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Allegato B
Seduta n. 210 del 25/9/2007
TESTO AGGIORNATO AL 26 SETTEMBRE 2007
...
GIUSTIZIA
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
in un momento così delicato come quello che il nostro Paese sta attraversando deve essere fatto ogni sforzo da parte del Governo per evitare che prenda corpo il sospetto che la richiesta di trasferimento del Sostituto procuratore Luigi De Magistris sia dettata dalla volontà di togliere dalle mani di un magistrato scomodo inchieste che coinvolgono politici, uomini di governo, industriali, magistrati e burocrati;
contro ogni sospetto l'unico antidoto è la massima trasparenza di tutti gli atti compiuti dal Ministro per arrivare alla richiesta di trasferimento -:
se non ritenga opportuno rendere pubblica la relazione degli ispettori ministeriali
e chiarire il senso della richiesta di trasferimento del dottor Mariano Lombardi visto che tra tre mesi sarà collocato in pensione e chiarire i motivi che hanno spinto il Ministro ad accogliere solo in parte le richieste di trasferimento degli ispettori;
quali siano i motivi di urgenza che hanno spinto il Ministro ad avanzare la proposta di un trasferimento cautelare.
(2-00744)
«Migliore, Falomi, Acerbo, Burgio, Cacciari, Cardano, Caruso, Cogodi, De Cristofaro, De Simone, Deiana, Khalil detto Alì Rashid, Dioguardi, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Folena, Forgione, Frias, Guadagno detto Vladimir Luxuria, Iacomino, Locatelli, Lombardi, Mascia, Mungo, Olivieri, Pegolo, Perugia, Provera, Andrea Ricci, Mario Ricci, Rocchi, Franco Russo, Siniscalchi, Smeriglio, Sperandio, Zipponi».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
con stupore e costernazione si è appresa la notizia della scarcerazione di Marco Ahmetovic, il rom 22enne che uccise, guidando ubriaco un vecchio furgone la sera del 23 aprile 2007, quattro ragazzini di Appignano del Tronto, di età compresa fra i 16 e i 18 anni, che rientravano a casa con i loro motorini; lo stesso è stato avviato agli arresti domiciliari in un residence di San Benedetto del Tronto;
il giovane delinquente abituale ha ottenuto i domiciliari grazie alla collaborazione con gli inquirenti, poiché ha confessato una precedente tentata rapina a mano armata all'ufficio postale di Maltignano, indicando anche i nomi dei complici; in relazione a questa rapina Ahmetovic era stato raggiunto in carcere da un altro ordine di arresto;
nonostante il parere contrario della Procura il GIP del Tribunale di Ascoli, Annalisa Gianfelice, ha concesso la diversa misura detentiva; per evitare possibili tentativi di fuga da parte dell'imputato attorno allo stabile la procura della Repubblica ha disposto una sorveglianza massiccia;
secondo notizie provenienti dalla Procura la prossima udienza del processo è stata fissata per il 5 ottobre, ed è probabile che lo stesso giorno il giudice pronunci la sentenza, che non potrà essere inferiore ai 4 anni; Ahmetovic quindi tornerà in carcere, dove poteva tranquillamente rimanere, in attesa di un ulteriore processo;
nei giorni scorsi il Ministro dell'interno dottor Giuliano Amato ha sollevato il problema di una possibile deriva autoritaria del Paese a causa del crescente allarme sociale dovuto alle attività illecite e criminali dei clandestini; tale allarme è oggettivamente accresciuto da decisioni come quella descritta in premessa -:
qual è il costo complessivo della massiccia sorveglianza disposta presso l'appartamento in cui Marco Ahmetovic si trova agli arresti domiciliari;
se non ritenga opportuno avviare una ispezione sul funzionamento del Tribunale di Ascoli.
(2-00747) «Leone, Carlucci, Paoletti Tangheroni, Licastro Scardino, Bertolini».
Interrogazioni a risposta immediata:
PEDICA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
negli Stati Uniti l'istituto giudiziario della class action (azione collettiva risarcitoria) soccorre anche e soprattutto determinati insiemi di cittadini, che qui da noi, al momento, possono ben poco contro ingiustizie e crimini cagionati a una pluralità di soggetti;
è solo di pochi mesi fa la sentenza, che ha fatto scalpore anche qui in Italia, per cui l'arcidiocesi di Los Angeles, guidata dal cardinale Roger Mahony, si è vista costretta a riconoscere ben 660 milioni di dollari di risarcimento alle 508 vittime di pedofilia che hanno subito abusi ad opera di ministri della Chiesa cattolica statunitense;
le vittime di questi «terribili peccati e crimini» (per usare le parole del cardinale Roger Mahony) hanno potuto oggi ottenere una qualche forma di compensazione, esclusivamente pecuniaria, solo grazie all'esistenza dell'istituto legale della class action, accessibile negli Usa, ma ancora del tutto assente in Italia;
dove esiste la class action le vittime non abbienti possono reagire in gruppo, ottenendo quasi sempre risarcimenti e cospicue compensazioni economiche per i danni subiti dal medesimo criminale: la class action è, infatti, gratuita, essendo le spese processuali totalmente a carico degli avvocati che tutelano gli interessi del gruppo di vittime («la classe»), inoltre è rapida ed efficace, in quanto normalmente (ben oltre l'80 per cento dei casi) si risolve con una conciliazione amichevole pre-giudiziale, ovvero un accordo tra le parti che avviene addirittura prima dell'inizio del processo vero e proprio, evitando così la possibilità dei corsi e ricorsi processuali (nei vari gradi di giudizio) e, di conseguenza, abbreviando drasticamente i tempi della giustizia;
per chi ha avuto la disgrazia di subire un reato equiparabile alla violenza sessuale, parrà forse cinico e insufficiente limitarsi a richiedere un risarcimento economico, ma il risarcimento ha una doppia valenza: è sì un compensare la vittima per il danno subito, ma è soprattutto un poderoso deterrente per coloro che hanno o potrebbero avere l'interesse e la volontà di commettere ancora e contro altre potenziali vittime un reato analogo. Ha dunque una straordinaria valenza sociale, di riequilibrio tra le parti: tra chi detiene posizioni di potere, quale esso sia, tali da permettere condotte criminali indisturbate, essendo ben consci delle difficoltà per le vittime, specie se non abbienti, di dimostrare dette violazioni e crimini, tanto da subire in silenzio, in quanto consapevoli di non potersi permettere di accedere alla giustizia e alle spese che questa comporta;
la class action, quella originale, su modello Usa, andrebbe al più presto, quindi, introdotta in Italia e resa accessibile a tutti coloro che hanno subito un reato penale o un danno, sia che si tratti di consumatori e risparmiatori truffati, sia che si tratti di vittime di reati indegni e odiosi, come la pedofilia -:
quali iniziative intenda il Ministro interrogato assumere in tema di class action per onorare l'impegno assunto dal Governo nei confronti di tutte le persone che nel nostro Paese sono vittime di abusi.
(3-01248)
MANCINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Ministro interrogato ha inoltrato al Consiglio superiore della magistratura richiesta di trasferimento del dottor Luigi De Magistris, sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Catanzaro, titolare di importanti indagini nei confronti del presunto comitato di affari composto da dirigenti politici, rappresentanti delle istituzioni elettive e magistrati, accusato di aver depredato i fondi comunitari destinati allo sviluppo della Calabria;
a sostegno di tale richiesta vi è una relazione degli ispettori ministeriali inviati a Catanzaro, che imputano al giovane pubblico ministero di aver rilasciato alcune interviste ai giornali e alle televisioni;
nonostante l'assenso e la condivisione sull'operato del Ministro interrogato da parte di importanti settori del centrosinistra e del centrodestra, appresa l'iniziativa, nell'opinione pubblica nazionale si è diffuso un sentimento di incredulità e insieme di indignazione. In molte città della Calabria sono state organizzati banchetti per la raccolta di firme, che in poche ore hanno registrato l'adesione di un numero elevato di cittadini. Nella giornata di lunedì 24 settembre 2007 è stato inscenato un sit in spontaneo dinanzi al tribunale di Catanzaro, al quale hanno partecipato centinaia di cittadini -:
quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministro interrogato a chiedere il trasferimento del dottor Luigi De Magistris, quali i motivi che abbiano suggerito di adottare una procedura di urgenza, che di fatto impedirebbe la conclusione delle delicate indagini alle quali il magistrato sta lavorando, e se non ritenga di rivedere la propria richiesta, stante la determinata reazione da parte di ampi settori dell'opinione pubblica.
(3-01249)
LEONI, DI SALVO, SPINI, PETTINARI, ATTILI, AURISICCHIO, BANDOLI, BARATELLA, BUFFO, FUMAGALLI, GRILLINI, LOMAGLIO, MADERLONI, NICCHI, ROTONDO, SASSO, SCOTTO, TRUPIA e ZANOTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il dott. De Magistris, che esercita la funzione di pubblico ministero presso la procura di Catanzaro, sta da tempo conducendo una serie di inchieste su un «comitato d'affari», che avrebbe gestito appalti in diversi settori produttivi, inchieste che sono apparse significative, anche perché ipotizzavano commistioni tra spezzoni della classe politica, dell'ambiente industriale e il mondo del malaffare e della criminalità organizzata calabrese;
il Ministro interrogato ha nei mesi scorsi disposto l'invio degli ispettori ministeriali presso la procura di Catanzaro;
in seguito al rapporto effettuato dopo l'ispezione, secondo il quale (stando alle notizie di stampa) il pubblico ministero De Magistris si sarebbe reso responsabile di molteplici e gravi irregolarità nello svolgimento delle sue funzioni, il Ministro interrogato ha richiesto al Consiglio superiore della magistratura il trasferimento cautelare del dottor De Magistris e dottor Lombardi, capo della procura di Catanzaro;
tale allontanamento rischia di determinare l'arenarsi delle inchieste in corso e sta suscitando in Calabria e nell'opinione pubblica nazionale il sospetto che il Governo intenda colpire un magistrato ritenuto scomodo -:
se, in attesa del pronunciamento del Consiglio superiore della magistratura, il Ministro interrogato non intenda fare chiarezza su quali siano gli elementi e i fatti riscontrati che egli ha assunto a fondamento della richiesta di trasferimento dei magistrati della procura di Catanzaro, anche al fine di fugare ogni preoccupazione riguardo all'intromissione da parte del potere politico nei confronti dell'azione del potere giudiziario.
(3-01250)
CATONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nella bozza di regolamento che il ministero della giustizia sta mettendo a punto in merito alle sedi delle direzioni generali regionali della giustizia, risultano escluse due delle sedici sedi inizialmente previste;
tra le due sedi escluse vi è quella del capoluogo della regione Abruzzo, L'Aquila;
consapevoli della disciplina per il decentramento e delle difficoltà di natura finanziaria, l'esclusione della direzione regionale
della città dell'Aquila da parte del ministero della giustizia non può che essere considerata un grave danno per la regione Abruzzo e per la sua collettività;
nonostante la buona posizione geografica dell'Aquila e la qualificata presenza della classe forense che vi opera, si ritiene che tale esclusione comporterebbe anche un forte pregiudizio sociale, tanto più che il capoluogo regionale è soggetto ultimamente ad altre spoliazioni di sedi regionali, seppur di altra natura, egualmente importanti -:
se non ritenga opportuno prevedere nell'elenco delle direzioni generali regionali la città dell'Aquila quale sede di direzione generale regionale del ministero della giustizia.
(3-01251)
VOLONTÈ, CAPITANIO SANTOLINI, LUCCHESE, DRAGO, FORMISANO, RONCONI, PERETTI, MEREU, COMPAGNON e D'AGRÒ. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il tribunale di Cagliari ha ordinato all'azienda sanitaria locale e al primario di ginecologia dell'ospedale microcitemico del capoluogo sardo di effettuare la diagnosi preimpianto ad una donna affetta da betatalassemia e da depressione per un precedente aborto;
con tale ordinanza il tribunale ha violato la legge n. 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, giustificando tale violazione con la prevalenza del diritto costituzionale del diritto alla salute della futura madre e del diritto all'informazione sul divieto della diagnosi preimpianto;
infatti, l'articolo 13, comma 2, della legge n. 40 del 2004 vieta «comunque» ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso e qualora non siano disponibili metodologie alternative;
la finalità eugenetica di tale decisione è palese e non si capisce come il giudice abbia potuto motivare questa violazione della legge n. 40 del 2004, nonostante già nel 2006 la Corte costituzionale abbia respinto la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13 della legge, che proibisce appunto la diagnosi preimpianto;
vanno ricordate, altresì, altre sentenze contrarie a quella emessa dal tribunale sardo, come quella del tribunale di Catania del 2004, che rigettò la richiesta di diagnosi preimpianto di una coppia di portatori sani di talassemia, o come quella del tribunale amministrativo regionale del Lazio del 2005, che aveva riconosciuto la legittimità del divieto di tale pratica sulla base del divieto di selezione a scopo eugenetico;
appare abnorme la condotta del giudice a quo, che, a fronte di una delicata questione non meramente interpretativa ma di rispetto di una chiara norma di legge, qualora avesse avuto un dubbio sulla compatibilità del divieto di diagnosi preimpianto con la Costituzione, avrebbe dovuto sospendere il processo e investire della questione la Corte costituzionale, senza esondare, come si è invece verificato nel caso di specie, gli argini che la Costituzione democratica impone al potere giudiziario -:
se, in relazione alla vicenda descritta in premessa, non intenda assumere le opportune iniziative ispettive e, se del caso, i provvedimenti di competenza.
(3-01252)
CESINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a seguito della chiusura della comunità educativa per minori Balù, con sede in Ripatransone (Ascoli Piceno) e gestita dalla società cooperativa sociale Akela, decisa per motivi burocratici inerenti alla legge regionale delle Marche n. 20 del 2002, il tribunale per i minorenni di Ancona, nel giro di pochi minuti, e successivamente per diversi giorni a seguire,
ha emesso provvedimenti di trasferimento di minori, alcuni già inseriti in progetti e percorsi lavorativi, relativamente ai quali le verifiche di andamento da parte dei servizi sociali di riferimento erano tutte state positive;
i minori non sono stati prelevati soltanto dalla struttura sopra citata, ma anche dalla comunità educativa per minori Mowgly, con sede a Sassoferrato (Ancona), anch'essa gestita dalla cooperativa sociale Akela, la quale risponde, invece, perfettamente agli adempimenti relativi alla legge regionale n. 20 del 2002;
tali provvedimenti sono stati emessi, secondo l'interrogante, in maniera repentina, scavalcando il ruolo della procura, vista l'assenza del procuratore per gravi problemi di salute, e quelle della dirigente del centro giustizia minorile dell'Aquila e della direttrice dell'ufficio di servizio sociale per i minorenni di Ancona, entrambe in ferie;
i minori colpiti dal provvedimento non sono stati interpellati su questioni riguardanti la loro stessa vita, né le famiglie degli stessi avvertite, azioni che hanno portato, naturalmente, a brusche interruzioni dei percorsi di crescita, dei percorsi umani e lavorativi di questi soggetti svantaggiati, che la legislazione minorile si prefigge di tutelare;
ad avviso dell'interrogante, il danno causato dai suddetti provvedimenti giudiziari rischia anche di compromettere l'operato e l'esistenza stessa di una cooperativa che da anni opera nel settore con risultati sempre positivi, con ripercussioni lavorative anche per i quindici dipendenti in essa impegnati;
si segnalano, inoltre, alcuni casi di sconforto legati al provvedimento, precisamente quello di un minore già perfettamente inserito nel mondo del lavoro ma in attesa di una qualifica professionale al termine di un periodo di apprendistato, il quale, sapendo che c'era un provvedimento di trasferimento nei suoi confronti, è scappato lasciando una lettera nella quale motivava la sua fuga e del quale a tutt'oggi non si hanno più notizie, e quello di un altro ragazzo, anche egli inserito nel mondo del lavoro, e quindi verso l'autonomia, il quale, ricevuto un provvedimento di trasferimento, essendosi opposto allo stesso ha dovuto subire le intimidazioni dei carabinieri chiamati dal servizio sociale, il quale servizio ha gravemente abdicato al suo ruolo primario ed essenziale, minacciando il minore stesso di fargli perdere il posto di lavoro se non avesse accettato tale trasferimento;
stupisce come sia possibile che un tribunale per i minorenni, quello di Ancona, che dovrebbe essere l'organo preposto alla tutela dei minori stessi, emani provvedimenti di trasferimento di ragazzi, prelevandoli da una struttura, senza che gli stessi siano avvisati preventivamente sul loro futuro, né le loro famiglie del loro stesso trasferimento, o che un minore, titolare esclusivo di un rapporto di lavoro, autorizzato da un magistrato competente, sei giorni prima venga, contro la sua volontà, spostato e portato via lontano dal posto di lavoro, senza che abbia avuto la possibilità di rassegnare le dimissioni;
appare, inoltre, improbabile all'interrogante che, a seguito della chiusura della comunità educativa per minori Balù, con sede in Ripatransone (Ascoli Piceno), nel giro di pochi minuti arrivino dal suddetto tribunale fax relativi a provvedimenti di trasferimento di minori non solo da tale struttura, ma anche dalla comunità educativa per minori Mowgly, con sede in Sassoferrato (Ancona), perfettamente a norma e dunque senza alcun apparente motivo che giustificasse tali trasferimenti;
il tribunale per i minorenni di Ancona, più volte contattato tramite fax dalla stessa cooperativa per richiedere udienza, al fine di essere ascoltata in merito ai provvedimenti di trasferimento dei minori, ha sempre risposto, nella persona del suo presidente, dottoressa Luisanna Del Conte, di non essere tenuto a fornire alcuna spiegazione in merito ai suoi stessi provvedimenti;
sempre a parere dell'interrogante non è ammissibile che organi preposti alla tutela ed alla difesa dei minori, quali il tribunale per i minorenni di Ancona, l'ufficio di servizio sociale per i minorenni ed i servizi sociali del comune di San Benedetto del Tronto operino in tal modo, ledendo i percorsi di crescita ed umani di minori spesso svantaggiati e sui quali lo Stato stesso, attraverso la sua legislazione in materia, considerata tra le più avanzate in campo internazionale, investe aspettative e risorse;
è, inoltre, biasimevole che il tribunale per i minorenni di Ancona operi trasferimenti di minori, sia in area civile che penale, senza sentire il parere in merito della procura, la quale dovrebbe, per sua stessa natura, svolgere una funzione di controllo, e senza che fornisca agli interessati dei provvedimenti copia degli stessi;
a parere dell'interrogante quanto sopra premesso rappresenta un tentativo orchestrato per colpire la cooperativa sociale di recupero Akela, il quale si riflette soprattutto sull'esistenza dei minori coinvolti -:
quali iniziative ispettive intenda adottare in merito ai fatti esposti in premessa.
(3-01253)
FRIAS, COGODI e MIGLIORE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sono morti carbonizzati quattro bambini a causa dell'incendio divampato nelle baracche in cui abitavano in località Pian di Rota (comune di Livorno), nella notte tra il 10 e l'11 agosto 2007;
i sopravvissuti al drammatico incendio, assieme ai loro parenti arrivati da Pisa, sono stati trovati dalle forze dell'ordine alla stazione ferroviaria di Livorno, poco dopo l'accaduto, e sono stati trattenuti in questura per un'intera notte e per gran parte del giorno successivo;
a seguito degli interrogatori, è stata contestata ai genitori l'accusa di omicidio colposo e di abbandono di minore; il pubblico ministero Antonio Giaconi ha dichiarato alla stampa: «con gli elementi che abbiamo a disposizione propendiamo per l'ipotesi dell'incidente, con la conseguente gravissima negligenza dei genitori di aver lasciato soli i bambini» (come si legge nell'articolo «Nella baraccopoli sotto il viadotto muoiono i bambini», in L'Unità, cronaca regionale toscana, 12 agosto 2007);
a seguito dell'udienza di convalida del fermo, il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto infondata l'accusa di incendio colposo, suggerendo agli inquirenti indagini più accurate sull'ipotesi di incendio doloso e aggressione (come si evince dalle cronache del 17 agosto 2007, in particolare dall'articolo «Bimbi morti nel rogo, i genitori restano in carcere», pubblicato su La Nazione);
il 23 agosto 2007 la procura, la questura e i vigili del fuoco di Livorno, pur affermando di continuare gli accertamenti «senza escludere a priori nessuna ipotesi», dichiaravano improbabile la tesi dell'aggressione, avvalorata solo pochi giorni prima dal giudice per le indagini preliminari (si veda, in particolare, «Arresti domiciliari, strada in salita» e «L'aggressione esclusa dai vigili del fuoco», in Il Tirreno, cronaca di Livorno, 23 agosto 2007);
le informazioni riportate al primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo dai volontari dell'associazione Africa insieme, riguardanti le condizioni abitative e lo stato di salute delle persone sopra citate, sono state oggetto di due reportage giornalistici: uno de Il Corriere della Sera («La nostra fuga da quella baracca in fiamme; mamma e figlia ora vivono sotto un altro ponte», 13 agosto 2007) e uno de la Repubblica («Pronto ad ospitarli ma non in una casa», cronaca regionale toscana, 17 agosto 2007); non risulta al primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo che le amministrazioni locali di Pisa o di Livorno abbiano mai smentito quanto riportato in questi due articoli;
all'indomani del tragico incendio, il comune di Livorno si era impegnato a garantire una sistemazione abitativa provvisoria ai familiari delle vittime, in modo da consentire, fra l'altro, l'accesso all'istituto degli arresti domiciliari per le persone attualmente detenute in attesa di giudizio (si veda per esempio «Arresti domiciliari, pronta la richiesta», Il Tirreno, cronaca di Livorno, 21 agosto 2007);
secondo il quotidiano Il Tirreno, il sindaco avrebbe confermato la sua disponibilità a fornire un alloggio per gli arresti domiciliari («Accoglieremo i quattro rom: Cosimi conferma l'impegno, ma non sarà una casa», Il Tirreno, cronaca locale di Livorno, 5 settembre 2007);
secondo quanto risulta al primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, né il comune di Livorno, né altra istituzione avrebbero compiuto passi formali per la concessione di un alloggio -:
quali siano, nell'ambito della vigente normativa, le condizioni in base alle quali nel caso di specie possano essere disposti gli arresti domiciliari e quali iniziative, anche normative, intenda assumere, secondo le proprie competenze, per agevolare la concessione degli arresti domiciliari in circostanze analoghe a quelle descritte in premessa.
(3-01254)
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:
BALDUCCI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la legge 30 luglio 2007, n. 111, recante «Modifiche alla norme sull'ordinamento giudiziario», ha introdotto - tra l'altro - il principio della temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, stabilendo che essi possano essere conferiti per quattro anni, rinnovabili per una volta soltanto (quindi, per un totale di otto anni complessivi);
la normativa in esame ha anche previsto che gli incarichi direttivi non possano essere conferiti ai magistrati che abbiano superato l'età di settantuno anni di età al momento della data della vacanza;
il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive è stato, inoltre, agganciato al conseguimento della valutazione di professionalità richiesta per lo svolgimento della specifica funzione;
nel nuovo ordinamento giudiziario, la valutazione di professionalità rappresenta lo strumento per verificare la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno del magistrato, ricordando che a tali verifiche sono sottoposti tutti i magistrati, ogni quattro anni, a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione;
tali valutazioni dovranno essere compiute dal Consiglio superiore della Magistratura sulla base del parere espresso dal consiglio giudiziario, al termine di un complesso iter che prevede anche l'acquisizione delle segnalazioni pervenute dal consiglio dell'ordine degli avvocati;
ciò comporterà un notevole aumento del carico di lavoro per il CSM, ma anche notevoli problemi di avvicendamento negli Uffici, allorché si tratterà di procedere alla sostituzione di quei magistrati che abbiano raggiunto i limiti massimi di permanenza nelle funzioni direttive o semidirettive;
la legge n. 111 del 2007 stabilisce all'articolo 5, comma 3, che «Le disposizioni in materia di temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi di cui agli articoli 45 e 46 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, come modificati dall'articolo 2 della presente legge, si applicano a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge e pertanto, fino al decorso del predetto termine, i magistrati che ricoprono i predetti incarichi mantengono le loro funzioni»;
il comma 3 soggiunge poi: «Decorso tale periodo, coloro che hanno superato il termine massimo per il conferimento delle
funzioni senza che abbiano ottenuto l'assegnazione ad altro incarico o ad altre funzioni decadono dall'incarico restando assegnati con funzioni non direttive né semidirettive nello stesso ufficio [...]»;
in realtà, il termine di 180 giorni appare manifestamente inadeguato, soprattutto se rapportato alla quantità di valutazioni di professionalità che il CSM dovrebbe operare in un lasso di tempo così esiguo: situazione, questa, che potrebbe determinare un ingolfamento, se non una paralisi delle attività del Consiglio;
secondo i primi dati statistici, alla data dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni (febbraio 2008) sarebbero circa 334 le cariche direttamente interessate dalla decadenza: un numero tale da comportare seri problemi organizzativi in tutti i maggiori Uffici giudiziari, con ovvie conseguenze sui tempi della giustizia -:
se il Governo sia a conoscenza del numero dei magistrati direttamente interessati dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni sulla temporaneità degli incarichi direttivi o semidirettivi e quali iniziative intenda assumere, nell'ipotesi di una riscontrata inadeguatezza del termine di 180 giorni di cui all'articolo 5 comma 3 legge n. 111/2007, per risolvere i problemi di natura transitoria legati al passaggio alla nuova disciplina.
(5-01502)
MAZZONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nella precedente legislatura il Parlamento ha approvato la legge 8 febbraio 2006, n. 54, recante norme sull'affidamento condiviso dei figli nel caso di separazione tra i coniugi;
la finalità di tale legge è quella di garantire ai figli il diritto alla bigenitorialità anche dopo la separazione dei genitori; il dettato normativo, infatti, riconosce ai minori il diritto di mantenere un rapporto continuativo ed equilibrato sia con il padre che con la madre e di continuare a ricevere cura, istruzione ed educazione da entrambi;
con la novella dell'articolo 155 del codice civile il legislatore ha inteso porre fine alla prassi giurisprudenziale degli affidamenti esclusivi, che, nella maggior parte dei casi, portava ad un progressivo allontanamento del minore dal genitore non affidatario, con danno soprattutto per i minori che, come dimostrato da numerosi studi scientifici, per uno sviluppo armonico della propria personalità hanno bisogno di mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori;
tuttavia, a più di un anno di distanza dalla sua entrata in vigore, questa legge risulta ancora scarsamente osservata nei diversi Tribunali della Repubblica, incontrando le resistenze degli operatori del diritto, ancorati a prassi giurisprudenziali consolidate che tendono a preferire, nell'interesse del minore, l'affidamento esclusivo ad uno dei genitori;
tale orientamento è in totale contrasto con lo spirito della legge 54/06, che prevede il ricorso all'affidamento esclusivo come ipotesi residuale, limitandolo alle sole ipotesi in cui il genitore non affidatario potrebbe arrecare pregiudizio al figlio; è così chiaro il testo della norma da prevedere anche la condanna per lite temeraria nei confronti del genitore che pretestuosamente accusi l'altro di essere pregiudizievole per la prole;
dalla recente giurisprudenza in materia emerge un atteggiamento disomogeneo sul territorio nazionale, gravemente lesivo del principio della certezza del diritto -:
di quali dati statistici disponga in relazione all'applicazione della legge n. 54 del 2006 e, ove dovessero emergere situazioni abnormi, se intenda adottare iniziative ispettive.
(5-01503)
CONSOLO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 633 del codice di procedura civile prevede che «su domanda di chi è
creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna». Lo stesso articolo pone la «prova scritta» come condizione di ammissibilità per la richiesta di emanazione di un decreto ingiuntivo;
il successivo articolo 634 del codice di procedura civile sancisce che tra le prove scritte hanno valore anche «egli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture»;
ai fini pertanto dell'accoglimento di un ricorso per decreto ingiuntivo su fatture commerciali, è necessario che la parte ricorrente depositi, unitamente al ricorso, gli estratti autentici del registro IVA vendite;
l'articolo 3 della legge 21 novembre 2000, n. 342, ha sancito che i registri contabili devono essere stampati su supporto cartaceo entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta cui i dati contabili si riferiscono, con la conseguenza, ancorché non voluta, di prolungare così le tempistiche di procedura per il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo -:
se ritenga opportuno, sulla via della semplificazione procedurale più volte auspicata dal titolare del dicastero interrogato e delle norme vigenti in materia di regolare tenuta dei libri contabili, assumere iniziative legislative volte a rendere più snella l'attuale normativa, nel senso di considerare sufficiente, ai fini del solo accoglimento della richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo, unicamente il deposito delle copie autentiche delle fatture per le quali si agisce.
(5-01504)
COSTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Ministro dell'economia ha predisposto un «Libro verde» sulla razionalizzazione della spesa pubblica, nel quale ha toccato alcuni aspetti del comparto giustizia;
in particolare è ritornato sulla questione della revisione della geografia giudiziaria, indicando anche il numero ottimale dei giudici presenti in un tribunale affinché lo stesso possa definirsi produttivo;
in interviste sui quotidiani dei giorni scorsi il Capo dipartimento dell'organizzazione giudiziaria dottor Claudio Castelli ed il Ministro della giustizia senatore Clemente Mastella, hanno palesato la volontà di porre a carico dei comuni talune spese di gestione dei piccoli tribunali -:
quali iniziative intenda porre in essere il Governo in proposito, tenendo conto che le sedi giudiziarie minori costituiscono da sempre un presidio anche sociale in territori decentrati e che le amministrazioni locali, già dissanguate da pesanti tagli di risorse, non hanno certo la capacità finanziaria per sostenere esborsi finalizzati a coprire le spese di gestione delle sedi giudiziarie minori.
(5-01505)
Interrogazione a risposta in Commissione:
DE LAURENTIIS. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
si è appreso che il decreto del precedente Governo che già assegnava alla Città Capoluogo d'Abruzzo la sede Distrettuale ed il cuore dell'Organizzazione anche logistica della Giustizia per l'Abruzzo ed il Molise, è stato annullato e la sede de qua è stata accorpata alle Marche ed avrà come sede Ancona;
la città dell'Aquila come presidio per questo importante ufficio è garanzia per un intera regione oltre che per la stessa città capoluogo, quindi questo decentramento vede solamente una pesante penalizzazione
dell'Abruzzo ed il suo capoluogo, nonostante possa vantare la presenza della Corte d'Appello unica regionale, e vede altresì penalizzati la classe di professionisti e magistrati che hanno nella città dell'Aquila da sempre una consolidata tradizione forense;
per questioni di economia, non si è data esecuzione ad un provvedimento del precedete Governo e quindi né Trento né L'Aquila debbono essere sedi dei nuovi Dipartimenti della Giustizia, ma lo stesso metro non si è usato da parte di questo Ministero quando per ragioni logistiche dovevano essere insediate importanti strutture su altre regioni;
il danno per la regione dell'interrogante appare evidente e di straordinarie proporzioni sia per la classe di professionisti sia per il prestigio ed il decoro che di fatto vengono sottratti alla regione Abruzzo con un sì evidente declassamento, il tutto nella silente compiacenza delle amministrazioni locali -:
se il Governo intenda, innanzitutto, adoperarsi, e con quale tempistica per ripristinare l'istituzione della sede della Direzione Regionale del Ministero di grazia e giustizia ad Aquila.
(5-01501)
Interrogazione a risposta scritta:
ROSITANI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni Emilio Sirianni, Giudice del lavoro a Cosenza e calabrese di nascita, ha pubblicato un racconto sulla giustizia in Calabria;
la giornalista Donatella Stasio in un articolo dal titolo «La Calabria senza giustizia» uscito sul Sole 24 Ore del 21 settembre scorso, ha riportato ampi stralci del racconto stesso;
nell'interessante articolo è scritto tra l'altro: a) «una magistratura che, per indifferenza o pigrizia, per paura o connivenza, per furbizia o conformismo, gira la testa dall'altra parte, strizza l'occhio ad alcuni imputati, non vigila e non fa domande sulle anomalie dell'ufficio. E che accetta, dice Sirianni, l'umiliante baratto fra la convenienza personale e la rinuncia a qualsiasi prospettiva di cambiamento, perché l'unico cambiamento immaginabile è il premio di essere trasferito nell'agognata sede agiata. Una magistratura, insomma, incapace di autogovernarsi, qui più che altrove, e che contribuisce a indebolire la credibilità dello Stato»; b) «Così come, in Calabria, non ci si scandalizza per un concorso truccato, ma lo si accetta come una fatalità, allo stesso modo, spiega Sirianni, il magistrato calabrese quasi mai reagisce o denuncia, preferisce adattarsi a prassi dubbie, assistere indifferente a condotte inammissibili. La stessa indifferenza che soffoca la cosiddetta società civile si respira nei corridoi dei palazzi di giustizia»;
a comprova del giudizio suddetto cita in particolare: 1) l'assordante silenzio dei magistrati di Vibo Valentia in occasione dell'arresto di Patrizia Pasquini, Presidente del tribunale civile della stessa città; 2) l'indifferenza dimostrata dai giovani magistrati di Rossano Calabro in occasione di una visita elettorale per il rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura rispetto al cattivo funzionamento degli uffici, alla reiezione per due anni di seguito della tabella organizzativa da parte del Presidente del Tribunale e alla destituzione di un giudice per non aver depositato le sentenze riguardanti condanne per reati gravi;
molti uffici calabresi, soprattutto quelli piccoli, si svuotano ogni venerdì, al massimo, e tornano riempirsi solo il lunedì o il martedì successivo: tutti tornano a casa, per lo più in Campania, in Puglia, nel Lazio senza che il capo abbia nulla da obiettare. Alla sua condiscendenza corrisponde la rinuncia a criticarne l'operato;
oltre Vibo Valentia e Rossano Calabro anche Palmi e Locri sono tutti fortini assediati, in zone ad altissima densità criminale in cui si lavora male e si vive in totale separatezza dal resto della regione;
di solito si parla solo per denunciare carenza di mezzi e di uomini anche quando accadono fatti strani come quello, ad esempio di Locri dopo la morte del Procuratore Rocco Lombardo. «In tale circostanza la Procura di Locri fu lasciata reggere per mesi da un giovanissimo collega e solo quando fu trasferito venne finalmente affidata ad uno dei più esperti Pm della procura di Reggio Calabria, il quale accertò, a fine 2003, l'esistenza di 4.200 procedimenti con termini di indagine scaduti da anni, su un totale di 5.000, e di circa 9.000 procedimenti «fantasma», cioè risultanti dal registro, ma inesistenti in ufficio. Dati, peraltro, già riscontrati in un'ispezione del 2001, senza che nulla accadesse»;
troppi magistrati calabresi organizzano le loro giornate con il solo obiettivo di sopravvivere. Si chiudono in ufficio, alzano un muro invisibile che li separa dalla comunità. Ma in Calabria non basta fare il proprio lavoro. Bisogna guardare che cosa accade fuori dalla porta, anche a costo di perdere la tranquillità;
spesso accade, in Calabria, di assistere a processi in cui, durante una pausa, un avvocato difensore entri in Camera di Consiglio e si intrattenga a lungo con i giudici. E accade anche che poi arrivi un cameriere in giacca bianca con vassoi carichi di libagioni. Che cosa devono pensare le altre parti del processo? Qual è la credibilità dello Stato se le sue istituzioni si comportano così nel silenzio più assoluto? Un costume tollerato. Ignorato. Come del resto la bizzarra gestione di alcuni processi, sfumati in prescrizione e ne cita alcuni clamorosi;
tutto questo accade nel silenzio generale. Conformismo, tendenza al quieto vivere, fuga dai processi più scottanti, pigrizia, sono le cause principali. Spesso, osserva Sirianni, si fanno denunce generiche, magari eclatanti. Ma sui fatti specifici si preferisce tacere. Meglio lamentarsi per mancanza di uomini e mezzi piuttosto che vigilare su anomalie, irregolarità, frequentazioni o cointeressenze pericolose. Tutto questo accade al Sud, e anche altrove. Solo che qui è un po' di più -:
cosa intenda fare per quanto di competenza per garantire concretamente oltre alla dignità dello Stato, il diritto del 99 per cento dei cittadini calabresi che sono oltremodo onesti e che vogliono vivere nella legalità e nella libertà «Vera» lontano appunto dai condizionamenti e dai ricatti della malavita organizzata e dei singoli delinquenti.
(4-04942)