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Allegato B
Seduta n. 185 del 9/7/2007
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
ASCIERTO e ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le incurie meteorologiche e la mancanza di adeguati interventi, hanno di fatto declassato nella portata e nella velocità i tratti ferroviari a nord e sud di Crotone penalizzandone i tempi di percorrenza;
secondo gli interroganti la flessione della domanda di servizio è stata anche favorita da una politica di disincentivazione da parte delle Ferrovie dello Stato con soppressione di treni, orari inadeguati, sospensioni notturne del traffico e mancate manutenzioni;
alla fine dello scorso luglio, in una affollata conferenza stampa, il Vice Presidente della Provincia di Crotone, Emilio De Masi, presentava il piano di ammodernamento e di rilancio della linea ionica commissionato all'Università Mediterranea di Reggio Calabria;
tale piano prevedeva l'elettrificazione della linea da Lamezia a Sibari, l'eliminazione di 45 passaggi a livello, la costruzione di 5 nuovi punti di incrocio e l'acquisto di 8 nuovi treni del tipo Minuetto;
inoltre era previsto anche un raccordo ferroviario con il porto di Crotone per favorire l'integrazione dei sistema di trasporto, il tutto per una spesa complessiva di 150 milioni di euro da finanziarsi con le risorse comunitarie 2007/2013;
nel frattempo, però, Trenitalia annunciava nuovi tagli e così, col nuovo orario, è sparito l'unico storico treno di collegamento diretto con Roma oltre alla sospensione di tutto il traffico notturno da Sibari a Catanzaro Lido dalle 22,30 alle 6,30;
a seguito di questa sospensione, anche altri collegamenti a lunga percorrenza superstiti termineranno la loro corsa a Taranto;
R.F.I. (Reti Ferroviarie Italiane) utilizzando uno strumento urbanistico di nuova concezione, la STU (Società di Trasformazione Urbana i cui soci attualmente sono la Provincia, il Comune e la CCIAA di Crotone), ha sottoscritto un accordo preliminare per la cessione di tutta l'area ferroviaria di Crotone (circa 100.000 mq.), ad esclusione di pochi binari di scorrimento della linea, ad un prezzo di euro 37,00/mq;
in tal modo l'area di rispetto e di servizio della infrastruttura verrà totalmente soppressa e i pochi binari rimasti verranno inglobati nelle nuove costruzioni che verranno edificate a cavallo dell'impianto;
così facendo - secondo gli interroganti - anche la timida ripresa della domanda di servizio in atto nonché un suo eventuale sviluppo verrà definitivamente
troncata e ciò darà anche modo alle Ferrovie di attuare il loro antico progetto di chiudere definitivamente la linea ionica almeno fino a Catanzaro Lido;
esiste un progetto per la creazione del «Consorzio di sviluppo industriale di Crotone» per riqualificare l'intera area, che risale agli anni '80, per la creazione di un centro smistamento merci; questo può essere addotto a supporto della realizzazione della STU-Stazione, ma prima di dare vita a questo strumento urbanistico occorrono delle pre-condizioni essenziali:
1) che la linea ferroviaria ionica riceva le dovute garanzie che non solo non verrà chiusa, ma dovrà prima essere potenziata secondo il piano preannunciato dalla stessa Provincia e ripristinati i collegamenti con la rete;
2) che venga prima realizzato il Centro smistamento merci in zona immediatamente limitrofa al comune dove verrà delocalizzato solo il settore cargo;
3) che il previsto raccordo ferroviario stazione-porto per l'integrazione dei sistemi di trasporto venga realizzato e non venga vanificato a causa della STU;
4) che il progetto STU venga, comunque, ridimensionato nella sua estensione e realizzazione così da lasciare libera un'ampia area e buona parte degli attuali binari a servizio dell'impianto;
5) che venga prima riqualificata la SS 106 secondo gli ultimi programmi del Governo, così da dare al territorio un'ulteriore possibilità di comunicazione;
6) che la mancata realizzazione dello strumento urbanistico comporti l'automatico ritorno delle aree alle Ferrovie e non a diverso utilizzo -:
se il Ministro interrogato voglia verificare la situazione ed intervenire affinché la linea ferroviaria ionica non venga di fatto cancellata ed anzi venga potenziata e riammodernata.
(4-02257)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 6 marzo 2007.
Ferrovie dello Stato S.p.A. fa conoscere che il trasporto ferroviario nella provincia di Crotone è garantito dall'attuale infrastruttura non elettrificata che presenta un'utilizzazione giornaliera estremamente contenuta valutabile in meno del 50 per cento della sua potenzialità.
L'attuale struttura ferroviaria esistente consentirebbe d'incrementare l'offerta di trasporto senza alcun intervento all'infrastruttura in dipendenza di un'adeguata domanda di trasporto sia nel servizio regionale sia in quello a lunga percorrenza.
Il costo degli interventi per una eventuale elettrificazione della linea da Sibari a Catanzaro Lido è valutabile in circa 260 milioni di euro e potrà trovare copertura finanziaria nelle risorse che dovranno essere assicurate per i potenziamenti infrastrutturali ferroviari in sede di individuazione delle relative disponibilità ad opera del Ministero dell'economia e delle finanze. Nessun impegno risulta essere stato preso per un raccordo tra la stazione ed il porto di Crotone.
Ferrovie dello Stato assicura, inoltre, che non è prevista, neppure a lunga scadenza, la chiusura della linea Ionica sulla quale, peraltro, sono in corso interventi di ammodernamento infrastrutturali e tecnologico.
Per quanto attiene al programma di riqualificazione urbana citato nell'atto in parola, Ferrovie dello Stato ricorda che il Comune di Crotone, in sede di redazione ed attuazione degli interventi di pianificazione urbanistica, ha individuato il progetto denominato «Stazione» quale progetto strategico interessante aree a bassa densità abitativa caratterizzate da degrado edilizio ma con notevoli potenzialità di riqualificazione.
Per l'attuazione del progetto strategico, il Comune di Crotone, la Provincia, la Camera di commercio ed il Consorzio per lo sviluppo industriale di Crotone hanno costituito una società di trasformazione urbana - STU.
Le aree di Rete Ferroviaria Italiana ricadenti nel perimetro del progetto strategico corrispondono a circa 110.000 mq di cui 60.000 mq suscettibili di trasformazione urbana e 50.000 mq strumentali all'esercizio ferroviario. Per consentire l'avvio della complessiva operazione di trasformazione urbana, Rete Ferroviaria Italiana ha convenuto con la STU di cedere solo la prima parte delle aree non strumentali all'esercizio ferroviario.
In data 9 ottobre 2006, il Consiglio di amministrazione di Rete Ferroviaria Italiana ha quindi deliberato di approvare l'operazione di vendita alla STU delle aree non strumentali.
Per quanto attiene, infine, al potenziamento della strada statale 106 «Ionica», si riferisce quanto segue.
L'intervento di ammodernamento della strada statale 106 «Ionica» è inserito nel primo programma della legge obiettivo e nell'intesa generale quadro tra la Regione Calabria, la Regione Basilicata ed il Governo, e prevede la realizzazione di una strada a due corsie per senso di marcia, con spartitraffico centrale e intersezioni a livelli sfalsati (Cat. B del decreto ministeriale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 5 novembre 2001), e con tracciato in nuova sede.
ANAS S.p.A. fa conoscere che il programma di potenziamento della nuova statale 106 Ionica è articolato, nel territorio calabrese, in 12 megalotti e prevede una spesa complessiva di 15 miliardi di euro.
Attualmente, sono stati appaltati due megalotti per un importo complessivo di progetto pari a 1.190 milioni di euro. Il primo megalotto, di 23 chilometri in provincia di Catanzaro tra Squillace e Simeri Crichi, è stato cantierizzato lo scorso mese di febbraio. Il secondo megalotto, di 17 chilometri in provincia di Reggio Calabria tra San Ilario e Marina di Gioiosa, sarà cantierizzato nel mese di giugno 2007.
In continuità con quest'ultimo megalotto si colloca la variante di Marina di Gioiosa Ionica di 4,10 chilometri, il cui progetto esecutivo, dell'importo di 104 milioni di euro, è stato approvato lo scorso 8 marzo dal Consiglio di Amministrazione di ANAS ed è in corso la consegna dei lavori. Per effetto di quest'ultima opera si renderà fruibile la contigua Variante di Roccella Ionica, di circa 8 chilometri, attualmente in fase di completamento.
In provincia di Reggio Calabria si registrano, inoltre, ulteriori interventi che interessano la statale in argomento per circa 30 chilometri. È inoltre in corso di realizzazione la Variante di Pallizzi con un investimento pari a 134 milioni di euro.
Al fine di completare la funzionalità dell'intero sistema, l'ANAS ha progettato e sta attuando una serie di trasversali con cui si assicurerà l'osmosi Tirreno-Ionio attraverso la strada Sibari-Firmo, la Catanzaro Lido-Lamezia Terme e la Trasversale delle Serre.
Il completamento della statale 106 costituisce una delle principali priorità viarie nazionali e risulta essenziale per il recupero socio-economico dell'intera Calabria ionica restando comunque subordinato all'individuazione degli ingenti finanziamenti occorrenti.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
BERTOLINI. - Al Ministro della salute, al Ministro per i diritti e le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
l'Agenzia di stampa Dire ha pubblicato, il 1 febbraio 2007, la notizia secondo la quale alcune donne islamiche, prima di arrivare alla celebrazione del matrimonio, ricorrerebbero ad interventi di ricostruzione dell'imene per ritornare alla verginità, senza la quale può essere negato il consenso alle nozze;
secondo la Presidente delle donne marocchine in Italia, Souad Sbai, la principale motivazione alla base di questa operazione, praticata da molte donne musulmane, risiede nella richiesta di molti uomini musulmani di produrre un certificato di verginità prima delle nozze, documento non richiesto però in tutti i consolati in cui si celebrano i matrimoni;
la veridicità della notizia è stata confermata dalle testimonianze del dottor Stefano Dalla Valle, direttore sanitario del Naga (Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di stranieri e nomadi) di Milano, e del dottor Arsenio Spinillo, direttore incaricato della clinica ostetrica e ginecologica del policlinico S. Matteo di Pavia, struttura inserita nel servizio sanitario nazionale, i quali hanno dichiarato di essere a conoscenza di molteplici richieste formulate a diversi colleghi, da parte di donne musulmane, al fine di operare una ricostruzione totale dell'imene;
tali episodi, se accertati, oltre a costituire dei gravi condizionamenti alla libera determinazione delle donne musulmane a contrarre matrimonio, sostanziano altresì gravi offese alla loro dignità umana, investendo direttamente il rispetto che il genere femminile riceve all'interno delle diverse comunità islamiche presenti nel nostro Paese -:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza delle circostanze come sopra esposte;
se abbiano cognizione di ulteriori particolari dei quali vogliano informare la Camera dei deputati;
se non si ravvisi la necessità di definire un'ispezione che accerti se gli interventi descritti siano operati all'interno di strutture afferenti il servizio sanitario nazionale o da personale da esso dipendente anche in altre strutture;
se non sia necessario programmare delle campagne di sensibilizzazione, anche in lingue diverse dall'italiano, per informare le donne musulmane degli strumenti che l'ordinamento giuridico italiano offre per garantire un corretto esercizio dei diritti civili e umani nel nostro Paese.
(4-02447)
Risposta. - Per quanto riguarda gli aspetti di rilievo locale segnalati nell'atto parlamentare, la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Milano ha comunicato che questo tipo di intervento, non rientrando tra le prestazioni sanitarie previste nei livelli essenziali di assistenza, non è a carico del Servizio sanitario nazionale.
Fin dal 2004, la Regione Lombardia ha previsto specifici stanziamenti per alcune iniziative mirate a sensibilizzare le comunità potenzialmente coinvolte in questo tipo di violenza nei confronti delle donne.
Le strutture ospedaliere lombarde sono già state sollecitate ad adottare strumenti organizzativi per una migliore accoglienza negli ospedali di tutta la popolazione immigrata e sono state invitate a predisporre materiale informativo (tradotto nelle principali lingue) circa la conoscenza dei diritti in materia di assistenza sanitaria, nonché sull'attività di prevenzione e promozione della salute.
Il Ministro per i diritti e le pari opportunità ha comunicato di essere a conoscenza della prassi in base alla quale alcune donne islamiche ricorrono a interventi di ricostruzione dell'imene, sebbene non esistano attualmente ricerche o rilevazioni statistiche che analizzino nello specifico il fenomeno, e non siano pervenute informazioni al riguardo da organi istituzionali.
Le motivazioni del ricorso a tale pratica non sono da ricercarsi in un obbligo normativo sancito nei paesi di provenienza, ma bensì nella richiesta, talvolta avanzata dagli uomini, di produrre un certificato di verginità prima delle nozze; peraltro, il fenomeno non riguarda in modo esclusivo le donne mussulmane, ma anche le donne appartenenti a quelle culture che individuano nella verginità un fattore determinante per contrarre matrimonio.
Laddove peraltro le donne si sottopongano volontariamente e di propria iniziativa a tale operazione, non sono ravvisabili forme di violazione dei diritti umani.
Diverso è il caso delle mutilazioni genitali femminili.
In attuazione della legge 9 gennaio 2006, n. 7, «Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile», sono state programmate campagne di comunicazione, informazione e sensibilizzazione sul diritto
alla salute e, in particolare, sul diritto alla salute sessuale e riproduttiva delle donne, con l'obiettivo prioritario di agevolare, nelle donne immigrate, la crescita della consapevolezza della inalienabilità della persona alla sua integrità fisica e di fornire una più adeguata informazione sulle scelte individuali e di coppia.
Le campagne di sensibilizzazione si articoleranno nella programmazione di attività culturali, nell'organizzazione di eventi specifici con i gruppi e le comunità di immigrati, nella diffusione di prodotti audiovisivi in lingue diverse dall'italiano e di specifico materiale informativo.
Il materiale informativo, redatto con un linguaggio comprensibile per i destinatari, sarà reso disponibile presso le ambasciate, i consolati, i vettori aeroportuali, i centri di permanenza temporanea, gli ospedali e tutti i luoghi deputati alla ricezione del flusso di migranti, regolari e irregolari, provenienti da altri Paesi; è previsto anche l'intervento degli operatori e mediatori culturali, al fine di raggiungere in modo più capillare e mirato le comunità interessate.
Relativamente agli aspetti di sanità pubblica, il Ministro Livia Turco ha ribadito in diverse occasioni che la salute delle donne costituisce l'indicatore più efficace per valutare l'impatto, la qualità e l'efficacia di un sistema sanitario, e deve essere considerata, inoltre, come strumento per rimuovere tutte le disuguaglianze, non solo quelle economiche e sociali, ma anche quelle fra uomini e donne.
Infatti, la disuguaglianza di genere e la mancanza di empowerment delle donne ne compromettono l'autonomia sessuale e riproduttiva, e poiché esiste uno stretto legame tra le strategie di promozione della salute delle donne e le strategie di promozione dei diritti sessuali e riproduttivi, intesi come priorità per l'esercizio concreto dei diritti umani delle donne, l'azione più efficace e corretta resta quella della realizzazione effettiva dell'empowerment femminile.
Peraltro, il diritto allo sviluppo, che rientra nella lista dei diritti umani fondamentali, implica anche il riconoscimento dell'importanza delle diverse tradizioni storiche, culturali, religiose ed il dovere degli Stati di realizzare i diritti umani delle donne, fra i quali è fondamentale il diritto alla libera scelta nella sessualità e nella procreazione.
La logica della multisettorialità ha trovato da tempo il necessario recepimento all'interno dei vari Piani sanitari nazionali, compreso il Piano sanitario nazionale 2006-2008 decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006), e, in particolare, del Progetto obiettivo materno infantile, adottato con decreto ministeriale 24 aprile 2000.
L'impegno del Ministro della salute in questo settore si è espresso anche con l'istituzione in data 6 settembre 2006 della Commissione per la prevenzione e il contrasto delle mutilazioni genitali femminili (MGF), la quale in attuazione dell'articolo 4 della legge n. 7 del 2006, ha già concluso il proprio mandato con l'elaborazione del relativo Rapporto al Ministro della salute.
Il Rapporto contiene la proposta di linee guida destinate alle figure professionali sanitarie e alle altre professionalità che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove vengono effettuate le pratiche previste dall'articolo 583 del nostro codice penale (lesioni personali gravissime).
Le linee guida, che dovranno indirizzare gli operatori suddetti nell'attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine sottoposte a tali pratiche, sono state presentate in data 29 maggio 2007 al Ministro della salute in un incontro che ha visto la partecipazione di esperti del settore.
La proposta dovrà acquisire il parere dei Ministeri dell'università e della ricerca e delle pari opportunità e della Conferenza Stato-Regioni, prima della sua definizione come decreto ministeriale.
Per quanto riguarda l'aspetto della responsabilità professionale dei medici, eventualmente coinvolti in questi interventi, si ricorda che il nuovo codice di deontologia medica - Federazione nazionale ordini medici-chirurgici ed odontoiatrici del 16 dicembre 2006, all'articolo 52 «Torture e trattamenti disumani» dispone: il medico non deve praticare per finalità diverse da
quelle diagnostiche e terapeutiche, alcuna forma di mutilazione o menomazione né trattamenti crudeli, disumani o degradanti.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
BERTOLINI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in Italia, secondo studi scientifici, il 70-80 per cento delle donne, può contrarre nel corso della propria vita, il cosiddetto virus HPV o papilloma virus, causa principale dell'insorgenza del tumore della cervice uterina, che provoca ogni anno circa mille decessi nel nostro Paese;
le informazioni scientifiche disponibili testimoniano che il vaccino contro questa grave forma virale, denominato Gardasil, risulta sicuro, ben tollerato e in grado di prevenire, nella quasi totalità dei casi, l'insorgenza di un'infezione persistente dei due ceppi virali responsabili attualmente del 70 per cento dei casi di tumore;
il virus HPV o papilloma virus, la cui trasmissione avviene prevalentemente con rapporti sessuali, raggiunge la massima diffusione nell'età della pubertà;
da una ricerca dell'Istituto di Ricerca Eurispes emerge che l'8 per cento delle adolescenti italiane dichiara di aver avuto il primo rapporto sessuale tra gli 11 e i 13 anni;
il ministero della salute, in linea con i pareri scientifici formulati dalla commissione tecnica AIFA e dal Consiglio Superiore di Sanità, ha lanciato una campagna di vaccinazione gratuita per tutte le giovani italiane al compimento del 12 anno di età;
in data 18 aprile 2007 il quotidiano Il Giornale ha pubblicato i risultati di un'indagine condotta dall'Università di Milano, secondo cui, quasi il 50 per cento dei pediatri italiani, nelle cui competenze rientrano la somministrazione di tutte le vaccinazioni dai primi mesi di vita fino ai 14 anni di età, dichiara di non essere conoscenza di cosa sia il papilloma virus e quindi anche della relativa campagna di vaccinazione gratuita promossa dal Ministero della salute -:
se sia a conoscenza dei fatti come sopraesposti;
se abbia cognizione di ulteriori circostanze di cui voglia informare la Camera dei deputati;
se non sia necessario, in considerazione dell'importanza della suddetta vaccinazione per la salute delle donne italiane, informare e sensibilizzare l'opinione pubblica in generale ed i pediatri italiani in particolare, riguardo l'importanza di un'iniziativa che, contrariamente, rischia di non ottenere i risultati sperati.
(4-03538)
Risposta. - In ambito europeo è stato recentemente autorizzato per l'uso il primo vaccino per la prevenzione delle lesioni precancerose (CIN 2/3) e del carcinoma della cervice, delle lesioni displastiche della vulva (VIN 2/3), e dei condilomi genitali (Gardasil®, Sanofi Pasteur MSD). In particolare, il vaccino previene le lesioni causate da HPV 6 e 11, responsabili del 90 per cento circa dei condilomi genitali, e dei tipi 16 e 18, cui vengono attribuiti circa il 70 per cento dei carcinomi della cervice.
Con determinazione 28 febbraio 2007 l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha deliberato il regime di rimborsabilità ed il prezzo di vendita di tale vaccino, classificato in classe H-RR, del quale è stata prevista la dispensazione attraverso il Servizio sanitario nazionale e la gratuità per le bambine nel corso del dodicesimo anno di vita.
Si precisa, inoltre, che presso l'EMEA è in corso la valutazione di un vaccino bivalente verso l'HPV 16 e 18 (Cervarix®, Glaxo Smith Kline).
Il Ministero della salute in data 27 febbraio 2007, ha costituito il Gruppo di lavoro per l'elaborazione di raccomandazioni nazionali per la vaccinazione antiHPV, al quale partecipano rappresentanti dell'AIFA, dell'Istituto superiore di sanità, delle Regioni, delle società scientifiche e
delle categorie professionali impegnate nella prevenzione, diagnosi e cura delle patologie cronico-degenerative dell'apparato riproduttivo femminile.
Il mandato del Gruppo è quello di «predisporre una strategia vaccinale e definire precisi indirizzi ai servizi ed agli operatori, per garantire equità d'accesso e parità di offerta attiva a tutta la popolazione target, su scala nazionale».
Il Gruppo, tenuto conto anche del parere del Consiglio superiore di sanità, ha, predisposto un documento concernente la «Proposta di strategia per l'offerta attiva del vaccino contro l'infezione da HPV in Italia», ed un piano di azione, che include tutte le attività propedeutiche e necessarie all'inizio della campagna di vaccinazione, con la relativa calendarizzazione.
Poiché appare necessario mantenere l'offerta attiva di tale vaccinazione nell'ambito dei servizi sanitari pubblici che svolgono le attività vaccinali, è opportuno che l'avvio della campagna di vaccinazione in tutto il Paese venga preceduto da una serie di interventi di carattere organizzativo, a garanzia dell'efficacia ed efficienza dell'intervento vaccinale e della misurabilità del relativo impatto, e di azioni finalizzate a consentire un adeguato aggiornamento professionale di tutti gli operatori sanitari coinvolti ed una corretta informazione della popolazione, allo scopo di evitare distorsioni nella percezione del significato e degli obiettivi di questo innovativo strumento di prevenzione.
In particolare, tra le tappe fondamentali del suddetto percorso, al momento identificate, vi è la predisposizione del Protocollo per il corso di aggiornamento rivolto agli operatori sanitari coinvolti (modello a cascata), e del relativo pacchetto formativo e di attuazione dei corsi ai diversi livelli, come già sperimentato per l'aggiornamento per la SARS, l'eliminazione del morbillo e della rosolia congenita e per il rischio di pandemia influenzale. Tale protocollo prevede, infatti, la presenza congiunta al corso non solo degli operatori dei servizi vaccinali, che fanno la chiamata attiva ai soggetti target della campagna ed eseguono la prestazione vaccinale, ma anche dei pediatri di libera scelta e di comunità, dei medici di medicina generale, dagli screenologi, dei ginecologi e oncologi, che possono fornire la loro preziosa collaborazione per favorire l'adesione dei genitori alla campagna vaccinale.
L'avvio della campagna vaccinale, proprio per le necessità sopra rappresentate, inizierà a partire da gennaio 2008, e sarà preceduta dalla preparazione e realizzazione di una Campagna di comunicazione rivolta alla popolazione.
Il citato Documento ed il Piano di azione, discussi con i rappresentanti delle Regioni in occasione della riunione del Coordinamento Interregionale tenutasi lo scorso 14 marzo, sono stati inviati alla Conferenza Stato-Regioni, per essere sanciti in forma di Intesa, quale garanzia di condivisione delle scelte strategiche adottate e, di conseguenza, di omogeneità dell'offerta vaccinale nel Paese.
Va ricordato che la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione ha individuato le aree di legislazione esclusiva o concorrente dello Stato e delle Regioni, identificando la tutela della salute tra le materie di legislazione concorrente, per le quali la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo per la determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato; viene in questo modo salvaguardata la stretta interdipendenza tra Stato e Regioni in materia, tra l'altro, di strategie vaccinali.
In sintesi, la strategia proposta, considerato il contesto nazionale si fonda principalmente sull'offerta attiva e gratuita, attraverso le strutture del Servizio sanitario nazionale deputate all'erogazione delle vaccinazioni del vaccino anti-HPV alle ragazze orso del dodicesimo anno di vita (dal compimento degli 11 anni fino al compimento dei 12 anni). Questa scelta presenta, infatti, i seguenti vantaggi:
indurre la migliore risposta immunitaria al vaccino prima dell'inizio dell'attività sessuale, garantendo così la massima efficacia della vaccinazione;
rivolgersi a ragazze che frequentano la scuola dell'obbligo facilitando l'offerta attiva anche a gruppi a rischio di deprivazione sociale;
facilitare la comunicazione con le famiglie;
mantenere la vaccinazione nell'ambito del patrimonio professionale e delle prestazioni fornite dalle strutture del Servizio sanitario nazionale deputate all'erogazione delle vaccinazioni, quale rete esistente, consolidata e formata da esperti;
raggiungere elevate coperture vaccinali in breve tempo, sfruttando le occasioni di contatto con le strutture vaccinali per gli adolescenti, già target di altri interventi vaccinali;
impiegare le anagrafi vaccinali esistenti per la registrazione delle vaccinazioni effettuate, il follow-up e la valutazione delle coperture vaccinali e la conseguente determinazione dell'impatto sulla popolazione (anche se sul lungo periodo), in termini di guadagno di salute e risparmio della spesa sanitaria;
proporre una stima finanziaria dei costi sostenibili da tutte le Regioni per garantire l'uniformità di accesso gratuito come garanzia del diritto alla prevenzione vaccinale;
promuovere l'integrazione ed il confronto con i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e le altre categorie specialistiche interessate;
limitare le disuguaglianze;
organizzare e gestire il monitoraggio dei vaccinati;
stimare il futuro impatto della vaccinazione.
Tale strategia sarà affiancata dalla vendita, su prescrizione medica, del vaccino e, quindi, dalla possibilità per ciascuno di vaccinarsi. Inoltre, il Coordinamento Interregionale per la Prevenzione sta valutando l'opportunità di inserire nell'Intesa Stato-Regioni una comune modalità per facilitare l'offerta della vaccinazione anti-HPV nelle strutture vaccinali per le donne che non rientrano nel target della campagna di vaccinazione di massa, per le quali il vaccino è, comunque, efficace.
La disponibilità del vaccino anti-HPV rappresenta, oltre che un'importante occasione di prevenzione individuale, anche una rilevante opportunità per l'intera comunità.
La disponibilità di uno strumento di prevenzione primaria contro una patologia che colpisce doppiamente la donna, in quanto malattia di tipo oncologico e dell'apparato riproduttivo, rischia, se non preceduta ed accompagnata da una pianificazione meticolosa e da una informazione corretta, di produrre un'inappropriata aspettativa.
Non va, inoltre, trascurata l'importanza delle azioni di verifica necessarie al fine di valutare l'impatto e l'efficacia degli interventi realizzabili in questo ambito.
Compito del Ministero della salute, insieme alle Regioni, è quello di governare la disponibilità di tale strumento di prevenzione, fornendo indirizzi coerenti ai servizi e agli operatori, sulla base delle migliori evidenze scientifiche disponibili, al fine di garantire equità di accesso e parità di offerta attiva delle prestazioni sanitarie, inclusa la prevenzione primaria, a tutta la popolazione target nazionale.
In caso contrario si verrebbe a creare una situazione di difformità nelle modalità di accesso e pagamento e, addirittura, differenti modalità di offerta nelle diverse AUSL di una stessa Regione, che, oltre a produrre disagi e disuguaglianze nella popolazione, potrebbero, addirittura, limitare il buon esito degli interventi preventivi.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
BONDI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Domenico Giglio, nato a Caserta il 4 febbraio 1952 è stato condannato a diversi ergastoli per gli omicidi di 6 persone, rivendicati dal gruppo storico delle Brigate Rosse;
lo stesso Giglio è stato protagonista delle rivolte carcerarie di Termini Imerese nel novembre del 1978, di Trani del 28 e
29 dicembre del 1980 e nel 1981 ha tentato una evasione dal carcere «Bad `e Carros» di Nuoro;
attualmente Domenico Giglio non è più sottoposto a misure di detenzione;
lo scorso 20 gennaio alla Farnesina nella Sala dei mappamondi è stata inaugurata una mostra «Sagome 547» su progetto di Domenico Giglio, per volere del Viceministro con delega per gli italiani all'estero onorevole Franco Danieli, tale mostra sarà protagonista di un tour mondiale -:
se quanto appreso corrisponde al vero, quanto sia stato corrisposto a Domenico Giglio e quanto costi il tour mondiale che ha per oggetto la mostra «Sagome 547»;
se Domenico Giglio sia stato nominato dal Viceministro Danieli consulente della rete degli Istituti Italiani di Cultura all'estero;
che tipo di rapporto intercorra tra il Ministero degli affari esteri e il pluriomicida Domenico Giglio.
(4-02888)
Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La mostra «Sagome 547», proposta dall'associazione culturale «Horti Lamiani- Bettivo», è stata scelta per le sue qualità artistiche e per il suo contenuto.
Essa, propone infatti opere realizzate da artisti di indiscusso rilievo nel panorama dell'arte figurativa italiana quali, tra gli altri, Vasco Bendini, Nicola Carrino, Bruno Ceccobelli, Ettore Consolazione, Paolo Cotani, Gianni Dessi, Mauro Di Silvestre, Maria Dompe, Lello Esposito, Giosetta Fioroni, Omar Galliani, Paola Gandolfi, Alessandra Giovannoni, Felice Levini, Gino Marotta, Elisa Montessori, Gianfranco Notargiacomo, Nunzio, Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, Vettor Pisani, Piero Pizzi Cannella, Ascanio Renda, Sandra San, Marco Tirelli, Giuseppe Uncini, Claudio Vema.
La mostra gode peraltro, in virtù del suo elevato contenuto sociale ed umanitario, del patrocinio dell'UNICEF, nonché del comune e della provincia di Roma. L'esposizione rappresenta infatti la quotidiana tragedia dei 547 bambini che ogni giorno muoiono a causa di guerre.
Tale valore è stato riconosciuto internazionalmente in occasione della Conferenza «Salviamo i bambini dalla guerra» tenutasi il 5-6 febbraio 2007 a Parigi. Il mistero degli affari esteri francese l'ha infatti ospitata nella sua prestigiosa sede e nel Centro di Conferenze Internazionali «Centre Kleber».
2. La mostra è stata scelta anche in virtù della sua economicità. Nessun costo è stato sostenuto per la sua produzione.
3. A Domenico Giglio, in qualità di direttore artistico dell'Associazione Culturale «Horti Lamiani-Bettivo», sono stati corrisposti 2.000 euro per l'allestimento della mostra a Roma. Analogo compenso è stato pattuito a favore della predetta Associazione per la successiva installazione in Francia, peraltro realizzata da un altro incaricato dell'Associazione stessa.
4. Né tra il Vice Ministro Danieli, né tra la direzione generale per la promozione culturale del ministero degli esteri ed il signor Giglio intercorrono rapporti di consulenza, né altri tipi di rapporto continuativo.
Ciò vale altresì per gli Istituti di cultura e le rappresentanze diplomatiche. Il signor Giglio è conosciuto presso la Direzione Generale per la Promozione Culturale esclusivamente quale curatore del progetto «Sagome 547». Non erano peraltro noti i precedenti penali a suo carico.
6. Non è previsto alcun seguito all'iniziativa in oggetto.
Il Viceministro degli affari esteri: Ugo Intini.
BONELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
tra il 1998 ed il 1999, 426 bambini di età compresa dai pochi mesi ai sette, otto anni, ricoverati presso l'ospedale pediatrico
al-Fatih di Bengasi in Libia si sono infettati con il virus Hiv;
da allora 52 bambini sono morti e gli altri 374 sono in cura attraverso il «Bengasi action plan», progetto finanziato dalla Commissione europea che coinvolge diversi paesi dell'Unione a partire dal 2004;
dalla fine dell'estate scorsa, 60 ragazzi, fra gli otto ed i sedici anni, sono ricoverati in Italia presso l'ospedale Pediatrico Meyer di Firenze;
per questa vicenda è in corso un processo contro cinque infermiere di origine bulgara ed un medico di origine palestinese accusati di aver infettato i 426 bambini, i sei rischiano la pena capitale;
secondo l'autorevole settimanale britannico Nature le prove a carico delle cinque infermiere ed il medico sono inconsistenti; il settimanale ha scritto di aver acquisito copia di una relazione scritta nel 2003 da cinque medici libici, che costituisce la pietra angolare del castello di accuse contro i sei imputati; il documento è stato fatto tradurre in inglese ed è stata chiesta una valutazione a virologi indipendenti e di chiara fama che hanno concordato nel dire che le accuse non sono sostenute da prove e sono costellate di supposizioni;
gli esperti hanno fatto notare che i magistrati libici hanno ignorato un rapporto scritto da Luc Montagnier, il virologo francese che ha scoperto il virus dell'Aids, e da Vittorio Colizzi, ricercatore dell'Università di Tor Vergata di Roma, in cui si afferma che l'infezione iniziò nel 1997, vale a dire prima dell'arrivo dei 6 imputati in Libia; la prova di ciò, sta nel fatto che molti dei bambini contrassero anche l'epatite B e C e che due infermiere di quell'ospedale rimasero contagiate dello stesso ceppo di Aids; si tratta del sottotipo A/G di Hiv-1, un ceppo ricombinato molto comune in Asia centrale ed occidentale, e non di un ceppo geneticamente modificato, come sostengono i magistrati libici;
con una lettera inviata al premier libico Muammar al-Gheddafi e pubblicata dal settimanale Nature 114 premi Nobel chiedono di poter effettuare uno studio approfondito che certifichi le reali cause del contagio e che sia condotto da specialisti della malattia, specialisti che non sono stati ammessi durante il processo, infatti più volte si è cercato di dimostrare la presenza della malattia in Libia prima dell'arrivo delle infermiere e del medico;
nel primo processo, poi annullato nel dicembre 2005 dalla Corte suprema, le cinque infermiere bulgare ed il medico palestinese erano stati condannati alla pena di morte, però a ripetere il processo è il medesimo tribunale penale che ha emesso il primo verdetto;
è atteso per il 19 dicembre il verdetto del processo ai sei accusati di avere volontariamente inoculato il virus dell'Aids ai 426 bambini ricoverati nell'ospedale di Bengasi; il procuratore generale ha chiesto per tutti gli imputati la «pena massima», con l'accusa di aver usato i bambini come cavie, sperimentando su di loro il virus dell'Aids prodotto ad hoc in laboratorio, e magari agendo per conto di qualche potenza straniera;
un complotto che non convince la difesa, che denuncia la totale assenza di prove concrete, mentre intervenendo in aula i sei imputati hanno tutti ribadito la loro innocenza, ripetendo che la confessione che loro hanno sottoscritto è stata loro estorta con la tortura -:
se non intenda intervenire nei confronti della Libia, affinché sia garantita trasparenza ed imparzialità nel processo alle cinque infermiere bulgare ed al medico palestinese.
(4-01672)
Risposta. - Si ritiene opportuno ricordare innanzi tutto che l'Italia svolge tradizionalmente un ruolo trainante nella campagna internazionale per l'abolizione della pena di morte nel mondo: proprio di recente, l'impegno italiano si è distinto all'interno dell'Unione europea nell'ambito della campagna per la «Dichiarazione di associazione» per la moratoria ed abolizione della pena di morte, presentata all'Assemblea Generale a New York il 19
dicembre 2006. Il testo di dichiarazione è stato predisposto dall'Unione europea su iniziativa italiana e sottoscritto da un totale di 85 Paesi membri delle Nazioni Unite. Il positivo risultato dell'iniziativa europea risiede non solo nel numero di Paesi che hanno deciso di sottoscrivere la Dichiarazione, ma soprattutto nella presentazione all'attenzione dell'Assemblea Generale della questione dell'abolizione della pena di morte e dell'introduzione di una moratoria delle esecuzioni. Il numero di adesioni è inoltre il più alto mai raccolto da un'iniziativa sulla pena di morte in ambito ONU.
Per quanto riguarda in particolare la vicenda giudiziaria delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese in Libia, il Governo italiano ha sempre seguito con grande attenzione il suo evolversi in tutte le sue fasi.
Sin dall'inizio, infatti, l'Italia ha svolto - sul piano bilaterale e, nel secondo semestre 2003, quale Presidente di turno dell'Unione Europea - numerosi passi nei confronti delle Autorità libiche per sollecitare una conclusione del procedimento giudiziario rapida e rispettosa del diritto e per richiedere il miglioramento delle condizioni di detenzione degli imputati. Tale nostro impegno ci è stato ripetutamente riconosciuto dalle stesse Autorità di Sofia, con le quali abbiamo mantenuto nel corso degli anni un continuo raccordo.
Grazie all'azione condotta da Paesi dell'Unione europea e dagli Stati Uniti, la Corte suprema libica decise, a fine 2005, di rinviare il caso al giudizio del Tribunale di Bengasi per il riesame (il processo di primo grado si era concluso nel maggio 2004 con una sentenza di condanna a morte delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese).
Da ultimo, in merito alla reiterata sentenza di condanna a morte delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese, emessa dal tribunale libico, il 19 dicembre 2006, il Governo italiano si è espresso tramite il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri, onorevole Massimo D'Alema, che ha manifestato il proprio turbamento per la condanna e, pur nel rispetto per l'autonomia della giustizia libica, ha ribadito la ferma opposizione dell'Italia alla pena di morte. Lo stesso Ministro degli Esteri ha rivolto alle Autorità libiche un appello alla clemenza, sollecitando un intervento personale del leader libico, Colonnello Gheddafi, per una sospensione della pena e per una sua successiva commutazione, sottolineando la grande attenzione con la quale da parte italiana ed europea viene seguita questa vicenda.
Il Viceministro degli affari esteri: Ugo Intini.
BRIGUGLIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
è necessario conoscere i dettagli della vicenda riportata dalla stampa in ordine all'aborto, praticato presso l'ospedale di Correggio, con la motivazione che si trattava di un bambino affetto da grave malformazione, circostanza poi risultata non vera;
il bambino venuto al mondo in seguito all'intervento abortivo è risultato sanissimo ma, dopo aver lottato per la sopravvivenza, si è spento -:
con quale procedura sia stato autorizzato l'aborto, in violazione - secondo l'interrogante - della stessa legge n. 194, tenuto conto che si trattava del quinto mese di gravidanza;
se siano state accertate le responsabilità di quanto accaduto che può qualificarsi non solo come un caso di malasanità ma come un vero e proprio crimine contro il diritto alla vita;
quali siano le attività terapeutiche che sono state attivate per salvare la vita del bambino;
quali siano le valutazioni del Governo suggerite da questo gravissimo episodio che ha profondamente commosso l'opinione pubblica e in particolare se intenda attivare un monitoraggio per avere un quadro di riferimento esatto in ordine alle reali e concrete modalità seguite dalle
strutture pubbliche nell'autorizzazione degli aborti soprattutto sotto il profilo della prevenzione e della corretta informazione delle donne e delle famiglie.
(4-02881)
Risposta. - In merito alla vicenda avvenuta nell'Ospedale di Careggi (Firenze), si ricostruiscono di seguito gli eventi sulla base dei dati forniti dalla Prefettura di Firenze e dall'azienda Ospedaliera Universitaria Careggi.
L'11 dicembre 2006 una signora di 35 anni, giunta all'undicesima settimana di gravidanza effettua l'ecografia di primo livello presso l'ospedale di Borgo San Lorenzo (Firenze) con questo esame viene ricercato anche un indicatore di screening di possibili malformazioni (translucenza nucale), di cui viene rilevata l'alterazione. L'interessata viene inviata il giorno seguente al «Centro di riferimento regionale prevenzione diagnosi prenatale-difetti congeniti» dell'Ospedale Careggi di Firenze per ulteriori approfondimenti.
Una seconda ecografia conferma l'alterazione, che è indice di un rischio aumentato di anomalie cromosomiche, cardiopatie congenite, sindromi genetiche, ritardo di crescita fetale. Su consiglio del genetista, la signora esegue nella stessa giornata la villocentesi ma il referto esclude problemi cromosomici.
Il 12 febbraio 2007 la signora si sottopone ad ulteriori esami ecografici, i quali mettono in evidenza altri indicatori di possibile rischio di ritardo di crescita fetale e di malformazioni (presenza di arteria ombelicale unica e mancata visualizzazione della bolla gastrica).
Il 19 febbraio 2007 viene eseguita la quarta ecografia: persiste il sospetto di malformazione, ma il ginecologo precisa che la malformazione potrebbe essere di vari gradi di serietà, correggibile chirurgicamente con modalità differenziate a seconda del grado di gravità, e che l'entità della malformazione può essere concretamente verificabile solo dopo il parto. Alla signora, che è accompagnata dal marito e che dimostra la propria preoccupazione e comincia a parlare apertamente di interruzione della gravidanza, viene proposta la risonanza magnetica e la consulenza del chirurgo pediatra presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze.
Dopo un'ora di riflessione, la paziente comunica ai sanitari la decisione di non sottoporsi ad ulteriori accertamenti né di voler parlare con il chirurgo pediatra, avendo già avuto occasione di consultarne uno di sua conoscenza nella settimana precedente. Il ginecologo e il genetista la convincono ad attendere un'altra settimana per un'ulteriore ecografia, un'eventuale risonanza magnetica e un consulto del chirurgo pediatra.
La successiva ecografia viene effettuata il 26 febbraio 2007, con esito identico alle precedenti (mancata visualizzazione della bolla gastrica ed arteria ombelicale unica). Al ginecologo e al genetista, nuovamente consultato, la signora conferma in presenza del marito la volontà d'interrompere la gravidanza. Viene, pertanto, illustrato dal ginecologo l'iter previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194 per l'interruzione volontaria della gravidanza oltre il 90esimo giorno, e viene consultato lo psichiatra per il certificato a supporto alla decisione.
Il consulto viene eseguito il giorno stesso a Borgo San Lorenzo e lo psichiatra certifica il rischio di uno squilibrio delle condizioni psichiche della donna in caso di prosecuzione della gravidanza.
Il giorno dopo all'Ospedale Careggi viene completata la certificazione prevista per l'IVG e la signora viene ricoverata; l'IVG viene effettuata alle ore 15,42 del 2 marzo 2007. Il bambino risulta non vitale, l'ostetrica prosegue l'assistenza alla donna, ma, quando esamina nuovamente il feto, rileva segni di vitalità. Vengono subito eseguite le prime procedure di rianimazione e viene allertato il neonatologo.
Il neonatologo, accompagnato dall'infermiera della Terapia intensiva neonatale, giunge alle ore 16.00 in sala parto e procede alla rianimazione neonatale del bambino, rinvenuto ipotonico, cianotico, con scarsa attività respiratoria spontanea e bradicardico (circa 80 battiti al minuto).
Nel corso delle manovre, viene inserita anche una sonda orogastrica, la quale procede senza difficoltà fino alla cavità gastrica,
riscontrando l'assenza di malformazioni. Per mancanza di disponibilità di posti, il bambino viene trasportato alla Terapia intensiva neonatale del Meyer, dove, nonostante le cure, le sue condizioni si aggravano fino alla morte, che avviene alle 4,45 dell'8 marzo 2007.
La drammatica vicenda avvenuta all'Ospedale di Careggi ripropone l'urgenza di costruire una società accogliente nei confronti della nascita, capace di promuovere la maternità e la paternità responsabili e di prevenire l'aborto.
L'analisi dei dati risultante dalla verifica dell'attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, evidenzia una riduzione del ricorso all'aborto (-45 per cento dal 1982 ad oggi e -6,2 per cento nel solo ultimo anno di riferimento), mettendo in luce, pertanto, come l'aborto non sia considerato un metodo contraccettivo. La scelta da parte della donna si è qualificata come scelta di procreazione responsabile che lega indissolubilmente la vita umana alla capacità di accoglienza del grembo materno.
La legge n. 194 del 1978 si dimostra di estrema attualità anche per rispondere alle più recenti sollecitazioni, come quella di prendere in considerazione il progressivo abbassamento del periodo di gestazione entro il quale il nascituro presenta comunque possibilità di sopravvivenza autonoma.
L'articolo 7, citato nell'atto parlamentare, non indica un limite temporale entro il quale delimitare «a priori» l'esistenza di tale possibilità; correttamente e con lungimiranza il legislatore ha previsto in anticipo i potenziali sviluppi della scienza in questo campo, affidando alla medicina e ai suoi progressi l'individuazione degli ambiti temporali di applicazione della legge.
La drammatica vicenda avvenuta a Careggi costituisce ulteriore motivazione per il Ministero della salute ad accelerare il confronto con la comunità scientifica italiana e con le Regioni, per predisporre apposite linee guida e per far sì che i centri di diagnosi prenatale siano sempre in grado di garantire l'adeguato supporto psicologico alle pazienti.
Potenziare i consultori anche come sostegno alla relazione di coppia genitoriale e familiare; promuovere il parto naturale e la continuità dell'assistenza tra gravidanza, parto e puerperio; rafforzare i diritti del nascituro: sono questi gli aspetti più importanti della legge sul parto, presentata dal Ministro della Salute Livia Turco nel luglio scorso e attualmente all'esame parlamentare, nonché delle norme contenute nella legge finanziaria 2007 e del piano d'azione per la salute delle donne e del bambino, discusso in una grande assemblea di donne e operatori il 7 marzo 2007 a Napoli.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
BUCCHINO e FEDI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con la stipula di numerose convenzioni multilaterali e bilaterali di sicurezza sociale lo Stato italiano ha garantito nel tempo un buon livello di tutela previdenziale ai lavoratori italiani migranti;
nell'area dell'Unione Europea, la tutela sociale è assicurata da specifici regolamenti comunitari mentre sul piano bilaterale, l'Italia ha stipulato accordi di sicurezza sociale con i Paesi nei quali sono presenti importanti collettività italiane;
la finalità degli accordi di sicurezza sociale è quella di garantire la parità di trattamento di lavoratori e pensionati dei Paesi contraenti e che i contributi previdenziali versati nei vari Paesi di emigrazione non vadano perduti ma possano essere utilizzati per perfezionare il diritto alle varie prestazioni previdenziali e consentire l'esportabilità delle stesse;
la regolare presenza di lavoratori extra-comunitari immigrati in Italia impone allo Stato italiano l'obbligo di tutelare adeguatamente i diritti previdenziali di tali lavoratori, con i criteri e le modalità con i quali ha tutelato i lavoratori italiani emigrati;
l'Unione Europea ha più volte concluso solennemente che i Paesi membri devono realizzare la parità di trattamento nel settore sociale tra cittadini comunitari e cittadini di Paesi terzi concedendo a questi ultimi un insieme di diritti uniformi ed analoghi a quelli di cui godono i cittadini dell'Unione;
i diritti previdenziali dei lavoratori extra-comunitari immigrati in Italia possono essere adeguatamente tutelati tramite la paritaria applicazione della normativa nazionale in materia di sicurezza sociale ma anche e soprattutto con la stipula di accordi bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di provenienza;
tali accordi possono contenere disposizioni che riguardino esclusivamente diritti previdenziali acquisiti o in via di acquisizione ed escludere invece l'esportabilità delle prestazioni legate alla residenza ed al reddito;
per gli immigrati entrati in Italia dal 1 gennaio 1996 si applicherà ai fini pensionistici il metodo di calcolo contributivo che collega l'importo della pensione ai contributi effettivamente versati;
lo Stato italiano ha ratificato ad oggi solo due convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di immigrazione, e cioè con Tunisia e Capoverde (sono altresì in vigore accordi con i Paesi della ex-Jugoslavia);
sono stati invece firmati da anni ma non ancora ratificati gli accordi con le Filippine ed il Marocco mentre sono stati avviati ma mai conclusi i negoziati con altri Paesi originari dei principali flussi migratori come l'Egitto -:
quale sia la politica del Governo italiano in relazione alla tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori extra-comunitari con regolare permesso o carta di soggiorno e quali siano i motivi per cui gli accordi bilaterali di sicurezza sociale con Paesi di immigrazione già firmati o in corso di stipula non sono stati mai approvati;
quali eventuali misure si intendano adottare per verificare le reali implicazioni finanziarie che la ratifica di tali accordi comporta, anche alla luce della possibilità di limitare l'esportabilità delle prestazioni legate al reddito e alla residenza, e se non altro per procedere con la ratifica degli accordi già firmati.
(4-02376)
Risposta. - Nel giugno del 2006 gli accordi di sicurezza sociale erano quelli conclusi con il Marocco, la Nuova Zelanda, il Brasile, il Cile e il Canada.
La Ragioneria generale nel corso dello stesso anno ha comunicato che la tabella A del Ministero degli affari esteri era insufficiente per coprire i costi anche di un solo accordo in tale materia. Si evidenzia infatti che i costi per l'adozione di tale tipologia di accordi sono notevoli, essendo computati per il primo ed il secondo anno sulla base del costo reale (cittadini degli Stati presenti sul territorio nazionale moltiplicato per il costo contributivo in base ad un calcolo attuariale), per il terzo anno sulla base della proiezione decennale di spesa.
In via generale, sarebbe opportuno procedere gradualmente all'avvio a ratifica in base alle risorse economiche che sono messe a disposizione e comunque ricalcolando gli oneri degli accordi in questione in base a nuovi conteggi effettuati dall'Ufficio statistico attuariale del'Inps.
In particolare, va sottolineato che per quanto riguarda il Cile, e tra breve anche il Canada, è stata avviata dal Ministero degli affari esteri la procedura di concerto interministeriale con i Dicasteri competenti in vista della loro presentazione in Parlamento.
È da evidenziare che, nelle more della ratifica, ai lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti che si trasferiscono all'estero, è comunque assicurata la piena tutela dei loro diritti previdenziali in base dall'articolo 22 comma 13 della legge 30 luglio 2002 n. 189, attualmente in vigore, che recita:
«...in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociali maturati e può goderne indipendentemente dalla vigenza
di un accordo di reciprocità al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, anche in deroga al requisito contributivo minimo previsto dall'articolo 1, comma 20, della legge 8 agosto 1995 n. 335».
Il Viceministro degli affari esteri: Franco Danieli.
BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
occorre regolamentare la posizione dei «presentatori» dei titoli di credito per il protesto degli ufficiali giudiziari;
questi lavoratori pubblici operano da anni all'interno dei palazzi di giustizia, con un decreto di nomina dei Presidenti di Tribunale e di Corte di appello, svolgendo, alle dirette dipendenze di un dipendente dello Stato, compiti istituzionali supplendo alle gravi carenze di personale del Ministero della giustizia;
di fatto il Ministero della giustizia impiega al suo interno lavoratori, non precari ma non assunti, ponendo in atto un comportamento gravemente censurabile -:
quali provvedimenti il Ministro intenda adottare per sapere quanti sono e in quali sedi di Tribunale o di Corte di Appello prestano servizio i presentatori dei titoli di credito degli ufficiali giudiziari, tutto ciò al fine di ponderare e risolvere quello che l'interrogante giudica una ingiustizia perpetrata dallo Stato in danno dei propri lavoratori.
(4-02581)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si fa presente che la figura dei «presentatori» dei titoli di credito per il protesto degli ufficiali giudiziari è disciplinata dagli articoli 2, 3 e 4 della legge 12 giugno 1973, n. 349, in base a cui il rapporto di lavoro dei predetti, di natura privatistica, nasce da un decreto di nomina da parte dei capi degli uffici giudiziari (Presidenti di Corti di Appello o di Tribunale) ed il loro impiego da parte degli ufficiali giudiziari è limitato all'attività di levata dei protesti cambiari.
In virtù di questo rapporto giuridico di natura privatistica non si instaura alcuna forma di dipendenza organico - funzionale da questo Ministero, tenendo altresì conto che i lavoratori vengono retribuiti direttamente dagli ufficiali giudiziari che li assumono.
In considerazione del suesposto quadro normativo non si legittima alcun impiego dei «presentatori» dei titoli di credito all'interno degli uffici NEP, non avendo essi alcun titolo per poter svolgere compiti rientranti nelle competenze dei predetti uffici e, pur svolgendo un servizio di pubblica utilità a favore dell'utenza degli uffici NEP, non potendo essere considerati alla stregua di impiegati pubblici che espletano la loro prestazione lavorativa all'interno del Ministero della Giustizia.
Un recente disegno di legge, più precisamente un emendamento non recepito proposto all'articolo 3, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 2 dicembre 2005 n. 248, prevedeva un'assunzione a tempo indeterminato dei presentatori degli effetti cambiari già alle dipendenze degli ufficiali giudiziari in servizio presso le Corti di Appello e i Tribunali ed in possesso del decreto di nomina dei capi dei rispettivi uffici giudiziari fino al 31 dicembre 2003 presso gli Uffici di Riscossione S.p.A., i cui dipendenti hanno un contratto di lavoro assimilabile a tutti gli effetti al personale degli istituti di credito, con un inquadramento ed una progressione economica-funzionale non assimilabile al personale del comparto ministeri.
Quanto sopra rappresentato vale ad escludere ulteriormente che i lavoratori in questione possano considerarsi interni a questa Amministrazione, ferma restando la vigenza dell'articolo 2 della citata legge n. 349 del 1973, che, al primo comma, statuisce che il notaio e l'ufficiale giudiziario, sotto la propria responsabilità, possono provvedere alla presentazione del titolo a mezzo di presentatori. Ne consegue che l'attualità della predetta disposizione impone
la sua osservanza nel caso di ricorso all'impiego di questi lavoratori da parte degli ufficiali giudiziari, nei modi previsti dal legislatore.
Alla luce di quanto sopra, la posizione dei «presentatori» dei titoli di credito risulta già regolamentata.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
CARDANO, RAMPI, ROCCHI, BURGIO e DE CRISTOFARO. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, al Ministro della solidarietà sociale, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
lo Spresal, il servizio dell'Asl 13 di Novara che si occupa in modo specifico dei luoghi di lavoro e del rispetto delle normative in materia di sicurezza, ha comunicato di recente un dato drammatico per quanto riguarda le morti a causa degli infortuni sul lavoro;
l'INPS nella sua attività ispettiva relativa al periodo gennaio-settembre 2006 ha rilevato che in Piemonte l'86 per cento delle 4.814 aziende controllate risultavano irregolari (con 4.763 lavoratori irregolari);
è noto il rapporto molto stretto tra incidenti sul lavoro e lavoro nero;
in provincia di Novara il 2006 si chiude con sette morti per infortuni di lavoro (lo stesso numero di morti del 2005) ed a giugno di quest'anno il numero complessivo degli incidenti sfiorava già i quattro mila, con una forte tendenza all'aumento rispetto all'anno scorso;
dopo gli ultimi incidenti mortali del 20 e 21 novembre scorsi (a Borgolavezzaro in una ditta di materie plastiche, e a Trecate, al centro Oli Agip), il 15 dicembre a Oleggio si è verificato un nuovo incidente gravissimo (il cui esito è ancora incerto) durante la costruzione di un complesso residenziale; si può parlare ormai di un «bollettino» quotidiano di incidenti e se si considera che la provincia di Novara è una piccola provincia di circa 340.000 abitanti il fatto risulta ancora più grave;
purtroppo Novara si sta ponendo ai vertici nel triste primato nazionale di queste tragedie. La mancanza di dispositivi di sicurezza, la scarsa formazione del personale, la necessità di aumentare la produttività a qualsiasi costo e una generale carenza nella cultura del lavoro e della prevenzione mettono serie ipoteche sulla qualità del lavoro;
in questo ambito occorrono molti più controlli (e dunque più personale addetto alle ispezioni), più prevenzione, più coordinamento tra le istituzioni e più sostegno alle vittime e alle loro famiglie;
il Sottosegretario al lavoro Antonio Michele Montagnino ha riferito all'aula il 6 dicembre sulle iniziative adottate dal Governo, alcune delle quali previste in finanziaria -:
quali iniziative urgenti intenda adottare per far fronte a questa grave situazione sopradescritta, con particolare riguardo al territorio novarese;
se sia previsto anche in questa provincia il potenziamento dei nuclei ispettivi, il cui incremento generale è quantificato in finanziaria.
(4-02059)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si comunica quanto segue.
Sin dal suo insediamento il Governo, in coerenza ed in attuazione del programma, ha posto il tema della lotta al lavoro nero ed irregolare e della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro al centro della propria azione strategica.
Infatti, già nel documento di programmazione economico finanziaria, il Governo ha avuto modo di tracciare le linee dell'intervento in materia.
Sono tre i fronti nei quali si è intervenuti: lotta al sommerso, potenziamento dei servizi ispettivi, riorganizzazione della normativa in materia di salute e sicurezza.
È in tale ottica che è stato predisposto un primo «pacchetto» di misure, introdotte con il «Decreto Bersani», che ha già prodotto effetti positivi in termini di aumento di occupazione non precaria. Tale provvedimento legislativo ha introdotto, in particolare:
la misura della sospensione dei lavori nell'ambito dei cantieri edili nei quali si riscontri l'impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro e di riposo giornaliero e settimanale, condizionando la revoca del provvedimento al ripristino delle regolari condizioni di lavoro; la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore occupato «in nero», maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo; l'obbligo, a carico dei datori di lavoro, di dare la comunicazione di legge il giorno antecedente a quello di instaurazione dei rapporti di lavoro nel settore edile, mediante documentazione avente data certa.
A questo primo «pacchetto» si sono aggiunte le norme inserite nella legge finanziaria che prevedono una serie di misure, quali la possibilità per le aziende di usufruire di benefici normativi e contributivi unicamente ove in regola con il Documento Unico di Regolarità Contributiva, il potenziamento dell'attività ispettiva, l'estensione dell'obbligo di comunicare l'instaurazione del rapporto di lavoro il giorno antecedente il suo inizio, la previsione di indici di congruità del rapporto tra qualità dei beni e servizi offerti e ore di lavoro necessarie, la quintuplicazione di alcune sanzioni amministrative già previste per la violazione di norme in materia di lavoro, legislazione sociale, previdenza e tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Il Governo è consapevole che per ottenere risultati efficaci in termini di prevenzione, oltre al miglioramento del quadro giuridico dovrà affiancarsi l'intensificazione dell'attività di sensibilizzazione sull'argomento.
In questa ottica è stata organizzata anche la «Seconda Conferenza nazionale salute e sicurezza sul lavoro» che si è tenuta a Napoli (Città della Scienza, Bagnoli) il 25 e 26 gennaio 2007.
Questa Conferenza, dedicata alle vittime degli incidenti sul lavoro, ha rappresentato un importante momento di riflessione e di confronto tra governo, istituzioni, regioni, parti sociali e operatori del settore, su un tema che rappresenta un'assoluta priorità per l'Italia.
L'obiettivo condiviso è rappresentato dalla tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori, in un contesto caratterizzato dalle radicali trasformazioni delle realtà produttive e delle forme contrattuali.
Dalla Conferenza è emerso che le priorità di un'efficace strategia di lotta agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali sono una grande campagna di diffusione della cultura della sicurezza sul lavoro, la lotta al lavoro sommerso e irregolare, ed al lavoro precario.
In conclusione la Conferenza ha prodotto utili convergenze per decisioni condivise, nella comune consapevolezza che il lavoro non sicuro rappresenta una vera e propria minaccia alla convivenza civile, contro la quale le istituzioni e l'intera società devono reagire per affermare il valore etico e politico della salute e della sicurezza sul lavoro.
In considerazione, inoltre, del fatto che la tematica della sicurezza, pur investendo principalmente la competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, coinvolge anche quella di un cospicuo numero di amministrazioni, nel disegno di legge delega in materia di sicurezza, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 13 aprile 2007 e attualmente all'esame del Senato, è prevista, tra i principi di delega, anche la realizzazione di un coordinamento su tutto il territorio nazionale delle attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro, finalizzato all'emanazione di uniformi indirizzi generali e alla promozione dello scambio di informazioni.
Per poter ottenere una riduzione del fenomeno infortunistico, i suddetti interventi normativi e l'attività di sensibilizzazione dovranno certamente essere accompagnati da più specifiche campagne informative in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, nonché da un incremento della vigilanza, vigilanza che è comunque legata
al numero degli ispettori tecnici disponibili sia nelle Direzioni provinciali del lavoro che nelle Aziende sanitarie locali.
Per quanto di competenza è intenzione di questa Amministrazione valorizzare al massimo l'attività di vigilanza effettuata dagli ispettori del lavoro e dai Nuclei dei Carabinieri incardinati negli uffici periferici del Ministero, in sinergia con gli organi ispettivi degli Enti Previdenziali e delle altre Amministrazioni.
Per questo sono state avviate, da tempo, una serie di azioni mirate alla crescita, in termini di professionalità, del personale già in forza presso le sedi del Ministero e ad un aumento dei contingenti di idoneo personale, per il rafforzamento e la valorizzazione dei servizi ispettivi. In tale ambito sono stati emanati bandi per 795 ispettori del lavoro e 75 ispettori tecnici destinati alle strutture territoriali (Direzione regionali e provinciali del lavoro), già conclusi, con l'immissione in servizio della totalità dei candidati vincitori, e anche degli idonei per i posti resisi disponibili per rinunce nel frattempo intervenute.
Nell'ambito della valorizzazione delle professionalità dell'area della vigilanza, sono stati portati a termine processi di riqualificazione per il personale per i profili di accertatore del lavoro, ispettore del lavoro, ispettore del lavoro coordinatore e ispettore tecnico coordinatore, anche questi da impegnare per potenziare la vigilanza.
Inoltre, la legge finanziaria 2007 al comma 544 dell'articolo 1 ha autorizzato il Ministero del lavoro e della previdenza sociale all'immissione in servizio fino a 300 unità di personale risultato idoneo al concorso per 795 ispettori e all'immissione nei ruoli di destinazione finale e al conseguente adeguamento delle competenze economiche, del personale in servizio risultato vincitore ovvero idoneo nei relativi percorsi di riqualificazione.
Entro il 2 luglio 2007, pertanto, saranno assunti n. 241 nuovi ispettori. Il Ministero del lavoro, quindi, avrà un organico complessivo di ispettori pari a 3130 unità, con un aumento del 55 per cento rispetto allo scorso anno. Da ultimo è importante ricordare che ci sarà, anche sulla base di quanto disposto dalla legge finanziaria, a partire dal 2 luglio 2007, un incremento dell'organico dei Carabinieri pari a n. 60 unità, che porterà il contingente a circa 500 unità, cui va aggiunto il personale ispettivo dell'Inps, dell'Inail e delle Regioni.
Difatti, le stesse, ai sensi della legge 833 del 1978 hanno la competenza primaria per il rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza dei lavoratori.
È intenzione del Ministero del Lavoro, inoltre, procedere all'assunzione degli altri idonei dei concorsi espletati.
Naturalmente si dovrà tener conto, per un verso, degli oneri finanziari che l'operazione comporta e, per l'altro, del limite di capienza della pianta organica del personale ispettivo, di cui è allo studio un eventuale ampliamento.
Tutto ciò premesso, in merito all'interrogazione in oggetto, la Direzione Provinciale del Lavoro di Novara ha comunicato quanto segue.
Nell'infortunio del 15 dicembre 2006 verificatosi in Oleggio, l'infortunato dopo la prognosi riservata, ha avuto esiti di inabilità temporanea.
Lo SPRESAL, Servizio dell'ASL 13 di Novara, in relazione ai compiti istituzionali, ha espletato nel corso dell'anno 2005 n. 6 inchieste per infortuni mortali e altrettante nel corso dell'anno 2006.
Si fa presente, poi, che nell'ambito dei rapporti sinergici esistenti con il Servizio dell'ASL 13, vi è uno scambio di comunicazioni che consentono alla suddetta Direzione provinciale di intervenire per verificare la regolarità dei rapporti di lavoro ed adottare gli eventuali provvedimenti di competenza.
In relazione invece all'attività di prevenzione corre l'obbligo informare che già dal 2005 è stato istituito in Prefettura un gruppo interforze coordinato dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Novara, di cui fanno parte lo SPRESAL, l'INPS, l'INAIL, Forze dell'Ordine che periodicamente interviene nei cantieri edili allo scopo di prevenire gli infortuni sul lavoro nel settore dell'edilizia.
Detta attività di prevenzione, che si aggiunge a quella di controllo istituzionale,
ha consentito non solo di incrementare il numero di aziende ispezionate, ma anche di sensibilizzare i datori di lavoro, gli operai dell'edilizia e tutti gli operatori del settore circa il rispetto delle leggi e delle normative che regolamentano la materia antinfortunistica.
Per quanto concerne, infine, l'organico si comunica che all'Ufficio di Novara sono stati già assegnati n. 4 ispettori dell'ultimo concorso e che, nel piano di assegnazione dei candidati idonei del concorso a 795 posti Ispettore del Lavoro, per il territorio novarese è prevista l'assunzione di n. 6 unità, che prenderanno servizio il prossimo mese di luglio.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e per la previdenza sociale: Antonio Michele Montagnino.
CARDANO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la «Proposta di legge di modifica e integrazione della Legge sulla giurisdizione e le sedi dei Tribunali» nella Repubblica di Croazia, prevede la chiusura del Tribunale di Rovigno, accorpandolo con quello di Parenzo (Il Piccolo del 25 aprile 2007);
questa decisione va a colpire il più antico Tribunale istriano (istituito nel 1811) abolendone l'autonomia; nel contempo lede profondamente i diritti della minoranza italiana autoctona dell'Istria, essendo l'unico tribunale, assieme a quello di Buie, in cui le cause vengono discusse, oltre che in croato, anche in italiano;
tutto ciò avviene - a giudizio dell'interrogante - in contrasto con quanto stabilito nel recente Trattato italo-croato del 1996 che prevede l'ampliamento dei diritti di tutela della minoranza italiana, già riconosciuti al territorio del buiese dal Memorandum del 1954, con l'estensione di tali diritti a tutto il «territorio d'insediamento storico» della comunità nazionale italiana in Istria, di cui fa parte la città di Rovino;
l'onorevole Furio Radin, parlamentare della minoranza italiana al Parlamento croato, Presidente dell'Unione Italiana, ha fermamente protestato contro tale proposta in quanto lesiva di un diritto acquisito dagli italiani, sulla base dell'accordo italo-croato sulle minoranze, visto l'importante ruolo del Tribunale di Rovigno nell'attuazione della legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali, della legge sull'uso delle lingue minoritarie in Croazia e dei documenti internazionali che garantiscono l'uso delle lingue minoritarie nel sistema giudiziario. In questo senso ha inoltre proposto un emendamento per salvaguardare l'autonomia di tale tribunale, in quanto il rispetto degli standard europei non può andare a scapito dei diritti delle minoranze (come risulta anche dalla Dichiarazione europea sulle lingue minoritarie);
anche la Giunta esecutiva dell'Unione Italiana e il Sindaco di Rovigno, Giovanni Sponza, hanno preso posizione contro la proposta governativa croata sostenendo la richiesta di autonomia;
come noto sono in corso con la Croazia i negoziati d'adesione per il suo ingresso nell'Unione Europea -:
se sia a conoscenza della suddetta situazione;
se intenda intervenire con determinazione per scongiurare la chiusura del tribunale di Rovigno e ribadire quanto stabilito nel trattato bilaterale già citato, ristabilendo per questa via i diritti della minoranza italiana in Istria.
(4-03599)
Risposta. - L'accorpamento dei tribunali di Parenzo e Rovigno (con perdita di autonomia di quest'ultimo che diverrebbe una sezione di quello di Parenzo), cui si riferisce l'interrogazione parlamentare in oggetto, rientra in un più ampio piano di riforma dell'apparato giudiziario nazionale mirante, nelle indicazioni del Governo croato, ad adeguarlo agli standards dell'Unione europea. Nel complesso è previsto
l'accorpamento di cinque tribunali (5) tra cui, in Istria, quelli sopraccitati di Parenzo e di Rovigno.
Nel caso, tuttavia, del tribunale comunale di Rovigno, come da Lei stesso indicato nell'atto parlamentare è il più antico dell'Istria e l'unico, insieme a quello di Buie, dove le cause vengono discusse anche in lingua italiana oltreché croata, l'accorpamento e la conseguente perdita di autonomia avrebbero per effetto una regressione dell'applicazione del bilinguismo con conseguenze negative per i diritti della minoranza italiana.
Quanto sopra è stato immediatamente rappresentato dagli esponenti della Minoranza italiana alle competenti Autorità croate, con la richiesta di rinunciare a tale progetto.
Il Parlamento croato, al fine di consentire una approfondita consultazione sulla questione tra le forze politiche, ha deciso di rinviare il dibattito. Al momento, la previsione più accreditata è che il voto in Parlamento possa slittare di qualche settimana, probabilmente fino alla fine di giugno, il tempo necessario per arrivare ad un compromesso. In tale contesto, l'efficace ed abile azione svolta dal Rappresentante della minoranza italiana al Sabor croato, l'onorevole Furio Radin, è stata determinante per salvare finora il tribunale comunale di Rovigno e tutelare i diritti della minoranza italiana.
In principio, il rischio dell'accorpamento del tribunale comunale di Rovigno con quello di Parenzo parrebbe scongiurato, anche se evidentemente solo il voto in aula potrà confermarlo definitivamente. Al momento si discute della possibilità (alternativa) di sopprimere un altro Tribunale (quello di Pinguente); larga parte delle forze politiche istriane si sta tuttavia mobilitando nel tentativo di evitare che l'Istria paghi un prezzo sull'altare della riforma del sistema giudiziario e le trattative si stanno protraendo. Anche perché il Governo rischia di trovarsi in difficoltà al momento della votazione: senza il sostegno dei rappresentanti delle minoranze e di tutte le forze politiche istriane non avrebbe infatti, quasi certamente, i voti necessari a far passare la riforma.
L'auspicio dei Rappresentanti della Minoranza italiana, che hanno valutato positivamente tale rinvio, è che nelle prossime settimane si rinunci definitivamente al prospettato accorpamento ed alla conseguente perdita di autonomia del Tribunale comunale di Rovigno.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Famiano Crucianelli.
CARUSO, DURANTI, KHALIL RASHID, FORGIONE e LOCATELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la parlamentare Leyla Ali Mohammed Khaled, membro del Consiglio Nazionale Palestinese, doveva recarsi in Italia nel mese di novembre per un ciclo di incontri e conferenze da tenere nell'ambito dei rapporti di amicizia tra il popolo italiano e quello palestinese, le cui date erano già state fissate da tempo;
in data 8 novembre 2006 la signora Khaled presentava presso l'ambasciata italiana ad Amman domanda per il rilascio del visto di ingresso nel nostro paese, confidando che esso potesse essere rilasciato in tempo utile per partecipare al primo incontro, programmato per il 15 novembre; i funzionari dell'ambasciata, tuttavia, le comunicavano che questo non sarebbe stato pronto prima del 20 novembre;
l' ambasciata italiana ad Amman, con e-mail inoltrata in data 13 novembre 2006 in risposta a una richiesta di chiarimenti del Senatore Mauro Bulgarelli, ribadiva tale Circostanza, affermando che «In riferimento alla Sua richiesta concernente il visto alla signora Leyla Ali Mohammed Khaled, informo che la predetta ha presentato domanda di visto presso la Cancelleria consolare di questa Ambasciata il giorno 8 novembre. (...) La nostra Cancelleria consolare ha già provveduto ad espletare la sua parte della pratica. Essendo
però la procedura di concessione del visto accentrata su Bruxelles, questa Ambasciata non ha la possibilità di interferire con i tempi di concessione dello stesso. Come già anticipato alla diretta interessata dal Capo della Cancelleria consolare, il visto dovrebbe essere emesso, se nulla osta in ambito Schengen, nei tempi minimi consentiti, il 19-20 novembre»;
in data 16 novembre, tuttavia, la signora Khaled, recatasi presso l'ambasciata di Amman, veniva informata che il visto non le era stato concesso, senza che le fossero date ulteriori informazioni circa i motivi del divieto -:
se non ritenga ingiustificabile che non sia stato concesso il visto affinché la deputata palestinese potesse partecipare alle iniziative collegate al suo mandato parlamentare.
(4-01703)
Risposta. - Devo premettere che il rilascio del visto d'ingresso in area Schengen a favore di cittadini palestinesi è sottoposto alla preventiva autorizzazione, non solo delle Autorità di Sicurezza dell'Italia, ma anche di quelle degli altri Paesi partners. Questa procedura richiede in genere tempi di attesa fino a 14 giorni.
In data 8 novembre 2006 l'Ambasciata d'Italia ad Amman accoglieva la richiesta di visto d'ingresso presentata dalla parlamentare palestinese, signora Leyla Mohammad Khaled, avviando tempestivamente le previste procedure di autorizzazione. In data 16 novembre la Sede interessata veniva però informata che uno dei Paesi Partners aveva espresso parere negativo all'ingresso della suddetta parlamentare in area Schengen. La nostra Ambasciata ad Amman ha dunque dovuto negarle il visto d'ingresso, sulla base della normativa, comunitaria e nazionale, che disciplina il diniego del visto nel caso in questione.
Il visto è stato infatti negato sulla base del combinato disposto degli articoli 15 e 5, comma 1, lettera e), della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 19 giugno 1990 - ratificata e resa esecutiva dalla legge 388 del 1993, come modificata dal decreto-legge n. 196 del 30 giugno 2003 - che stabilisce che l'ingresso sul territorio di una parte contraente può essere concesso allo straniero che soddisfi determinate condizioni, tra cui quella di «non essere pericoloso ai fini dell'ordine pubblico, per la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti».
Nella fattispecie, il nominativo dell'interessata risulta segnalato, da uno dei Paesi contraenti, tra i soggetti che non possono fare ingresso nell'area Schengen, in quanto «soggetto pericoloso ai fini dell'ordine pubblico, per la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali dello Stato segnalante».
Per quanto riguarda invece le procedure di rifiuto, esse sono disciplinate dalla legislazione nazionale delle Parti contraenti.
La legislazione italiana in materia riguarda l'articolo 4, comma 2 del testo unificato del decreto legislativo 86 del 1998, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, e l'articolo 6-bis del decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334, che non prevedono un obbligo di motivazione per il visto in parola (per missione), ma solo per le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22 (lavoro subordinato), 24 (lavoro stagionale), 26 (lavoro autonomo), 27 (lavori in casi particolari), 28 e 29 (ricongiungimento familiare), 36 (ingresso e soggiorno per cure mediche), 39 (accesso ai corsi universitari), del decreto legislativo n. 286 del 1998.
Inoltre, il Decreto del ministero degli esteri n. 604 del 1994 (Regolamento recante norme per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di acceso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'articolo 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241) indica fra i documenti sottratti al diritto di accesso anche quelli concernenti autorizzazione o diniego di visti nell'ambito e nei limiti in cui contengano informazioni connesse alla sicurezza, alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla correttezza delle relazioni internazionali.
Alla luce di quanto sopra, gli interessati hanno il diritto e possono impugnare il provvedimento di diniego del visto davanti
al T.A.R. del Lazio, entro 60 giorni dalla notifica del diniego stesso.
Il Viceministro degli affari esteri: Ugo Intini.
CIOCCHETTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
Radioincontro Srl, giornale radiofonico quotidiano di informazione, come tale iscritta al registro della stampa presso il tribunale di Roma, è concessionaria per la radiodiffusione commerciale locale ai sensi degli articoli 16 e 32 della legge n. 223 del 1990, in virtù di atto di concessione assentito dal Ministero delle comunicazioni (all'epoca delle poste e telecomunicazioni) con decreto 28 febbraio 1994;
con lo stesso atto è stato altresì autorizzato l'impianto principale di trasmissione in località Monte Cavo Vetta con 15.000 W;
l'impianto in questione è in attività in detta località a partire dal 1980, senza soluzione di continuità, con caratteristiche tecniche immutate e con un traliccio metallico di altezza pari a m. 30 circa;
l'area in questione, seppur sita nel comune di Rocca di Papa in area dichiarata di notevole interesse pubblico dal decreto ministeriale 24 aprile 1954, da oltre un ventennio è occupata dai tralicci di numerose e note emittenti radiotelevisive;
in data 28 dicembre 1999, a seguito del verificarsi di eccezionali fenomeni atmosferici, il traliccio di proprietà della società esponente è stato abbattuto dalla caduta, sul medesimo, dei tralicci delle altre emittenti site in loco. Per poter riprendere la propria attività, Radioincontro Srl ha chiesto ed ottenuto, previo rilascio del parere positivo di tutti gli enti competenti, l'autorizzazione regionale paesaggistica, con determinazione n. B2904 del 19 luglio 2005, al ripristino del traliccio adibito ad antenna per l'emissione del proprio segnale radiofonico, sito nella predetta località Monte Cavo Vetta;
mentre i tralicci delle altre emittenti sono stati poi tutti autorizzati e/o ripristinati, solo a Radioincontro Srl non è stato concesso di fare altrettanto: infatti, il Ministero per i beni e le attività culturali, dapprima con decreto 21 settembre 2005, ha annullato la predetta determinazione regionale B2904 del 19 luglio 2005 e, poi, con decreto notificato all'inizio di quest'anno, ha annullato anche una successiva determinazione regionale recante un'ulteriore autorizzazione paesaggistica in favore di Radioincontro;
ad oggi, pertanto, Radioincontro è costretta ad utilizzare «in appoggio», con le innumerevoli ed intuibili difficoltà di condivisione del medesimo traliccio, il traliccio di altra emittente sita in loco. Accordo destinato a sciogliersi nell'immediato prossimo futuro, poiché l'emittente ospitante ha di recente manifestato a Radioincontro l'indisponibilità al protrarsi della condivisione di un unico traliccio, in quanto divenuta di ostacolo alla piena trasmissione e diffusione dei rispettivi segnali;
ad avviso dell'interrogante occorre considerare il fatto che l'intervento di cui viene chiesta l'autorizzazione è limitato al ripristino del traliccio preesistente in loco sin dagli anni '80 e divelto nel 1999 per cause naturali e che il ripristino di tale traliccio non arrecherebbe significative e ulteriori modificazioni all'attuale contesto ambientale, che allo stato si connota per la presenza anche di altri tralicci delle altre emittenti radiofoniche e televisive a diffusione locale e nazionale -:
se siano a conoscenza della situazione predetta, e, nel caso, se intendano attivare una verifica delle ragioni che hanno spinto il Ministero per i beni e le attività culturali ad annullare le determinazioni prese dalla regione, la quale, invece, aveva assentito il ripristino del traliccio;
se, infine, una volta appurata l'evidenza dei fatti, non ritengano opportuno intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, per ripristinare ex ante la possibilità di trasmissione del segnale di Radioincontro.
(4-02392)
Risposta. - Il territorio di Rocca di Papa - località Monte Cavo - già sottoposto a vincolo con decreto ministeriale 24 aprile 1954 in quanto l'insieme del territorio, oltre a costituire un quadro naturale di singolare bellezza, è ricco di numerosi punti di vista dai quali si possono godere svariate e suggestive vedute panoramiche, è oggi tutelato ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 2004, come area di notevole interesse pubblico e, pertanto, è oggetto delle disposizioni del titolo I della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L'area è anche oggetto delle disposizioni del Piano territoriale paesaggistico n. 9 che qualifica la zona come zona 8 - Boscata non compromessa - in cui è ammesso solo il recupero degli edifici esistenti, la realizzazione di piccoli ricoveri e abbeveratoi per gli animali allo stato brado.
Il Piano Regolatore Generale adottato dal comune di Rocca di Papa destina la zona a V2 - area verde con vincolo di inedificabilità.
Alla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Lazio risulta che l'antenna della quale si chiede il ripristino è stata installata nel 1980 in assenza di concessione edilizia e nulla-osta paesaggistico.
L'autorizzazione del 21 luglio 2005 con la quale la Regione assentiva il ripristino dell'antenna di Radioincontro veniva annullata dalla Soprintendenza con decreto del 21 settembre 2005 e avverso tale provvedimento la Società Radio Incontro proponeva ricorso al T.A.R. del Lazio. Con Ordinanza n. 896 del 2006, il Giudice Regionale respingeva la richiesta di sospensiva, condividendo le motivazione che avevano portato la Soprintendenza ad annullare il provvedimento regionale.
La Regione, tuttavia, con Determinazione del 19 settembre 2006 autorizzava nuovamente il ripristino di un traliccio adibito ad antenna alto oltre 30 metri, ritenendo l'opera non pregiudizievole per la tutela del contesto ambientale a condizione che fossero impiantati tre alberi d'alto fusto di altezza 4,50 metri a schermatura del traliccio.
Considerati i vincoli esistenti sulla zona in questione, il carattere dell'opera da ripristinare non conforme ai Piani territoriali paesaggistici, l'inefficacia delle prescrizioni contenute nell'ultima Determinazione regionale, la Soprintendenza ha ritenuto illegittimo anche l'ultimo provvedimento rilasciato dalla Regione Lazio in merito, annullandolo con decreto del 24 ottobre 2006.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
CIOCCHETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
si è ipotizzata la chiusura del presidio ospedaliero Carlo Forlanini di Roma, realtà sanitaria che esiste dal 1934, importante nosocomio di livello nazionale per la chirurgia toracica e cura delle patologie polmonari, istituto di ricovero e di cura a carattere scientifico, per riconvertirla successivamente nella sede degli uffici del Consiglio Regionale del Lazio;
ciò rappresenta un ulteriore tassello di quella politica di rientro del deficit sanitario regionale, che ha per oggetto la riorganizzazione della rete ospedaliera, contraddistinguendosi, secondo l'interrogante invece che con un miglioramento qualitativo del settore, con reiterate mosse che colpiscono in primis il cittadino utente di tali strutture, leso nel primario diritto alla tutela della propria salute, privato di riferimenti sanitari importanti sia a livello cittadino sia a livello nazionale;
tutto ciò è un ulteriore passo di una politica sanitaria che assiste al taglio dei posti letto, alla chiusura di reparti in altri importanti ospedali della città, all'introduzione del ticket sanitario;
sembra inoltre abbastanza paradossale, in una città fortemente colpita dal problema del traffico e dei trasferimenti quotidiani dei lavoratori, ubicare in una zona centrale, senza nessuna logica urbanistica, uffici che comunque dovrebbero interessare tutta la Regione, non vicini alla sede della Giunta -:
quale sia la sua posizione e se intenda, nel rispetto dell'autonomia regionale, intervenire in qualche modo per evitare che si dia atto all'opera di smantellamento di tale presidio ospedaliero.
(4-03428)
Risposta. - Nel merito di quanto segnalato nell'interrogazione parlamentare si precisa che in data 28 febbraio 2007 è stato siglato tra il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione Lazio, l'Accordo relativo al Piano di rientro per il contenimento della spesa sanitaria, ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), con l'obiettivo del perseguimento dell'equilibrio economico regionale, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
Nell'ambito degli strumenti necessari al contenimento della spesa sanitaria, è ricompreso l'allineamento del numero dei posti letto agli standard nazionali, secondo le seguenti modalità:
a) riconversione/chiusura di ospedali per acuti e cliniche di piccole dimensioni con bassi volumi di attività, o a prevalente attività riabilitativa, in poliambulatori, Residenze sanitarie assistenziali (RSA), presidi territoriali di prossimità o hospice, per il raggiungimento dello standard di 3,5 posti letto per mille abitanti;
b) riconversione/chiusura di reparti per lungodegenza e riabilitazione per il raggiungimento dello standard di 1 posto letto per mille abitanti.
Nel ricordare che secondo quanto previsto dal vigente quadro normativo, anche di livello costituzionale, la gestione e l'organizzazione della rete ospedaliera rientrano nella piena autonomia regionale, si riportano le precisazioni fornite in merito dall'Assessore alla Sanità.
Dopo aver sottolineato che l'allocazione degli ospedali romani non è adeguata alla attuale espansione urbanistica e che sono necessari nuovi ospedali nelle aree densamente popolate, con la riduzione, ove possibile, degli ospedali esistenti, l'Assessore ha precisato che l'articolo 26 della legge regionale 28 dicembre 2006, n. 27, prevede che, al fine di razionalizzare e valorizzare il patrimonio regionale esistente, il Consiglio regionale, su proposta della Giunta, debba approvare un piano di riorganizzazione del patrimonio adibito a sede istituzionale.
Relativamente all'Ospedale Forlanini, tale piano dovrà contenere uno studio di fattibilità, per verificare la «possibilità di valorizzare l'Ospedale Forlanini come sede delle strutture istituzionali e del Consiglio regionale del Lazio».
Lo stesso articolo dispone lo stanziamento di 20 milioni di euro «per opere di ristrutturazione finalizzate al trasferimento presso l'Ospedale San Camillo delle strutture operanti nel presidio Forlanini».
I servizi attualmente svolti presso l'Ospedale Forlanini, facenti parte dei due dipartimenti «Malattie polmonari» e «Neuroscienze», verranno interamente trasferiti presso l'Ospedale San Camillo, all'interno dei padiglioni «Lancisi» e «Nuovo Traumatologico».
Tale trasferimento, che si potrà concretizzare entro l'anno 2008 al termine dei processi di ristrutturazione e ammodernamento in corso presso la struttura ospedaliera San Camillo, non comporterà alcuna riduzione di attività assistenziale ai cittadini e vedrà garantita la salvaguardia del patrimonio professionale ed umano del Forlanini.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
CIRIELLI. - Al Ministro delle infrastrutture, al Ministro dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da quanto si evince dalla petizione popolare indirizzata al Sindaco del Comune
di Contursi Terme, in provincia di Salerno, pubblicata sul sito internet www.portellacontursit.it, sembrerebbe che: «...da ormai molti anni l'uscita della SS 91 Fondovalle Sele per Contursi terme Ovest, collegamento diretto per la zona termale fredda e sorgenti minerali, nonché arteria di collegamento con le località Saginara, Fosso del palazzo e Lauri, è chiusa a causa di una frana nella rampa di uscita-entrata...»;
nel testo della predetta petizione popolare si afferma quanto segue: «...i cittadini, e soprattutto le attività delle zone sopraccitate, risentono in modo pesante di tale disservizio che sta causando, ormai da anni, una serie di problemi in primis quelli di sicurezza ed economia. Infatti, gli automobilisti, per poter raggiungere le citate località, sono costretti a fare lunghi percorsi alternativi o manovre azzardate, vista l'inadeguata segnaletica che è stata approntata per arginare il problema, tali da mettere in serio pericolo la propria incolumità...»;
tale disservizio pare si stia riflettendo in maniera negativa sull'economia del luogo e sembrerebbe che alcune attività siano state costrette a chiudere -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se corrispondenti al vero, quali iniziative di propria competenza intenda adottare con particolare riferimento alla possibilità di poter ripristinare il percorso interrotto dalla frana e, in alternativa ed in attesa del ripristino del normale percorso, di poter allestire percorsi più adeguati e forniti della più opportuna segnaletica, soprattutto per coloro che uscendo dalla Salerno-Reggio Calabria vogliono raggiungere le località interessate dal disservizio.
(4-02644)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il tratto di statale 691 «Fondo Valle Sele», costruito negli anni '80 nell'ambito del programma degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, è stato successivamente consegnato alla società ANAS solo in via transitoria e limitatamente alla sola gestione del traffico. Unico responsabile del mantenimento dell'infrastruttura è il consorzio CO.IN.FRA - Consorzio infrastrutture aree sviluppo industriale di Avellino.
Attualmente la situazione si presenta complessa in quanto le funzioni e le competenze sono ripartite tra vari soggetti ed enti. È stato nominato un Commissario ad acta per dirimere i contenziosi pendenti, mentre il mantenimento delle opere è a carico del soggetto realizzatore delle medesime.
Per quanto riguarda i tempi previsti per il trasferimento definitivo del tratto di strada è necessario attendere il collaudo delle opere che, ad oggi, non è ancora concluso. Il trasferimento definitivo consentirà ad ANAS di inserire nei propri programmi gli interventi necessari al ripristino della strada attualmente interdetta al traffico.
Con l'occasione la società stradale informa che nelle immediate vicinanze del tratto in questione insiste altro svincolo per Contursi, denominato «Zona industriale», dal quale si può accedere alla viabilità collegata allo svincolo chiuso.
L'Ufficio periferico di ANAS competente ha già dato assicurazione per l'adozione di ogni iniziativa utile per il potenziamento, in loco, della segnaletica di indicazione.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
COMPAGNON. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la città di Trieste, con il suo territorio, si sta rivelando sempre più zona «sensibile» alle problematiche concernenti l'ordine pubblico e la criminalità;
questo è dovuto anche alla posizione geografica di Trieste e della sua provincia, zona di frontiera tra l'Europa occidentale ed i Paesi dell'Est europeo, nei quali, spesso, si nascondono e si espandono numerose organizzazioni criminali, anche di tipo terrorista e fondamentalista;
della casa circondariale di Trieste, infatti, la popolazione detenuta è principalmente straniera, soprattutto dell'est europeo o di etnia rom;
certo è che il carcere di Trieste è il più affollato della regione ed è anche l'unico con una sezione femminile, in seguito alla chiusura della sezione di Tolmezzo (per fare spazio all'Alta sicurezza) e alla ristrutturazione di quella di Udine. Per questi motivi dal febbraio 2003 le detenute sono state trasferite a Trieste;
particolarmente significativo è il paradosso della crescita esponenziale dei detenuti per un verso e della riduzione di personale di polizia penitenziaria dall'altro;
la situazione gestionale della casa circondariale di Trieste da parte degli agenti di Polizia penitenziaria permane in un stato di grande precarietà, posta la fatiscenza delle strutture, e la suddetta grave carenza d'organico, con agenti costretti a estenuanti turni di lavoro per garantire uno standard minimo di sicurezza durante tutto l'arco della giornata;
la legge finanziaria 2007, al comma 525, dell'articolo 1, prevede l'assunzione a domanda di agenti ausiliari del Corpo di polizia penitenziaria reclutati ai sensi dell'articolo 61 della legge n. 356 del 2000 e dell'articolo 501 della legge n. 388 del 2000, anche se cessati dal servizio nel limite di spesa di 15 milioni di euro -:
se il Governo intenda applicare la normativa suddetta al fine di coprire il fabbisogno di personale della Casa Circondariale di Trieste.
(4-02443)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si comunica che la casa circondariale di Trieste ha una capienza di 197 posti e, a seguito dell'indulto, i detenuti presenti sono scesi a 107, con una notevole diminuzione dei carichi di lavoro del personale.
I turni sono predisposti nel rispetto delle regole e dei limiti concordati a livello nazionale. Gran parte del personale impiegato nel servizio a turno svolge orari che si sviluppano, di regola, entro le sei ore giornaliere, con l'eccezione di alcuni servizi particolari (sala regia e portineria centrale).
In relazione alla lamentata carenza di personale, si comunica che i provvedimenti di distacco in sedi regionali ed extra-regionali adottati dal competente ufficio, alla data odierna, sono 12, tutti legati a legittime esigenze di carattere familiare, di servizio e di mandato elettorale.
L'articolo 1, comma 525, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria per l'anno 2007) ha autorizzato l'Amministrazione penitenziaria all'assunzione, per l'anno 2007, nel ruolo degli Agenti ed Assistenti del Corpo di Polizia penitenziaria degli ex Agenti Ausiliari di leva del Corpo stesso (reclutati ai sensi dell'articolo 6 della legge 30 novembre 2002, n. 356 e dell'articolo 50, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388), nel limite di 500 unità e, comunque, entro il limite di spesa annua pari a 15 milioni di euro.
Con decreto ministeriale del 12 febbraio 2007 sono stati individuati i requisiti e le modalità per le suddette assunzioni e per la definizione dei criteri per la formazione della graduatoria e delle modalità abbreviate del corso di formazione.
Nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 30 marzo 2007 - IV Serie Speciale «Concorsi ed Esami» - è stato pubblicato il bando di concorso, per titoli, per l'assunzione di 494 unità di Agenti ed Assistenti, riservato agli ausiliari di leva arruolati nel Corpo di Polizia penitenziaria.
All'esito di tale procedura potrà essere adottata ogni utile soluzione per far fronte alle situazioni di maggiore disagio, attraverso un'attenta disamina comparata.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
COMPAGNON. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'attività del tribunale di Pordenone è oramai vicina al collasso: carenza di risorse umane e finanziarie contraddistinguono l'attività, mentre crescono i carichi di lavoro;
su sessantacinque addetti previsti in organico - tra Pordenone e la sede distaccata di San Vito al Tagliamento - ne mancano di fatto una quindicina, considerati anche gli impiegati destinati agli uffici del distretto;
il personale è spesso costretto a lavorare il doppio, visto che deve svolgere anche il compito del collega andato in pensione e mai rimpiazzato;
minori risorse significano ovviamente tempi più lunghi per la macchina giudiziaria e ciò comporta inevitabilmente ritardi per i cittadini con processi più lunghi;
meno soldi, vuol dire anche l'impossibilità di acquistare i libri per l'aggiornamento che poi finiscono nella biblioteca del Tribunale, o la necessità di tagliare gli abbonamenti alle riviste del settore; problematiche alle quali spesso ovviano gli stessi magistrati acquistando di tasca propria libri e riviste;
si ricorda, inoltre che il Tribunale non è solo «processi», ma anche: liste elettorali, referendum, contabilità, successioni, registri imprese, ammortamenti di libretti bancari; un lungo elenco di compiti che devono essere svolti, diligentemente, da un organico già ridotto «all'osso»;
a questo punto il tribunale teme di non poter garantire l'esercizio della giustizia, né l'espletamento delle pratiche di cancelleria -:
se il Governo intenda provvedere a sanare la grave situazione creatasi al fine di consentire il normale svolgimento del lavoro del Tribunale di Pordenone al servizio della cittadinanza.
(4-02795)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si fa presente che il Tribunale di Pordenone, su un organico di 57 unità (a seguito della riduzione attuata con decreto ministeriale 8 marzo 2007, in esecuzione di quanto disposto dal comma 93 della legge 30 dicembre 2004, n. 311), ha 54 unità in servizio, comprese 2 unità a tempo determinato (ex L.S.U.), 1 centralinista non vedente e 3 unità in soprannumero (1 cancelliere C1 ed 1 operatore giudiziario B1 - eccedenze determinatisi a seguito della riduzione dell'organico sopra citata - e 1 ausiliario A1).
Il locale Ufficio NEP, il cui organico è di 17 unità (dopo la riduzione di 1 unità di operatore giudiziario B2 disposta con il citato decreto ministeriale 8 marzo 2007), presenta 15 unità in servizio con un operatore giudiziario B2 in soprannumero.
La Procura della Repubblica di Pordenone ha una dotazione organica di 31 unità e ne risultano presenti 32, tenuto conto di 5 unità in soprannumero (1 cancelliere B3, 1 operatore giudiziario B2, 2 operatori giudiziari B1 e 1 ausiliario A1).
Presso l'Ufficio del giudice di Pace, la cui pianta organica è di 6 unità, sono presenti ben 10 risorse umane, compresi 1 ausiliario A1 in soprannumero e 4 dipendenti comunali (3 della posizione economica B2 e 1 della posizione economica B3), comandati ai sensi dell'articolo 26, comma 4, della legge 468 del 1999.
In relazione agli altri uffici del circondario, si rileva che la sezione distaccata di San Vito al Tagliamento - che ha un organico di 5 unità - non presenta alcuna vacanza; il relativo Ufficio NEP, il cui organico è di 4 unità, presenta una sola vacanza nella figura dell'ufficiale giudiziario C2, istituita in funzione delle procedure di riqualificazione e per la quale non esiste ancora personale in servizio, mentre l'ufficio del Giudice di Pace, su 4 posti previsti, vanta 5 presenze, compresi 1 operatore giudiziario B1 in soprannumero ed 1 dipendente comunale comandato ai sensi della citata legge n. 468 del 1999.
Infine, l'Ufficio del Giudice di Pace di Spilimbergo (organico di 3 unità) è interamente coperto, mentre nell'analogo ufficio di Maniago (organico di 4 unità) sono vacanti i posti di cancelliere C2 e B3 ma è presente una unità in comando ai sensi della legge n. 468 del 1999.
Dall'esame della situazione sopra delineata si rileva che le uniche vacanze di rilievo sono rinvenibili nelle posizioni apicali dell'area C e sono concentrate quasi esclusivamente nel Tribunale e nella Procura della Repubblica di Pordenone.
Peraltro, i posti vacanti di operatore giudiziario B3 (3 nel Tribunale ed 1 nella Procura), che incidono sensibilmente sulle vacanze complessive degli uffici, potranno essere coperti solo all'esito delle procedure di riqualificazione, poiché relativi ad una figura introdotta ex novo con il decreto ministeriale 6 aprile 2001, che ha rideterminato le dotazioni organiche dell'amministrazione giudiziaria conformemente al nuovo ordinamento professionale delineato dal contratto collettivo integrativo, sottoscritto il 5 aprile 2000.
Analogamente non è possibile coprire, allo stato, i 2 posti di ufficiale giudiziario C2 vacanti nell'Ufficio NEP di Pordenone e quello nell'Ufficio NEP di San Vito al Tagliamento (unico posto vacante in tale ufficio, come già rilevato).
Si fa presente che questa Amministrazione, nei ristretti limiti di operabilità consentiti dalle vigenti normative in materia (si richiamano, in particolare, le perduranti limitazioni all'assunzione di personale nella Pubblica amministrazione) ha messo in atto ogni intervento consentito per garantire la necessaria funzionalità del servizio Giustizia, prestando particolare attenzione proprio agli uffici dell'Italia settentrionale, dove le carenze degli organici apparivano particolarmente rilevanti.
Nello specifico, in occasione dell'assunzione dei vincitori ed idonei del concorso a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 bandito nel 2002, è stato coperto l'unico posto di tale figura professionale nell'Ufficio NEP di San Vito al Tagliamento. Inoltre prima delle citate assunzioni si è proceduto alla pubblicazione di un interpello per il trasferimento del personale in servizio, ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 28 luglio 1998. All'esito di tale procedura è stato coperto, mediante trasferimento a domanda, un posto di ufficiale giudiziario C1 nell'Ufficio NEP di Pordenone.
Anche in occasione dell'assunzione di 99 cancellieri C1, di cui all'autorizzazione per l'anno 2006, è stato pubblicato un interpello per la copertura, tra l'altro, dell'unico posto vacante di cancelliere C1 negli uffici in esame (presso la Procura della Repubblica di Pordenone). Tale posto sarà coperto con il trasferimento di un dipendente che si è collocato in posizione utile.
Giova evidenziare, poi, che è stato possibile coprire integralmente l'organico della Sezione Distaccata di San Vito al Tagliamento grazie al trasferimento d'ufficio (ai sensi dell'articolo 14 del citato accordo del 28 luglio 1998) di 1 operatore giudiziario B2 e di 1 cancelliere C1, nonché al passaggio, per mobilità volontaria, di 1 unità della posizione economica C2 proveniente da altra amministrazione.
L'Amministrazione è ricorsa alle procedure di mobilità di personale di altre amministrazioni o enti anche per la copertura di 1 posto di operatore giudiziario 132 nell'Ufficio NEP di Pordenone e 2 posti della medesima figura professionale nella locale Procura della Repubblica.
In relazione alla possibilità di coprire i posti vacanti con il ricorso alla mobilità volontaria, con particolare riferimento al Tribunale di Pordenone, si fa presente che tale tipo di procedura è stata sollecitata dai vertici dell'Ufficio anche se il personale amministrativo di ruolo ne ha apertamente osteggiato l'uso.
Tenuto conto delle posizioni espresse dalle parti interessate, questa Amministrazione ha ritenuto opportuno attivare la procedura per il passaggio, per mobilità volontaria, di una dipendente comunale per la copertura di un posto di cancelliere C2 (allo stato le vacanze sono 4 rispetto ad una pianta organica di 6), in considerazione del fatto che l'interessata aveva iniziato, presso il Tribunale di Pordenone, un tirocinio pratico di formazione rivolto ai laureandi in giurisprudenza e salvo verifica che sia in possesso del titolo di studio specifico.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
COSTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la situazione presso l'Ufficio del Giudice di Pace di Cuneo è ormai insostenibile;
nel penale lo scarico udienze è fermo al 27 ottobre 2006; le sentenze da pubblicare sono ferme al 15 settembre 2006; vi sono 120 richieste del Pm di archiviazione e 160 di fissazione udienza da evadere; «da valutare» il numero delle dichiarazioni di irrevocabilità; il Re.ge va aggiornato;
l'arretrato attualmente deve essere smaltito da un solo cancelliere in organico a cui si affiancano due altre figure distaccate sporadicamente da altri uffici;
a ciò si aggiunga che, nel civile, vi sono 224 decreti di fissazione udienza da notificare; 45 D.I. da pubblicare; 230 formule esecutive da apporre a D.I.; 328 sentenze da pubblicare di cui 215 in opposizione a sanzione amministrativa;
tale cospicuo arretrato, affrontabile solo con un potenziamento del personale amministrativo, si riverbera inevitabilmente sulla qualità delle udienze penali, in cui si chiamano anche 40 processi ad udienza, imponendo insostenibili «maratone» processuali dalle 9 del mattino alle 15, senza interruzioni, per giudicante, parti e testimoni;
il servizio offerto al cittadino - nonostante la buona volontà dei 4 magistrati onorari che svolgono funzioni penali nell'ufficio e del relativo personale amministrativo addetto - scade inevitabilmente di qualità, con pesanti disagi e tempi ormai dilatati -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
se non ritenga, svolti gli opportuni accertamenti, di valutare un potenziamento dell'organico amministrativo dell'Ufficio.
(4-02416)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si fa presente che l'ufficio del Giudice di Pace di Cuneo ha una dotazione organica di 6 posti, mentre risultano presenti solo 3 unità di personale, ed ha, pertanto, una percentuale di scopertura del 50 per cento.
In merito alla copertura dei posti vacanti, va sottolineato che le perduranti limitazioni all'assunzione di personale previste dalle ultime normative hanno consentito di procedere al reclutamento di nuove risorse umane in misura molto limitata.
È, tuttavia, opportuno segnalare la recente evoluzione determinante l'attuale assetto delle dotazioni organiche complessive.
Infatti, per effetto di successivi decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal mese di ottobre del 2000 la dotazione organica del personale amministrativo è stata ridotta di complessive 701 unità, al fine di realizzare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, un assetto organico corrispondente al nuovo ordinamento professionale delineato dal contratto collettivo integrativo, sottoscritto in data 5 aprile 2000, nonché per consentire l'istituzione del ruolo autonomo del Consiglio Superiore della Magistratura. I nuovi contingenti complessivi sono stati, quindi, ripartiti tra gli uffici con decreti ministeriali, determinando, nella generalità dei casi, una riduzione delle relative piante organiche.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 ottobre 2005 le dotazioni organiche nazionali dell'Amministrazione giudiziaria sono state ulteriormente rideterminate in ottemperanza all'articolo 1, comma 93, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria), apportando una riduzione ai contingenti complessivi del personale dirigenziale di seconda fascia e del personale amministrativo ed UNEP pari a 2.495 unità.
In linea tendenziale, con il recente provvedimento attuativo (decreto ministeriale 8 marzo 2007) si è proceduto a decurtare le risorse destinate a ciascuna struttura in misura proporzionale alla riduzione dei contingenti complessivi. La pianta organica dell'ufficio giudiziario in questione non è stata, quindi, destinataria di modifiche riduttive in considerazione dell'esiguità della stessa.
È opportuno precisare, comunque, che nel prendere atto delle difficoltà operative evidenziate dall'interrogante e nell'impossibilità di coprire le attuali vacanze con procedure concorsuali, è stata attivata la
procedura per il comando nell'ufficio in oggetto di una unità della posizione economica C2, proveniente dall'Ufficio centrale degli archivi notarili.
Per quanto riguarda, invece, le novità introdotte con l'accordo sulla mobilità interna, sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 27 marzo 2007, si evidenzia che questa Amministrazione sta programmando i bandi per la pubblicazione dei posti vacanti da coprire mediante il trasferimento del personale interessato.
Si fa presente, inoltre, che per le esigenze dell'ufficio del Giudice di Pace di Cuneo, il Presidente del Tribunale in sede può attivare il comando di dipendenti comunali, ai sensi dell'articolo 26, comma 4, della legge 468 del 1999 e, per assicurare la funzionalità dell'ufficio, il Presidente della Corte d'Appello di Torino, ove lo ritenga opportuno, può disporre l'applicazione temporanea di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 14 dell'accordo 27 marzo 2007 già menzionato.
Si comunica, infine, che lo stesso Presidente, per fronteggiare, almeno temporaneamente, le esigenze degli uffici giudicanti del distretto, ove la carenza di personale determina le maggiori difficoltà operative, è stato autorizzato, per l'anno in corso, ad assumere 44 operatori giudiziari B1, a tempo determinato, ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
COSTA. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
la pratica di compravendita degli edifici del vecchio ospedale di Mondovì (Cuneo), tra l'ASL 16 del Piemonte e l'INAIL, finalizzata anche a completare il quadro finanziario per la costruzione del nuovo ospedale di Mondovì è iniziata, a seguito del decreto dell'allora ministro della sanità Umberto Veronesi, in data 18 aprile 2001;
da quel momento, l'ASL 16 del Piemonte ha sempre prodotto tutti i documenti richiesti, mentre le ripetute ispezioni in loco da parte dei funzionari INAIL hanno regolarmente avuto esito positivo;
il consiglio di amministrazione dell'INAIL, in data 22 dicembre 2005, ha autorizzato, con delibera n. 686, il completamento della pratica;
la costruzione del nuovo ospedale di Mondovì (realizzato in tempi molto rapidi ed a costi particolarmente contenuti) è nel frattempo giunta a virtuale conclusione, fatto che rende oggi assolutamente improcrastinabile il suddetto completamento del quadro finanziario -:
quali iniziative intendano assumere i ministri interrogati affinché un gigantesco intoppo burocratico non finisca col danneggiare gravemente la realizzazione di questo nuovo, importante nosocomio.
(4-02422)
Risposta. - Si riportano, in sintesi, alcune «tappe» della problematica segnalata nell'atto parlamentare.
Il decreto ministeriale 18 aprile 2001 aveva individuato quale intervento da realizzare a cura e carico dell'INAIL, tra gli altri, l'acquisto degli edifici del vecchio ospedale di Mondovì (Cuneo), allo scopo di rendere possibile, da parte della ASL n. 16 «Mondovì-Ceva», l'utilizzazione del ricavato della compravendita per il completamento dei lavori relativi alla costruzione del nuovo Ospedale.
Nel marzo 2002 l'Inail provvedeva ad inviare alla Asl la bozza di intesa per la definizione dell'iniziativa, che veniva approvata con Delibera aziendale n. 419 del 13 marzo 2002.
Successivamente, l'Inail comunicava che la Commissione di congruità aveva determinato il valore dell'immobile in euro 8.324.000.00, oltre agli oneri fiscali; tale stima veniva accettata dalla Asl.
Nel corso di una riunione tecnica tenutasi a Mondovì il 22 settembre 2004 con i rappresentanti dell'Inail, veniva prospettata l'acquisizione dell'immobile da parte dell'Inail
al prezzo periziato per la sua destinazione a struttura territoriale e la contestuale riassegnazione degli immobili in locazione alla Asl n. 16, al canone reciprocamente concordato tra le parti, per l'utilizzo conforme alle disposizioni del Decreto citato.
Su richiesta della Asl, con nota del 1o ottobre 2004 la Direzione generale della Programmazione Sanitaria di questo Ministero comunicava ad Asl e Inail il parere favorevole su quanto prospettato.
Il Consiglio di amministrazione dell'Inail autorizzava la definizione della procedura di acquisto del vecchio Ospedale di Mondovì con la Delibera n. 686 del 2005.
Con una nota congiunta, la Regione Piemonte e la Asl sollecitavano l'Inail a definire l'iter procedurale per la stipula dei contratti inerenti la compravendita degli edifici ed il loro affitto.
Come segnalato anche nell'atto parlamentare, l'Inail nel corso del 2006 ha richiesto più volte alla ASL n. 16 documentazioni aggiuntive, che sono state puntualmente inviate, nonostante che, con delibera del 22 dicembre 2005, l'Istituto avesse dichiarato l'avvenuta conclusione dell'istruttoria con l'accettazione da parte del proponente del prezzo individuato congruo dall'apposita Commissione, e l'affidamento dell'incarico al notaio per la predisposizione dell'atto di compravendita.
Si precisa che l'Inail in data 21 dicembre 2006 ha chiesto al Ministero della Salute la conferma degli interventi programmati con il Decreto ministeriale del 2001. La Regione Piemonte, interpellata al riguardo, ha ribadito formalmente la volontà di procedere all'alienazione degli edifici del vecchio Ospedale di Mondovì; di tale conferma è stata data notizia all'Inail.
Al momento, sono in fase di predisposizione i documenti necessari per il rogito notarile, che consentirà all'Asl suddetta il reperimento delle somme indispensabili ad adempiere gli obblighi contrattuali assunti per la costruzione del nuovo Ospedale di Mondovì.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
DILIBERTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 1 agosto 2005, il Signor Rosario Improta, dipendente dell'amministrazione penitenziaria (DAP), inviava, con raccomandata, al dottor Giovanni Tinerba capo del DAP, istanza di riammissione in servizio, ai sensi dell'articolo 42 decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, e 132 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;
il DAP, in data 9 agosto 2005, protocollo n. 2035/, riscontrava la missiva 1 agosto 2005 del signor Rosario Improta, ed inviava il modello fac-simile da usarsi per la riammissione in servizio, precisando testualmente che: «In relazione alla sua richiesta formulata in data 1 agosto 2005, si comunica che, qualora sia in possesso dei previsti requisiti indicati, potrà avanzare apposita domanda come da modello fac-simile allegato»;
in data 16 agosto 2005 il signor Rosario Improta inviava con raccomandata ai sensi della legge 241/1990, il suddetto modello fac-simile di riammissione corredato da una nota;
non avendo ricevuto riscontro all'ultima nota del 16 agosto 2005, il signor Rosario Improta con successiva raccomandata datata 17 ottobre 2005, chiedeva di conoscere il nominativo del responsabile del procedimento, il termine per l'adozione del provvedimento finale ed anche se fosse stato nelle more adottato qualche ulteriore provvedimento;
il DAP, con nota Roma del 2 novembre 2005, protocollo n 328427/2005, testualmente affermava che «... con riferimento alla sua ultima richiesta di riammissione in servizio nel corpo di polizia penitenziaria pervenuto a questo ufficio in data 23 settembre 2005, si conferma il parere contrario alla richiesta stessa, già formulatole dal competente consiglio di amministrazione con nota n. 82/02 del 3 luglio 2002»;
a parere dell'interrogante, nel caso di specie, sarebbero state violate le disposizioni
di cui all'articolo 132 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, della legge n. 241/1990 articolo 3-bis, e 20 come modificato dall'articolo 3, comma 6-ter della legge n. 80/05, dell'articolo 97 della Costituzione, nonché del decreto del Presidente della Repubblica 28 aprile 2006 -:
se non ritenga opportuno attivarsi affinché sia riammesso in servizio al primo corso successivo il signor Rosario Improta, che a tutt'oggi è disoccupato e senza alcuna fonte di reddito, a carico di sua madre vedova con pensione minima Inps.
(4-00813)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ha riferito quanto segue.
La legittimità dei provvedimenti assunti dall'Amministrazione penitenziaria in ordine alle dimissioni dal Corpo di Polizia penitenziaria del signor Rosario Improta ha trovato definitiva conferma in sede giurisdizionale nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2113/2005 dell'8 febbraio 2005. Pronunciandosi sul ricorso proposto per l'annullamento della sentenza del TAR Lazio, Roma, Sezione I, 20 aprile 2004 n. 3411, concernente dimissionamento da corso di formazione professionale per eccessivo numero di assenze e dichiarazione di inidoneità alla frequenza al corso per agenti di polizia penitenziaria, il Consiglio di Stato ha respinto l'appello, giudicando infondati i motivi di doglianza. L'istanza di secondo grado ha ritenuto che l'Amministrazione penitenziaria abbia correttamente operato, attivandosi per accertare le reali condizioni psicofisiche dell'istante, che è stato sottoposto per due volte a regolari accertamenti di idoneità da parte della Commissione medica a ciò preposta.
A seguito di successiva istanza di riammissione in servizio avanzata dall'ex dipendente in data 1o agosto 2005, il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con nota del 9 agosto 2005, lo ha reso edotto delle condizioni previste dalla normativa vigente per l'applicazione dell'istituto richiesto, evidenziando al riguardo gli elementi ostativi, alcuni dei quali già oggetto di disamina da parte del Consiglio di Stato.
In data 2 novembre 2005 il citato Dipartimento ha, quindi, rigettato l'ulteriore domanda di riammissione presentata dall'Improta, confermando l'avviso già espresso dal competente Consiglio di Amministrazione con nota del 3 luglio 2002.
Il provvedimento di rigetto è stato impugnato in sede giurisdizionale dall'interessato, il quale ha altresì richiesto, in via cautelare, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento.
Il T.A.R. Campania, investito della questione, con ordinanza n. 472/06 del 22 febbraio 2006, ha respinto la domanda di sospensione, rilevando che «... il ricorso, prima facie, non appare fondato anche sotto il profilo della sua ammissibilità».
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
FABRIS. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la Costituzione Italiana al terzo comma dell'articolo 24 assicura ai non abbienti il patrocinio gratuito, in tutte le materie (civile, penale e amministrativo);
l'articolo 21 della Legge 223 del 4 luglio 2006, al primo e secondo comma, stabilisce che «1. Per il pagamento delle spese di giustizia non è ammesso il ricorso all'anticipazione da parte degli uffici postali, tranne che per gli atti di notifiche nei procedimenti penali e per gli atti di notifiche e di espropriazione forzata nei procedimenti civili quando i relativi oneri sono a carico dell'erario.
2. Al pagamento delle spese di giustizia si provvede secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità generale dello Stato»;
tali norme, ad avviso dell'interrogante, solo all'apparenza dispongono una semplice sostituzione dell'Ente preposto al pagamento;
in particolare, se prima dell'entrata in vigore della Legge 223 del 4 luglio 2006 le spese di giustizia (fra le quali vanno ricomprese anche gli onorari degli avvocati difensori di cittadini ammessi al patrocinio a spese dello Stato) venivano erogate dalle Poste Italiane spa, sovente facendo ricorso all'anticipazione delle somme dovute, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 21 della Legge 223/2006 il pagamento di tali spese (debitore delle quali è sempre lo Stato) viene effettuato da parte della Banca d'Italia, come si evince dal secondo comma, «...secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità di Stato»;
questo potrebbe voler dire, ad avviso dell'interrogante, che la Banca d'Italia provvede al pagamento delle spese di giustizia solo se e quando ha la disponibilità dei fondi per poterlo fare, vanificando il giusto diritto di ogni avvocato a percepire l'onorario per l'attività difensiva espletata nell'interesse dei meno abbienti;
se a questo si aggiunge che nella stessa Legge 223/2006 viene progressivamente ridotto lo stanziamento per le spese di giustizia (50 milioni per il 2006, 100 per il 2007 e 200 per il 2008), si arriva al paradosso che si mantiene in vita nel nostro ordinamento giuridico un istituto quale quello del patrocinio a spese dello Stato senza, tuttavia, garantire la relativa necessaria copertura finanziaria dello stesso, determinando molti avvocati a rifiutare di assistere i nuovi clienti con il gratuito patrocinio e quindi pregiudicando la ratio stessa dell'istituto -:
quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda assumere al fine di evitare la progressiva disapplicazione del patrocinio gratuito con evidente lesione, da una parte, del diritto di difesa costituzionalmente garantito dei cittadini meno abbienti e, dall'altra, con la lesione del diritto dell'Avvocato (così come di qualsiasi altro lavoratore) di percepire l'onorario per l'attività professionale prestata e posto a carico dello Stato.
(4-02365)
Risposta. - In risposta all'interrogazione dell'onorevole Fabris, si rappresenta che le disposizioni contenute nell'articolo 21 del decreto-legge n. 223/06, convertito con modificazioni in legge n. 248/06, riguardano il pagamento di tutte le spese di giustizia iscritte nel capitolo di bilancio 1360 (tranne gli atti di notifica di procedimenti penali) nonché le spese gravanti sul capitolo di bilancio 1362.
Detto articolo 21 ha introdotto nuove modalità di pagamento delle spese di giustizia secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità generale dello Stato in luogo del sistema basato sulle anticipazioni da parte degli uffici postali.
Tale sistema delle anticipazioni postali, per espressa previsione del legislatore, resta in essere solamente per le spese relative ad atti di notifica nei procedimenti penali e per gli atti di notifica e di espropriazione forzata nei procedimenti civili quando i relativi oneri sono a carico dell'Erario.
Pertanto, vigendo la nuova disciplina, tutte le spese di giustizia (ad eccezione di quelle attinenti le attività di notifica) devono essere pagate tramite le Tesorerie Provinciali dello Stato attraverso i funzionari delegati, i quali provvedono con l'emissione di ordini di pagamento a valere sulle aperture di credito disposte dall'Amministrazione della Giustizia.
Ai fini del pagamento delle spese di giustizia secondo la citata previsione normativa, il Ministero della Giustizia ha provveduto ad impartire le istruzioni operative per consentire il pagamento delle indennità spettanti ai magistrati onorari (cap. 1362) ed il pagamento della generalità delle spese di giustizia (cap. 1360), tra le quali la corresponsione dei compensi dovuti ai difensori dei cittadini ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
La competente Direzione Generale ha sollecitato i funzionari delegati a far fronte, con il massimo sforzo, alla corresponsione di tutte le spese di giustizia con le prescritte modalità, anche richiedendo integrazioni di fondi, ove necessarie; queste ultime sono già state disposte in favore delle Corti d'Appello che ne hanno fatto richiesta.
Tanto premesso, per quanto di competenza di questa Amministrazione, si ritiene di aver posto in essere le condizioni per la risoluzione dei problemi evidenziati dall'interrogante in ordine alla corresponsione dei compensi dovuti ai difensori dei cittadini ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
GIANNI FARINA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
sulla base di intese locali tra il consolato Generale italiano di Zurigo e il Governo del Cantone di Zurigo, opera dall'anno scolastico 1989/1990, il liceo artistico italo-svizzero di Zurigo;
è riconosciuto il buon funzionamento di detto liceo artistico italo-svizzero come conferma la comunicazione del 30 giugno 2003 delle Autorità elvetiche circa l'avvenuto riconoscimento da parte della Commissione svizzera per la maturità di diplomi rilasciati dal Liceo Artistico italo-svizzero di Zurigo;
il consiglio Federale Elvetico (a nome del Governo del Cantone di Zurigo) e il Governo della Repubblica italiana, hanno espresso nel maggio 2005 la volontà di rafforzare la collaborazione per la gestione del Liceo Artistico italo-svizzero, sezione distaccata della Kantonsschule Freudenberg di Zurigo, sottoscrivendo l'accordo di collaborazione al funzionamento di tale Liceo, gestito dal Cantone di Zurigo con il sostegno della parte italiana;
il liceo offre una formazione quinquennale bilingue e biculturale del profilo artistico in sintonia con il curriculum locale;
l'accordo consiste in 14 articoli per la durata di cinque anni, tacitamente rinnovato per periodi identici e prevede, tra l'altro, che la parte italiana, oltre alla eventuale fornitura di materiale didattico, si impegna, ove richiesto dalla parte svizzera, ad inviare otto docenti di ruolo per lo svolgimento delle attività di insegnamento intensivo della lingua e letteratura italiana e di altre materie artistiche in lingue italiana (Discipline pittoriche, Discipline plastiche, Discipline geometriche);
i docenti italiani fanno parte del corpo docente del Liceo Artistico bilingue con gli stessi diritti e obblighi degli insegnanti svizzeri;
nel contesto della revisione generale della intera rete linguistico culturale, il MAE ha previsto, per l'anno scolastico 2007-2008, la riduzione del contingente dei docenti italiani (da otto a sette) per il liceo italo-svizzero di Zurigo, disattendendo con ciò a detta dell'interrogante agli obblighi stabiliti dall'articolo 7 dell'accordo del 13 gennaio 2006;
considerata la gravità di simile provvedimento che, ad avviso delll'interrogante comporta il mancato rispetto dell'accordo sottoscritto tra i due Governi ravvisa la necessità di immediato annullamento-:
quale sia l'orientamento del Governo a riguardo.
(4-03293)
Risposta. - In merito al quesito posto con l'interrogazione in esame sulla riduzione di un posto di docente di italiano di materie letterarie presso il liceo italo-svizzero di Zurigo, si informa che tale posto è stato reinserito nel contingente per l'anno scolastico 2007-2008 soprassedendo al taglio che in un primo momento sembrava indispensabile per poter far fronte alla riduzione di risorse sul capitolo 2503 (assegni di sede al personale docente) previste dalla Legge finanziaria 296/06.
La Direzione generale per la promozione e la cooperazione culturale infatti, dopo una approfondita riflessione, ha ritenuto opportuno salvaguardare, tra le altre, l'esperienza di bilinguismo in corso al liceo artistico italo-svizzero di Zurigo.
Il Viceministro degli affari esteri: Franco Danieli.
GIACHETTI. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la situazione in cui da mesi versa l'azienda Anas appare di estrema gravità:
la fase attuale che sta vivendo la Società sembra essere contraddistinta dall'immobilismo dei nuovi vertici aziendali tanto che, ad oltre nove mesi dall'insediamento del nuovo Presidente e del Consiglio di amministrazione, non pare sia stato compiuto alcun passo significativo per prospettarne il rilancio;
in base alle testimonianze raccolte, continuerebbe con assiduità il ricorso a consulenze esterne, ivi comprese quelle a bassa scolarità, nonostante da mesi gli organi di polizia giudiziaria stiano vagliando la legittimità dell'utilizzo di tale strumento;
le recenti decisioni unilateralmente assunte dall'Anas, in particolare sulla riorganizzazione interna, anche in riferimento a quanto previsto nell'ultima legge finanziaria sul riordino della rete stradale e circa la funzione di controllo sulle concessionarie nonché sul mancato avvio del confronto in materia di esercizio, hanno senza dubbio creato una frattura con le rappresentanze sindacali;
risulta infatti che già da tempo, ed anche in occasioni ufficiali, i sindacati abbiano espresso un giudizio critico sulle politiche aziendali, con particolare riferimento alle relazioni industriali ed alla gestione del personale nonché per la perdurante scelta di perseguire un progressivo accentramento delle decisioni, delle competenze e delle funzioni;
la radicalizzazione nella gestione delle relazioni industriali ha portato ad un rapporto con i sindacati ormai ai minimi storici, al punto che nei giorni scorsi i rappresentanti di FILT CGIL, FIT CISL e UILPA ANAS hanno ritirato la propria delegazione dal tavolo di discussione per il rinnovo del contratto scaduto da più di 17 mesi ed hanno indetto uno sciopero nazionale per il 28 maggio prossimo;
risulta che in data 17 aprile, nonostante non sia stato presentato nessun piano industriale, si sia comunque proceduto all'approvazione del bilancio per l'anno 2005 -:
se non ritenga urgente adottare misure volte a preservare il ruolo e la capacità operativa della società Anas e se non si intenda intervenire con tempestività per riportare la concertazione tra i vertici aziendali e le rappresentanze sindacali.
(4-03514)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Sin dall'ottobre 2006, l'attuale vertice aziendale di Anas s.p.a., insediatosi il 20 luglio 2006, si è presentato avanti le Commissioni VIII di Camera e Senato, ove riferiva puntualmente sullo stato della società e sulle iniziative intraprese, al fine di dare attuazione alle raccomandazioni svolte dall'Azionista in sede di esame e rinvio dell'approvazione del bilancio 2005.
In quella occasione, l'Azionista raccomandava infatti al nuovo Consiglio di amministrazione di Anas di predisporre «un piano di riassetto e di ridefinizione delle logiche di sviluppo strategico» con l'obiettivo di migliorare l'efficienza e la produttività e giungere ad una separazione tra attività industriali e attività di natura regolatoria.
Come conseguenza, la struttura operativa della Società, a metà novembre 2006, è stata suddivisa per macroaree, individuate nella Condirezione Generale Legale e Patrimonio, nella Condirezione Generale Tecnica e nella Condirezione Generale Amministrazione e Finanza, all'interno delle quali confluiscono le strutture esistenti. Le macroaree riferiscono direttamente al Presidente, al quale è stata altresì attribuita la carica di direttore generale, senza alcuna modifica dell'ambito ed ampiezza dei poteri rispetto a quelli già previsti dallo statuto della società.
Ne risulta così una linea di comando chiara, rispondente a criteri di funzionalità gestionale ed organizzativa, nella direzione
di semplificazione e snellimento dei processi decisionali.
Un'impostazione organizzativa intesa come strumento per dare risposta alle esigenze societarie, mirata a focalizzare e concentrare tutte le risorse all'obiettivo di rilancio della società e del suo ruolo di primaria importanza nel settore delle infrastrutture, fortemente penalizzato dai tagli e dai limiti di spesa imposti nel 2006.
Inoltre, è stata separata l'attività di vigilanza sulle concessionarie autostradali rispetto al contesto operativo della Società, attraverso la costituzione di un apposito Ispettorato di Vigilanza, posto alle dirette dipendenze del Presidente ed autonomo - ai limiti della terzietà - rispetto a tutte le altre strutture aziendali.
L'Anas riporta quindi alcuni sintetici cenni sull'attività dell'azienda a partire dall'insediamento del nuovo vertice.
In attesa di poter disporre delle coperture finanziarie relative al Piano di investimenti 2007-2011 (condizionate dall'ammontare delle risorse che saranno accertate sul Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del Trattamento di fine rapporto, ai sensi dei commi 755 e 758 della legge stessa), il principale impegno della Società è stato rivolto all'accelerazione dei lavori in corso (con particolare riferimento alla Salerno-Reggio Calabria), nonché all'avvio di lavori già affidati ma bloccati da lungo tempo per diverse motivazioni di natura tecnica, progettuale ed operativa.
Sul fronte degli investimenti, a partire dal mese di luglio 2006, è stata rimossa la situazione di blocco introdotta con disposizione del Direttore generale dell'Anas del 23 dicembre 2005 che, in ragione delle difficoltà finanziarie dell'Azienda, aveva sospeso ogni nuova iniziativa per lavori che comportasse impegno finanziario.
Da fine luglio 2006, sono stati approvati n. 28 progetti per 5,2 miliardi di euro, ed aperti 31 cantieri per 1,8 miliardi di euro.
L'approvazione nel medesimo periodo di 23 perizie di variante per un importo di 51 milioni di euro ha consentito il rilancio di altrettanti cantieri, per un valore complessivo di 1,128 miliardi di euro, in forte criticità per diversi motivi.
Nel corrente anno si prevede inoltre di avviare i lavori relativi a 13 appalti integrati, nonché a 3 affidamenti a Contraenti Generali, per complessivi 2 miliardi di euro, con l'acquisizione delle progettazioni esecutive e la conseguente cantierizzazione.
Per quanto riguarda specificamente l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, l'impegno ha portato ad accelerare il programma di apertura al traffico delle opere in corso, ad avviare nuovi lavori e a velocizzare le progettazioni dei lavori ancora da affidare. Conseguentemente, è prevista entro il 2009 l'apertura al traffico di tutti i tratti interessati da lavori in corso e per fine 2011-inizio 2012 di quelli ancora da affidare.
L'area amministrativa e finanziaria ha raggiunto obiettivi fondamentali per una corretta impostazione finanziaria e gestionale di Anas, quali:
approvazione del bilancio al 31 dicembre 2005;
presentazione al Consiglio di amministrazione del 5 giugno 2007, contestualmente al progetto di bilancio 2006, del progetto di scissione parziale di Fintecna mediante assegnazione a Anas del ramo di azienda denominato Infrastrutture;
introduzione, da inizio anno 2007, del SAP;
ricostruzione, mai fatta precedentemente in Anas, della correlazione fonti e impieghi per circa 100 mila commesse aperte;
implementazione della procedura relativa all'acquisizione dei sovrapprezzi tariffari per circa 200 milioni di euro all'anno;
subentro e gestione diretta del soppresso Fondo centrale di garanzia per il finanziamento della Salerno-Reggio Calabria;
ridefinizione del Passante di Mestre su base project finance;
acquisizione della partecipazione di Sviluppo Italia S.p.a. in Quadrilatero S.p.a. ed ingresso degli Enti locali nel capitale sociale;
imminente pubblicazione di quattro avvisi «indicativi» per iniziare la procedura su base project finance per complessivi 4 miliardi di euro;
avvio di iniziative di «cost cutting» mediante la costituzione di uno specifico gruppo di lavoro per il «progetto di razionalizzazione delle strutture e abbattimento costi».
La Condirezione generale e patrimonio ha conseguito obiettivi della massima valenza strategica, tra i quali si segnalano i seguenti:
redazione ex novo degli schemi generali della documentazione di gara relativa a tutte le varie tipologie di affidamento, con esclusione della clausola compromissoria espressa;
adozione di un nuovo regolamento degli acquisti in economia, fermo al 1980 e inapplicabile da tempo;
adozione di un nuovo codice etico, vincolante per tutti gli stakeholders di Anas S.p.a e recante anche (a differenza di quello precedente) un corpo di precise sanzioni;
costituzione, presso la direzione generale, di una «Unità riserve», avente lo scopo di fornire in tempo reale elementi di controdeduzione a fronte delle riserve iscritte dalle imprese appaltatrici;
istituzione di una «Unità di missione» avente il compito di verificare l'eventuale persistenza in Anas S.p.a. delle criticità evidenziate nella relazione dell'Alto Commissario per la prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, nonché nelle ultime relazioni della Corte dei conti e, nel caso, di suggerire misure correttive;
definizione di un'intesa con l'Avvocatura generale dello Stato, in forza della quale i contenziosi Anas verranno generalmente patrocinati dalla stessa Avvocatura generale e dalla Avvocatura interna di Anas, con riduzione ai minimi termini del ricorso a professionisti del libero foro.
Viene segnalata, altresì, l'istituzione di un'apposita «Unità di missione», i cui lavori stanno per concludersi, per il rilevamento e l'analisi del contenzioso pendente, al fine di proporre piani di deflazione del contenzioso stesso.
Per quanto attiene gli altri rilievi espressi dall'interrogante, l'Anas ha fornito i seguenti chiarimenti in ordine agli specifici punti:
Piano industriale di ANAS: il Consiglio di Amministrazione, recependo le osservazioni espresse dall'azionista - e dopo aver effettuato alcune opportune verifiche circa lo stato dei procedimenti in corso da parte della magistratura penale e contabile - ha approvato, in data 30 gennaio 2007, il progetto di bilancio al 31 dicembre 2005. Per quanto riguarda il Piano Industriale, la nuova normativa introdotta dalla Legge Finanziaria 2007 prevede un nuovo strumento di gestione, il Piano Economico Finanziario, di cui costituisce parte integrante l'elenco di opere di nuova realizzazione ovvero di integrazione e manutenzione di quelle esistenti.
Tale documento, che deve essere presentato entro il 30 giugno 2007 e che deve essere aggiornato con cadenza quinquennale, è in fase di predisposizione da parte della Società, mentre le principali linee guida per la sua redazione sono state anticipate anche in occasione delle già citate audizioni parlamentari nonché nel corso di numerosi incontri sindacali. La legge prevede che detto Piano debba essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dei trasporti e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le competenti Commissioni parlamentari.
Consulenze esterne: si precisa anzitutto che il ricorso alle consulenze esterne è stato ridotto in misura drastica, limitandosi ai casi di professionalità inesistenti in ambito Anas, senza alcun nocumento per
quelle presenti in ambito aziendale ed in piena trasparenza delle procedure adottate.
A tale ultimo riguardo, si rappresenta che in data 10 aprile 2007 l'Anas ha emanato il regolamento per l'acquisizione di beni e servizi, che disciplina, in conformità all'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, l'ambito di applicazione, i limiti di spesa e le procedure da seguire da parte delle strutture centrali e periferiche di Anas.
Infine, in ordine all'effettivo stato delle relazioni industriali, si evidenzia che le scelte organizzative sono state partecipate, ai sensi del vigente contratto collettivo nazionale di lavoro, alle organizzazioni sindacali e, ove ritenuto necessario e pertinente, sono state accolte le richieste di integrazioni o modifiche.
In merito all'iniziativa delle organizzazioni sindacali di ritirare la delegazione dal tavolo di discussione per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, l'Anas riferisce che le proposte di innovazione del testo contrattuale, volte a consentire alla società un ruolo di reale efficienza e concorrenza sul mercato, con conseguenti recuperi di produttività e l'introduzione di effettivi strumenti di valutazione delle «performance» individuali, sono state inizialmente anticipate e, successivamente, aggiornate ed integrate, proprio dalla delegazione aziendale; mentre quella sindacale si è limitata, nella maggior parte dei casi, a riproporre proposte già negativamente valutate e quindi respinte già in sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del 2002.
La piattaforma rivendicativa è stata presentata dalle Organizzazioni sindacali sette mesi dopo la scadenza del contratto e dall'apertura del negoziato ad oggi si sono tenute oltre venti sessioni di trattativa.
La Società, nell'ambito delle corrette relazioni industriali, ha già in programma la convocazione al tavolo delle trattative delle Organizzazioni sindacali, per attuare tutte le forme di conciliazione e raffreddamento della controversia.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
LANDOLFI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del commercio internazionale, al Ministro per le politiche europee, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
la Formenti Seleco SpA è un glorioso pezzo dell'industria italiana, da sempre operante nel campo dell'elettronica di consumo ed in particolare degli apparecchi televisivi, oggi in regime di Amministrazione straordinaria a causa della grave crisi che ha travolto tutto il comparto di cui fa parte;
in Campania, a Sessa Aurunca (CE), è presente uno stabilimento tecnologicamente avanzato della suddetta impresa, che rappresenta l'unica fonte di sostentamento per centinaia di lavoratori (e rispettive famiglie) attualmente sottoposti al regime (ma per un tempo ormai limitato) di cassa integrazione guadagni straordinaria;
la crisi di settore - di cui è vittima anche Formenti - ha carattere continentale, essendo comune a molti Paesi dell'Unione europea, e si deve ascrivere, prioritariamente, alla sistematica concorrenza sleale, di una serie di produttori turchi, per violazione di norme pubblicistiche;
nei confronti dei concorrenti turchi sono state espletate iniziative, rivolte alle competenti autorità dell'Unione europea, finalizzate a dimostrare l'esistenza di una loro azione di dumping;
le inchieste che sono scaturite - svolte in sede comunitaria - hanno però escluso, a carico degli esportatori turchi, la violazione diretta delle norme antidumping e, per logica conseguenza, è stato impossibile applicare loro specifiche misure e relative sanzioni;
dalle inchieste, però, è anche emerso che i televisori importati dalla Turchia non sarebbero da considerare di origine turca, bensì - applicando l'allegato 11 al regolamento di attuazione del cosiddetto Codice Doganale (Regolamento CE
n. 2454/93), che fa determinare l'origine del prodotto dalla nazionalità di alcuni suoi componenti essenziali - estremo orientali (in quanto di tale provenienza risultavano essere i tubi catodici installati al loro interno) e quindi comunque sottoposti, o sottoponibili, a dazi antidumping;
nel caso specifico, però, i previsti dazi sui componenti di origine orientale sono stati sistematicamente evasi (senza che gli evasori venissero sottoposti a sanzione alcuna e con i conseguenti, inevitabili, effetti distorsivi del mercato, a tutto danno delle imprese europee) dagli esportatori turchi;
il mancato assolvimento dei dazi ha determinato una condizione di concorrenza sleale che avrebbe dovuto portare (ma non ha portato) all'apertura - a carico delle aziende turche - di inchieste amministrative per frode doganale, finalizzate ad accertare l'entità della violazione, da cui far scaturire il recupero dell'imposta evasa e l'applicazione delle relative sanzioni;
secondo gli accordi intercorsi tra Unione europea e Turchia, quest'ultima gode della cosiddetta libera pratica, per i propri prodotti (o per quelli correttamente naturalizzati), negli scambi commerciali con i Paesi europei, in virtù della (ultradecennale) unione doganale;
il prodotto turco, al momento dell'importazione in Europa, viene contraddistinto da un apposito modello doganale (denominato ATR) che ne certifica l'origine;
il comportamento scorretto degli esportatori turchi di televisori (che potevano praticare prezzi molto bassi per non aver ottemperato agli obblighi sui dazi) ha creato la paradossale situazione che in sede doganale i prodotti sono stati considerati turchi (e quindi in libera pratica) e in sede comunitaria (a seguito delle inchieste) di origine estremo orientale;
nessun problema sarebbe sorto se i produttori (rectius: assemblatori) turchi avessero regolarmente assolto i dazi antidumping sui tubi catodici importati dai Paesi orientali (con le naturali conseguenze sui prezzi di esportazione), in tal caso la naturalizzazione del prodotto come turco non avrebbe fatto insorgere distorsioni di mercato e sarebbe risultato pienamente rispettato l'accordo doganale con l'Europa (nel quale è, tra l'altro, previsto e prescritto il corretto adempimento degli oneri antidumping);
la situazione di slealtà concorrenziale degli esportatori turchi, e l'inerzia delle autorità europee nell'applicazione delle previste sanzioni, protrattasi per molti anni, ha determinato la gravissima crisi del comparto elettronico in Europa;
con grande determinazione, il professor Francesco Fimmanò, Commissario straordinario della Formenti Seleco SpA, ha sviluppato una serie di iniziative a tutela della società da lui amministrata citando in giudizio i produttori turchi per concorrenza sleale da violazione di norme pubblicistiche, denunciando all'OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode) la frode doganale ed altresì adendo l'italiana Autorità garante della concorrenza e del mercato e le competenti Procure della Repubblica;
due giudizi instaurati, in sede di giustizia comunitaria, dalla società francese Thompson e dalla turca Vestel, invece, stanno mirando ad ottenere una pronuncia preliminare, della Corte di Giustizia europea, circa l'utilizzo, come criterio di valutazione di origine di un prodotto, del principio previsto dall'articolo 24 del Codice Doganale (che considera la nazionalità in relazione al Paese in cui si è realizzata l'ultima trasformazione) rispetto a quello del citato allegato 11 (che predilige l'analisi della nazionalità dei componenti essenziali del prodotto finale);
l'interpretazione favorevole all'applicazione dell'articolo 24 del Codice Doganale renderebbe inapplicabili le sanzioni conseguenti all'evasione doganale, in quanto si prescinderebbe dall'origine dei tubi catodici assemblati nei televisori turchi;
la Commissione europea, anche per come ha risposto ad una interrogazione parlamentare in sede comunitaria, è cosciente dell'attualità del problema, pur apparendo restia nel considerarne la gravità;
in passato, infatti, le autorità comunitarie avevano (con una forzatura) imposto agli importatori comunitari l'onere dei dazi non assolti all'origine, ma il Tribunale europeo di primo grado, chiamato ad esprimersi in materia, con una sentenza datata 10 maggio 2001, ristabilì il giusto diritto a carico degli esportatori terzi, non celando le consistenti responsabilità della Commissione europea per gli squilibri complessivi determinatisi nel comparto;
alla Commissione europea è stato imputato di non essere intervenuta, per oltre venti anni, nei confronti della Turchia in materia di recepimento delle disposizioni del protocollo addizionale dell'accordo di unione doganale, relativo al cosiddetto prelievo di compensazione (oneri equivalenti), necessario per garantire il rispetto nell'assolvimento dei dazi da parte delle imprese turche;
la Commissione europea, altresì, aveva lo specifico onere di informare della complessa questione gli operatori comunitari del settore, ha atteso fino al 1992 prima di comunicare alle autorità turche l'esistenza di problemi relativi all'esportazione di televisori, non ha avvertito gli importatori comunitari dei rischi in cui incorrevano importando tali prodotti dalla Turchia, è stata negligente nel non rivolgersi tempestivamente al Comitato di cooperazione doganale, istituito con la Turchia, per l'analisi della problematica;
quanto sopra argomentato fa emergere una grave responsabilità delle autorità comunitarie e, indirettamente, di quelle nazionali in relazione agli esiti economici e alle crisi ormai endemiche del comparto industriale dell'elettronica di consumo;
è pertanto obbligo politico e giuridico, per gli operatori e le istituzioni pubblici, intervenire - con misure adeguate - per ricreare una situazione economica finalizzata a rendere nuovamente vitali le imprese operanti in questo specifico settore industriale ed offrire un futuro più certo agli incolpevoli lavoratori coinvolti, vittime di una grave inefficienza delle istituzioni preposte alla tutela dell'economia nazionale ed europea -:
quali considerazioni generali, i ministri interrogati, svolgano sulla materia esposta e se convengano sull'analisi, sviluppata in premessa, relativa alla carenza politica ed istituzionale mostrata, dalle autorità comunitarie, in materia di tutela del comparto industriale di cui in premessa;
quali provvedimenti straordinari, i ministri interrogati, ritengano di urgentemente adottare, al fine di realizzare un'azione di sostegno, ed anticipato indennizzo, in favore dei soggetti danneggiati dal comportamento negligente mantenuto dalle autorità comunitarie e che, di fatto, si è dimostrato esiziale per tutto il comparto dell'elettronica di consumo, non solo in ambito italiano;
quali azioni ritengano si debbano intraprendere - a livello governativo ed anche in sede di giustizia europea - al fine di favorire la giusta definizione del quadro di responsabilità e la quantificazione di un equo indennizzo da erogare a tutti i danneggiati, dedicando particolare attenzione alla parte più debole di essi, ossia i lavoratori, coinvolti in una situazione di così ampia portata economica e giuridico-istituzionale;
se ritengano opportuno valutare di intervenire - costituendosi - nei modi, nei tempi e nella veste tecnicamente più corretti, nei due giudizi instaurati, innanzi alla Corte di Giustizia europea, dalle società Thompson e Vestel al fine di resistere, opponendosi, all'adozione di una pronuncia preliminare di interpretazione secondo la quale, ai prodotti turchi, si debbano applicare i criteri contenuti nell'articolo 24 del Codice Doganale (principio del paese di ultima trasformazione),
invece di quelli di cui all'allegato 11 al regolamento di attuazione del cosiddetto Codice Doganale (Regolamento CE n. 2454/93), che prevede l'analisi dell'origine e del valore della componentistica rispetto al valore, franco fabbrica, del televisore.
(4-01204)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, su delega della Presidenza del Consiglio dei Ministri e sulla base di elementi trasmessi anche dai Ministeri Economia e Finanze e Sviluppo Economico, si precisa quanto segue.
Il fenomeno delle importazioni dalla Turchia di TV color era stato preso in esame dalla Commissione europea già dal 2001, quando venne avviato un procedimento antidumping nei confronti delle importazioni di tali prodotti da quel Paese. Dall'esame avviato, però, si arrivò alla conclusione che non esiste una vera e propria produzione turca di TV color, ma solo un'attività di assemblaggio di singole parti importate da altri paesi (46 per cento di origine Ue, 15-21 per cento di origine Cina, 18 per cento di origine Polonia, 13 per cento di origine Lituania e il restante di origine di altri Paesi). In base all'articolo 22 del regolamento CE n. 2913/92 del Consiglio, dell'articolo 39 e dell'allegato 11 del regolamento n. 2454/93 della Commissione, si stabilì che l'origine dei televisori provenienti dalla Turchia non era turca, in quanto la stessa origine era determinata dal tubo catodico - importato da altri paesi - rappresentando questo il 35 per cento del prezzo del televisore. Queste conclusioni resero inapplicabili le misure antidumping nei confronti della Turchia. Nello stesso tempo la Commissione assicurò circa la riscossione dei dazi sulle esportazioni turche originarie dai paesi già colpiti dalle misure antidumping, quali Cina, Corea, Malesia e Thailandia.
Al fine di verificare i problemi doganali relativi al caso in questione, fu indetta una riunione tra questa Amministrazione e l'Agenzia delle Dogane, che rilevò serie difficoltà a percepire i dazi sui prodotti provenienti dalla Turchia e originari da paesi destinatari di misure antidumping, poiché i documenti doganali previsti nell'ambito degli scambi con quel Paese non consentono di individuare l'effettiva origine della merce. Tale circostanza creava inevitabili rischi di attività fraudolente da parte di esportatori cinesi, coreani, tailandesi e malesi, che avrebbero potuto esportare nella Unione Europea tramite la Turchia, senza pagare i previsti dazi antidumping.
Il Governo italiano si schierò contro il parere della Commissione di chiudere il procedimento antidumping per la Turchia, ma tale proposta venne accolta dalla maggioranza degli Stati membri. Tali misure sono attualmente in vigore per la Cina, la Corea, la Malesia e la Thailandia, fino al prossimo agosto 2007, qualora i produttori europei non facciano richiesta di prolungamento per ulteriori 5 anni.
Per quanto concerne i due giudizi pendenti presso la Corte di Giustizia Europea instaurati dalle società Thompson e Vestel di opposizione alla pronuncia preliminare di applicazione del principio del paese di ultima trasformazione (regolamento CE n. 2913/1992), anziché di quello che prevede l'analisi dell'origine e del valore della componentistica rispetto al valore, franco fabbrica, del televisore (regolamento CE n. 2454/93), il Ministero dell'Economia e Finanze, tramite l'Agenzia delle dogane, nel concordare con quanto sostenuto dall'Amministrazione doganale francese, ha ritenuto insussistente il conflitto tra le due citate disposizioni comunitarie e pertanto ha rilevato un interesse per il Governo italiano ad intervenire nelle due predette cause.
In data 8 marzo 2007 la Corte di giustizia delle Comunità europee, accogliendo la posizione del Governo italiano, ha dichiarato che non sussistono elementi idonei ad inficiare la validità delle disposizione figuranti nell'allegato 11 del regolamento CE della Commissione n. 2454 del 1993. L'Agenzia delle Entrate ha altresì rappresentato che, secondo le disposizioni comunitarie vigenti, le merci provenienti dalla Turchia, scortate da certificato A.TR. (di libera circolazione), sono comunque soggette al pagamento di dazi antidumping per i componenti originari di altri paesi,
qualora esistenti. Nel caso particolare di importazioni di televisori originari dei quattro Paesi sopra citati vige, dal 30 agosto 2002, un dazio antidumping definitivo (regolamento CE n. 1531/2002), con aliquote variabili per origine e per società produttrice. Inoltre, per le importazioni di televisori fabbricati in Turchia da alcune società (fra le quali la VESTEL), individuate con appositi codici addizionali TARIC (Tariffa integrata comunitaria), sono previste dal suddetto regolamento aliquote individuali di tale dazio antidumping.
Per quanto concerne i risultati dell'indagine condotta dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) è stata diramata da quest'ultimo Ufficio a tutti gli Stati membri la comunicazione AM 6/2002, contenenti le indagini svolte e le verifiche effettuate presso alcune società di produzione, tra le quali anche la già citata Vestel. Le successive direttive della Commissione europea-OLAF sono sempre state improntate all'utilizzo dei criteri di determinazione di origine indicati nell'allegato 11 del regolamento n. 2454/93. Le indagini condotte dall'OLAF hanno portato alla constatazione di numerose situazioni illecite, con conseguenti ingenti richieste di recupero dei maggiori diritti dovuti.
Per quanto riguarda l'Italia, l'Agenzia delle dogane ha individuato specifici profili di rischio nel circuito doganale di controllo ed ha eseguito accessi presso le sedi di società italiane importatrici e revisionato numerose bollette doganali di importazione, per un ammontare di maggiori diritti constatati pari a circa 2,2 milioni di euro.
La stessa Agenzia ha fatto presente di aver risposto alla istanza formulata dalla società Formenti Seleco SpA, fornendo notizie circa le attività svolte e garantendo un costante monitoraggio del settore ed un'azione quanto più possibile efficace di ostacolo a qualsiasi tentativo illecito di tutela degli interessi nazionali e comunitari. Il Comando generale della Guardia di finanza ha riferito che nel corso dell'anno 2002 il Nucleo speciale tutela spesa pubblica e repressione frodi comunitarie ha preso parte ad un'attività investigativa coordinata dalla Commissione europea-OLAF unitamente ad Organi collaterali di altri Paesi dell'Unione europea (Germania, Olanda, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Portogallo, Finlandia, Svezia, Danimarca, Grecia e Belgio) finalizzata a verificare la posizione delle controllate europee, tra le altre, della società turca Vestel.
L'azione di servizio svolta in ambito nazionale dalle competenti unità operative del Corpo nei confronti di individuati importatori di televisori a colori dalla Turchia non ha evidenziato, in linea generale, situazioni riferibili al sistema di frode indicato dall'OLAF, tranne che in un unico caso in cui è stata chiesta al competente ufficio doganale la revisione della relativa documentazione. Il predetto Comando ha segnalato, infine, che la Compagnia della Guardia di finanza di Caserta ha in corso di svolgimento una indagine relativa alla importazione dalla Turchia di televisori assemblati con tubo catodico originario dell'estremo oriente. Su tale indagine sussistono vincoli di riservatezza. L'Agenzia delle dogane ha comunicato, in proposito, che in data 15 marzo 2007 si è tenuta, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, una riunione per discutere di alcuni aspetti riguardanti le problematiche relative alla società Formenti Seleco SpA; su richiesta dell'Amministratore della società, l'Agenzia delle dogane ha provveduto a trasmettere gli atti direttamente al magistrato responsabile del procedimento.
Si informa, infine, che la Dogana di Savona - Sezione operativa di Vado Ligure, Servizio di vigilanza Antifrode Doganale - è stata interessata nel periodo settembre-novembre 2005 in merito alle dichiarazioni di importazione IM4 della società RECO di Lomazzo (Como) riguardanti televisori a colori provenienti dalla Turchia. La merce, in un primo momento bloccata in dogana per accertamenti, veniva successivamente svincolata dalla stessa dogana, pur con la richiesta della documentazione riguardante la sicurezza della merce. Tale documentazione veniva anche richiesta dalla competente Direzione generale del Ministero dello sviluppo economico, dopo aver ricevuto dalla Dogana di Savona; la stessa Direzione, ritenuta insufficiente la documentazione
prodotta dalla società RECO, emetteva due provvedimenti di temporaneo divieto di commercializzazione dei prodotti importati, e chiedeva nel contempo un interessamento anche alla locale Camera di Commercio di Como al fine di intervenire presso la società per la produzione dei documenti in questione.
Successivamente la società RECO faceva pervenire la documentazione tecnica e le dichiarazioni CE di conformità da parte del costruttore turco (BEKO ELEKTRONIK), che veniva ritenuta conforme alla normativa vigente in materia, concludendosi pertanto il procedimento amministrativo.
Il Sottosegretario di Stato per il commercio internazionale: Mauro Agostini.
LARATTA. - Al Ministro delle infrastrutture, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il Ministero nel quadro del «Programma strategico per la mobilità nelle aree metropolitane», ha finanziato il progetto preliminare del Comune di Reggio Calabria per la «Realizzazione di un nuovo sistema integrato di trasporto pubblico nell'area reggina»;
detto progetto ha permesso al Comune di Reggio Calabria di essere tra i vincitori del relativo bando ministeriale per la realizzazione di un nuovo sistema integrato di trasporto pubblico, una metropolitana di superficie, trattandosi in particolare di un sistema ferroviario di area, che prevedeva anche l'ammodernamento del sistema ferroviario esistente: partendo da Reggio Calabria, località Bocale, ed arrivando nel Comune di Villa San Giovanni. Il sistema, su un'area costiera di circa 40 km, veniva concepito soprattutto per una mobilità di tipo pendolaristico e prevedeva oltre alla realizzazione di nuove infrastrutture ferroviarie e nuove stazioni anche, quale funzionale accessorio, la realizzazione di un sistema ettometrico (cosiddetto Tapis Roulant);
la Giunta comunale nell'adottare i susseguenti atti ha approvato, in tempi successivi, due diversi progetti definitivi e relativi diversi quadri economici di oltre 17 milioni di euro: uno redatto dall'ufficio tecnico comunale (2002) e l'altro (2005) commissionato ad una società (la SILEC). Addirittura, quest'ultimo, stravolgendo il progetto originario, sia nelle finalità che nei costi. Scomparsa l'integrazione di area (sovracomunale), il ruolo dell'integrata mobilità ferroviaria, è rimasto, ad assorbire il finanziamento (ministeriale e comunale), il solo accessorio: il tapis roulant;
l'amministrazionecomunale di Reggio Calabria e la Soprintendenza hanno già stipulato un protocollo d'intesa per Piazza Carmine, ed hanno un analogo protocollo d'intesa in corso di perfezionamento per l'opera cosiddetto Tapis Roulant, finalizzati ad abbreviare i tempi di rilascio di parere rispetto le normali procedure, e protocolli nei quali è previsto che i tecnici della Soprintendenza partecipino alle varie fasi della progettazione e dell'esecuzione dei lavori, percependo un compenso;
il Sovrintendente regionale della Calabria ai Beni Architettonici e Culturali, Francesco Ceccati, dopo un sopralluogo sul cantiere, con nota del febbraio del 2006, aveva chiesto all'Amministrazione procedente di valutare un'azione in autotutela e rimediare alla mancanza di autorizzazioni idonee ad intervenire profondamente e strutturalmente sul sito (VIA ed altre) ubicato in pieno centro storico cittadino e luogo di valenza monumentale, tanto che nella adiacente chiesa di San Giorgio - Tempio della Vittoria vi sono dei reperti custoditi, reperti provenienti anche dagli scavi per la realizzazione delle fondazioni della chiesa stessa;
nelle immediate vicinanze del luogo dove è in corso la realizzazione del tapis roulant, piazza Italia, durante un intervento di riqualificazione della Piazza con il rifacimento della pavimentazione, avviato nel 2001, è stato rinvenuto, a meno
di un metro di profondità dalla pavimentazione della suddetta piazza, un importante agglomerato edilizio stratificato in vari periodi storici, a testimonianza delle diverse civiltà succedutesi. Per tale circostanza, ad oggi, i lavori sono ancora sospesi;
la realizzanda opera pubblica, per cui si prevedono scavi molto più profondi rispetto a quelli in Piazza Italia, è stata sequestrata il 22 settembre 2006 e temporaneamente dissequestrata, il 23 ottobre 2006 dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria, per consentire la rimozione dei mezzi meccanici che erano sostati nell'area cantierata;
vi è un diffuso malcontento nella comunità locale che improvvisamente, senza nessuna consultazione o informazione preventiva, è costretta ad assistere allo scempio di un'area dall'alta valenza storico-monumentale ed architettonica per la realizzazione d'un opera costosa e priva di reale utilità perché disancorata dalle originarie finalità, per la mancata realizzazione del progetto per il quale doveva essere di servizio;
appare sconcertante, inoltre, che la Sovrintendenza della Calabria debba redigere un protocollo d'intesa per assicurare collaborazione che istituzionalmente deve corrispondere per la tutela dei vincoli di competenza -:
se il Ministro per i Beni Culturali ritenga che l'opera in costruzione sia coerente rispetto ai luoghi dove insiste, ed ancora quale provvedimento il Ministro intenda adottare in considerazione della sconcertante situazione dove la Sovrintendenza della Calabria ha redatto un protocollo d'intesa per assicurare quella collaborazione che, istituzionalmente, deve corrispondere per la tutela dei vincoli di cempetenza;
se il Ministro per le infrastrutture ritenga che l'opera in costruzione sia coerente rispetto al protocollo d'intesa del 12 febbraio 1998 sottoscritto dal Ministro delegato per le aree urbane e dal Ministro dei trasporti con i sindaci interessati con l'avvio di «Programma strategico per la mobilità nelle aree metropolitane», e tra questi quello di Reggio Calabria. Ed ancora, quali provvedimenti voglia adottare nel merito della vicenda sopradescritta, poiché l'Amministrazione Comunale di Reggio Calabria sta utilizzando il finanziamento ministeriale, di oltre 5 milioni di euro, per la realizzazione di un'opera diversa da quella originariamente assentita.
(4-01893)
Risposta. - Il 19 settembre 2005 il Comune di Reggio Calabria ha rilasciato l'autorizzazione paesaggistica al progetto per la realizzazione di un sistema ettometrico in via Giudecca tratto corso Vittorio Emanulele III e via Filippini e di un sistema di elevazione tra via Filippini e via Possidonea in Reggio Calabria.
La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per la Calabria ha però chiesto la sospensione cautelativa dei lavori, poiché dal controllo della documentazione ha rilevato l'assenza del pronunciamento di V.I.A. e dunque l'inefficacia e l'incompletezza dell'autorizzazione ambientale emessa dal Comune.
Il valore culturale dei luoghi oggetto di trasformazione, che rientrano nella tipologia indicata dall'articolo 10 comma 4 lettera g) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico), avrebbe inoltre comportato la valutazione del tipo monumentale necessaria a stabilire autonomamente e con prevalenza di merito rispetto all'autorizzazione ambientale, la fattibilità delle opere in rapporto al valore culturale dei luoghi oggetto di trasformazione (vie pubbliche e spazi urbani pubblici).
La Soprintendenza ha infine comunicato di non aver stipulato alcun protocollo d'intesa con il Comune di Reggio Calabria per quanto riguarda i lavori.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
LOCATELLI e DE SIMONE. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il gruppo di iniziativa intercomunale denominato «Diritti & Doveri» si sta battendo per la salvaguardia del Castello di Corenno Plinio a Dervio in provincia di Lecco (La Provincia di Lecco - 22 febbraio 2007);
Corenno Plinio è un agglomerato di case arroccato sulle rocce lariane di antiche origini;
il Castello, di proprietà dei conti Sormani-Marietti è un tipico castello-recinto che, diverso dal castello-residenza, serviva alla popolazione per difesa e come rifugio, anche per il bestiame, in caso di pericolo. Nel XIII-XIV secolo la storia di Corenno è strettamente legata alle sorti di Milano. Nel 1271 Ottone Visconti affida Corenno a Fossato e al figlio Giacomo Andriani (cognome trasformato poi in Andreani). Il Castello ridefinito come fortificazione nel XIV secolo sulle rovine di un'antica rocca romana è circondato da alte mura merlate, solo su tre lati; il lato a lago è stato demolito dalla proprietà per aprire la visuale verso lago. La torre, sicuramente romana, serviva per le segnalazioni. La torre «a vela» all'ingresso, serviva solo come protezione del recinto perché è sempre mancata la funzione abitativa. Il camminamento interno delle mura è andato perduto perché era in legno. Il Castello si trova accanto alla chiesa parrocchiale, antica Pieve, che conserva pregevoli affreschi e dipinti del Trecento;
all'interno di questo Castello medievale i proprietari stanno portando avanti lavori di scavo con il fine di edificare (Il Giorno/Lecco - 14 febbraio 2007);
la giustificazione che si adduce alla bontà del progetto di edificazione all'interno del maniero è quella che essendo state presenti nel Castello strutture di servizio quali caserme, depositi, armerie, alloggi, la riproposizione di un volume poteva aderire ad una idea tipologica di tale complesso. Per questo si parla di Casa di custodia (lettera/risposta del Soprintendente Dott. Arch. Artioli Prot. n. 4297 14 marzo 2007 - Allegato A);
il gruppo «Diritti & Doveri» ha denunciato la situazione senza ricevere però risposte adeguate da parte del sindaco di Dervio. In seguito ha promosso una raccolta firme il 25 febbraio 2007 per la salvaguardia storico-archeologica del Castello e del Paesaggio in cui è inserito e ha inviato il documento alle Sovrintendenze competenti e al Ministero di competenza;
il 14 marzo 2007 il Soprintendente del Ministero per i beni e le attività culturali Dott. Arch. Alberto Artioli ha inviato una lettera dove dice testualmente: «il progetto viene autorizzato in quanto prevede un ingombro limitato e può rappresentare una valorizzazione del bene...» ... «ovviamente, in considerazione della probabile presenza di testimonianze archeologiche questa Soprintendenza ha condizionato il proprio parere ad eventuali ritrovamenti, che effettivamente ci sono stati, sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica, suggerendo così una leggera traslazione del nuovo costruito che, a parere di questa Soprintendenza, non altererà il significato e il decoro del bene monumentale né inciderà sulla lettura paesaggistica essendo discretamente inserito all'interno della cinta muraria» (Allegato A);
se tali «ingombri limitati» venissero generalizzati a tutti i beni monumentali presenti in Italia che cosa accadrebbe al nostro patrimonio artistico culturale nazionale? In questo senso non si riesce a capire se esiste già un permesso per costruire e come ha potuto la Commissione del Paesaggio prima e la Soprintendenza poi acconsentire ad una modificazione della funzione del Castello-recinto e all'assetto paesaggistico nella sua visione globale;
il 20 marzo 2007 la Soprintendenza per i Beni Architettonici della Lombardia, prot. n. 3147 a firma del Direttore Jolanda Lorenzi, dice: «... in considerazione dell'altissimo rischio archeologico ha ritenuto
indispensabile che le aree ove sarebbe dovuta sorgere la progettata costruzione e le opere accessorie al nuovo edificio venissero preventivamente esplorate...». «...Lo scavo ha messo in luce una stratigrafia archeologica di grande interesse con il riconoscimento di sette fasi databili dall'epoca preistorica ad oggi...»;
esiste persino un documento datato nel lontano 6 aprile 1942 e firmato dal Soprintendente di allora Gino Chierici che recita: «il castello medievale di Corenno Plinio, di proprietà del Conte Alessandro Sormani, per la sua importanza storico artistica è posto sotto tutela della legge 1 giugno 1939, n. 1089. Gli avanzi di questa costruzione costituiscono la maggiore attrattiva del paese e pertanto è necessario, non solo per la loro conservazione ma anche per la loro visibilità, impedire addossamenti, siano pure provvisori, di materiale o di baracche in legno». (Allegato B). Il Documento lascia presupporre un vincolo sia sul Castello che sulla struttura Paesaggistica di Corenno;
esiste inoltre un Castello-ricetto a Moniga del Garda, provincia di Brescia, con le stesse caratteristiche di quello di Corenno Plinio perché rifugio (receptum) per la popolazione locale dove in un articolo sul Corriere della Sera del 18 marzo 2007 si legge: «...parliamo del progetto secondo cui, su un dosso in vista del lago, accanto alla cinta di mura del castello le ruspe hanno cominciato lo sbancamento per tirare su sei ville con piscina. Il Soprintendente Luca Rinaldi ha fatto fermare tutto...»;
il castello di Corenno Plinio è un bene comune di alto valore storico e paesaggistico e, per questa ragione, va tutelato -:
se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
se non ritenga inopportune le considerazioni svolte dal Sovrintendente Artioli che concede l'autorizzazione per il progetto di ampliamento giustificandola con l'affermazione - che gli interroganti ritengono singolare - «ingombro limitato»;
per quali ragioni paradossali si debba amaramente costatare che 65 anni fa era impossibile edificare all'interno delle mura del suddetto castello ed oggi, al contrario, questo viene permesso;
quali iniziative intenda adottare affinché venga tutelato un bene culturale d'interesse comune come il Castello di Corenno Plinio.
(4-03129)
Risposta. - Attualmente il Castello di Corenno Plinio è costituito da un recinto murario che perimetra uno spazio libero, svuotato di ogni funzione ed è parte di un compendio che comprende il giardino, le tombe e la darsena, sottoposto a vincolo monumentale con decreto ministeriale del 7 luglio 1987.
Il vincolo non prescrive la inedificabilità, ma prevede che ogni intervento modificativo sia compatibile con il bene e ne preservi le caratteristiche tipologiche e la storicità.
La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Milano dopo aver fatto ridurre il volume proposto, autorizzava la realizzazione di una contenuta struttura abitativa all'interno della cinta muraria, subordinandola ad indagine archeologica stratigrafica che ha messo in luce una stratigrafia molto interessante, relativa a ben sette fasi cronologiche dall'età preistorica ad oggi, evidenze conservate in situ ed adeguatamente salvaguardate.
La Soprintendenza ha valutato che l'opera autorizzata non condiziona la qualità paesaggistica del Castello. Essendo inserita all'interno della cinta muraria, non mette in pericolo la fisicità del bene vincolato né ne altera il volume, ed è sicuramente reversibile perché può essere rimossa senza modificazione del bene tutelato.
Per quanto riguarda l'antico parere espresso dalla Soprintendenza il 6 aprile 1942 cui l'interrogante si riferisce, occorre osservare che riguarda un'altra questione: erano state edificate, utilizzando come supporto la muratura storica, diverse baracche
addossate esternamente al castello, certamente non rispettose del monumento e del paesaggio.
Infine, quanto al paragone fatto con il Castello di Moniga del Garda, si tratta di una lottizzazione di volumi assai consistenti e di evidente impatto ambientale: è quindi improponibile il confronto per qualità, quantità e finalità dell'operazione.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
MANCUSO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro della solidarietà sociale. - Per sapere - premesso che:
le organizzazioni non governative svolgono un ruolo importante in Italia e all'estero;
nella «vicenda Mastrogiacomo», un'organizzazione non governativa ha svolto un ruolo cruciale nella liberazione del giornalista italiano -:
quante e quali organizzazioni non governative operino fuori dal territorio nazionale;
quali di queste organizzazioni non governative operino in Paesi caratterizzati da scenari di conflitto;
in questo caso, quali siano le norme che regolano il rapporto tra le organizzazioni non governative e le forze militari italiane, ove ve ne siano;
se lo Stato Italiano corrisponda e in quale misura aiuti economici alle associazioni non governative; se via sia un iter che le organizzazioni non governative devono seguire per accedere ai fondi di cui sopra.
(4-03179)
Risposta. - Possono operare all'estero, con progetti cofinanziati dal Ministero degli affari esteri, le Organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi degli articoli 28 e 29 della legge n. 49 del 1987. Alla data attuale le Ong idonee sono 222 (l'elenco è disponibile sul sito www.esteri.gov.it). Numerose associazioni, pur non disponendo del riconoscimento di idoneità del Ministero degli affari esteri, operano nei Paesi in via di sviluppo con fondi propri o di altri finanziatori.
A titolo esemplificativo, operano in Paesi caratterizzati da scenari di conflitto, con progetti co-finanziati ex articolo 2181, le seguenti Ong:
PAESI | ONG PRESENTI |
Afghanistan | IEMERGENCY- CESVI |
Iraq | Non sono presenti ONG italiane |
Libano | MOVIMONDO, CISP, VIS, RC, AVSI, ARCS, CTM SIV, MA'70, CISS |
Somalia | SES, COOPI |
Sudan | CCM, CINS, OVIC, MOVIMONDO, EMERGENCY |
Territori Palestinesi | AISPO, ACS, UCODEP, CIC, COCIS, ARCS, DISVI, MOVIMONDO, CESTAS, RC, GVC, COSPE, VIS |
L'articolo 1, comma 5 della legge n. 49 del 1987 stabilisce che «gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo non possono essere utilizzati, direttamente o indirettamente, per finanziare attività di carattere militare». Pertanto, le Ong cofinanziate dal Ministero degli affari esteri-Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo che operano in paesi in cui sono in corso conflitti, non hanno rapporti con le forze militari italiane eventualmente presenti sul territorio.
La corresponsione di contributi pubblici alle Ong è disciplinata dalla seguente normativa:
legge per la cooperazione allo sviluppo n. 49 del 1987 - Articoli 28 e 29;
delibera del Comitato direzionale n. 36 del 13 maggio 1997;
delibera del Comitato direzionale n. 73 del 9 ottobre 2006;
articolo 5 - decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998;
decreto ministeriale n.337 del 19 settembre 2004;
delibera del Comitato direzionale n. 72 del 9 ottobre 2006 (congruità retribuzioni cooperanti);
delibera del Comitato direzionale n. 71 del 9 ottobre 2006;
legge 426 del 1996.
Ai sensi della predetta normativa, il Mae-Dgcs può finanziare tre tipologie di programmi:
i progetti «promossi», con procedura ad istanza di parte, e cofinanziamento per percentuali inferiori al 70 per cento del valore complessivo della spesa prevista, secondo una lista di massimali stabiliti dalle citate delibere del Comitato direzionale. I progetti «promossi» si suddividono in «iniziative in loco», realizzate dalle Ong nei Paesi in Via di sviluppo, e iniziative di «Formazione e informazione allo sviluppo», realizzate prevalentemente in Italia;
i progetti «di sola conformità», che prevedono la corresponsione, da parte della Dgcs, con accredito diretto all'INPS, dei soli contributi previdenziali e assicurativi dei cooperanti e volontari applicati alle iniziative;
i «progetti affidati», elaborati dagli organi tecnici della Dgcs, la cui realizzazione, previe particolari procedure, viene demandata ad una o più Ong.
In particolare, le procedure di cofinanziamento dei progetti «promossi» per attività in loco prevedono 6 vagli in fase istruttoria (da parte dell'Ufficio Tematico Dgcs, dell'Ufficio Dgcs competente per territorio, dell'Ambasciata d'Italia in loco delle Unità tecnica locale, dell'Unità tecnica centrale di Roma e del Nucleo di valutazione del Comitato direzionale), una delibera del Comitato direzionale in fase decisionale (organo composto dai rappresentanti di diversi Ministeri), ed un vaglio iniziale da parte dell'Ufficio centrale del bilancio (organismo di controllo del Ministero dell'economia e delle finanze presso il Mae) sul decreto di impegno. Durante la vita del progetto (tre anni circa), le Ong Producono sei dossier contabili sottoposti a controllo congiunto Dgcs/Ucb-Mef. La nuova normativa prevede inoltre, per potere liquidare le varie tranches di co-finanziamento, la verifica di un revisore contabile iscritto all'Albo nazionale.
Le Ong possono accedere, oltre che a fondi Dgcs, a quelli comunitari, della cooperazione decentrata (Comuni, Province, Regioni), di altri donatori Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico/DAC o degli stessi Governi beneficiari, nonché a fondi privati e ad altri legittimi canali di finanziamento.
Possono accedere ai fondi Mae/Dgcs le Ong che hanno ottenuto l'«idoneità» ai sensi dell'articolo 28 della legge n. 49 del 1987, e per gli effetti dell'articolo 29. Per quel che concerne l'iter per il riconoscimento di idoneità, nell'esaminare le domande, la Direzione generale per la cooperazione allo viluppo accerta i presupposti previsti dal suddetto articolo 28, con particolare attenzione ai requisiti formali (costituzione ai sensi degli articoli 14, 36 e 39 del Codice civile, che regolano costituzione, ordinamento e amministrazione di associazioni, fondazioni, associazioni non riconosciute e comitati), al fine istituzionale di svolgere attività di cooperazione in favore delle popolazioni del terzo mondo, al fatto che non perseguano finalità di lucro, ai bilanci degli ultimi tre anni ed alle garanzie circa l'operatività e la capacità organizzativa dimostrata nel campo della cooperazione allo sviluppo nell'ultimo triennio. Vengono inoltre effettuati periodici controlli presso le sedi dei soggetti richiedenti.
Il Viceministro degli affari esteri: Patrizia Sentinelli.
MARINELLO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la triste vicenda del bambino nato prematuramente e deceduto subito dopo presso l'Ospedale di Careggi vicino Firenze, a seguito anche ad errori da parte dei medici che hanno praticato l'aborto credendolo malformato, ripropone drammaticamente la vicenda dell'aborto terapeutico
e dell'interruzione della gravidanza, di un feto di 22 settimane rivelatosi poi sano;
quanto accaduto desta sconcerto e perplessità sullo stato di efficienza della sanità nella Regione Toscana, anche alla luce di deprecabili vicende accadute recentemente proprio all'interno del suddetto ospedale a seguito dei trapianti di organi infetti;
infatti il decesso del feto nato vivo dopo l'aborto induce a verificare se sussistano gli estremi per una sospetta violazione della legge 194 recante: «Norme per la tutela della maternità e sull'interruzione volontaria di gravidanza», in quanto appare evidente che quanto accaduto costituisce l'ennesima prova che la predetta legge non sia rispettata;
in particolare l'articolo 7 della legge 194 prevede che qualora la gestazione abbia superato i 90 giorni, se sussiste la possibilità di vita autonoma del bimbo, la gravidanza si può interrompere a scopi cosiddetti terapeutici solo quando la sua prosecuzione comporti grave pericolo di vita per la madre;
in base alla legge vigente dunque, l'aborto terapeutico eugenetico, slegato da ogni idea di tutela della vita della donna, è vietato, come confermato anche dalla Corte di Cassazione;
all'interrogante appare ulteriormente confermata la violazione della legge 194, anche in un'altra parte dell'articolo 7, ovvero quella che impone a chi assiste all'aborto di prestare assistenza al feto nato vivo, obbligando il medico ad adoperarsi per salvaguardare la vita del bimbo -:
se non ritenga urgente avviare un'indagine ministeriale al fine di verificare le effettive responsabilità di quanto avvenuto all'interno della struttura ospedaliera riportata in premessa, sulla vicenda dell'aborto terapeutico e sulle diagnosi evidentemente sbagliate che hanno provocato il decesso del bambino;
se non ritenga infine, in considerazione di quanto avvenuto, di dover intervenire, attraverso un apposito provvedimento legislativo, al fine di correggere evidenti distorsioni e lacune normative contenute all'interno della legge 194, cosi come questa triste vicenda ripropone in maniera evidente.
(4-02883)
Risposta. - In merito alla vicenda avvenuta nell'Ospedale di Careggi (Firenze), si ricostruiscono di seguito gli eventi sulla base dei dati forniti dalla Prefettura di Firenze e dall'azienda Ospedaliera Universitaria Careggi.
L'11 dicembre 2006 una signora di 35 anni, giunta all'undicesima settimana di gravidanza effettua l'ecografia di primo livello presso l'ospedale di Borgo San Lorenzo (Firenze); con questo esame viene ricercato anche un indicatore di screening di possibili formazioni (translucenza nucale), di cui viene rilevata l'alterazione. L'interessata viene inviata il giorno seguente al «Centro di Riferimento Regionale Prevenzione Diagnosi Prenatale Difetti Congeniti» dell'Ospedale Careggi di Firenze per ulteriori approfondimenti.
Una seconda ecografia conferma l'alterazione, che è indice di un rischio aumentato di anomalie cromosomiche, cardiopatie congenite, sindromi genetiche, ritardo di crescita fetale. Su consiglio del genetista, la signora esegue nella stessa giornata la villocentesi, ma il referto esclude problemi cromosomici.
Il 12 febbraio 2007 la signora si sottopone ad ulteriori esami ecografici, i quali mettono in evidenza altri indicatori di possibile rischio di ritardo di crescita fetale e di malformazioni (presenza di arteria ombelicale unica e mancata visualizzazione della bolla gastrica).
Il 19 febbraio 2007 viene eseguita la quarta ecografia: persiste il sospetto di malformazione, ma il ginecologo precisa che la malformazione potrebbe essere di vari gradi di serietà, correggibile chirurgicamente con modalità differenziate a seconda del grado di gravità, e che l'entità della malformazione può essere concretamente verificabile solo dopo il parto. Alla
signora, che è accompagnata dal marito e che dimostra la propria preoccupazione e comincia a parlare apertamente di interruzione della gravidanza, viene proposta la risonanza magnetica e la consulenza del chirurgo pediatra presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze.
Dopo un'ora di riflessione, la paziente comunica ai sanitari la decisione di non sottoporsi ad ulteriori accertamenti né di voler parlare con il chirurgo pediatra, avendo già avuto occasione di consultarne uno di sua conoscenza nella settimana precedente. Il ginecologo e il genetista la convincono ad attendere un'altra settimana per un'ulteriore ecografia, un'eventuale risonanza magnetica e un consulto del chirurgo pediatra.
La successiva ecografia viene effettuata il 26 febbraio 2007, con esito identico alle precedenti (mancata visualizzazione della bolla gastrica ed arteria ombelicale unica). Al ginecologo e al genetista, nuovamente consultato, la signora conferma in presenza del marito la volontà d'interrompere la gravidanza. Viene, pertanto, illustrato dal ginecologo l'iter previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194 per l'interruzione volontaria della gravidanza oltre il 90esimo giorno, e viene consultato lo psichiatra per il certificato a supporto alla decisione.
Il consulto viene eseguito il giorno stesso a Borgo San Lorenzo e lo psichiatra certifica il rischio di uno squilibrio delle condizioni psichiche della donna in caso di prosecuzione della gravidanza.
Il giorno dopo all'Ospedale Careggi viene completata la certificazione prevista per l'IVG e la signora viene ricoverata; l'IVG viene effettuata alle ore 15,42 del 2 marzo 2007. Il bambino risulta non vitale, l'ostetrica prosegue l'assistenza alla donna, ma, quando esamina nuovamente il feto, rileva segni di vitalità. Vengono subito eseguite le prime procedure di rianimazione e viene allertato il neonatologo.
Il neonatologo, accompagnato dall'infermiera della Terapia Intensiva Neonatale, giunge alle ore 16.00 in sala parto e procede alla rianimazione neonatale del bambino, rinvenuto ipotonico, cianotico, con scarsa attività respiratoria spontanea e bradicardico (circa 80 battiti al minuto).
Nel corso delle manovre, viene inserita anche una sonda orogastrica, la quale procede senza difficoltà fino alla cavità gastrica, riscontrando l'assenza di malformazioni. Per mancanza di disponibilità di posti, il bambino viene trasportato alla Terapia Intensiva Neonatale del Meyer, dove, nonostante le cure, le sue condizioni si aggravano fino alla morte, che avviene alle 4.45 dell'8 marzo 2007.
La drammatica vicenda avvenuta all'Ospedale di Careggi ripropone l'urgenza di costruire una società accogliente nei confronti della nascita, capace di promuovere la maternità e la paternità responsabili e di prevenire l'aborto.
L'analisi dei dati risultante dalla verifica dell'attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, evidenzia una riduzione del ricorso all'aborto (- 45 per cento dal 1982 ad oggi e - 6,2 per cento nel solo ultimo anno di riferimento), mettendo in luce, pertanto, come l'aborto non sia considerato un metodo contraccettivo. La scelta da parte della donna si è qualificata come scelta di procreazione responsabile che lega indissolubilmente la vita umana alla capacità di accoglienza del grembo materno.
La legge n. 94 del 1978 si dimostra di estrema attualità anche per rispondere alle più recenti sollecitazioni, come quella di prendere in considerazione il progressivo abbassamento del periodo di gestazione entro il quale il nascituro presenta comunque possibilità di sopravvivenza autonoma.
L'articolo 7, citato nell'atto parlamentare, non indica un limite temporale entro il quale delimitare a priori l'esistenza di tale possibilità; correttamente e con lungimiranza il legislatore ha previsto in anticipo i potenziali sviluppi della scienza in questo campo, affidando alla medicina e ai suoi progressi l'individuazione degli ambiti temporali di applicazione della legge.
La drammatica vicenda avvenuta a Careggi costituisce ulteriore motivazione per il Ministero della Salute ad accelerare il confronto con la comunità scientifica italiana e con le Regioni, per predisporre apposite linee guida e per far sì che i centri di
diagnosi prenatale siano sempre in grado di garantire l'adeguato supporto psicologico alle pazienti.
Potenziare i consultori anche come sostegno alla relazione di coppia genitoriale e familiare; promuovere il parto naturale e la continuità dell'assistenza tra gravidanza, parto e puerperio; rafforzare i diritti del nascituro: sono questi gli aspetti più importanti della legge sul parto, presentata dal Ministro della Salute Livia Turco nel luglio scorso e attualmente all'esame parlamentare, nonché delle norme contenute nella legge finanziaria 2007 e del piano d'azione per la salute delle donne e del bambino, discusso in una grande assemblea di donne e operatori il 7 marzo 2007 a Napoli.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
MASCIA, FRANCO RUSSO e DE CRISTOFARO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel prossimo mese di Luglio avranno luogo circa 600 assunzioni per altrettante unità di personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
per procedere a tali assunzioni saranno utilizzate le graduatorie relative agli idonei del concorso a 184 posti del marzo 1998, a 173 posti riservato ai discontinui, a 55 posti riservati agli ausiliari del 2004 e a 55 posti del concorso riservato agli ausiliari del 2005;
è prevista entro l'anno la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di un altro bando di concorso per l'assunzione nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco di 1021 unità, di cui 814 V.P., autorizzato da un recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dove è previsto tra l'altro una riserva di posti di lavoratori precari-discontinui che hanno svolto nel corpo dei Vigili del fuoco 120 giorni di servizio e con 3 anni di iscrizione all'albo regionale dei Vigili del fuoco discontinui;
gli idonei al concorso per 184 posti del marzo 1998 hanno svolto ben 5 prove selettive ed una visita medica e la scadenza della loro graduatoria è prevista per il 31 dicembre 2007 -:
se non si ritenga opportuno rivedere e aggiornare la graduatoria relativa al concorso per 184 posti del marzo 1998 a favore degli idonei che hanno svolto 120 giorni di servizio nel Vigili del fuoco e che risultino iscritti all'albo regionale da più di tre anni, evitando così facendo ulteriori penalizzazioni subite da questi lavoratori in forza di successive graduatorie emesse.
(4-04001)
Risposta. - Con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, (legge finanziaria 2007) si è iniziata un'inversione di tendenza sostanziale rispetto alla finanziaria precedente, in quanto si è previsto, per l'anno in corso, a decorrere dal prossimo mese di luglio, l'assunzione di un contingente di 600 vigili del fuoco per far fronte alle carenze di organico del Corpo Nazionale.
La graduatoria del concorso pubblico, per esami, a 184 posti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, bandito nel 1998, è stata prorogata, da ultimo, con decreto legge del 28 dicembre 2006, n. 300, concernente la «proroga dei termini previsti da disposizioni legislative» fino al 31 dicembre 2007.
Nel relativo bando di concorso, ai sensi del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 512, convertito nella legge 28 novembre 1996, n. 309, è stata già prevista ed applicata una riserva di posti pari al 25 per cento a favore dei vigili volontari in servizio presso gli appositi distaccamenti ed ai vigili iscritti nei quadri del personale volontario (cosiddetti discontinui) che alla data di scadenza del bando suddetto avessero prestato servizio per almeno sessanta giorni.
La graduatoria finale del concorso è stata pubblicata con decreto ministeriale del 9 maggio 2000 tenuto conto delle previsioni e le riserve di cui al bando medesimo.
La riserva di posti a favore del personale volontario che abbia prestato servizio per 120 giorni nel Corpo Nazionale dei vigili del
fuoco ed iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni, cui fa riferimento l'interrogante è stata, invece, successivamente introdotta dall'articolo 5 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217.
Com'è noto per l'applicazione del principio generale di irretroattività della norma, detta riserva opera soltanto a favore di coloro che, alla data di indizione del prossimo concorso pubblico per vigile del fuoco, siano in possesso dei suddetti requisiti, e non può, in relazione al principio dell'intangibilità della graduatoria già formata secondo le regole stabilite dal singolo bando di concorso, incidere sui diritti quesiti dei cittadini.
Diversa è, invece, la questione dei precari-discontinui cui fa cenno l'interrogante, nell'atto di sindacato ispettivo.
Al riguardo, il Governo, allo scopo di porre soluzione al problema, ha proposto l'introduzione nella finanziaria per il 2007 di un percorso ad hoc per la stabilizzazione del personale precario.
Infatti, con la legge finanziaria, oltre ad allocare le risorse per un'immediata assunzione, entro il 1o luglio 2007, di 600 vigili del fuoco, cui si aggiungeranno ulteriori unità dal fondo appositamente istituito per le assunzioni, si è avviato un importante processo che, attraverso regole e procedure autonome appositamente previste nella finanziaria medesima, porterà alla stabilizzazione, nel prossimo triennio, di una parte dei vigili del fuoco selezionati tra quei soggetti che prestano servizio volontario nel Corpo Nazionale stesso, iscritti negli appositi elenchi da almeno tre anni e con almeno centoventi giorni di servizio.
Tale importante scelta, oltre ad avviare un processo di stabilizzazione di giovani che prestavano servizio discontinuo nel Corpo Nazionale, assicurerà allo Stato l'immissione di personale già altamente qualificato e che quindi potrà immediatamente dare un proprio contributo al fondamentale ruolo del Corpo nazionale preordinato ad assicurare la salvaguardia della vita delle persone.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Ettore Rosato.
OLIVIERI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 5 settembre 2006 l'interrogante ha visitato il carcere di Chiavari (Genova) prendendo visione che sono in corso lavori di ristrutturazione dell'edificio finanziati direttamente dal Ministero della Giustizia;
nonostante tali lavori, assegnati nel 2002, siano effettivamente iniziati solo nel 2005, con consegna prevista peraltro nel corso dello stesso 2005, gli stessi sono ancora in svolgimento;
la ristrutturazione in corso determina difficoltà per i detenuti che nello scorso inverno, per esempio, hanno sopportato il disagio derivante dalla forte umidità causata da lavori in corso nel tetto della struttura;
da verifiche effettuate dall'interrogante risulterebbe non infondato il rischio che i lavori non possano essere terminati come da progetto a causa della mancanza di risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quanto già stanziato che si renderebbero necessarie per il completamento dell'opera;
sempre nel corso della visita del 5 settembre hanno trovato conferma le notizie, riportate più volte dalla stampa locale, relative al sottodimensionamento degli organici di polizia penitenziaria in servizio presso la struttura, circostanza che costringe peraltro gli agenti a pesanti turnazioni e determina difficoltà nella fruizione del diritto alle ferie -:
quali iniziative intenda assumere affinché siano garantiti i finanziamenti necessari per concludere i lavori di ristrutturazione in maniera conforme al progetto approvato;
se ritenga di dover provvedere affinché sia adeguatamente incrementato l'organico della polizia penitenziaria in servizio presso la struttura carceraria di Chiavari.
(4-01013)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si fa presente che i lavori
di ristrutturazione della Casa Circondariale di Chiavari si riferiscono al recupero del sottotetto, in precedenza non utilizzato, al fine di realizzare una serie di locali non destinati alla detenzione.
Il progetto, redatto nell'anno 2002, prevedendo una modifica sostanziale della copertura, è stato sottoposto all'esame degli organi preposti al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Al riguardo, si sono svolte due conferenze di servizio presso il Provveditorato alle opere pubbliche per la Liguria, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 383 del 1994 e decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (articolo 81).
La realizzazione dei lavori ha comportato il completo smontaggio del solaio di copertura e, nonostante siano stati presi tutti i necessari accorgimenti tecnici per impedire penetrazioni, le notevoli precipitazioni piovose che hanno caratterizzato l'inverno 2004-2005 hanno determinato infiltrazioni e conseguenti macchie di umidità all'interno di limitate zone dell'edificio.
Attualmente, nel far presente che la copertura dell'edificio è stata completata, si segnala che i lavori saranno ultimati compatibilmente con le risorse finanziarie che saranno assegnate a seguito dell'approvazione del programma di edilizia penitenziaria 2007/2009.
Per quanto concerne il personale di Polizia penitenziaria, si comunica che il competente Dipartimento segue con particolare attenzione la situazione della Liguria.
Peraltro, il Provveditore Regionale ha segnalato il radicale cambiamento della situazione carceraria a seguito dell'approvazione dell'indulto, che ha determinato una riduzione di circa il 50 per cento della popolazione detenuta nella Regione. Ciò ha inciso positivamente sulle condizioni operative del corpo degli agenti penitenziari, con una significativa riduzione dei relativi carichi di lavoro.
Si fa, infine, presente che l'organico della casa circondariale di Chiavari rientra nella media regionale ed ha una presenza di 44 unità di personale di Polizia penitenziaria rispetto ad una previsione di organico di 60 agenti.
Allo stato, peraltro, la situazione dell'istituto non desta allarme e, comunque, sarà suscettibile di miglioramento all'esito delle procedure concorsuali in corso.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
PICANO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 16 della legge 121/81 pone la Polizia Penitenziaria (allora Corpo degli Agenti di Custodia) tra le Forze di Polizia che possono essere chiamate a concorrere nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica;
la legge 395/90 (Ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria) con l'articolo 5 (compiti istituzionali) ribadisce la concorrenza della Polizia Penitenziaria in compiti di pubblica sicurezza, e pubblico soccorso, prevedendoli quali uniche eccezioni al divieto di impiego in compiti che non siano direttamente connessi ai servizi d'Istituto;
secondo quanto risulta all'interrogante, per la verità l'impiego della Polizia Penitenziaria nei servizi di pubblica sicurezza è del tutto residuale e sporadica;
risulterebbe invece enormemente proficua la presenza di Poliziotti Penitenziari nelle attività di controllo in occasione di grandi affluenze (stadi, concerti, eventi) stante la loro conoscenza diretta dei pregiudicati sui quali la sola presenza di Poliziotti Penitenziari ai varchi di accesso sortisce effetto di forte deterrenza, come dimostrato allorquando quegli Agenti sono stati impiegati;
il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria tende a non autorizzare l'impiego della Polizia Penitenziaria in compiti di pubblica sicurezza, appellandosi alla carenza degli organici e le Direzioni degli Istituti Penitenziari si sono appiattite dietro questa tendenza;
pur con gli organici sofferenti, si tratterebbe di facilitare l'impiego non di
interi reparti ma di pattuglie da porre a disposizione dell'Ufficiale di P. S. per un impiego mirato;
attualmente, oltretutto, i carichi di lavoro della Polizia Penitenziaria, dopo l'emanazione dell'indulto, risultano notevolmente ridotti ed il Corpo dispone finalmente di suoi funzionari direttivi (il 27 ottobre termina il 1 corso dei Vice Commissari del ruolo direttivo ordinario);
un impiego del personale di Polizia Penitenziaria in compiti esterni all'Istituto migliorerà l'attaccamento al servizio di quegli uomini qualificandone la visibilità e l'immagine;
il decreto del 28 aprile 2006 a firma Pisanu - Riassetto dei comparti di specialità delle forze di Polizia (Gazzetta Ufficiale n. 193 del 21 agosto 2006) - trascura totalmente il riassetto della Polizia Penitenziaria, pur citandola nelle premesse;
a giudizio dell'interrogante, tale mancanza è di gravità notevole e necessita quanto prima di un'apposita verifica dall'autorità competente, nonché di un'integrazione per l'ambito della Forza di Polizia trascurata -:
quali iniziative intenda mettere in atto per sopperire alle mancanze delle amministrazioni precedenti e per dare maggior lustro a quella che è certamente un'importante Forza di Polizia del nostro Paese.
(4-01022)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, va preliminarmente evidenziato che il legislatore ha attribuito in via prioritaria al Corpo della Polizia penitenziaria l'assolvimento di compiti di grande rilevanza istituzionale e spessore sociale, quali la garanzia dell'ordine e sicurezza all'interno degli istituti di prevenzione e pena e la partecipazione attiva all'opera di osservazione e trattamento rieducativo.
In questo quadro, l'impegno del personale della Polizia penitenziaria in compiti di ordine pubblico deve essere necessariamente circoscritto a particolari situazioni, selezionate nell'ottica di un'economia generale delle risorse.
Per completezza di informazione, va anche precisato che ai compiti istituzionali sanciti dalla legge n. 395 del 1990, si sono aggiunte, a seguito del decreto del Presidente della Repubblica n. 395 del 1995, le seguenti specializzazioni nell'ambito del personale:
conduttore di unità cinofile;
elicotterista;
sommozzatore;
istruttore di tiro.
Ulteriori e rilevanti servizi, anche per la loro ricaduta all'esterno, sono anche i seguenti:
il Servizio Navale, che costituisce un supporto operativo-logistico alle strutture penitenziarie di Favignana, Porto Azzurro, Marina di Campo, Gorgona, Venezia e Napoli, il cui personale espleta quotidianamente servizio di «Polizia marittima»;
il Servizio delle Traduzioni e dei Piantonamenti.
In occasione di eventi particolari sono stati richiesti e svolti servizi anche di ordine pubblico, come quello di sgombero in mare e di interdizione per il «G8» di Genova, unitamente alle altre forze di polizia.
Ulteriori servizi svolti all'esterno sono quelli di ordine pubblico e di vigilanza ai concorsi per uditore giudiziario, avvocato, notaio, in occasione dei quali il Corpo ha conseguito sempre ottimi risultati e riconoscimenti all'esterno del carcere.
Dal maggio 2000 l'Amministrazione penitenziaria ha, inoltre, avviato un piano di cooperazione con la missione internazionale delle Nazioni Unite in Kosovo. Un contingente di Polizia penitenziaria è stato assegnato al Penal Management Division Kosovo Correctional - Missione ONU (UNMIK), venendo impiegato presso l'istituto penitenziario di Dubrava, il più grande dei Balcani, in attività particolarmente sensibili, come la sorveglianza dell'intercinta
(outside security) ed in servizi di traduzione di detenuti e affiancamento degli operatori penitenziari kosovari nei vari servizi (training in service).
Nel marzo 2002, il contingente ha avuto l'incarico straordinario di effettuare la traduzione delle prigioni della Serbia dei circa 165 detenuti di etnia albanese-kosovara. Al termine del primo semestre di impiego, i componenti del contingente di polizia penitenziaria sono stati insigniti della «medaglia della pace», speciale onorificenza delle Nazioni unite.
Con riferimento alla prospettata questione relativa alla diminuzione dei carichi di lavoro a seguito dell'emanazione dell'indulto, si può osservare che il minor assorbimento dovuto dalla diminuzione della popolazione detenuta deve essere in primo luogo finalizzato a sviluppare gli standard qualitativi del servizio nelle strutture penitenziarie sul territorio nazionale, attraverso l'innalzamento dei livelli di sicurezza e l'approfondimento dell'osservazione dei detenuti.
Non va, inoltre, trascurato che il ritorno a presenze numeriche più confacenti alla reale capacità ricettiva degli istituti penitenziari determina migliori condizioni di vita per i reclusi nonché di lavoro per gli operatori e non già una minore necessità di questi ultimi, il cui numero non risulta attualmente sufficiente a soddisfare tutte le necessità istituzionali.
Da quanto sin qui esposto, emerge che la «carenza degli organici», ben lungi dal costituire una mera clausola di stile, è strettamente correlata alla salvaguardia degli stessi diritti del personale.
D'altra parte, il DAP continuerà a promuovere ogni iniziativa utile allo Stato oltre che alla propria immagine, entro i limiti consentiti dall'ordinamento.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
POLETTI e CAMILLO PIAZZA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Genova nella delegazione di Quarto esiste un antico Uliveto tra lo scoglio dei Mille e Nervi, che occupa un'area ove sono presenti resti di antiche strutture quali le mura, un ponte ad arco in pietra, alcuni pozzi, la villa rurale, i muri a secco di fascia con contrafforti ed alvei per palafitte;
l'Uliveto è ancora vivo e vitale ed attualmente coltivato ad orto;
il sito dell'Uliveto rappresenta un'area di particolarissimo interesse ambientale ed archeologico in merito alla quale la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria si è espressa in data 30 marzo 2006 definendola come parte di un sistema di mulattiere medioevali nonché rarissimo esempio di uliveto murato analogo ad altri esempi della Liguria di Levante, ora scomparsi, citati in documenti fin dal Quattrocento;
l'Uliveto è interessato da un progetto di lottizzazione urbanistica che prevede la realizzazione di palazzi e autorimesse che comprometterebbe in maniera irreversibile le caratteristiche ambientali, archeologiche e storiche del sito;
presso la Direzione Regionale Ligure della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria è ora in corso un tavolo di confronto tra le Soprintendenze Etnoantropologica, Ambientale ed Archeologica per valutare l'assunzione di eventuale provvedimento per imprimere all'Uliveto la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell'articolo 138 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e s.m.i. entro il corrente mese di gennaio;
la regione Liguria ha manifestato formale interesse per inserire l'area nel circuito culturale in collegamento con il Museo di Storia e Cultura Contadina in linea con le direttive europee sulla conservazione attiva utilizzando la vecchia pittoresca costruzione rurale per ospitare una struttura dell'antica arte olearia -:
se il Governo non ritenga opportuno attivarsi tramite la Direzione Regionale
Ligure del ministero per i beni e le attività culturali affinché venga applicata una tutela efficace e globale dell'Uliveto di Genova Quarto attraverso il divieto a qualsiasi realizzazione di intervento urbanistico di trasformazione del sito che ne deturpi le caratteristiche ambientali, archeologiche e storiche.
(4-02413)
Risposta. - La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Liguria ha proposto la dichiarazione di interesse culturale ex articolo 13 del decreto legislativo n. 42 del 2004 dell'area compresa tra la via Romana della Castagna, la via Ribaldone e la ex via della Scala, nella delegazione genovese di Quarto, su cui insistono con evidenza gli elementi costitutivi di un antico uliveto murato, rarissimo esempio di hortus conclusus di origine medievale ancora integro.
Il procedimento si è concluso con l'emanazione da parte della Direzione Regionale della Liguria del decreto di vincolo del 22 gennaio 2007, notificato ai proprietari interessati il 25 gennaio.
La Soprintendenza inoltre ha avviato il procedimento di tutela indiretta ai sensi dell'articolo 46 del decreto legislativo n. 42 del 2004 per la restante area limitrofa all'uliveto, al fine di garantire unitarietà del complesso salvaguardandone le residue caratteristiche di hortus conclusus, in parte compromesse dalla realizzazione di impianti sportivi.
Anche l'avvio di questo procedimento è stato comunicato agli interessati in data 12 febbraio 2007.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
PAOLO RUSSO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Marigliano (Na) nel corso di lavori di scavo finalizzati a realizzare infrastrutture nell'area di insediamento produttivo in via Sentino sono stati rinvenuti reperti che farebbero pensare ad una necropoli sannita;
nonostante il ritrovamento non si interrompevano i lavori con grave rischio per i reperti;
si è venuti a conoscenza di tale importante rinvenimento grazie non alla ordinaria catena di controllo e direzione dei lavori, ma alle iniziative spontanee e segnalazioni di cittadini e di organi di stampa;
solo su sollecitazione della sovrintendenza ai beni archeologici si è disposta la sospensione dei lavori ed il monitoraggio dell'area interessata;
volenterosi cittadini hanno fotografato i reperti che ancora il giorno venerdì 27 aprile 2007 erano nel luogo della straordinaria scoperta, ma già dopo qualche giorno la quantità degli stessi risultava significativamente ridotta a seguito di significative e devastanti azioni predatorie;
a tutt'oggi manca un serio piano di sorveglianza e tutela dell'inestimabile patrimonio ritrovato;
pare evidente che i lavori dell'area Pip sono iniziati con procedure accelerate prive di seri campionamenti e carotaggi tesi a verificarne la praticabilità e meglio individuandone così la delimitazione perimetrale;
tale straordinario rinvenimento può rappresentare un volano importante per la valorizzazione culturale dell'intero territorio nell'ambito dei percorsi culturali archeologici;
pare superfluo significare come la ripresa dei lavori dell'infrastrutturazione della necessaria area Pip passi indispensabilmente per un più serio ed approfondito esame geologico rilevatore di queste uniche ricchezze;
quelle che l'interrogante giudica vere e proprie inavvedutezze dell'amministrazione comunale hanno arrecato un doppio danno alla collettività: ritardo nella infrastrutturazione
dell'area Pip e depauperamento del patrimonio culturale;
l'amministrazione comunale di Marigliano si è già distinta per la disattenzione che mostra per la storia della città (per tutte valga l'abbatimento dello storico palazzo Montagna) -:
quali iniziative si intendono porre in essere per tutelare i reperti rinvenuti ed ancor meglio definire il campo ritrovato, provvedere ad un ampio studio che comprenda l'intera zona rendendo così ragione ai numerosi studiosi che indicano quell'area particolarmente ricca dal punto di vista archeologico e per consentire una prospettiva di sviluppo culturale nei sentieri della nostra storia.
(4-03482)
Risposta. - Nel comune di Marigliano (Napoli) durante i lavori di scavo per la costruzione di un collettore fognario, sono state rinvenute una serie di strutture relative ad una villa con annessa una necropoli, databile tra il IV secolo a.c. e l'epoca romana.
Ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 la Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Napoli e Caserta ha disposto la sospensione dei lavori di scavo ed il comune campano, ottemperando all'ordine, si è reso disponibile, di concerto con la locale Soprintendenza, alla salvaguardia del sito.
A seguito di incontri effettuati con funzionari del comune di Marigliano e della ditta affidataria dei lavori, la Soprintendenza, presa conoscenza anche del progetto di realizzazione del Piano per gli Insediamenti Produttivi, ha comunicato il programma di esplorazione archeologica necessario per portare in luce il sito.
Una volta rilevata la consistenza, l'estensione e l'importanza dell'area archeologica, potranno essere definite, d'intesa con l'Amministrazione Comunale, le modalità per la conservazione e valorizzazione nell'ambito di una prospettiva di sviluppo culturale.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
SAMPERI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in numerosi ospedali sono immagazzinati e impiegati liquidi disinfettanti che non recano la marcatura CE né l'indicazione dell'avvenuta registrazione presso il Ministero della Sanità;
sull'etichetta di tali «disinfettanti» non è specificato lo spettro di azione: TBC (virus tubercolosi), HIV (virus AIDS), HBV (virus epatite B), HCV (virus epatite C), virus lipofili e idrofili, dei quali i più difficili da debellare sono HCV e TBC;
ulteriori indicazioni altresì obbligatorie sarebbero carenti su detti disinfettanti. In particolare, la mancanza dell'indicazione CE e dello spettro d'azione assimilerebbe i «disinfettanti», dal punto di vista normativo, a dei meri cosmetici;
constano all'interrogante svariati furti di tali liquidi, i quali verrebbero pertanto impiegati anche in ambienti extraospedalieri, in ambienti - dunque - nei quali possono non essere rispettati determinati protocolli sanitari -:
se, nell'ambito delle attività ispettive sinora svolte dal ministero interrogato nell'ambito delle sue competenze, siano emersi fatti o notizie concernenti le vicende esposte in premessa e, in caso affermativo, quale sia il quadro informativo che ne emerge, in relazione alle strutture interessate, alla diffusione geografica, alle categorie maggiormente interessate e così via;
se si reputi necessario monitorare il suddetto fenomeno.
(4-02659)
Risposta. - Con riferimento a quanto segnalato nell'atto parlamentare, si precisa che nell'ambito delle attività ispettive svolte dal Ministero della Salute non risultano emergere notizie e fatti relativi a liquidi disinfettanti, utilizzati in ambiente ospedaliero, che siano carenti delle indicazioni obbligatorie.
Va, peraltro, ricordato che la funzione ispettiva, di competenza di questa Amministrazione, viene effettuata con riferimento
agli stabilimenti di produzione di presidi medico-chirurgici e di dispositivi medici, con esclusione dei controlli ispettivi nelle strutture ospedaliere, propri delle funzioni organizzative e gestionali di cui sono titolari gli Enti regionali.
Qualora, tuttavia, si evidenziassero notizie più circostanziate in merito ai fatti richiamati nell'interrogazione in esame, il Ministero della Salute si riserva di adottare le necessarie iniziative nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
SGOBIO, DILIBERTO, CANCRINI e VACCA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da un esposto presentato in data 12 dicembre 2006 al Tribunale di Milano risulta che da un confronto fra la lista dei cittadini residenti nella Regione Lombardia e quella degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale nel 2003 si è reso evidente che persone ormai decedute da molti anni per l'anagrafe risultavano invece ancora vive e quindi titolari del diritto all'assistenza sanitaria per la Regione;
nel 2003 l'elenco degli assistiti per cui la Regione Lombardia chiedeva soldi conteneva, solo a Milano, 850 ultracentenari, tre dei quali avrebbero avuto più di 120 anni e 79 dei quali avrebbero oggi più di 110 anni mentre secondo l'Istat i centenari a Milano al 31 dicembre 2003 erano 285;
probabilmente questo sistema di ritardi nella cancellazione dei defunti dalle liste degli assistiti è proseguito anche negli anni 2004 e 2005;
il sistema sanitario lombardo ha continuato a richiedere fondi per persone defunte sia allo Stato tramite i trasferimenti, sia ai cittadini in quanto pagatori di tributi, sia ai cittadini al momento delle prestazioni in quanto pagatori diretti di ticket;
tutti questi ritardi nella cancellazione dalle liste degli assistiti avrebbero determinato, secondo calcoli ancora approssimativi, un maggiore introito ed un corrispondente danno all'Erario, di 550 milioni di euro già al giugno 2003 -:
quali interventi ispettivi il Ministro della Sanità intenda attuare ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 528 del 1987 e dell'articolo 1, comma 172, della legge n. 311 del 2004, per verificare qual'è la situazione attuale della Sanità in Lombardia.
(4-02026)
Risposta. - Con riferimento a quanto segnalato nell'atto parlamentare, la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di Milano ha trasmesso i seguenti elementi di risposta.
L'articolo 50 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell'andamento dei conti pubblici», convertito in legge con modificazioni dall'articolo 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute e con la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, definisca i parametri della Tessera sanitaria (TS), nella quale è inserito il codice fiscale del titolare a garanzia della relativa identificazione.
La Regione Lombardia, avvalendosi di quanto previsto dal comma 11 del citato articolo 50, ha ottenuto il riconoscimento, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, della Carta Regionale dei Servizi, prima come tessera sanitaria e dal novembre 2006 anche come codice fiscale.
La Regione, tramite Lombardia Informatica S.p.A., che esercita il ruolo di gestore informatico dell'anagrafica, ha provveduto, nel mese di giugno 2006, ad inviare al suddetto Ministero i dati relativi all'intera anagrafica regionale, con l'obiettivo del riallineamento delle due banche dati; l'Anagrafica Regionale (NAR) gestita dalle ASL per il tramite di Lombardia Informatica, e l'Anagrafe Tributaria, di competenza del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
A seguito di tale invio il Ministero citato ha segnalato il numero di cittadini deceduti (circa 31.000 casi, pari allo 0,32 per cento circa della popolazione lombarda) che risultavano ancora iscritti nell'anagrafe sanitaria regionale e quindi in carico ai medici di medicina generale.
Pertanto, Lombardia Informatica ha provveduto all'aggiornamento dell'anagrafe regionale, riscontrando che una parte dei cittadini segnalati erano stati nel frattempo registrati presso gli uffici addetti delle ASL.
Pertanto, il numero iniziale di deceduti individuati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze si è diminuito (da circa 31.000 a circa 24.000, pari, quindi, allo 0,25 per cento circa dei cittadini), e la somma da recuperare da parte del Servizio sanitario nazionale risulta pari ad un importo di circa 4.500.000 euro.
La Regione ha provveduto sollecitamente ad applicare la relativa decurtazione economica sugli emolumenti spettanti ai medici di medicina generale e ha richiesto alle Aziende Sanitarie Locali:
1) di verificare la correttezza dei dati risultanti dalla validazione operata dal Ministero dell'economia e delle finanze rispetto ai dati risultanti dall'anagrafica sanitaria regionale, gestita tramite Lombardia Informatica S.p.A.;
2) di comunicare a Lombardia Informatica gli esiti di tale verifica ai fini degli aggiornamenti necessari;
3) di comunicare, direttamente o tramite la suddetta Società, al Ministero competente gli eventuali errori riscontrati, qualora fosse accertata l'esistenza in vita di cittadini che allo stesso Ministero risultavano invece deceduti.
Le Aziende Sanitarie sono state invitate, inoltre, a presentare una documentata relazione, che debba:
fornire le motivazioni che hanno determinato il verificarsi di quanto sopra esposto, precisando le eventuali criticità incontrate nell'aggiornamento dell'anagrafica e le azioni intraprese per il superamento delle stesse;
individuare quali azioni sono state adottate per il recupero delle somme indebitamente corrisposte ai medici di medicina generale;
certificare le modalità messe a regime per l'aggiornamento dei dati anagrafici.
Delle iniziative adottate è stata data, altresì, notizia al Procuratore Generale della Corte dei Conti.
Le verifiche condotte dalle Asl hanno identificato più di 1000 falsi deceduti, segnalati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, (pari al 3,2 per cento circa dei casi segnalati) e circa 3000 date di decesso errate (pari al 9,6 per cento circa dei casi segnalati).
Nel comunicare che tali dati saranno inviati al già citato Ministero per il definitivo riallineamento delle banche dati, la Prefettura, al riguardo, ha evidenziato, peraltro, che deve essere considerata la natura e le caratteristiche dell'anagrafica sanitaria regionale, caratterizzata da un'evoluzione dinamica collegata al sistema di scelta e revoca, e al cui aggiornamento provvedono in modo autonomo le singole Asl, sulla base degli aggiornamenti anagrafici dei comuni.
Relativamente alle necessarie iniziative per il recupero delle somme indebitamente erogate dal Servizio sanitario nazionale, le singole Aziende sanitarie stanno provvedendo secondo quanto previsto dall'Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 23 marzo 2005.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
TURCO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il deputato europeo Marco Cappato ha denunciato pubblicamente che il signor Giovanni Nuvoli è ricoverato presso l'Ospedale di Sassari nel reparto di terapia intensiva da oltre un anno. Giovanni Nuvoli, malato di sclerosi laterale amiotrofica, si trova in una condizione simile a quella di una persona in coma da un punto di vista
meramente fisico. È infatti attaccato a un respiratore e impossibilitato a qualsiasi movimento e persino a parlare. Psichicamente invece, il signor Giovanni Nuvoli è perfettamente vigile e capace di intendere e di volere, e dunque avrebbe bisogno vitale di poter usufruire del massimo di sollecitazioni e stimoli da un punto di vista psicologico e relazionale. Purtroppo però, il reparto di terapia intensiva consente (e nemmeno sempre!) visite per massimo un'ora al giorno da parte di massimo due persone;
in Italia la disponibilità di letti di terapia intensiva è spesso al di sotto delle reali esigenze;
i reparti di terapia intensiva presentano tassi di infezioni ospedaliere fra i più alti nell'ambito dei reparti ospedalieri, e dunque una presenza prolungata e non giustificata da indiscutibili motivazioni cliniche costituisce un rischio oggettivo per il paziente;
non si comprendono le motivazioni cliniche che giustificano il ricovero in terapia intensiva da oltre un anno, invece che in altri reparti quali riabilitazione, pneumologia o altri ancora, laddove non sembra che esistano protocolli che giustifichino il trattamento riservato al signor Nuvoli -:
se ritenga che il caso del signor Nuvoli sia un caso limite o invece faccia emergere una pratica diffusa, ovvero se disponga di un sistema di monitoraggio sull'uso della terapia intensiva - che peraltro ostacola la vita di relazione di questi malati, già pesantemente limitata - o se intenda avviare tale monitoraggio, con particolare riferimento al trattamento della sindrome laterale amiotrofica, che consentirebbe anche il ricovero in altri reparti;
se risultino i motivi in base ai quali solo ora è stata messa a disposizione una moderna strumentazione per la comunicazione basata su movimenti oculari, tenendo presente che questi ed altri sistemi sono disponibili sul mercato da tempo;
se si sia realizzato un piano per mettere a disposizione tale moderna strumentazione per tutti i malati nelle stesse condizioni.
(4-02738)
TURCO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in seguito a traumi o a patologie del sistema neuro muscolare possono venire compromessi il controllo motorio e la stessa capacità di parola, pur rimanendo integra ogni funzione cerebrale;
i soggetti in tale situazione mantengono inalterate capacità intellettive, di relazione, di scelta pur non riuscendo con la parola o con la normale scrittura a manifestarle all'esterno;
da oltre un decennio la tecnologia ha messo a punto sistemi innovativi per la comunicazione e l'interazione che consentono tramite l'uso di un normale computer e di idonee interfacce, di sintetizzare la voce, di usare canali di comunicazione (internet, posta elettronica) e di controllare apparecchiature domestiche consentendo così autonomia di vita e di espressione della volontà e del pensiero;
tali sistemi già da tempo riescono ad utilizzare i più piccoli movimenti residui e, nei casi più gravi, persino i movimenti oculari, poiché la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica in questo settore è in continua evoluzione e fornisce nuove e sempre migliori soluzioni;
il caso di Luca Coscioni ha dimostrato anche all'opinione pubblica che è possibile trasmettere idee, perseguire obiettivi, condurre battaglie politiche, incidere sulle istituzioni e sulle coscienze anche se la malattia costringe ad essere imprigionati nel proprio corpo ma si dispone di sistemi di comunicazione tecnologicamente avanzati che permettono di manifestare e trasmettere il proprio pensiero;
migliaia sono le persone in analoghe condizioni e la stragrande maggioranza di loro non dispone di sistemi di comunicazione simili;
le leggi che regolano il Servizio sanitario nazionale considerano un diritto del cittadino l'uso gratuito di tali sistemi ma lo rendono praticamente vano sia perché le strutture sanitarie sul territorio a ciò deputate sono carenti sia perché a livello nazionale il Nomenclatore dei dispositivi protesici (non essendo aggiornato nei fatti dall'inizio degli anni '90) non comprende proprio i sistemi tecnologicamente avanzati più efficaci;
tutto ciò si traduce in una gravissima lesione dei diritti costituzionali dei cittadini colpiti da gravi disabilità, oltre che una manifesta violazione delle norme e dei principi alla base del Servizio sanitario nazionale;
l'impatto economico dell'adozione dei sistemi tecnologici di comunicazione più moderni per tutti coloro che ne necessitano è irrisorio rispetto agli sprechi che continuamente la cronaca ci sottopone nella sanità, al costo della tutela delle corporazioni e degli interessi concentrati in campo sanitario e ancor più rispetto ai valori delle varie componenti della spesa sanitaria;
il Ministro della salute ha recentemente manifestato la volontà di rimuovere gli ostacoli che da anni violano i diritti di salute e costituzionali dei cittadini colpiti da tali patologie -:
quali iniziative concrete e con quali scadenze temporali abbia intrapreso o stia intraprendendo il Ministro della salute per ripristinare in tempi rapidi legalità e diritti;
quali iniziative di coinvolgimento, pressione e controllo abbia intrapreso nei confronti delle regioni, molte delle quali hanno manifestato sensibilità a riguardo ma non sempre con adeguate soluzioni operative;
se non ritenga opportuno, così come per il problema dei deficit sanitari regionali, di assumere iniziative per individuare stringenti meccanismi di penalizzazione e di incentivazione a livello economico-finanziario;
se non ritenga opportuno organizzare e coordinare a livello nazionale un Centro/Servizio di informazione che renda la conoscenza e l'accesso ai sistemi di comunicazione più moderni facile per gli utenti, obbligatorio per le strutture e incentivante per le aziende produttrici e i centri di ricerca nel settore.
(4-02785)
Risposta. - Si risponde congiuntamente alle interrogazioni parlamentari in esame, in considerazione dell'analogia dei relativi contenuti.
Il ricovero presso le unità di terapia intensiva dei presidi ospedalieri è previsto per quei pazienti in condizioni di instabilità (condizioni di insufficienza multiorgano), ad alto rischio di complicazioni, per i quali sussiste la necessità di cure intensive e di un monitoraggio continuo, che consenta di apportare modifiche terapeutiche in tempi rapidi.
Ad oggi, non risulta attivato un sistema di monitoraggio sull'uso della terapia intensiva, che risulterebbe, peraltro, di particolare complessità.
Il Ministero della salute già da tempo segue le problematiche correlate alla patologia denominata SLA (Sclerosi laterale amiotrofica), malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso, gravemente invalidante.
Nell'ambito delle iniziative avviate per rispondere alle esigenze assistenziali dei pazienti e delle loro famiglie, in data 4 gennaio 2007, è stata istituita la Commissione per la sclerosi laterale amiotrofica, coordinata dal Ministro Livia Turco.
Tale Commissione, in carica per un anno dalla data di insediamento, è composta da 21 membri di diversa estrazione professionale (esperti e rappresentanti delle associazioni di malati): le sue finalità sono quelle di individuare le criticità di maggior rilievo, di definire le priorità di azione e di promuovere la sperimentazione sul campo di soluzioni idonee a garantire risposte appropriate e personalizzate ai bisogni di cura ed assistenza del paziente affetto da SLA, attraverso i percorsi diagnostico-terapeutici adeguati, la rete integrata dei servizi territoriali e l'accesso agevolato a protocolli di cura innovativi.
In particolare, tra gli obiettivi della Commissione, è ricompresa la definizione di linee guida, protocolli e piani terapeutici appropriati; per quanto concerne le prime, una specifica priorità verrà attribuita all'assistenza domiciliare, nell'intento di predisporre un documento integrato con le indicazioni sull'assistenza domiciliare previste dalla Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA).
Un ulteriore obiettivo della Commissione è l'aggiornamento del Nomenclatore tariffario, che dovrà ricomprendere i presidi ed ausili che possano rivelarsi utili ad un sensibile miglioramento della qualità della vita di questi pazienti, quali, ad esempio, i sistemi ausiliari di comunicazione per chi ha perso l'uso della voce.
È opportuno ricordare che la disciplina dell'erogazione delle prestazioni di assistenza protesica, nell'ambito del più generale aggiornamento della normativa relativa ai LEA è oggetto di riesame periodico da parte di uno specifico tavolo a composizione mista Stato-Regioni.
In tale sede, che vede la partecipazione dei soggetti istituzionali direttamente coinvolti nei processi di organizzazione e gestione dell'offerta sanitaria, potranno essere opportunamente valutate tutte le proposte che appaiono migliorative per la qualità della vita delle persone in condizione di disabilità.
Inoltre, la Commissione SLA deve effettuare il censimento ed il successivo coordinamento dei Centri specialistici regionali e interregionali per la SLA, realmente operativi nel territorio nazionale, ed il censimento delle attività in corso.
Il Ministro Livia Turco ha ribadito in diverse occasioni la volontà di garantire la presa in carico domiciliare, comprensiva della messa a disposizione di dispositivi per la comunicazione, a favore dei malati di Sclerosi laterale amiotrofica o di altre patologie invalidanti che, provocando la perdita della parola, accrescono ulteriormente la sofferenza di questi pazienti.
Attualmente, infatti, tali dispositivi non sono forniti in maniera omogenea da tutte le Regioni, anche in attesa della definitiva revisione del Nomenclatore delle protesi.
Negli ultimi anni diversi dispositivi di sofisticata tecnologia sono stati progressivamente introdotti in commercio e validati nell'uso con successo; tra questi vi sono strumenti destinati a facilitare la comunicazione interpersonale (comunicatori a tastiera, a sintesi vocale, a scansione, eccetera) e dispositivi che consentono ai pazienti con gravi limitazioni motorie di comandare apparecchiature elettriche, elettroniche ed informatiche (sensori ad azionamento meccanico, pneumatico, ottico, a biopotenziale) utilizzando le funzioni residue.
In particolare, i «Sistemi di comunicazione aumentativa alternativa», tra cui rientrano i dispositivi per la comunicazione basati sul movimento degli occhi, cui fa espresso riferimento l'interrogante, sono utilizzati per consentire di comunicare nelle fasi più avanzate della SLA o di altre gravi patologie invalidanti, quando restano soltanto i movimenti oculari a collegare il paziente con il mondo circostante.
A tale scopo sono stati sviluppati i dispositivi a controllo oculare, i quali grazie ad una telecamera connessa ad un computer e ad un software, consentono di scrivere, «navigare» in Internet, leggere, scrivere e spedire e-mail, comandare luci ed apparecchi domestici, eccetera.
Detti dispositivi, recentemente introdotti sul mercato, non vengono contemplati nella vigente normativa in materia di assistenza protesici, (decreto ministeriale 27 agosto 1999, n. 332, concernente il Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesici erogabili nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale: modalità di erogazione e tariffe), che include gli ausili per la comunicazione interpersonale, idonei a facilitare o rendere possibile l'espressione verbale, migliorando la comprensibilità dell'eloquio oppure sostituendosi ad esso, i quali, tuttavia, sono tecnologicamente meno sofisticati.
Il Ministro della salute ha sollecitato la Commissione nazionale LEA a predisporre la revisione del citato Nomenclatore, allo scopo di garantire la disponibilità di sistemi di comunicazione ausiliari di tecnologia più
avanzata e valutare anche le modalità di accessibilità per i pazienti che ne abbiano urgente necessità.
Tale proposta di revisione è attualmente all'esame delle categorie sociali, professionali ed economiche interessate; successivamente sarà presentata in sede di Conferenza Stato-Regioni per il necessario parere, nell'ambito della procedura di revisione complessiva della normativa relativa ai LEA.
A conferma ulteriore dell'attenzione del Ministero della Salute per il problema dei pazienti affetti dal SLA, si precisa che stanno per essere definite le linee progettuali per gli Obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale per l'anno 2007, tra le quali figura quella per la «facilitazione della comunicazione nei pazienti con gravi patologie neuromotorie».
Si prevede lo stanziamento di una quota di 10 milioni di euro da ripartire fra le Regioni, al fine di consentire alle stesse di dotare di sistemi di comunicazione un primo target di pazienti tra quelli con fonazione di grado 2 (sostanziale perdita della parola) e motilità di grado 4 (tetraparesi).
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
TURCO, BELTRANDI, CAPEZZONE, D'ELIA e PORETTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa risulta che, in seguito ad una discutibile rappresentazione teatrale che distorce i fatti storici e politici della vicenda di Giovanni Passannante - autore il 17 novembre 1878 a Napoli di un attentato dimostrativo senza conseguenze in nome della Repubblica Universale - si intende stranamente seppellire per sempre una straordinaria testimonianza della storia sociale e repressiva del nostro paese;
Passannante per il suo gesto fu condannato, in appena dieci minuti, alla pena capitale, poi commutata nell'ergastolo da Umberto I e rinchiuso in durissime condizioni nel penitenziario di Portoferraio in una cella sotto il livello del mare, incatenato con una pesante catena e con una palla di piombo di 18 chilogrammi, sollevando le proteste del vescovo di Portoferraio e l'ambasciatore inglese chiese di poterlo visitare. Neanche all'onorevole Agostino Bertani, deputato del regno d'Italia, fu consentito di incontrarlo, gli fu solo permesso di spiarlo dal buco della serratura e denunziò con forza che Passannante era stato reso una larva umana. Si parlò anche di una sua candidatura-protesta al parlamento italiano. Quando muore il 14 febbraio del 1910 nel manicomio di Montelupo Fiorentino (Firenze), dove nel frattempo era stato mandato ad espiare la sua pena, viene decapitato e il resto del corpo viene seppellito in Toscana. Il cadavere non fu affatto dato in pasto ai cani e ai maiali, come sostiene la rappresentazione teatrale che stravolge ad arte i fatti;
il paese natale fu cancellato - con un gesto degno di Metternich per il quale l'Italia era solo un'«espressione geografica» - dalla geografia del regno e costretto a mutare, in onore dei Savoia, il toponimo da Salvia a Savoia di Lucania e ancora oggi - dopo mezzo secolo di repubblica - continua ad essere Savoia di Lucania, anche se gli abitanti del paese - a testimoniare il legame con la loro storia millenaria - da sempre si definiscono «salviani», ovvero abitanti di un paese inesistente;
la terribile storia di questo solitario e coraggioso meridionale e di tutte le vicende legate al suo gesto (come la soppressione di alcuni giornali, l'arresto di Giovanni Pascoli per aver scritto la famosa ed introvabile Ode a Passannante) fu oggetto di un'approfondita e ampia ricerca storica di circa novecento pagine di Giuseppe Galzerano;
l'attore della rappresentazione, senza aver alcun titolo per farlo, alla fine del suo spettacolo, nel quale inventa la figura di un carabiniere che innaffia il cervello di
Passannante, offendendo anche l'Arma dei Carabinieri (perché un carabiniere che innaffia un cervello è ridicolo e da barzelletta), chiede che i resti di Passannante siano sepolti a Savoia di Lucania, ovvero nel paese che, per un gesto di vergognoso servilismo, porta il nome della dinastia nemica di Passannante;
il vice presidente del Consiglio ha accolto a cuor leggero questa richiesta e ignorando la storia, la tragedia e il pensiero di Giovanni Passannante ne ha ordinato la sepoltura sostenendo che gliela hanno chiesta i suoi discendenti;
si fa presente che Giovanni Passannante non ha lasciato eredi in quanto non era sposato e non è mai risultato che avesse figli legittimi o illegittimi. Inoltre, nel caso in cui si dovesse realizzare la sepoltura dei suoi resti, ci troveremmo di fronte al caso di un morto seppellito in due posti diversi e ciò potrebbe esporci al ridicolo e in più si cancellerebbe una terribile pagina della storia del nostro paese, perché quel cervello e quei resti sono testimonianza del rapporto tra dominatori e dominati, della tragedia umana e politica di un uomo dell'Ottocento e del Novecento. Non si otterrebbe nemmeno che Passannante riposasse «in pace» diviso tra due cimiteri e si agiterebbe nella tomba perché seppellito in un paese che onora i Savoia. Sono «reperti» che appartengono - a cent'anni di distanza - alla storia del nostro paese e non ha senso seppellirli dopo un secolo. È un gesto folle, equivalente alla sepoltura delle testimonianze del passato: è come se qualcuno decidesse di seppellire i resti di Roma antica, di Pompei. Gli storici hanno bisogno di queste testimonianze, che possono essere fatte di pietre o di resti umani, come nel caso di Giovanni Passannante. Inoltre perché seppellire solo i resti di Passannante e non anche i resti di santi e prelati e della testa dello stesso Cesare Lombroso esposta in un recipiente di vetro al museo criminale antropologico di Torino? La sepoltura del solo Passannante sarebbe una nuova intollerabile e inaccettabile persecuzione nei suoi confronti;
per queste e per altre considerazioni gli interroganti chiedono di soprassedere immediatamente all'iniziativa della sepoltura dei resti di Passannante, e di continuare a conservarli in un museo per gli storici e per le future generazioni - perché la storia non si occulta - a testimonianza di un'epoca di barbarie del secolo scorso, come chiedono, con fondati e convincenti argomenti politici, storici, umani e sociali lo storico salernitano Giuseppe Galzerano, il criminologo lucano Antonio Parente e il giornalista lucano Angelomauro Calza;
continuare a conservare di Giovanni Passannante in un museo per gli storici e per le future generazioni - perché la storia non si occulta - a testimonianza di un'epoca di barbarie del secolo scorso, è quello che chiedono, con fondati e convincenti argomenti politici, storici, umani e sociali lo storico salernitano Giuseppe Galzerano, il criminologo lucano Antonio Parente e il giornalista lucano Angelomauro Calza -:
per quali motivi si vogliano occultare i resti di Giovanni Passannante ovvero per quali ragioni si voglia impedire la conservazione in un pubblico museo.
(4-03261)
Risposta. - I resti mortali di Giovanni Passannante, che erano esposti a Roma, presso il Museo criminologico gestito dal Ministero della Giustizia, consistevano nel cranio e nell'encefalo, secondo quanto asserito dallo stesso Dicastero della Giustizia in una nota interna del 16 marzo 2007.
Detti reperti erano inseriti in una sezione del Museo criminologico intitolata «Lo spirito della ragione», intesa ad evidenziare gli effetti delle teorie lombrosiane sugli studi antropologici e criminologici a cavallo tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo. Pertanto l'esposizione al pubblico dei reperti, anche se opinabile secondo l'attuale modo di sentire, trovava la sua giustificazione in ragioni di ordine storico-scientifico complessivo.
È tuttavia evidente che, una volta che i reperti in questione sono stati estrapolati dalla raccolta museale, hanno recuperato il
loro status giuridico di «parti di cadavere» o anche «di resti mortali», per la cui disciplina occorre fare riferimento alle disposizioni vigenti in materia di polizia mortuaria.
In proposito si osserva che l'articolo 340 del Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (recante il Testo unico delle leggi sanitarie) prevede anzitutto l'obbligo di seppellire un cadavere (al quale sono da assimilare, per analogia, le relative parti) e poi sancisce l'obbligo di provvedervi in un cimitero, salva l'autorizzazione del Ministro dell'interno, da darsi con apposito decreto, alla «tumulazione in località differenti». Per conseguenza, un cadavere, o parti di esso, possono previa espressa autorizzazione, essere tumulati anche in luoghi diversi da un cimitero, ma devono essere comunque tumulati, per la «pietas» dovuta ai defunti.
Il regolamento di attuazione della citata disposizione ribadisce il principio che alle parti di cadavere, comunque rinvenute, va data sepoltura.
Unica, temporanea, deroga al principio testé richiamato è prevista, agli articoli 40 e seguenti del citato decreto del Presidente della Repubblica per quanto riguarda i cadaveri, o le parti di cadavere, consegnati alle sale anatomiche universitarie, od anche ai musei anatomici, per finalità di studio o di esposizione. Tuttavia, queste due finalità non possono essere perseguite che per tempo limitato, al decorso del quale i cadaveri, o le relative parti, «ricomposti per quanto possibile, devono essere consegnati all'incaricato del trasporto al cimitero»... R. cit.).
Orbene, nel caso di specie:
il Consiglio regionale della Basilicata, con un ordine del giorno dell'8 luglio 1998, ha impegnato la Giunta regionale «ad intraprendere... tutte le iniziative idonee affinché, per intanto, siano traslati i resti di Giovanni Passannante, dal Museo criminologico di Roma al Comune di origine, per provvedere alla tumulazione»;
il Direttore generale del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, con provvedimento del 3 marzo 1999, sulla base del nulla osta del Ministro della giustizia pro tempore, ha autorizzato «la traslazione dei resti di Giovanni Passannante dal Museo criminologico di Roma al Comune di Salvia (Savoia di Lucania)... per la definitiva tumulazione», dando mandato al Direttore del Museo di dare esecuzione al provvedimento.
I resti mortali del Passannante sono stati tumulati nel suo paese d'origine, Salvia (Savoia di Lucania), il 10 maggio 2007.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
ZANELLA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
gli italiani che utilizzano regolarmente le cure non convenzionali sono circa il 23 per cento secondo l'ultima indagine Doxa (2005) ma a conoscere queste terapie sono il 65 per cento e un italiano su tre vi ha fatto ricorso almeno una volta (indagine ISPO, 2003); più del 70 per cento della popolazione vorrebbe che fossero rimborsate dal Servizio sanitario nazionale (dati Censis);
circa 11 milioni di italiani ricorrono alla medicina omeopatica, per lo più senza abbandonare la medicina convenzionale, principalmente per la cura di patologie croniche come mal di testa e allergie; 12.000 sono i medici che prescrivono farmaci omeopatici e 7.000 le farmacie dotate di un settore per questi tipi di medicine (Rapporto Italia 2006 dell'Eurispes);
secondo l'indagine multiscopo condotta dall'Istat nel 1999, l'omeopatia è il sistema terapeutico più diffuso, con una percentuale di utenti pari all'8,2 per cento, mentre un italiano su cinque ha provato l'agopuntura, soprattutto per alleviare il dolore o per trattare stati depressivi e ansiosi, inoltre quasi due persone su dieci utilizzano la fitoterapia, nelle diverse forme e preparati oggi disponibili;
nel 2004 in Italia sono stati venduti 22,6 milioni di confezioni di medicinali omeopatici, il 3 per cento in più rispetto
al 2003. I risultati in termini di mercato a valore sono, considerando i prezzi al pubblico, +6 per cento nel 2004, a quota 219 milioni di euro e +3 per cento nei primi sei mesi del 2005 con un corrispettivo di 112 milioni di euro;
l'omeopatia è oggi utilizzata da più di 300 milioni di pazienti in oltre ottanta paesi del mondo, principalmente in Europa; nel mondo oggi oltre 100.000 medici utilizzano l'omeopatia e in numerosi paesi l'omeopatia è inserita nell'ambito del sistema sanitario (India, Messico, Brasile). In numerosi casi (Francia, Italia, Spagna, eccetera), la prescrizione dei medicinali omeopatici, come quella di tutti i medicinali, spetta esclusivamente ai medici e ad alcuni professionisti del settore sanitario (chirurghi-dentisti, ostetriche, eccetera);
ogni anno, nuovi paesi garantiscono uno statuto ufficiale ai farmaci omeopatici;
in Europa, lo statuto del farmaco omeopatico è stato riconosciuto ufficialmente nel 1992 in tutti i paesi dell'Unione mediante l'adozione di due direttive sui farmaci omeopatici per uso umano e veterinario, testimoniando l'avvenuta integrazione di tale farmaco nella sfera medica e farmaceutica europea;
il Parlamento Europeo ha approvato nel maggio del 1997, una risoluzione nella quale, constatando la crescente diffusione di suddette terapie nella popolazione, si evidenziava la necessità di «garantire ai cittadini la più ampia libertà possibile di scelta terapeutica, assicurando loro anche il più elevato livello di sicurezza e l'informazione più corretta sull'innocuità, la qualità, l'efficacia di tali medicine»;
la maggior parte dei paesi dell'Unione europea, fra cui la Francia, hanno già trasposte nella loro legislazione le direttive europee e dunque inserito a pieno titolo le terapie non convenzionali nel loro servizio pubblico, oltre che nell'insegnamento universitario;
a differenza di altri Paesi europei (ad esempio la Francia), questi rimedi non sono rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale;
nel nostro paese l'omeopatia è considerata da anni come «atto medico» (deliberazione n. 51 del 1998, Ordine medici chirurghi ed odontoiatri provincia di Roma) Oggetto: Accertamenti attività professionale degli iscritti nell'ambito delle medicine complementari; la FNOMCeO (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) a Terni nel maggio 2002 sanciva che le medicine non convenzionali (MnC) costituiscono un «atto medico», ipotizzando varie misure per la progressiva integrazione delle medicine non convenzionali, quali la promulgazione di una legge nazionale, o la compilazione dei registri dei professionisti nelle diverse discipline mediche). Il Nomenclatore tariffario nazionale le comprende fra le prestazioni erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, inoltre nel febbraio del 1999 una sentenza della Corte di cassazione, sezione VI penale, ha deliberato che commette reato di esercizio abusivo della professione medica (articolo 348 codice penale) colui che, sfornito della necessaria abilitazione professionale (attraverso il conseguimento della laurea, il superamento del prescritto esame di stato e l'iscrizione all'Albo professionale) prescriva terapie omeopatiche;
nell'aprile del 1999 il ministero della sanità costituiva presso il Dipartimento delle professioni sanitarie, delle risorse umane e dell'assistenza sanitaria, una commissione di studio per le medicine non convenzionali, alla quale veniva affidato il compito di individuare le diverse forme di medicine non convenzionali con l'obiettivo di predisporre eventuali misure atte a garantire un'adeguata tutela degli utenti. La commissione doveva inoltre verificare l'efficacia, l'appropriatezza e il rapporto fra costi e benefici; elaborare apposite linee guida per le pratiche di medicine non convenzionali eventualmente riconosciute; definire i criteri di accreditamento dei percorsi formativi per l'esercizio delle medicine non convenzionali, in modo da
assicurare al medico un'adeguata professionalità e garantire all'utenza un'adeguata e corretta informazione, nonché elaborare apposite procedure per la rilevazione del consenso da parte dei soggetti interessati;
nel giugno del 1999 veniva approvata una legge nazionale, relativa alla razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, il decreto legislativo 229, che inseriva per la prima volta le medicine non convenzionali nel proprio dispositivo di programmazione, qualificandole come «integrative» delle prestazioni sanitarie cosiddette essenziali. Fra le prestazioni citate erano comprese, infatti, anche quelle di medicina non convenzionale, anche se erogate da strutture non accreditate;
sono stati attivati numerosi corsi di perfezionamento e master in medicine complementari da diverse università italiane: Milano, Padova, Verona, Trieste, Firenze, Bologna, Roma «La Sapienza», Università della Calabria, della Tuscia, Siena, Chieti-Pescara, Napoli, Cagliari;
nei PSR (Piani sanitari regionali) di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Campania, Valle d'Aosta e Lazio, vi sono riferimenti alle medicine non convenzionali, talora vere e proprie azioni programmate. Hanno costituito commissioni regionali e/o comitati tecnico-scientifici e/o osservatori regionali e/o strutture regionali di riferimento per le medicine non convenzionali le regioni Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Lazio, Friuli Venezia Giulia e la Provincia di Bolzano, mentre Valle d'Aosta, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Campania hanno poi finanziato ricerche sull'efficacia delle medicine non convenzionali; la regione Toscana ha finanziato poi una ricerca sul rapporto costo/beneficio derivato dal loro impiego. Sono state realizzate campagne di informazione alla popolazione o materiale informativo dalla provincia autonoma di Bolzano, dalle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Campania mentre la provincia di Bolzano ha anche erogato fondi a sostegno di enti, associazioni o a professionisti che effettuano le medicine non convenzionali. Incontri rivolti alle associazioni dei consumatori e ai giornalisti per un uso appropriato della medicine non convenzionali sono stati effettuati dalla regione Lombardia. Corsi di aggiornamento per medici e personale sanitario sono stati realizzati dalla provincia di Bolzano, dalle regioni Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Toscana, Campania e Umbria, mentre il censimento delle strutture pubbliche che praticano le medicine non convenzionali è stato fatto sempre a Bolzano, in Emilia Romagna, Umbria e Toscana. La regione Lombardia infine ha attivato un memorandum di intesa quadriennale con l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) per lo sviluppo di linee guida tese alla tutela del consumatore e a un utilizzo appropriato della medicine non convenzionali;
sempre a livello regionale, è in fase ormai avanzata di formazione presso la commissione salute della Conferenza Stato regioni, coordinata dalla Toscana, un tavolo interregionale sulle medicine complementari;
a partire dagli anni ottanta sono stati presentati al Parlamento italiano diversi progetti di legge con l'obiettivo di pervenire alla regolamentazione delle medicine e delle pratiche non convenzionali e che nella XIV legislatura, conclusasi con lo scioglimento delle Camere il 10 febbraio 2006, sono state presentate più di 20 proposte di legge per la regolamentazione dell'esercizio delle medicine non convenzionali, arrivando a definire una proposta di testo unico di legge, che veniva approvata dalla Commissione Affari Sociali nel febbraio del 2004;
già dalla XIII legislatura una serie di proposte di legge per la regolamentazione di suddette discipline sono confluite in un testo unico: la proposta di legge «Disciplina delle terapie non convenzionali esercitate da medici» (AC 3891 e abb.), Testo approvato dalla XII Commissione della Camera dei deputati, in sede referente, il 23 gennaio 2001;
la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere favorevole
il 20 settembre 2000, sul testo unificato delle proposte di legge C. 3891, C. 5486, C. 5935, C. 5952, C. 6552, C. 6742, «Medicine non convenzionali»;
è doveroso garantire ad ogni persona il diritto di scelta del proprio percorso di cura e salute debitamente testato e, per quanto riguarda nello specifico l'omeopatia, sono disponibili circa duecento pubblicazioni riguardanti la ricerca clinica condotta con metodi scientifici convenzionali e valutazioni statistiche ed altrettante riguardanti la ricerca di base (in laboratorio e su animali). Tra i lavori clinici di migliore qualità metodologica, in circa la metà dei casi il risultato terapeutico nel gruppo trattato con il rimedio omeopatico si è dimostrato superiore a quello del gruppo di controllo (per lo più costituito dal trattamento placebo), in circa un quarto i risultati sono stati tendenzialmente positivi ma dubbi sul piano della statistica, in un quarto non si è registrato nessun effetto terapeutico del trattamento, come risulta per qualsiasi disciplina medica in sviluppo. Ne deriva che le medicine non convenzionali non sono più considerabili come una semplice moda;
le medicine non convenzionali si basano su diverso approccio al malato, che viene considerato nella sua complessità psico-fisica di essere umano; la cura è, infatti, ad personam, e questo ne fa un'importante integrazione della medicina tradizionale;
gli studi osservazionali sull'efficacia dell'omeopatia mostrano la soddisfazione dei pazienti in oltre il 70 per cento dei casi, mentre alcuni studi costo/beneficio indicano che chi si cura con omeopatia riduce il consumo di medicinali convenzionali; inoltre l'omeopatia è una terapia con scarsi o nulli effetti avversi -:
se non si reputi urgente assumere l'iniziativa di recepire nella legislazione nazionale le direttive europee in materia, legittimando e inserendo a pieno titolo le terapie non convenzionali di comprovata efficacia nel servizio pubblico;
se il Governo intenda riconoscere l'importante ruolo socio-sanitario dell'omeopatia e delle medicine non convenzionali in generale, proponendo l'approvazione di una legge quadro che ponga le basi di un percorso virtuoso di medicina integrata che abbia come obiettivo centrale la salute della persona.
(4-01440)
Risposta. - Con riferimento alla problematica segnalata, si precisa preliminarmente che il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, «Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE», contiene le norme di recepimento di tutte le normative comunitarie in tema di immissione in commercio di medicinali omeopatici; pertanto, ad oggi, per quanto attiene agli aspetti strettamente connessi alla produzione, immissione in commercio e distribuzione dei medicinali omeopatici, la legislazione italiana risulta del tutto aderente alle prescrizioni dell'Unione europea.
Peraltro, l'Agenzia italiana del farmaco precisa che, allo stato attuale, nessuno studio scientifico, pubblicato su riviste di valore riconosciuto, ha dimostrato chiaramente l'efficacia curativa dei medicinali omeopatici; gli unici risultati statisticamente significativi sono paragonabili a quelli ottenuti dall'effetto placebo.
Nell'agosto del 2005 è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet una «meta-analisi», la quale ha passato in rassegna 110 studi sull'omeopatia e altrettanti, opportunamente abbinati, relativi alla medicina tradizionale.
I ricercatori svizzeri dell'Università di Berna hanno analizzato in modo approfondito i 220 studi selezionati, per identificare eventuali errori sistematici o metodologici, che potessero avere influenzato la conduzione dello studio o le modalità di riportarne i risultati.
Errori di questo tipo rappresentano una possibile spiegazione per le evidenze positive che si registrano, nel confronto con placebo, negli studi sull'omeopatia e sulla medicina convenzionale.
Altre cause di errori sono la pubblicazione preferenziale e più rapida di «trial» con risultati positivi, rispetto ai lavori sfavorevoli e, soprattutto, ricordando i lavori della «review», la scarsa qualità metodologica di molti studi.
I ricercatori hanno poi ristretto la «meta-analisi» a sei studi omeopatici e a otto di medicina convenzionale, i quali apparivano più garantiti da questa tipologia di errori.
I risultati hanno mostrato che «quando l'analisi viene ristretta ai grandi trial di qualità migliore, non risulta alcuna prova che dimostri che l'omeopatia sia superiore al placebo, mentre per la medicina convenzionale resta un importante effetto di superiorità del trattamento verso il gruppo di controllo. I nostri risultati supportano l'ipotesi che gli effetti clinici dell'omeopatia (e non quelli dell'allopatia) siano effetti aspecifici riconducibili a un effetto placebo o di contesto». «Il nostro studio - conclude il gruppo di lavoro di Berna - illustra potentemente le interazioni e l'effetto cumulativo di diverse sorgenti di errori. Riconosciamo che è impossibile fornire una prova in negativo, ma abbiamo mostrato che gli effetti emersi negli studi placebo.controlled sull'omeopatia sono compatibili con l'ipotesi "placebo". Al contrario, utilizzando lo stesso metodo, risulta altamente improbabile che i benefici della medicina convenzionale possano essere spiegati con un getto aspecifico del trattamento».
Si precisa, inoltre, che i rimedi omeopatici non sono rimborsabili anche in Germania, Spagna, Finlandia, Irlanda, Norvegia, Svezia e Svizzera, mentre in Francia dal 1o gennaio 2004 i medicinali omeopatici sono rimborsati nella misura del 35 per cento, rispetto al 65 per cento dell'anno precedente.
Alla base della decisione di ridurre l'aliquota del rimborso non vi sono state motivazioni di tipo economico, dal momento che questo rimborso non incideva in modo significativo sul «budget» del Servizio sanitario francese: nel 2003 l'omeopatia è costata 150 milioni di euro, pari a poco meno dell'1 per cento del totale dei rimborsi per l'acquisto dei medicinali.
La questione è piuttosto di natura scientifica. Nel settembre del 2004, infatti, la commissione farmacologica l'Accadèmie Nazionale de Medicine ha reso pubblico un documento in cui dichiarava che «l'omeopatia è un metodo concepito, due secoli fa, a partire da concetti a priori privi di base scientifica. [...] Questi prodotti intendono presentarsi come medicinali. Ma quando vengono esaminati, si vede che non rispondono affatto alla definizione di medicinale né nella loro natura né per la loro destinazione. Il codice della salute precisa che un medicinale deve presentare un interesse terapeutico e la prova di questo interesse deve essere fornita da una successione di prove farmacologiche e cliniche. Tutti i medicinali in Francia devono sottostare a questa procedura e solo i produttori di questi sedicenti medicinali omeopatici possono evitarla completamente. [...] In queste condizioni il rimborso di questi prodotti da parte del Servizio Sanitario Nazionale appare aberrante. E nel quadro della riforma attuale sarebbe giunta l'ora di sopprimerlo».
Inoltre, relativamente alla Svizzera, dal 1o luglio del 2005 il Consiglio federale ha escluso l'omeopatia dalle prestazioni rimborsate dall'assicurazione malattia di base LAMal.
I medicinali omeopatici erano stati inseriti dal 1o luglio 1999 nell'assicurazione di base, per un periodo limitato fino al 30 giugno 2005; tale estensione assicurativa doveva rispondere a requisiti di efficacia, appropriatezza ed economicità.
A distanza di sei anni il Consiglio federale ha ritenuto opportuno escludere gli omeopatici dall'assicurazione obbligatoria, basandosi sul risultato di 20 studi realizzati nell'ambito del Programma nazionale di Valutazione della Medicina Complementare (PEK).
L'AIFA ha ricordato, altresì, che uno tra i più venduti e diffusi prodotti omeopatici, l'Oscillococcinum, è stato recentemente oggetto di una revisione degli studi di efficacia pubblicata dalla Chochrane Collaboration: dai lavori analizzati emergono molte carenze
metodologiche nella conduzione degli studi e si evidenzia l'impossibilità di provare un effetto curativo superiore a quello del placebo, sia per l'Oscillococcinum sia per molti altri medicinali preparati secondo le regole della disciplina omeopatica.
Per quanto concerne l'inserimento dell'omeopatia e delle terapie non convenzionali nel servizio pubblico ed il riconoscimento del relativo ruolo sociosanitario, come richiesto nell'atto parlamentare, si sottolinea che l'efficacia delle medicine non convenzionali (fatta eccezione per alcune applicazioni dell'agopuntura) non solo non risulta dimostrata, ma è stata anche contestata dal Consiglio Superiore di Sanità (CSS) che, nel parere espresso nella seduta del 20 dicembre 2005, si è così conclusivamente pronunciato: «...in base ai principi che oggi regolano il Servizio Sanitario Nazionale, i prodotti omeopatici soggetti a registrazione semplificata non possono, in nessun caso, essere proposti per la rimborsabilità, proprio per l'assenza di una efficacia terapeutica ufficialmente riconosciuta (si veda in particolare l'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992 come modificato dal decreto legislativo n. 229 del 1999).
Il CSS è pervenuto a tale parere in considerazione del fatto che le medicine non convenzionali, tra cui l'omeopatia, non rispettano le regole fondamentali del metodo scientifico: in effetti, la gran parte delle ricerche compiute sull'omeopatia viene pubblicata in riviste dedicate esclusivamente a questa terapia.
Con riferimento al documento della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), citato dall'interrogante, il CSS rammenta che l'intero mondo scientifico italiano ha espresso un giudizio fortemente negativo su tale iniziativa, con la quale l'omeopatia veniva equiparata alle pratiche mediche ufficiali.
Il CSS, inoltre, ha sottolineato l'esigenza di norme più precise e rigorose per i requisiti di sicurezza che debbono essere posseduti dai medicinali omeopatici, raccomandando che, nell'ambito della procedura semplificata di registrazione definita dalla direttiva 92/73/CEE, recepita dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 185, qualora vengano utilizzate sostanze non sufficientemente note nella medicina allopatica, in quanto non presenti in Farmacopea né contenute in specialità medicinali commercializzate in Europa, devono essere condotti studi sperimentali di tossicità non dissimili da quelli previsti per l'autorizzazione all'immissione in commercio dei medicinali allopatici utilizzati in Italia ed in Europa.
Relativamente ai medicinali omeopatici che non usufruiscono della procedura semplificata, il CSS raccomanda che:
«le eventuali norme specifiche destinate ad adattare i test preclinici e clinici alle caratteristiche proprie della medicina omeopatica, siano comunque tali da garantire il rispetto dei principi fondamentali della scientificità delle prove. Al riguardo si auspica che possano essere condotte prove sperimentali atte a conferire al prodotto omeopatico valide dimostrazioni di efficacia terapeutica»;
«sia, in ogni caso, mantenuta la previsione legislativa in base alla quale i medicinali omeopatici che usufruiscono di procedura semplificata di registrazione specifichino sulle confezioni che trattasi di medicinale omeopatico senza indicazioni terapeutiche approvate»;
«il Ministero della Salute ponga la massima attenzione per evitare che spinte irrazionali verso medicine alternative portino all'approvazione di discipline legislative che sacrifichino, in nome di una mal posta libertà di cura, l'esigenza del rigoroso rispetto dei principi scientifici accettati a livello internazionale, con conseguente rischio per la salute pubblica, tenuto conto, altresì, che la mancata utilizzazione di presidi terapeutici che la medicina ufficiale mette a disposizione può ritardare la diagnosi e la terapia di malattie che, se curate adeguatamente e in tempo, potrebbero essere portate a guarigione».
Il CSS ritiene inoltre che «la particolarità dei medicinali omeopatici sottoposti a registrazione semplificata, consistente nell'assenza
di qualsiasi valutazione di efficacia da parte dell'Autorità sanitaria, debba essere oggetto di una campagna informativa al grande pubblico. In mancanza di una tale iniziativa, il pubblico potrebbe essere indotto a ritenere che l'immissione in commercio dei prodotti sia conseguente ad un giudizio favorevole sull'efficacia da parte dell'Autorità sanitaria competente».
Il CSS ha segnalato, infine, la necessità di evitare sia a livello nazionale che regionale che gli eventi di formazione continua in medicina (ECM) vengano utilizzati come forma di accreditamento delle medicine non convenzionali, o che vengano usati dalle professioni sanitarie «per invadere campi che non competono ad esse».
Quanto fin qui osservato riepiloga lo stato della normativa e delle valutazioni della scienza ufficiale sui medicinali omeopatici.
Il Ministero della salute, peraltro, non può non rilevare che l'Unione europea, avendo deciso di sottoporre i medicinali omeopatici a una specifica disciplina, sia pur senza formulare, nei confronti degli stessi, un riconoscimento di efficacia, ha conferito a tali prodotti uno status differenziato rispetto agli altri «rimedi» utilizzati dalle medicine non convenzionali.
Coerentemente con questa impostazione, il Ministero è attualmente impegnato a verificare che, anche attraverso un confronto dialettico con le Associazioni dei produttori di medicinali omeopatici, l'Agenzia Italiana del Farmaco dia piena attuazione alla normativa comunitaria recepita con il recente decreto legislativo n. 219 del 2006 e introduca prassi che agevolino le sollecite autorizzazioni e registrazioni di tali prodotti, nel rispetto delle indicazioni del legislatore.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.
ZANELLA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nelle cronache giornalistiche e sui telegiornali sono apparse ripetutamente notizie relative ad episodi di suicidi o di omicidi (a volte omicidi-suicidi) con motivazioni apparentemente futili in famiglie definite normali, per le quali è stato coniato il termine di «famiglie di sangue» (Simonetta Costanzo - F. Angeli ed.);
le statistiche riportano un dato allarmante: le morti in famiglia per fatti del genere superano quelle per delitti di mafia;
negli ultimi trent'anni la psicofarmacologia ha compiuto passi da gigante, cosicché le malattie psichiatriche, opportunamente diagnosticate, hanno potuto godere di trattamenti farmacologici mirati e validi, spesso risolutori. Si è quindi diffusa nella popolazione la convinzione che ogni più piccolo disturbo psichico, in particolare una depressione lieve, possa trovare velocemente soluzione con i farmaci: da cui le richieste pressanti dei pazienti, l'intolleranza nei confronti di melanconie, abbassamenti dell'umore, a volte fisiologici;
di fronte a questa situazione, di molti farmaci a disposizione e di esigenze crescenti della popolazione, molti medici si trovano impreparati: e l'utilizzo da parte loro dei numerosi farmaci in commercio, di non facile uso, ha comportato purtroppo errori anche gravi. Per fare qualche esempio: la sospensione brusca, anziché graduale, di uno psicolettico può causare deliri ed allucinazioni che possono dar luogo a gesti inconsulti (il cosiddetto raptus); oppure un incongruo uso di antidepressivi in una depressione non semplice ma bipolare può scatenare una crisi maniacale incontrollabile fino al compimento di atti violenti;
per tutti i farmaci, ma tanto più per gli psicofarmaci, è indispensabile da parte del medico che li prescrive, infatti, grande conoscenza ed esperienza, controllo (monitoraggio) frequente dei pazienti e prudenza. E invece: per alcuni di questi farmaci la prescrizione è permessa a medici generici e a specializzandi; i malati, una volta prescritta la terapia, vengono controllati a lunghi intervalli (30-45 giorni) da medici spesso diversi: quando invece,
per evitare sorprese, sono indispensabili, soprattutto all'inizio del trattamento, controlli ravvicinati, fatti sempre dallo stesso medico che può valutare anche da sintomi lievi la congruità della terapia in atto; troppo spesso i familiari sono emarginati, poco o nulla informati, quando non addirittura demonizzati quasi fossero la causa del disagio del proprio congiunto: mentre invece potrebbero essere di grande aiuto per lo psichiatra in quell'opera di monitoraggio che, come abbiamo detto, è molto importante; la psicoterapia comportamentale, educazionale e familiare, di estrema importanza in tutte le patologie psichiche dalle più lievi alle più gravi è, sia nelle ULS che nel privato, eseguita da psicoterapeuti spesso non in comunicazione con lo psichiatra che prescrive i farmaci, venendo quindi a mancare allo stesso molte informazioni utili;
inoltre la malattia psichiatrica, diversamente da tutte le altre malattie, sovente viene tenuta nascosta per paura dello stigma e curata clandestinamente, così anziché rivolgersi agli psichiatri più preparati, purtroppo spesso ci si affida ai consigli di medici generici o addirittura a consigli di conoscenti, avviando una sorta di pericolosa automedicazione;
per tutte queste ragioni numerosi cittadini si sono rivolti a Minerva, Associazione per la lotta contro la Depressione Bipolare, per inviare un appello al Ministro della Sanità Livia Turco -:
se il Governo sia al corrente di quanto detto sopra;
se il Governo non ritenga necessario, vista la complessità del problema, dare luogo a campagne di informazione per lottare efficacemente, e non solo a parole, contro lo stigma sociale del malato psichiatrico, affinché i malati e le loro famiglie si rivolgano agli specialisti senza timore;
se il Governo non ritenga opportuno monitorare la situazione affinché le strutture mediche adibite allo scopo siano luoghi di cura appropriati e cioè centri ambulatoriali e assistenziali adeguati e dedicati specificamente alle varie patologie psichiatriche e offrano tutte le opportunità e gli strumenti per un controllo frequente di chi è in terapia psicoattiva.
(4-02749)
Risposta. - Con riferimento all'atto parlamentare, si precisa che il Ministero della salute è a conoscenza delle proiezioni e delle stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità riguardanti la diffusione dei suicidi, secondo le quali più del 90 per cento dei casi totali di suicidio sono associati a disturbi mentali, soprattutto depressione e abuso di sostanze, nonché del quadro epidemiologico di tutte le malattie mentali.
Relativamente alle competenze di questa Amministrazione che attengono alla predisposizione di atti programmatici e di indirizzo mirati al miglioramento della qualità degli interventi, il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006, prevede:
l'implementazione della qualità dei Centri di Salute Mentale e della loro capacità di rispondere alla domanda di trattamento per i differenti disturbi mentali, contrastando la stigmatizzazione e riducendo le liste di attesa, razionalizzando le modalità di presa in carico, creando percorsi differenziati per tipologia di pazienti, adottando linee guida e procedure di consenso, basati su prove di efficacia;
il miglioramento dell'adesione alle cure e della capacità di presa in carico dei pazienti «non collaboranti»;
l'attivazione di programmi di individuazione precoce delle psicosi schizofreniche;
il miglioramento delle capacità di risposta alle richieste di cura per i disturbi dell'umore (con particolare riferimento alla depressione in tutte le fasce di età) e per i disturbi del comportamento alimentare (con particolare riferimento alla anoressia);
l'accreditamento di strutture residenziali, con valenza terapeutico-socio-riabilitativa;
l'implementazione di protocolli di collaborazione fra i servizi per adulti e i servizi per l'età evolutiva, per garantire la continuità terapeutica nel trattamento dei disturbi mentali dell'infanzia e dell'adolescenza;
l'implementazione dei programmi di lotta allo stigma e al pregiudizio nei confronti delle patologie mentali;
la realizzazione del Sistema Informativo Nazionale per la Salute Mentale.
Secondo le evidenze scientifiche disponibili, inoltre, l'attività di prevenzione e il trattamento adeguato della depressione e dell'abuso di alcool o stupefacenti può contribuire a ridurre il tasso di suicidio fra i giovani; così pure gli interventi nelle scuole basati sulla gestione delle situazioni di crisi, sul rafforzamento dell'autostima e sullo sviluppo delle capacità di affrontare i problemi e di prendere decisioni per la propria salute.
A tale scopo, è stato finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) di questo Dicastero un progetto di ricerca per la realizzazione di interventi di promozione della salute mentale nelle scuole.
Le peculiarità di detti interventi sono focalizzate sull'insegnamento ai giovani della capacità di definire obiettivi realistici e stimolanti, di affrontare e risolvere problemi, di comunicare in modo più efficace ed assertivo, di sviluppare l'autodisciplina, di migliorare le proprie abilità di negoziazione e di cooperazione, di migliorare e accentuare la definizione e il raggiungimento di obiettivi personali.
Relativamente alla terapia farmacologica somministrata ai pazienti con disturbi mentali, si ricorda che le indicazioni e le controindicazioni ad una determinata terapia farmacologica, nonché il monitoraggio, il controllo e la valutazione di un paziente durante e dopo la somministrazione della stessa, sono definiti dalla comunità scientifica internazionale, che stabilisce l'utilità, l'efficacia e la sicurezza degli strumenti terapeutici. Per quanto riguarda il ricorso a campagne di informazione per contrastare lo stigma sociale del paziente psichiatrico, si segnala che il Ministero della Salute ha già realizzato due campagne nazionali al fine di contrastare gli effetti negativi dello stigma e della discriminazione. In particolare, quella realizzata nell'anno 2006 ha previsto un Programma di comunicazione rivolto alla popolazione generale, con specifico riferimento al mondo giovanile, che ha coinvolto il Ministero della Pubblica Istruzione e quindi il mondo della scuola, al fine di:
implementare l'interesse delle Istituzioni scolastiche sul tema delle malattie mentali, nell'ambito dei programmi di educazione alla salute;
stimolare la creatività degli studenti e dei docenti per definire i contenuti dei messaggi comunicativi che sono stati poi utilizzati per la realizzazione del Programma.
Gli obiettivi della campagna di comunicazione sono stati:
aumentare le conoscenze e la comprensione, relative alla natura delle malattie mentali e alle diverse possibilità di trattamento;
promuovere iniziative volte a migliorare l'atteggiamento generale verso le persone affette da disturbi mentali e verso i loro familiari;
promuovere azioni specifiche che prevengano e superino la discriminazione e il pregiudizio in specifici gruppi sociali.
Tra le altre iniziative poste in essere dal Ministero della Salute, si segnala, in particolare, l'insediamento in data 5 marzo 2007 della Consulta per la salute mentale, alla quale partecipano numerose Associazioni, in rappresentanza, di pazienti, familiari, operatori e volontari.
Detta Consulta, che rimarrà in carica per il periodo di un anno, ha le seguenti finalità:
concertare le linee e le strategie delle politiche nazionali in tema di tutela della salute mentale;
rilevare bisogni, disuguaglianze, criticità dell'assistenza nelle differenti realtà regionali e locali;
promuovere il coordinamento delle attività di volontariato e associazionismo attraverso lo scambio di esperienze e buone pratiche, con particolare riferimento all'integrazione socio-sanitaria dei servizi e delle iniziative di assistenza e tutela;
collaborare alla definizione del nuovo Piano strategico nazionale per la salute mentale;
coadiuvare il Ministero della Salute nella preparazione della II Conferenza nazionale sulla salute mentale in programma per il mese di aprile 2008.
Il Ministro della Salute Livia Turco ha di recente presentato un'iniziativa nata per rilanciare il tema della lotta allo stigma e favorire l'attenzione nei riguardi della salute mentale.
L'iniziativa è denominata «Un treno speciale per Pechino» e coinvolge 250 passeggeri, tra cui persone affette da disturbi mentali e loro familiari, operatori sanitari, volontari delle associazioni di pazienti ed esponenti del mondo della cultura che si sono occupati delle problematiche della salute mentale: essi affronteranno insieme un viaggio di 15.000 Km, attraversando, tra gli altri, Paesi come l'Ungheria, l'Ucraina, la Russia, la Mongolia e la Cina, per testimoniare che si può vincere la malattia e lo stigma e che, alla base di questo traguardo, vi sono l'integrazione, l'autonomia individuale ed il rispetto per gli altri.
Nel corso del viaggio, promosso dall'Associazione «Le parole ritrovate» e dall'Associazione Nazionale Polisportive per l'Integrazione Sociale (ANPIS), con il patrocinio del Ministero della Salute, sono previsti momenti di socializzazione e di scambio culturale con le popolazioni e le associazioni locali operanti nel settore della salute mentale.
Il viaggio partirà il giorno 8 agosto da Roma, raggiungendo Pechino dopo circa 20 giorni e darà vita ad un «Diario di bordo», scritto ed illustrato dagli stessi protagonisti, il quale raccoglierà le emozioni dei viaggiatori.
Il libro verrà distribuito nelle librerie con l'obiettivo di raccogliere fondi a favore di ulteriori iniziative e di progetti selezionati.
Al fine di far conoscere presso il grande pubblico l'esperienza vissuta e per favorire l'attenzione collettiva alle tematiche della salute mentale, del «Diario di bordo» sarà realizzata una versione radiofonica ed il viaggio verrà raccontato in un documentario che riporterà i momenti più significativi e gli episodi più curiosi del tragitto.
Per contribuire a finanziare la riuscita di questo «lungo viaggio contro il pregiudizio», sarà attivato un numero telefonico per la raccolta di fondi, tramite l'invio di «sms».
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.