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Allegato B
Seduta n. 193 del 24/7/2007
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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazioni a risposta immediata:
LION, FUNDARÒ, CAMILLO PIAZZA e PELLEGRINO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in merito al nuovo regolamento comunitario in materia di produzione biologica, approvato dal Consiglio dell'Unione europea dell'11 giugno 2007, limitatamente alla questione riguardante gli organismi geneticamente modificati in tale settore, è previsto che nella produzione biologica, in linea di principio, non è consentito l'uso di organismi geneticamente modificati e di prodotti ottenuti da organismi geneticamente modificati. Il regolamento asserisce che ciò è infatti incompatibile con il concetto di produzione biologica e con la percezione che i consumatori hanno di tali prodotti. Si afferma, pertanto, che gli organismi geneticamente modificati non devono essere «intenzionalmente» utilizzati nella produzione e nella trasformazione di prodotti «bio», ma in questo senso, purtroppo, si apre anche la porta alla tolleranza nei confronti di contaminazioni accidentali che rientrano in una certa soglia, che la direttiva 2001/18/CE, relativa all'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, fissa allo 0,9 per cento;
il Parlamento europeo, quale suprema istituzione di rango politico, ha approvato un testo che imponeva agli Stati membri di dotarsi di un quadro legislativo adeguato, sulla base del principio di precauzione e del principio «chi inquina paga», «al fine di evitare ogni rischio di contaminazione dei prodotti biologici da
parte di organismi geneticamente modificati», indicando alla Commissione europea di pubblicare, entro il 1o gennaio 2008, una proposta di direttiva quadro concernente le misure precauzionali tese ad evitare la contaminazione da organismi geneticamente modificati in tutta la catena alimentare, nonché un quadro legislativo per le norme sulla responsabilità concernenti qualsiasi contaminazione con organismi geneticamente modificati, sulla base del principio «chi inquina paga»;
la risoluzione del Parlamento europeo del 22 maggio 2007, su «arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010» (2006/2233(INI)), enuncia, tra l'altro, che, in quanto utilizzatrice di biodiversità, l'agricoltura dovrebbe svolgere un ruolo essenziale nella gestione e nella preservazione della biodiversità stessa; in essa si evidenziano i rischi potenziali che le colture geneticamente modificate su scala industriale rappresentano per la biodiversità e chiede alla Commissione europea di valutarne l'impatto sugli ecosistemi europei;
la relazione sulla biotecnologia, «prospettive e sfide per l'agricoltura in Europa, A6-0032/2007 del 3 febbraio 2007», ricorda che una maggioranza molto ampia di cittadini europei non è favorevole agli organismi geneticamente modificati, pur non essendo contraria, in linea di principio, alle biotecnologie;
il programma di Governo dell'attuale maggioranza parlamentare riconosce la funzione strategica del «sistema agricolo nazionale» per la sua rilevanza economica, ambientale, sociale e culturale;
secondo il programma è necessario custodire i valori della biodiversità e privilegiare la naturalità dei processi, incentivando realmente l'agricoltura biologica, anche ai fini della difesa e valorizzazione ambientale, e adottando verso gli organismi geneticamente modificati il principio di massima precauzione;
è stato dimostrato come sia molto costoso assicurare la coesistenza tra «agricolture ogm» e «ogm free». L'agricoltore che intende produrre in modo convenzionale, ossia tradizionale, in un'area dove sono presenti anche produzioni transgeniche deve fare fronte a costi supplementari, che vanno fino al 65 per cento degli oneri medi. Le spese sarebbero, invece, molto superiori per garantire una produzione agricola di tipo biologico;
il problema dei costi necessari ad assicurare la coesistenza nelle campagne europee è stata oggetto di uno speciale confronto tra esperti di tutti i settori interessati, su iniziativa del Comitato economico e sociale. Il Comitato economico e sociale ha dimostrato l'insostenibilità economica circa l'uso degli organismi geneticamente modificati nei cereali e le colture proteiche;
il dibattito sulla coesistenza ha richiamato il problema della fissazione delle soglie di tolleranza di organismi geneticamente modificati nelle sementi, sulle quali l'attuale Commissione europea si trova in un impasse per divergenze d'approccio tra i diversi commissari. A questo si aggiunge il fatto che la contaminazione da organismi geneticamente modificati di sementi tradizionali e biologiche riveste una grande importanza al momento della determinazione delle responsabilità in caso di danni finanziari provocati dal superamento delle soglie di etichettatura di alimenti e mangimi;
per ciò che riguarda la normativa italiana in questa materia, il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 («attuazione della direttiva 2001/18/CE concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati»), recependo la direttiva 2001/18/CE, pone un'analitica e complessa disciplina di tutela, allo specifico fine di «proteggere la salute umana, animale e l'ambiente relativamente alle attività di rilascio di organismi geneticamente modificati» (articolo 1, comma 1);
con specifico riguardo all'impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura, l'articolo 8, comma 2, lettera
c), del medesimo decreto legislativo n. 224 del 2003 detta le regole per poter procedere in tal senso, imponendo la «valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare»;
in particolare, è previsto che l'emissione degli organismi geneticamente modificati nell'ambiente, per qualsiasi fine diverso dall'immissione sul mercato, debba avvenire in appositi «siti», e cioè terreni di proprietà o gestiti «da istituti di ricerca pubblici, università, enti di sviluppo agricolo, sistema delle agenzie per la protezione dell'ambiente (Apat/Arpa), regioni e province autonome, enti locali», individuati dalle regioni interessate (articolo 3);
in tale contesto è stato approvato il decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, recante «disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica», convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, testo normativo che esplicitamente si dichiara attuativo della raccomandazione 2003/556/CE, al fine di disciplinare il «quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche e quelle convenzionali e biologiche», ed esclude, invece, dalla propria area di competenza le colture per fini di ricerca e sperimentazione autorizzate ai sensi del decreto ministeriale del 19 gennaio 2005;
ai sensi di tale contesto normativo, eventuali piani di coesistenza sono adottati con provvedimenti di ciascuna regione e provincia autonoma. Fino all'adozione dei singoli piani di coesistenza, «le colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di sperimentazione, non sono consentite»;
con sentenza 8 marzo 2006, n. 116, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 3, 4, 6, comma 1, e 7 ed altresì quella degli articoli 5, commi 3 e 4, 6, comma 2, e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5;
alla luce delle differenti disposizioni sopra citate, di rango sia comunitario sia nazionale, appare abbastanza evidente che in Italia comunque non vi sarebbero le condizioni per poter procedere a coltivazioni transgeniche anche quando la ricerca ne trovasse la praticabilità;
il Ministro interrogato, ai sensi del decreto ministeriale del 19 gennaio 2005, ha trasmesso al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare lo schema di un decreto ministeriale di adozione dei protocolli tecnici per la gestione del rischio, per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, ai fini dell'emissione deliberata nell'ambiente di specie geneticamente modificate a scopi sperimentali, che prevedono la possibilità di coltivare per fini sperimentali colture geneticamente modificate;
con tale atto verrebbero permesse manipolazioni genetiche su diverse specie vegetali di spiccata tradizione e rinomanza italiana, ossia l'actinidia, gli agrumi, il ciliegio dolce, la fragola, il mais, la melanzana, l'olivo, il pomodoro e la vite. Trattasi di produzioni che godono di grande reputazione presso i consumatori e nei cui confronti vi è grande fiducia in ordine alla genuinità, alla sicurezza alimentare ed all'integrità biologica;
introdurre nel dibattito nazionale o far circolare la notizia presso il pubblico che per queste produzioni che rappresentano l'eccellenza del made in Italy vi saranno sperimentazioni genetiche, potrebbe significare un danno incalcolabile. La diffidenza dei consumatori per le colture geneticamente modificate è già elevata, voler prevedere, senza per altro che ve ne siano le necessità o le esigenze, che su di esse vi siano pratiche di ingegneria genetica sarebbe la capitolazione commerciale dei settori agricoli più preziosi del nostro Paese;
a tal proposito, evitando ad ogni modo di entrare nel dettaglio degli atti, si sottolinea la pericolosità degli stessi, quando nei protocolli tecnici che vi sono
annessi è anche prevista la possibile iscrizione nel registro nazionale delle varietà su cui si richiede la possibilità di sperimentazione;
su tale argomento, tramite un'interrogazione a risposta immediata in assemblea, la n. 3-01033, discussa il 26 giugno 2007, è stato chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, se non si ritenesse opportuno sospendere in via definitiva le sperimentazioni in campo aperto di organismi geneticamente modificati, in relazione alla necessità di tutelare il mercato delle produzioni tipiche e tradizionali del Paese e la sicurezza dei consumatori. In tale circostanza il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato di avere espresso un parere contrario alla bozza di decreto, sia per motivi di orientamento strategico verso le produzioni agricole di qualità, sia per motivi precauzionali, in quanto le sperimentazioni non assicuravano alcuna sicurezza riguardo a possibili trasmissioni di tali specie geneticamente modificate verso le altre colture agricole -:
se, anche in ragione delle motivazioni indicate in premessa, non intenda definitivamente revocare il procedimento amministrativo iniziato l'8 maggio 2007, volto alla richiesta di pareri preventivi per l'adozione del decreto ministeriale che dà l'assenso all'immissione deliberata nell'ambiente di specie geneticamente modificate a scopi sperimentali, e, per quanto riguarda la produzione biologica, tenendo conto del principio di precauzione e della tutela dei diritti dei consumatori, se non ritenga più utile ed appropriato adottare un provvedimento che escluda nelle produzioni biologiche tali contaminazioni, ciò almeno fino a quando la Commissione europea, come indicato dal Consiglio, non emanerà una specifica direttiva quadro concernente le misure precauzionali tese ad evitare ogni contaminazione da organismi geneticamente modificati in tutta la catena alimentare, nonché un quadro legislativo per le norme sulla responsabilità concernenti qualsiasi contaminazione con organismi geneticamente modificati, sulla base del principio «chi inquina paga».
(3-01126)
ROSSI GASPARRINI, FABRIS, SATTA, ADENTI, AFFRONTI, CAPOTOSTI, CIOFFI, D'ELPIDIO, DEL MESE, GIUDITTA, LI CAUSI, MORRONE, PICANO e ROCCO PIGNATARO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
i Popolari-Udeur stanno raccogliendo numerose testimonianze di gravi difficoltà economiche e gestionali che numerose aziende agricole, soprattutto a carattere familiare, di medie e piccole dimensioni stanno vivendo in questo periodo;
in particolare, le suddette aziende rilevano una difficoltà notevole nel collocare sul mercato i loro prodotti, pur se coltivati con cura e capacità;
attualmente l'unica alternativa per tali aziende sembra essere quella di vendere sul campo a grossisti che offrono prezzi molto più bassi e, in genere, pagano con estremo ritardo rispetto al momento della raccolta;
si lamenta, altresì, la situazione di rifiuto dei giovani nel proseguire l'attività dei propri genitori, proprio in relazione alla quotidiana difficoltà economica in cui li vedono operare;
questo stato di cose, a parere degli interroganti, penalizza gli agricoltori anche sul piano della dignità del loro lavoro, così come rilevato al riguardo anche dalla Federazione imprese agricole coltivatori agricoli e allevatori;
nel contempo i consumatori e, in particolare, le famiglie si sono trovate in questo scorcio d'anno a sostenere aumenti consistenti del costo della frutta e della verdura, tanto che molte donne, che sono le principali responsabili d'acquisto delle famiglie, si sono viste costrette a ridurre le loro riserve di frutta e verdura;
una spirale assurda in forza della quale, pur essendoci una produzione ricca e di ottima qualità, la distribuzione è invece gestita in modo tale da portarla sul mercato a costi troppo elevati;
ne deriva inevitabilmente un minore acquisto di prodotti agricoli di estrema importanza alimentare, mentre si assiste alla costante distruzione di elevati quantitativi di frutta e verdura di cui invece le famiglie avrebbero necessità;
abbiamo ascoltato diverse volte le dichiarazioni importanti del Ministro interrogato circa la necessità di collegare direttamente il mondo della produzione al mondo dell'acquisto e non mancano esempi di successo di iniziative spontanee in tal senso;
il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, stabilisce, all'articolo 4, il diritto per gli imprenditori agricoli, singoli o associati, di vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, senza necessità di autorizzazione e previa comunicazione di inizio attività -:
quali iniziative e, nel caso, con quali modalità e tempi, il Governo intenda assumere per favorire la cultura dell'acquisto diretto fra produttore e consumatore, utilizzando le forze che provengono direttamente dalla società civile e dando piena attuazione a principi che da tempo dovrebbero essere applicati, in particolare con riferimento al citato decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
(3-01127)
Interrogazione a risposta scritta:
PINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la chiusura della maggior parte degli zuccherifici in Italia ha colpito con particolare gravità il territorio romagnolo;
un territorio sinora leader in campo nazionale per la produzione di zucchero, dal momento che la coltivazione di barbabietola in Romagna assieme alla vicina Emilia è il 60 per cento di quella totale italiana;
queste terre hanno pagato il prezzo più elevato: dei 9 stabilimenti in attività fino al 2005 ne sono rimasti aperti tre ed uno di questi, quello di Pontelagoscuro nel ferrarese, è, come è noto, destinato ad essere chiuso e riconvertito al termine dell'imminente campagna estiva;
tra gli impianti destinati alla riconversione vi è l'impianto Sfir di Forlimpopoli;
pare che in un primo vertice a Roma fra sindacati e Sfir sia stato raggiunto l'accordo su una dichiarazione d'intenti che contiene una proposta di riconversione industriale per la costruzione di una centrale elettrica da biomassa, senza che questo accordo sia stato sottoscritto anche dagli enti locali;
nel novembre 2006 risulta sottoscritto un protocollo d'intesa per la riconversione dello zuccherificio di Forlimpopoli, tra la regione Emilia Romagna, la Provincia di Forlì e Cesena, i comuni interessati ed il gruppo Sfir ove non risulta all'interrogante l'impiego di biomasse;
dopo mesi di annunci vaghi, contatti informali e progetti mai chiari sulla natura dei processi produttivi atti alla riconversione dello stabilimento Sfir i Forlimpopoli, nella serata di ieri, 18 luglio 2007, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si è tenuto un tavolo tecnico - al quale l'interrogante ha presenziato come uditore - presieduto dal responsabile della Segreteria tecnica del gabinetto del Ministro con la presenza del Sindaco di Forlimpopoli, rappresentanti della Regione Emilia Romagna, della Provincia di Forlì Cesena, delle rappresentanze sindacali dei lavoratori e associazioni di categoria degli agricoltori;
durante l'incontro è emerso chiaramente come la proprietà dell'impianto abbia intenzione di sviluppare un progetto di realizzazione di una centrale a bio
masse di grosse dimensioni (circa 22 MegaWatt) in assoluta autonomia senza un confronto preventivo - con elementi tecnici ed economici certi - con gli enti locali territoriali che invece hanno sollevato grosse perplessità sull'effettiva sostenibilità ambientale ed economica del progetto sul territorio;
ancor più grave risulta all'interrogante che tutta la riunione si sia sviluppata sull'equivoco dell'esistenza o meno di un vero progetto della riconversione dello zuccherificio Sfir di Forlimpopoli dato che i rappresentanti del Ministero e della Regione Emilia Romagna dicevano di averne preso visione da tempo, mentre tutti gli altri soggetti istituzionali invitati al tavolo erano in possesso di una sola lettera di due pagine nella quale Sfir comunicava l'intenzione di sviluppare tale progetto e nulla più -:
se a qualsiasi ufficio del Ministero dell'agricoltura sia pervenuto da parte di Sfir prima del 18 luglio 2007 un qualsiasi progetto di riconversione dell'impianto di Forlimpopoli, completo di tutti i dati economici ed ambientali necessari ad una analisi approfondita della proposta.
(4-04455)