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Allegato B
Seduta n. 240 del 12/11/2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
in Italia sono presenti circa 70 mìla cooperative, per lo più di piccole dimensioni, che operano in diversi settori (agricolo, credito, consumo, sociale, lavoro ed altri);
la presenza cooperativa è indice di una economia aperta e concorrenziale, come dimostra la forte presenza cooperativa anche in Nord America e nei Paesi a più rapido sviluppo, oltre che negli Stati membri dell'Unione europea, in diversi casi con imprese cooperative di maggiore dimensione rispetto a quelle italiane e che detengono maggiori quote di mercato;
le cooperative sono sorte per soddisfare i bisogni dei propri soci nel campo sociale, economico e culturale: sono imprese a tutti gli effetti, ma con finalità e funzionamento mutualistici non lucrativi e mantengono intatta la loro mission;
la diversità delle finalità ha comportato un diverso trattamento civilistico e fiscale, che, con le dovute differenziazioni legate ai diversi ordinamenti, trova riscontro anche nel resto dell'Unione europea;
ogni riflessione critica e costruttiva sulle cooperative deve partire dalla consapevolezza che la presenza delle cooperative nel panorama imprenditoriale europeo e mondiale è stata sempre considerata una ricchezza e dall'apporto che il mondo cooperativo ha dato all'economia e all'occupazione italiana;
nella XIV legislatura sono state modificate le norme civilistiche e fiscali, ridimensionando il trattamento specifico, imponendo requisiti più severi e limitando il tutto alle sole cooperative a mutualità prevalente;
nonostante le cooperative siano sottoposte a severi controlli e l'accertamento della mancanza di mutualità ne comporti lo scioglimento, rimane il problema delle cooperative non aderenti alle centrali che sfuggono in gran parte, pertanto, alla vigilanza;
è auspicabile per promuovere e far crescere la cooperazione più autentica fare chiarezza ed individuare i casi di irregolarità o abuso;
tali fenomeni vanno prevenuti e repressi senza con ciò danneggiare l'intero movimento cooperativo e di conseguenza l'economia del Paese, impoverendone il mercato e la concorrenza,
impegna il Governo:
ad assumere i provvedimentì necessari all'accertamento e alla repressione di ogni abuso o irregolarità amministrativa;
a difendere risolutamente, presso le istituzioni comunitarie, gli ordinamenti cooperativi definiti nella XIV legislatura;
ad adottare i provvedimenti necessari affinché l'amministrazione sia posta in grado, come da obbligo di legge, di assicurare la vigilanza su tutte le società cooperative, sia nella forma ordinaria sia con le necessarie ispezioni straordinarie, per l'effettivo accertamento della mutualità e l'individuazione di eventuali deviazioni dagli scopi originari mutualistici della cooperativa;
ad adottare ogni utile iniziativa per verificare se comportamenti di amministrazioni locali abbiano determinato situazioni di vantaggio per talune aziende cooperative con effetti distorsivi sulla concorrenza.
(1-00249)«Volontè, Galletti».
La Camera,
premesso che:
in Italia le cooperative attive nel 2007, secondo i dati Unioncamere, sono 70.306 e sono aumentate del 5,8 per cento rispetto al 2006, e prendendo a riferimento
l'intero universo delle imprese italiane, pur rappresentando l'1,2 per cento dell'imprenditoria nazionale, hanno contribuito per il 6,2 per cento al tasso di crescita complessivo, con un indice di occupazione prodotta che raggiunge livelli di eccellenza compresi tra il 4 e il 9 per cento in alcune realtà regionali ed una forte presenza soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole;
l'Istat nell'ultimo rapporto sulle cooperative sociali in Italia ha rilevato la presenza in Italia al 2005 di 7.363 cooperative sociali attive che impiegano 244.000 lavoratori, il 70 per cento dei quali è costituito da donne, con oltre 260.000 soci, un valore della produzione complessivo pari a 6.381 milioni di euro e che prestano assistenza ad una vasta gamma di utenti, quantificabili in oltre 3,3 milioni di persone, oltre a realizzare l'inserimento lavorativo di più di 30.000 soggetti svantaggiati;
le cooperative aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute sono oltre 40.000, con più di dodici milioni di soci e un fatturato di oltre 120.000 milioni di euro, mentre la cooperazione, associata e non, pesa complessivamente nell'apporto al prodotto interno lordo del Paese con una percentuale dell'8 per cento;
di recente il Cnel ha analizzato, nell'ambito del rapporto sul mercato del lavoro 2004 il contributo delle cooperative all'occupazione, facendo emergere il rafforzamento della cooperazione nell'arco del quadriennio 2000-2004 e, soprattutto, come le cooperative rappresentino uno «strumento di espansione occupazionale per le fasce meno forti del lavoro», capaci quindi di riservare attenzione al bisogno di impiego dei lavoratori «deboli»;
il Censis, nel 39o rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, ha riconosciuto come le cooperative, pur nell'ambito del sistema economico italiano in affanno, abbiano saputo rafforzarsi nel tempo sotto il profilo della numerosità, della diffusione territoriale, della rilevanza strategica e, malgrado la crisi economica, crescono più rapidamente della media delle altre aziende, in termini di unità, fatturato e addetti;
la Camera dei deputati, rispettivamente nelle sedute del 3 agosto 2006 e 18 novembre 2006, ha accolto gli ordini del giorno n. 9/1475/59, n. 9/1746-BIS/173 e n. 9/1746-BIS/382 in cui viene impegnato il Governo ad adottare le opportune iniziative volte a sostenere il positivo ruolo svolto dalle imprese cooperative, quale esempio virtuoso da valorizzare, e come possibile strumento, pur affiancato ad altri con pari dignità, per l'avvio di soluzioni strutturali; ad intervenire con piani d'azione concreti per consentire all'economia cooperativa di accentuare e proseguire nella propria funzione anticiclica; a prevedere, come priorità nei futuri documenti e provvedimenti, idonee e specifiche misure in favore delle cooperative, il rifinanziamento del Foncooper (Fondo per lo sviluppo dell'impresa cooperativa), per le attività previste dalla legge n. 49 del 1985, nonché l'attribuzione di una maggiore quota di risorse per lo sviluppo di programmi di formazione, di cui alla legge n. 127 del 1971, finalizzata alla formazione di quadri cooperativi destinati alla ricerca, all'innovazione e alla competitività; a contemplare la possibilità di esentare le cooperative sociali, di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, dal pagamento dell'imposta regionale sulle attività produttive nel prossimo documento di programmazione economico-finanziaria, prevedendola inoltre nelle corrispondenti disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato; a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative legislative volte ad esonerare dall'obbligo di versamento del contributo al Fondo per l'erogazione del trattamento di fine rapporto (articolo 84, comma 2, atto Camera 1746) le società di volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, tra le
quali rientrano anche le cooperative sociali;
il Vice Presidente del Consiglio dei ministri Massimo D'Alema, in risposta all'interrogazione a risposta immediata in assemblea n. 3-00134, il 19 luglio 2006 nella seduta della Camera dei deputati n. 28 ha precisato come «il Governo intende valorizzare e difendere la funzione economico-sociale del movimento cooperativo rispetto ad ingenerosi attacchi, che di tanto in tanto, si succedono contro questa grande realtà dell'economia e della società italiana»;
la Commissione europea nella comunicazione sulla promozione delle società cooperative in Europa del 23 febbraio 2004 evidenzia come «un trattamento fiscale particolare può essere accettato, ma in tutti gli aspetti della legislazione sulle cooperative andrebbe rispettato il principio secondo il quale le protezioni o i vantaggi concessi ad un tipo particolare di organismo devono essere proporzionati ai vincoli giuridici, al valore aggiunto sociale e alle limitazioni proprie di tale forma e non devono dar luogo ad una concorrenza sleale»;
la dimensione delle cooperative non caratterizza lo sviluppo della funzione mutualistica, bensì esse godono delle agevolazioni fiscali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, se, oltre alla presenza delle clausole indicate dall'articolo 2514 del codice civile, possiedano i requisiti della prevalenza gestionale e, quindi, in ragione dello scambio mutualistico svolgano la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi ovvero si avvalgano prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci ovvero si avvalgano prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci;
i benefici fiscali riconosciuti alle cooperative sono legati indissolubilmente alla funzione mutualistica, svolta da tale tipologia di imprese, e tale funzione non è né prerogativa di settori specifici della cooperazione, né è solo riconducibile a determinati volumi di fatturato o a parametri economici, bensì connaturata alle sue caratteristiche strutturali;
il 23 luglio 2007 il Governo ha sottoscritto con le parti sociali, tra cui le associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, il protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l'equità e la crescita sostenibili, nel quale si evidenzia quale priorità per l'Esecutivo, con riguardo alla cooperazione, di intervenire in materia di cooperative spurie e dumping contrattuale, oltre ad assicurare l'applicazione dell'istituto della revisione all'intero universo cooperativo, prevedendo la necessità dell'ispezione revisionale per l'aggiudicazione degli appalti pubblici;
alcuni fenomeni di degenerazione cooperativa (cooperative spurie) circoscritti e localizzati vanno assolutamente combattuti con l'attività di vigilanza di cui al decreto legislativo n. 220 del 2002 e con l'adozione dei relativi provvedimenti sanzionatori previsti dalla normativa vigente, nonché prevenuti con specifiche azioni di formazione cooperativa, peculiari del movimento cooperativo;
il decreto legislativo n. 220 del 2002, che ha portato una significativa riforma in materia di vigilanza delle società cooperative, stabilisce, all'articolo 1, comma 1, che la vigilanza su tutte le forme di società cooperative e loro consorzi è attribuita al ministero dello sviluppo economico (già ministero delle attività produttive) e che lo stesso dicastero può avvalersi dei revisori delle associazioni riconosciute sulla base di apposite convenzioni per la realizzazione della vigilanza sulle cooperative non aderenti,
impegna il Governo:
a dare attuazione attraverso atti concreti a tutti gli ordini del giorno indicati in premessa;
ad assicurare lo svolgimento dell'attività di vigilanza su tutti gli enti cooperativi prevista dal decreto legislativo n. 220 del 2002, avvalendosi, oltre che dei revisori incaricati dal ministero dello sviluppo economico, in via prioritaria di revisori delle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela giuridicamente riconosciute, sulla base di apposite convenzioni stipulate con le associazioni medesime, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo sopra indicato;
a realizzare la concreta attuazione dell'articolo 83 del decreto legislativo. n. 276 del 2003, che stabilisce la certificazione del regolamento interno delle cooperative riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, prevedendo, in caso di mancata realizzazione, idonee iniziative legislative volte a introdurre una normativa secondo cui, qualora le province non abbiano costituito le commissioni di certificazione, le stesse possano essere istituite presso le direzioni provinciali del lavoro e siano presiedute da un presidente indicato dalla direzione provinciale del lavoro medesima, confermandone, tuttavia, la composizione già prevista dalla normativa vigente, il tutto per assicurare quella funzione di controllo sulle forme contrattuali applicate ai soci lavoratori coimprenditori;
a dare ulteriore attuazione al contenuto dell'articolo 45 della Costituzione, secondo cui la Repubblica non è tenuta solo a riconoscere la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata, non operando alcuna distinzione tra cooperative per via delle dimensioni, del fatturato, del numero dei soci o del settore di riferimento, ma impegna il legislatore a promuovere e favorire l'incremento della stessa con i mezzi più idonei e assicurandone, nel contempo, con opportuni controlli, il rispetto del carattere e delle finalità, anche attraverso la proposizione di un testo unico sulle società cooperative;
a garantire lo sviluppo della cooperazione e la lotta alla cooperazione «spuria» per il mezzo di idonee iniziative di formazione dirette alla diffusione dei principi cooperativi attraverso corsi per cooperatori, nonché un'idonea qualificazione professionale dei dirigenti di cooperative attraverso l'attribuzione di una maggiore quota di risorse per lo sviluppo dei suddetti programmi di formazione di cui alla legge n. 127 del 1971;
a disporre ispezioni straordinarie ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 220 del 2002 e ad adottare i conseguenti provvedimenti sanzionatori, quali la gestione commissariale ai sensi dell'articolo 2545-sexiesdecies del codice civile, lo scioglimento d'ufficio ai sensi dell'articolo 2545-septiesdecies del codice civile, la liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'articolo 2545-terdecies del codice civile e la cancellazione dal registro delle imprese ai sensi del secondo comma dell'articolo 2545-octiesdecies del codice civile, laddove si verifichino fenomeni di degenerazione cooperativa indicati in premessa.
(1-00250) «Donadi, D'Ulizia».
Risoluzione in Commissione:
La VIII Commissione,
premesso che:
il 24 ottobre scorso, a Strasburgo, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione, dal valore solo consultivo, che chiede all'industria automobilistica europea di ridurre la media di emissioni di anidride carbonica per auto a 125 grammi per chilometro, contro gli attuali 160 grammi, entro il 2015;
il proponente, il britannico Chris Davies, capofila degli eurodeputati liberali, ha spiegato che la soglia di 125 g/km come media del venduto comunitario entro il 2015, fissata dall'Assemblea Ue, riguarda solo le tecnologie dei motori e non prende in conto le misure aggiuntive, diversamente
dall'esecutivo comunitario che nei mesi scorsi aveva proposto un obiettivo di130 g/km al 2012 da ottenere con misure di responsabilità dei produttori di veicoli, affidando ulteriori 10 grammi di riduzione (per arrivare a 120 g/km al 2012) ad ulteriori misure riguardanti specifiche componenti auto (pneumatici e condizionatori) e carburanti innovativi (biocarburanti);
la relazione è passata con 397 voti a favore, 269 contro e 20 astenuti, e smentisce il testo più severo di una Risoluzione approvata il 14 febbraio dalla Commissione Ambiente della stessa Assemblea di Strasburgo, che insisteva sul mantenimento dell'obiettivo di riduzione di 120 g/km al 2012, fissato originariamente dalla Commissione come obiettivo a lungo termine della strategia di accordi volontari con i costruttori europei avviata nel 1997 (140gCO2/km al 2008 accordo con ACEA, 140 g al 2000 accordi con JAMA e KAMA);
l'impegno degli accordi volontari prevedeva che, se le emissioni medie delle vetture nuove vendute sul mercato comunitario non fossero scese a 140 g/km entro il 2008, la Commissione avrebbe legiferato per imporre l'obiettivo del 2012. Solo alcuni produttori europei (compresa la Fiat e le case francesi) sono nella direzione di marcia per rispettare l'impegno dell'accordo volontario, che è stato invece ignorato soprattutto dalle grandi case tedesche produttrici e grandi esportatrici di auto di lusso e 4x4, le cui pressioni hanno fortemente condizionato il voto sull'obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2. A causa della violazione degli accordi volontari da parte dei maggiori produttori, la media delle emissioni, che nel 2005 è stata di 160 g/km, nel 2008 supererà probabilmente i 150 g/km, impedendo il raggiungimento dell'obiettivo comunitario;
lo scorso 12 settembre Acea, l'associazione europea dei costruttori di auto, ha approvato il target proposto dalla Commissione Ue, chiedendo però di avere più tempo per l'applicazione pratica dell'obiettivo;
le associazioni ambientaliste di tutta Europa hanno accusato gli europarlamentari di aver perso coraggio e di non aver rispettato la risoluzione della commissione Ambiente che il 14 febbraio scorso aveva fatto appello alla Commissione europea perché approvasse gli obiettivi vincolanti di 120 g/Km entro il 2012;
il 12 ottobre un'importante coalizione formata da CGIL, CISL e UIL, dai consumatori e dalle maggiori associazioni ambientaliste italiane, guidata da Amici della Terra, ha rivolto un appello a tutti i parlamentari europei, affinché fosse data piena applicazione al principio di «chi inquina paga» e che l'obiettivo comunitario fosse applicato in maniera uguale per tutti i produttori. Purtroppo, il Parlamento europeo, pur esprimendosi a favore dello scambio dei certificati di emissione fra produttori (CARS), un meccanismo che darebbe flessibilità ai produttori nella convergenza all'obiettivo comunitario, si è espresso a favore di un ulteriore ed ingiustificato elemento di flessibilità, riguardante la differenziazione dell'obiettivo in base al criterio della superficie dell'auto per stabilire l'entità della penalità economica o dell'incentivo di quel modello;
in virtù di questo meccanismo, se l'obiettivo delle auto di bassa superficie fosse di 90 g/km, le auto di quella fascia sarebbero colpite da penalità economiche pur emettendo 92 g/km, mentre se l'obiettivo delle auto di grande superficie fosse 160 g/Km le auto di quella fascia con emissioni di CO2 pari a 158 g/km riceverebbero paradossalmente un incentivo. Pertanto le auto di grandi dimensioni godrebbero di un incentivo economico, mentre le utilitarie verrebbero sanzionate;
la coalizione nazionale di associazioni ambientaliste e sindacati ha denunciato che tutto ciò è in palese contrasto col principio «chi inquina paga» e va esattamente nella direzione contraria a quella auspicabile sotto il profilo ambientale: per alleggerire i costi della riduzione delle emissioni di CO2/km, le case automobilistiche intensificheranno l'attuale trend a
costruire auto di maggiori dimensioni (della superficie in particolare), per poter godere di un limite più favorevole per il singolo modello, ben al di sopra del livello medio comunitario. Ma, se aumenterà il numero di auto grandi in circolazione, non ci sarà alcuna garanzia che l'obiettivo medio sia effettivamente conseguito;
inoltre, poiché gli obiettivi differenziati saranno decisi sulla base delle dimensioni che saranno rilevate solo nel 2009, non solo saranno penalizzati i produttori che hanno ben operato in questi anni, come la Fiat, ma è facile prevedere che i produttori sinora inadempienti avranno interesse a non operare più miglioramenti fino a quella data per evitare di fare investimenti che non sarebbero tenuti in conto dalla nuova normativa. Il risultato inevitabile sarà un ritardo di alcuni anni nel conseguimento dell'obiettivo, peraltro penalizzando i produttori che si sono mossi in anticipo;
l'effetto complessivo di una simile impostazione della direttiva avrebbe effetti fortemente negativi per la qualità ambientale delle nostre città: auto più grandi produrranno maggiore congestione e rallentamenti della viabilità, oltre a pesare, consumare ed emettere di più, con un prevedibile incremento dell'inquinamento, del rumore, dell'incidentalità stradale e dei problemi di coesistenza con pedoni, bici e due ruote;
nelle scorse settimane il principio di non introdurre alcuna differenziazione in classi, avanzato dalla coalizione italiana di ambientalisti e sindacati, era stato proposto anche dall'associazione dei produttori di auto francesi, che giustamente sollecitavano il loro governo a non sostenere in sede europea criteri che penalizzerebbero i produttori che hanno già raggiunto oggi risultati importanti, sia grazie alle ridotte dimensioni e peso delle loro auto, sia in termini di efficienza dei motori;
impegna il Governo
a sostenere con forza in sede europea, in vista della proposta di direttiva sulla riduzione della CO2 auto che la Commissione europea si è impegnata a presentare entro dicembre, l'indirizzo originario dei 120 gr/km entro il 2012, ribadendo alla Commissione le sollecitazioni e le prese di posizioni già espresse dal Governo Italiano per una piena applicazione del principio «chi inquina paga», stabilendo per tutti i produttori un obiettivo unico e uguale per tutti, senza alcuna differenziazione rispetto a criteri ambientalmente non sostenibili quali il peso o la superficie.
(7-00306)
«Camillo Piazza, Realacci, Cacciari, Chianale, De Angelis, Francescato, Lomaglio, Marantelli, Mariani, Misiti, Perugia».