sul «Caso Impastato» in cui il relatore, onorevole Giovanni Russo Spena parla, in riferimento all'inchiesta allora ancora in corso, di «gravi anomalie che permettono di ipotizzare un vero e proprio "depistaggio", per usare un termine, forte ma motivato, che fu più tardi adottato dal giudice dottor Caponnetto. (...)Proprio in quel territorio (...) in cui la presenza della mafia era nota e documentata da tempo, settori dello Stato decisero di non indagare contro la mafia e, di conseguenza, di non ricercare gli esecutori ed i mandanti del delitto Impastato. Questo avvenne non per negligenza o inerzia, ma per scelta consapevole. Può essere, in base all'inchiesta, avanzata l'ipotesi che la aprioristica esclusione della pista mafiosa abbia potuto trovare una ragione nei rapporti fra la cosca di Cinisi e spezzoni di istituzioni con essa compromessi»;
la «Casa della memoria», ex casa di Peppino Impastato e di sua madre Felicia, è stata, nei giorni scorsi, oggetto di atti vandalici con il lancio di liquido corrosivo sulla porta di entrata e sulle pareti;
in un primo momento si è pensato ad una ritorsione contro le numerose attività anti-mafia che svolge il Centro e, solo successivamente, è stato individuato in uno psicolabile, Giampiero La Fata, il responsabile degli atti vandalici;
da un articolo pubblicato il 14 giugno 2007 su la Repubblica, riferendosi all'arresto di Giampiero La Fata, si riferisce di «Qualcuno che sussurra sia stato "mandato", spinto a oltraggiare la casa e anche un ricordo. Sospetti. Voci. "Fra uno sfregio e l'altro in paese sono accadute cose molto strane" ricorda ancora Giovanni Impastato»;
il Presidente Napolitano, in occasione della sua visita a Palermo per i 60 anni dell'Assemblea Regionale Siciliana, durante la cerimonia di messa a dimora di 4 alberi in memoria della strage di Portella della Ginestra, di Peppino Impastato, di
Pio La Torre e di Giovanni Falcone, ha dichiarato che; «Bisogna far luce su tutte le vicende su cui piena luce non è stata fatta e in più ci vuole l'impegno per trasmettere la memoria alle giovani generazioni. Per alcuni il ricordo è personale, per i più giovani la memoria deve essere appresa, deve dare la consapevolezza di cosa l'Italia è, è stata, di come si è fatta» -:
quale sia il giudizio del Ministro sui fatti sopra esposti, quali iniziative intenda adottare per preservare la sicurezza delle attività della «Casa della memoria», e in generale, quali azioni intenda intraprendere per un'efficace lotta alla mafia, soprattutto in un contesto di recrudescenza delle attività mafiose, così come testimoniato anche dalla recente uccisione del boss Nicolò Ingarao che sembrerebbe preludere ad una stagione di scontri tra cosche rivali.
(2-00620) «Boato».
Interrogazioni a risposta scritta:
PELLEGRINO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il settore dei rifiuti nella regione Campania versa in una drammatica situazione di crisi, che risulta essere da ultimo aggravata a causa, in particolare, delle oggettive difficoltà di individuare discariche ove poter conferire i rifiuti solidi urbani, e della mancanza di valide alternative per lo smaltimento dei rifiuti fuori regione;
lo sforzo che il Governo sta compiendo attraverso il commissario delegato, per porre fine a un'intollerabile situazione di degrado ambientale e sociale che impropriamente va sotto il nome di emergenza rifiuti e che da troppo tempo si protrae, si è - tra le altre cose - concretizzato con l'emanazione del decreto-legge 61/2007, con il quale ci si è posti l'obiettivo immediato di liberare le strade dalle tonnellate di rifiuti accumulati, con tutti i conseguenti rischi sanitari e ambientali che ne derivavano, e di definire contestualmente una efficace strategia di uscita dall'emergenza, e consentire in tempi ragionevolmente brevi il ritorno alla normalità;
la nomina del dottor Bertolaso, nella sua qualità di capo del Dipartimento della protezione civile, a commissario delegato, prevista dal suddetto decreto, è una delle risposte ad una emergenza rifiuti che in Campania si trascina scandalosamente da circa 14 anni;
ricordiamo infatti che l'emergenza rifiuti in Campania risale al lontano 1994, quando l'allora Governo affidava al prefetto di Napoli poteri straordinari per fronteggiare la grave situazione della gestione rifiuti che per decenni aveva visto fiorire gli interessi delle ecomafie ed una criminale gestione dello smaltimento dei rifiuti con discariche, sversatoi di rifiuti pericolosi, tossici nocivi, provenienti dalle più svariate regioni d'Italia;
nell'informativa al Parlamento sugli sviluppi dell'emergenza rifiuti in Campania dell'8 marzo 2007, il Governo ha ricordato alcuni dati drammatici, quanto significativi: le quantità di materiali accumulati presso i sette impianti ex CDR risultano pari a 300 mila tonnellate, a cui vanno sommati i rifiuti presenti presso i siti di stoccaggio provvisori attivati dai comuni e dalla struttura commissariale per circa 250 mila tonnellate, a cui ancora vanno aggiunte altre 150 mila tonnellate ancora giacenti per strada. Cifre che, naturalmente, sono in tendenziale aumento;
alla carenza di discariche si affianca purtroppo, ad aggravare la situazione, il mai avvenuto decollo della raccolta differenziata: basti pensare che, nella provincia di Napoli la raccolta differenziata nel 2005 toccava solamente il 7,7 per cento, con livelli poco più alti in altre province campane;
la necessità ineludibile di superare l'emergenza, e in attesa di interventi strutturali
e definitivi per la soluzione dello smaltimento rifiuti in Campania, impone l'individuazione e l'utilizzazione seppur temporanea, laddove possibile, delle cave abusive e abbandonate presenti in Campania, in attesa dell'attuazione del Piano strategico della regione;
lo stesso Commissario di Governo Bertolaso, come riportato dal quotidiano Il Sole 24 Ore del 14 giugno 2007, avrebbe scritto ai procuratori della Repubblica della Campania per chiedere conto delle cave abusive, dismesse o abbandonate e valutare così la possibilità di utilizzarle per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti campani;
la situazione intollerabile è che, come riportato dal suddetto articolo di stampa, è che «nessuno sa con precisione quante e quali siano le cave attive, dismesse, abbandonate, abusive», e che ognuno ha i suoi numeri: «il settore cave della regione Campania conta, al 7 giugno, 204 cave abusive; di queste sono 3 quelle autorizzate al recupero ambientale, e zero quelle recuperate. Il Piano regionale di recupero ambientale conta 1.712 cave, di cui 1.064 abbandonate (quasi sempre abusive), e 180 catalogate come abusive. I geologi, infine hanno individuato in oltre 1.000 le cave abusive o abbandonate, di cui il 50 per cento nella sola provincia di Caserta»;
e dati chiari non li possiede nemmeno il Commissario di Governo delegato per le bonifiche del territorio;
la sola provincia di Caserta - sempre come riportato dal suddetto articolo del Sole 24 Ore - ha indicato 30 cave abusive, ma a disposizione del Commissario di Governo ce ne sarebbero almeno il triplo, includendo anche quelle dismesse e abbandonate -:
se, alla luce di quanto esposto in premessa, non si ritenga di intervenire con sollecitudine al fine di avere un indispensabile, chiaro e definitivo quadro della presenza sul territorio campano di cave abusive, dismesse, o abbandonate;
se non si reputi opportuna, anche come importante segnale di legalità, e come contributo decisivo al superamento dello stato di emergenza, l'utilizzazione - evidentemente previo riadattamento e messa a norma delle stesse - delle cave dismesse, abbandonate, abusive, nonché quelle sequestrate alla camorra, presenti in Campania, per ospitare le tonnellate di rifiuti inerti, e Fos (frazione organica stabilizzata) prodotti dalla regione stessa.
(4-04089)
RAMPELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
dal sito del Ministero dell'interno si legge che la struttura della Polizia stradale comprende a livello centrale un Servizio e a livello periferico 19 Compartimenti, 13 Centri operativi autostradali, 103 Sezioni, 81 Sottosezioni, 188 Distaccamenti, la Sezione speciale del Centro addestramento Polizia stradale di Cesena nonché il Reparto operativo speciale di Roma;
l'interrogante ha ricevuto notizia di alcuni disservizi verificatesi presso la Sezione Polizia Stradale di Roma;
si tratta per lo più di carenze e disfunzioni da tempo denunciate dal CO.I.S.P, «Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle Forze di Polizia» e riguardanti sia il settore informatico che quello automezzi;
le apparecchiature in uso in alcuni uffici sono a dir poco obsolete; si lavora con scarti di personal computer, assemblaggi «fai da te» ed in certi casi con computer privati messi al servizio dell'Amministrazione;
se si esclude il protocollo informatico, l'installazione di reti informatiche e pc in rete è un'ipotesi che è rimasta solo sulla carta ed è ben lontana dall'essere attuata;
in determinati uffici, al contrario, si sta procedendo ad una rimodernizzazione dei sistemi informatici con schermi «Lcd»
e computer più potenti: i loro scarti vengono ridistribuiti negli uffici secondari bisognosi di dotazioni informatiche;
per quanto riguarda i Servizi Esterni «Pattuglie», oltre alla struttura inadeguata del Corpo di Guardia, i problemi maggiori interessano il reparto automezzi;
i veicoli ancora efficienti sono diciotto Marea SW e due Subaru, che girano a turni regolari coprendo l'intero quadrante (in un giorno quattro turni per circa quattro itinerari con un impiego di circa sedici veicoli al giorno);
si tratta di mezzi che non si fermano mai e che hanno superato abbondantemente i 150.000 km (alcuni ne hanno 190.000) perdendo di gran lunga la loro efficienza e mettendo in pericolo la sicurezza degli operatori;
considerando che vengono usati maggiormente su tratti veloci (extraurbani e autostrade «G.R.A»), questi veicoli necessitano di una continua assistenza;
secondo l'ufficio Automezzi, le fatture per la riparazione dei veicoli sono sempre più onerose; pertanto, oltre alla sicurezza, si verifica un dispendio di soldi dell'Amministrazione sicuramente superiore che con una gestione di nuovi mezzi;
a ciò si aggiunga che in molte auto non funzionano più, o sono assenti, gli accessori in dotazione, necessari per un intervento tempestivo e per garantire la sicurezza sia degli operatori che dei cittadini;
tali strumenti comprendono i carica batterie per le torce ad alta visibilità, molto utili di notte, la cartellonistica (pannelli in metallo che segnalano incidente ed altro), i guanti in lattice, le torce di cera, kit sanitari eccetera;
le disfunzioni sopradescritte esprimono una situazione di grande difficoltà e disagio del personale in servizio presso la Polstrada di Roma, in relazione alle condizioni di vivibilità lavorativa e alla tutela della sicurezza -:
se non ritenga opportuno intervenire con urgenza al fine di risolvere le numerose problematiche esposte in premessa e, in particolare, quali misure intenda adottare per garantire migliori e più sicure condizioni lavorative presso la Sezione Polizia Stradale di Roma.
(4-04093)
GIRO e BALDELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
visto che il comune di Roma vuole «delocalizzare» un numero consistente di Rom con insediamenti in appositi campi scelti nel territorio dei Comuni della Provincia di Roma;
considerato che tra le varie aree che sarebbero state individuate per il trasferimento sarebbero, come riportato dagli organi di stampa il giorno 19 giugno, oltre Castel Romano, Castel di Guido sarebbero Settecamini (Guidonia) e Montelibretti;
visto che questi territorio hanno delle caratteristiche ambientali, paesistiche, di sviluppo e di forte attrattiva che, come Montelibretti, sono collegate tramite la Rete Metropolitana RM 1 (Montelibretti-Fiumicino) e quindi con un forte pendolarismo;
visto che già in passato si presentata l'ipotesi di trasferire circa 1.000-1.500 nomadi su ogni campo sosta;
visto che gli organi di stampa riportano che il primo campo nomadi andrà ad insediarsi su Montelibretti;
visto che l'amministrazione Comunale di Montelibretti non è stata assolutamente informata -:
nel Patto di Sicurezza siglato dal Prefetto Serra, Sindaco Veltroni e Ministro dell'interno, quali siano i criteri per i quali sarebbero state scelte le suddette aree che hanno un forte interesse paesistico e ambientale e che sicuramente con l'insediamento di detti campi diventerebbero terra di conquista;
se sia stato elaborato uno studio sull'impatto sociale dei nomadi dato dal rapporto percentuale dei nomadi sulla popolazione residente e se quindi sia stato considerato l'enorme impatto di campi nomadi sui Comuni.
(4-04105)