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Allegato B
Seduta n. 202 dell'11/9/2007
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SALUTE
Interrogazione a risposta orale:
FRIAS, DIOGUARDI, SMERIGLIO e CARUSO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 10 e l'11 agosto, in località Pian di Rota (Comune di Livorno), un incendio ha distrutto le baracche in cui abitavano alcuni cittadini di origine rumena, provocando la morte di quattro bambini;
i sopravvissuti al drammatico incendio assieme ai loro parenti arrivati da Pisa, sono stati trovati dalle forze dell'ordine alla stazione ferroviaria di Livorno, poco dopo l'accaduto, e sono stati trattenuti in Questura per una intera notte e per gran parte del giorno successivo;
secondo le informazioni pervenute alla prima firmataria del presente atto dai volontari dell'associazione «Africa Insieme» di Pisa e dal gruppo dei salesiani di Livorno, che operano da tempo nei rispettivi territori in favore dei cittadini stranieri e delle minoranze Rom, le famiglie coinvolte nella drammatica vicenda erano state, prima dell'incendio, oggetto di ripetuti sgomberi sia nel territorio di Pisa che nel territorio di Livorno;
in particolare, queste famiglie erano state sgomberate nel maggio scorso da un insediamento non autorizzato nel quartiere CEP di Pisa, a seguito di una campagna di stampa contro le «baraccopoli» condotta da alcuni partiti del centro-destra (si vedano, tra l'altro, le cronache locali pisane dei quotidiani Il Tirreno e La Nazione del 17 maggio scorso);
a seguito dello sgombero di Pisa, una parte del gruppo si è trasferita a Livorno, in insediamenti precari e non autorizzati, ed è stata più volte oggetto di ordinanze di sgombero e di allontanamento da parte della Polizia municipale e delle forze dell'ordine; altri sono invece rimasti a Pisa, in condizioni igienico-sanitarie assai precarie e deteriori;
non risulta agli interroganti che queste famiglie siano state prese in carico dai servizi sociali di Pisa o di Livorno, benché siano presenti diversi bambini;
secondo quanto dichiarato dai volontari dell'associazione «Africa Insieme», il capofamiglia di questo gruppo, signor Damian Caldarar, è da tempo in dialisi, ha bisogno di cure specifiche e di condizioni igienico-sanitarie ottimali; i medici dell'ospedale
«S. Chiara» di Pisa avrebbero dichiarato ai volontari della citata associazione che il signor Caldarar non deve allontanarsi da Pisa, che ogni operazione di sgombero o di allontanamento dal territorio rischia di comprometterne gravemente lo stato di salute, di interrompere la continuità della terapia e di provocare persino la morte; sempre secondo i volontari dell'associazione, la bambina più piccola, figlia di Damian Caldarar, è ipovedente e necessita di visite e cure sanitarie;
le informazioni riportate alla prima firmataria del presente atto dai volontari dell'Associazione Africa Insieme, riguardanti le condizioni abitative e lo stato di salute delle persone sopra citate, sono state oggetto di due reportage giornalistici: uno del Corriere della Sera («La nostra fuga da quella baracca in fiamme»; mamma e figlia ora vivono sotto un altro ponte, 13 Agosto 2007) e uno de La Repubblica («Pronto ad ospitarli ma non in una casa», cronaca regionale toscana, 17 Agosto 2007); non risulta alla stessa che le amministrazioni locali di Pisa o di Livorno abbiano mai smentito quanto riportato in questi due articoli -:
quali provvedimenti o iniziative intenda attuare per garantire il pieno accesso alle cure sanitarie dei cittadini rumeni privi dei requisiti di soggiorno previsti dal decreto legislativo n. 30 del 2007, che si trovino in condizioni di indigenza;
in particolare, se intenda attuare, anche mediante circolare esplicativa, il disposto di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modifiche ed integrazioni («Il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati Membri dell'Unione Europea, se non in quanto si tratti di norme più favorevoli») che implicitamente, a parere degli interroganti, estende anche ai cittadini comunitari privi dei requisiti di soggiorno le prestazioni sanitarie previste per gli stranieri irregolari (di cui all'articolo 35 del citato decreto legislativo).
(3-01188)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
PORETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, contrariamente all'Italia, le compagnie farmaceutiche possono vendere medicinali direttamente ai pazienti tramite consegna a domicilio. Questa pratica è utilizzata in gran parte per pazienti affetti da malattie croniche che richiedono la somministrazione continuata e regolare di medicinali su ricetta, come Hiv, artrite reumatoide, emofilia, e sclerosi multipla;
secondo una indagine del quotidiano Times del 28 agosto 2007, la vendita diretta a domicilio permette ai pazienti, alle compagnie farmaceutiche e al sistema sanitario britannico di risparmiare centinaia di milioni di euro ogni anno. Tale pratica, infatti, elimina i costi della grande e piccola distribuzione, oltre a facilitare ed incoraggiare il trattamento a domicilio di pazienti che altrimenti richiedono una frequente ospedalizzazione;
sempre secondo il Times, grazie alla vendita diretta a domicilio di farmaci, il costo del trattamento dell'Hiv può diminuire fino a 2.000 euro l'anno per ogni paziente curato nella propria dimora;
la vendita diretta a domicilio facilita la consegna di prodotti farmaceutici biologici di nuova generazione - estratti da materiale biologico vivente, come vaccini, anticorpi, interleukins - che richiedono refrigerazione e consegna rapida. Il passaggio della grande alla piccola distribuzione, oltre ad aumentare i costi di tali prodotti (e quindi i costi per il Sistema sanitario), ostacola la rapida consegna di tali medicinali -:
se il ministro ritenga necessario, ai fini di trattamenti più efficaci e meno gravosi per il Sistema Sanitario Nazionale, legalizzare la vendita diretta dei farmaci a domicilio.
(5-01430)
PORETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto previsto dall'ordinanza «Misure urgenti in materia di cellule staminali da cordone ombelicale» in Italia non si può conservare per uso autologo il proprio cordone ombelicale se non in casi specificatamente previsti, il comma 4 dell'articolo 1 prevede che la conservazione autologa è prevista solo per «famiglie ad alto rischio di avere ulteriori figli affetti da malattie geneticamente determinate»;
all'articolo 4 della stessa ordinanza si disciplina la procedura per permettere la conservazione autologa del cordone ombelicale presso banche estere. Al comma 2 dell'articolo 4 si legge: «l'autorizzazione all'esportazione, ai fini della conservazione, di campioni di sangue cordonale autologo è richiesta al Ministero della salute, dai soggetti, diretti interessati che, preso atto dei contenuti della presente ordinanza, e non ricorrendo le condizioni di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, previo counselling con il Centro Nazionale Trapianti, e previo accordo con la Direzione Sanitaria sede del parto, decidano di conservare detti campioni a proprie spese presso banche operanti all'estero»;
l'Ospedale Vittore Buzzi di Milano non accetta la richiesta di avviare le procedure per poter conservare il cordone ombelicale nelle banche estere. A tale legittima richiesta il centralino risponde che il primario in accordo con la direzione sanitaria, non consente il prelievo del sangue cordonale a fini autologhi ma solo allogenici;
tale comportamento è illegittimo e contrario a quanto previsto nell'ordinanza;
attualmente in Italia si raccoglie meno del 10 per cento dei cordoni ombelicali, gli altri vengono buttati tra i rifiuti biologici della sala parto. Nel mese di dicembre 2006 erano più di 16 al giorno le donne che ricevevano dal Centro Nazionale Trapianti il permesso per conservare il proprio cordone ombelicale in banche estere -:
quali provvedimenti intenda prendere il ministro della Salute per fare sì che venga rispettato il diritto alla conservazione autologa previsto nell'ordinanza e per fronteggiare questa evidente violazione dell'Ordinanza.
(5-01431)
PORETTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 20 agosto l'Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) ha riportato la notizia di alcuni test diagnostici contraffatti per diabetici, etichettati Johnson & Johnson, provenienti dalla Cina;
copie mal funzionanti di OneTouch Test Strip, strisce per rilevare il contenuto di zuccheri nel sangue, erano state immesse in commercio lo scorso anno nelle farmacie negli Usa, Canada e in altri 35 Stati tra i quali Grecia, India, Pakistan, Filippine, Arabia Saudita e Turchia. Secondo i documenti resi pubblici da un tribunale federale degli Stati Uniti, sarebbero oltre un milione i kit contraffatti immessi sul mercato;
la Johnson & Johnson aveva scoperto la truffa dopo che 15 pazienti si erano lamentati del malfunzionamento, potenzialmente letale, dei test. Una lettura sbagliata dei valori glicemici può indurre un paziente glicemico ad assumere dosi sbagliate di insulina con gravi danni alla salute e il rischio di morte. Lo scorso ottobre, su segnalazione della stessa società di prodotti farmaceutici, la Food and Drug Administration aveva dato l'allarme, ma non aveva fatto sapere da dove era originato il problema;
l'Aduc ha inviato una nota al ministero della salute chiedendo se esistano analoghi problemi in Italia -:
se i ministri predisposti siano a conoscenza di questa situazione e se non ritengano di aumentare i controlli sui test diagnostici per diabetici;
se i ministri non ritengano necessario svolgere degli accurati controlli per verificare se i citati prodotti contraffatti siano già presenti nel nostro mercato e, nel caso venga accertata la loro presenza, se non si ritenga di ritirarli dal mercato.
(5-01432)
Interrogazione a risposta scritta:
PORETTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 20 agosto 2007 l'Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) ha riportato la notizia che in Nuova Zelanda durante una trasmissione televisiva, sono stati resi noti i dati di una indagine sulla quantità di formaldeide (aldeide formica) nei tessuti di indumenti provenienti dalla Cina. I livelli accertati sono 900 volte maggiori di quelli consentiti dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). I valori limite dell'OMS sono di 20 parti per milione mentre nei tessuti sono stati trovati valori fino a 18.000 parti per milione;
la formaldeide è usata come antimuffa e per mantenere la piega degli indumenti. La formaldeide è un cancerogeno e può provocare irritazione delle mucose degli occhi, delle prime vie aeree e irritazione della pelle;
nel 2006 il 22,4 per cento di abbigliamento utilizzato in Italia proveniva dalla Cina (+22 per cento rispetto al 2005) mentre i prodotti tessili coprivano 19 per cento (+31 per cento rispetto al 2005);
dopo la diffusione della notizia citata il ministero della salute in data 23 agosto 2007 con un comunicato stampa ha reso noto che: «ad oggi nessuna notifica è giunta al Ministero della salute da parte del sistema di allerta europeo Rapex in merito alla rilevazione di questa sostanza in tessuti. In caso di segnalazioni da parte del sistema Rapex i conseguenti provvedimenti di ritiro e sequestro riguarderebbero anche il nostro Paese» e che «Si precisa, inoltre, che il Ministero della salute valutando l'opportunità dell'istituzione di un sistema di sorveglianza nazionale per la valutazione dei rischi derivanti dalla possibile presenza di coloranti potenzialmente sensibilizzanti o tracce di sostanze tossiche o cancerogene sia nei processi lavorativi di produzione sia come residui nel prodotto tessile finale, ha già sottoscritto un Accordo di collaborazione per l'Istituzione dell'Osservatorio nazionale per la valutazione dei rischi sulla salute da prodotti tessili»;
l'Aduc ha consigliato a coloro che si trovassero in possesso di capi di abbigliamento provenienti dalla Cina di lavare e ventilare i tessuti prima di indossarli;
l'Aduc ha scritto una lettera ai Ministri della salute, Livia Turco e dello sviluppo economico, Pierluigi Bersani per sapere se anche in Italia siano state fatte analisi dei tessuti provenienti dalla Cina e quali siano i risultati -:
se i Ministeri predisposti non ritengano, nonostante il sistema di allerta europeo Repex non abbia fornito nessuna rilevazione sulla questione, di aumentare i controlli sui capi di abbigliamento importati dalla Cina e verificare se i citati capi di abbigliamento siano già presenti nel nostro mercato e, in caso affermativo, se non si ritenga di ritirarli dal mercato;
se grazie al citato Accordo di collaborazione per l'Istituzione dell'Osservatorio nazionale per la valutazione dei rischi sulla salute da prodotti tessili sottoscritto dal Ministro della Salute, siano già iniziati adeguati controlli sulle importazioni di capi di abbigliamento e tessuti dalla Cina.
(4-04746)