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Allegato B
Seduta n. 235 del 5/11/2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
la Commissione europea ha avviato una procedura d'infrazione (2005/2114) giunta ormai allo stadio di ricorso in Corte di Giustizia (causa C-46/07) per incompatibilità con il diritto comunitario, ed in particolare con il principio di parità retributiva fra uomini e donne, della normativa italiana che prevede età pensionabili diverse per uomini e donne, considerato anche che la maggioranza degli ordinamenti degli Stati membri dell'Unione europea prevedono un'identica età pensionabile per uomini e donne;
laprocedura d'infrazione riguarda il regime previdenziale per i dipendenti pubblici. L'articolo 5 decreto legislativo n. 503 del 1992 e l'articolo 2, comma 21,1. n. 335 del 1995 dell'ordinamento italiano prevedono infatti un'età pensionabile di 60 anni per i dipendenti pubblici di sesso femminile e di 65 anni per i dipendenti pubblici di sesso maschile. Il Collegio dei Commissari ritiene che tale trattamento previsto dalla legge italiana sia in contrasto con l'ordinamento comunitario, in particolare con l'articolo 141 del Trattato CE che, nel primo comma, dispone che ciascuno Stato membro debba assicurare «l'applicazione della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore» e nel secondo comma precisa che «per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo». In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, le pensioni erogate dallo Stato agli ex dipendenti pubblici costituiscono «retribuzione» ai sensi dell'articolo 141 ogniqualvolta siano corrisposte esclusivamente in virtù di un rapporto di lavoro. Pertanto, tra uomini e donne che svolgano lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, non devono sussistere forme di trattamento meno favorevole anche rispetto alle pensioni di vecchiaia;
per preparare adeguatamente il passaggio a un'economia europea competitiva e dinamica è necessario, come è stato auspicato dal Consiglio europeo, «modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l'esclusione sociale»;
la strategia di Lisbona, elaborata dal Consiglio europeo nel marzo del 2000, impegna i paesi membri dell'Unione a raggiungere entro un decennio obiettivi che configurino un programma di crescita ambizioso attraverso riforme economiche, nuove politiche attive per l'inclusione sociale e la modernizzazione dei sistemi previdenziali;
per quanto riguarda il mercato del lavoro, la strategia di Lisbona ha indicato una serie di obiettivi tra cui «accrescere il tasso di occupazione attuale da una media del 61 per cento a una percentuale che si avvicini il più possibile al 70 per cento entro il 2010» e «aumentare il numero delle donne occupate dall'attuale media del 51 per cento a una media superiore al 60 per cento entro il 2010»;
la strategia di Lisbona se da una parte afferma che il modello di welfare europeo «con i suoi progrediti sistemi di protezione sociale, deve fornire un supporto alla trasformazione dell'economia della conoscenza», dall'altra avverte che questi sistemi «devono essere adattati, nel contesto di uno stato sociale attivo per dimostrare che il lavoro «paga», per garantire la loro sostenibilità dei sistemi pensionistici in contesti temporali diversi sino al 2020 e oltre, se necessario»;
la direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 in materia di pari opportunità e
parità di trattamento fra uomini e donne e in materia di occupazione e impiego richiama nell'articolo 9 il divieto di discriminazione retributiva, in particolare nel «stabilire limiti di età differenti per il collocamento a riposo»;
la più recente «Relazione congiunta sulla protezione sociale e l'inclusione sociale 2007» della Commissione europea elenca tra le priorità italiane quella di incrementare la partecipazione al mercato del lavoro, in particolare, delle donne, dei giovani e degli anziani;
queste priorità possono essere soddisfatte, tenendo presente l'andamento demografico italiano ed europeo e il progressivo invecchiamento della popolazione, ritardando l'uscita dal lavoro per garantire la sostenibilità finanziaria del welfare e per assicurare prestazioni pensionistiche capaci di garantire livelli di vita soddisfacenti e promuovendo una riforma universale del sistema degli ammortizzatori sociali essenziale per rendere più flessibile il mercato del lavoro;
la Commissione europea manifestava, infatti, una particolare preoccupazione sul tema delle pensioni in Italia affermando la necessità per il nostro Paese di «proseguire il processo destinato ad armonizzare l'effettiva età del pensionamento per gli uomini e le donne», garantendo così una progressiva riduzione del divario fra i generi in termini di prestazioni pensionistiche e per incentivare l'incremento del tasso d'occupazione dei lavoratori più anziani;
in Italia, l'occupazione femminile, seppur in aumento, è ancora molto lontana dai livelli degli altri paesi europei e dall'obiettivo indicato dalla strategia di Lisbona. Bassa è, inoltre, la consapevolezza che la crescita e sviluppo del nostro paese e la compatibilità del sistema del welfare dipendono, in buona misura, dalla capacità che avremo di aumentare la qualità e la quantità dell'occupazione femminile e di ritardare l'uscita dal mondo del lavoro delle donne o di favorirne il reingresso;
i maggiori ostacoli all'ingresso, alla permanenza e alla crescita professionale delle donne nel mercato del lavoro sono costituiti dalla prevalenza di una cultura maschilista e da pregiudizi sessisti nel mercato del lavoro, dal modesto contributo degli uomini ai lavori domestici e alla cura dei bambini e degli anziani, dalla scarsa disponibilità di servizi che riducano i problemi di conciliazione fra lavoro e cura della famiglia delle lavoratrici, dalla poca attenzione delle imprese alla necessità di valorizzare e gestire le differenze di genere e dalle scarse risorse dedicate all'interno del welfare alla maternità, ai servizi per i bambini e al sostegno alle madri single;
per superare questi ostacoli occorre promuovere un complesso coordinato d'interventi da parte delle imprese, delle istituzioni centrali e locali, delle parti sociali e delle lavoratrici e dei lavoratori nonché intervenire sui fattori culturali che determinano in maniera significativa gli handicap sociali di cui è portatrice la donna che vuole entrare nel mondo del lavoro;
la parificazione dell'età pensionabile tra uomini e donne determinerà un risparmio degli oneri previdenziali;
tale risparmio libera risorse parzialmente utilizzabili per sostenere le azioni di politica attiva a favore delle donne;
tale politica rientra comunque negli obiettivi di Lisbona, beneficiando del sostegno finanziario connesso all'utilizzo dei relativi strumenti;
le finalità dei molteplici interventi in tale campo convergono nell'obiettivo finale di migliorare la posizione complessiva delle donne nella società;
è possibile procedere ad una valutazione dei costi e dei risparmi derivanti dagli interventi proposti al fine di pervenire ad una combinazione più efficiente dell'azione complessiva di politica attiva a
favore delle donne senza determinare oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato,
impegna il Governo:
a provvedere, prima della prevedibile condanna da parte della Corte di Giustizia, ad una armonizzazione del sistema pensionistico italiano e ad un adeguamento agli standard europei, equiparando l'età pensionabile tra uomini e donne e promuovendo politiche capaci di ritardare l'uscita dal mondo del lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori;
a potenziare, conformemente agli obiettivi dell'Agenda di Lisbona, le politiche attive per l'occupazione e per l'inclusione sociale e la modernizzazione dei sistemi previdenziali, con una particolare attenzione alla condizione femminile e alle discriminazioni delle donne nel campo sociale e lavorativo;
a dar corso ad una vera riforma universale del welfare realizzabile anche con i fondi scaturenti dall'equiparazione dell'età pensionabile tra uomini e donne, auspicando un complessivo e progressivo aumento dell'età pensionabile;
a favorire interventi strutturali dello Stato, in coordinamento con le Regioni e gli Enti locali, per le pari opportunità fra donne e uomini, per superare i pregiudizi contro le donne e gli ostacoli alla loro assunzione e per conciliare i diritti e i doveri di genitorialità e cura della famiglia con il diritto al lavoro e all'indipendenza economica;
a promuovere una serie di riforme e azioni politiche espresse nei seguenti 18 punti programmatici, conformi agli auspici comunitari e indispensabili per una crescita complessiva del nostro Paese:
nel quadro di un progressivo aumento dell'età pensionabile, equiparare l'età pensionabile di donne e uomini, che tenga adeguatamente conto del livello dei mutamenti dell'aspettativa di vita;
programmare l'aumento della spesa per il welfare dedicata all'assistenza sociale e al sostegno dei carichi familiari e del lavoro di cura sino ad almeno al 2,3 per cento del Pil entro il 2010;
monitorare, in modo vincolante e continuo, la realizzazione del Piano nazionale per i servizi socio-educativi previsto dalla legge finanziaria per il 2007, per raggiungere l'obiettivo europeo di offrire un servizio di asilo nido, o equivalente secondo precisi standard pubblici di qualità del servizio, ad almeno il 33 per cento dei bambini da uno a tre anni entro il 2010;
in connessione con il punto precedente, incentivare la diffusione degli asili nido aziendali, dei micro asili condominiali e delle imprese e delle organizzazioni non-proft di servizi socio-educativi (tagesmutter e simili);
introdurre la riduzione delle rette o altre forme di facilitazione all'accesso ai servizi socio-educativi di cui al punto precedente per le famiglie a basso reddito e per le donne single;
incentivare l'offerta di lavoro femminile con l'incremento dei sostegni già esistenti al reddito delle lavoratrici, soprattutto in entrata, anche attraverso riduzioni fiscali;
attivare il lavoro occasionale di tipo accessorio per la cura della casa, dei bambini e degli anziani favorendo, anche con incentivi fiscali, l'ingresso dei voucher per il pagamento di questo tipo di lavori nella integrazione della retribuzione dei lavoratori;
vincolare la concessione degli attuali incentivi alle imprese family friendly sulla base di parametri identificati e misurabili, quali:
a) pari rappresentazione dei sessi a tutti i livelli di mansione e di carriera e parità di retribuzione fra lavoratrici e lavoratori;
b) applicazione di forme flessibili di orario o di tecnologie di telelavoro per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura familiare;
c) costituzione di asili nido aziendali o di altre forme di servizi socio-educativi e di sostegno alla genitorialità interni all'azienda;
liberalizzare gli orari di apertura degli esercizi commerciali e delle banche, anche nelle ore serali e nei giorni festivi;
promozione dei permessi e dei congedi di paternità, anche attraverso incentivi e piani concordati con il singolo lavoratore e attraverso la trasformazione degli attuali congedi parentali in congedi di paternità non cedibili alle consorti, affinché la genitorialità diventi un valore di cui tutta la società si fa carico;
generalizzazione e promozione dell'istituto contrattuale della Banca delle ore;
promozione per entrambi i sessi dell'orario di lavoro flessibile in entrata e in uscita, personalizzato e del part time reversibile;
promozione per entrambi i sessi del telelavoro, anche al 50 per cento pomeridiano, nonché incentivazione di metodologie di ricerca di nuove forme alternative di lavoro non in presenza;
diffusione dei voucher di conciliazione da utilizzare per i piccoli lavori domestici e di cura dei bambini, degli anziani e delle persone non autosufficienti;
promozione del parternariato fra aziende, Comuni e Regioni per il potenziamento degli asili nido pubblici, delle strutture sportive e culturali dopo la scuola e dei servizi di cura e sostegno degli anziani, in particolare dei non autosufficienti, anche con l'utilizzo dei voucher;
programmazione e progettazione di formazione continua anche in modalità e-learning assistita da technology tutor destinata a donne che rientrano dalla maternità o comunque che desiderino re-immettersi nel mercato del lavoro;
promozione nelle aziende del diversity e mobility management;
rilanciare una strategia di sostegno e incentivo all'imprenditorialità femminile, che non disperda l'esperienza positiva dimostrata in anni di applicazione dalla legge 215 del 1992.
(1-00243)
«Turco, D'Elia, Mellano, Beltrandi, Poretti, Di Gioia, Buglio, Antinucci, Del Bue, Nannicini, Buemi, Costa».
La Camera,
premesso che:
secondo i dati ISTAT il tasso di crescita economica dell'Italia si è fermato ad un modesto 0,1 per cento nel secondo trimestre del 2007, il più basso dalla fine del 2005 - anno della crescita zero - il che proietta l'aumento del PIL tra l'1,7 per cento e l'1,8 per cento su base annua, quindi al di sotto del 2 per cento previsto inizialmente dal Governo;
secondo anche la Banca d'Italia (Bollettino Economico n. 50, ottobre 2007) dalla fine del 2006 c'è stato un rallentamento dell'attività economica in Italia, sfociato nel sostanziale ristagno nel secondo trimestre;
secondo l'ultimo superindice dell'OCSE (Cli-Composite leading indicator, agosto 2007) l'Italia registra un'ulteriore perdita dell'1 per cento ad agosto, mentre si conferma il trend negativo iniziato dal luglio 2006;
sempre secondo il predetto superindice la fase di moderata crescita nell'area OCSE sembra terminata, con una flessione di tutte le sette maggiori economie;
secondo il Fondo Monetario Internazionale (Outlook, ottobre 2007) la crescita economica mondiale è in frenata, con previsioni del PIL mondiale riviste al ribasso
dello 0,4 per cento, soprattutto a causa delle contrazioni degli Stati Uniti e, in minor misura dell'Europa;
sempre secondo le previsioni del FMI l'Italia dovrebbe crescere nel 2008 dell'1,3 per cento, quindi con la peggior performance di tutta l'Europa, che vede infatti la Spagna al 2,7 per cento, la Gran Bretagna al 2,3 per cento e Germania e Francia al 2 per cento;
nel contempo il debito pubblico italiano, secondo la Banca d'Italia (Bollettino Economico - ottobre 2007) ha raggiunto la notevole cifra di 1.620,373 miliardi di euro, secondo peggior risultato della nostra storia, con un incremento di circa 29 miliardi (+1,82 per cento) sull'analogo periodo del 2006 e di circa 45 miliardi (+2,85 per cento) rispetto alla fine dell'anno scorso;
secondo la Relazione previsionale e programmatica per il 2008 le spese per interessi a fronte dell'abnorme volume del nostro debito, che erano ammontate a 67,552 miliardi di euro nel 2006 saliranno a 74,534 miliardi nell'anno 2007, quindi con un incremento di quasi 7 miliardi, pari al 10,3 per cento;
sempre secondo la Rpp 2008 è in crescita l'incidenza percentuale degli interessi sul PIL, passando dal 4,5 per cento del 2005 al 4,8 per cento del 2007; mentre si prevede che rimarrà stazionaria negli anni prossimi, quindi senza alcun sensibile miglioramento come dovrebbe essere auspicato, restando detto rapporto «spesa per interessi/PIL» fermo al 4,8 per cento anche nel 2011;
secondo l'Aggiornamento del Dpef 2008-2011 si continua a registrare un incremento delle spese correnti al netto degli interessi dell'ordine di oltre 25 miliardi nel 2007 (+4,3 per cento), mentre si prevede per il quinquennio 2007-2011 un aumento medio del 2,7 per cento, quindi senza alcun positivo accenno di invertire questa tendenza;
secondo la Banca d'Italia (B.E. ottobre 2007) «nel biennio 2007-2008 l'incidenza della spesa primaria corrente sul PIL rimane costante sui valori massimi degli ultimi decenni»;
appare non rassicurante lo scenario economico mondiale, anche perché non risulta ancora chiaro quanto della cosiddetta crisi statunitense dei mutui sub prime sia rimasto sommerso e quale incidenza sull'economia reale potrà ancora avere, anche per il nostro Paese;
sebbene la Banca Centrale Europea abbia procrastinato il previsto incremento dei tassi a causa dell'emergenza derivante dalle turbolenze sui mercati mobiliari mondiali, come fatto rilevare recentemente dal dottor Bini Smaghi, membro del Comitato Esecutivo della BCE, la sola percezione di possibili, nuove posizioni di «sofferenza» nel sistema bancario internazionale, ha fatto salire al 4,75 per cento il costo del denaro «interbancario», di fatto pari ad un aumento di mezzo punto dei tassi, con un impatto decisamente negativo non solo sulla crescita europea, ma anche sul «servizio del debito» italiano e, quindi, sul nostro bilancio, avuto riguardo all'imponenza dello stock del debito pubblico;
risultano totalmente condivisibili le considerazioni della Banca d'Italia (B.E. ottobre 2007) in merito all'esigenza che «il contenimento della spesa primaria corrente sia il problema centrale della finanza pubblica italiana»;
nel rapporto presentato nel settembre 2007 dal Ministro dell'economia e delle finanze (Libro verde sulla spesa pubblica) vi è una chiara ed impietosa disamina del grave stato della nostra spesa pubblica, troppo alta in quantità e troppo scadente in qualità, è da condividere l'affermazione della Banca d'Italia (B.E. ottobre 2007) quando, a questo proposito, sottolinea che «gli studi diffusi dal Ministro dell'economia e delle finanze mostrano che vi sono ampi margini per ottenere risparmi senza compromettere il conseguimento degli obiettivi fondamentali dell'azione pubblica»;
diventa fondamentale che:
a) anche nel corso del presente esercizio si pongano le basi e si attivino politiche volte non solo al rilancio dello sviluppo ma anche, e soprattutto, alla soluzione in tempi ragionevolmente rapidi, del grande problema del debito pubblico;
b) il tema del debito pubblico assuma le caratteristiche di questione prioritaria e centrale per la nostra politica economica, e che si affronti radicalmente la necessità ineludibile del rientro dal debito recependo i suggerimenti del Governatore della Banca d'Italia, degli organismi internazionali, dell'Unione europea e dei tanti esperti, ben sintetizzati dall'intervento nell'agosto scorso del Presidente Emerito Ciampi, laddove sottolineava con forza come la via maestra fosse la stessa di quella seguita con successo nel 1998, e cioè quella basata su di un'adeguata, e continua, riduzione della spesa primaria corrente con il conseguente raggiungimento di avanzi primari dell'ordine del 5 per cento annuo, senza indulgere nelle tentazioni di impossibili scorciatoie utili solo a distogliere l'attenzione dal reale problema che è causato dalla crescita abnorme e incontrollata della spesa pubblica,
impegna il Governo
a perseguire una politica rigorosa di controllo della qualità e della quantità della spesa, anche dando luogo e attuazione alle indicazioni scaturite dal Libro verde sulla spesa pubblica del 6 settembre 2007, in modo tale da porsi l'obiettivo di una riduzione della spesa primaria corrente dell'ordine dello 0,50 per cento all'anno, contro l'aumento medio del 2,3 per cento annuo registrato nell'ultimo decennio, puntando così al raggiungimento in tempi ravvicinati, quindi prima del 2011, di avanzi primari dell'ordine del 5 per cento.
(1-00244)
«Turco, D'Elia, Beltrandi, Poretti, Mellano, Della Vedova, Buglio, Crema, Antinucci, Schietroma, Di Gioia, Nannicini».
Risoluzioni in Commissione:
Le Commissioni riunite VIII e XIII,
premesso che:
occorre prendere atto di una evoluzione, tuttora in corso, delle preferenze dei consumatori che, oltre a ricercare prodotti agroalimentari ed enogastronomici a prezzi più contenuti, sono particolarmente attenti alle loro caratteristiche di qualità, ai principi nutrizionali e di sicurezza degli alimenti ed all'arricchimento delle esperienze di acquisto con la conoscenza dei luoghi e delle modalità di produzione, a tal fine richiedendo informazioni sempre più trasparenti circa la provenienza dei prodotti e degli alimenti;
allo stesso tempo, vi è la necessità di ridurre gli impatti economici, energetici ed ambientali negativi collegabili all'influenza del trasporto su lunghe distanze della materia prima agricola, dal luogo di produzione a quello di consumo;
in particolare, sotto questo profilo, la filiera agroalimentare può dare un aiuto consistente, non soltanto per le finalità agricole e alimentari, ma anche per la lotta ai cambiamenti climatici e per il rafforzamento della tutela ambientale; occorre, quindi, prendere atto della necessità di promuovere processi di produzione rispettosi dell'ambiente e del territorio, anche attraverso il sostegno al reddito delle piccole e medie imprese agricole, per lo più a conduzione familiare, preservandone l'identità e la sopravvivenza e contribuendo, così, al mantenimento delle stesse sul territorio;
pertanto, la filiera corta, quale catena di passaggi che permette ai prodotti agricoli ed alimentari di giungere dal campo alla tavola, deve essere sostenuta e promossa anche in funzione della nascita di nuove forme di scambio, incontro e cooperazione, favorendo un contatto diretto tra chi produce e chi consuma e perseguendo anche la finalità di diminuire il numero degli intermediari negli scambi
economici e contrastare fenomeni speculativi che determinano l'aumento dei prezzi al consumo; è evidente, peraltro, la necessità di promuovere una riduzione dei passaggi del sistema di distribuzione tradizionale, quali confezionamento, imballaggio e trasporto (procedure che possono incidere negativamente sull'inquinamento e sui sovrapprezzi);
vi è la necessità di favorire modelli organizzativi in grado di consentire all'imprenditore agricolo una migliore valutazione delle necessità del consumatore, favorendo la differenziazione dell'offerta in funzione della domanda e la promozione di varietà locali e di metodi produttivi tradizionali;
la promozione di un nuovo rapporto tra mondo rurale e vita urbana può essere rafforzata anche attraverso azioni in grado di restituire ai produttori agricoli il ruolo di attori principali, protagonisti di un cambiamento che li riscopre e li rimette al centro di uno sviluppo realmente sostenibile, soprattutto sotto il profilo ambientale, consentendo, nel contempo, la preservazione degli spazi rurali che, nel percorso di integrazione con le aree urbane, devono essere tutelati da fenomeni di agglomerazione urbanistica e di conurbazione che sempre più ne stanno minando l'identità;
queste misure possono, peraltro, favorire la rottura della «dicotomia città/campagna», restituendo vitalità ad aree extra-urbane e nuovo dinamismo alle relazioni di scambio, soggiorno e frequentazione;
occorre sostenere una politica di revisione del modello di organizzazione del mercato dei prodotti agricoli ed alimentari, oggi troppo basato sulla grande distribuzione o sui grandi mercati comunali, che penalizza i prodotti tipici e tradizionali non del tutto compatibili, per le loro particolari caratteristiche, con un canale distributivo adatto a volumi produttivi di più rilevanti dimensioni;
l'adozione di simili misure, oltre che favorire il perseguimento di importanti obiettivi strettamente connessi alle politiche relative ai cambiamenti climatici, consente anche di affrontare l'esigenza di tutelare il prodotto territoriale come componente della conoscenza delle tradizioni e della cultura di una particolare area geografica e oggetto di scambio secondo codici diversi da quella della semplice convenienza comunemente praticati nei supermercati, con riferimento ad attributi oggettivi di qualità, biodiversità, tutela della salute o soggettivi, inerenti alla fiducia per il produttore;
uno dei punti di forza della Relazione all'Assemblea sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici - adottata nel giugno scorso dalla VIII Commissione e tradotta in una risoluzione approvata dalla Camera dei deputati lo scorso 18 settembre - è rappresentato dalle politiche in materia agricola e alimentare;
risulta chiaro che gli interventi sopra richiamati contribuiscono, in sintesi, alle politiche dirette a conseguire gli obiettivi di: riduzione del consumo di energia, dell'inquinamento e del traffico; promozione di modelli di sviluppo locale che consentono alle imprese agricole di rimanere sul territorio presidiandolo ed effettuando una rilevante attività di manutenzione e tutela, prevenendo così i fenomeni di dissesto idrogeologico e con benefici effetti sul paesaggio e sulla struttura territoriale; promozione del metodo di produzione biologico e di forme di agricoltura integrata, non intensiva e, quindi, a basso impatto ambientale; promozione di metodi di produzione agricola senza l'impiego di organismi geneticamente modificati; protezione della biodiversità; riduzione del prezzo finale al consumo, che diventa più trasparente per chi acquista, con maggiore valore aggiunto per chi produce; valorizzazione delle produzioni territoriali, dei gusti, delle ricette e delle tradizioni locali; rapporto diretto tra consumatori ed imprenditori agricoli; rispetto della stagionalità e quindi della freschezza e della salubrità degli alimenti acquistati,
impegnano il Governo:
a) a definire strumenti e incentivi per la valorizzazione delle produzioni agroalimentari secondo i criteri di cui in premessa, in modo da concorrere, in particolare, alla riduzione delle cause dei fenomeni di cambiamento climatico, promuovendo al contempo un'adeguata informazione sull'origine e sulle distanze tra luogo di produzione e di consumo;
b) a prevedere, in questo contesto, idonee misure per la promozione, su base volontaria, di una specifica dicitura «a chilometri zero» nella presentazione dei prodotti agroalimentari, che consenta tra l'altro di attestare - secondo i principi di cui in premessa - il perseguimento delle finalità di tutela ambientale, paesistica e delle tradizioni rurali del territorio;
c) a determinare, conseguentemente, condizioni di sostegno alla disponibilità di spazi adeguati, nell'ambito della distribuzione commerciale, per i suddetti prodotti «a chilometri zero».
(7-00303) «Realacci, Lion».
La VIII Commissione,
premesso che:
la Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), con la sentenza Scordino c. Italia del 29 marzo 2006, ha riconosciuto l'incompatibilità dei criteri di computo dell'indennità di espropriazione previsti dall'articolo 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 35, con l'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea per i Diritti dell'Uomo e le Libertà fondamentali (CEDU), recante disposizioni in materia di protezione della proprietà;
secondo la citata sentenza Scordino c. Italia del 29 marzo 2006, i criteri di quantificazione dell'indennità di esproprio sostanziano violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, per mancanza del necessario equilibrio che deve sussistere, in tema di proprietà, tra esigenze di carattere generale, direttamente a salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo, e imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo, equilibrio che viene vulnerato quando l'indennizzo non sia ragionevolmente rapportabile al valore della proprietà espropriata;
sulla materia si era espressa la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 283 del 1993, nel dichiarare non fondata la questione relativa al citato articolo 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, aveva posto in rilievo il carattere transitorio di tale disciplina, giustificata dalla grave congiuntura economica che il Paese stava attraversando, precisando che la valutazione sull'adeguatezza dell'indennità doveva essere condotta in termini relativi, avendo riguardo al quadro storico-economico ed al contesto istituzionale;
la medesima Corte costituzionale, con la sentenza n. 348, depositata il 24 ottobre 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato articolo 5-bis, da un lato constatando che il criterio dichiaratamente provvisorio previsto dallo stesso articolo era divenuto definitivo ad opera dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) e, dall'altro, rilevando che la condizione della «sfavorevole congiuntura economica» che aveva indotto nel 1993 la stessa Corte a ritenere le suddette disposizioni non incompatibili con la Costituzione, non poteva protrarsi all'infinito, «conferendo sine die alla legislazione una condizione di eccezionalità che, se troppo prolungata nel tempo, perde tale natura ed entra in contraddizione con la sua stessa premessa»;
secondo la Corte costituzionale, un'indennità «congrua, seria ed adeguata» non può «adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi
del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa», giungendo «sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprietà»;
con la richiamata sentenza n. 348 del 2007, il «Giudice delle leggi» ha dichiarato anche l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'articolo 37, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), poiché recanti norme identiche a quelle contenute nel citato articolo 5-bis e dichiarate in contrasto con la Costituzione con la medesima sentenza;
alla luce delle richiamate pronunce, si può constatare che sia la giurisprudenza della Corte costituzionale sia quella della Corte EDU concordano nel ritenere sia che il punto di riferimento per determinare l'indennità di espropriazione debba essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato, sia la non coincidenza necessaria tra valore di mercato e indennità espropriativa, alla luce del sacrificio che può essere imposto ai proprietari di aree edificabili in vista del raggiungimento di fini di pubblica utilità;
è, dunque, evidente che la stessa giurisprudenza riconosce l'esigenza, avvertita anche a livello istituzionale, di non impedire, di fatto, agli enti locali di esercitare la potestà espropriativa e di non porre tali enti in condizioni di vera e propria emergenza economico-finanziaria per la corresponsione della relativa indennità;
sia la Corte EDU con il richiamato arresto del 29 marzo 2006 sia la Corte costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007 evidenziano, peraltro, l'esigenza di un intervento del legislatore nella materia;
in proposito, si ricorda che la sentenza n. 348 del 2007 ha dettato i seguenti principi in materia di revisione dell'indennità di esproprio:
a) «il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l'indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato. L'articolo 42 Cost. prescrive alla legge di riconoscere e garantire il diritto di proprietà, ma ne mette in risalto la "funzione sociale"»;
b) «valuterà il legislatore se l'equilibrio tra l'interesse individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà debba essere fisso e uniforme, oppure, in conformità all'orientamento della Corte europea, debba essere realizzato in modo differenziato, in rapporto alla qualità dei fini di utilità pubblica perseguiti», posto che secondo la Corte EDU vi è la possibilità di distinguere due tipologie di obiettivi di utilità sociale a cui possono essere preordinate le espropriazioni: da un lato, obiettivi di riforma economica o sociale o di mutamento del contesto politico istituzionale; dall'altro obiettivi di utilità sociale che non si inseriscono in una prospettiva di ampia riforma e che si realizzano attraverso «espropriazioni isolate»; mentre per la prima categoria di espropriazioni è compatibile con la CEDU un'indennità inferiore al valore venale del bene, per la seconda categoria non è giustificata un'indennità inferiore a tale valore;
c) «criteri di calcolo fissi e indifferenziati rischiano di trattare allo stesso modo situazioni diverse, rispetto alle quali il bilanciamento deve essere operato dal legislatore avuto riguardo alla portata sociale delle finalità pubbliche che si vogliono perseguire, pur sempre definite e classificate dalla legge in via generale»;
d) «i parametri per la determinazione dell'indennità di espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene, quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori»,
impegna il Governo:
ad adottare ogni opportuna iniziativa finalizzata a pervenire ad una nuova disciplina legislativa dell'indennità di espropriazione, tenendo presenti i criteri individuati nella sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, di cui in premessa;
a muoversi, in questo contesto e in coerenza con la giurisprudenza costituzionale, verso una commisurazione dell'indennità di espropriazione superiore a quella fissata dalla legislazione vigente, adottando tuttavia una logica che - non potendo garantire l'integrale applicazione del valore di mercato - miri ad assicurare una maggiore prossimità di tale indennità con il valore venale del bene ablato.
(7-00302) «Realacci, Iannuzzi, Mariani».