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Allegato B
Seduta n. 212 del 27/9/2007
...
POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
MARTINELLO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
da più parti si segnalano difficoltà interpretative ed applicative delle disposizioni contenute nella legge n. 82 del 20 febbraio 2006 per quanto attiene alla ricerca di denaturanti nel vino;
con riferimento all'articolo 14, comma 8, si osserva che il test di fermentescibilità non garantisce in maniera assoluta che non siano stati aggiunti antifermentativi, perché alcuni di essi hanno tempi di degradazione nel vino veloci così che il metodo proposto, a causa delle sue limitazioni intrinseche, crea allarmismi ingiustificati e danneggia i produttori;
l'unico metodo ufficiale di riferimento è quello dell'OIV Ma-F-AS4-02-RECANT 2006, studiato per i vini a bassa gradazione alcolica e che è stato esteso a tutte le tipologie di vino, anche con contenuti zuccherini molto bassi o invecchiati e pertanto non si garantisce la robustezza del metodo; inoltre richiede l'utilizzo di vini di riferimento non reperibili in commercio rendendo in tal modo inapplicabile il metodo;
il metodo di riferimento specifica il genere e la specie di lievito da utilizzare, ma non il ceppo, per cui l'utilizzo di ceppi diversi può portare a dei risultati sensibilmente differenti da laboratorio a laboratorio;
i tempi di realizzazione del test sono di 9-10 giorni per cui assolutamente insostenibili nella gestione delle certificazioni ufficiali, in cui i tempi di consegna sono determinati mediamente in 2-3 giorni per le esportazioni, 1-2 giorni per le compravendite e in 5 giorni per i VQPRD;
i produttori di vino sono costretti ad accollarsi degli ulteriori costi, quando richiedono certificati ufficiali in cui il test di fermentescibilità e la ricerca dei denaturati peraltro non sono significativi;
non per tutti i campioni sottoposti ad analisi ufficiale c'è l'obbligo del contro- campione e la legge 82/2006 non lo prevede. Qualora il risultato al test fosse difforme non è data la possibilità al cliente di effettuare la contro analisi;
i produttori che esportano vini all'estero, utilizzano certificati ufficiali con format prestabiliti da accordi bilaterali o da convenzioni usuali, che in questo caso dovrebbero essere modificati con tutte le implicazioni che ciò comporta;
i vini importati poi non sono sottoposti a questo test, creando una discriminazione per i vini italiani;
dopo tutti gli adeguamenti che i laboratori hanno dovuto affrontare per approntare il test di fermentescibilità dopo i danni subiti dai nostri produttori, con la finanziaria 2007 è stato abrogato il suddetto test;
l'articolo 14, comma 8, recita poi espressamente «...la ricerca dei denaturati previsti dalla presente legge...» lasciando all'interpretazione della legge quali siano i denaturati da ricercare: solo il litio, come previsto dal decreto attuativo del 31 luglio 2006 specificatamente per i vini alterati e le fecce, o anche il sodio, previsto dal decreto ministeriale 16 ottobre 1969 specificatamente per i mosti con gradazione inferiore agli otto gradi ed acidità volatile elevata e non espressamente citato dalla legge in oggetto. Per cui non risulta chiaro quale sia l'analita o gli analiti da determinare: se il litio o anche il sodio o anche i cloruri;
non è stato emanato il decreto ministeriale previsto dall'articolo 8, comma 1, che avrebbe dovuto stabilire la sostanza rivelatrice da utilizzare;
un'ulteriore complicazione è determinata dall'assenza del limite legale per il litio che rende impossibile stabilire quando far scattare la segnalazione alle Autorità competenti. Anche per il sodio manca il limite legale -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di rivedere la materia in oggetto e se ritenga opportuno sospendere la determinazione dei denaturati, in attesa di una nuova rideterminazione dei contenuti delle norme che permetta sia ai laboratori enologici sia ai produttori di avere certezza sulle analisi da compiere.
(5-01518)
Interrogazioni a risposta scritta:
MELLANO e PORETTI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
uno studio condotto dal Movimento consumatori di Cuneo nell'ambito del progetto «sicurezza alimentare 2007», che ha analizzato alcune marche di biscotti, birra e vino ha constatato la presenza delle cosiddette micotossine. I risultati sono più che rilevanti: su un totale di 40 prodotti presi in considerazione, risultano inquinati da micotossine il 10 per cento di quelli a base di cereali, come pistacchi e frutta secca, il 20 per cento dei succhi a base di mela, addirittura il 61 per cento dei vini e il 57 per cento delle birre;
in generale il 37,5 per cento degli alimenti analizzati presenta tracce di queste tossine. In un caso, addirittura, di una sostanza cancerogena, in quantità superiori a quelle consentite. Si tratta di biscotti dietetici (sono senza glutine) con uva sultanina e cannella della Orgran, comprati in un negozio specializzato di Cuneo. Il prodotto, commercializzato in Italia, ma proveniente dall'Australia, ha mostrato in laboratorio tracce di aflatossina B2 e una quantità di aflatossina B1 doppia di quella permessa dalle normative. Un contenuto allarmante, dato che si tratta di una sostanza classificata cancerogena per l'uomo dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc);
i curatori della ricerca hanno inoltre affermato: «anche gli altri tipi di aflatossina rilevati (B2, G1, G2), sono pericolosi per l'uomo, soprattutto per la tossicità cronica» derivante dall'assunzione prolungata di dosi anche non massicce. Tra le possibili conseguenze, si citano gravi lesioni epatiche (cirrosi, fibrosi), patologie dovute all'azione diretta sul fegato e che
possono portare a malformazioni e morte del feto, e formazione di carcinoma epatico o renale;
per quanto riguarda il vino, l'indagine del Movimento Consumatori (Mc), ha preso di mira 13 vini comprati in discount o supermercato a prezzi inferiori alla media. E ha constatato in otto casi la presenza di tossine. Il più eclatante è quello del vino rosso da tavola La Vignetta della Caldirola, venduto a 1,15 euro il litro in un supermercato di Cuneo, che ha mostrato lo 0,2 ppb di ocratossina A. Questa tossina è classificata dallo Iarc come possibile cancerogeno, oltre a essere tossica per il rene. Può contaminare cereali, arachidi, caffè, prodotti a base di cacao, frutta secca, succhi di frutta, salse di soia e negli ultimi anni è stata riscontrata soprattutto in vino e birra;
nel caso del vino, il limite previsto dalla normativa europea per l'ocratossina A è di 2 ppb, quindi «La Vignetta» è decisamente al di sotto dei livelli di allerta. Ma, come sottolinea lo stesso studio di Mc, «se teniamo conto della diffusione di questa micotossina in alimenti presenti frequentemente nelle nostre tavole, ci rendiamo conto che la sommatoria di residui anche apparentemente minimi diventa invece significativa»;
secondo l'Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), per una persona di 70 kg una dose sopportabile di ocratossina A non dovrebbe superare gli 8,4 microgrammi a settimana, meno per un bevitore assiduo. Il discorso vale anche se si alterna il vino alla birra. Sebbene per quest'ultima bevanda non esistano in Europa limiti massimi di contaminazione consentiti, la circolare 10 del 1999 del ministero della Sanità indica come valore guida una soglia di 0,2 ppb. Un tetto oltrepassato dalla birra tedesca Oettinger, con 0,5 ppb di ocratossina A e sfiorato da altri tre prodotti;
l'ultimo capitolo della ricerca è stato dedicato a bevande e prodotti a base di mele. Fortunatamente con risultati migliori. Dalla ricerca della patulina, una sostanza nociva che si sviluppa a partire dai funghi, sono usciti con residui di micotossine quantificabili «solo» due dei dieci campioni analizzati -:
se il Governo sia al corrente dei dati illustrati in premessa;
quali siano le misure già intraprese dal Governo in materia di contaminazioni tossiche negli alimenti di uso quotidiano;
se non ritenga necessario istituire un tavolo con le associazioni dei consumatori e i produttori al fine di coordinare gli sforzi per prevenire i preoccupanti episodi esposti in premessa.
(4-05002)
RAISI. - Al Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'ENCI, Ente nazionale cinofilia italiana, svolge ai sensi della legge 30 dicembre 1992 n. 529 una attività avente pubblico interesse inerente la tutela e la promozione delle razze canine;
nello specifico l'ENCI è deputato alla tenuta del Libro genealogico dei cani di razza secondo la disciplina dettata da appositi disciplinari approvati con decreti del Ministro delle politiche agricole e forestali e, in particolare, dal decreto ministeriale n. 21095 del 5 gennaio 1996 e dalle Norme tecniche di attuazione, anch'esse approvate con rispettivi decreti ministeriali;
con l'interrogazione n. 4-00833 proposta dall'onorevole Valerio Carrara venivano chieste all'illustrissimo Ministro spiegazioni in merito al fatto che con la circolare prot. n. 3241/FC/AP/LH del 24 gennaio 2005 l'ENCI dichiarava che «gli allevatori titolari e/o associati d'affisso riconosciuto da ENCI/FCI hanno la facoltà di registrare al Libro genealogico cucciolate identificabili anche attraverso l'apposizione della propria sigla assegnata dall'ENCI». Tale disposizione risultava essere in palese contrasto con la legge 14 agosto 1991 n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione prevenzione del randagismo)
che istituisce l'anagrafe canina delegando alle regioni l'istituzione e le modalità di iscrizione alla medesima anagrafe, nonché la determinazione delle modalità di rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore (articolo 3);
l'ENCI, invece, con quella disposizione, consentiva che al Libro genealogico continuassero ad essere iscritti cani di razza identificati in virtù della marcatura apposta dagli allevatori dotati di «affisso» (titolo rilasciato dallo stesso ENCI, quindi privatistico e non pubblicistico), violando in questo modo ogni accertamento in ordine alla provenienza del cane, alle verifiche igienico-sanitarie cui lo stesso deve essere sottoposto e delle strutture in cui operano gli allevatori, come invece richiesto dalle norme di legge regionali;
inoltre l'ENCI consentiva che fossero eluse le verifiche veterinarie dei cani iscritti al Libro genealogico posto che il Consiglio direttivo dell'ENCI, in data 16 giugno 2005, deliberava di non considerare obbligatoria la certificazione veterinaria ai fini della iscrizione degli esemplari ai Registri, rendendo di fatto possibile che, mediante procedure contrarie alle disposizioni di legge statale e regionale, l'iscrizione al libro genealogico dei cani di razza, regolato con decreto del ministero interrogato, potesse avvenire anche per esemplari privi di idonea certificazione, in assenza de più elementari controlli sotto il profilo veterinario;
il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rispondeva alla detta interrogazione con la nota del 4 dicembre 2006 nella quale testualmente dichiarava che:
«L'articolo 6 del decreto ministeriale n. 20894 del 18 aprile 2000 prevedeva la marcatura ufficiale dei cuccioli mediante punzonatura o attraverso l'applicazione di un identificativo elettronico (microcip).
In attuazione della legge del 14 agosto 1991 n. 281 - Legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo - solo alcune regioni avevano adottato specifiche disciplina per l'identificazione dei cani.
Di conseguenza, la Commissione tecnica centrale del libro genealogico deliberò che in tutte le situazioni in cui fosse stata attivata l'identificazione pubblica, la stessa diventava ufficiale anche per il libro genealogico; in caso di mancata attivazione dell'anagrafe canina da parte di alcune regioni rimaneva attivo il sistema di identificazione fino ad allora utilizzato dall'ENCI, purché l'identificazione stessa risultasse univoca.
Le nuove norme tecniche del libro genealogico, adottate con decreto ministeriale n. 21203 dell'8 marzo 2005, prevedono, all'articolo 6 l'identificazione dei cuccioli tramite microcip, uniformandosi così alla normativa nazionale, che prevede l'obbligo del predetto identificativo elettronico per tutti i cani nati dal 1o gennaio 2005.
Pertanto la banca dati dell'ENCI fino al 31 dicembre 2004 doveva necessariamente essere in linea con l'anagrafe canina detenuta dalle regioni.
Invece, con circolare n. 3241 del 24 gennaio 2005, il Direttore generale dell'ENCI e responsabile dell'Ufficio centrale del Libro genealogico, richiamando una precedente nota del 1o giugno 2004 informava le delegazioni ENCI che gli allevatori titolari e/o associati d'affisso riconosciuto ENCI/FCI hanno facoltà di registrare al libro genealogico cucciolate identificabili anche attraverso l'apposizione della propria sigla assegnata dall'ENCI.
Questa disposizione avrebbe consentito fino all'estate del 2006, di iscrivere al libro genealogico soggetti il cui identificativo non risultava in regola con l'iscrizione all'anagrafe canina come disposto invece dalla legge n. 281 del 1992.
Solo in data 21 aprile 2006 il Consiglio direttivo dell'ENCI ha deliberato l'attuazione delle norme tecniche del libro genealogico a partire dal 1o ottobre 2006;...
La Commissione tecnica centrale dell'ENCI, con deliberazioni del 20 dicembre 2004 e del 2 febbraio 2005, ha posto l'accento sull'esigenza di attenersi a
quanto previsto dalla legge n. 281 del 1992 in materia di identificazione dei cani per l'anagrafe canina, ribadendo la priorità e l'utilità ai fini dell'iscrizione al libro genealogico.
A maggiore garanzia, la Commissione tecnica centrale ha precisato che unitamente al modello B, previsto dalla Norme tecniche del Libro genealogico, il proprietario della fattrice è tenuto ad allegare la certificazione veterinaria dell'avvenuta identificazione ed iscrizione all'anagrafe canina.
L'ENCI da parte sua, invece, con nota apparsa sul giornale «I Nostri cani» del 21 giugno 2005, faceva presente di non considerare la certificazione veterinaria obbligatoria ai fini dell'iscrizione all'anagrafe canina, utile anche ai fini dell'iscrizione dei soggetti al libro genealogico.»;
con ulteriore nota lo stesso Ministero, in risposta all'interpellanza dell'onorevole Raisi, evidenziava il persistere della omissione dell'ENCI posto che «la mancata acquisizione del microchip comporta l'assenza di garanzia sull'allineamento attuale tra la banca dati e l'anagrafe canina tenuta dalle regioni, considerato che il microchip potrebbe essere stato inoculato dal proprietario stesso o dal veterinario di fiducia»;
nonostante le innumerevoli sollecitazioni giunte tramite esposti ed interpellanze parlamentari che chiedevano l'adozione di atti risolutori della situazione di totale ingestione in cui versa il Libro genealogico dei cani di razza e della sistematica violazione della legge n. 281 del 1991, veniva emanato il decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007, con cui viene previsto solo a partire dal 1o ottobre 2007 l'obbligo di iscrizione all'anagrafe canina istituita nella maggior parte delle regioni per i cani iscritti al libro genealogico. Ciò, nonostante gli stessi uffici dello stesso Ministero interrogato, in risposta alle interpellanze parlamentari, avessero accertato la mancata considerazione da parte dell'ENCI dell'identificativo ufficiale dei cani - che è esclusivamente quello attribuito dalle regioni in cui è sta è stata istituita l'anagrafe canina - per tutti i cani nati prima del 1o gennaio 2005 e quindi - ad avviso dell'interrogante - la gravissima violazione da parte di un ente esercente una attività di pubblico interesse della legge statale n. 281 del 1991 e dell'Accordo Stato-regioni sul benessere degli animali da compagnia e pet therapy del 6 febbraio 2003;
di fatto l'ENCI ha consentito l'iscrizione al Libro delle Origini (LOI), mediante solo tatuaggio apposto da allevatori titolari di affisso a soggetti non in regola con l'iscrizione all'anagrafe canina come disposto dalla legge n. 281 del 1992 e di tale palese elusione delle norme nazionali il decreto emesso non si occupa;
il danno gravissimo che tali comportamenti hanno provocato al settore della cinofilia è evidente se si considerano coloro che hanno acquistato un cane con pedegree prima del 1o ottobre 2007, i cui attestati non certificano nulla in merito alla identificazione del cane in quanto l'identificazione presso il LOI non coincide con quella dell'anagrafe canina; o si considerino coloro che sono iscritti al registro degli allevatori al fine di far parte dell'ENCI, e che hanno denunciato cani esistenti solo sulla carta, ovviamente mai denunciati all'anagrafe canina della regione di appartenenza, in quanto da anni non allevano cani;
fissare un termine per la regolarizzazione dell'identificazione dei cani, come avviene nel decreto, significa avallare le azioni certamente illecite fino ad oggi compiute, con ciò rendendo assai difficoltoso il sanzionamento di comportamenti come il mercato nero e la falsa qualifica di allevatore posti in essere da parte di coloro che, sino al 1o ottobre 2007, hanno prosperato in tale modo, a discapito di chi svolge l'attività secondo le regole dettate dal Ministero -:
se intenda annullare il decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007, attesa la palese illegittimità dell'atto che è idoneo ad introdurre una sanatoria di comportamenti illeciti ed illegittimi da parte dell'ENCI;
se intenda modificare il decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007, annullando la previsione che fa decorrere dal 1o ottobre 2007 l'obbligo dell'allineamento, dei dati identificativi dei cani iscritti al LOI e quelli iscritti all'anagrafe canina;
se, comunque, intenda procedere con la nomina di un commissario ad acta per la corretta applicazione della legge n. 529 del 1992 e del Disciplinare del Libro genealogico per la tutela dei cani di razza, nell'interesse pubblico e degli allevatori di cani di razza, al fine di procedere alla corretta identificazione dei cani di razza ai sensi della norma nazionale e regionale.
(4-05004)