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Allegato A
Seduta n. 203 del 12/9/2007
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(Sezione 6 - Misure di livello comunitario e internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar)
BOATO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nelle ultime due settimane, come riportato da tutti gli organi di stampa internazionali, sempre più numerose e diffuse sono le manifestazioni di protesta in Myanmar (ex Birmania), a favore dei diritti umani e contro la situazione economica del Paese, represse in modo brutale e illegale da bande armate cui l'esercito «delega» il compito di porre sotto silenzio ogni forma di dissenso nei confronti del regime;
fra gli appelli alla comunità internazionale anche in questi giorni assumono particolare rilievo le lettere dal Myanmar del premio Nobel per la pace, signora Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, da oltre diciassette anni isolata dal mondo, nei confronti
della quale, - scrive Federico Rampini su La Repubblica del 6 settembre 2007 - la sorveglianza della giunta militare è stata inasprita, impedendole qualsiasi possibilità di incontro;
il caso del Myanmar è in primo piano sia presso gli organismi internazionali, in primo luogo l'Organizzazione delle nazioni unite, sia nel Parlamento italiano, in cui numerose sono le sollecitazioni al Governo affinché assuma ulteriori iniziative;
nella puntata di domenica 8 luglio 2007 del programma televisivo «alle falde del Kilimangiaro» trasmesso su Rai tre, la vicepresidente del partito lega nazionale per la democrazia, Daw San San, in esilio in Thailandia, durante un'intervista ha ribadito e confermato la drammatica situazione politica, sociale e lavorativa della popolazione birmana che per il 30 per cento, circa 15 milioni di persone, vive sotto la soglia di povertà ed è vittima di spaventosi abusi e di inaudite violenze da parte della giunta militare. A tale denuncia Daw San San ha aggiunto un serio invito a tutti i turisti affinché non si rechino in Myanmar, per evitare di fornire con i proventi del turismo un'ulteriore fonte di profitto economico e di rafforzamento politico del regime;
nel gennaio del 1947, la Birmania ha conquistato l'indipendenza. Dal 1962, a seguito di un colpo di Stato del generale Ne Win, si è instaurato un regime di stampo socialista, guidato da un «consiglio rivoluzionario» di generali dell'esercito. Nel 1988, un altro colpo di Stato delle forze armate ha dato vita ad un regime militare che ha come presidente e primo ministro il generale Saw Maung. Successivamente la Birmania assume la denominazione ufficiale di «Myanmar». Le elezioni politiche indette nel maggio 1990, che avrebbero dovuto legittimare il governo militare, hanno visto la vittoria schiacciante della lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e figlia di Aung San, padre della Birmania indipendente. La giunta militare non ha riconosciuto il risultato elettorale, iniziando una feroce politica di repressione nei confronti degli oppositori politici (Amnesty international per il 2006 denuncia 1.185 prigionieri politici). Il partito della lega nazionale per la democrazia è stato messo fuori legge e Aung San Suu Kyi, dopo alcuni brevi periodi di libertà, ancora oggi si trova agli arresti domiciliari. In questi anni poco è cambiato e, nonostante l'embargo dell'Unione europea sul materiale bellico per il Myanmar deciso nel 1988 e confermato nel 2002 e nel 2006, il Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo alla guida del Paese non ha compiuto passi significativi verso la democrazia;
nel giugno del 2000, con l'ottantottesima sessione, la conferenza generale dell'organizzazione internazionale del lavoro ha approvato una risoluzione che invita i governi, gli imprenditori e i sindacati a rivedere i loro rapporti con il Myanmar e ad adottare tutte le misure necessarie per evitare che il Paese membro possa trarre profitto da questi rapporti per perpetuare o sviluppare il sistema del lavoro forzato. Negli anni successivi, l'organizzazione internazionale del lavoro ha riaffermato e sostenuto la stessa linea d'intervento e le stesse misure nei confronti del Governo birmano e anche di recente, nel marzo 2007 durante la duecentonovantottesima sessione del consiglio direttivo dell'organizzazione internazionale del lavoro, la questione dell'osservanza da parte del Myanmar della convenzione n. 29 del 1930 sul lavoro forzato è stato oggetto di discussione e di dibattito;
nel maggio 2007, le organizzazioni Cisl, Legambiente, Wwf e Greenpeace hanno promosso la «campagna Birmania» e lanciato un appello per la liberazione di Aung San Suu Kyi e per la difesa dei diritti umani, sindacali, della democrazia, dell'ambiente di questo Paese dove «centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sono tutt'ora costretti al lavoro forzato, da parte sia dei militari, sia delle autorità locali e sono spesso obbligati alle deportazioni forzate, mentre sono comuni
la detenzione e le esecuzioni, torture, stupri, utilizzati come mezzo di potere». L'appello è rivolto, in particolare «alle imprese italiane che hanno rapporti commerciali con la Birmania e alle multinazionali impegnate nel settore forestale, petrolifero, del gas e minerario, nei progetti di costruzione di dighe ed infrastrutture, che comportano ingenti profitti per il regime, la violazione dei diritti umani, sindacali, ambientali» affinché provvedano a «sospendere i loro rapporti con questo Paese, per non contribuire a rafforzare il potere della giunta, che continua ad utilizzare il lavoro forzato e la devastazione ambientale come fonte di potere;
il 21 giugno 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Birmania, la quattordicesima dal 2000 ad oggi, che «condanna la repressione incessante e la persecuzione continua perpetrata dallo State Peace and Development Council nei confronti del popolo birmano» e «invita le industrie che investono in Birmania ad assicurare che i loro progetti siano realizzati nel rispetto dei diritti umani effettivi e, in caso di abuso di tali diritti, a sospendere l'attività nel Paese; esprime il proprio disappunto dinanzi al fatto che taluni Paesi abbiano ritenuto opportuno aumentare sostanzialmente gli investimenti in Birmania, nonostante la disastrosa situazione dei diritti umani nel Paese»;
il 19 luglio 2007, il presidente del comitato internazionale della Croce rossa, Jacob Kellenberger, ha denunciato, attraverso diverse agenzie di stampa, gravi violazioni dei diritti umani nell'ex Birmania e in particolare ha fatto riferimento al lavoro forzato a cui migliaia di detenuti sono costretti dalle forze armate birmane. Inoltre il Myanmar dalla fine del 2005 ha vietato al comitato internazionale della Croce rossa le visite indipendenti nelle carceri, limitando così l'apporto determinante delle organizzazioni umanitarie negli istituti di pena;
Amnesty international, nel rapporto annuale 2007, riporta notizie allarmanti sul Myanmar e denuncia che per il 2006 «la situazione dei diritti umani si è deteriorata nel corso dell'anno, con l'intensificarsi della repressione messa in atto in tutto il Paese dalle autorità nei confronti sia dell'opposizione armata sia degli oppositori politici pacifici. Il Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle nazioni unite ha inserito il Myanmar nella propria agenda. Violazioni diffuse e sistematiche delle norme internazionali sui diritti umani e del diritto internazionale umanitario, equiparabili a possibili crimini contro l'umanità, sono state perpetrate nel corso di operazioni militari nello stato del Kayin e nella divisione di Bago. Mentre le autorità continuavano a lavorare a una bozza per una nuova costituzione, attivisti venivano sottoposti a pressioni al fine di far loro abbandonare il proprio ruolo all'interno dei partiti politici. Decine di arresti di persone impegnate in attività politiche pacifiche sono continuati durante tutto l'anno così come quelli di persone impegnate in altre attività non violente nel contesto del loro esercizio delle libertà di espressione e di associazione. A fine anno, la maggior parte delle figure di primo piano dell'opposizione erano state imprigionate o detenute in via amministrativa, mentre più di altri 1.185 prigionieri politici continuavano a essere detenuti in condizioni carcerarie sempre peggiori. Sono state almeno due le persone condannate a morte». Nel rapporto di Amnesty international è, inoltre, dedicato un capitolo alla diffusa pratica del lavoro forzato che impone ai prigionieri «di fare da portantini per l'esercito, e gli stessi sarebbero stati sottoposti a torture e ad altre forme di maltrattamenti» -:
quale siano le valutazioni del Governo sui fatti sopra esposti e quali misure intenda adottare a livello comunitario ed internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar, a sostegno della piena applicazione della risoluzione dell'organizzazione internazionale del lavoro del giugno 2000 e delle successive risoluzioni del Parlamento europeo.
(3-01194)
(11 settembre 2007)