Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Allegato A
Seduta n. 234 del 30/10/2007
MOZIONI LULLI ED ALTRI N. 1-00030, D'AGRÒ ED ALTRI N. 1-00034 E PEDRIZZI ED ALTRI N. 1-00230 SULLE INIZIATIVE PER FAVORIRE LA «TRACCIABILITÀ» DI PRODOTTI IMPORTATI
(Sezione 1 - Mozioni)
La Camera,
premesso che:
la Commissione europea ha presentato il 16 dicembre 2005 una proposta di regolamento relativa all'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi (COM (2005) 661);
sull'argomento si è espresso anche il Parlamento europeo, che il 6 luglio 2006 ha approvato all'unanimità, con una sola astensione, una risoluzione favorevole all'introduzione nell'Unione europea di un sistema obbligatorio di indicazione del Paese di origine per una serie di prodotti importati, che sono: tessili, abbigliamento, gioielleria, calzature, pelletteria, borse, lampade ed impianti di illuminazione, articoli in vetro e ceramica;
inoltre, il Parlamento europeo, nella citata risoluzione, sottolinea l'importanza che annette all'introduzione del marchio di origine in virtù di due considerazioni principali: da una parte alcuni tra i maggiori partner europei, come Stati Uniti, Canada, Giappone e Cina, hanno introdotto già il marchio di origine obbligatorio e dall'altra il sistema non solo garantirebbe trasparenza al consumatore, ma aiuterebbe le piccole e medie imprese europee esposte alla concorrenza globale ed ai danni della contraffazione dilagante;
nella risoluzione approvata si invitano Commissione e Consiglio a compiere tutti i passi necessari per assicurare parità di condizioni con i partner commerciali, che hanno già applicato le disposizioni in materia di marchio di origine, e a porre in essere un'adeguata sorveglianza doganale;
la X Commissione della Camera dei deputati sta esaminando dei provvedimenti legislativi (Atto Camera n. 664 e Atto Camera n. 848), che, riproducendo in maniera identica un testo complessivamente condiviso nella XIV legislatura, reca l'istituzione di un sistema di etichettatura riguardante i prodotti realizzati in Paesi non appartenenti all'Unione europea, in cui sia evidenziato il Paese di origine del prodotto finito, nonché dei prodotti intermedi (articolo 7) e la creazione di marchi appositi per prodotti realizzati totalmente in Italia e per prodotti nel cui processo di fabbricazione hanno contribuito imprese di altri Paesi (articoli 1 e 10);
i giudici della terza sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 2648 del 2006, hanno elaborato il seguente principio di diritto: «Integra il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (articolo 517 del codice penale) la commercializzazione di beni del settore dell'abbigliamento con la dicitura "Italy", che pur essendo prodotti da una ditta italiana su disegno e tessuto italiani, siano stati confezionati all'estero da maestranze non italiane, in quanto in questo
particolare settore l'Italia gode di un prestigio internazionale, fondato anche sulla particolare specializzazione delle maestranze impiegate, e pertanto il sottacere tale dato fattuale o il fornire fallaci indicazioni ha l'intento di conferire al prodotto una maggiore affidabilità promuovendone l'acquisto»;
la sentenza, pur avendo ad oggetto il comparto tessile, di fatto, ha un impatto più ampio, in quanto presuppone una parziale revisione del concetto di «origine imprenditoriale» dei prodotti, secondo cui l'espressione «origine o provenienza» del prodotto si interpretava in relazione al soggetto cui si deve far risalire la responsabilità giuridica e produttiva e che, pertanto, garantisce la qualità del prodotto. Con la suddetta sentenza la Cassazione ha, quindi, parzialmente corretto questa impostazione per tutti i prodotti la cui notorietà è strettamente legata alla provenienza italiana;
la maggior parte dei partner commerciali dell'Unione europea hanno attualmente in vigore disposizioni che prevedono l'indicazione di origine per alcune categorie di prodotti importati e non sono stati mai sollevati problemi di compatibilità tra tali misure e gli accordi dell'Organizzazione del commercio internazionale in sede europea;
il 15 settembre 2006 a Canton è stato firmato un protocollo di intesa tra la Federazione tessile italiana e l'omologa China national textile and apparel council, finalizzato alla lotta alla contraffazione;
la proposta di regolamento è in attesa di essere esaminata dal Consiglio, che, in base all'articolo 133, paragrafo 2, del Trattato istitutivo dell'Unione europea delibera senza l'obbligo di acquisire il parere del Parlamento europeo,
impegna il Governo:
a sostenere con determinazione tale proposta di regolamento in sede di esame da parte del Consiglio europeo e ad attivarsi per accelerarne l'applicazione pratica in sede nazionale;
a promuovere ogni opportuna iniziativa per favorire la tracciabilità dei prodotti del tessile abbigliamento calzature, al fine di una corretta informazione ai consumatori che li metta in condizioni di effettuare scelte libere e consapevoli e per conseguire le opportune tutele della salute dei lavoratori e degli utilizzatori finali.
(1-00030)
«Lulli, Provera, Capezzone, Affronti, Trepiccione, Ferdinando Benito Pignataro, Ruggeri, Mura, Burchiellaro, Chicchi, Vico, Tomaselli, Sanga, Martella, Testa, Giacomelli, Ghizzoni, Quartiani, Merloni, Frias, Fluvi».
(27 settembre 2006)
La Camera,
premesso che:
secondo un'indagine svolta dalla Italian textile fashion, l'organismo delle camere di commercio italiane per la moda, presentata il 25 settembre 2006 a Bruxelles, oltre la metà dei capi di abbigliamento venduti in Europa non rispetta le prescrizioni comunitarie sulla composizione fibrosa del tessuto e presenta etichette ingannevoli, mentre uno su tre non presenta alcuna indicazione d'origine e uno su dieci contiene addirittura ammine aromatiche cancerogene;
dalla seconda indagine della Seri.co, il marchio di qualità del tessile di Como, realizzata operativamente dalla stazione sperimentale sulla tossicità su un campione di prodotti in seta di provenienza asiatica, emerge un peggioramento degli indicatori per la non conformità dei campioni alle regole che tutelano, tra l'altro, anche la salute dei consumatori;
analoghe considerazioni potrebbero essere svolte per tutta una serie di prodotti importati: abbigliamento, gioielleria, calzature,
pelletteria, borse, lampade ed impianti di illuminazione, articoli in vetro e ceramica;
alcuni tra i maggiori partner europei, come Stati Uniti, Canada e Giappone, hanno già introdotto il marchio di origine obbligatorio, mentre in Europa, nonostante sia stato proposto un regolamento relativo all'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi (COM (2005) 661) e l'approvazione di una risoluzione del Parlamento europeo del luglio 2006 favorevole all'introduzione nell'Unione europea di un sistema obbligatorio di indicazione del Paese di origine per una serie di prodotti importati, non esiste alcuna norma che impone di indicare l'origine dei prodotti, a causa dell'opposizione di una robusta minoranza di blocco, guidata da Gran Bretagna, Germania e Paesi scandinavi;
oltre alla tutela del consumatore, l'etichettatura delle merci che entrano nel mercato europeo aiuterebbe le imprese italiane esposte alla concorrenza globale;
sembrerebbe che anche la Cina, con la firma del recente protocollo di intesa con la Federazione tessile italiana firmato a Canton, si sia decisa a fare dei passi concreti nella lotta alla contraffazione,
impegna il Governo:
a sostenere, presso le istituzioni comunitarie e i Paesi membri meno sensibili a tale problematica, l'urgente necessità di adottare il regolamento citato, affinché sia resa obbligatoria in breve tempo l'etichettatura delle merci che entrano nel mercato europeo per assicurare una maggiore trasparenza e un miglior controllo riguardo all'origine dei prodotti (cosiddetta «tracciabilità»);
a sollecitare i Paesi membri ad un efficace e continuo monitoraggio in tempo reale delle importazioni extracomunitarie, sia in termini di quantità che di prezzi, considerando, altresì, l'opportunità di dotare le dogane di strumenti tecnologici idonei al controllo qualitativo delle stesse, al fine di individuare la presenza di sostanze vietate per legge e pericolose per la salute pubblica;
ad intraprendere ogni utile iniziativa in sede europea per far adottare, in tutti i Paesi (e quindi anche in Cina), i principali standard di tutela del lavoro e dei lavoratori e, più in generale, perché ci si adoperi per assicurare uno sviluppo sostenibile sulla base della reciprocità nel rispetto delle più elementari norme sociali, di sicurezza personale ed ambientali.
(1-00034)
«D'Agrò, Volontè, Formisano, Greco».
(2 ottobre 2006)
La Camera,
premesso che:
la globalizzazione dell'economia e la pratica di deregolamentazione del commercio mondiale stanno provocando effetti indesiderati sulle industrie manifatturiere dei Paesi dell'Unione europea, in particolare in Italia;
in Italia, l'impiego industriale rappresenta il 13 per cento dell'occupazione;
se non si agisce con decisione a favore del settore industriale, la progressiva riduzione della partecipazione dell'industria al prodotto interno lordo dei Paesi dell'Unione europea, registrata a partire dagli anni '80, potrebbe subire un'ulteriore accelerazione nei prossimi anni;
recenti studi hanno posto l'accento su questo problema, segnalando che la progressiva scomparsa dell'occupazione industriale nell'Unione europea non si accompagna ad un aumento dell'occupazione nei servizi e nell'alta tecnologia;
nel rispetto degli obiettivi di Lisbona, basati su un accrescimento della conoscenza, dell'innovazione, della ricerca e della formazione permanente, sarebbe necessario creare una politica industriale comune nell'Unione europea che eviti gli
effetti economici e sociali negativi della dislocazione industriale nei Paesi terzi, assicurando che il mercato europeo sia tutelato da pratiche commerciali che non rispettano quei valori e quelle esigenze che l'Unione europea stabilisce per la propria produzione industriale;
il settore del tessile/abbigliamento e calzaturiero, in particolare, è considerato strategico per l'industria europea e per quella italiana, non soltanto perché è un'industria con milioni di occupati (800.000 solo in Italia), ma anche perché è il testimone più evidente della cultura, del gusto, del modo di vivere del popolo italiano;
giova evidenziare che l'Italia, pur non essendo un Paese «protezionista», per evitare una crisi stagnante, oggi alimentata dalla crescita di beni importati dalla Cina e da altri Paesi concorrenti, necessita di un periodo di tempo per poter rinnovare, riconvertire e rilanciare il settore tessile/abbigliamento, con una strategia di investimento sul piano dell'innovazione, della ricerca, della formazione;
come è noto, molte industrie cinesi, favorite dal basso costo della manodopera, spesso sfruttata e non retribuita, e dai materiali di scarsa qualità, hanno la possibilità di produrre ed esportare i loro prodotti a prezzi nettamente inferiori a quelli del mercato occidentale, anche se ciò non avviene sempre nel rispetto della legislazione vigente;
a dimostrazione di quanto da ultimo affermato, l'86 per cento degli oltre 250 milioni di articoli contraffatti e sequestrati in un anno in ambito europeo, per un giro d'affari stimabile tra 5 e 7 miliardi di euro, proviene dalla Cina;
i prodotti maggiormente contraffatti sono le sigarette, l'abbigliamento e gli strumenti tecnologici di uso comune, anche se il dato più allarmante riguarda la crescita esponenziale di falsificazioni pericolose dei medicinali, nella misura del 400 per cento, dei generi alimentari e dei prodotti per la cura personale;
la guardia di finanza di Prato ha sequestrato, in una società di distribuzione all'ingrosso, giocattoli e prodotti per la casa potenzialmente pericolosi di provenienza e fattura cinese, che recavano, nella maggior parte dei casi, un'imitazione del marchio di conformità «CE», tale da indurre in inganno il compratore, convinto della loro autenticità e attratto dal basso costo del prodotto;
nel dicembre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativa all'obbligo dell'indicazione del Paese d'origine per taluni prodotti importati da Paesi terzi. La proposta mira a introdurre un sistema obbligatorio di apposizione del marchio del Paese d'origine (requisito «made in») per vari prodotti importati, quali tessili, gioielli, abbigliamento, calzature, pellame, lampade e accessori per l'illuminazione, articoli in vetro e borse. La proposta non contempla il marchio «made in UE», in quanto si applica solamente ai prodotti importati;
il gruppo parlamentare Unione per l'Europa delle Nazioni ha presentato, il 3 luglio 2006, una risoluzione che accoglie favorevolmente la proposta di regolamento del Consiglio europeo, che introduce l'obbligo di indicare il Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi nell'Unione europea («marchio di origine») e incoraggia la Commissione ad intervenire energicamente, insieme agli Stati membri, per difendere le aspettative e i diritti legittimi dei consumatori ogniqualvolta vi siano prove evidenti di un comportamento ingannevole e/o dell'uso di marchi di origine fraudolenti o fuorvianti da parte di produttori stranieri e importatori;
il Parlamento europeo, inoltre, ha presentato e approvato, in data 24 settembre 2007, una risoluzione comune sulla sicurezza dei giocattoli, volta a sollecitare una normativa che preveda l'indicazione del Paese d'origine sui prodotti importati, la revisione della direttiva europea sulla sicurezza dei giocattoli e la creazione di
un marchio europeo per la sicurezza dei consumatori,
impegna il Governo:
ad assumere urgenti iniziative in ambito europeo affinché la Commissione europea fissi come priorità, nei prossimi anni, una politica industriale forte che contribuisca a mantenere l'occupazione e a sostenere la produzione dell'industria dei Paesi membri, volta, pur in una logica di libera competizione, al controllo delle esportazioni provenienti dai Paesi competitori e, contemporaneamente, ad investimenti nel rilancio industriale, permettendo così di tutelare in modo idoneo lo sviluppo del tessile/abbigliamento europeo;
ad assumere iniziative volte a far sì che il rispetto della qualità, della tutela ambientale e sociale che si richiede alle industrie localizzate nei Paesi dell'Unione europea venga richiesto, almeno in prospettiva e con tempi definiti, anche dalle industrie dei Paesi terzi che esportano i propri prodotti verso l'Unione europea;
ad intervenire affinché l'attuale regolamentazione del mercato del lavoro evolva in un quadro di dialogo e condivisione con le parti sociali, in modo tale da consentire alle industrie europee di intraprendere la transizione necessaria per far fronte alla concorrenza dei Paesi terzi;
a mettere in atto politiche di sostegno alle industrie europee nel periodo di transizione per il loro adattamento alla nuova situazione di liberalizzazione commerciale, al fine di evitare che le massicce esportazioni provenienti dai Paesi terzi provochino una «esportazione di disoccupazione», che difficilmente potrà essere assorbita da molti Paesi dell'Unione europea;
a sollecitare, in base all'articolo 133, paragrafo 2, del Trattato istitutivo dell'Unione europea, l'esame e l'approvazione della citata proposta di regolamento da parte del Consiglio europeo, al fine di garantire che la qualità di fabbricazione dei prodotti sia perseguita anche dalle industrie dei Paesi terzi che esportano i propri prodotti verso l'Unione europea;
ad assumere urgenti provvedimenti, al fine di arginare il dirompente fenomeno della contraffazione che minaccia, nel nostro territorio, tutti i consumatori e le imprese italiane.
(1-00230)
«Pedrizzi, Lamorte, Proietti Cosimi, Germontani, Ciccioli, De Corato, Frassinetti, Migliori, Antonio Pepe, Perina, Baratella, Pedrini».
(10 ottobre 2007)