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Allegato B
Seduta n. 254 del 10/12/2007
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 10 Luglio 2007 è stata emanata la circolare ministeriale relativa alle assegnazioni dei capi squadra del Corpo dei Vigili del fuoco ai diversi comandi provinciali distribuiti sul territorio nazionale;
i posti sono stati assegnati alla quasi totalità dei capoluoghi di Provincia;
nonostante le carenze di organico da tempo denunciate, il Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Modena risulta tra le sedi escluse da tali assegnazioni;
la mancanza di personale qualificato aggrava lo stato di disagio nel quale il Corpo si trova ad operare, ostacolando ulteriormente il soccorso tecnico urgente predisposto a favore della popolazione;
nella provincia di Modena, inoltre, risulta ancora non riconosciuta come sede permanente quella di Vignola, che viene attualmente definita sede mista e richiede la presenza di almeno otto unità qualificate, sottratte in questo modo alle altre sedi della provincia;
tale situazione è particolarmente grave se si considera che l'organico della sede di Modena è assolutamente inadeguato a garantire una squadra per ogni distaccamento e due per la sede centrale;
parte del personale qualificato sta per andare in pensione per raggiunti limiti di età, con la correlata necessità di chiudere sedi permanenti sul territorio modenese -:
se sia a conoscenza dei fatti come sopraesposti;
se sia a conoscenza di ulteriori circostanze di cui voglia mettere al corrente la Camera dei deputati;
per quali motivi nella recente assegnazione dei capi squadra ai vari Comandi provinciali dei Vigili del fuoco, nonostante le reali necessità, la provincia di Modena sia stata ignorata;
come intenda intervenire per risolvere una situazione di grave disagio per il personale operante e per i cittadini modenesi, derivante dalle pesanti carenze di organico qualificato del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Modena.
(4-04591)
Risposta. - Le problematiche evidenziate dall'interpellante a proposito del Comando provinciale dei vigili del fuoco di Modena rispecchiano una situazione presente su tutto il territorio nazionale. Detta situazione, che si riflette negativamente sulle attività operative, è stata peraltro causata dalle ripetute manovre di finanza pubblica di segno negativo che, a partire dal 2001, hanno ridotto in modo corposo le dotazioni finanziarie destinate alle esigenze del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Infatti, le leggi finanziarie emanate nel corso della precedente legislatura hanno, di
fatto, impedito al Corpo nazionale la sistematica copertura del turn-over del personale posto in quiescenza, il che ha determinato l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico, recentemente portato dalle disposizioni del decreto legislativo n. 217 del 2005, della legge n. 49 del 2006 e del decreto interministeriale n. 222 del 2006 a 34.710 unità, a fronte delle sole circa 31.500 realmente in servizio, ma persino di mantenere almeno l'organico reale al passo con la copertura dei pensionamenti effettuati. Un primo passo migliorativo si è avuto però con l'applicazione delle disposizioni della legge finanziaria per il 2007 che, nonostante il contesto di rigidità nel quale ha operato, ha comunque attuato un'inversione di tendenza sostanziale rispetto al passato.
In primo luogo, la citata legge finanziaria, per far fronte almeno parzialmente alla necessaria copertura del turn over, ha allocato le risorse per procedere ad una immediata assunzione di 600 unità nella qualifica di vigile del fuoco, che prenderanno servizio nei Comandi provinciali, sulla base delle carenze rilevabili a livello nazionale, al termine del corso di formazione di sei mesi iniziato il 16 luglio 2007.
In secondo luogo, ha previsto infatti per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco un percorso ad hoc per la stabilizzazione del rapporto di lavoro del personale volontario in possesso di determinati requisiti. Con decreto del Ministro dell'interno in data 30 luglio 2007 sono stati fissati i criteri relativi alla procedura selettiva per detta stabilizzazione, che consentirà l'immissione di personale altamente qualificato al fine di poter dare un contributo fondamentale al servizio istituzionale di salvaguardia della vita delle persone. Tra i volontari effettivamente legittimati alla stabilizzazione, il Dipartimento della funzione pubblica dovrà stabilire, a breve, sulla base dei fondi resi disponibili dalla stessa legge finanziaria, quante unità potranno effettivamente essere assunte a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda sempre l'esigenza di potenziamento dell'organico, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 gennaio 2007 è stato inoltre autorizzato, ai sensi dell'articolo 1, comma 104, della legge 311 del 2004, l'avvio, nel triennio 2007/2009, delle procedure concorsuali per la copertura di 1021 posti nei ruoli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di cui 814 vigili del fuoco.
Nel contesto generale appena descritto, si auspica di poter risolvere, compatibilmente con le priorità di livello nazionale, le problematiche relative al Comando provinciale dei vigili del fuoco di Modena.
Si fa presente, peraltro, che la situazione delle sedi di servizio del Comando provinciale di Modena è stata oggetto di un recente studio correlato al progetto «Soccorso Italia in 20 minuti», progetto finalizzato ad attivare 292 nuovi distaccamenti dei vigili del fuoco sul territorio, al fine di assicurare, ad un maggior numero di abitanti, interventi di soccorso entro venti minuti dall'allertamento del «115».
In particolare, tale progetto ha messo in luce la necessità di potenziare il Comando provinciale di Modena mediante l'istituzione di un ulteriore distaccamento di vigili del fuoco volontari nel Comune di Mirandola.
Con riferimento alla mancata assegnazione di risorse umane al Comando provinciale di Modena, in particolare del personale appartenente al ruolo dei Capi squadra, si fa presente che la circolare ministeriale citata dall'interrogante dispone l'assegnazione alle sedi, con decorrenza dal 10 luglio 2007, di un contingente di vigili del fuoco permanenti e non di capi squadra.
Peraltro, la mancata attribuzione di personale al citato Comando è derivato dal criterio seguito da questa Amministrazione diretto a privilegiare le sedi che presentano maggiori carenze di personale rispetto alle piante organiche previste.
Va detto in proposito che, alla data della rilevazione, ai fini delle assegnazioni, il Comando di Modena presentava una perfetta parità tra i posti previsti in organico e la forza effettiva, sia per la qualifica di vigile permanente che per la qualifica di Capo squadra.
La carenza presso il citato Comando di Capi reparto sarà tenuta in debita considerazione
in occasione dei prossimi concorsi di riqualificazione che potranno prevedibilmente attuarsi entro la fine del corrente anno.
Nell'ambito del predetto contesto, si auspica che alcune delle 600 unità di personale con qualifica di vigile del fuoco, la cui assunzione è stata autorizzata dalla legge finanziaria per il 2007, siano assegnate al Comando di Modena al termine del corso di formazione di sei mesi iniziato il 16 luglio 2007.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Ettore Rosato.
BONGIORNO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
un'agenzia ANSA del 23 marzo 2007 riporta la notizia di una lettera aperta inviata al ministro della Giustizia dal presidente dell'organo di rappresentanza dei magistrati romani, Paolo Auriemma, e redatta in collaborazione con il segretario di Md Roma, Francesco Vigorito, ed il componente della giunta distrettuale di Unicost, Attilio Palladini. Nel documento - come riportato dalla citata agenzia - gli scriventi lamentano che «nonostante una riduzione del 39 per cento nello smaltimento del carico del tribunale di Roma nell'ultimo quinquennio, i problemi della giustizia civile nella capitale permangono», e le soluzioni proposte dall'Anm di Roma sono la creazione di un«Ufficio per il processo» - «coordinato da ogni singolo magistrato, con specifica indicazione delle risorse materiali e personali di cui ciascun ufficio dovrebbe poter disporre» - e «una significativa riduzione dei riti, atteso che la proliferazione di essi ha prodotto unicamente complicazioni ed incertezze applicative, senza apportare alcuna concreta utilità». In particolare, come precisato nella lettera aperta, «il numero dei procedimenti pendenti è sceso dai 322.791 all'inizio del 2001 ai 194.674 alla fine del 2006. Negli anni scorsi il legislatore si è limitato ad innovare e moltiplicare i riti in base ai quali svolgere i processi, mentre nessuno si è occupato di adeguare personale, mezzi e strutture alle nuove esigenze». Si evidenzia, altresì, nel documento che «l'edilizia giudiziaria è del tutto inadeguata; la maggior parte dei giudici non dispone di una propria stanza per tutta la settimana; le forniture informatiche sono del tutto obsolete; i giudici continuano a tenere udienza senza la presenza del cancelliere; il giudice deve svolgere l'ulteriore attività di supplenza di controllo dei fascicoli durante l'udienza; il personale di cancelleria, del tutto insufficiente anche rispetto alle previsioni della pianta organica, viene adibito esclusivamente alla gestione degli affari con il pubblico». Questa situazione - a detta dei magistrati romani - «produce un'inevitabile ricaduta negativa sulla qualità e sulla durata dei processi» e si chiede, pertanto, «una riforma organizzativa che doti ogni singolo giudice di un apparato strumentale composto da un gruppo di collaboratori qualificati idoneo a sollevarli da tutte le incombenze pratiche che restano estranee alla sua funzione» -:
se e con quali provvedimenti intenda dar seguito alle richieste formulate dai magistrati romani nella lettera aperta dello scorso 23 marzo.
(4-03232)
Risposta. - Pare opportuno premettere che dall'ottobre 2000, per effetto di successivi decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la dotazione organica nazionale del personale amministrativo è stata ridotta di complessive 701 unità, al fine di realizzare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, un assetto organico corrispondente al nuovo ordinamento professionale delineato dal contratto collettivo integrativo sottoscritto il 5 aprile 2000, nonché per consentire l'istituzione del ruolo autonomo del Consiglio superiore della magistratura.
I nuovi contingenti complessivi sono stati quindi ripartiti con decreti ministeriali tra gli uffici determinando, nella generalità dei casi, una riduzione delle relative piante organiche in linea con il predetto ordinamento professionale.
Oltre alle riduzioni aventi carattere generale, il tribunale di Roma è stato, altresì,
oggetto di specifici interventi, diretti ad adeguare l'organico alle variazioni dell'assetto territoriale realizzate dal decreto legislativo n. 491 del 1999 (relativo ai cosiddetti tribunali metropolitani) che ha determinato un sensibile effetto deflativo sui relativi carichi di lavoro.
L'istituzione del tribunale di Tivoli e l'aggregazione di tutto il territorio, con l'eccezione di quello metropolitano, ai circondari limitrofi, in assenza di aumenti della dotazione complessiva (che anzi, come detto, nel medesimo arco temporale è stata significativamente ridotta) hanno reso necessario attingere dagli uffici di Roma, ed in particolare dal tribunale, le risorse necessarie a garantire il funzionamento degli uffici coinvolti e, quindi, l'effettività della riforma legislativa.
Pur a fronte di sensibili riduzioni, analizzando il rapporto di composizione dell'organico del personale di magistratura ed amministrativo (amministrativi per magistrato) l'ufficio ha mantenuto valori in linea con la media distrettuale ed in ogni caso superiori a quelli rilevati per gli uffici di nuova istituzione o destinatari di rilevanti porzioni di territorio.
Da ultimo, si segnala che, in ottemperanza dell'articolo 1, comma 93, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria), con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 ottobre 2005 le dotazioni organiche nazionali dell'Amministrazione giudiziaria sono state ulteriormente rideterminate, apportando una riduzione ai contingenti complessivi del personale dirigenziale di seconda fascia e del personale amministrativo ed UNEP pari a 2.495 unità, corrispondente al 5 per cento della pregressa dotazione.
In attuazione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il Decreto Ministeriale 8 marzo 2007 ha provveduto alla necessaria ridefinizione delle piante organiche dei singoli uffici dell'Amministrazione giudiziaria in misura conforme alla predetta riduzione delle risorse.
In linea tendenziale, quindi, con il predetto decreto ministeriale 8 marzo 2007 la riduzione dei contingenti complessivi è stata riflessa in misura uniforme e proporzionalmente corrispondente alla decurtazione dell'organico nazionale sulle risorse destinate a ciascuna struttura.
Per il tribunale in questione non sono state previste deroghe all'applicazione del criterio generale, anche alla luce della necessità di operare in ambito distrettuale scelte conservative in favore degli altri uffici interessati dalla citata riforma dei tribunali metropolitani (Civitavecchia, Tivoli, Velletri).
Peraltro, le determinazioni assunte non hanno inciso in misura rilevante sul predetto rapporto di composizione dell'organico del personale di magistratura e amministrativo (amministrativi per magistrato), che si è mantenuto in linea con le nuove medie distrettuali.
In merito, poi, al personale amministrativo in servizio nella sezione civile del Tribunale di Roma si fa presente che il Capo dell'Ufficio giudiziario dispone, con ordine di servizio, l'assegnazione del personale nelle varie sezioni e, pertanto, può rideterminare l'organico delle unità addette alla sezione civile adeguandolo alle esigenze ed ai carichi di lavoro sopravvenuti, se di maggiore portata rispetto ad altre sezioni del medesimo Ufficio.
È vero, tuttavia, che le carenze di personale amministrativo che gravano sugli organici complessivi degli uffici giudiziari si ripercuotono sulle difficoltà di ripartizione tra le varie sezioni e che le oltre 5000 vacanze di cui soffre, allo stato, la pianta organica nazionale del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie producono effetti negativi, tra le altre, anche sulle singole ripartizioni interne degli Uffici.
Per quanto riguarda, quindi, la situazione complessiva del personale presente nel Tribunale di Roma (sezioni civili e penali) si rileva che, a fronte delle 1278 unità previste in organico, attualmente le risorse presenti sono 1158, considerate 27 unità di personale a tempo determinato (ex lavoratori socialmente utili), 7 centralinisti non vedenti e 48 unità in soprannumero (1 cancelliere B3, 11 operatori giudiziari B2, 2 ausiliari A1 e 34 operatori giudiziari B1).
Se si eccettuano i 27 posti vacanti di operatore giudiziario B3 (che incidono sensibilmente
sulla percentuale di scopertura dell'ufficio) relativi ad una figura professionale di nuova istituzione e che, pertanto, allo stato non possono essere coperti se non all'esito delle procedure di riqualificazione riservate al personale dipendente, le scoperture di maggior rilievo gravano sulle posizioni apicali dell'area C.
Con riferimento ai posti di direttore di cancelleria C3 (56 vacanze su 74 posti previsti) e di cancelliere C2 (79 vacanze su 141 posti previsti) si rileva che essi devono essere contestualizzati in una situazione nazionale in cui la figura del direttore di cancelleria C3 presenta ben 958 posti vacanti complessivi a fronte di 373 presenze e la figura del cancelliere C2 ben 2.561 vacanze in relazione a 1.767 unità presenti.
Con riferimento, poi, alla figura del cancelliere C1 si fa presente che in occasione dell'assunzione dei 99 cancellieri C1 di cui all'autorizzazione per l'anno 2006 è stato pubblicato un interpello per la copertura, tra l'altro, dei 26 posti allora vacanti di cancelliere C1 nel Tribunale di Roma. All'esito è stato disposto il trasferimento di sole 3 unità a fronte dell'uscita di ben 9 cancellieri C1 che sono stati trasferiti ad altri uffici pubblicati con il medesimo interpello.
A fronte degli impedimenti posti all'assunzione di personale assumono particolare rilievo, inoltre, gli interventi di natura temporanea quali il rinnovo del contratto di lavoro con le unità a tempo determinato (ex lavoratori socialmente utili) per l'anno in corso, che nell'Ufficio in esame sono ben 27.
Inoltre, è stata attivata la procedura per il comando di 1 unità della posizione economica 133 dal Ministero della difesa.
In relazione alle iniziative poste in essere per ridurre le carenze nell'organico del personale dell'Ufficio in parola si fa presente che tutti i posti vacanti di contabile (1 della posizione economica C1 ed 1 della posizione economica B3), di ausiliario B2 (2 posti su 4 previsti in organico), di ausiliario B1 (5 posti) e di ausiliario B1 ex autista (1 posto rispetto ad una dotazione organica di 64) sono stati pubblicati con i recenti interpelli per la mobilità interna del personale, ai sensi dell'accordo sottoscritto con le Organizzazioni Sindacali il 27 marzo 2007.
Si fa, inoltre, presente che a seguito dell'autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri recentemente intervenuta, quest'Amministrazione ha autorizzato il Presidente della Corte di Appello di Roma ad assumere 40 unità a tempo determinato da utilizzare quali operatori giudiziari B1, da ripartire tra gli uffici giudicanti di competenza, ai sensi dell'articolo 1, comma 187, della legge 266 del 2005 come modificato dall'articolo 1, comma 538, della legge n. 296 del 2006.
Infine, sembra opportuno ricordare che per fronteggiare le difficoltà temporanee degli Uffici o di determinati settori assumono rilievo le iniziative di natura temporanea adottabili in ambito locale. Si fa riferimento, nello specifico, all'istituto dell'applicazione di dipendenti da altri uffici giudiziari, ora regolato dall'articolo 14 del citato accordo del 27 marzo 2007.
Tale istituto, infatti, consentendo al Presidente della Corte di appello, nell'ambito del potere di vigilanza, di disporre applicazioni di personale sulla base della comparazione delle diverse esigenze rappresentate dagli uffici subordinati, costituisce di fatto il più rapido strumento di redistribuzione delle risorse umane esistenti.
In merito, poi, alle problematiche lamentate dall'interrogante relative all'insufficienza degli spazi che affliggono gli uffici giudiziari di Roma, esse sono innegabili e comunque altrettanto innegabile è lo sforzo dell'Amministrazione per porvi rimedio. Sono stati effettuati, negli anni, una serie di interventi, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili ed operando in un contesto urbano obiettivamente difficile, intesi a migliorare la funzionalità e la fruibilità delle strutture esistenti, ad adeguarle alle vigenti normative in materia di sicurezza e, laddove è stato possibile, ad acquisire o costruire nuovi edifici che dovevano essere individuati nelle vicinanze delle strutture già operanti.
Per quanto concerne il polo giudiziario penale - città giudiziaria di piazzale Clodio - importanti lavori di ristrutturazione e di
adeguamenti impiantistici hanno interessato i tre edifici, sede del Tribunale e della Procura della Repubblica.
Nei pressi della stessa città giudiziaria, per far fronte alle nuove esigenze della Corte di Appello, è stato costruito l'edificio di via Romei ed è stato acquistato un altro edificio in via Rossetti ove, peraltro, è allocato anche il Casellario giudiziale della Procura. Allo stato, la Corte lamenta, comunque, l'insufficienza dei locali a disposizione, rispetto alle aumentate competenze.
Per quanto riguarda, invece, il polo civile, si é proceduto ad una graduale acquisizione dal Ministero della difesa delle Caserme site in Viale Giulio Cesare, in corso di progressiva dismissione: la Caserma Nazario Sauro, che ospita il Tribunale civile e la ex Caserma Cavour, nella quale ha sede la Sezione lavoro dello stesso Tribunale. All'interno della Cavour l'Amministrazione ha costruito una nuova struttura che ospita adeguatamente l'UNEP della Corte di Appello di Roma, risparmiando, in tal modo, l'onere di una gravosa locazione per un immobile che era del tutto insufficiente.
Tuttavia, poiché la situazione di Roma rimane difficile per l'inadeguatezza degli uffici, affollati o insufficienti, l'Amministrazione ha proposto al Ministero della difesa l'acquisizione della Caserma Manara (da dismettere) limitrofa alle Caserme già sedi degli uffici giudiziari, e con spazi che consentirebbero un notevole miglioramento della situazione logistica degli uffici giudiziari della Capitale.
Le proposte, fino ad ora, non hanno avuto riscontro positivo presso la Difesa, anche se tale acquisizione sembrerebbe risolutiva sotto molti aspetti, in quanto consentirebbe di rimanere in un ambito urbano centrale, già occupato da uffici di questa Amministrazione e dal quale gli utenti possono facilmente raggiungere gli altri uffici di Piazzale Clodio, della Cassazione e della Procura Generale, site in Piazza Cavour. Gli spazi, infine, appaiono sufficienti per accogliere - previi opportuni lavori di adattamento - quegli uffici che versano in stato di criticità.
Per quanto riguarda le risorse informatiche, nell'ambito del «Progetto Roma» sono state intraprese iniziative dirette a rendere più efficienti i sistemi informatici degli uffici giudiziari della Capitale, sia da punto di vista delle dotazioni hardware che sotto quello dell'ammodernamento dei sistemi software con la migrazione ai programmi nazionali.
Tutte le attività del settore civile per il cosiddetto «Progetto Roma» sono state coordinate dal magistrato di riferimento dell'area civile e sino ad oggi sono stati stipulati contratti per l'aggiornamento dei sistemi civili alle ultime versioni per l'avvio del processo civile, per l'estensione del sistema Polis web di consultazione da remoto dei registri e dei fascicoli della sezione lavoro. Sono in fase avanzata le procedure per la stipula dei contratti per la migrazione dei sistemi dell'esecuzione civile e del Giudice di pace ai sistemi nazionali.
Nell'ambito di questi contratti è prevista una rilevante parte di assistenza tecnica per gli uffici al fine di limitare i disagi ed i problemi connessi all'introduzione dei nuovi applicativi.
Per quanto riguarda l'acquisto di hardware nel mese di giugno sono stati acquistati in convenzione Consip 250 personal computer e stampanti per il Tribunale e 50 personal computer e stampanti per la Corte d'Appello.
La fornitura dei nuovi personal computer dovrebbe consentire il pieno avvio dei progetti in corso, in particolare del processo civile telematico, ed è indispensabile per sostituire le postazioni di lavoro informatiche obsolete.
Sono stati, inoltre, acquistati per il Tribunale e la Corte d'Appello i lettori ottici di codice a barre per l'iscrizione automatizzata dei procedimenti civili attraverso codice a barre bidimensionale.
A breve, inoltre, scadrà il termine per la presentazione delle offerte per i nuovi scanner per l'ufficio esecuzioni immobiliari che sostituiranno quelli in uso, lenti e non più idonei.
Acquisti di hardware sono stati effettuati per la Procura Generale, la Procura della Repubblica ed il Tribunale di sorveglianza
per consentire l'uso dei nuovi sistemi dell'area penale, in particolare il sistema integrato dell'esecuzione penale e la migrazione al sistema Rege Web.
Sono, ancora, in programma acquisti di postazioni di lavoro dedicate per la sezione esecuzioni immobiliari del Tribunale di Roma.
Sul punto, si segnala che alcuni server assegnati al Tribunale di Roma non sono stati installati a causa del ritardo nell'adeguamento della rete elettrica richiesta all'ufficio destinatario dei beni.
La migrazione al nuovo sistema pubblico di connettività per tutti gli uffici giudiziari romani consentirà, inoltre, di trasferire i server e gli apparati di archiviazione dati storage presso il nuovo Ced della Balduina, ottimizzando la gestione e la conduzione delle risorse informatiche e consentendo agli uffici di recuperare i locali attualmente adibiti a sale server, molte delle quali sono carenti sotto i profili delle attrezzature.
Infine, si rammenta l'intervento autorizzato per la sostituzione del software di gestione dei servizi degli ufficiali giudiziari, che ha evitato il blocco dei servizi di accettazione e rilascio atti dell'ufficio notifiche presso la Corte d'Appello di Roma.
L'impegno economico complessivamente sostenuto dall'Amministrazione - anche per impegni di spesa assunti dagli uffici - è stato rilevantissimo; prima della progressiva riduzione delle unità dedicate al data entry superava, infatti, solo per attività di assistenza ed attività esternalizzate la somma di 500.000 euro mensili.
Premesso quanto sopra in merito all'attuale situazione del tribunale di Roma, si deve evidenziare che nella seduta del 23 maggio 2007, è stato approvato dal Consiglio dei ministri ed è stato presentato il 5 luglio 2007 alla Camera dei Deputati, ove ora si trova in Commissione Giustizia, il progetto di legge n. 2873 recante l'Istituzione dell'Ufficio per il processo, riorganizzazione funzionale dei dipendenti dell'Amministrazione giudiziaria e delega al Governo in materia di notificazione ed esecuzione di atti giudiziari, nonché registrazione di provvedimenti giudiziari in materia civile.
Con l'intervento normativo in questione si intende rispondere alle esigenze di efficienza dell'azione giudiziaria attraverso la completa riorganizzazione del personale delle segreterie e delle cancellerie giudiziarie.
Il progetto di legge prevede l'istituzione negli uffici giudiziari, di ogni ordine e grado, del modello organizzativo dell'ufficio per il processo, con compiti di gestione dei procedimenti assegnati ai magistrati e finalità di incremento dell'efficienza dell'attività giudiziaria. L'ufficio per il processo dovrà garantire lo svolgimento di tutte le attività correlate all'esercizio della giurisdizione; in particolare, il personale amministrativo degli uffici giudiziari eseguirà i compiti e le funzioni necessari per assicurare assistenza all'attività dei magistrati, anche attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie. In tal modo sarà assicurata dagli addetti dell'ufficio per il processo la ricerca dottrinale e giurisprudenziale, la cura dei rapporti con le parti ed il pubblico, l'organizzazione dei flussi dei procedimenti sopravvenuti, la formazione e tenuta dell'archivio informatizzato dei provvedimenti emessi. Con l'istituzione di questa diversa modalità organizzativa del lavoro negli uffici giudiziari, il magistrato potrà essere sollevato dallo svolgimento di attività routinarie, accelerando, con l'ausilio del personale dell'amministrazione, i tempi per la conclusione dei procedimenti, potendo indirizzare quelli seriali verso una definizione semplificata e dedicando maggiori energie agli altri.
Inoltre, è stata prevista la possibilità, previa stipulazione di apposite convenzioni tra gli Uffici giudiziari e i Consigli dell'Ordine degli Avvocati o le Università, per i praticanti avvocati, i tirocinanti delle Scuole di specializzazione nelle professioni legali e i dottori di ricerca, di svolgere attività di collaborazione con i magistrati consentendo loro l'accesso agli atti processuali e la partecipazione alle udienze con obbligo di segreto. I tirocinanti, i praticanti avvocati ed i dottori di ricerca verranno affiancati ad un magistrato «affidatario»
che abbia dato la propria disponibilità in tal senso. Con l'apertura degli uffici giudiziari ai giovani in formazione per lo svolgimento di professioni connesse con l'amministrazione della giustizia, sarà possibile creare osmosi di informazione e scambio di esperienze tra gli operatori del diritto, nonché assicurare ulteriore qualificato ausilio ai giudici, per attività di ricerca giurisprudenziale e dottrinale nonché per la preparazione e lo svolgimento dell'udienza.
Infine, dopo anni di quasi completo blocco delle assunzioni, lo schema di disegno di legge dispone che il Ministero della giustizia sia autorizzato, in conformità a quanto previsto dalla programmazione del fabbisogno relativa al triennio 2007-2009, all'assunzione nel triennio, mediante procedure concorsuali pubbliche, di un contingente massimo di 2.800 unità di personale, dell'area C, posizione economica C1, da inquadrare nei ruoli del personale dell'amministrazione giudiziaria, in considerazione della particolare qualificazione del personale che sarà chiamato a svolgere compiti di ausilio dell'attività dei magistrati. In parallelo alle nuove assunzioni è previsto l'avvio delle procedure di «stabilizzazione» del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato di cui all'articolo 1, commi 521 e 523, della legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Alla luce di quanto esposto, ritengo di poter affermare che il Ministero della giustizia si è tempestivamente ed efficacemente attivato, nei limiti segnati dalle risorse materiali disponibili, per assicurare al distretto di Roma una soddisfacente dotazione di mezzi e di personale.
L'auspicabile sollecita approvazione del disegno di legge sull'Ufficio per il processo, per la quale il Ministro sta impegnando con decisione la propria azione politica, darà infine una risposta concreta all'esigenza di supporto professionale qualificato che viene da chi esercita la giurisdizione.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
BRIGUGLIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere:
quali iniziative il Governo italiano intenda adottare per la difesa dei diritti umani in Birmania, a fronte delle manifestazioni dei monaci buddisti contro la dittatura militare che ha proclamato il coprifuoco per reprimere le manifestazioni pacifiche;
quali iniziative il Governo intenda assumere per rendere operative le sanzioni economiche decise dall'Unione europea e dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
(4-04952)
Risposta. - L'Italia è attivamente impegnata in tutti gli ambiti opportuni, dalle Nazioni unite all'Unione europea, per promuovere le iniziative necessarie a sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e ad indurre il regime di Yangon ad avviare finalmente un dialogo con l'opposizione democratica.
Innanzi tutto va ricordato che l'Italia ha contribuito al negoziato che ha portato alla decisione dell'Unione europea di presentare all'Assemblea generale delle Nazioni unite, come l'anno scorso, una risoluzione di condanna delle violazioni dei diritti umani in Myanmar. L'Unione europea e con essa l'Italia, si impegnerà attivamente affinché il testo sia approvato dall'organo onusiano, nella prospettiva di accrescere la pressione internazionale su Yangon.
Il nostro Paese, quale membro del Consiglio dei diritti Umani delle Nazioni unite, ha richiesto insieme ad altri 16 Paesi membri (tra cui 7 Paesi dell'Unione europea una sessione straordinaria dell'organo sulla situazione in Myanmar.
La sessione straordinaria, convocata per la mattina del 2 ottobre, si è conclusa con l'adozione per consenso di un testo di risoluzione proposto dall'Unione europea e successivamente emendato, che deplora con forza la violenta repressione delle dimostrazioni popolari e richiama il Governo del Myanmar a liberare tutti i prigionieri politici, ad impegnarsi immediatamente in un dialogo politico con tutte le parti coinvolte e a consentire l'effettivo accesso nel Paese
alle organizzazioni umanitarie. La risoluzione richiede inoltre a Yangon di collaborare con il Relatore speciale del Consiglio dei diritti umani sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, permettendogli di verificare l'effettiva attuazione della risoluzione, così da informare il Consiglio degli sviluppi.
Sempre in ambito ONU, il 5 ottobre 2007 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha ascoltato la relazione del Rappresentante speciale del Segretario generale, Ibrahim Gambari, al termine della sua visita di quattro giorni in Myanmar, dove ha incontrato il capo della Giunta militare, generale Than Shwe, per manifestargli la viva preoccupazione della comunità internazionale per la violenta repressione della protesta, ed ha visto in due occasioni la leader della Lega nazionale per la democrazia e Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi.
Nel corso del medesimo incontro, il Rappresentante permanente italiano presso le Nazioni unite è intervenuto esprimendo la preoccupazione italiana ed illustrando le iniziative intraprese dal nostro Paese sul piano bilaterale e multilaterale per far fronte alla situazione venutasi a creare in Birmania.
L'Italia, in qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, ha lavorato attivamente anche per promuovere la Dichiarazione presidenziale approvata l'11 ottobre 2007 con il consenso di tutti i membri del Consiglio di sicurezza. Il testo contiene espressioni di grave preoccupazione per le più deprecabili pratiche del regime birmano e rappresenta una forma di pressione senza precedenti sulle autorità del Myanmar.
La Dichiarazione è un ulteriore fortissimo sostegno per il mandato di buoni uffici del Segretario generale e del suo inviato speciale Ibrahim Gambari, che costituisce al momento l'unico canale di comunicazione aperto con la giunta birmana e dunque l'iniziativa principe su cui devono convergere l'azione e il pieno e forte appoggio della comunità internazionale.
Il nostro sforzo negoziale è proseguito anche in sede bilaterale. La Direzione generale Asia del Ministero degli affari esteri, già all'inizio di settembre e tra i primi Paesi dell'Unione europea, ha provveduto ad effettuare un passo a livello di funzionari con l'Ambasciata di Myanmar a Roma, in cui è fatto stato, anche sulla base di quanto comunicato dai Capi missione dell'Unione europea residenti in Yangon, del rammarico e della preoccupazione per il sostanziale fallimento della Convenzione nazionale in Myanmar, nata, invece, con l'obiettivo di dare avvio ad un reale processo di riconciliazione nazionale e di apertura democratica nel Paese. Al tempo stesso si è fatto stato del sentimento di condanna per le repressioni allora attuate dalla Giunta militare al potere, deplorando gli arresti di cittadini birmani, avvenuti nel corso delledimostrazioni pacifiche cominciate dopo il 15 agosto 2007 a in tutto il Paese, nonché la perdurante detenzione di Aung San Sum Kyi così come di altri dirigenti dell'opposizione e prigionieri politici.
Il 25 settembre 2007 ho personalmente convocato alla Farnesina l'incaricato d'affari dell'Ambasciata di Myanmar a Roma - titolare della Rappresentanza diplomatica in assenza dell'Ambasciatore. A nome del Governo, gli ho chiesto di trasmettere alla Giunta militare la richiesta del Governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National League for Democracy e con tutta l'opposizione birmana e di non far ricorso ad alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e non violente.
Non ho mancato di stigmatizzare gli episodi di repressione che hanno portato all'arresto di decine di manifestanti ed alle condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regine, reiterando la richiesta di libertà immediata di Aung San Sum kyi, insieme a quella del rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario.
Ho fatto presente all'incaricato d'affari birmano che il Senato della Repubblica, il 13 settembre 2007, ha approvato una mozione che impegna il Governo italiano ad adoperarsi a questo fine, nonché ad operare per il raggiungimento degli obiettivi indicati dalla posizione comune dell'Unione europea
e per richiamare le autorità governative birmane al rispetto dei diritti umani.In occasione di una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza tenutasi a New York (26 settembre 2007), attraverso contatti con le varie delegazioni e con il Governo birmano in esilio, ho riconfermato la volontà di realizzare nuove iniziative di cooperazione in favore dei campi dei profughi nei Paesi limitrofi.
Come noto, la crisi in Myanmar è stata argomento di discussioni nell'ambito dell'Unione europea e oggetto di una dichiarazione della Presidenza a nome dell'Unione europea, emessa il 25 settembre 2007, nella quale si esprime forte preoccupazione per la situazione e si invitano le autorità a non usare la forza contro i manifestanti, minacciando un ulteriore rafforzamento dell'attuale regime sanzionatorio in caso di violenze da parte delle forze dell'ordine.
Anche l'Alto rappresentante Solana ha emesso una dichiarazione in cui si chiede alle autorità di esercitare la massima moderazione nella gestione delle manifestazioni di piazza.
Da parte italiana si è da subito provveduto a stimolare il dibattito europeo in corso nei diversi formati, esprimendo al contempo la più ferma condanna dell'uso della forza.
La situazione nel Paese è stata discussa il 25 settembre dai Ministri degli esteri dell'Unione europea riuniti a New York, e dal Comitato politico e di sicurezza (COPS) a Bruxelles. In tali occasioni è stata, sottolineata la necessità di mantenere una posizione unitaria da parte dell'Unione europea.
Anche a seguito dei contatti avuti da parte italiana con la Presidenza portoghese, il tema è stato affrontato su due piani: quello politico-diplomatico e quello «sanzionatorio». Per quanto riguarda le attività politico-diplomatiche, il COPS ha approvato un documento operativo preparato congiuntamente dal Segretariato del Consiglio e dalla Commissione, all'interno del quale vengono definite una serie di iniziative: una pressione diplomatica diretta nei confronti delle autorità birmane, una serie di demarches effettuate nelle capitali dei paesi confinanti con la Birmania e nei paesi maggiormente fluenti (Cina, India, Tailandia, Russia eccetera) ed uno sforzo comune dei paesi dell'Unione europea in ambito ONU.
Parallelamente è stato avviato il processo che ha portato in occasione del Consiglio affari generali e relazioni esterne (CAGRE) del 15 ottobre 2007 all'adozione di un rafforzato e più esteso regime sanzionatorio che, mantenendo l'obiettivo di non aggravare eccessivamente le condizioni di vita della popolazione birmana, prevede:
un rafforzamento di alcune delle misure già in vigore (ulteriore estensione della lista dei già quasi 400 esponenti del regime per cui vale il divieto di visto, ampliamento delle entità per cui è previsto il congelamento di fondi);
una conferma delle restanti misure, quali l'embargo sulle armi, la sospensione di una parte dei programmi di sviluppo, nonché la sospensione delle visite bilaterali di alto livello;
l'introduzione di misure addizionali, quali il blocco delle importazioni provenienti dalla Birmania di legname, di prodotti minerari, di metalli e di pietre preziose. Allo stesso tempo sono state proibite le attività di investimento nonché il trasferimento di tecnologie e risorse che si riferiscono a tali settori merceologici.
I Ministri degli esteri UT hanno stabilito di rivedere, modificare o inasprire le misure decise alla luce degli sviluppi del quadro birmano e dell'esito del mandato di buoni uffici dell'Inviato Speciale Gambari.
Il Consiglio ha infine dato istruzioni ai competenti organi comunitari di elaborare eventuali ulteriori misure re attive, tra le quali un bando su nuovi investimenti. L'Italia è stata tra i Paesi dell'Unione europea che hanno più fermamente sostenuto la necessità di dare una pronta e decisa risposta alla situazione nel Paese anche attraverso l'adozione di misure efficaci volte a colpire gli interessi della Giunta.
Desidero inoltre ricordare che l'Alto rappresentante Solana ha annunciato la nomina
di Piero Fassino a inviato speciale dell'Unione europea per il Myanmar, che coordinerà gli sforzi dell'Unione europea lavorando in stretto raccordo con l'inviato ONU Gambari.
Per quanto concerne infine l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), l'Italia partecipa da protagonista come membro permanente del Consiglio di amministrazione, e già dal 2000 è particolarmente impegnata a sostenere le risoluzioni dell'OIL su Myanmar.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.
BUONTEMPO. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la strada statale n. 153 della Valle del Tirino durante il periodo estivo è stata gravemente danneggiata dai devastanti incendi che hanno colpito la Regione Abruzzo;
la stessa statale è stata necessariamente chiusa per inagibilità a causa degli ingenti danni subiti;
tale chiusura determina ogni giorno pesanti conseguenze per il collegamento tra le città dell'Aquila e Pescara costringendo a percorsi insidiosi e estenuanti file migliaia di automobilisti-:
quali iniziative il Governo intenda assumere per definire e quantificare i danni nonché provvedere nei tempi più brevi possibili il ripristino della viabilità sulla direttrice della strada statale n. 153 della Valle del Tirino.
(4-05449)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, si forniscono i seguenti elementi di risposta. La strada Statale 153, dal Km 21+000 al Km 22+500, è stata interessata nei giorni 24 e 25 luglio 2007 da un vasto incendio che ha gravemente danneggiato la stabilità del versante a monte con presenza di numerosi e grandi massi che sono in precario stato di equilibrio con grave pericolo per la circolazione stradale.
L'ANAS si è immediatamente attivata raggiungendo un accordo con la Regione Abruzzo per un cofinanziamento per interventi urgenti e, attualmente, è in corso di formalizzazione un protocollo di intesa propedeutico alle procedure di appalto.
Il costo complessivo dell'interventi ammonta a euro 1.800.000,00 di cui euro 500.000,00 a carico della Regione.
Dopo che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2007 è stato dichiarato lo stato di emergenza, il Dipartimento della protezione civile sta procedendo a definire le intese con le Regioni al fine di definire l'ordinanza necessaria per l'attuazione degli interventi.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
CACCIARI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nell'anno 2001 la società West Energy illustra al Comune di Loreo la volontà di realizzare un impianto termoelettrico a ciclo combinato alimentato a gas naturale per la produzione di energia elettrica e con potenzialità pari a 800MWh da ubicarsi nel sito dell'ex acciaieria san Marco;
a seguito di un lungo e travagliato iter amministrativo, avviato nel giugno 2002 a seguito della pubblicazione a mezzo stampa da parte della West Energy dell'avviso di «richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio», durato oltre quattro anni a causa delle ripetute richieste da parte del Ministero e della Commissione Regionale VIA di integrazioni e modifiche progettuali, il 14 giugno 2006 la Commissione Regionale VIA si esprime con parere favorevole con condizione;
il 20 giugno 2006 la Giunta Regionale del Veneto con delibera n.1904 fa proprio il parere della Commissione Regionale VIA del 14 giugno 2006;
tale delibera viene assunta malgrado i pareri contrari espressi dal Comune di Loreo in primis, dalla Provincia di Rovigo, dei comuni confinanti di Adria, Cavarzere, Rosolina, nonché i pareri contrari espressi da numerosi comitati cittadini sorti in seguito alla formulazione dell'ipotesi di installare la centrale Turbogas di Loreo;
la centrale turbogas di Loreo andrebbe ad incrementare la concentrazione di centrali in un area territoriale di estensione limitata dato che a circa 20 km verso sud-est esiste la centrale di Porto Tolle (2600 MW) alimentata ad olio combustibile, a circa 5 km verso sud-ovest è operativa la centrale di Porto Viro (150 MW) e che nel raggio di pochi chilometri sono state avanzate le richieste per realizzare altre tre centrali (Cona, Ferrara, Adria);
la centrale di Loreo peggiorerebbe la già grave situazione locale dal punto di vista delle emissioni nocive nell'atmosfera, tra le quali NOx, CO, CO2, O2, PM10, PM5, PM2,5 -:
se il Governo abbia acquisito elementi di valutazione tali da indurre a ritenere incompatibile con le condizioni strutturali, ambientali e logistiche dell'area in oggetto la realizzazione della centrale turbogas proposta da West Energy nel Comune di Loreo.
(4-01442)
Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame e, sulla base di quanto comunicato anche dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
La Società West Energy ha presentato istanza ai sensi del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito nella legge 9 aprile 2002, n. 55, al fine di ottenere l'autorizzazione unica alla realizzazione ed all'esercizio di un impianto a ciclo combinato da ubicarsi nel comune di Loreo. Detta autorizzazione è rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate, che si svolge tramite la Conferenza di servizi prevista dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni ed integrazioni.
In data 13 marzo 2003 si è svolta la prima riunione della Conferenza di servizi che ha lo scopo di esprimere valutazioni di carattere generale sul progetto, di verificare la necessità di acquisire ulteriore documentazione, nonché di coinvolgere eventuali altre, Amministrazioni o enti locali la cui partecipazione sia ritenuta indispensabile per il prosieguo del procedimento.
A seguito di tale riunione il procedimento è stato sospeso in attesa dell'esito della Valutazione di impatto ambientale (VIA), svolta presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in quanto la citata legge n. 55 del 2002 stabilisce che l'esito positivo della VIA costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento autorizzatorio.
Pertanto, si evidenzia che solo successivamente alla definizione della procedura di Valutazione di impatto ambientale sarà possibile proseguire nell'esame dell'iniziativa, avendo particolare riguardo a quanto disposto con la pronuncia di compatibilità ambientale.
Più nello specifico, secondo quanto riferito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'impianto proposto dalla società West Energy nell'istanza presentata il 29 giugno 2002, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 349 del 1986 e della legge n. 55 del 2002, è una centrale termoelettrica a ciclo combinato alimentato a gas naturale della potenza di circa 800 MW. Nel progetto è, inoltre, prevista la realizzazione di un gasdotto interrato lungo circa 0,75 km e di un collegamento elettrico della centrale alla rete di trasmissione nazionale con una lunghezza di circa 6.950 km. Con riguardo all'impatto ambientale cumulativo con gli altri progetti presentati nello stesso territorio, la stessa società ha presentato un documento contenente una comparazione tra la centrale in oggetto e gli altri impianti citati, attualmente all'esame della Commissione VIA.
Al fine di consentire la consultazione da parte del pubblico del suddetto progetto e
l'invio di osservazioni, la Società West Energy ha provveduto, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 349 del 1986, a dare informazione al pubblico sui quotidiani Il Giornale e Il Gazzettino, con distinti avvisi, sia dell'avvenuto deposito della documentazione presso i preposti uffici della Regione Veneto, sia delle successive integrazioni della documentazionee medesima.
Secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 59 del 2005, in applicazione della Direttiva 96/61/CE (cosiddetta direttiva IPPC) relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, il progetto in, questione, prevede il rilascio di una autorizzazione unica da parte del Ministero dello sviluppo, economico.
Trattandosi di procedimento in corso all'entrata in vigore del citato decreto-legislativo n. 59 del 2005, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, dello stesso, dovrà essere acquisita la determinazione del Mistero dell'ambiente in merito all'AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), da adottare in conformità ai principi fissati nel decreto stesso. Infatti, le centrali termoelettriche con potenza termica di combustione di oltre 50 MW rientrano nel campo di applicazione del suddetto decreto legislativo 59 del 2005 (in quanto comprese nella categoria di attività di cui al punto 1.1 dell'allegato I al decreto stesso) e, in particolare, la messa in esercizio di centrali con potenza termica di almeno 300 MW è subordinata sia ad autorizzazione integrata ambientale di competenza statale, da rilasciarsi con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a seguito di istruttoria tecnica condotta dalla Commissione istruttoria IPPC, costituita con decreto DEC/DSA/2006/1363 del 18 dicembre 2006, sia all'esito della predetta Conferenza di servizi.
Infine, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 59 del 2005, le condizioni dell'AIA sono stabilite sulla base delle prestazioni delle migliori tecnologie disponibili (MTD), individuate dal gestore in relazione alla specificità dell'impianto, nel rispetto di linee guida da emanarsi con decreto dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico e della salute, sentita la Conferenza unificata.
Per migliori tecnologie disponibili, s'intendono quelle che, da un punto di vista impiantistico, gestionale, territoriale ed ambientale, permettono di ottenere un elevato livello di protezione dell'ambiente nel suo complesso, tra quante economicamente applicabili nelle specifiche condizioni del settore produttivo. Attualmente l'iter per emanazione delle linee guida per l'individuazione e l'utilizzazione delle MTD per gli impianti di combustione è in corso di perfezionamento; a livello comunitario, il documento di riferimento è costituito dal Reference Document on the application of Best Available Techniques (BREF) to Large Combustion Plans, adottato nel mese di luglio 2006.
Si evidenzia, da ultimo, che, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 59 del 2005, qualora, a seguito di una valutazione dell'autorità competente che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulti necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, la stessa autorità può prescrivere misure supplementari particolari e più rigorose.
Per completezza di informazione in merito alla procedura di VIA degli impianti citati nel testo dell'interrogazione, si comunica quanto segue:
per il progetto di riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle, la procedura di VIA risulta attualmente in corso;
il procedimento relativo alla centrale di Cona, risulta, invece, in via di definizione, avendo acquisito i pareri necessari;
per quanto riguarda la centrale di Ferrara si precisa che questa è già stata oggetto di pronuncia positiva di compatibilità ambientale, emanata con decreto n. 7581 del 03 settembre 2007. In relazione a tale centrale è allo stato in corso di definizione una verifica di assoggettabilità a VIA (cosiddetta procedura di screening) relativa
ad una richiesta presentata dalla Società SEF di utilizzare come combustibile oltre al gas naturale anche gli off-gas di raffineria.
Il Ministro dello sviluppo economico: Pier Luigi Bersani.
CAPARINI. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la pratica n. 577 del comune di Ceto inerente la volontaria accettazione della liquidazione dell'indennità di asservimento dei signori Beltrami Giacinto e Bonomi Antonella per la cifra di seimilaseicentotrentatré,33 euro pattuita nel corso dei lavori di ammodernamento della strada statale 42 del Tonale e della Mendola è da anni inevasa;
il soggetto responsabile è la Grandi Lavori Fincosit Spa e/o STD espropriazioni, via Nicola stame 7/9, Foggia, che più volte sollecitato non ha espletato gli obblighi assunti;
il soggetto competente alla realizzazione dell'intervento è l'ANAS -:
se il ministro intenda risolvere l'annosa questione.
(4-04254)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Con riferimento al pagamento dell'indennità di espropriazione dovuta ai signori Feltrami Giacinto e Bonomi Antonietta in dipendenza dei lavori di ammodernamento della strada statale n. 42 «del Tonale e della Mandola», l'ANAS S.p.A. riferisce che, a seguito del provvedimento autorizzativo al pagamento emesso dal Compartimento ANAS competente, sono attualmente in corso di emissione gli assegni circolari in favore dei beneficiari.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
CICCHITTO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
secondo notizie di fonte israeliana, confermate anche da numerosi ed autorevoli giornalisti che lavorano in Libano, sarebbe da tempo ripreso il riarmo degli hezbollah attraverso il confine siriano -:
se risulti al governo se tali notizie siano confermate, ed in caso affermativo, quali iniziative abbia intrapreso il governo, anche nell'ambito UNIFIL, al fine di far rispettare in pieno la risoluzione dell'ONU 1701;
quale indirizzo nel merito il governo abbia dato alla nostra missione militare.
(4-01362)
Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel atto parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il rapporto redatto dalla missione indipendente LIBAT (Lebanon Independent Border Assessment Team) delle Nazioni unite presentato al Segretario generale il 26 giugno 2007 fa stato di un livello di controllo dei confini tra il Libano e la Siria - al di fuori della zona in cui è dispiegata United Nations Intermis Force in Lebenon (UNIFIL) - insufficiente a consentire una efficace prevenzione del contrabbando di armi. Non si hanno conferme dirette che ciò si traduca in un riarmo dei militanti del movimento Hezbollah attraverso il confine siriano, ma la questione sarà oggetto di approfondimento nel contesto del prossimo rapporto sull'attuazione della risoluzione n. 1701.
Per quanto riguarda, invece, l'area compresa nel mandato UNIFIL (a sud del fiume Litani) non risultano esservi traffici di armi come è stato confermato dagli ultimi rapporti dell'ONU sullo stato di attuazione della risoluzione n. 1701.
Il Governo italiano sostiene comunque con forza, in tutte le sedi, la necessità di
applicare integralmente la risoluzione n. 1701, che prevede in particolare:
a) la verifica monitoring della cessazione delle ostilità;
b) l'accompagnamento del dispiegamento dell'esercito libanese nel sud del Paese e lungo «la linea blu», contestuale al ritiro israeliano;
c) il coordinamento delle attività sub b) con i Governi libanese ed israeliana;
d) il sostegno alle attività umanitarie ed al rientro degli sfollati;
e) l'assistenza alle forze armate libanesi nel prendere misure per lo stabilimento della buffer zone libera da combattenti e armamenti salvo quelli del Governo libanese e UNIFIL, tra il fiume Litani e la «linea blu»;
f) l'assistenza al Governo libanese - su sua richiesta - per controllare i confini al fine di prevenire l'ingresso di armi.
Il Viceministro degli affari esteri: Ugo Intini.
CIRIELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. - Per sapere - premesso che:
il Numero Unico per le Emergenze europeo è stato istituito nel 1991 attraverso la disposizione della Comunità Europea 91/396/CEE;
il NUE è un servizio che si pone come obiettivo la realizzazione di un sistema integrato e coordinato di gestione delle risposte alle chiamate di emergenza e dei relativi interventi, fondato sulla sola numerazione 112, valido su tutto il territorio dell'Unione europea;
il servizio doveva essere sperimentato nell'anno 2006 ed avrebbe dovuto trovare concreta attuazione a partire dall'anno 2007;
il 4 agosto 2003, attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, fu disposta la creazione del gruppo di lavoro interministeriale per l'istituzione del numero unico europeo di emergenza presso il Dipartimento per l'Innovazione e le Tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri; tale gruppo avrebbe avuto lo scopo di definire ed approvare lo studio di fattibilità del progetto ed il manuale operativo di gestione dei centri di risposta pubblici alle chiamate di emergenza;
con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 giugno 2005, fu disposta la creazione di un'«Unità tecnico-operativa per l'istituzione del numero unico»;
secondo quanto si evince dall'articolo pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 ore, «... i due gruppi di lavoro interministeriali - spiega Settimio Vinti ex coordinatore del gruppo di lavoro interministeriale per il progetto e la realizzazione in Italia del "112" europeo - hanno redatto lo studio di fattibilità e il manuale operativo per il personale. Hanno anche definito molti dei protocolli tecnici con gli operatori di telefonia fissa e mobile e quelli di ingaggio dell'emergenza seguiti dalle forze competenti ...»;
il servizio, in fase di sperimentazione, era stato previsto, in un primo momento, per le province di Salerno, Palermo e Catanzaro ma è stato inopinatamente sospeso nonostante la stessa sperimentazione fosse già in fase avanzata;
secondo quanto affermato da Settimio Vinti nell'articolo citato, sembra che a maggio-giugno del 2006 fosse tutto pronto «... per partire con la prima sperimentazione ma con il cambio di Governo le strutture del progetto sono decadute e non sono più state costituite ...» causando così un forte ritardo per il completamento definitivo del progetto;
il progetto era già stato finanziato dal CIPE nel 2003 con 9,7 milioni di euro che non sono mai stati utilizzati anche a causa della cancellazione della sperimentazione della città di Salerno che prevedeva l'istituzione
di una centrale unica di primo livello che sovrintendeva alle attuali in servizio;
da quanto affermato dal nuovo Capo del Dipartimento Innovazione Tecnologica della Presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, il progetto sul numero unico di emergenza, sembrerebbe sia stato profondamente modificato rispetto alla originaria impostazione;
il progetto sviluppato dal gruppo di lavoro interministeriale costituitosi nel 2003 prevedeva la riorganizzazione di tutto il sistema per la gestione delle emergenze creando un'unica centrale operativa interforze su base provinciale la quale, una volta ricevuta la chiamata avrebbe deciso le risorse da impiegare e poi gestito l'emergenza; il progetto nuovo prevede, invece, soltanto la riqualificazione delle centrali già esistenti;
secondo quanto si evince dal predetto articolo di stampa, a causa del forte ritardo accumulato dall'Italia rispetto agli altri Paesi europei per attuare il progetto del NUE, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione con atto di costituzione in mora per la non disponibilità delle informazioni di localizzazione del chiamante alle autorità di emergenza;
ancora oggi le autorità incaricate dei servizi di soccorso non sono in grado di reperire le informazioni relative all'ubicazione di chi chiama i numeri di emergenza attualmente attivi e ciò pone in serio rischio la vita di quanti, per cause di semicoscienza, non riescono tempestivamente a comunicare la loro posizione sul territorio nel momento del bisogno; tutto ciò nonostante il Parlamento europeo, attraverso la direttiva «servizio universale», precisamente la 2002/22/CE, all'articolo 26, paragrafo 3, abbia disposto di provvedere «... affinché per ogni chiamata al numero unico di emergenza europeo, le imprese esercenti reti telefoniche mettano a disposizione delle autorità incaricate dei servizi di soccorso le informazioni relative alla ubicazione del chiamante ...» -:
quali siano le motivazioni che hanno determinato la decisione da parte del Governo di bloccare la sperimentazione nelle province di Salerno, Palermo e Catanzaro;
se ritenga opportuna e funzionale la scelta di modificare il progetto in itinere e di adottare una soluzione alternativa per quanto concerne la creazione del NUE, scelta che ha già causato notevole ritardo per il definitivo completamento dello stesso progetto, ampiamente finanziato dal CIPE, e che ha vanificato l'enorme lavoro sviluppato dal gruppo di lavoro interministeriale creato con decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 2003;
quali iniziative di propria competenza intenda adottare per dare avvio nuovamente alla sperimentazione del NUE nelle predette province;
se ritenga opportuno attivare ogni iniziativa di propria competenza volta a soddisfare, in primo luogo, la direttiva della Comunità europea 2002/22/CE citata in premessa per far sì che le autorità incaricate dei servizi di soccorso possano reperire in tempo reale i dati di coloro che chiamano e che, per motivi vari, risultano impossibilitati a comunicare la loro posizione nel momento del bisogno.
(4-05606)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, concernente il «progetto sul numero unico europeo di emergenza (progetto NUE)», si rappresenta quanto segue.
Come noto, il progetto in esame si propone di realizzare in via sperimentale un servizio pilota per la raccolta e la gestione centralizzata delle chiamate di emergenza allo scopo di consentire al cittadino, in qualunque Stato europeo egli si trovi, di attivare i competenti servizi di soccorso nazionali chiamando un numero unico, il «112».
Atteso che le infrastrutture di telecomunicazione costituiscono una irrinunciabile opportunità tecnologica per gestire in modo efficace ed immediato le situazioni emergenziali,
le istituzioni europee hanno, dunque, voluto promuovere l'introduzione del numero unico «112» nelle reti telefoniche pubbliche degli Stati membri, pur nella dichiarata consapevolezza delle difficoltà che le amministrazioni nazionali avrebbero incontrato nel coordinare ed implementare le specifiche misure organizzative esistenti in ciascun Paese.
Se, da un lato, infatti, al cittadino europeo è riconosciuta la possibilità di utilizzare una sola numerazione per segnalare qualsiasi tipo di emergenza, dall'altro, all'amministrazione è imposto l'onere di raccogliere le segnalazioni, di analizzarle e di indirizzarle ai diversi Enti che dovranno gestirle a livello operativo (Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, eccetera).
In attuazione delle prescrizioni comunitarie, nel corso della precedente legislatura, è stata avviata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2003, la fase propedeutica all'attivazione, sul territorio nazionale, di questo innovativo servizio.
In particolare, è stato costituito, presso il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri, un gruppo di lavoro composto da rappresentanti delle diverse amministrazioni interessate. A tale gruppo di lavoro è stato assegnato il compito di realizzare uno studio per l'analisi delle problematiche connesse all'avvio della sperimentazione e di definire, quindi, un piano di attuazione e di coordinamento delle conseguenti iniziative.
A seguito dell'approvazione dello studio di fattibilità del progetto, avvenuta nel marzo 2005, è stata, poi, costituita una struttura di missione denominata «Unità tecnico-operativa per l'istituzione del numero unico europeo di emergenza» con il compito di scopo di definire, organizzare e coordinare le attività necessarie all'attuazione del progetto, fornendo, altresì, ai soggetti attuatori, gli opportuni indirizzi amministrativi, organizzativi e tecnici.
Inoltre, in attuazione dell'articolo 127, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il numero unico europeo di emergenza è stato individuato, con decreto del Ministro delle comunicazioni, quale servizio abilitato a ricevere le chiamate di emergenza provenienti dalle numerazioni 112, 113, 115 e 118.
In seguito - e fino al termine della scorsa legislatura - la sperimentazione del numero unico si è, tuttavia, bloccata a causa di numerose problematiche organizzative e tecniche.
Ciò premesso, l'attuale Governo ha inteso dare rinnovato impulso all'attuazione del progetto e si è, a tal fine, impegnato ad individuare le misure più adeguate a superare le difficoltà operative che, negli ultimi mesi, avevano rallentato la fase sperimentale.
Le maggiori difficoltà operative derivano, in particolare, dalla circostanza che l'avvio del progetto richiede il coinvolgimento di una pluralità di istituzioni pubbliche, centrali e locali, ai fini della necessaria integrazione delle tecnologie informatiche di hardware e software, telefoniche e radiofoniche, attualmente utilizzate dai singoli centri operativi di carabinieri, polizia e vigili del fuoco.
In tal senso, il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione ha avviato utili contatti con il Ministero dell'interno e con il Ministero delle comunicazioni, amministrazioni coinvolte nella realizzazione del progetto.
In particolare, allo scopo di ridurre significativamente tempi e costi del progetto, il nuovo piano NUE 112, notificato alla Commissione europea alla fine dell'anno 2006, prevede l'utilizzo delle sale operative già esistenti di polizia di stato, carabinieri e vigili dei fuoco che già costituiscono il primo terminale per le segnalazioni di emergenza.
Si è ritenuto, quindi, di non procedere alla fase sperimentale ed all'attuazione di un call center di Io livello, ma di prevedere un unico numero di emergenza gestito dalle centrali operative.
In definitiva, dal nuovo impianto del progetto conseguono significativi vantaggi: in primo luogo l'utilizzazione di operatori già da tempo qualificati nella gestione delle emergenze consente di conseguire economie
nei costi di avviamento e di formazione del personale. In secondo luogo tale scelta operativa consente una riduzione sia dei tempi di realizzazione del progetto (in quanto l'avvalersi di personale e di strutture già esistenti e qualificate rende possibile evitare una ulteriore fase di sperimentazione), sia dei tempi di intervento per la gestione coordinata delle emergenze, tutto ciò a vantaggio della collettività.
Infine, per quanto concerne il finanziamento già ottenuto, pari a 9.700.000,00 euro, destinato a consentire l'avvio della sperimentazione nelle province di Salerno, Palermo e Catanzaro, lo stesso risulta confermato e verrà utilizzato per provvedere all'estensione a regime del progetto in questione. In particolare, per poter convenientemente utilizzare il lavoro preparatorio già svolto, la prima provincia interessata dal progetto continuerà ad essere quella di Salerno. In seguito si prevede l'attivazione di circa 6 province al mese fino alla copertura dell'intero territorio nazionale.
Inoltre, si fa presente che il Ministero delle comunicazioni sta per concludere il necessario accordo con i gestori di telefonia fissa e mobile finalizzato ad assicurare la fornitura delle informazioni relative all'ubicazione di coloro che chiamano i numeri di emergenza.
Il Governo, quindi, consapevole della rilevante importanza della realizzazione del numero unico di emergenza e della opportunità di valorizzare l'esperienza maturata nel corso degli ultimi anni, intende recuperare i ritardi registratisi finora nell'attuazione del progetto, ponendo in essere gli interventi necessari a dare attuazione all'articolo 26 della direttiva 2002/22/CE e ad assicurare, quindi, con tempestività, la piena operatività delle strutture e dei procedimenti connessi all'attuazione del progetto.
Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione: Luigi Nicolais.
CRAPOLICCHIO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
alla Casa Reclusione «Don Soria» di Alessandria nel 2001 risultavano assegnate in pianta organica 200 unità di personale di polizia penitenziaria, mentre ad oggi, risultano invece in organico 142 unità maschili, di cui però ne sono effettivamente presenti solo 106. Per quanto riguarda le donne, invece, sono presenti 29 unità delle 31 amministrate dalla Direzione dell'istituto «Don Soria»;
le unità mancanti sono da imputarsi a provvedimenti di distacco presso altre sedi (n. 28), mentre negli altri casi si tratta di assenze giustificate di lungo periodo e i recenti provvedimenti di revoca dei distacchi da parte del Dipartimento hanno interessato soltanto 2 unità, rientrati in sede;
la situazione inerente i distacchi è particolarmente gravosa in relazione alle figure di grado più elevato, appartenenti al ruolo degli Ispettori ed a quello dei Sovrintendenti, ossia quei soggetti che per il grado rivestito ed i compiti e le responsabilità previste sono in grado di coadiuvare le figure di vertice nella organizzazione del lavoro, nella gestione degli eventi e del personale;
occorre porre rimedio a tale disfunzione, in quanto a fronte di 9 ispettori in organico, ne sono presenti soltanto 3, ed a fronte di 6 sovrintendenti in organico ne risultano presenti soltanto 2;
la carenza di personale continua a creare serie difficoltà nell'organizzazione dei turni di servizio, che continuano ad essere espletati con notevole consumo di ore di straordinario, soprattutto perché trattandosi di una Reclusione molte sono le attività trattamentali e le iniziative attive;
da uno studio promosso dagli stessi dirigenti del DAP risulta che la carenza di organico del personale del Corpo, addetto alla sicurezza ed ai servizi istituzionali essenziali, rende molto problematica la gestione delle carceri, tanto da mettere seriamente in discussione anche e soprattutto la sicurezza delle strutture e dello stesso personale;
se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti suesposti -:
quali iniziative utili, il Governo intenda assumere al fine di superare le difficoltà di personale sopra descritte, per garantire l'espletamento di tutti i servizi di istituto ed in particolare, quelli dei soggetti che ricoprono ruoli di vertice a cui fanno seguito responsabilità gravose nell'organizzazione generale della vita della Casa Circondariale «Don Soria» di Alessandria.
(4-04205)
Risposta. - Si fa presente che la problematica relativa alla carenza di personale di Polizia penitenziaria, peraltro riscontrabile soprattutto negli istituti penitenziari del Nord Italia, è seguita con grande attenzione dall'Amministrazione penitenziaria, nell'obiettivo di alleviare le condizioni di disagio attualmente esistenti.
In tale direzione si inscrive, da ultimo, l'assunzione di 450 unità di personale, appartenenti al ruolo degli agenti di Polizia Penitenziaria, delle quali ben 82 sono state assegnate al Provveditorato del Piemonte.
Segnatamente in ragione del rapporto tra numero dei detenuti e carenze di personale registrate, sono state destinate agli istituti di Alessandria complessivamente 16 unità, 7 delle quali alla Casa circondariale e 9 alla Casa di reclusione.
Inoltre, nello scorso mese di giugno, si è provveduto all'assegnazione di 2 unità, appartenenti al ruolo degli ispettori, alla Casa di Reclusione «Don Soria».
Per quanto concerne le carenze nei vari ruoli, imputabili a provvedimenti di distacco disposti a vario titolo, si rappresenta che la competente Direzione generale, nello scorso mese di luglio, ha avviato una capillare attività di monitoraggio sul personale in uscita dagli istituti - soprattutto del centro-nord Italia e, in particolare, del Piemonte - onde considerare, all'esito, le ipotesi di un'eventuale revoca di tali provvedimenti, laddove questi non risultassero più sorretti dalle ragioni di servizio o dai presupposti di legge che ne avevano legittimato l'adozione.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
CREMA. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la galleria del Passo della Morte, variante della SS 52, territorio del Friuli Venezia Giulia, è un'opera la cui realizzazione ha avuto inizio nel lontano 1990 e si è conclusa ben 17 anni dopo e cioè nel giugno 2006;
detta variante costituisce un'importante garanzia di collegamento con la provincia di Udine per i comuni di Forni di Sotto e Forni di Sopra, nonché per la provincia di Belluno con il vicino Cadore e la località di Cortina D'Ampezzo;
alla stato dei fatti tale galleria risulta ancora chiusa al traffico automobilistico dal momento che la sua apertura è slittata per anni a causa di una serie di infiltrazioni d'acqua cui finalmente è stato posto rimedio;
per la realizzazione di quest'opera sono stati stanziati ben 60 milioni di euro -:
quali siano le ragioni che al momento impediscono l'apertura al traffico automobilistico della galleria del Passo della Morte;
se non si ritenga estremamente urgente provvedere alla sua prossima apertura.
(4-04739)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
I lavori di costruzione della variante alla strada statale n. 52 «Carnica» tra le progressive chilometriche 41+600 e 44+400 in località Passo della Morte in comune di Forni di Sotto, comprendenti la costruzione della galleria di «San Lorenzo», sono di fatto terminati il 10 giugno 2006. Restano da eseguire gli impianti tecnologici in galleria progettati in conformità alle norme di sicurezza e posti in gara.
La relativa procedura del bando di gara per l'affidamento dei lavori di cui al progetto esecutivo degli impianti di illuminazione, ventilazione e tecnologici della galleria in questione è oggetto di ricorso al
tribunale amministrativo regionale proposto da un'impresa che ha parimenti chiesto la sospensiva.
Si è attualmente in attesa dell'esito del ricorso in questione.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
DELFINO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nella relazione sulle linee programmatiche del Ministero della Giustizia si intravedeva l'intenzione di un piano di revisione della geografia giudiziaria e dell'adozione di una strategia consistente in una riorganizzazione della rete dei tribunali prevedendo in ognuno di essi una sezione penale, una civile, ed un ufficio GIP-GUP, determinando la soglia di organico minimo per ogni tribunale nella misura di n. 14 magistrati, con la conseguente soppressione dei tribunali che non raggiungono tale numero di magistrati di organico;
in tale revisione è evidente il non aver considerato la figura del Presidente del Tribunale, nonché la distinzione tra magistratura requirente e giudicante, considerando solo quest'ultima nel computo dell'organico;
sempre nella determinazione del numero dell'organico minimo, non sono state prese in considerazione le figure istituzionali dei GOT (Giudici Onorari dei Tribunali) e dei GOA (Giudici Onorari Aggiunti), che svolgono un compito rilevantissimo nella concreta azione giudicante;
risulta poco preciso il numero dei tribunali che sarebbero oggetto di soppressione, indicandone 38 quali destinatari di tale provvedimento, a fronte di un numero molto più elevato, (64) che non soddisfano il criterio della soglia di organico;
tra i Tribunali, oggetto di soppressione vi sarebbe il Tribunale di Mondovì, i cui locali sono stati recentemente restaurati con notevole dispendio di fondi;
risulta a tutt'oggi indimostrato, a partire da tutte le rilevazioni statistiche commissionate a livello nazionale ed europeo, il nesso che legherebbe una più efficace amministrazione della giustizia alla concentrazione e riduzione dei luoghi deputati a tale amministrazione;
le stesse rilevazioni statistiche testimoniano il fatto che sono i Tribunali di piccole dimensioni a conseguire un migliore rapporto tra domande e risposte di giustizia in ordine ai tempi di chiusura di un procedimento giudiziario, se solo le piante organiche fossero adeguatamente mantenute;
sarebbe più ragionevole, tanto sotto il profilo sociale, quanto sotto l'aspetto economico, percorrere la strada opposta dell'aumento del numero di Magistrati e della conservazione a livelli accettabili delle presenze in organico di dipendenti -:
quali interventi effettivamente intenda adottare per trovare una soluzione al problema in generale e in particolare per il Tribunale di Mondovì, e soprattutto se vi siano delle strategie alternative a quelle esposte nelle sue linee programmatiche, che per il momento hanno solo suscitato profonde reazioni e malcontenti a livello locale;
in che modo intenda conciliare l'esigenza di celerità della giustizia con l'esigenza, comunque, nel rispetto del principio di sussidiarietà, di mantenere i servizi, le istituzioni, quindi anche la giurisdizione più vicini al cittadino.
(4-02818)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, giova innanzi tutto richiamare quanto ebbi modo di affermare dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, in data 25 ottobre 2006, in ordine all'eventuale soppressione di alcuni tribunali minori.
In tale occasione, illustrando le linee programmatiche del dicastero e soffermandomi sull'argomento della geografia giudiziaria del nostro Paese, sostenni che, effettivamente, la distribuzione territoriale degli uffici giudiziari era ancora per gran parte
quella post-unitaria e che, per ottimizzare l'utilizzo delle risorse esistenti, sarebbe occorso ridisegnare ripartizioni e strutture giudiziarie secondo modelli organizzativi adeguati ai tempi e alle necessità.
Contestualmente, tuttavia, affermai di non avere intenzione di assumere iniziative relative alla soppressione di uffici giudiziari, potendosi anche ipotizzare il mantenimento degli attuali uffici, tenuto conto che essi sono radicati sul territorio e sono fortemente sostenuti dalle comunità locali. In proposito, al fine del loro mantenimento, si sarebbe potuto fare ricorso all'impegno degli enti locali, ottenendo la concessione di strutture logistiche e servizi, e ricorrendo, altresì, ad eventuali distacchi di personale amministrativo.
Tale resta l'indicazione operativa, alla quale si aggiunge - in questa sede - il richiamo al fatto che l'istituzione e la soppressione degli uffici giudiziari, al di fuori dei casi tassativamente previsti, riguardanti le sezioni distaccate di tribunale e gli uffici del giudice di pace, non è disposta con atto amministrativo, bensì con atto avente forza di legge.
Pertanto rassicuro l'interrogante che non sono in corso iniziative legislative mirate alla soppressione del Tribunale di Mondovì.
Quanto alle iniziative finalizzate a garantire celerità all'azione giudiziaria, rammento che è all'attenzione del Parlamento il disegno di legge d'iniziativa governativa in materia di «Istituzione dell'Ufficio per il processo, riorganizzazione funzionale dei dipendenti dell'amministrazione giudiziaria, e delega al Governo in materia di notificazione ed esecuzione di atti giudiziari, nonché registrazione di provvedimenti giudiziari in materia civile» (A.C. 2873). Con l'intervento normativo in oggetto si intende rispondere alle esigenza di efficienza dell'azione giudiziaria attraverso la completa riorganizzazione del personale delle segreterie e delle cancellerie giudiziarie prevedendo, tra l'altro, anche una considerevole immissione di personale amministrativo dall'esterno e ciò dopo anni di completo blocco delle assunzioni. Infatti lo schema di disegno di legge prevede che il Ministero della Giustizia sia autorizzato, in conformità a quanto previsto dalla programmazione del fabbisogno relativa al triennio 2007-2009, all'assunzione nel triennio, mediante procedure concorsuali pubbliche, di un contingente massimo di 2.800 unità di personale, dell'area C, posizione economica C1 da inquadrare nei ruoli del personale dell'Amministrazione giudiziaria, oltre all'avvio delle procedure di stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato di cui all'articolo 1, commi 521 e 523, della legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
GALANTE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 21 maggio scorso il Parlamento afgano ha votato a maggioranza la sospensione di Malalai Joya dal suo incarico di membro del Parlamento nazionale;
con lo stesso provvedimento, il Parlamento ha chiesto alla Corte Suprema afgana di aprire un'inchiesta nei confronti della parlamentare e al Ministro degli interni di limitarne gli spostamenti;
Malalai Joya è stata punita in conseguenza di un suo intervento critico nei confronti dello stesso Parlamento;
la giovane parlamentare è, da sempre, impegnata a difesa della democrazia e dei diritti umani, soprattutto delle donne e dei bambini afgani -:
se non ritenga di inoltrare al Governo afgano una protesta del Governo italiano per il provvedimento contro Malalai Joya e per l'impedimento dell'espressione di una dialettica democratica nel Parlamento;
se non ritenga allarmante che il Parlamento afgano possa impedire al suo interno il diritto alla libera manifestazione di opinione, prerogativa fondamentale dei parlamentari eletti dal popolo, e se non giudichi che le norme locali, che proibiscono
la critica nei confronti dei parlamentari, siano lesive del principio di libertà sancito dal diritto internazionale, e dunque se non ritenga di dover adoperarsi perché il Parlamento afgano reintegri immediatamente Malalai Joya e riveda le norme che limitano in qualche modo la libertà di parola;
se non ritenga di dover esprimere la preoccupazione del popolo e del parlamento italiano per la sicurezza di Malalai Joya e per il suo diritto a un giusto processo.
(4-03848)
Risposta. - L'espulsione del deputato Malalai Joya è stata decisa - per alzata di mano (e senza conteggio dei voti) dalla Camera bassa (Wolesi Jirga) del Parlamento afgano, a seguito delle opinioni espresse dalla medesima in un'intervista, giudicate gravemente offensive nei confronti dei colleghi.
La procedura è stata avviata in applicazione dell'articolo 70 del Regolamento parlamentare, che proibisce ai deputati di insultarsi reciprocamente.
Malalai Joya ha fatto appello alla Corte Suprema afgana: la sua posizione si basa soprattutto sull'articolo 101 della Costituzione afgana, che stabilisce che nessun membro dell'Assemblea nazionale è perseguibile per le opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni, ed il rango di tale norma dovrebbe porla al di sopra di ogni altra fonte legislativa.
In attesa che la Corte si pronunci in merito, un intervento a livello governativo sul Governo afgano parrebbe prematuro e rischierebbe di apparire poco rispettoso della separazione dei poteri sanciti dalla stessa Costituzione afgana.
I parlamentari italiani potranno invece individuare altre, più adeguate forme di interazione paritaria tra Parlamenti, per far pervenire ai colleghi afgani le proprie opinioni.
Vorrei ricordare come il contributo del nostro Paese al processo di stabilizzazione e sviluppo istituzionale dell'Afghanistan sia costante. Come è noto, dal 2001 l'Italia coordina lo sforzo internazionale nel settore della giustizia, nella convinzione del ruolo fondamentale che questi principi svolgono nel quadro complessivo della ricostruzione del Paese, indispensabili per garantire sicurezza, democrazia, diritti umani e sviluppo economico.
In tal senso ci si è sempre espressi nei frequenti contatti intrattenuti ai più alti livelli delle Istituzioni afgane. La conferenza «Rule of Law in Afghanistan», promossa dall'Italia e tenutasi a Roma il 2 e 3 luglio 2007, ha assicurato il supporto finanziario della Comunità internazionale, necessario per conseguire risultati concreti nella riforma del settore della giustizia e dello Stato di diritto.
Il nostro Paese è anche attivamente impegnato nei competenti fora multilaterali affinché la situazione dei diritti umani in Afghanistan, ed in particolare la condizione delle donne afgane, sia costantemente all'attenzione della comunità internazionale.
Il 28 novembre 2006, nell'ambito dei lavori della 61a sessione, l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato per consenso generale una risoluzione di iniziativa tedesca, co-sponsorizzata dall'Italia insieme ai partner dell'Unione europea, sulla situazione in Afghanistan. Il testo, pur riconoscendo i progressi compiuti dal Governo afgano nel settore delle riforme istituzionali, anche nel campo della garanzia dei diritti civili e politici nel settore giudiziario, richiama Kabul a garantire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a tutti i cittadini, senza discriminazioni di genere, etnia o religione, in accordo con gli obblighi statuiti dalla stessa Costituzione afgana e dal diritto internazionale. Più specificamente, la risoluzione condanna decisamente gli episodi di discriminazione e di violenza registrati nel Paese e richiama il Governo afgano al rispetto degli impegni assunti con la ratifica della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna.
Questa raccomandazione viene richiamata anche nell'ultimo rapporto dell'Alto commissario sui diritti umani sulla situazione in Afghanistan (presentato alla quarta sessione del Consiglio dei diritti umani, lo
scorso marzo 2007), dove si sottolinea come il Governo afgano sia chiamato, con il sostegno della Comunità Internazionale, ad intensificare i propri sforzi per aumentare la partecipazione delle donne a livello politico-decisionale, nel rispetto della risoluzione 1325 del 2000 del Consiglio di sicurezza su donne, pace e sicurezza. In particolare, l'Alto commissario sottolinea come tale sforzo dovrebbe indirizzarsi nel garantire la sicurezza delle donne membri delle istruzioni parlamentari, governative e provinciali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.
GASPARRI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel novembre 2002 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha bandito un concorso interno per 500 posti di vice ispettore di polizia penitenziaria, poi ampliato a 600 posti;
i 526 vincitori hanno concluso il prescritto corso di formazione nel mese di maggio 2006 e l'amministrazione penitenziaria li ha restituiti alle sedi di provenienza, in attesa dell'assegnazione definitiva in base alle disponibilità dei posti stabiliti nel bando di concorso;
nel frattempo le predette 526 unità hanno assunto il trattamento economico relativi al nuovo status di vice ispettori di polizia penitenziaria e hanno iniziato ad assolvere alle funzioni ed agli incarichi corrispondenti al nuovo ruolo;
solo nel mese di maggio 2007 e quindi ad oltre un anno dalla conclusione del corso di formazione e dall'acquisizione da parte degli interessati di nuove qualifiche e funzioni, l'amministrazione penitenziaria, anche a seguito dei solleciti delle organizzazioni sindacali, ha deciso di riesaminare l'incerta posizione dei predetti 526 vice ispettori di polizia penitenziaria ed ha individuato nuove sedi di assegnazione provvedendo, quindi, solo in base ad un singolo incontro tenuto con le stesse organizzazioni sindacali il giorno 24 maggio 2007, ad una nuova determinazione dei posti disponibili e delle piante organiche del Corpo di Polizia penitenziaria per singole regioni e non sulla base di una puntuale rilevazione delle esigenze sul territorio;
la rilevazione, che l'amministrazione penitenziaria avrebbe avuto tutto il tempo di effettuare adeguatamente, si sarebbe resa ancora più urgente in relazione al mutato rapporto quantitativo-qualitativo dei detenuti presenti negli istituti penitenziari, anche a seguito del provvedimento di indulto che ha portato la popolazione penitenziaria dai 64.000 detenuti presenti nel luglio 2006 agli attuali 42.000, ed al fatto che negli ultimi 8 anni, non considerate nelle attuali piante organiche di tutti i ruoli del Corpo di Polizia penitenziaria, sono state realizzate almeno 10 nuove infrastrutture penitenziarie;
dal 12 al 15 giugno 2007 l'amministrazione penitenziaria, per una complessiva e quanto mai inopportuna spesa di oltre 30.000 euro ha quindi provveduto alla convocazione da tutte le sedi del territorio nazionale a Roma di solo 500 dei 526 vice ispettori disponendo che i medesimi scegliessero la nuova sede sulla base dei nuovi posti individuati e delle singole posizioni nella graduatoria del corso di formazione;
contrariamente, ad avviso dell'interrogante, alle regole generali relative ai concorsi nelle pubbliche amministrazioni non sarà peraltro consentito di rinunciare alla nuova qualifica qualora la nuova sede di assegnazione, di fatto obbligatoria perché individuata a priori, non corrisponda alle aspettative e alle esigenze degli interessati;
l'amministrazione penitenziaria si appresta quindi con un anno di ritardo a disporre per circa 300 assegnazioni di vice ispettori di polizia penitenziaria a nuove sedi, per una spesa complessiva, corrispondente alle retribuzioni per tale mobilità, non inferiore a 2,5 milioni di euro;
l'individuazione di nuovi posti nell'organico da destinare alle predette 526 unità, inoltre, preclude anche la possibilità di ottenere un trasferimento a domanda e a proprie spese negli stessi istituti agli altri appartenenti al ruolo degli ispettori di polizia penitenziaria che, sulla base del prescritto interpello nazionale, avevano presentato apposita domanda per essere inclusi nelle graduatorie nazionali per ciascuna singola sede relativa all'anno 2006 -:
se il Ministro interrogato non ritenga illogica e tardiva la procedura attuata dall'amministrazione penitenziaria, tenuto conto che la stessa non corrisponde alle attuali esigenze del Corpo di Polizia penitenziaria né accrescerà la funzionalità e l'efficienza dei relativi servizi penitenziari;
se non reputi eccessivamente dispendiosa nelle varie fasi la procedura seguita, tenuto conto che ad oltre un anno di effettivo e proficuo impiego nelle sedi di appartenenza dei 526 vice ispettori di polizia penitenziaria gli stessi potevano essere mantenuti, senza alcuna spesa ulteriore, nelle sedi originarie, ovvero trasferiti esclusivamente a domanda e quindi comunque a proprie spese;
se non ritenga evidente il nocumento che sarà arrecato agli interessati, stante il periodo di tempo trascorso, l'indubbia continuità nel servizio e le aspettative ingenerate in un personale di polizia penitenziaria anche con notevole anzianità di servizio e con prole e coniuge a carico, di cui si vuole disporre l'assegnazione a sedi distanti anche centinaia di chilometri dalle attuali;
quali valutazioni esprima sull'evidente nocumento arrecato a coloro che, appartenenti al medesimo ruolo degli ispettori di polizia penitenziaria, da anni attendono il trasferimento a domanda verso le sedi che saranno «occupate» dai 526 vice ispettori e che in tal senso avevano presentato apposita istanza di mobilità a proprie spese;
quali provvedimenti intenda assumere per intervenire con urgenza nelle appropriate sedi per il ripristino di idonee condizioni che non danneggino né i 526 vice ispettori di polizia penitenziaria né coloro che appartengono al medesimo ruolo e aspirano, da anni del tutto legittimamente, al trasferimento a domanda, né comportino spese inutili ed assolutamente eccessive.
(4-04103)
Risposta. - Va preliminarmente osservato che il fenomeno nella stessa menzionato ha una dimensione meno estesa rispetto a quanto rappresentato, poiché solo una parte esigua dei 526 neo Vice Ispettori - in ragione della collocazione nella relativa graduatoria di merito - è stata destinata ad una sede distante da quella occupata nelle more della nuova assegnazione.
È infatti esito abituale delle procedure concorsuali l'assegnazione nelle sedi che, in base alle esigenze di servizio dell'Amministrazione, necessitano della presenza della figura del Vice Ispettore.
Avvalendosi della riserva di cui all'articolo 1 del PCD con cui venne indetto il concorso in questione, l'Amministrazione, con nuovo provvedimento - a seguito di consultazione con le organizzazioni sindacali e sulla base del mutamento, nel tempo, delle suddette esigenze - ha modificato la ripartizione territoriale dei posti, tenendo conto di vari aspetti.
In primo luogo, si rammenta l'incidenza sul territorio del sopravvenuto provvedimento di indulto; in secondo luogo, vanno tenute in debita considerazione le esigenze di razionalizzazione delle risorse economiche imposte dalla legislazione finanziaria per il contenimento della spesa pubblica, il cui logico corollario è il preferire un diverso sistema di ripartizione dei posti al ricorso alla mobilità d'ufficio.
Va, infine, evidenziato che la ripartizione in argomento è stata delineata anche sulla base della preliminare ricognizione delle aspirazioni degli interessati.
Non va, infine, tralasciata la circostanza che l'Amministrazione ha dovuto tener conto anche del notevole lasso di tempo intercorso tra la nomina e l'assegnazione
dei vincitori di concorso, definendone la posizione senza ulteriore indugio.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
GERMANÀ e STAGNO d'ALCONTRES. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
i cittadini siciliani in possesso di porto d'arma uso caccia, e quindi senza precedenti penali, hanno pagato le tasse previste per la stagione venatoria 2007-2008;
previo parere acquisito dal Comitato regionale faunistico-venatorio composto da presidenti di associazioni venatorie, ambientaliste, agricole, funzionari della pubblica amministrazione, docenti delle Università di Messina, Palermo, in data 12 giugno 2007, presieduta dall'Assessore regionale all'agricoltura, presente il Direttore generale, il Dirigente della XII ripartizione della Regione Sicilia, è stato emanato il decreto assessoriale n. 1168 che regolamenta l'attività venatoria nella Regione Sicilia;
mercoledì 22 agosto 2007 veniva presentato da alcune associazioni ambientaliste al Tar di Palermo un ricorso giurisdizionale con istanza di sospensione del decreto assessoriale n. 1168;
pur nella legittima libertà di decisione codesto Tar, che certamente conosce le leggi venatorie ma anche il rigetto integrale operato lo scorso anno dal Tar di Catania a un ricorso simile che per altro prevedeva un calendario venatorio con più specie cacciabili, non ha avuto la sensibilità di operare come il Tar di Catania ed entrare nel merito anziché concedere la sospensiva con impareggiabile solerzia in quanto emesso in data 27 agosto 2007, nonostante il 25 e 26 fossero rispettivamente sabato e domenica, ed inoltre non ha tenuto nella giusta considerazione il ritardo strumentale utilizzato dalle associazioni ambientaliste nel presentare il ricorso stesso, chiaramente voluto al fine di ledere i diritti di coloro i quali avevano, si ripete senza precedenti penali, pagato regolarmente le relative tasse per esercitare questo loro diritto;
sorge spontaneo chiedersi quale sia il criterio che ispira il Tar nella scelta di concedere sospensive in tempi così brevi in materia distinte, pur essendo la disciplina della caccia materia di competenza legislativa esclusiva regionale, vi sono aspetti, quali la tutela della fauna selvatica, di pertinenza statale -:
se il 50 per cento della tassa di concessione governativa pagata dai cittadini siciliani sia stato come previsto dalla legge, restituito dallo Stato alla Regione Sicilia per l'anno 2006 ed inoltre se intenda assumere iniziative legislative, per - una tantum - far recuperare nel mese di febbraio, solo per la specie migratoria, i giorni non utilizzati all'apertura, tra l'altro attività venatoria che alcuni Paesi della Comunità europea consentono nel mese di febbraio.
(4-04793)
Risposta. - Con riferimento alle argomentazioni svolte nell'atto in esame, si fa presente che il Consiglio di Stato, interpellato al riguardo, ha fatto osservare che si tratta di questione risolta dal Tribunale amministrativo regionale nell'esercizio della funzione giurisdizionale e che, in quanto tale, è suscettibile di riesame secondo i modi e i tempi prescritti dalla legge.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali: Vannino Chiti.
LA MALFA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. - Per sapere - premesso che:
il Governo in data 25 novembre 2006 ha adottato un provvedimento di revoca del vertice dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), applicando, alla scadenza
del termine di legge, quel meccanismo di spoil system, relativamente al quale il programma elettorale dell'Unione esprimeva ferma contrarietà;
l'ARAN esercita la delicata funzione di agente negoziale, rappresentante dei datori di lavoro pubblici, nelle trattative contrattuali, ed è pertanto assolutamente necessario evitare fenomeni di condizionamento e promiscuità con le associazioni sindacali del pubblico impiego;
l'articolo 46 del decreto legislativo n. 165 del 2001, proprio per scongiurare i rischi di condizionamento dell'Agenzia da parte delle organizzazioni sindacali fissa, a carico dei componenti del comitato direttivo, una chiara incompatibilità con l'assunzione di incarichi sindacali;
la disposizione della legge finanziaria 2007, definita dalla stampa norma «salva-contratti», rende ancora più delicata la funzione dell'Agenzia, considerato che le ipotesi di contratto sottoscritto in sede ARAN diventeranno efficaci con il semplice decorso di un breve intervallo di tempo;
secondo un articolo apparso su Il Giornale del 5 gennaio, il Governo sarebbe stato in procinto di nominare il nuovo Comitato direttivo dell'ARAN, scegliendo componenti di gradimento sindacale, come dimostrato dalla presenza nell'organo del prof. Mimmo Carrieri, coordinatore, della rivista culturale della CGIL Quaderni di rassegna sindacale - Lavori, e del dottor Giancarlo Fontanelli, già segretario confederale della UIL, con delega al pubblico impiego;
il 23 gennaio 2007 il sottosegretario Mario Scanu, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare presentata al Senato, ha dichiarato che il Governo ha proceduto sin dal 22 dicembre 2006 alla nomina del nuovo Comitato direttivo dell'ARAN, presieduto dall'avvocato Massimo Massella, senza però precisare i nomi degli altri componenti del direttivo;
sino ad oggi non risultano essere stati emanati dal Governo i comunicati che, per prassi, accompagnano le nomine dei vertici degli enti pubblici di maggiore rilevanza -:
se corrispondano al vero le notizie riportate sulla stampa in merito alla composizione del Comitato direttivo dell'ARAN e, qualora così fosse, se il Governo non ritenga che la nomina in tale organo di soggetti che abbiano, o abbiano avuto, un rapporto organico e duraturo con le organizzazioni sindacali sia censurabile in termini di legittimità e di opportunità.
(4-05558)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla nomina dei vertici dell'Aran effettuata dal Governo nel novembre dello scorso anno, si rappresenta quanto segue.
Il Comitato direttivo della Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni è costituito da cinque componenti, compreso il Presidente, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 46 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Di questi, due componenti sono designati da soggetti estranei al Governo (uno dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e l'altro dall'ANCI e dall'UPI, congiuntamente). Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze designa gli altri tre componenti, tra i quali, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-Città, il Presidente.
Al momento dell'insediamento del nuovo Governo, il Comitato direttivo dell'Aran nominato con decreto presidenziale del 20 marzo 2006, risultava composto soltanto dai tre componenti designati dall'Esecutivo, in quanto la Conferenza dei Presidenti delle regioni e le associazioni degli enti locali non avevano indicato alcun nominativo.
Peraltro, il Presidente del Comitato, che, all'atto della designazione rivestiva l'incarico di Capo di gabinetto dell'allora Ministro per la funzione pubblica, era stato nominato nonostante che, in data 1o marzo 2006, in sede di parere della conferenza
unificata, le Regioni avessero espresso a maggioranza parere negativo - e altrettanto avesse fatto, in precedenza, l'UPI - Unione province italiane - motivando lo stesso, non sulla base di un giudizio negativo nei confronti del soggetto designato, ma in considerazione delle specifiche competenze richieste dall'incarico.
A ciò si aggiunga che la nomina del Presidente e dei componenti del Comitato è stata effettuata ben oltre la data di scioglimento delle Camere, ovvero nel periodo sottoposto alla disciplina di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 2002, n. 145.
Al fine, quindi, di assicurare la piena operatività dell'Agenzia attraverso la ricostituzione ed integrazione del Comitato, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto del 15 novembre 2006, ha provveduto, ai sensi dell'articolo 6 della legge 15 luglio 2002, n. 145, alla revoca del Presidente uscente e di un componente del comitato direttivo.
Inoltre, il Comitato direttivo non era, comunque, nella possibilità di funzionare per effetto delle dimissioni presentate dall'altro componente, tenuto, conto che, ai sensi dell'articolo 9 del regolamento generale di organizzazione dell'Aran, per le riunioni del medesimo comitato è necessaria la presenza di almeno tre componenti.
Infine, con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 dicembre 2006, il comitato è stato integralmente ricostituito con le modalità e sulla base delle designazioni acquisite ai sensi dell'articolo 46 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e nel rispetto dei requisiti professionali ivi indicati. In tale ambito, l'avvocato Massella è stato nominato presidente del Comitato direttivo, previo parere favorevole della Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-Città, espresso all'unanimità.
Si osserva, inoltre, che a differenza di quanto affermato dall'interpellante, quella di diramare comunicati ufficiali da parte del Governo per dare notizia della avvenuta nomina dei componenti del Comitato Direttivo dell'Aran non appare essere una «prassi». Ciò, peraltro, non significa che la nomina di cui trattasi sia avvenuta «nella clandestinità», in quanto ne è stata debitamente fornita pubblicità attraverso la pubblicazione sul sito internet istituzionale della medesima Agenzia.
Per quanto attiene, poi, ai curricula del professor Mimmo Carrieri e del professor Giancarlo Fontanelli, si tratta di esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale ed entrambi hanno all'attivo una copiosa e prestigiosa attività scientifica e professionale, il primo anche in qualità di docente presso le università italiane. Inoltre, si precisa, a proposito del professor Carrieri, a differenza di quanto sostenuto dall'onorevole interrogante, che la rivista - «Quaderni di rassegna sindacale» - del cui Comitato editoriale il medesimo professore fa parte è edita da un soggetto giuridico distinto dalla Cgil.
Di conseguenza appare evidente che nessuno dei due suddetti componenti dell'Aran ricopre attualmente cariche sindacali, né ha rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le organizzazioni sindacali.
A tale riguardo, si rammenta il contenuto dell'articolo 46 del decreto legislativo n. 165 del 2001, citato dall'onorevole interrogante, che al comma 7, stabilisce espressamente il divieto di essere componente del Comitato direttivo dell'Aran per coloro «che rivestano incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali ovvero che ricoprano rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni». Perché sorga l'incompatibilità a far parte del Comitato occorre, quindi, che lo svolgimento di cariche o rapporti di collaborazioni e consulenza con le organizzazioni sindacali sia attuale e contemporaneo alla nomina in seno al Comitato. Non è invece di alcuna rilevanza giuridica il fatto di averle eventualmente rivestite in passato.
Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione: Luigi Nicolais.
LENNA. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la galleria del «Passo della Morte», variante della Strada Statale 52, inizia nel territorio del Comune di Forni di Sotto (Udine);
tale arteria, costruita nei primi anni del 1900, da sempre ha costituito nei suoi ingressi, un pericolo per i passanti a causa delle frequenti cadute di massi e delle slavine, che spesso hanno isolato i comuni di Forni di Sotto e Forni di Sopra;
negli anni `60/'70, al fine di evitare questi ricorrenti inconvenienti e pericoli, sono stati costruiti tratti di galleria artificiale, che tuttavia sono risultati inadeguati;
è emersa quindi la necessità di costruire una nuova galleria, più lunga, di 2.100 metri, al fine di assicurare un transito più sicuro;
i lavori sono iniziati nel 1990, con una previsione di spesa di circa 50 miliardi di vecchie lire;
nel corso dei lavori sono state riscontrate difficoltà tecniche, per superare le quali i costi sono lievitati a 60 milioni di euro;
i lavori della galleria sono stati ultimati nel giugno 2006 ma l'apertura al traffico potrà avvenire quando saranno installati gli impianti di aerazione e illuminazione;
dall'inizio dei lavori ad oggi sono quindi trascorsi ben diciassette anni-:
se sia a conoscenza del costo complessivo dell'opera e delle ragioni per cui i costi effettivi sono di gran lunga superiori rispetto ai costi previsti;
se siano stati rispettati gli standard minimi previsti per la sicurezza nelle gallerie stradali ed autostradali contemplati dalla normativa vigente e in particolare dal decreto ministeriale 5 giugno 2001;
quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di consentire il completamento dei lavori della galleria e renderne quindi possibile l'apertura al traffico.
(4-05029)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
I lavori di costruzione della variante alla strada statale n. 52 «Carnica» tra le progressive chilometriche 41+600 e 44+400 in località Passo della Morte in comune di Forni di Sotto, comprendenti la costruzione della galleria di «San Lorenzo», sono di fatto terminati il 10 giugno 2006. Restano da eseguire gli impianti tecnologici in galleria progettati in conformità alle norme di sicurezza e posti in gara.
La relativa procedura del bando di gara per l'affidamento dei lavori di cui al progetto esecutivo degli impianti di illuminazione, ventilazione e tecnologici della galleria in questione è oggetto di ricorso al tribunale amministrativo regionale proposto da un'impresa che ha parimenti chiesto la sospensiva.
Si è attualmente in attesa dell'esito del ricorso in questione.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
LO PRESTI. - Al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. - Per sapere - premesso che:
ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, l'A.R.A.N. (Agenzia per la Rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) ha il compito di indicare le organizzazioni sindacali rappresentative del personale di alcuni comparti del pubblico impiego, in particolare dei comparti Ministeri, Agenzie Fiscali e Presidenza del Consiglio dei Ministri, ammesse ai tavoli di contrattazione nazionale al fine di negoziare gli accordi ed i contratti quadro per il personale;
nel corso del biennio economico 2004/2005, alla stregua dei dati elettorali corrispondenti a quanto disposto dall'articolo 43 del citato decreto legislativo
n. 165 del 2001, l'A.R.A.N. avrebbe dovuto riconoscere a «Federazione Intesa» la rappresentatività nel Comparto Ministeri, nel Comparto Agenzie Fiscali e nel Comparto Presidenza del Consiglio, riconoscimento che invece, inspiegabilmente, non è stato operato;
con delibera adottata in data 3 agosto 2004, l'A.R.A.N. ha sottoscritto il contratto con altre Confederazioni sindacali, sancendo di fatto l'esclusione di Federazione Intesa e di Confintesa dall'ambito delle organizzazioni sindacali titolari del diritto di partecipare alla contrattazione collettiva e di fruire delle prerogative sindacali per il biennio 2004/2005;
l'A.R.A.N. ha perseverato in tale inspiegabile esclusione nonostante l'ordinanza cautelare resa dal Tribunale di Roma in data 4 agosto 2004, con la quale il Tribunale stesso riconosceva «in via d'urgenza che la Federazione Intesa è in possesso del requisito della rappresentatività sindacale ex articolo 43 decreto legislativo n. 165 del 2001 con ogni conseguenza di legge, tra cui il diritto alla partecipazione alla contrattazione nei comparti Ministeri, Agenzie fiscali e Presidenza Consiglio dei Ministri»;
nel successivo giudizio di merito, il Tribunale di Roma ha censurato il comportamento tenuto dall'A.R.A.N., riconoscendo l'indiscutibile «rappresentatività» di Federazione Intesa nei citati comparti per il biennio economico 2004/2005, e condannando l'ARAN al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale di Roma ha, tra l'altro, statuito che l'Agenzia «con l'esclusione della ricorrente dai tavoli della contrattazione, ha causato un danno immediato per la ricorrente, che non ha più potuto usufruire del riconoscimento delle prerogative sindacali ed ha, altresì, subito indubiamente una lesione del suo diritto all'immagine»;
nonostante quanto esposto, l'ARAN ha reiterato il suo inspiegabile comportamento, omettendo nuovamente di convocare la Federazione Intesa e la Confintesa all'apertura delle trattative relative al CCNL del Comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il biennio economico 2006-2007, senza peraltro fornire alcuna giustificazione e senza consentire agli interessati di presentare osservazioni che, se solo fossero stati ascoltate, avrebbero modificato l'esito della rilevazione, garantendo un equilibrato contraddittorio;
a parere dell'interrogante è increscioso che la Federazione Intesa e la Confintesa debbano rivolgersi continuamente alla magistratura per vedere riconoscere i propri diritti da parte dell'ARAN che, in quanto pubblica amministrazione, dovrebbe rispondere ai più alti principi costituzionali di imparzialità e buon andamento -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in merito al comportamento assunto dall'A.R.A.N. e dai suoi dirigenti, forieri di decisioni illegittime, e se non ritenga altresì opportuno attivarsi per controllarne i comportamenti, accertando con obiettività la rappresentanza delle organizzazioni sindacali di categoria e le estensioni in favore al Federazione Intesa delle prerogative riconoscenti alle altre organizzazioni sindacali rappresentative.
(4-03984)
Risposta. - Si fa riferimento all'interrogazione in esame concernente l'esclusione di Federazione Intesa dalle trattative negoziali relative alle ultime tornate contrattuali.
In via preliminare si rammenta che le relazioni sindacali nel lavoro pubblico sono disciplinate dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che, in particolare, all'articolo 43, indica i criteri per l'individuazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini della loro ammissione alla contrattazione collettiva e del conseguente riconoscimento del diritto di finire di permessi, aspettative e distacchi.
Nello specifico, la citata norma dispone che l'Aran ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell'area una rappresentatività non inferiore al 5 per
cento definendone i parametri di calcolo. A tal fine, viene considerata la media tra il dato associativo (espresso dalla percentuale di deleghe per il versamento dei contributi sindacali con le quali i lavoratori manifestano la loro adesione ad una sigla sindacale) e il dato elettorale (espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie - RSU - previste dall'articolo 42 commi 3 e 4 del medesimo decreto n. 165 del 2001).
Inoltre, lo stesso articolo prevede che ciascuna amministrazione è tenuta a trasmettere all'Aran, non oltre il 31 marzo dell'anno successivo, i dati relativi alle deleghe riferite all'anno in corso, controfirmati da un rappresentante dell'organizzazione interessata, con modalità che garantiscano la riservatezza delle informazioni.
Presso l'Aran è, altresi, costituito un «Comitato paritetico» al quale partecipano le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale il quale ha il compito di garantire modalità di rilevazione certe ed obiettive, di provvedere alla certificazione dei dati ed alla risoluzione delle eventuali controversie.
Ai sensi delle richiamate disposizioni di legge, nonché dell'articolo 50 del decreto legislativo 165 del 2001, la materia, al fine del contenimento, della trasparenza e della razionalizzazione delle aspettative e dei permessi sindacali, è stata ulteriormente disciplinata dal Contratto collettivo nazionale quadro del 7 agosto 1998, e successive modificazioni e integrazioni.
A seguito della certificazione, i documenti del Comitato sono trasmessi all'Aran che individua le organizzazioni sindacali che, le quali esprimendo una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, sono ammesse alla successiva contrattazione nazionale per il biennio di riferimento.
Le disposizioni richiamate evidenziano come, nell'ambito del procedimento finalizzato al riconoscimento della rappresentatività sindacale, l'accertamento svolto dall'Aran abbia natura di atto dovuto; esso, infatti, in quanto necessariamente conseguente alla fase di verifica e di certificazione dei dati di competenza del Comitato paritetico, è connotato dall'assenza di qualunque profilo di discrezionalità.
Pertanto, diversamente da quanto prospettato dall'interrogante, è evidente che di nessuna organizzazione può essere discrezionalmente dichiarata la rappresentatività, derivando la stessa esclusivamente da dati numerici ossia da un mero calcolo delle deleghe e dei voti ad essa attribuiti.
Tanto premesso con riferimento alla disciplina vigente in materia di riconoscimento della rappresentatività sindacale, occorre fornire alcuni chiarimenti in ordine alle vicende richiamate nell'interrogazione in esame.
In primo luogo si rappresenta che la Federazione, Intesa ha sempre partecipato ai lavori dei sottocomitati di comparto del Comitato paritetico, essendo rappresentata, nell'ambito di tale organismo, dalle confederazioni alle quali aderiva - prima la Cisal e poi la Cofintesa - condividendone, in ogni caso, le decisioni assunte in tali sedi.
Periodo contrattuale 2004-2005.
Come correttamente evidenziato dall'interrogante, nel periodo contrattuale 2004-2005, non essendone stata riconosciuta la rappresentatività ex articolo 43 del decreto legislativo n. 165 del 2001, la Federazione Intesa è stata ammessa «con riserva» alla contrattazione relativa ai comparti Agenzie fiscali, ministeri e Presidenza del Consiglio, godendone di tutte le prerogative riconosciute alle organizzazioni rappresentative.
Si precisa che l'ammissione con riserva, in ottemperanza all'ordinanza cautelare del giudice del lavoro del tribunale di Roma, è stata deliberata con provvedimento unilaterale dell'Aran, peraltro successivamente impugnato dalle altre confederazioni sindacali.
Successivamente il giudice di primo grado, con sentenza del 20 gennaio 2006, ha confermato nel merito il giudizio cautelare favorevole alla Federazione Intesa dichiarandola rappresentativa a prescindere dal dato numerico richiesto ex lege. A seguito di ciò, e in pendenza di giudizio, l'Intesa è sostanzialmente rimasta sempre compresa tra le organizzazioni rappresentative.
Periodo contrattuale 2006-2007.
Per quel che attiene, poi, al periodo contrattuale 2006-2007, a seguito della certificazione negativa dei dati elettorali ed associativi da parte del Comitato Paritetico, Confintesa ha chiesto la modifica parziale dei criteri di certificazione e la riapertura dei termini di correzione della rilevazione. Il Comitato nella seduta del 17 gennaio 2006 ha respinto la richiesta, ritenendo non sussistenti i presupposti per tale modifica nel senso richiesto dalla Confintesa. Ad analoghe conclusioni è giunto, inoltre, il giudice del lavoro che ha, infatti, respinto il ricorso presentato da Confintesa avverso la sua esclusione.
In occasione di un successivo ricorso presentato da Federazione Intesa nel marzo 2006, il giudice del lavoro, nel rigettarlo, ha evidenziato che «è la legge stessa a rimettere ai soggetti che compongono il Comitato paritetico la determinazione dei criteri per l'imputazione dei voti e delle deleghe, criteri che, in quanto frutto della dialettica sindacale, sono sottratti al vaglio del giudice se non in presenza di una palese violazione di legge, nel caso non riscontrabile. Per quanto concerne la raccolta dei dati operata dall'Aran, parte ricorrente non ha assolto l'onere su di essa gravante di provare una scorretta applicazione dei suddetti criteri, anzi, come risulta dal ricorso al Comitato Paritetico, ha dato essa stessa prova di non credere alla circostanza, insistendo per la modifica dei criteri stessi».
Anche l'ulteriore analogo ricorso, presentato in data 4 luglio 2007 da Confintesa e Intesa è stato respinto dal giudice del lavoro in ragione del principio che la rappresentatività è requisito i cui elementi costitutivi sono esattamente indicati dalla legge e sulla cui esistenza ed effettività nessun accordo sindacale può incidere. In particolare, quindi, il giudice ha ribadito nuovamente che le determinazioni assunte dall'Aran in merito alle vicende relative alla Federazione Intesa non possano non ritenersi legittime in quanto basate sui parametri previsti ex lege.
Pertanto, da quanto rappresentato e, in particolare, dagli esiti dell'articolato contenzioso intentato dalla Federazione Intesa contro l'Aran, si evince che il comportamento dell'Agenzia è stato riconosciuto coerente, legittimo e conforme alle regole sulla rappresentatività sindacale previste dalla legge. Nessuna responsabilità amministrativa è stata, infatti, accertata in sede giurisdizionale nei confronti dell'organismo stesso il cui operato, costantemente ispirato alla massima trasparenza ed obiettività, non ha in alcun modo compromesso l'esercizio del diritto costituzionalmente garantito della libertà sindacale.
Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione: Luigi Nicolais.
LONGHI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 13 ottobre 2005 è stato nominato il nuovo Consiglio di Amministrazione della Sogin Spa composto da nove membri: Prof. Generale Carlo Jean, Presidente; Ing. Giuseppe Nucci, Amministratore Delegato, solo da pochi mesi in carica, Prof. Paolo Togni, Consigliere; Prof. Pietro Canepa, Consigliere; Ing. Giulio Del Ninno, Consigliere; Dott. Paolo Mancioppi, Consigliere; Dott. Cosimo Mele, Consigliere; Dott. Fortunato Mochi, Consigliere; dott. Nando Pasquali, Consigliere;
la maggior parte degli amministratori sono riconferme del precedente Consiglio di Amministrazione, in carica dal 21 novembre 2002 e, in particolare, il Presidente, Generale Carlo Jean, oltre a essere stato riconfermato, ricopre per la seconda volta la carica di Commissario Delegato per la Sicurezza dei Materiali Nucleari, svolgendo quindi la funzione anomala di controllore e di controllato;
inoltre l'eventuale riscontro della mancanza di un vero piano organico, comporterebbe una grave negligenza nell'operato
della stessa figura del Commissario Delegato e Presidente Sogin;
in particolare, per quanto riguarda i lavori inerenti l'emergenza nucleare, essi sono stati eseguiti secondo ordinanze del Commissario Delegato per la Sicurezza dei Materiali Nucleari Carlo Jean ed eseguite dallo stesso con funzione di Presidente della Società Sogin Spa che nel precedente Consiglio di Amministrazione aveva avocato a sé le principali deleghe -:
se i lavori relativi alle ordinanze siano stati affidati attraverso gare pubbliche o assegnati direttamente alle imprese a trattativa diretta, se essi siano stati adeguamente motivati e successivamente confortati dall'inizio immediato dei lavori stessi, come previsto da un'emergenza; se risulti vero che circa l'80 per cento dei lavori siano stati assegnati con appalti prescritti dal Commissario delegato ed assegnati in maniera diretta;
se la gestione degli stessi sia stata eseguita in conformità delle normative vigenti (sub-appalti, congruità dei prezzi eccetera);
se sia vero che non esiste un quadro generale di coordinamento con la Protezione Civile, Vigili del Fuoco, APAT, Ministero dell'interno e Ministero dello sviluppo economico e quindi se gli appalti sopra indicati facciano parte di un progetto organico nell'ambito della sicurezza nazionale e siano coordinati con gli organi competenti;
se anche nel precedente Consiglio di Amministrazione sia stata adottata la stessa metodologia di assegnazione dei lavori da parte del Commissario-Presidente;
perché la composizione del Consiglio di Amministrazione sia passata da sette a nove membri;
quali provvedimenti si intendano prendere al fine di garantire una adeguata trasparenza sulle implicazioni che il duplice incarico di Commissario Delegato per la Sicurezza dei Materiali Nucleari e di Presidente della Sogin, a Carlo Jean, comportano a livello operativo sulla gestione dei contratti legati a tale duplice ruolo;
se il Commissario Delegato e presidente della Sogin debba essere rimosso dagli incarichi ricoperti.
(4-02098)
Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
In merito alle questioni evidenziate nell'atto in argomento, si ricorda, innanzitutto, che lo stato di emergenza, proclamato e prorogato con quattro decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (14 febbraio 2003, 7 maggio 2004, 4 marzo 2005 e 17 febbraio 2006) in relazione all'attività di smantellamento degli impianti e di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle regioni Lazio, Campania, Emilia Romagna, Basilicata e Piemonte, si è protratto per 46 mesi e mezzo, dal 14 febbraio 2003 al 31 gennaio 2006.
I sopra citati provvedimenti hanno espressamente affidato il compito di gestire lo stato d'emergenza al Commissario delegato per la messa in sicurezza dei materiali nucleari, individuato nel Presidente della Sogin con poteri attribuitigli, inizialmente, dall'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri (OPCM) n. 3267 del 7 marzo 2003 e, successivamente, ampliati dalla Opcm n. 3355 del 7 maggio 2004.
Durante il periodo anzidetto, il Commissario delegato ha emanato 26 ordinanze, di cui 18 direttamente mirate all'effettuazione di interventi atti a rafforzare le misure di sicurezza connesse alla gestione degli impianti nucleari menzionati nelle citate Opcm e le restanti 8 di tipo organizzativo o procedurale.
Si fa presente che gli interventi effettuati su disposizione del Commissario delegato, finalizzati, per quanto detto in precedenza, al soddisfacimento delle esigenze relative al superamento dell'emergenza, sono stati in gran parte coincidenti con quelli facenti capo alla Sogin, nella sua veste istituzionale di «esercente nucleare» per le necessità comunque connesse alla sicurezza nucleare e al decommissioning degli, impianti nucleari
ad essa affidati e di «soggetto attuatore» dei provvedimenti del Commissario delegato.
In sostanza l'intervento del Commissario delegato ha attribuito carattere di emergenza ad azioni che la Sogin avrebbe dovuto comunque espletare in regime ordinario, superando con ciò, nei limiti dei poteri di deroga attribuiti dalle OPCM emanate, gli ostacoli di ordine temporale connessi con l'applicazione degli ordinari iter autorizzativi anche ad attività che, per loro stessa natura, richiedono tempistiche ridotte ed abbreviate (in primis, la realizzazione delle opere necessarie per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi).
Di qui la scelta del Commissario delegato di affidare unicamente alla Sogin il ruolo di «soggetto attuatore», pur se la citata Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3267/2003 non escludeva la possibilità del ricorso ad altro operatore. Tale ricorso, infatti, avrebbe presentato notevoli difficoltà e complicazioni in relazione alle responsabilità non delegabili che la legge n. 230 del 1995 attribuisce all'esercente ed al titolare della licenza di esercizio.
Si rileva che il generale Carlo Jean, in qualità di Presidente della Sogin, non aveva né deleghe operative, né poteri esecutivi nella Società, ma solo il ruolo di indirizzo, di controllo e di alta vigilanza che si esplicava in sede di Consiglio di amministrazione.
Sulla base di quanto comunicato dalla società, si fa presente che la procedura di trattativa diretta è stata limitata ai casi in cui si è reso necessario fare ricorso a scelte industriali tali da consentire la più soddisfacente e tempestiva attuazione degli interventi. Taluni ritardi, che si sono registrati nell'avvio dei lavori, sono stati conseguenza della necessità di dovere attendere l'esaurirsi della parallela procedura di approvazione da parte degli organi di controllo, procedura non derogabile per intervento commissariale.
Al fine di garantire un quadro generale di coordinamento, gli interventi disposti dal Commissario delegato sono stati dettagliati in specifici «Cronoprogrammi» e tempestivamente inoltrati sia al Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, sia a tutte le altre Amministrazioni ed Organismi interessati (Ministeri dell'interno, dell'ambiente, dello sviluppo economico e dell'economia e finanze, Apat, regioni, Commissione tecnico scientifica della Presidenza del Consiglio dei ministri).
Si evidenzia, infine, che lo stato d'emergenza ha avuto termine alla data del 31 dicembre 2006 e che tra i componenti del nuovo Consiglio d'amministrazione della Sogin, insediato il 14 febbraio 2007, non figura più il generale Carlo Jean.
Il Ministro dello sviluppo economico: Pier Luigi Bersani.
MANCUSO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nella Regione Settentrionale del Pakistan, in particolare nei pressi di Chilas (Distretto Diamir) è in costruzione una importante diga-centrale idroelettrica sul fiume Indo;
il bacino idrico che si formerà sarà di molte centinaia di chilometri quadrati e sommergerà centinaia di massi incisi con figure e scritte, vecchi di millenni e riconducibili ad antiche civiltà locali sviluppatesi lungo un ramo della «via della seta»;
nei pressi stanno lavorando equipes archeologiche di vari Paesi europei, tra cui una italiana;
si tratta di un patrimonio storico-archeologico di primaria importanza e che le generazioni contemporanee hanno il dovere di preservare per le generazioni future -:
se il Governo possa farsi promotore di una operazione internazionale che miri a «spostare» ad una quota superiore questi massi incisi, analogamente a quanto è stato fatto ad Abu-Simbel in Egitto qualche decennio fa.
(4-04643)
Risposta. - La valle meridionale dell'Indo, nel distretto di Diamer nelle Northern Areas del Pakistan, ospita un immenso
patrimonio culturale cronologicamente compreso tra il neolitico fino a tutto il XVI secolo.
Nel 1978, subito dopo la costruzione della Karakorum Highway - che collega il Pakistan alla Cina attraverso le montagne del Karakorum e dell'Himalaya - il professor Karl Jettmar dell'Accademia di Heidelberg per gli studi umanistici e le scienze e il professor A.H. Dani dell'Università Quaid-i Azam di Islamabad scoprirono migliaia di petroglifi e iscrizioni rupestri, principalmente situati nella zona orientale e a ovest del villaggio di Chilas.
L'anno successivo fu avviato un progetto congiunto di ricerca pakistano-tedesco, che dal 1982 è parte integrante dei programmi di ricerca dell'Accademia di Heidelberg. La documentazione e la pubblicazione sistematica del materiale rinvenuto è iniziata nei 1989 sotto la direzione del professor Harald Hauptmann, con la stretta collaborazione di specialisti del Pakistan, dell'Inghilterra e della Francia.
Nessuna missione archeologica italiana è coinvolta direttamente nelle attività gestite e seguite dalla missione tedesca.
Gli interessi scientifici italiani, anch'essi di grande importanza per il patrimonio culturale e internazionale, sono invece concentrati in un'area posta a sud di Chilas. L'unica Missione archeologica italiana - quella dell'Istituto italiano per l'Agenzia e l'Oriente (IsIAO) (già IsMEO) - presente nel Pakistan settentrionale dal 1955, svolge la sua attività di ricerca e studio nella valle del fiume Swat, un affluente dell'Indo. Attualmente il dottor Luca M. Olivieri è impegnato in un progetto simile a quello dell'Accademia di Heidelberg, seppur contenuto nei limiti dei fondi plessi a disposizione annualmente.
La costruzione della diga Basha Diamer Dam, il cui impianto dovrebbe essere in grado di produrre 4.400 megawatt di elettricità, è voluta dall'attuale Governo pakistano per far fronte al fabbisogno energetico del Paese, notevolmente aumentato in seguito allo sviluppo economico degli ultimi anni.
Il progetto della società tedesca «Lemhyer» prevede lo sbarramento del fiume Indo a circa 165 km a sud della città di Gilgit, con la creazione di un bacino artificiale che sommergerà oltre 30 villaggi, costringendo la popolazione locale (circa 40.000 persone) a trasferirsi altrove.
Secondo il professor Hauptmann, verranno distrutti più dell'80 per cento dei siti archeologici censiti dalla missione tedesca lungo un tratto dell'Indo di circa 100 chilometri su entrambe le rive del fiume.
La missione tedesca ha portato all'attenzione delle autorità pakistane, in particolare del Ministero della cultura, l'importanza e l'eccezionalità delle testimonianze archeologiche, etnografiche e storico artistiche della valle dell'Indo, tentando di studiare un piano per la conservazione dei ritrovamenti che verranno inevitabilmente sommersi.
La possibilità di spostare le gigantesche pietre granitiche che si trovano nella regione non è stata considerata praticabile, poiché i blocchi sarebbero troppo pesanti per poter essere trasportati sugli esili e del tutto inaffidabili ponti della Karakorum Highway.
Anche l'idea di sezionare le sole iscrizioni è stata scartata perché richiederebbe l'utilizzo di macchinari a punta di diamante, di facile surriscaldamento, che probabilmente comporterebbero lo sfaldamento delle rocce.
Posto che la decisione di costruire la diga rientra nel più generale piano di potenziamento energetico recentemente lanciato dal Governo pakistano e che non sembra pensabile né prevedibile un passo indietro su questo punto, l'alternativa individuata per preservarle è la loro riproduzione in forma digitale.
Un progetto elaborato dal professor Hauptmann e già presentato negli scorsi mesi ad un congresso ad Heidelberg ricorrerebbe infatti all'alta tecnologia per scannerizzare il sito prima della costruzione della diga, per ricostruirlo altrove tridimensionalmente in resina, analogamente a quanto avvenuto in Anatolia, dove la diga Atatürk ha sommerso un altro importante sito archeologico.
Questa iniziativa sembrerebbe pertanto - a parere di autorevoli studiosi, inclusi gli
archeologi italiani attualmente impegnati in Pakistan con l'IsIAO - l'unica soluzione realizzabile in grado di tutelare il patrimonio culturale della valle dell'Indo, che testimonia le attività e i progressi delle varie comunità umane avvicendatesi lungo l'asse dell'antica via delle seta, che tanta parte ha avuto nello sviluppo e nella diffusione della civiltà tra oriente e occidente.
Eventuali forme di collaborazione per la salvaguardia della zona archeologica di Chilas potranno essere attuate secondo il Programma esecutivo di collaborazione scientifica e tecnologica tra l'Italia e il Pakistan per gli anni 2006-2007, che prevede (punto 2.3.1.) «lo scambio di informazioni, pubblicazioni ed esperti in campo archeologico, museale e del restauro», recentemente esteso, per volontà del nostro Ministero per i beni e le attività culturali, anche al campo della conservazione e tutela del patrimonio culturale delle parti contraenti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.
MARTUSCIELLO. - Al Ministro dei beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
sulla stampa napoletana (il Mattino del 12 dicembre 2006 - 28 dicembre 2006 - 29 dicembre 2006) sono stati pubblicati degli articoli aventi per oggetto la Società Scabec (51 per cento partecipazione tra regione Campania e 49 per cento di società private) che dovrebbe prendere in gestione alcuni importanti siti archeologici, monumentali e museali della regione Campania già «dipendenti» dal Mibac; si sono susseguite numerose polemiche relative al metodo ed al criterio con il quale sarebbero stati assegnati i suddetti «beni»;
secondo quanto risulta all'interrogante, il direttore regionale non ha messo preventivamente a conoscenza, in una riunione congiunta con tutti i sovrintendenti della Campania (questa richiesta fu avanzata anche dalle OO.SS. di categoria), della costituzione di questa società, della sua struttura, dei suoi criteri operativi, dei suoi obiettivi e la Scabec, inoltre, ha incaricato un dipendente del Mibac di collaborare alla realizzazione di un progetto finanziato dalla regione Campania e affidato alla direzione regionale, progetto volto alla catalogazione delle opere d'arte presenti «nei principali musei stranieri e nelle collezioni private all'estero»;
un progetto, a giudizio dell'interrogante, del tutto risibile (in quasi tutti i musei del mondo, non solo i principali, si conservano opere d'arte campane per la cui catalogazione sarebbe necessario impiegare quanto meno un decennio, mentre il progetto di cui sopra dovrebbe essere definito tra il gennaio ed il luglio 2007), sia per le sue finalità che per i tempi di realizzazione previsti;
a giudizio dell'interrogante, sarebbe stato più utile investire le risorse finanziarie previste per questo progetto direttamente sul patrimonio presente in Campania;
tra l'altro la sovrintendenza del polo museale di Capodimonte, che da più di trenta anni ha rapporti di collaborazione con le maggiori istituzioni museali straniere, è stata non solo esclusa dal progetto ma addirittura non informata dell'iniziativa mentre da parte della direzione regionale, veniva contemporaneamente richiesta una collaborazione della stessa sovrintendenza -:
se non sia il caso di rivedere con grande attenzione e senso di responsabilità nei confronti del patrimonio archeologico ed artistico che lo Stato ha il dovere di tutelare, l'elenco dei siti statali da trasferire in gestione alla regione Campania e per essa alla Scabec, tra i quali complessi di eccezionale importanza come gli scavi di Velia, la Certosa di San Lorenzo a Padula, la Certosa di S. Giacono a Capri, la Grotta Azzurra di Capri, il Castello di Baia, il Rione Terra a Pozzuoli ed altri ancora.
(4-02136)
Risposta. - L'acquirente ha espresso al soprintendente del Polo museale fiorentino,
la propria disponibilità a vendere allo Stato italiano i dipinti per la somma di 3.800.000 euro con possibilità di un consistente sconto.
In merito al quesito relativo alle iniziative che il Ministero intende intraprendere per la tutela e la valorizzazione delle opere, è in corso di valutazione da parte del Polo la possibilità di acquistare i preziosi dipinti destinando a ciò una parte della somma che il Ministero aveva stanziato per l'asta ed individuando, per la parte rimanente, altri soggetti disposti a contribuire.
Una richiesta in tal senso è stata avanzata dal soprintendente all'ente Cassa di Risparmio di Firenze e, attualmente, il Polo è in attesa di una risposta.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.
MELLANO e D'ELIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la circolare del Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria del 20 febbraio 1998, n. 3470/5920 afferma, con riferimento ai detenuti sottoposti al regime detentivo di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 che il «diritto alla socialità», anche all'esterno della cella, si esercita in gruppi, di almeno due unità, «nei limiti della compatibilità tra soggetti»;
risulta che Giuseppe Misso (all'anagrafe Giuseppe Missi, nato a Napoli il 6 luglio 1947), detenuto sottoposto al citato regime di «41-bis» da oltre due anni all'interno dell'istituto penitenziario di Spoleto, non abbia mai potuto beneficiare della socialità a seguito della decisione della Direzione del carcere che propone al signor Misso la compagnia di un solo altro detenuto e che questa compagnia gli veniva e viene presentata come unica opportunità di esercitare il diritto alla socialità;
risulta che Giuseppe Misso, pur avendo avuto un comportamento definito «modello» dall'amministrazione carceraria di Spoleto, continua ad usufruire di un solo colloquio mensile di un'ora, mentre da tempo è richiesta la possibilità di usufruire, come accade per la quasi totalità dei detenuti sottoposti al «41-bis», di due colloqui mensili;
come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 1997 n. 376, il regime penitenziario denominato «41-bis» è motivato da sole esigenze di sicurezza, e non può essere interpretato ed applicato come aggravamento della penalizzazione nei confronti dei presunti appartenenti alla criminalità organizzata, e tanto si riflette inevitabilmente sulla necessità di garantire il diritto alla socialità nelle condizioni di «compatibilità» che la stessa circolare del DAP del 20 febbraio 1998 indica;
la stessa sentenza della Corte costituzionale del 1997, n. 376 chiarisce come la sottoposizione al regime del «41-bis» non esclude affatto l'attività di osservazione del detenuto e la necessità legale di garantire opportunità di risocializzazione, e tanto si riflette inevitabilmente sul riconoscimento della condotta carceraria irreprensibile ai fini dell'attribuzione di un ulteriore colloquio mensile -:
quali iniziative il Ministero della giustizia intenda intraprendere per assicurare a Giuseppe Misso, ristretto nell'istituto penitenziario di Spoleto, il diritto alla socialità;
quali iniziative il Ministero della giustizia intenda intraprendere per assicurare che a Giuseppe Misso vengano assicurati due colloqui mensili secondo i princìpi in tema di risocializzazione citati in premessa.
(4-03628)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame si comunica quanto segue, sulla scorta delle notizie fornite dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria.
Giuseppe Misso è attualmente ristretto presso una semisezione della Casa di Reclusione di Spoleto, riservata ai detenuti
sottoposti al regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario.
Lo stesso effettua regolarmente la socialità unitamente ad altri due detenuti, inseriti nel medesimo circuito. Si precisa, a tal proposito, che la vigente normativa (legge 279 del 2000) fissa solo il numero massimo di persone (nella fattispecie, cinque) che possono trascorrere insieme i momenti di aggregazione, lasciando alla discrezionalità dell'Amministrazione la possibilità di individuare la composizione ottimale di ciascun gruppo. Ciò è necessario al fine di evitare il formarsi di situazioni promiscue pericolose per la sicurezza, alla luce delle contrapposizioni esistenti tra i vari clan mafiosi.
Anche la fruizione del solo colloquio visivo mensile della durata di un'ora risulta conforme al dettato normativo, residuando l'ulteriore possibilità di colloquio quale ipotesi eccezionale raramente inserita nei decreti ministeriali di applicazione del regime de quo.
Il regime previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario ha, come noto, finalità di natura strettamente preventiva, essendo preordinato ad impedire il mantenimento dei collegamenti tra soggetti di elevatissimo spessore delinquenziale ed il loro ambiente criminale di provenienza; in tale ottica non possono avere che una rilevanza residuale, ai fini della modulazione delle misure imposte dal regime in questione, le istanze di risocializzazione o di buona condotta intramuraria cui l'interrogante si appella.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
MIGLIOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nelle scorse settimane sulla stampa locale modenese sono apparsi articoli riportanti frasi tratte da un documento della Corte di Appello di Bologna in cui si ipotizza la soppressione della sede distaccata del tribunale di Sassuolo;
come è noto Sassuolo è la capitale italiana delle ceramiche, centro di interesse nazionale ed internazionale e tale notizia ha creato perplessità e allarmismo nell'opinione pubblica, negli operatori delle attività economiche;
l'amministrazione comunale si è da sempre prodigata in questi anni per garantire il funzionamento della sede distaccata del tribunale ritenendolo un servizio per l'intera comunità che tra l'altro comprende comuni di grande importanza quali oltre a Sassuolo, Maranello, Fiorano Modenese e Formigine -:
se le informazioni pubblicate dalla stampa rispondano al vero e quale azione intenda intraprendere il Ministero al fine di garantire la continuazione dell'attività della sede staccata del tribunale di Sassuolo.
(4-04322)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, concernente la paventata soppressione della sezione distaccata di Sassuolo del circondario del Tribunale di Modena, si fa preliminarmente presente che l'articolo 48-ter del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 introdotto dal decreto legislativo n. 51 del 1998 prevede che all'istituzione, alla soppressione e alla modifica delle circoscrizioni delle sezioni distaccate di Tribunale si provveda con decreto motivato del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, previo parere del Consiglio superiore della magistratura.
Tutto ciò premesso, si rassicura il deputato interrogante che, allo stato, non sono all'esame ipotesi di modifica o soppressione del circondario del Tribunale in questione.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
MIGLIORI. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
risultano ormai inaccettabili i ritardi relativi alla progettazione della bretella di collegamento tra il Comune di Firenzuola (Firenze) e l'autostrada A1;
tale ritardi sono ancora più ingiustificabili perché tale opera rientra nell'ambito degli interventi collegati alla realizzazione della variante di valico di competenza di Autostrade per l'Italia SpA in una logica «riparatoria» nei confronti del Comune di Fiorenzuola causa anche il particolare utilizzo della cava di Sasso di Castro;
i tracciati definiti nel 2004 risultavano interferire con falde acquifere tanto che nel 2005 la Regione Toscana, la Provincia di Firenze e gli enti locali interessati chiesero alla società Autostrade una soluzione del tracciato differente -:
quale sia l'effettiva situazione dell'iter progettuale dopo gli anni di stallo trascorsi;
quali siano, i termini temporali entro i quali la Società Autostrade intende realmente consegnare alla Regione Toscana il progetto definitivo onde permetterne l'avvio delle valutazioni di impatto ambientale;
quali iniziative concrete in merito nei confronti della Società Autostrade abbia fino ad oggi assunto il Governo o se intenda assumerle in futuro.
(4-04692)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La realizzazione della bretella di collegamento tra il Comune di Firenzuola e l'Autostrada A1 è un intervento inserito tra quelli assentiti in concessione alla Società Autostrade per l'Italia ed è suddiviso in 4 lotti: 14 - 15 -16 e 17 della Variante di Valico.
I lotti 15 e 16 sono stati ultimati ad opera del Consorzio CAVET, nell'ambito dei lavori della linea ferroviaria.
Per quanto riguarda il lotto 17 si rappresenta che i lavori sono stati avviati nell'aprile scorso ed attualmente procedono con il completamento delle attività di bonifica bellica e di disboscamento delle aree.
Riguardo al lotto 14 si comunica che il tracciato è in via di definizione con gli enti locali interessati e nei primi mesi del 2008 saranno avviate le procedure di Valutazione di impatto ambientale e la Conferenza dei Servizi.
Con particolare riferimento alle richiamate interferenze del tracciato autostradale con le falde acquifere, la Società Autostrade per l'Italia ha fatto conoscere quanto segue.
A seguito della conferenza di servizi del 24 settembre 2001 e del conseguente provvedimento di autorizzazione ministeriale alla realizzazione delle relative opere, Autostrade per l'Italia ha avviato lo studio idrogeologico finalizzato alla verifica dell'eventuale interferenza dei lavori della Bretella di Firenzuola secondo il tracciato «storico» (approvato nel periodo 1992-1996) con le sorgenti utilizzate dalla Società Acqua Panna.
Tale studio è stato trasmesso in data 14 maggio 2003 a tutti i Ministeri ed enti interessati. In quell'occasione, Autostrade per l'Italia ha comunicato che i lavori di scavo della galleria Poggione, ricompresa nel tratto iniziale (Lotto 1) del tracciato «storico», avrebbero potuto innescare un rapido depauperamento dell'acquifero utilizzato dalla Società Acqua Panna.
Autostrade per l'Italia ha contestualmente dichiarato di avere avviato la predisposizione del progetto di un tracciato stradale alternativo a quello a suo tempo approvato, che impatti sull'acquifero Panna in minor misura, così come richiesto dalla conferenza di servizi del 24 settembre 2001.
Il 28 agosto 2003, Autostrade per l'Italia ha quindi inviato agli enti interessati lo studio di fattibilità riferito a quattro nuove soluzioni di tracciato, In quella sede è stata anche indicata la soluzione progettuale ritenuta al momento preferibile dal punto di vista ambientale e trasportistico evidenziando nel contempo la necessità di successivi approfondimenti e verifiche di tipo geologico, geomeccanico ed idrogeologico. In proposito, data la complessità delle problematiche da affrontare, è stata richiesta la costituzione di un'apposita commissione di studio, composta da rappresentanti della Società e degli enti territoriali, cui affidare la campagna di indagini integrative e l'individuazione della configurazione plano-altimetrica definitiva del tracciato stradale.
In data 8 settembre 2003 il tavolo di verifica istituzionale promosso dalla Regione Toscana e composto da rappresentanti degli enti locali interessati, ha riesaminato lo studio di fattibilità già trasmesso da Autostrade per l'Italia, mettendo a confronto le quattro soluzioni alternative di tracciato proposte. In quella sede si è deciso di condurre degli approfondimenti tecnici su due delle quattro ipotesi progettuali attraverso lo sviluppo di specifici studi di tipo geologico, geomeccanico ed idrogeologico. Per la programmazione e la verifica dell'esito di questi ultimi si è ritenuto inoltre necessario costituire un gruppo tecnico di lavoro (Comitato tecnico «Bretella di Firenzuola»), composto da sette esperti di cui cinque designati dagli enti e due da Autostrade per l'Italia.
Il 3 dicembre 2004, tale Comitato di esperti ha presentato la relazione tecnica finale relativa al lavoro svolto (cosiddetta Prima Fase), rappresentando risultati della campagna di indagini specialistiche eseguite al fine di verificare la fattibilità delle ipotesi di tracciato approvate dagli Enti locali competenti nella riunione dell'8 settembre 2003.
Successivamente, il 19 gennaio 2005, la regione Toscana ha richiesto ad Autostrade per l'Italia di procedere ad un ulteriore approfondimento progettuale in riferimento sia ad una delle ipotesi di tracciato già individuate sia ad un'ulteriore ipotesi proposta dal Comune di Firenzuola.
L'approfondimento in questione (cosiddetto Seconda Fase del lavoro del Comitato Tecnico) si e svolto con particolare riferimento all'ipotesi di tracciato formulata dal Comune di Firenzuola, opportunamente ottimizzata dal punto di vista geometrico e geotecnico.
Nel corso di tale fase è stata condotta una nuova e impegnativa campagna geognostica, tra il 2005 ed il 2006, ad integrazione ed approfondimento delle precedenti campagne.
Il 3 novembre 2006, presso la sede del Comune di Firenzuola, il Comitato tecnico ha presentato la relazione conclusiva dei lavori di tale seconda fase individuando nel tracciato denominato «Ipotesi Badia - Rev. 1», sviluppato da SPEA a livello di progetto preliminare, la soluzione realizzabile senza interferire con l'acquifero Panna.
Si è quindi reso necessario predisporre il progetto definitivo e correlato studio di impatto ambientale. Quest'ultimo deve essere redatto in base alla normativa regionale in materia ambientale (legge regionale Toscana 79 del 1998), trattandosi di «strada extraurbana secondaria».
Si è proceduto altresì a condurre una ulteriore e più approfondita campagna di indagini specialistiche (geognostiche, topografiche, aereofotogrammetiche e di laboratorio).
Nel frattempo sono stati attivati dei tavoli di confronto con gli Uffici tecnici del Comune di Firenzuola e della Provincia di Firenze al fine di recepire le diverse istanze del territorio nella stesura del progetto stesso.
La consegna della Progettazione definitiva e del correlato studio di impatto ambientale è previsto per la fine del corrente mese di novembre 2007.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
MONDELLO. - Al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
all'interrogante sono pervenute dal comitato cittadini di una zona di Staglieno (Genova) densamente abitata (con più di 6.500 abitanti) firme (oltre 1.200) per la richiesta di apertura in via Burlando di un ufficio postale, che sarebbe assolutamente necessario;
da anni gli abitanti della zona di Stagliano si stanno battendo per l'apertura dell'ufficio postale, inviando lettere ed invitando Poste italiane a dare una risposta alle varie richieste. Gli uffici postali più vicini sono in via Assarotti e in Corso De Stafanis e occorre prendere 2 autobus per raggiungerli, con gravi difficoltà delle persone anziane e portatori di handicap;
in via Burlando ci sarebbero anche dei locali idonei a piano stradale (via Burlando 88 e 90 R) privi di barriere
architettoniche, e a suo tempo il comitato promotore di Staglieno aveva presentato un progettino per la funzionalità dell'ufficio alle stesse Poste italiane -:
riguardo a quanto esposto in premessa quali provvedimenti di propria competenza intenda adottare, per l'apertura dell'ufficio postale così necessario per non creare disagi ai cittadini della zona di Staglieno.
(4-02600)
Risposta. - Al riguardo occorre anzitutto far presente che gli aspetti organizzativo-gestionali della società Poste italiane spettano agli organi statutari della società medesima, la quale individua il tipo ed il numero delle risorse ritenuti necessari a garantire il rispetto degli obblighi connessi alla fornitura del servizio universale: dislocazione degli uffici, numero degli sportelli, modalità tecniche considerate idonee a soddisfare la richiesta di servizi da parte dell'utenza.
Il Ministero delle comunicazioni è legato alla società Poste da un contratto di programma che assicura al Ministero stesso - quale Autorità di regolamentazione del settore postale - una potestà di vigilanza per verificare il corretto espletamento del servizio universale, ma non consente al governo di intervenire nella gestione dell'azienda.
Ciò premesso in linea generale, per quanto concerne la specifica questione, prospettata dall'interrogante degli uffici postali nella zona di Staglieno (Genova) la medesima società Poste - interessata al riguardo - ha comunicato di avere attentamente considerato le esigenze di ordine sociale segnalate.
Ed, invero, già nel corso del 2003, era stata esaminata la possibilità di incrementare l'offerta dei servizi nella zona in questione, individuando, in via Burlando, dei locali in cui situare un nuovo ufficio postale che, però, a seguito delle analisi commerciali effettuate, si erano rivelati non idonei a soddisfare le esigenze della clientela, poiché non sufficienti a contenere un numero di sportelli e sale consulenze adeguati.
In attesa di trovare una diversa soluzione, la società ha riferito che, per venire incontro alle richieste dei cittadini, si è provveduto a riposizionare l'ufficio di Genova 22 avvicinandolo all'area in questione.
Nello stesso tempo, sono state avviate ulteriori ricerche di locali nei pressi di piazza Manin - adiacente alla zona di Staglieno - per il riposizionamento dell'ufficio postale di Genova 11, attualmente ubicato in via Assarotti.
Nel sottolineare la costante attenzione riservata alle esigenze della clientela, la società Poste ha fatto presente che ogni ulteriore valutazione in merito all'opportunità di aprire un nuovo ufficio postale nel quartiere di Staglieno verrà presa in considerazione in base alle effettive necessità che dovessero emergere anche successivamente all'adozione del nuovo assetto organizzativo.
Il Ministro delle comunicazioni: Paolo Gentiloni Silveri.
NACCARATO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la sezione lavoro del Tribunale di Padova dal 2004 dispone di quattro magistrati che compongono la dotazione organica;
le liti pendenti sono circa 5.000 con un carico medio per ogni magistrato di 1.250 cause;
la notevole produttività dei magistrati impegnati non ha impedito che rimanesse costante nel tempo il numero delle liti pendenti con una leggera tendenza al peggioramento;
questa situazione appare da tempo la più difficile della regione Veneto;
i tempi occorrenti per una decisione di una causa ordinaria media non sono inferiori ai quattro/cinque anni, ma sono frequenti i casi di liti risolte dopo 6, 8 e persino 10 anni;
tali dati si allontanano pericolosamente sia dagli indicatori di efficienza
raccomandati dal Consiglio Superiore della Magistratura, sia dai pareri della Corte di Cassazione e della Corte europea sulla durata dei processi, in particolar modo di quelli riguardanti cause di lavoro;
se si considera la centralità della funzione esercitata dai Tribunali del lavoro in una delle zone più produttive dell'Italia, in cui occupazione e contenzioso presentano indici elevatissimi, si coglie ancor meglio il grado di criticità della situazione descritta;
come conseguenza di questi abnormi tempi della specialità del diritto del lavoro, vengono meno le tutele di valori essenziali e primari per i «contraenti deboli» del rapporto di lavoro quali il diritto al lavoro, il recupero di crediti, il riconoscimento di diritti previdenziali elementari;
inoltre si aggrava progressivamente il giudizio che le imprese italiane e straniere formulano sulle tutele offerte dai nostri tribunali rispetto contenziosi riguardanti le liti di lavoro, con il risultato che si consolida l'orientamento a spostare all'estero gli stabilimenti produttivi;
ciò, infine, determina da un lato malumori crescenti dei cittadini verso il funzionamento della giustizia, sfiducia verso le istituzioni e il tramutarsi delle funzioni esercitate dalle organizzazioni sindacali e dagli uffici legali in attività assimilabili ad ammortizzatori sociali, dall'altro il rischio della caduta verticale delle motivazioni dei magistrati e del personale della Giustizia e del servizio istituzionale offerto e garantito ai cittadini -:
se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
se intenda disporre la destinazione di almeno due magistrati per incrementare l'organico del Tribunale del lavoro di Padova;
quali ulteriori provvedimenti intenda adottare al fine di garantire un celere recupero di tempi certi per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e per il raggiungimento degli standards europei sopra richiamati indispensabili al funzionamento della giustizia e del mondo della produzione e del lavoro.
(4-02279)
Risposta. - L'organico dei magistrati togati del Tribunale di Padova (composto, oltre al Capo dell'Ufficio, da 3 Presidenti di sezione e 39 giudici, quattro dei quali con funzioni di giudice del lavoro) presenta, allo stato, la vacanza di uno dei tre predetti posti di Presidente di sezione (pubblicato dal Consiglio superiore della magistratura in data 24 novembre 2006), nonché di 3 dei 39 posti di giudice complessivamente previsti (anch'essi pubblicati in data 25 maggio 2007); e ciò tenuto conto del magistrato in entrata, dottoressa Linda Arata, trasferita all'Ufficio patavino con decreto ministeriale 1o febbraio 2007. La dottoressa Caterina Zambotto, invece, risulta essere stata immessa nell'esercizio delle funzioni giudiziarie assegnatele presso l'Ufficio in parola a far tempo dal 24 maggio 2007.
Quanto al più specifico argomento rappresentato dall'interrogante, si osserva che presso il Tribunale di Padova non risulta istituita, allo stato, un'apposita Sezione Lavoro, mentre il progetto organizzativo del Tribunale in parola valevole per il biennio in corso (2006/2007) presenta uno schema partitivo articolato in quattro sezioni ordinarie, una sezione stralcio, una sezione agraria ed una Corte di Assise.
Pertanto, la trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza obbligatoria, in particolare, è devoluta ad una delle quattro sezioni ordinarie (e, segnatamente, la Prima sezione civile), nella cui composizione risultano confluite anche le quattro unità togate che svolgono le funzioni di giudice del lavoro attualmente previste dall'organico del Tribunale di Padova.
Per converso, va evidenziato che ogni eventuale incremento del numero dei giudici del lavoro necessita di un'apposita deliberazione consiliare che attribuisca espressamente al magistrato tali funzioni (non essendo sufficiente, a tal fine, l'attivazione del mero procedimento di modificazione tabellare).
Per ciò che concerne il prospettato quesito relativo al recupero di tempi rapidi per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori, al fine di soddisfare le fondate e legittime esigenze di celerità nella soluzione delle controversie lavoristiche, questo Dicastero si è attivato per giungere in tempi brevissimi alla predisposizione di schemi di disegni di legge per il riassetto della normativa processuale del lavoro.
Infatti, con decreto ministeriale del 28 novembre 2006 consultabile sul sito web www.giustizia.it, ha istituito un'apposita Commissione chiamata ad elaborare schemi di provvedimenti normativi per riformare la materia processuale del lavoro, adeguandola al notevolissimo incremento delle controversie. Gli interventi riformatori della Commissione, che ha concluso i lavori nei tempi previsti, si sono concentrati sui seguenti gruppi tematici: arbitrato e conciliazione, licenziamenti e trasferimenti, processo previdenziale e misure di razionalizzazione del processo del lavoro.
In tema di licenziamenti e di trasferimenti, l'articolato propone aggiustamenti sostanziali, funzionali ad un più spedito iter processuale, prevedendo modifiche procedurali e interventi di natura ordinamentale. Quanto alla conciliazione, è previsto che tale fase si inserisca nel giudizio già iniziato, in guisa di conciliazione endogiudiziale.
Le modifiche proposte prevedono, inoltre, meccanismi arbitrali di risoluzione del contenzioso lavorativo alternativo alla giurisdizione statale.
L'articolato include misure specifiche per la trattazione accelerata delle controversie previdenziali, che costituiscono più della metà delle controversie di lavoro pendenti e presentano la più alta percentuale di cause seriali spesso risolvibili con idonei accertamenti tecnico sanitari.
Infine, sono state previste modifiche alla normativa vigente per realizzare l'obiettivo della razionalizzazione del processo del lavoro in generale.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
NESPOLI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. - Per sapere - premesso che:
nel mese di novembre dell'anno 2004 è stata approvata la graduatoria dei partecipanti al concorso per la copertura in pianta organica di 443 posti per Ufficiali, Giudiziari C1 e Cancellieri C1 ritenuti, all'uopo, idonei;
la graduatoria in oggetto ha durata e validità triennale e, quindi, scadrebbe tra un mese esatto;
il Ministero della giustizia ha, da tempo, richiesto al preposto Dipartimento del Ministero della funzione pubblica l'autorizzazione ad assumere proprio gli idonei al già citato concorso -:
a che punto siano le procedure autorizzatorie utili all'assunzione dei predetti concorrenti ritenuti idonei a ricoprire i 443 posti di Ufficiale giudiziario e se non sia il caso, al fine di non vanificare le procedure concorsuali dell'anno 2004, con l'aggravio di ulteriori costi per l'espletamento di un nuovo, identico, concorso, di velocizzare e, quindi, assumere in tempo utile tutto il personale che risulta essere indispensabile al normale svolgimento dell'attività giudiziaria che, ad oggi, viene esercitato in condizioni di somma urgenza ed emergenza e, spesse volte, con enorme carenza di risorse umane.
(4-05195)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, riguardante il concorso pubblico bandito in data 8 novembre 2002 per la copertura di 443 posti di ufficiale giudiziario con la posizione economica di C1, si ritiene opportuno chiarire il quadro normativo entro il quale la questione deve essere valutata.
È necessario, infatti, ricordare che l'articolo 1, comma 95, della legge n. 311 del 2004 (cosiddetta finanziaria 2005), stabiliva il blocco delle assunzioni per gli anni 2005, 2006 e 2007. Nel successivo comma 96, tuttavia, erano previste deroghe al suddetto blocco per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza, nel
limite di un contingente complessivo di personale, corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 120 milioni di euro.
Inoltre, lo stesso comma 96 rinviava all'articolo 39, comma 3-ter, della legge n. 449 del 27 dicembre 1997, in base al quale le assunzioni di personale nelle pubbliche amministrazioni sono autorizzate con decreto del Presidente della Repubblica, a seguito di una attività istruttoria e con la procedura di cui al medesimo articolo.
Negli anni 2005 e 2006 le assunzioni in deroga sia dei vincitori di concorso, sia dei valutati idonei sono state, quindi, effettuate nel rispetto di tali normative e secondo le modalità in esse stabilite.
Ne discende che anche le disposizioni introdotte in materia dalla legge n. 296 del 2006 (cosiddetta finanziaria 2007) vanno necessariamente collocate nell'ambito del descritto assetto normativo. Nello specifico occorre fare riferimento all'articolo 1, comma 519, della predetta legge che prevede, per il perseguimento degli obiettivi di stabilizzazione del precariato, la destinazione di una quota pari al 20 per cento del fondo di cui al predetto comma 96, articolo 1, della legge 311 del 2004, così come richiamato dal comma 513, articolo 1, della legge finanziaria 2007.
A ciò si aggiunga l'articolo 1, comma 97, della finanziaria del 2005 che - nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione di cui al menzionato comma 96 - considerava prioritaria l'immissione in servizio di talune categorie, ivi compresi i vincitori di concorso e «gli idonei al concorso pubblico per la copertura di 443 posti di ufficiale giudiziario C1, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 13 dicembre 2002».
Tutto ciò premesso, si intende evidenziare che il Ministero della Giustizia ha assunto personale nell'intero arco temporale che va dal 2004 al 2007.
Infatti, con Provvedimenti del Direttore generale in data 11 ottobre 2004, 14 dicembre 2004, 20 gennaio 2005 e 11 aprile 2005, sono stati assunti 248 vincitori di concorso nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1; con provvedimento del 23 settembre 2005 sono stati assunti 184 vincitori di concorso nella medesima figura professionale; con provvedimenti del 17 ottobre 2005, 28 novembre 2005, 20 dicembre 2005, 23 dicembre 2005, 27 dicembre 2005 e 10 febbraio 2006 sono stati assunti n. 164 idonei di concorso nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Infine, con provvedimenti del 17 ottobre 2006, 5 dicembre 2006, 13 dicembre 2006, 15 dicembre 2006 e 1o febbraio 2007, sono stati assunti 106 idonei di concorso nella figura professionale di cancelliere C1 ai sensi dell'articolo 1, comma 97 lettera c), della legge 30 dicembre 2004 n. 311.
Si rappresenta che in relazione alle 702 assunzioni sono state scorse le graduatorie distrettuali del suddetto concorso, e che alcune persone regolarmente convocate hanno rinunciato all'assunzione e sono state, quindi, sostituite con altre persone della stessa graduatoria distrettuale.
Si segnala, infine, che con nota 26 settembre 2007 il Dipartimento dell'Organizzazione del personale e dei servizi presso il Ministero della giustizia ha richiesto al Dipartimento della funzione pubblica ed al Ministero dell'economia e delle finanze l'autorizzazione all'assunzione delle restanti 417 unità di idonei del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 (più 1 unità relativa ad analogo concorso per la Valle d'Aosta), al fine di assumere integralmente tutte le persone utilmente inserite nelle relative graduatorie generali di merito.
Con riguardo a tale ultimo punto si informa che, secondo quanto comunicato dal Dipartimento delle Riforme ed Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, l'assunzione di personale dell'amministrazione dello Stato relativa all'anno 2007 verrà secondo la priorità sancita dall'articolo 1 comma 97 lettera c) della legge n. 311 del 2004, ed il prescritto decreto del Presidente della Repubblica di autorizzazione delle assunzioni sarà emanato, anche per il corrente anno, dopo aver valutato comparativamente le richieste pervenute.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
NESPOLI e CASTIELLO. - Al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
la Società «Poste Vita», primaria compagnia d'assicurazioni presente sul mercato italiano, risulta essere interamente controllata da «Poste Italiane SpA»;
nel corso degli ultimi mesi Poste Vita pare abbia assunto un considerevole numero di personale tra impiegati e funzionari attingendo quasi esclusivamente da risorse precedentemente impiegate presso la Compagnia di Assicurazioni INA del Gruppo Generali -:
quali siano stati i criteri che hanno indotto a tale scelta e quale organismo dirigenziale del Gruppo Poste Italiane SpA abbia deliberato in proposito;
se i criteri adottati abbiano seguito presupposti meritocratici e per quale ragione non si sia optato anche per l'approvvigionamento di tali risorse umane dal vasto bacino di personale comunque qualificato ma attualmente in stato di disoccupazione.
(4-05306)
Risposta. - Al riguardo si ritiene opportuno sottolineare che gli aspetti organizzativo-gestionali di Poste italiane spettano agli organi statutari della società medesima laddove al Ministero delle comunicazioni, quale Autorità di regolamentazione del settore postale, spetta, ai sensi del decreto legislativo n. 261 del 1999, il compito di vigilare affinché gli obblighi del servizio postale universale siano rispettati.
Tuttavia, per quanto attiene alla problematica posta con l'atto parlamentare cui si risponde, non si è mancato di interessare la predetta società Poste che, al riguardo ha riferito quanto segue.
Poste Vita S.p.A., società controllata al 100 per cento da Poste italiane S.p.A., si occupa di presidiare l'area di business assicurativa.
Negli ultimi anni l'assetto organizzativo di Poste Vita è mutato in termini di dimensioni e di volumi non solo per far fronte alle richieste del mercato, ma soprattutto per garantire la piena conformità al quadro normativo di riferimento.
In tale contesto è stato necessario rafforzare l'organico della società con risorse professionalizzate ed esperti provenienti dal settore assicurativo. Stando a quanto precisato, pertanto, del 2004 sono state assunte dal mercato esterno 56 unità provenienti da primarie società di assicurazioni: di queste solamente quattro (di cui una nell'ultimo biennio) provenienti da INA-Gruppo Generali.
Il Ministro delle comunicazioni: Paolo Gentiloni Silveri.
NESPOLI e CASTIELLO. - Al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio di Stato (Sezione V, decreto n. 5986 del 9 ottobre 2006) ha respinto il ricorso e, quindi, ritenuta legittima una delibera di Giunta Comunale secondo la quale non spettava alcun rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente in occasione di un giudizio penale a suo carico per fatti connessi all'espletamento del servizio sebbene conclusosi, in Appello, con sentenza di assoluzione con formula piena;
il Consiglio di Stato, richiamandosi all'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 268 del 1987 vigente all'epoca dei fatti, ora articolo 28 del contratto collettivo nazionale di lavoro 14 settembre 2000, ha sostenuto che non spetta alcun rimborso delle spese legali poiché, nel fatto di specie, si è ravvisata l'esistenza di un conflitto di interessi tra l'Amministrazione comunale, costituitasi parte civile nel giudizio penale, ed il dipendente anche se il procedimento si è, in fine, concluso con sentenza di assoluzione con formula piena;
la decisione del Consiglio di Stato presenta anche altri precedenti in senso favorevole (Cassazione, sezione lavoro n. 13624 del 2002; Corte dei Conti, sezione I, n. 106 del 2004; Corte dei Conti, sezione
regione Controllo Campania, paragrafo n. 2 del 2005; Corte dei Conti, Sezione Regionale Controllo Sardegna, par. n. 2 del 2006);
gli interroganti ritengono che l'iter logico-giuridico seguito anche dal Consiglio di Stato renda oltremodo stringenti i paletti per concedere il rimborso delle spese legali effettivamente sostenute da un dipendente in occasione di un giudizio penale a suo carico per fatti comunque connessi all'espletamento del normale servizio conclusosi, poi, con sentenza di assoluzione con formula piena;
nel solo caso di procedimenti che vanno, in fine, a concludersi con sentenze di assoluzione a favore di dipendenti, prescindendo dalla costituzione parte civile dell'amministrazione locale, si dovrebbe riconoscere comunque il rimborso delle spese legali effettivamente sostenute dal dipendente -:
quali iniziative, magari di concerto con le rappresentanze sindacali dei dipendenti degli enti locali, si vogliano attuare al fine di ripensare quanto disposto dall'articolo 28 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 14 settembre 2000 il quale, purtroppo, penalizza anche dal punto di vista economico quanti già subiscono, comunque per questioni connesse all'espletamento di un pubblico servizio, lunghi ed estenuanti processi penali o per responsabilità contabile che, molto spesso, si concludono con assoluzioni piene.
(4-05605)
Risposta. - Si fa riferimento all'interrogazione in esame, relativa al regime del rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente di un ente locale a seguito di un giudizio penale conclusosi con sentenza di assoluzione con formula piena.
Al riguardo si rappresenta, in via preliminare, che, ai sensi dell'articolo 47, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001, gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai comitati di settore e che, in particolare, gli atti di indirizzo delle amministrazioni diverse dalla Stato sono sottoposti al Governo al fine di una valutazione attinente esclusivamente alla compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale.
Ciò premesso, considerato che il caso di specie riguarda il contratto collettivo nazionale del 14 settembre 2000 relativo al comparto Regioni e delle autonomie locali, ne deriva che, quale comitato di settore legittimato ad adottare gli opportuni atti di indirizzo, non opera il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite il Ministro per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione (ex articolo 41, comma 1, decreto legislativo n. 165 del 2001), bensì la Conferenza dei Presidenti delle Regioni (ex articolo 41, comma 3, lettera a), del citato decreto legislativo).
Risulta, dunque, evidente che la contrattazione oggetto dell'interrogazione in esame, e, nello specifico, l'eventuale modifica delle disposizioni in tema di rimborso delle spese legali, è estranea alle competenze di indirizzo riconosciute al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, essendo, al contrario, rimessa alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni - unitamente all'Anci, all'Upi ed all'Unioncamere - ogni valutazione circa il contenuto della parte normativa del contratto collettivo riferito al comparto delle Regioni e delle autonomie locali.
Nel merito della questione sollevata occorre precisare che l'articolo 28 del CCNL del 14 settembre 2000, richiamato dallo stesso interrogante, stabilisce il principio in base al quale l'Ente locale, in caso di procedimenti di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio o all'adempimento dei compiti d'ufficio, è tenuto ad assumere a proprio carico il patrocinio legale del dipendente e ogni connesso onere di difesa sin dall'apertura del procedimento, facendo assistere lo stesso da un legale di comune gradimento, a condizione che non sussista conflitto di interessi.
La citata disposizione contrattuale intende, dunque, chiarire che l'Ente, nell'assumere le spese di patrocinio legale del dipendente nei confronti del quale è pendente il giudizio, agisce non solo nell'interesse
dello stesso ma anche, al contempo, a tutela dei propri diritti ed interessi che risulterebbero, comunque, lesi in caso di soccombenza del dipendente medesimo e che, pertanto, in caso di conflitto di interessi, l'amministrazione non debba assumersi gli oneri di difesa. Ciò in quanto si vuole condizionare il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali all'insussistenza di un conflitto di interesse con l'Ente, insussistenza che, peraltro, nella fattispecie specifica, sembrerebbe non sufficientemente accertata.
Infine, non può non sottolinearsi che l'eventuale modifica della norma contrattuale citata - che, come detto, compete al Comitato di settore deputato ad emanare direttive all'Aran per il Comparto Regioni e Autonomie locali e non, quindi, al Governo - necessiterebbe, comunque, di una adeguata quantificazione, da parte del richiamato Comitato di settore, delle risorse contrattuali disponibili nei limiti degli stanziamenti previsti, a tal fine, dalla legge finanziaria.
Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione: Luigi Nicolais.
NICCHI, LEONI, SASSO, D'ANTONA, BUFFO e MADERLONI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 21 maggio si è appreso che la deputata afghana Malalai Joya, eletta insieme ad altre sessantasette donne in seguito alle elezioni del 2005, è stata espulsa dal parlamento, con la motivazione di «avere espresso critiche nei confronti dei colleghi parlamentari»;
Malalai Joya, che è di recente stata in visita ufficiale nel nostro paese, sta portando avanti, già da molto tempo, una dura battaglia politica contro i signori della guerra e i trafficanti di droga del suo paese, una battaglia per la democrazia e il rispetto dei diritti umani e civili in Afghanistan, riconosciuta a livello internazionale anche dalle Nazioni Unite;
la sua storia era già conosciuta per fatti accaduti nel 2003, quando Malalai Joya contestò duramente i signori della guerra che sedevano con lei alla Loya Jirga nel dicembre 2003, durante i lavori per scrivere la nuova Costituzione;
Malalai fu aggredita fisicamente e in seguito gravemente minacciata, e si dovette nascondere per mesi, sotto la protezione dell'ONU;
il suo impegno costante e la sua determinazione sono stati formalmente riconosciuti a livello nazionale ed internazionale con il premio afghano «Malalai of Maiwand» nel 2001, in Italia con il premio «Donna dell'anno» della Val d'Aosta nel 2004 e a livello internazionale con il premio per la pace coreano «Gwangju Human Rights Award» nel 2006;
il caso di Malalai Joya (così come il fatto che non si hanno ancora notizie certe sulle motivazioni che hanno portato all'incarcerazione e all'incriminazione di Hanefi, il collaboratore di Emergency) dimostra come la crisi afgana, ancora lontana dalla soluzione, non si stia evolvendo verso la na- scita di un compiuto sistema democratico;
la comunità internazionale deve interrogarsi sui risultati che l'azione in Afghanistan sta producendo e sulla necessità di migliorare ed intensificare l'azione politica e diplomatica, più che quella militare, nel paese -:
se il Governo sia stato informato in maniera il più possibile completa dalle nostre autorità diplomatiche e consolari della grave situazione che ha visto coinvolta la deputata Malalai Joya;
se il Ministro non ritenga opportuno muovere i passi necessari al fine di fare chiarezza sulla vicenda suesposta ed eventualmente attivarsi, nell'ambito delle relazioni tra il nostro Paese e l'Afghanistan, affinché venga garantito il rispetto dei diritti individuali e di espressione.
(4-03805)
Risposta. - L'espulsione del deputato Malalai Joya è stata decisa per alzata di mano (e senza conteggio dei voti) dalla Camera bassa (Wolesi Jirga) del Parlamento afgano, a seguito delle opinioni espresse dalla medesima in un'intervista, giudicate gravemente offensive nei confronti dei colleghi.
La procedura è stata avviata in applicazione dell'articolo 70 del Regolamento parlamentare, che proibisce ai deputati di insultarsi reciprocamente.
Malalai Joya ha fatto appello alla Corte Suprema afgana: la sua posizione si basa soprattutto sull'articolo 101 della Costituzione afgana, che stabilisce che nessun membro dell'Assemblea nazionale è perseguibile per le opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni, ed il rango di tale norma dovrebbe porla al di sopra di ogni altra fonte legislativa.
In attesa che la Corte si pronunci in merito, un intervento a livello governativo sul Governo afgano parrebbe prematuro e rischierebbe di apparire poco rispettoso della separazione dei poteri sanciti dalla stessa Costituzione afgana.
I parlamentari italiani potranno invece individuare altre, più adeguate forme di interazione paritaria tra Parlamenti, per far pervenire ai colleghi afgani le proprie opinioni.
Vorrei ricordare come il contributo del nostro Paese al processo di stabilizzazione e sviluppo istituzionale dell'Afghanistan sia costante. Come è noto, dal 2001 l'Italia coordina lo sforzo internazionale nel settore della giustizia, nella convinzione del ruolo fondamentale che questi principi svolgono nel quadro complessivo della ricostruzione del Paese, indispensabili per garantire sicurezza, democrazia, diritti umani e sviluppo economico.
In tal senso ci si è sempre espressi nei frequenti contatti intrattenuti ai più alti livelli delle istituzioni afgane. La conferenza «Rule of Law in Afghanistan», promossa dall'Italia e tenutasi a Roma il 2 e 3 luglio 2007, ha assicurato il supporto finanziario della comunità internazionale, necessario per conseguire risultati concreti nella riforma del settore della giustizia e dello Stato di diritto.
Il nostro Paese è anche attivamente impegnato nei competenti fora multilaterali affinché la situazione dei diritti umani in Afghanistan, ed in particolare la condizione delle donne afgane, sia costantemente all'attenzione della comunità internazionale.
Il 28 novembre 2006, nell'ambito dei lavori della 61a sessione, l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato per consenso generale una risoluzione di iniziativa tedesca, co-sponsorizzata dall'Italia insieme ai partner dell'Unione europea, sulla situazione in Afghanistan. Il testo, pur riconoscendo i progressi compiuti dal Governo afgano nel settore delle riforme istituzionali, anche nel campo della garanzia dei diritti civili e politici nel settore giudiziario, richiama Kabul a garantire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a tutti i cittadini, senza discriminazioni di genere, etnia o religione, in accordo con gli obblighi statuiti dalla stessa Costituzione afgana e dal diritto internazionale. Più specificamente, la risoluzione condanna decisamente gli episodi di discriminazione e di violenza registrati nel Paese e richiama il Governo afgano al rispetto degli impegni assunti con la ratifica della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna.
Questa raccomandazione viene richiamata anche nell'ultimo rapporto dell'Alto commissario sui diritti umani sulla situazione in Afghanistan (presentato alla quarta sessione del Consiglio dei diritti umani, lo scorso marzo 2007), dove si sottolinea come il Governo afgano sia chiamato, con il sostegno della Comunità Internazionale, ad intensificare i propri sforzi per aumentare la partecipazione delle donne a livello politico-decisionale, nel rispetto della risoluzione 1325/2000 del Consiglio di sicurezza su donne, pace e sicurezza. In particolare, l'Alto commissario sottolinea come tale sforzo dovrebbe indirizzarsi nel garantire la sicurezza delle donne membri delle istruzioni parlamentari, governative e provinciali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.
NUCARA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2006 è stato pubblicato un Bando di concorso per undici posti di dirigente storico dell'arte da selezionare con tre prove scritte ed una orale;
il 30 per cento dei posti messi a concorso era riservata al personale del Ministero appartenente da almeno 15 anni alla qualifica apicale «C3 super»;
in data 16 maggio 2006, con decreto Direttoriale, è stata nominata la Commissione esaminatrice;
le domande pervenute per la partecipazione sono state 450, di cui solo 316 ammesse, dopo la valutazione dei requisiti fissata dal bando;
alle prove scritte fissate per i giorni 19, 20 e 21 giugno 2006 si sono presentati 157 candidati, dei quali solo 150 hanno superato le tre prove previste;
in data 19 luglio, la Direzione Generale per gli affari generali del Ministero ha comunicato che soltanto 48 candidati sono stati ammessi alle prove orali;
in data 31 agosto, sette dei candidati non ammessi alle prove orali, hanno presentato ricorso giurisdizionale dinanzi al Tar del Lazio per l'annullamento, previa sospensiva, del concorso;
il 6 settembre il Direttore Generale per gli affari generali del Ministero, in attesa delle decisioni del Tar del Lazio, ha sospeso le successive prove orali del concorso;
con il decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 collegato alla finanziaria, recante «Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria», il Governo autorizza un nuovo concorso per 40 dirigenti, di cui il 50 per cento riservato «per titoli di servizio e professionali» ai dipendenti «incaricati di funzioni dirigenziali» -:
se non ritenga che tale articolo, già nella sua formulazione, pregiudichi i diritti acquisiti e crei seri danni patrimoniali e morali ai 48 candidati ammessi alle prove orali e che sono in attesa della sentenza del Tar;
se non si prefiguri una procedura anomala per confermare nelle loro posizioni quelle persone che sono state assegnate a dirigere soprintendenze, alcune delle quali, non avendo superato le prove scritte del concorso, hanno presentato il ricorso al TAR di cui alle premesse;
se non venga leso gravemente un principio costituzionale annullando per legge un concorso in attesa di sentenza di un Tribunale Amministrativo;
se non ritenga necessario assumere iniziative normative per garantire l'espletamento delle procedure concorsuali messe in atto.
(4-01857)
Risposta. - In merito all'interrogazione parlamentare in esame si chiarisce che il decreto-legge 3 ottobre 2006 n. 262 ha consentito all'Amministrazione di bandire un concorso per quaranta posti da dirigente.
Questo concorso non ha in alcun modo interferito con il precedente, bandito il 24 febbraio 2006 per undici posti da dirigente storico dell'arte ed ormai espletato, trattandosi di due concorsi diversi e quindi autonomi.
Infatti, la graduatoria del concorso precedente è stata approvata con determinazione dirigenziale 23 marzo 2007 e trasmessa, per il seguito di competenza, alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministero dell'economia e delle finanze.
La Direzione generale è al momento in attesa dell'autorizzazione ad assumere gli undici funzionari risultati vincitori.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Andrea Marcucci.
OLIVA, LO MONTE, NERI, RAO e REINA. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
il tratto, dell'autostrada Siracusa-Gela, Cassibile-Rosolini è ormai da mesi ultimato e privo solamente dell'illuminazione;
tale arteria stradale è fondamentale per la vivibilità e lo sviluppo del territorio interessato, nonché per la stessa sicurezza della circolazione;
dopo anni di attese e in presenza di una strada già ultimata, di recente, è stata diffusa la notizia in base alla quale l'apertura dell'autostrada sarebbe prevista per la fine del 2008 -:
quali siano i tempi effettivi previsti per l'apertura dell'autostrada Siracusa-Gela e, qualora siano diversi, quali siano i tempi previsti per l'apertura dei diversi lotti della stessa arteria;
quali misure il Ministro interrogato intenda prendere per consentire che i tempi di consegna della detta opera siano ridotti al minimo;
se non sia opportuno porre in essere tutti gli interventi praticabili affinché i lotti dell'autostrada Siracusa-Gela già ultimati siano, anche parzialmente, resi fruibili ai cittadini.
(4-03721)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
In merito all'apertura al traffico dell'Autostrada Siracusa-Gela, ANAS SpA conferma la propria attenzione volta al potenziamento della rete viaria in Sicilia evidenziando l'impulso dato agli interventi di infrastrutturazione nonostante la mancanza di finanziamenti e le difficoltà di cassa del 2006.
In particolare per quanto riguarda l'Autostrada Siracusa-Gela, si indicano gli interventi di Legge obiettivo attualmente in fase di approvazione:
riqualificazione del tratto Siracusa-Cassibile, già in esercizio: installazione di barriere e pavimentazione; l'approvazione del progetto esecutivo è in corso;
lotti 6, 7, 8 - da Rosolini a Modica -: i progetti sono stati approvati;
lotto 9 - fino a Scicli -: il progetto è in corso di approvazione.
Sono, altresì, in via di ultimazione i seguenti interventi:
tratta Noto-Rosolini di cui si prevede l'apertura al traffico entro giugno 2008;
tratta Cassibile-Noto della quale si prevede l'apertura a breve, subordinatamente all'esecuzione di opere impiantistiche provvisorie.
La decisione di apporre sull'arteria una segnaletica e un'illuminazione di tipo provvisorio è stata concordata al fine di accelerare i tempi per l'apertura al traffico.
Il tratto, dell'estesa di km.14, sarà fruibile temporaneamente senza pedaggio, in attesa della costruzione dei caselli autostradali. In entrambi i casi i lavori principali, relativi alle opere civili sono stati ultimati; sono in fase di completamento le opere impiantistiche correlate, oggetto di distinto appalto.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
LEOLUCA ORLANDO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nelle ultime settimane tra la giunta militare del Myanmar, l'ex Birmania, e gli attivisti per la democrazia sono nuovamente emerse delle forti tensioni sfociate rapidamente in una serie di manifestazioni pubbliche brutalmente represse. Secondo quanto riportato da più organi di stampa internazionali le proteste, di carattere pacifico, sono iniziate il 19 agosto scorso a seguito del repentino aumento del 500 per cento dei prezzi di benzina, nafta e gpl, che ha paralizzato la circolazione nei centri urbani ed ha comportato un analogo aumento per i beni alimentari. A
parere di molti tali aumenti nascondono l'intenzione di inasprire il contrasto verso le organizzazioni democratiche di resistenza interna e rappresentano un modo per prolungare sine die il lavoro della Convenzione per la definizione di una nuova Costituzione;
le dimostrazioni pacifiche volte al ripristino della democrazia e sostenute da decenni da svariati movimenti politici come la NDL (Lega Nazionale per la Democrazia) e da organizzazioni sindacali clandestine sono sempre state duramente soffocate e punite. Per Amnesty International, nell'ex colonia britannica sono almeno centocinquanta le persone già finite in carcere dall'inizio di queste ultime proteste. Uno dei primi ad essere arrestato è stato Min Ko Naing, considerato il dirigente democratico più importante del Paese dopo Suu Kyi, Nobel per la pace agli arresti domiciliari da diciassette anni. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, che hanno duramente condannato le azioni dei soldati, nelle carceri birmane sono tuttora rinchiusi circa 1.100 prigionieri politici;
la stessa Croce Rossa internazionale - che in genere evita prese di posizione contro i governi - ha condannato la giunta militare birmana con una durezza pari a quella espressa per il genocidio del Ruanda nel 1994. La requisitoria della Croce Rossa è un elenco terribile di crimini. Nella loro lotta contro le minoranze etniche (come i Karen di religione cristiana) i militari birmani hanno distrutto più villaggi di quanti ne sono stati rasi al suolo nel Darfur. La giunta continua a imporre i lavori forzati alla popolazione, descrivendoli come «volontariato di tradizione buddista». Il narcotraffico che parte dal Triangolo d'Oro ai confini con Laos e Thailandia, gestito dal «signore della guerra» Khun Sha in accordo con il regime, ha provocato un'epidemia di Aids. Sempre più numerosi sono i birmani e le birmane costretti a emigrare in Thailandia in condizioni disperate; come clandestini finiscono in semischiavitù nei cantieri edili o nella prostituzione;
contestualmente la rivolta coinvolge migliaia di Monaci Buddisti che sono stati oggetto di rappresaglie ed ai quali in diversi casi hanno chiuso pagode e monasteri per il culto. Sempre come salvaguardia del proprio potere detenuto dal 1962 il Governo militare ha tagliato tutti i collegamenti telefonici e mediatici con l'estero. Proprio quella della libertà di espressione, per media e cittadini, è una situazione molto grave come ritratto dagli indicatori della Banca Mondiale sulla Governance del Country Data Report for MYANMAR 1996-2006 -:
quale iniziativa intenda attivare in sede europea ed internazionale perché la giunta militare liberi tutti i manifestanti arrestati, riveda le proprie scelte economiche e si impegni in un serio dialogo di trasformazione democratica con tutte le organizzazioni ed i rappresentanti dei movimenti di resistenza interna. Se non consideri inoltre necessario intervenire in sede di Consiglio di Sicurezza per convincere paesi come la Cina e la Russia a rivedere le proprie posizioni di veto verso ogni tentativo di adottare risoluzioni di condanna nei confronti dei militari birmani, responsabili del conflitto armato più lungo del mondo contemporaneo dalla fine della seconda guerra mondiale.
(4-04936)
Risposta. - L'Italia è attivamente impegnata in tutti gli ambiti opportuni, dalle Nazioni unite all'Unione europea, per promuovere le iniziative necessarie a sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e ad indurre il regime di Yangon ad avviare finalmente un dialogo con l'opposizione democratica.
Innanzi tutto ricordo che il nostro Paese ha contribuito al negoziato che ha portato alla decisione dell'Unione europea di presentare all'Assemblea generale delle Nazioni unite, come l'anno scorso, una risoluzione di condanna delle violazioni dei diritti umani in Myanmar. L'Unione europea e con essa l'Italia, si impegnerà attivamente affinché il testo sia approvato dall'organo onusiano, nella prospettiva di accrescere la pressione internazionale su Yangon.
L'Italia, quale membro del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite, ha richiesto insieme ad altri 16 Paesi membri (tra cui 7 Paesi dell'Unione europea una sessione straordinaria dell'organo sulla situazione in Myanmar.
La sessione straordinaria, convocata per la mattina del 2 ottobre, si è conclusa, con l'adozione per consenso di un testo di risoluzione proposto dall'unione europea successivamente emendato, che deplora con forza la violenta repressione delle dimostrazioni popolari e richiama il Governo del Myanmar a liberare tutti i prigionieri politici, ad impegnarsi immediatamente in un dialogo politico con tutte le parti coinvolte e a consentire l'effettivo accesso nel Paese alle organizzazioni umanitarie. La risoluzione richiede inoltre a Yangon di collaborare con il Relatore speciale del Consiglio dei diritti umani sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, permettendogli di verificare l'effettiva attuazione della risoluzione, così da informare il Consiglio degli sviluppi.
Sempre in ambito ONU, il 5 ottobre 2007, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha ascoltato la relazione del Rappresentante Speciale del Segretario generale, Ibrahim Gambari, al termine della sua visita di quattro giorni in Myanmar, dove ha incontrato il capo della Giunta militare, generale Than Shwe, per manifestargli la viva preoccupazione della comunità internazionale per la violenta repressione della protesta, ed ha visto in due occasioni la leader della Lega nazionale per la democrazia e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi.
Nel corso del medesimo incontro, il Rappresentante permanente italiano presso le Nazioni unite è intervenuto esprimendo la preoccupazione italiana ed illustrando le iniziative intraprese dal nostro Paese sul piano bilaterale e multilaterale per far fronte alla situazione venutasi a creare in Birmania.
Desidero inoltre ricordare che l'Italia, in qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza, ha lavorato attivamente per promuovere la Dichiarazione presidenziale approvata l'11 ottobre 2007 con il consenso di tutti i membri del Consiglio di sicurezza. Il testo contiene espressioni di grave preoccupazione per le più deprecabili pratiche del regime birmano e rappresenta una forma di pressione senza precedenti sulle autorità del Myanmar.
La Dichiarazione è un ulteriore fortissimo sostegno per il mandato di buoni uffici del Segretario generale e del suo inviato speciale, che costituisce al momento l'unico canale di comunicazione aperto con la giunta birmana e dunque l'iniziativa principe su cui devono convergere l'azione e il pieno e forte appoggio della comunità internazionale.
Il nostro sforzo negoziale è proseguito anche in sede bilaterale. La Direzione generale Asia del Ministero degli affari esteri, già all'inizio di settembre e tra i primi Paesi dell'Unione europea, ha provveduto ad effettuare un passo a livello di funzionari con l'Ambasciata di Myanmar a Roma, in cui si è fatto stato, anche sulla base di quanto comunicato dai Capi missione dell'Unione europea residenti in Yangon, del rammarico e della preoccupazione per il sostanziale fallimento della Convenzione nazionale in Myanmar, nata, invece, con l'obiettivo di dare avvio ad un reale processo di riconciliazione nazionale e di apertura democratica nel Paese. Al tempo stesso si è fatto stato del sentimento di condanna per le repressioni allora attuate dalla Giunta militare al potere, deplorando gli arresti di cittadini birmani, avvenuti nel corso delle dimostrazioni pacifiche cominciate dopo il 15 agosto 2007, in tutto il Paese, nonché la perdurante detenzione Aung San Suu Kyi così come di altri dirigenti dell'opposizione e prigionieri politici.
Il 25 settembre 2007 ho personalmente convocato alla Farnesina l'incaricato d'affari dell'Ambasciata di Myanmar a Roma - titolare della Rappresentanza diplomatica in assenza dell'Ambasciatore. A nome del Governo, gli ho chiesto di trasmettere alla Giunta militare la richiesta del Governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National League for Democracy e con tutta l'opposizione birmana e di non far ricorso ad
alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e non violente.
Non ho mancato di stigmatizzare gli episodi di repressione che hanno portato all'arresto di decine di manifestanti ed alle condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regime, reiterando la richiesta di libertà immediata di Aung San Suu Kyi, insieme a quella del rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario.
Ho fatto presente all'incaricato d'affari birmano che il Senato della Repubblica, il 13 settembre 2007, ha approvato una mozione che impegna il Governo italiano ad adoperarsi a questo fine, nonché ad operare per il raggiungimento degli obiettivi indicati dalla posizione comune dell'Unione europea e per richiamare le autorità governative birmane al rispetto dei diritti umani.
In occasione di una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza tenutasi a New York (26 settembre 2007), attraverso contatti con le varie delegazioni e con il Governo birmano in esilio, ho riconfermato la volontà di realizzare nuove iniziative di cooperazione in favore dei campi dei profughi nei Paesi limitrofi.
Il 22 e 23 ottobre 2007 mi sono recato in visita in Thailandia e Singapore per colloqui sulla situazione in Birmania, per approfondire con i Ministri degli esteri dei due Paesi l'esame delle iniziative diplomatiche in corso da parte della comunità internazionale.
Ricordo a proposito che Singapore detiene la Presidenza di turno dell'Association South-East Asian Nations (ASEAN) ed ospiterà il 22 novembre 2007 il vertice Unione europea-ASEAN, mentre la Thailandia è un vicino e partner importante per il Myanmar.
Ho quindi chiesto alle autorità dei due Paesi di usare tutta la loro influenza ed esercitare ogni forma di pressione per favorire l'avvio in Myanmar di un processo di pacificazione e democratizzazione, la liberazione di Aung San Suu Kyi e degli altri detenuti politici e il rispetto dei diritti umani.
In vista del vertice Unione europea-ASEAN di Singapore, ho invitato l'ASEAN a mantenere un profilo elevato sulla questione e ad esortare tutti i membri ad adoperarsi attivamente per una soluzione della crisi. Con il Ministro degli esteri tailandese ho esaminato la recente proposta di istituire un esercizio negoziale su modello dei 6-party talks per la Corea del Nord, con il coinvolgimento dei grandi attori regionali ed internazionali interessati, ribadendo il pieno appoggio al mandato di buoni uffici di Gambari e sollecitando Singapore e Thailandia a collaborare per favorire il successo della sua prossima missione in Myanmar.
A Bangkok ho anche incontrato tre esponenti del National Council of the Union of Burma, tra i quali il Vice Presidente della Commissione esteri, Soe Aung.
Come noto, la crisi in Myanmar è stata argomento di discussioni nell'ambito dell'Unione europea e oggetto di una dichiarazione della Presidenza a nome dell'Unione europea, emessa il 25 settembre 2007, nella quale si esprime forte preoccupazione per la situazione e si invitano le autorità a non usare la forza contro i manifestanti, minacciando un ulteriore rafforzamento dell'attuale regime sanzionatorio in caso di violenze da parte delle forze dell'ordine.
Anche l'Alto rappresentante Solana ha emesso una dichiarazione in cui si chiede alle autorità di esercitare la massima moderazione nella gestione delle manifestazioni di piazza.
Da parte italiana si è da subito provveduto a stimolare il dibattito europeo in corso nei diversi formati, esprimendo al contempo la più ferma condanna dell'uso della forza.
La situazione nel Paese è stata discussa il 25 settembre dai Ministri degli esteri della Unione europea riuniti a New York, e dal Comitato politico e di sicurezza (COPS) a Bruxelles. In tali occasioni è stata sottolineata la necessità di mantenere una posizione unitaria da parte dell'Unione europea.
Anche a seguito dei contatti avuti da parte italiana con la Presidenza portoghese, il tema è stato affrontato su due piani: quello politico-diplomatico e quello «sanzionatorio». Per quanto riguarda le attività politico-diplomatiche, il COPS 'ha approvato
un documento operativo preparato congiuntamente dal Segretariato del Consiglio e dalla Commissione, all'interno del quale vengono definite una serie di iniziative: una pressione diplomatica diretta nei confronti delle autorità birmane, una serie di demarches effettuate nelle capitali dei paesi confinanti con la Birmania e nei paesi maggiormente influenti (Cina, India, Tailandia, Russia eccetera) ed uno sforzo comune dei paesi dell'Unione europea in ambito ONU.
Parallelamente è stato avviato il processo che ha portato in occasione del Consiglio affari generali e relazioni esterne (CAGRE) del 15 ottobre 2007 all'adozione di un rafforzato e più esteso regime sanzionatorio che, mantenendo l'obiettivo di non aggravare eccessivamente le condizioni di vita della popolazione birmana, prevede:
un rafforzamento di alcune delle misure già in vigore (ulteriore estensione della lista dei già quasi 400 esponenti del regime per cui vale il divieto di visto, ampliamento delle entità per cui è previsto il congelamento di fondi);
una conferma delle restanti misure, quali l'embargo sulle armi, la sospensione di una parte dei programmi di sviluppo, nonché la sospensione delle visite bilaterali di alto livello;
l'introduzione di misure addizionali, quali il blocco delle importazioni provenienti dalla Birmania di legname, di prodotti minierari, di metalli e di pietre preziose. Allo stesso tempo sono state proibite le attività di investimento nonché i1 trasferimento di tecnologie e risorse che si riferiscono a tali settori merceologici.
Nelle conclusioni del CAGRE del 15 ottobre 2007, il Consiglio ha infine richiesto ai gruppi tematici di elaborare eventuali sanzioni aggiuntive, ivi inclusi una serie di divieti di investimento.
Desidero infine ricordare che l'Alto rappresentante Solana ha annunciato la nomina di Piero Fassino a inviato speciale dell'Unione europea per il Myanmar, che coordinerà gli sforzi dell'Unione europea lavorando in stretto raccordo con l'inviato ONU Gambari.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.
PELLEGRINO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la necessità di intensificare e rafforzare la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, anche attraverso incentivi per quei magistrati disposti a lavorare in «prima linea» nelle aree e nelle sedi giudiziarie più pericolose, aveva portato all'approvazione della legge 4 maggio 1998, n. 133 che prevedeva incentivi ai magistrati trasferiti o destinati d'ufficio a sedi e procure disagiate;
in particolare l'articolo 5, comma 2, della suddetta legge, stabiliva che: «Se la permanenza in servizio presso la sede disagiata del magistrato trasferito supera i 5 anni il medesimo ha diritto, in caso di trasferimento a domanda, ad essere preferito a tutti gli altri aspiranti», riconoscendo in pratica una sorta di giusta precedenza nelle tappe successive della carriera;
a fruire di questa norma, trasferendo la famiglia o facendosi carico di cinque anni di pendolarismo, sono circa un centinaio di magistrati, che vanno ad occupare le sedi «di frontiera» sotto organico;
la scorsa legislatura, con il decreto-legge 115 del 30 giugno 2005, convertito nella legge 168 del 17 agosto 2005, articolo 14-sexiesdecies, viene modificato il comma 2, articolo 5, della suddetta legge 133/98, che ora recita: «Se la permanenza in servizio presso la sede disagiata del magistrato trasferito supera i cinque anni il medesimo ha diritto, in caso di trasferimento a domanda, ad essere preferito a tutti gli altri aspiranti, con esclusione di coloro che sono stati nominati uditori giudiziari in data anteriore al 9 maggio 1998»;
in pratica con questa nuova formulazione della norma, viene annullato, nello
spirito e nel merito, quanto previsto dalla legge 133/98, con conseguenti proteste da parte di quei magistrati che avevano accettato quei trasferimenti, anche in virtù di quegli incentivi statali;
il 29 settembre 2005, interviene il CSM, che stabilisce che la modifica normativa contenuta nel decreto-legge 115/05 poi convertito, non si applica a quanti erano stati trasferiti a sedi disagiate «prima» dell'entrata in vigore della nuova legge 168/05;
contro la suddetta decisione del CSM, fanno ricorso al Tar del Lazio poco meno di una trentina di magistrati, che temono di vedersi superati dai colleghi «disagiati», ritenendo sostanzialmente ingiusto il non avere diritto alle stesse agevolazioni di chi ha a lavorato in prima linea contro la criminalità organizzata;
la sentenza del Tar viene depositata, e dà ragione a questi magistrati che avevano fatto ricorso al tribunale regionale;
come riportato da un articolo del Corriere della Sera del 25 marzo 2007, che ripercorre tutta questa vicenda, i magistrati che sono ricorsi al Tar, lavorano: tre al tribunale di Latina, uno alla procura di Napoli, uno a Rieti, un paio a Tivoli; dodici al ministero della giustizia, uno a quello delle finanze, uno al CSM, due alla Corte Costituzionale, e gli altri in vari uffici romani -:
se non si intenda assumere le opportune iniziative anche normative affinché sia tutelato e sostenuto chi lotta sul campo e in prima persona contro la criminalità organizzata, ripristinando a tal fine lo spirito originario della legge 4 maggio 1998, n. 133, che aveva doverosamente sancito alcuni vantaggi per quei magistrati che avevano scelto di operare in sedi «disagiate» e pericolose.
(4-03159)
Risposta. - La legge n. 133 del 1998 e stata introdotta allo scopo precipuo di risolvere l'annoso problema della copertura delle sedi giudiziarie particolarmente disagiate.
Essa ha previsto per i magistrati una serie di benefici, tra cui non solo il trasferimento con preferenza assoluta in caso di permanenza nella sede disagiata oltre 5 anni, ma anche l'aumento dell'indennità integrativa speciale, il trasferimento del coniuge magistrato o dipendente statale, un'indennità in caso di trasferimento di ufficio ed il calcolo dell'anzianità in misura doppia per ogni anno di effettivo servizio prestato nella sede dopo il primo biennio di permanenza.
Tuttavia, la legge ha comportato degli effetti secondari di non poco momento.
Si è potuto infatti constatare che i posti nelle sedi più ambite venivano praticamente monopolizzati dai magistrati che avevano prestato servizio per cinque anni nelle sedi disagiate, preferiti anche ai magistrati aventi molti più anni di anzianità.
Con l'articolo 14-sexiesdecies del decreto legge n. 115 del 2005, convertito nella legge n. 168 del 2005, si è in parte cercato di porre rimedio a tale stato di cose, trasformando il «diritto» da «assoluto», e quindi esercitabile nei confronti di tutti i magistrati, a «relativo», cioè esercitabile solo nei confronti dei magistrati nominati uditori dopo il 9 maggio 1998, ovvero dopo l'entrata in vigore della legge n. 133 del 1998.
Il Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto di dare a tale norma un'interpretazione restrittiva, al fine di garantire i diritti di tutti coloro che all'epoca dell'entrata in vigore del decreto-legge erano già stati destinati ad una sede disagiata, ed ha affermato che nei confronti di questi ultimi non poteva essere applicata la limitazione introdotta dall'articolo 14-sexiesdecies.
Il TAR del Lazio, tuttavia, con sentenza n. 845/2007, peraltro appellata dal Consiglio superiore della magistratura ha ribadito che l'esercizio del diritto di preferenza può essere esercitato soltanto nei confronti dei soggetti entrati in magistratura dopo la legge n. 133 del 1998, così come stabilito dal tenore letterale dell'articolo 14-sexiesdecies.
Il Governo, nell'intento di contemperare i differenti interessi in gioco nell'ambito delle questioni sollevate in sede di applicazione
della cosiddetta «prescelta assoluta» riconosciuta dalla legge n. 133 del 1998 in favore dei magistrati in servizio presso le sedi dichiarate disagiate, aveva previsto nell'ambito dell'A.S. 1447 - recante la «Riforma dell'ordinamento giudiziario» - l'abolizione del beneficio in questione per il futuro, stabilendo, al contempo, che la prelazione continuasse ad essere riconosciuta in favore «dei magistrati assegnati a sedi disagiate prima dell'entrata in vigore della presente legge».
Lo stesso Governo ha successivamente presentato una serie di emendamenti, volti a conciliare ulteriormente le aspettative dei magistrati che avevano fatto affidamento sulla prescelta scegliendo le sedi disagiate, e quelle degli altri loro colleghi che attualmente si vedono impossibilitati - anche dopo dieci o più anni di servizio - ad ottenere un trasferimento presso tutte le sedi più ambite.
In tale ottica era stata proposta una rivisitazione del concetto di sede disagiata, con l'estensione delle possibilità per il Consiglio superiore della magistratura di individuare dette sedi anche al di fuori dei limiti territoriali attualmente vigenti, e consentendo di valutare nella scelta in parola anche la percentuale di magistrati assegnati a dette sedi come primo incarico. Contestualmente, si confermava l'eliminazione del beneficio della prescelta per il futuro, ma si prevedeva che, con riferimento ai magistrati già in servizio presso sedi disagiate al momento di entrata in vigore del nuovo testo di legge, gli stessi potessero usufruire della prescelta nei soli limiti del 50 per cento dei posti messi a concorso. Si ampliava, poi, il punteggio riconosciuto ai magistrati in servizio presso le sedi disagiate, con progressione crescente in relazione agli anni di permanenza in sede.
Il testo licenziato dal Parlamento non ha raccolto le proposte governative; la legge n. 111 del 2007, recante il nuovo ordinamento giudiziario, prevede infatti, all'articolo 4 comma 16, una sola disposizione in materia, a mente della quale il comma 2 dell'articolo 5 della legge 4 maggio 1998, n. 133, è sostituito dal seguente: 2. Se la permanenza in servizio presso la sede disagiata supera i cinque anni, il medesimo ha diritto, in caso di trasferimento a domanda, di essere preferito a tutti gli altri aspiranti». La norma in questione, pertanto, ripristina puramente e semplicemente la formulazione dell'articolo 5 della legge n. 133 del 1998 vigente anteriormente all'intervento normativo attuato con decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
PICANO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la nota del Ministero della Giustizia DAP Ufficio del Capo del Dipartimento - Ufficio per le Relazioni Sindacali e per le Relazioni con il Pubblico GDAP-0128299-2007 del 20 aprile 2007 conteneva una prima bozza di decreto ministeriale concernente l'individuazione e la rideterminazione dei posti di funzione dirigenziale e la riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria;
a questa prima bozza sono state apportate delle variazioni che riguardano la C.R. di Paliano;
nella prima bozza, infatti, per Paliano, classificato istituto di terzo livello, era prevista una sede dirigenziale, cosa che invece che, allo stato attuale dei fatti, non avverrà più;
quindi Paliano sarà annesso al centro unico direzionale della Casa circondariale di Frosinone;
gli operatori della C.R. di Paliano sono fortemente preoccupati e si chiedono quali possano essere i motivi alla base di tale variazione, quali i profitti che ne trarrà l'amministrazione, come funzioneranno i centri unici direzionali e a che tipo di gestione si andrà incontro;
la C.R. di Paliano prevede al suo interno consolidati piani di recupero dei detenuti, che hanno fatto sì che in questi
anni, all'interno del carcere di Paliano, vi sia un'alta percentuale di detenuti collaboranti;
il carcere di Paliano è un istituto esemplare anche da un punto di vista contabile, essendo i suoi bilanci in attivo;
privando il carcere di Paliano di un assetto dirigenziale proprio si rischia di svuotare, mano a mano, le peculiarità di una sì importante realtà della zona, e da un punto di vista di indotto lavorativo, e da un punto di vista storico;
tale accorpamento con la C.C. di Frosinone rischierebbe altresì di privare l'istituto di Paliano dei primati di efficienza sopra evidenziati -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuna una attenta valutazione delle peculiarità del carcere di Paliano, per salvaguardarne l'autonomia dirigenziale.
(4-04198)
Risposta. - Si fa presente che la bozza di decreto ministeriale relativa all'individuazione e rideterminazione dei posti di funzione dirigenziale ed alla riorganizzazione dell'Amministrazione Penitenziaria, recava in sé la previsione delle nuove formule organizzative denominate «Centri unici direzionali», configurati quali unica sede di servizio dirigenziale che accorpa altre strutture limitrofe di minori dimensioni, accomunate dallo stesso progetto direzionale, in un'ottica di razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse finanziarie e umane.
Allo stato, tuttavia, detto progetto non è più attuale in quanto, a seguito di nuova riunione con le Organizzazioni sindacali, si è pervenuti ad una ridefinizione dell'organizzazione che non contempla più l'istituzione di tali centri.
Va precisato, inoltre, che la casa di reclusione di Paliano, nella nuova ipotesi, risulta classificata quale istituto di terzo livello di complessità.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
PICCHI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto Italiano di Cultura (IIC) di Monaco di Baviera, che ha la propria sede in un edificio situato in una zona centrale della città di Monaco e ora di proprietà del Demanio dello Stato italiano, è stato costruito orgogliosamente molti anni fa con il sostanziale apporto finanziario dei primi imprenditori italiani in Germania e per questo chiamato dalla comunità italiana «Casa d'Italia»;
il 28 luglio 2007 la targa con la scritta «Casa d'Italia» affissa da sempre sull'edificio dell'IIC è stata rimossa per iniziativa dell'attuale Direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura;
due consiglieri del locale Com.it.es., l'ingegnere Roberto Basili e il signor Pier Luigi Sotgiu, cui è giunta la segnalazione da parte di alcuni connazionali hanno richiesto al Presidente del Com.it.es. un intervento ufficiale in collaborazione con le autorità consolari, affinché la targa venga rimessa al posto originario;
la rimozione della targa è l'ultimo increscioso episodio segnalato ai locali componenti del Com.it.es. al quale giungono segnalazioni di lamentele sulla gestione dell'IIC;
il programma culturale dell'Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera non viene più spedito dall'aprile 2007 agli interessati che da tempo vengono informati sporadicamente via e-mail con delle newsletter ad hoc per singole manifestazioni;
alcuni eventi di recente organizzati dal IIC non siano stati particolarmente partecipati;
in occasione della manifestazione su «Curzio Malaparte a 50 anni dalla morte» presso alla Pasinger Fabrik di Monaco di Baviera si sono creati conflitti tra la direttrice del IIC e la Pro Arte E.V. organizzatrice della suddetta manifestazione che ha portato ad una lettera ufficiale di protesta contro la direttrice dell'IIC
da parte della Pro Arte E.V. indirizzata al Console Generale di Monaco di Baviera;
presso il Ministero degli affari esteri (Istituti diplomatico, ed Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri), giace una lettera di una stagista MAE/CRUI per il periodo 25 settembre 2006-12 dicembre 2006, che sintetizza in maniera chiara ed esauriente la situazione creatasi all'interno dell'IIC -:
quali iniziative tempestive saranno intraprese per verificare i fatti in premessa ed in particolare:
perché non siano stati stampati e spediti in programmi culturali dell'IIC relativi al periodo aprile-agosto 2007;
se verranno stampati e spediti i programmi culturali dell'IIC per il periodo settembre-dicembre 2007;
quale sia la disponibilità e la situazione economica del IIC sulla base del ragionevole dubbio che la mancata stampa e spedizione del programma culturale non possa essere riconducibile ad altro che ai soli problemi economici;
quali iniziative stia intraprendendo il locale Consolato di Monaco di Baviera in base a quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, del D.I. 392/1995 per sanare la situazione che si è verificata all'IIC di Monaco di Baviera;
quali ulteriori iniziative legislative siano previste per il riordino dell'attività degli Istituti Italiani di Cultura.
(4-04636)
Risposta. - In merito a quanto segnalato dall'interrogante nel presente atto parlamentare, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La situazione dell'Istituto italiano di cultura di Monaco è seguita con molta attenzione dal Ministero degli affari esteri, che ne monitora l'attività, in costante raccordo con il locale Consolato generale, competente, in base alla normativa vigente, in materia di indirizzo e vigilanza sull'Istituto stesso.
Peraltro, la stessa situazione ha formato oggetto di esame da parte di una missione ispettiva che ha avuto luogo presso lo stessa Istituto a fine 2006 e che si è conclusa con la formulazione di raccomandazioni e suggerimenti; le risposte fornite a tutt'oggi dall'Istituto in relazione alle predette osservazioni sono state considerate non soddisfacenti dall'Ispettorato generale.
D'altra parte sia la missione ispettiva che lo stesso Consolato hanno rilevato, tra l'altro, una certa criticità nella gestione delle relazioni esterne da parte dell'Istituto, in particolare con la Società Dante Alighieri di Monaco di Baviera, alla quale è affidata la realizzazione dei corsi di lingua italiana.
A tale specifico riguardo, la Farnesina ha fornito precise direttive al suddetto Istituto, anche in occasione di un incontro tenutosi con il suo Direttore presso la competente Direzione generale del Ministero degli esteri, con la finalità di ripristinare la collaborazione e la sinergia ritenute necessarie nei rapporti con interlocutori e referenti culturali esterni.
Per quanto concerne in particolare la vicenda della rimozione dall'edificio ospitante l'Istituto della targa riportante: la dizione «Casa d'Italia», il Consolato generale ha informato, con messaggio del 6 agosto 2007, che essa è stata ricollocata al suo posto, dopo aver subito un intervento di restauro.
Il Viceministro degli affari esteri: Ugo Intini.
PINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
le case circondariali di Forlì e Rimini lamentano da anni carenze di personale della Polizia Penitenziaria che divengono particolarmente pronunciate durante la stagione estiva, in ragione dell'aumento dei detenuti che si verifica in quel periodo;
la situazione appare particolarmente grave nella casa circondariale di Forlì, in ragione del fatto che è costretta a farsi carico anche di detenute provenienti dai
penitenziari di Ravenna e Rimini, sprovvisti di sezioni femminili;
le organizzazioni sindacali rappresentative del settore chiedono interventi urgenti al Governo per fronteggiare la situazione -:
quale sia l'opinione del Governo sui fatti generalizzati nella premessa ed in particolare se non ritenga opportuno, nell'imminenza del picco della stagione turistica 2006, disporre un aumento anche solo temporaneo del contingente di Polizia Penitenziaria distaccato presso le case circondariali di Forlì e Rimini.
(4-00607)
Risposta. - Si fa presente che dalle rilevazioni statistiche predisposte dal competente ufficio del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, emerge che nell'estate del 2006 e, precisamente, alla data del 31 luglio 2006, la Casa circondariale di Rimini ha registrato un numero complessivo di presenze detentive pari a 242 unità a fronte di una capienza di stimata in 188, mentre la Casa circondariale di Forlì ha ospitato, nello stesso periodo, 143 detenuti a fronte di una capienza di 165 unità.
Il numero di presenze detentive presso l'istituto di Rimini è indubbiamente determinato dal fatto che, essendo destinato ad ospitare detenuti appartenenti al circuito media sicurezza, per la sua dislocazione geografica, nel periodo estivo, registra un notevole aumento del numero di arresti giornalieri, risentendo dell'afflusso di turisti che affollano la riviera romagnola.
Il fenomeno è, comunque, costantemente monitorato sia dalla direzione dell'istituto stesso, sia dal Provveditorato Regionale, al fine di limitare il ricorso a posizionamenti di emergenza o di fortuna, utilizzando solo in chiave di extrema ratio reparti quali, ad esempio, l'infermeria, la sala socialità, la sala ricreativa, e ciò per evitare ricadute operative negative sull'ordine e sulla sicurezza interna.
Complessivamente, nello scorso anno, la competente Direzione Generale del Dipartimento della Amministrazione penitenziaria ha emesso, per l'istituto di Rimini, provvedimenti di sfollamento extradistretto per 16 detenuti, al fine di ricondurre entro standard di sicurezza il rapporto presenze capienza-detentiva.
Allo stesso modo, nel corso del 2006, in relazione all'istituto di Forlì sono stati emessi 16 provvedimenti di sfollamento.
La situazione dei due istituti è, comunque, alla costante attenzione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria impegnato a tenere sotto controllo il livello di affollamento, anche per il tramite del Provveditore Regionale per l'Emilia Romagna.
Nello scorso mese di settembre, nell'istituto di Rimini risultavano presenti 159 detenuti, mentre in quello di Forlì ve ne erano 175.
Per far fronte alle necessità degli istituti il Provveditorato di Bologna ha sempre adottato misure di emergenza, come l'invio in missione di alcune unità da altre sedi, anche grazie all'integrazione del monte ore dello straordinario.
Si fa presente, infine, che il Provveditore regionale, pur dando atto del carico di lavoro presso le due case circondariali, ha rilevato che esso sembra trovare adeguata compensazione in condizioni ambientali, interne ed esterne, particolarmente apprezzate dal personale. Infatti, i dati sulla mobilità relativi agli istituti in questione, in particolare quello di Rimini, sono in palese controtendenza rispetto alla maggior parte delle altre sedi, evidenziando un numero di aspiranti in ingresso ben superiore a quello degli aspiranti in uscita.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
PISICCHIO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'impatto derivante dall'uso degli autoveicoli nelle zone urbane ha prodotto uno dei più grandi problemi ambientali e in prospettiva oggetto di ulteriore aggravamento, a motivo del fatto che l'aumento dei veicoli a benzina e gasolio è esponenziale;
il petrolio con i suoi derivati altamente inquinanti, oltre ad essere la risorsa base per i trasporti (circa il 97 per cento), notoriamente rappresenta una fonte energetica che si esaurirà entro 40-50 anni;
il bioetanolo rappresenta uno dei pochi carburanti alternativi disponibili a breve termine in quantità considerevoli, essendo un alcool ottenuto tramite il processo di fermentazione dei prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali i cereali, le colture zuccherine, la frutta, le vinacce e le patate;
il bioetanolo, che non presenta rilevanti problemi di impatto ambientale, consente la sostituzione dei carburanti tradizionali e riduce la dipendenza dall'import di petrolio, come è stato già sperimentato con successo in Brasile, negli Usa e in alcuni paesi europei come la Svezia e la Germania;
studi approfonditi e prove sperimentali hanno dimostrato che nuove colture ottimizzate, come il sorgo-zuccherino, coltivabile nell'Europa meridionale, permetterebbero di abbassare il costo di produzione del bioetanolo a circa 250 euro/t, a fronte del costo di produzione di 350/450 euro/tep dei prodotti raffinati del petrolio;
la direttiva europea sui biocombustibili (2003/EC) si è posta l'obiettivo di ottenere nell'immediato un contributo minimo del 5,75 per cento dai biocombustibili per il settore dei trasporti e si propone di raggiungere il 20 per cento entro il 2020 (Green Paper);
l'attivazione di un programma volto a incentivare la produzione di biocombustibile liquido porterebbe, tra gli altri vantaggi, anche quello della creazione di numerosi posti di lavoro -:
quali urgenti e concrete azioni il Governo intenda intraprendere per favorire l'ingresso dei biocombustibili nel sistema dei trasporti italiano.
(4-02682)
Risposta. - Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
Il maggiore impiego dei biocarburanti discende da obiettivi di diversificazione delle fonti energetiche primarie e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Per l'anno 2007 le misure adottate per promuovere l'utilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili, in sostituzione di carburante diesel o di benzina nei trasporti, sono previste nel testo della legge 27 dicembre 2006, n. 296, (legge finanziaria 2007), all'articolo 1, commi da 367 a 379, con i quali:
1) si definiscono gli obiettivi di penetrazione dei bioearburanti, in modo coerente con le disposizioni della direttiva 2003/30/CE (comma 367), nel seguente modo: l'1 per cento al 2005, il 2,5 per cento al 2008 e il 5,75 per cento al 2010;
2) si stabiliscono le modalità per il raggiungimento degli obiettivi richiamati al punto 1, imponendo per gli anni 2007 e 2008 l'obbligo di immissione in consumo, rispettivamente dell'1 per cento e del 2 per cento di biocarburanti sul totale del carburante immesso in consumo nell'anno precedente;
3) si rimodulano e riordinano le esenzioni da accisa già vigenti in modo da:
a) evitare sovracompensazioni conseguenti all'intervenuto aumento del prezzo industriale del gasolio;
b) consentire l'impiego di risorse rese disponibili a seguito dell'emanazione di sanzioni pecuniarie da parte dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato;
c) favorire l'uso ottimizzato di tutte le risorse disponibili, consentendo, laddove necessario, il travaso delle risorse non utilizzate dal settore dell'etanolo e dell'ETBE a quello del biodiesel e viceversa.
La legge finanziaria 2007, inoltre, prevede tre provvedimenti di attuazione in materia di biocarburanti:
un provvedimento di iniziativa del Ministro delle politiche agricole, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare e il Ministro dell'economia e delle finanze con il quale sono dettati criteri, condizioni e modalità per l'attuazione dell'obbligo di immissione in consumo di biocarburanti;
un provvedimento di iniziativa del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dell'economia e delle finanze con il quale sono fissate sanzioni per il mancato raggiungimento dell'obbligo;
un provvedimento di iniziativa del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il quale sono determinati i requisiti per la partecipazione al programma pluriennale di agevolazione sul biodiesel.
In questi mesi, attraverso un lungo lavoro di concertazione fra le varie amministrazioni coinvolte, si è pervenuti alla redazione di tre schemi di regolamento che sono stati presentati agli operatori del settore. In relazione alle osservazioni pervenute i testi sono stati ulteriormente definiti attraverso l'accoglimento di alcune delle proposte formulate e, quindi, inviati all'esame dei competenti uffici dei ministeri interessati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Pier Luigi Bersani.
RAISI. - Al Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'ENCI, Ente nazionale cinofilia italiana, svolge ai sensi della legge 30 dicembre 1992 n. 529 una attività avente pubblico interesse inerente la tutela e la promozione delle razze canine;
nello specifico l'ENCI è deputato alla tenuta del Libro genealogico dei cani di razza secondo la disciplina dettata da appositi disciplinari approvati con decreti del Ministro delle politiche agricole e forestali e, in particolare, dal decreto ministeriale n. 21095 del 5 gennaio 1996 e dalle Norme tecniche di attuazione, anch'esse approvate con rispettivi decreti ministeriali;
con l'interrogazione n. 4-00833 proposta dall'onorevole Valerio Carrara venivano chieste all'illustrissimo Ministro spiegazioni in merito al fatto che con la circolare prot. n. 3241/FC/AP/LH del 24 gennaio 2005 l'ENCI dichiarava che «gli allevatori titolari e/o associati d'affisso riconosciuto da ENCI/FCI hanno la facoltà di registrare al Libro genealogico cucciolate identificabili anche attraverso l'apposizione della propria sigla assegnata dall'ENCI». Tale disposizione risultava essere in palese contrasto con la legge 14 agosto 1991 n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione prevenzione del randagismo) che istituisce l'anagrafe canina delegando alle regioni l'istituzione e le modalità di iscrizione alla medesima anagrafe, nonché la determinazione delle modalità di rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore (articolo 3);
l'ENCI, invece, con quella disposizione, consentiva che al Libro genealogico continuassero ad essere iscritti cani di razza identificati in virtù della marcatura apposta dagli allevatori dotati di «affisso» (titolo rilasciato dallo stesso ENCI, quindi privatistico e non pubblicistico), violando in questo modo ogni accertamento in ordine alla provenienza del cane, alle verifiche igienico-sanitarie cui lo stesso deve essere sottoposto e delle strutture in cui operano gli allevatori, come invece richiesto dalle norme di legge regionali;
inoltre l'ENCI consentiva che fossero eluse le verifiche veterinarie dei cani iscritti al Libro genealogico posto che il Consiglio direttivo dell'ENCI, in data 16 giugno 2005, deliberava di non considerare obbligatoria la certificazione veterinaria ai fini della iscrizione degli esemplari ai
Registri, rendendo di fatto possibile che, mediante procedure contrarie alle disposizioni di legge statale e regionale, l'iscrizione al libro genealogico dei cani di razza, regolato con decreto del ministero interrogato, potesse avvenire anche per esemplari privi di idonea certificazione, in assenza de più elementari controlli sotto il profilo veterinario;
il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rispondeva alla detta interrogazione con la nota del 4 dicembre 2006 nella quale testualmente dichiarava che:
«L'articolo 6 del decreto ministeriale n. 20894 del 18 aprile 2000 prevedeva la marcatura ufficiale dei cuccioli mediante punzonatura o attraverso l'applicazione di un identificativo elettronico (microcip).
In attuazione della legge del 14 agosto 1991 n. 281 - Legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo - solo alcune regioni avevano adottato specifiche disciplina per l'identificazione dei cani.
Di conseguenza, la Commissione tecnica centrale del libro genealogico deliberò che in tutte le situazioni in cui fosse stata attivata l'identificazione pubblica, la stessa diventava ufficiale anche per il libro genealogico; in caso di mancata attivazione dell'anagrafe canina da parte di alcune regioni rimaneva attivo il sistema di identificazione fino ad allora utilizzato dall'ENCI, purché l'identificazione stessa risultasse univoca.
Le nuove norme tecniche del libro genealogico, adottate con decreto ministeriale n. 21203 dell'8 marzo 2005, prevedono, all'articolo 6 l'identificazione dei cuccioli tramite microcip, uniformandosi così alla normativa nazionale, che prevede l'obbligo del predetto identificativo elettronico per tutti i cani nati dal 1 gennaio 2005.
Pertanto la banca dati dell'ENCI fino al 31 dicembre 2004 doveva necessariamente essere in linea con l'anagrafe canina detenuta dalle regioni.
Invece, con circolare n. 3241 del 24 gennaio 2005, il Direttore generale dell'ENCI e responsabile dell'Ufficio centrale del Libro genealogico, richiamando una precedente nota del 1 giugno 2004 informava le delegazioni ENCI che gli allevatori titolari e/o associati d'affisso riconosciuto ENCI/FCI hanno facoltà di registrare al libro genealogico cucciolate identificabili anche attraverso l'apposizione della propria sigla assegnata dall'ENCI.
Questa disposizione avrebbe consentito fino all'estate del 2006, di iscrivere al libro genealogico soggetti il cui identificativo non risultava in regola con l'iscrizione all'anagrafe canina come disposto invece dalla legge n. 281 del 1992.
Solo in data 21 aprile 2006 il Consiglio direttivo dell'ENCI ha deliberato l'attuazione delle norme tecniche del libro genealogico a partire dal 1 ottobre 2006;...
La Commissione tecnica centrale dell'ENCI, con deliberazioni del 20 dicembre 2004 e del 2 febbraio 2005, ha posto l'accento sull'esigenza di attenersi a quanto previsto dalla legge n. 281 del 1992 in materia di identificazione dei cani per l'anagrafe canina, ribadendo la priorità e l'utilità ai fini dell'iscrizione al libro genealogico.
A maggiore garanzia, la Commissione tecnica centrale ha precisato che unitamente al modello B, previsto dalla Norme tecniche del Libro genealogico, il proprietario della fattrice è tenuto ad allegare la certificazione veterinaria dell'avvenuta identificazione ed iscrizione all'anagrafe canina.
L'ENCI da parte sua, invece, con nota apparsa sul giornale «I Nostri cani» del 21 giugno 2005, faceva presente di non considerare la certificazione veterinaria obbligatoria ai fini dell'iscrizione all'anagrafe canina, utile anche ai fini dell'iscrizione dei soggetti al libro genealogico.»;
con ulteriore nota lo stesso Ministero, in risposta all'interpellanza dell'onorevole Raisi, evidenziava il persistere della omissione dell'ENCI posto che «la mancata acquisizione del microchip comporta l'assenza di garanzia sull'allineamento attuale tra la banca dati e l'anagrafe canina tenuta dalle regioni, considerato che il microchip potrebbe essere stato inoculato
dal proprietario stesso o dal veterinario di fiducia»;
nonostante le innumerevoli sollecitazioni giunte tramite esposti ed interpellanze parlamentari che chiedevano l'adozione di atti risolutori della situazione di totale ingestione in cui versa il Libro genealogico dei cani di razza e della sistematica violazione della legge n. 281 del 1991, veniva emanato il decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007, con cui viene previsto solo a partire dal 1 ottobre 2007 l'obbligo di iscrizione all'anagrafe canina istituita nella maggior parte delle regioni per i cani iscritti al libro genealogico. Ciò, nonostante gli stessi uffici dello stesso Ministero interrogato, in risposta alle interpellanze parlamentari, avessero accertato la mancata considerazione da parte dell'ENCI dell'identificativo ufficiale dei cani - che è esclusivamente quello attribuito dalle regioni in cui è sta è stata istituita l'anagrafe canina - per tutti i cani nati prima del 1 gennaio 2005 e quindi - ad avviso dell'interrogante - la gravissima violazione da parte di un ente esercente una attività di pubblico interesse della legge statale n. 281 del 1991 e dell'Accordo Stato-regioni sul benessere degli animali da compagnia e pet therapy del 6 febbraio 2003;
di fatto l'ENCI ha consentito l'iscrizione al Libro delle Origini (LOI), mediante solo tatuaggio apposto da allevatori titolari di affisso a soggetti non in regola con l'iscrizione all'anagrafe canina come disposto dalla legge n. 281 del 1992 e di tale palese elusione delle norme nazionali il decreto emesso non si occupa;
il danno gravissimo che tali comportamenti hanno provocato al settore della cinofilia è evidente se si considerano coloro che hanno acquistato un cane con pedegree prima del 1 ottobre 2007, i cui attestati non certificano nulla in merito alla identificazione del cane in quanto l'identificazione presso il LOI non coincide con quella dell'anagrafe canina; o si considerino coloro che sono iscritti al registro degli allevatori al fine di far parte dell'ENCI, e che hanno denunciato cani esistenti solo sulla carta, ovviamente mai denunciati all'anagrafe canina della regione di appartenenza, in quanto da anni non allevano cani;
fissare un termine per la regolarizzazione dell'identificazione dei cani, come avviene nel decreto, significa avallare le azioni certamente illecite fino ad oggi compiute, con ciò rendendo assai difficoltoso il sanzionamento di comportamenti come il mercato nero e la falsa qualifica di allevatore posti in essere da parte di coloro che, sino al 1 ottobre 2007, hanno prosperato in tale modo, a discapito di chi svolge l'attività secondo le regole dettate dal Ministero -:
se intenda annullare il decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007, attesa la palese illegittimità dell'atto che è idoneo ad introdurre una sanatoria di comportamenti illeciti ed illegittimi da parte dell'ENCI;
se intenda modificare il decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007, annullando la previsione che fa decorrere dal 1 ottobre 2007 l'obbligo dell'allineamento, dei dati identificativi dei cani iscritti al LOI e quelli iscritti all'anagrafe canina;
se, comunque, intenda procedere con la nomina di un commissario ad acta per la corretta applicazione della legge n. 529 del 1992 e del Disciplinare del Libro genealogico per la tutela dei cani di razza, nell'interesse pubblico e degli allevatori di cani di razza, al fine di procedere alla corretta identificazione dei cani di razza ai sensi della norma nazionale e regionale.
(4-05004)
Risposta. - Con riferimento a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, si ricorda che, ai sensi del decreto legislativo n. 529 del 1992, i libri genealogici delle specie animali minori, tra le quali si annovera la specie canina, sono istituiti dalle associazioni nazionali di allevatori di specie o di razza.
Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali provvede ad approvare i
disciplinari delle associazioni di allevatori che istituiscono gestiscono libri genealogici, ai sensi dell'articolo 2 del predetto decreto legislativo, ed a vigilare sugli adempimenti previsti dagli stessi disciplinari.
Il disciplinare del libro genealogico del cane di razza è stato approvato con decreto ministeriale n. 21095 del 5 febbraio 1996, successivamente modificato con decreto ministeriale n. 22383 del 3 giugno 2003.
Il disciplinare, all'articolo 3, prevede che l'Ente nazionale della cinofilia italiana (ENCI) provveda all'attività del libro genealogico con la Commissione tecnica centrale, l'Ufficio centrale del libro genealogico ed il corpo degli esperti.
In applicazione del predetto disciplinare, con decreto ministeriale n. 20894 del 18 aprile 2000, sono state approvate le norme tecniche del libro genealogico, successivamente sostituite con decreto ministeriale n. 21203 dell'8 marzo 2005.
Quanto all'identificazione dei cani, l'Amministrazione considera il sistema previsto dall'accordo del 6 febbraio 2003 tra il Ministero della salute, le Regioni, e le Province autonome di Trento e Bolzano, in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy, recepito con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2003, come l'unico sistema ufficiale da utilizzare anche per l'iscrizione al libro genealogico del cane di razza tenuto dall'ENCI.
In tal senso, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si è adoperato affinché l'Enci desse attuazione alle norme tecniche del libro genealogico approvate con decreto ministeriale n. 21203 del 2005, attraverso l'introduzione del microchip quale unico sistema ufficiale di identificazione.
Dal 1o gennaio 2005 la banca dati Enci e l'anagrafe canina dovevano essere completamente allineate e l'identificativo ufficiale doveva essere esclusivamente quello attribuito dalle regioni.
L'Enci ha dato attuazione alle norme tecniche del libro genealogico a decorrere dal 1o novembre 2006.
Per l'identificazione, dei soggetti nati prima del 1o novembre 2006, l'Amministrazione, dopo aver più volte rappresentato all'Enci la necessità di un rapido adeguamento della banca dati Enci alle banche dati regionali istituite per l'anagrafe canina, con nota n. 5233 del 17 maggio 2007, ha chiesto all'ENCI di adeguare anche per il passato la propria banca dati alla normativa in materia di identificazione dei cani attraverso l'elaborazione di proposte operative e la fissazione di scadenze temporali, al fine di assicurate la massima trasparenza nella gestione del libro genealogico.
A seguito di approfondimenti con i responsabili dell'Enci, con decreto ministeriale n. 10056 del 6 luglio 2007 sono state emanate norme di raccordo, tra il libro genealogico ed il sistema di identificazione dei cani previsto dall'anagrafe.
Il decreto, innanzi tutto, accoglie il principio secondo il quale il sistema identificativo, recepito con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2003, costituisce l'unico sistema ufficiale di identificazione dei cani, sia per le esigenze sanitarie che per quelle zootecniche.
Lo stesso decreto prevede, a decorrere dal 1o novembre 2007, l'allineamento delle banche dati Enci-Anagrafe canina, nonché l'obbligo di identificare cani già iscritti al libro genealogico e non all'anagrafe, a prescindere dalla data di nascita, ogni qual volta i proprietari dei cani chiedono all'Enci un servizio (denuncia monta e nascita) o partecipano ad una manifestazione canina.
In tal senso, il provvedimento, non solo assicura l'allineamento del libro genealogico all'anagrafe canina a decorrere dall'8 marzo 2005, ma estende tale garanzia, per alcune situazioni, a cani nati in precedenza.
Il decreto, notificato al Ministero della salute ed alle Regioni per gli adempimenti relativi ai necessari raccordi dei sistemi informativi, è stato seguito da una circolare esplicativa per i soci predisposta dall'Enci.
Dall'analisi della situazione delle iscrizioni al libro genealogico di soggetti-nati nel periodo dall'8 marzo 2005 al 30 settembre 2006 risulta che il totale dei cuccioli nati ed iscritti al libro genealogico ammonta a n. 197.086.
Secondo i dati forniti dall'Enci risulta che:
n. 170.472 sono individuati con microchip, ma non si ha certezza sull'iscrizione all'anagrafe canina;
n. 26.361 sono identificati con tatuaggio, ma anche in questo caso non si ha certezza sull'iscrizione all'anagrafe canina;
n. 253 sono identificati con tatuaggio ed appartengono a proprietari residenti in Regioni che non hanno ancora emanato disposizioni in materia di microchip.
L'eventuale assenza o non coincidenza di una identificazione conforme alle procedure previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2003 non equivale a mancata gestione totale del libro genealogico, in quanto, da un lato il «libro genealogico contiene tutti i dati riferibili all'animale, ascendenti compresi, alla sua» identificazione ed ai suoi proprietari, dall'altro l'introduzione della identificazione con microchip non esclude di per sé comportamenti illeciti.
Quanto al controllo delle denunce di cucciolata, l'Amministrazione ritiene opportuno che gli stessi veterinari che identificano i cuccioli provvedano ad espletare tale controllo.
In tal senso, l'Enci sta elaborando le opportune modifiche alle norme tecniche.
Si ritiene, infine, che una gestione del libro genealogico aderente alla normativa sull'anagrafe canina possa essere garantita, a prescindere da un eventuale commissariamento dell'Ente, attraverso la corretta attuazione degli adempimenti previsti entro i termini fissati dall'Amministrazione.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Paolo De Castro.
RAISI. - Al Ministro delle infrastrutture, al Ministro dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in data 9 ottobre 2007 il sindaco di Pianoro Simonetta Saliera ha inviato una lettera indirizzata al Presidente, al Vice Presidente e all'assessore alla Viabilità e Mobilità della Provincia di Bologna e all'assessore alla Mobilità della Regione Emilia-Romagna e per conoscenza ai Parlamentari eletti in Emilia-Romagna;
nella lettera il sindaco sostiene la necessità che la Legge Finanziaria preveda i fondi per il finanziamento delle indifferibili infrastrutture per il territorio bolognese;
fra le priorità sottolineate dalle forze economiche e politiche, ma soprattutto dalle figure istituzionali, mancherebbe il «Nodo di Rastignano», da sempre considerato priorità delle priorità;
il primo cittadino di Pianoro manifesta grande preoccupazione per l'esito della vicenda e richiama i destinatari al rispetto degli impegni assunti e conclude chiedendo delle risposte precise;
dal momento che l'interrogante condivide in pieno le riflessioni del sindaco e le incertezze determinate dalla situazione prospettata -:
se i 40 milioni di Euro necessari per la realizzazione dell'opera rientrino fra le previsioni di spesa del Governo o se, in caso contrario, sia già stato deciso che saranno reperiti nel Piano Poliennale degli investimenti di Regione e Provincia.
(4-05273)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il nodo di Rastignano consiste nella variante alla ex strada statale di Rastignano, già oggetto di una convenzione stipulata nel 1995 tra provincia di Bologna, ANAS, TAV S.p.A., Ferrovie dello Stato Società di Servizi e Trasporti S.p.A. ed i Comuni di Bologna, Pianoro, San Lazzaro di Savena.
Detto progetto è stato approvato da ANAS S.p.A. in data 7 dicembre 2000 e, in data 13 dicembre 2000 sono state avviate le
procedure di gara d'appalto, successivamente sospese per l'intervenuto annullamento del provvedimento di approvazione del progetto a seguito della sentenza del tribunale amministrativo regionale n. 710/2002.
Nel 2001, in applicazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 in materia di decentramento amministrativo della viabilità e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione del 21 febbraio 2000 e del 21 settembre 2001, la strada statale n. 65 è stata trasferita alla Regione Emilia-Romagna ed assegnata in gestione alla Provincia di Bologna.
Nel 2003 è intervenuta la stipula di un accordo integrativo sulla base del quale la Provincia di Bologna ha assunto l'onere per la realizzazione della Variante con finanziamento a carico di ANAS e TAV, ed ha redatto un progetto preliminare per un importo aggiornato in 27 milioni di euro.
Con riferimento a tale importo ridefinito, si è posto un problema di copertura dell'ulteriore contributo rispetto all'importo originario.
A tale riguardo ANAS, con riferimento alle disposizioni contenute nell'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 settembre 2001 ed all'intesa quadro tra Ministero e Regione Emilia Romagna intervenuta nel 2003, ha richiamato la previsione per effetto della quale «le parti infine convengono che le opere di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 settembre 2001, saranno completate e finanziate dall'ANAS, ai sensi dell'articolo 3 comma 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 febbraio 2000 come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 settembre 2001, anche nel caso di esito sfavorevole a quest'ultimo Ente dei contenziosi instaurati, nonché nel caso di necessità di ulteriori risorse per il completamento a seguito di contenziosi o perizie di variante. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si impegna altresì a garantire ad ANAS le risorse e il supporto giuridico per concludere tutte le opere che sono in corso sulla viabilità trasferita, direttamente e/o in collaborazione con le Province».
Si ribadisce che l'appalto delle opere è avvenuto in data anteriore alla regionalizzazione dell'arteria, mentre l'annullamento da parte del TA è temporalmente successivo alla predetta regionalizzazione.
Per completezza di informazione si informa che al nodo di Rastignano è collegato il completamento della complanare Est della Autostrada Bologna-Taranto A14 da San Lazzaro di Savena a Osteria Grande.
A riguardo si rappresenta la situazione all'attualità dell'intervento originariamente suddiviso in 4 lotti:
lotto 0 - complanare Sud da Stazione S. Lazzaro allo svincolo Croce dell'Idice (dal Km 0+000 al Km 2+053) - realizzato ed aperto al traffico;
lotto 1 - complanare Sud da Svincolo Croce dell'Idice a Svincolo Castelli Guelfi (dal Km 2+053 al Km 5+927) - realizzato ed aperto al traffico;
lotto 2 - complanare Nord da svincolo Croce dell'Idice a Stazione S. Lazzaro (dal Km 1+885 al Km 0+000) è stato accorpato al lotto 3 - prolungamento in direzione Sud dal Km 5+927 al Km 8+153 (Osteria Grande) ed in direzione Nord dal Km 8+612 (Osteria Grande) al Km 1+885 (svincolo Croce dell'Idice) per la necessità di adeguamento alla normativa tecnica, ed è in corso di redazione la progettazione preliminare.
Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.
ROSITANI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con precedente interrogazione n. 4-01304, del 17 ottobre 2006, l'onorevole Angela Napoli aveva sollevato la questione di un dipendente dell'Azienda dei Monopoli di Stato, distaccato presso la Procura della Repubblica di Crotone, presso il locale Casellario giudiziale, il quale firmava numerosi certificati rilasciati dal predetto casellario, anche se non in possesso della qualifica di cancelliere e non appartenente all'area C, chiedendo al Ministro
interrogato quali urgenti iniziative intendesse assumere per evitare il perpetuarsi di tale incresciosa situazione;
nella risposta del 26 febbraio 2007, il Ministro interrogato ha affermato, tra l'altro, che: «quest'amministrazione ha provveduto a fornire alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Crotone gli opportuni chiarimenti in merito alla natura che riveste l'attività di sottoscrizione dei certificati del casellario giudiziale [...] Detta attività, infatti, deve ritenersi di competenza esclusiva del cancelliere, in quanto l'adempimento in questione implica un'autonoma assunzione di responsabilità, tenuto conto, inoltre, della rilevanza esterna all'amministrazione che connota la suddetta attività certificatoria. [...] Alla luce delle suesposte argomentazioni, si ritiene, pertanto, che alla sottoscrizione dei certificati del casellario debba provvedere il cancelliere (a prescindere dalla relativa posizione economica)», concludendo, infine che: «nel caso di specie, la competente direzione generale ha segnalato all'ufficio giudiziario interessato l'opportunità che il dipendente dell'azienda monopoli di Stato venga adibito soltanto allo svolgimento di attività con rilevanza interna, anche se di supporto a quella delle professionalità superiori, con modifica immediata degli eventuali ordini di servizio che prevedano lo svolgimento di mansioni certificatorie, aventi necessaria rilevanza esterna»;
risulta tuttavia all'interrogante che la medesima situazione prima evidenziata perduri tuttora, nonostante i chiarimenti e gli interventi del ministro interrogato -:
se il ministro intenda svolgere interventi più incisivi, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, onde rimuovere il problema segnalato.
(4-04096)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si comunica che questa Amministrazione ha provveduto prontamente a chiedere alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone chiarimenti relativi alla perdurante utilizzazione, in attività certificatoria dall'indubbia rilevanza esterna, di un dipendente proveniente dall'Azienda Monopoli di Stato, in servizio presso il Casellario giudiziario di Crotone, nonostante le indicazioni sul punto date all'ufficio giudiziario dalla competente Direzione Serale, come riferito in occasione della risposta all'interrogazione n. 4-01304 dell'onorevole Angela Napoli.
In particolare, nel ribadire che l'attività di sottoscrizione dei certificati del Casellario giudiziale - viste le disposizioni legislative e regolamentari vigenti, nonché la declaratoria delle mansioni di cui al CCI di Amministrazione del 5 aprile 2000 - sia da ritenersi di competenza esclusiva del cancelliere (a prescindere dalla relativa posizione economica), si è fatto nuovamente presente alla Procura in questione l'opportunità che tale dipendente fosse adibito allo svolgimento di attività meramente interne, anche se di supporto a quelle di professionalità superiori, consigliando, nuovamente, l'immediata modifica di eventuali ordini di servizio non in linea con le suddette indicazioni.
Tale richiesta di chiarimenti è stata riscontrata dal Procuratore della Repubblica di Crotone il quale ha rappresentato la possibilità del verificarsi di qualche disguido al momento del passaggio al Nuovo Sistema Casellario ma ha assicurato che «la disposizione, secondo la quale un dipendente in posizione di comando era stato delegato alla firma dei certificati, è stata revocata».
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
TREMAGLIA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle comunicazioni, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la programmazione radiotelevisiva assicurata dalla RAI è regolata da un Contratto di servizio con lo Stato che comporta per l'Azienda benefici di carattere economico ma anche il rispetto delle regole ivi fissate;
in particolare, la programmazione di RAI International è prevista dalle Convenzioni ex-1962 ed ex-1975 con la Presidenza del Consiglio dei ministri;
RAI International è l'unico canale radiofonico e televisivo diffuso in tutto il mondo e destinato agli italiani che vivono all'estero ed ai cittadini stranieri di origine italiana -:
a che punto sia il rinnovo delle Convenzioni scadute il 31 dicembre 2006 che dovrebbero essere sostituite da una sola Convenzione alla quale da svariati mesi stanno lavorando dirigenti della RAI e, congiuntamente, esponenti qualificati della Presidenza del Consiglio dei ministri;
se sia vero che il livello finanziario assicurato dalla nuova Convenzione non supererebbe i trentacinque milioni di euro, IVA compresa, con una decurtazione di tre milioni di euro rispetto al passato, il che non consentirebbe, neanche in parte, il raggiungimento degli obiettivi annunciati sin dal luglio dello scorso anno dal Governo, attraverso il viceministro degli affari esteri Danieli, il quale parlò della nascita di un «nuova era» della RAI nel mondo;
se sia vero che il neo Diretto di RAI International, Piero Badaloni, ha anunciato una ulteriore decurtazione del 15 per cento delle proprie attribuzioni di budget impostagli dall'Azienda;
se sia vero che le modifiche, peraltro legittime, apportate dallo stesso neo Direttore Badaloni alla programmazione hanno prodotto nel mondo un coro di indignate proteste che stanno culminando in un preoccupante fenomeno di disdette degli abbonamenti a RAI International, peraltro apportando un grave danno economico all'Azienda nel suo complesso;
se sia vero che a produrre questa ondata di contestazioni è in particolare la chiusura di alcuni programmi assai popolari come «Sportello Italia», peraltro prima annunciata e poi smentita;
se sia vero che a soli tre mesi dall'assunzione dell'incarico da parte dello stesso Badaloni la Redazione giornalistica di RAI International si è pronunciata alla unanimità contro il neo Direttore contestando a lui e all'Azienda incertezza di guida, confusione editoriale, inadeguatezza organizzativa;
se sia vero che la programmazione di RAI International, in particolare quella politica, sta suscitando polemiche crescenti in tutto il mondo per la faziosità che contraddistingue in favore del Governo e del centrosinistra;
se infine sia vero che a queste scelte il Badaloni è stato indotto dai contenuti di una presunta «relazione» del Ministero degli affari esteri sullo stato di gradimento della produzione radiotelevisiva per gli italiani all'estero assicurata dai RAI International, «relazione» di cui si vuole conoscere il contenuto, i criteri di elaborazione, le fonti alle quali si è attinto per realizzarla, la o le società alla/e quale/i è stata commissionata, quale è stata la campionatura nel mondo, in quanto tempo sta stata realizzata, a quanto ne sia ammontato il costo, a quale voce di spesa del budget del Ministero degli affari esteri sia stata attribuita, se è la prima volta che questa Relazione viene realizzata; o se piuttosto questa Relazione non sia in realtà l'annuale Rapporto delle nostre Ambasciate sulla qualità tecnica (non già quindi, editoriale) del segnale RF e di quello TV nelle diverse aree del mondo; e, se così fosse, per quale motivo questo Rapporto tecnico sia stato contrabbandato per una «relazione» sul gradimento editoriale di RAI International: non sarebbe altrimenti spiegabile la rabbiosa e massiccia contestazione da parte degli utenti alle novità editoriali fin qui apportate dal Badaloni;
se infine, nella sede delle trattative per il rinnovo della conversione il Governo non ritenga di sollecitare la Direzione Generale della RAI affinché affronti la situazione gestionale ed editoriale nella quale precipita RAI International
a soli tre mesi dalla nomina del nuovo Direttore.
(4-03175)
Risposta. - Per promuovere la migliore e più vasta diffusione dell'informazione radiotelevisiva offerta tramite i programmi RAI a favore delle collettività italiane residenti nei maggiori Paesi di emigrazione, la Convenzione fra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la RAI affida al ministero degli affari esteri un delicato ruolo di vigilanza sui programmi radiotelevisivi RAI prodotti per l'estero, prevedendo che «...sulla base di informazioni acquisite per il tramite della rete diplomatico-consolare, il Ministero degli affari esteri presenti annualmente una Nota Informativa attestante la qualità e la diffusione dei programmi trasmessi nell'anno di riferimento». A partire dall'anno successivo all'entrata in vigore della suddetta Convenzione, ovvero dal novembre 1998, la direzione generale per gli Italiani all'estero e le politiche migratorie ha pertanto svolto tale relazione, indirizzata al Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Ogni anno infatti, entro il mese di luglio, la Rete diplomatico-consolare provvede alla stesura di un rapporto, che illustra lo stato della ricezione e della diffusione delle emissioni RAI/RAI International nei propri Paesi di accreditamento, evidenziando eventuali novità rispetto a quanto riferito in precedenza.
Per quanto concerne i criteri di elaborazione di tale Nota informativa, a titolo orientativo, è richiesto di fornire ogni utile informazione sui seguenti punti:
tipologia della ricezione (satellite, cavo, etere, mista);
Distributori locali del segnale;
Congruità dei costi a carico dell'utente-connazionale per la ricezione del segnale (satellite/cavo);
Stima del numero degli utenti (ove possibile);
Qualità tecnica della ricezione;
Considerazioni sul palinsesto (tipologia e qualità dei programmi, notiziari, informazione di ritorno, lingua e sottotitolature, orari, pubblicizzazione del palinsesto, eccetera) ed eventuali evoluzioni positive rispetto a precedenti rilevazioni negative;
Commenti, suggerimenti e richieste da parte della locale collettività italiana;
Elementi valutativi in merito all'efficacia del ruolo svolto da RAI International (palinsesto RAI per l'Europa) nell'ambito delle partecipazioni elettorali degli italiani all'estero (elezioni politiche e consultazioni referendarie): frequenza e impatto degli spot informativi, delle trasmissioni dedicate, delle bande in sovrimpressione, eccetera eventualmente mandati in onda (segnalandone le carenze, ove registrate);
Eventuali segnalazioni di nuove tipologie di fruizione (Satelradio, Internet);
Specifica ricezione (totale, parziale, o del tutto impossibile) della programmazione radiofonica in onde corte e medie (notiziari);
Segnalazioni di particolari situazioni di «criticità» o di problematiche ritenute di urgente trattazione in merito alle quali richiedere un intervento mirato alla RAI/RAI INTERNATIONAL.
È stato sempre raccomandato da parte di questo Ministero alle Sedi diplomatico-consolari, nell'operare tali valutazioni, di consultare gli organismi rappresentativi locali delle comunità italiane coinvolgendo in particolare, ove presenti, Comites e CGIE e, più in generale, il mondo associativo delle collettività italiane dei Paesi e delle circoscrizioni di competenza.
Le informazioni sono pertanto ottenute grazie alla collaborazione di circa 110 sedi diplomatico-consolari: le Ambasciate spesso svolgono una funzione di raccordo e di coordinamento degli elementi forniti dalla Rete degli Uffici consolari dipendenti, rielaborandoli assieme ai dati raccolti presso le locali istanze rappresentative delle collettività italiane, in modo da presentare un puntuale quadro informativo di sintesi.
Il metodo di lavoro seguito dalla direzione generale per gli Italiani all'estero e le politiche migratorie del ministero degli affari esteri ai fini della riorganizzazione dei dati acquisiti è rimasto invariato negli anni: le informazioni sono raccolte ed archiviate in una banca dati ed elaborate in singole schede allegate alla nota, organizzate in vari «campi» (area, Paese, sede, tipologia di ricezione, distribuzione, costi, utenza stimata, considerazioni sul palinsesto televisivo, ricezione radiofonica, eccetera) che consentono, in un momento successivo, di combinare le informazioni secondo i criteri di estrapolazione più idonei.
Scopo principale dell'indagine è di operare una ricognizione del panorama del servizio pubblico radiotelevisivo italiano all'estero, ponendone in evidenza gli aspetti positivi, le situazioni di criticità e segnalando gli spunti propositivi raccolti tramite la rete diplomatico-consolare.
Partendo dalle relazioni trasmesse dalle Sedi diplomatico-consolari, vengono formulate considerazioni generali di sintesi, spesso integrate dai documenti e dagli ordini del giorno approvati nel corso dei lavori del CGIE, delle audizioni parlamentari, degli interventi di addetti al settore in conferenze e simposi svolti sul tema. L'elaborato evidenzia pertanto i dati più significativi, riferiti alle singole aree geografiche, che hanno caratterizzato il periodo di monitoraggio preso in esame, riportando pertanto non solo la situazione relativa alla diffusione tecnica del segnale del canale radiotelevisivo pubblico nazionale all'estero, come evidenziato dall'interrogante, ma raccogliendo altresì ogni utile commento, critica, apprezzamento o proposta inerenti i contenuti della programmazione ed il palinsesto di RAI International, così come rilevati presso le locali collettività italiane.
Per quanto concerne costi e budget per la stesura della nota informativa, non si registra alcun onere al riguardo, essendo tutte le fasi della sua elaborazione a costo zero: la raccolta dei dati è effettuata dalla rete diplomatico-consolare, l'inserimento dei dati, l'analisi e la redazione della nota sono effettuate dai funzionari dell'Ufficio II della direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, la stampa è curata dalla Tipografia della direzione generale per gli affari amministrativi del ministero degli affari esteri.
La relazione è trasmessa annualmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per l'informazione e l'editoria, destinatario previsto dalla norma (articolo 3, ultimo capoverso, decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1997), entro la prima decade di novembre. È inoltre diffusa presso i competenti uffici interni della Farnesina (incluso, dal 2000 al 2005, ufficio di Gabinetto del Ministro per gli italiani nel mondo) e presso la Rete diplomatico-consolare estera.
Si precisa al riguardo che il ministero degli esteri non ha mai potuto divulgare tale nota informativa alla Direzione di RAI International, nonostante più volte sollecitato dalla tessa, a causa di specifiche limitazioni poste dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che considerava tale documentazione esclusivamente «ad essa riservata» (Nota del Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria prot. DIE/ARE/I 7065 del 26 novembre 2001). Prendendo atto di tale restrizione, la direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie ha sempre raccomandato alla Presidenza del Consiglio dei ministri di farsi interprete, nei confronti di RAI International, delle istanze esposte e delle considerazioni formulate, in particolare affinché fossero introdotti quei correttivi tematici alla programmazione auspicati dall'utenza di connazionali e da quella italofona.
Solo di recente, la direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie è stata autorizzata dal Capo del dipartimento per l'informazione e l'editoria a divulgare la relazione (anno 2005-2006) ed a consegnarne una copia a RAI International, nella persona del nuovo direttore Badaloni, il quale ha apprezzato il quadro di sintesi e gli spunti propositivi, manifestando l'intenzione di tenerne conto nell'elaborazione del suo piano editoriale.
Riguardo a quest'ultimo punto, si conferma che sono pervenute alcune segnalazioni, in particolare tramite la Rete diplomatico-consolare negli Stati Uniti, circa le
preoccupazioni, manifestate da alcuni rappresentanti delle locali comunità italiane, seguite alla diffusione di voci di chiusura di alcuni programmi prodotti da RAI Intenational (Zoom, Sportello Italia). Tali voci sono state in seguito smentite dal direttore il quale, nel corso di una audizione davanti al CGIE tenutasi nello scorso mese di marzo, ha riferito, con riguardo a Sportello Italia, di essere piuttosto orientato ad una ristrutturazione del programma che tenga conto di due elementi: da un lato della funzione di «servizio» della trasmissione e dall'altro dell'interazione con le comunità. In proposito si sottolinea che il MAE ha sempre chiesto, da ultimo anche nella rilevazione del 2006, un ampliamento di questa tipologia di programmi che, affrontando tematiche di interesse pratico (pensioni, cittadinanza, passaporti, borse di studio, eccetera), sono ritenuti di grande utilità per i nostri connazionali e ai quali peraltro partecipano spesso funzionari di questo Ministero.
Il Viceministro degli affari esteri: Franco Danieli.
TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in un articolo del Mondo n. 21 del 25 maggio 2007 si dà conto dell'attività della Scala group S.p.A., società fiorentina proprietaria dell'archivio fondato nel 1953 dallo storico dell'arte Roberto Longhi, che sulla base delle dichiarazioni del suo attuale Presidente, il senatore DS Stefano Passigli, dispone di oltre 230 mila immagini che spaziano dall'arte pre-cristiana a quella contemporanea non europea ed è valutato circa 20 milioni (quattro volte il fatturato 2006 che si è attestato a 5,2 milioni con un utile ante imposte di 450 mila euro);
sempre secondo le dichiarazioni di Passigli «metà di questo patrimonio iconografico è ormai di nostra proprietà, dopo aver investito nell'innovazione tecnologica 10 milioni negli ultimi anni e puntiamo a consolidarci all'estero come centro d'eccellenza in un mercato ancora di nicchia ma ad alta redditività..»;
si tratta di un mercato che passa per i Musei Vaticani, ma anche al Pushkin, all'Hermitage o al Prado con accordi commerciali di varia natura. L'ultimo riguarda i musei di Kyoto, nuove intese sono in cantiere in Cina e India. Il mercato di riferimento è vasto: si va dai broadcaster attivi nel settore multimediale, agli editori passando attraverso le agenzie pubblicitarie;
sostanzialmente sembrerebbe che la Scala group S.p.A., oltre ad avere un archivio iniziale, abbia acquisito la proprietà di innumerevoli immagini di arte grazie alla propria attività di restauro; inoltre svolge attività di diffusione di tali immagini su scala mondiale;
va ricordato però che il senatore Passigli è anche Presidente dell'Istituto Luce S.p.A., i cui archivi contengono un patrimonio fotografico di centinaia di migliaia di immagini, che appartengono a tutti i cittadini e svolge un'attività similare a quella esercitata per la Scala group S.p.A.; va osservato con preoccupazione che di questo non vi è parola nell'articolo del Mondo;
inoltre la commistione tra i due ruoli fa sorgere taluni dubbi sul reale utilizzo delle immagini dell'Istituto Luce; un eventuale contratto di «restauro» della immagini del Luce, potrebbe addirittura produrre come risultato un passaggio di proprietà del più importante archivio fotografico e cinematografico italiano; ipotesi non remota se si considera che entrambi i contraenti hanno, quale rappresentante legale, la stessa persona -:
quali intendimenti abbia il Ministro interrogato per tutelare la proprietà pubblica dell'archivio immagini dell'Istituto Luce e per valorizzarne i contenuti sotto il profilo culturale ed economico.
(4-03876)
Risposta. - Il testo dell'interrogazione fa riferimento ad un articolo apparso su Il
Mondo del 25 maggio 2007, nel quale si dà esclusivamente conto dell'attività della Scala Group S.p.a. senza stabilire alcun legame con l'attività dell'Istituto Luce S.p.a..
Nel testo dell'interrogazione, invece, si assumono circostanze che non trovano riscontro alcuno nell'attività o struttura delle due società su indicate.
Si afferma infatti che l'Istituto Luce S.p.a. svolgerebbe un'attività similare a quella di Scala Group S.p.a, laddove invece i due archivi hanno un patrimonio di immagini del tutto diverso per quantità e contenuti, l'Istituto Luce S.p.a. potendo contare su circa 3,5 milioni di fotografe, 6.000 ore di documentari, e svariati milioni di metri di footage dedicati ai vari aspetti della storia italiana e delle principali Nazioni nel corso del XX secolo, mentre Scala Group spa non possiede alcun metro di footage e si avvale solo di circa 160.000 fotografie interamente dedicate alla storia dell'arte e dei beni culturali. Le due realtà operano pertanto in aree del tutto diverse per contenuto.
Parimenti infondata è l'ipotesi che l'identità nella figura del Presidente delle due società possa configurare «una commistione tra i due ruoli»: va infatti considerato non solo che il Ministero è stato informato del curriculum del professor Stefano Passigli e della sua posizione di Presidente di Scala Group s.p.a, preventivamente alla sua nomina a Presidente dell'Istituto Luce spa, e che è dunque ipotizzabile che proprio l'esperienza dallo stesso maturata quale Presidente di Scala Group spa, e fino al 2006 e per oltre 25 anni quale, Presidente del Gruppo Editoriale Longanesi, siano state all'origine della sua nomina a presidente dell'Istituto Luce spa da parte del Governo; ma che dai verbali del Consiglio di amministrazione dell'Istituto Luce spa risulta che lo stesso Presidente Passigli abbia informato il Consiglio della propria posizione di residente della Scala Group spa, ai sensi dell'articolo 2390 del codice civile che il Consiglio non abbia ravvisato in tale posizione - l'esistenza di alcun conflitto di interessi.
Non ha motivo d'essere inoltre la supposizione che Scala Group spa «abbia acquisito la proprietà di innumerevoli immagini di arte grazie alla propria attività di restauro»: tale società ha infatti stipulato con il Ministero per i beni e le attività culturali una convenzione nella quale si dà atto che essa detiene legittimamente, e in conseguenza di campagne fotografiche debitamente autorizzate, immagini di beni culturali di proprietà statale per il cui utilizzo essa ha versato e versa alla Stato la royalty prevista in tale convenzione.
Non corrisponde alla realtà inoltre l'ipotesi che «un eventuale contratto di restauro delle immagini del Luce potrebbe addirittura produrre come risultato un passaggio di proprietà del più importante archivio fotografico e cinematografico italiano; ipotesi non remota se si considera che entrambi i contraenti hanno quale rappresentante legale, la stessa persona»: non solo un «contratto di restauro» - peraltro non previsto né prevedibile tra l'Istituto Luce spa e Scala Group spa - non potrebbe produrre alcun trasferimento di proprietà degli oggetti del restauro, ma lo Statuto dell'Istituto Luce spa, all'articolo 9 attribuisce all'Assemblea ordinaria, e quindi all'azionista unico Cinecittà Holding spa, l'autorizzazione preventiva a «vendite, permute e donazioni relative all'Archivio storico fotocinematografico».
In conclusione si rappresenta che nessuna misura è necessaria da parte del Ministero per i beni e le attività culturali per tutelare la proprietà pubblica dell'archivio dell'Istituto Luce, essendo tale proprietà già sufficientemente garantita.
Quanto alla valorizzazione dei contenuti dell'archivio sotto il profilo culturale ed economico cui fa riferimento l'interrogante, si conferma che tale valorizzazione è proprio l'oggetto del programma sottoposto a Cinecittà Holding ed al Ministero dal Consiglio di mministrazione presieduto dal professor Passigli.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Elena Montecchi.
VACCA, DILIBERTO e CESINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la struttura del sistema economico della Sardegna, in particolare il settore agropastorale, non è dato da stabili iniziative imprenditoriali bensì da una moltitudine di micro-aziende prevalentemente a carattere familiare spesso prive all'origine dei mezzi di produzione più aggiornati;
nel 1988 la regione Sardegna approvava la legge n. 44 del 1988, per l'abbattimento dei tassi di interesse dei prestiti contratti nel settore agro-pastorale, con l'obiettivo di promuovere l'innovazione tecnologica e far sì che tali imprese, prive di strutture adeguate, potessero sopravvivere rinnovandosi e cercando di superare gli ostacoli imposti dalle avverse caratteristiche del territorio, dalle dinamiche sociali ed economiche;
nel 1991 l'Unione europea dichiarava illegittimo il provvedimento della regione Sardegna, in quanto detti finanziamenti pubblici a tassi agevolati prefiguravano una turbativa delle regole della concorrenza all'interno del mercato, provocando una conseguente lievitazione dei tassi d'interesse a carico dei mutuatari con l'effetto parossistico del rientro dei fidi precedentemente concessi;
gli istituti di credito a fronte dell'insolvenza dei piccoli imprenditori agricoli hanno predisposto la vendita all'asta delle relative aziende agro-pastorali, circa cinquemila, determinando il tracollo di un settore economico e il fallimento di un sistema che riveste un'importanza strategica nel processo di crescita dell'economia isolana, incidendo sullo sviluppo del territorio più di qualsiasi soggetto di programmazione economica;
in provincia di Cagliari, a Decimoputzu, i coltivatori si sono attivati in una protesta organizzata, occupando la Sala Consiliare del paese e avviando lo sciopero della fame nella speranza di ottenere un intervento concreto da parte delle istituzioni; tale pacifica battaglia è stata però ostacolata da atti di violenza e minacce al leader di Altragricoltura, nonché portavoce del Comitato di lotta dei pastori ed agricoltori -:
quali iniziative intende avviare per verificare se, come paventato dai piccoli imprenditori coinvolti, non vi siano in gioco interessi per l'acquisto di tali aziende al fine di alimentare la speculazione anche edilizia, in considerazione della collocazione geografica delle stesse;
quali misure intende adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di non disperdere il patrimonio delle aziende del settore, che rischiano il pignoramento e la successiva vendita all'incanto, considerate le precarie condizioni socio-economiche dei coltivatori interessati;
se non ritenga di poter intervenire per evitare il permanere dello stato di crisi del settore anche con l'utilizzo di strumenti idonei ad avviare una ristrutturazione finanziaria quali il ricondizionamento dei mutui e il consolidamento dei debiti contratti a tasso ordinario.
(4-05279)
Risposta. - L'interrogazione in esame pone l'accento sulla grave crisi socio-economica in cui versano le aziende agro-pastorali sarde a causa dell'applicazione delle misure di recupero, tramite rimborso, degli aiuti concessi dalla Regione Sardegna in applicazione dell'articolo 5 della legge regionale n. 44 del 1988 e delle delibere della Giunta regionale del 30 dicembre 1988, del 27 giugno 1990, del 20 novembre 1990 e del 26 giugno 1992, dichiarati incompatibili con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato con la Decisione 97/612/CE della Commissione del 16 aprile 1997.
La legge regionale, in particolare all'articolo 5, come modificato dalla legge regionale 27 agosto 1992, n. 17, prevedeva un regime di aiuti, sotto forma di mutui a tasso agevolato, diretti a favorire la ricostituzione della liquidità delle aziende agricole sarde; la cui situazione finanziaria avesse subito un pregiudizio per circostanze avverse.
La stessa legge prevedeva, inoltre, che spettasse alla Giunta regionale di determinare, con un'apposita delibera per ciascun caso, le modalità pratiche di concessione dei mutui e le circostanze avverse che giustificassero il provvedimento.
Nonostante quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, la Regione Sardegna non ha notificato alla Commissione europea né la legge regionale 13 dicembre 1988, n. 44 né i 4 provvedimenti di giunta attuativi della legge medesima.
Solo nel settembre 1992, dopo avere concesso gli aiuti, la Regione ha notificato alla Commissione la legge 27 agosto 1992, n. 17, che aveva modificato la legge 13 dicembre 1988, n. 44.
L'attuale emergenza, quindi, affonda le radici nel tempo e nell'operato di diverse amministrazioni.
Il Governo è impegnato, attraverso incontri ed azioni di coordinamento tra imprese bancarie e regione, a ricercare una strategia condivisa.
In tal senso, la Commissione agricoltura, nella seduta del 30 ottobre 2007, ha approvato una risoluzione con la quale si impegna il Governo ad intraprendere con la massima urgenza tutte le iniziative che si rendono più opportune per fare fronte alla grave crisi socio-economica in cui versano le aziende agricole ed agro-pastorali sarde.
In tale quadro, si evidenzia che nell'ambito del disegno di legge finanziaria 2008, all'articolo 29-quater, è prevista la costituzione di una commissione di tre esperti che, nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato, presenterà alla Presidenza del Consiglio dei ministri le proposte per la ristrutturazione dei debiti entro il 31 luglio 2008. Fino a tale data sono sospesi i giudizi pendenti, le procedure di riscossione e recupero, nonché le esecuzioni forzose in danno di imprenditori agricoli della Regione Sardegna.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Paolo De Castro.
VICHI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
ogni anno, nella provincia di Rimini, si ripresenta puntualmente il problema «estate sicura» e l'attività svolta lodevolmente dai Corpi di Polizia si traduce nel sovraffollamento della popolazione detenuta, che aumenta anche del 100 per cento. E Ciò in un carcere che ha un organico al di sotto dei livelli di sicurezza, per i posti di servizio individuati e per il personale assegnato;
va sottolineato lo spirito di sacrificio, l'attaccamento al dovere sempre dimostrato e la grande collaborazione del personale che opera in condizioni di oggettiva difficoltà per la scarsità delle risorse messe a disposizione;
la dotazione di personale di polizia penitenziaria si riduce poi per la destinazione di uomini a servizi amministrativi in sostituzione di personale civile assolutamente carente o mai assegnato;
la necessità di integrare il personale del carcere di Rimini è già stata segnalata alla Direzione dell'Amministrazione Penitenziaria; soprattutto nel periodo estivo in cui i continui ingressi lo collocano al II posto nella statistica degli istituti emiliano romagnoli e al XXVII a livello nazionale;
va ricordato che il sovraffollamento la detenzione molto breve che caratterizza la maggior parte dei nuovi ingressi causano un grande carico di lavoro nelle sezioni e negli uffici: Rimini risulta essere tra gli istituti con il maggior numero di ingressi, anche rispetto ad altri strutturalmente più grandi -:
se e come intenda garantire la sicurezza e l'ordine, per l'intero anno, nella CC di Rimini, adeguando con urgenza il contingente di Polizia Penitenziaria e garantendo la copertura di un organico adeguato di personale addetto ai servizi sociali ed amministrativi;
se e come intenda corrispondere la necessità di potenziare il personale nella stagione estiva;
se non ritenga opportuno utilizzare per le necessità della Provincia di Rimini anche altri istituti della Regione;
se non ritenga opportuno fare un interpello fra tutto il personale della Polizia Penitenziaria e civile dell'Amministrazione disponibile a prestare servizio a Rimini nel periodo estivo.
(4-00728)
Risposta. - Si fa presente che dalle rilevazioni statistiche predisposte dal competente ufficio del Dipartimento della amministrazione penitenziaria emerge che nell'estate del 2006 e, precisamente, alla data del 31 luglio 2006, la Casa circondariale di Rimini ha registrato un numero complessivo di presenze detentive pari a 242 unità, a fronte di una capienza stimata in 188 unità.
Il numero di presenze detentive presso il suddetto istituto è indubbiamente determinato dal fatto che, essendo destinato ad ospitare detenuti appartenenti al circuito media sicurezza, per la sua dislocazione geografica, nel periodo estivo, registra un notevole aumento del numero di arresti giornalieri, risentendo dell'afflusso di turisti che affollano la riviera romagnola.
Il fenomeno è, comunque, costantemente monitorato sia dalla direzione dell'istituto stesso, sia dal Provveditorato Regionale, al fine di limitare il ricorso a posizionamenti di emergenza o di fortuna, utilizzando solo in caso di extrema ratio reparti quali, ad esempio, l'infermeria, la sala socialità, la sala ricreativa, e ciò per evitare ricadute operative negative sull'ordine e sulla sicurezza interna.
Complessivamente, nello scorso anno, la competente Direzione generale del Dipartimento della Amministrazione penitenziaria ha emesso provvedimenti di sfollamento extradistretto per 16 detenuti, al fine di ricondurre entro standard di sicurezza il rapporto presenze - capienza detentiva.
La situazione del citato istituto è, comunque, alla costante attenzione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, impegnato a tenere sotto controllo il livello di affollamento, anche per il tramite del Provveditore regionale per l'Emilia Romagna. Nello scorso mese di settembre, risultavano presenti in istituto 159 detenuti.
Per far fronte alle necessità della casa circondariale, il Provveditorato di Bologna ha sempre adottato misure di emergenza, come l'invio in missione di alcune unità da altre sedi, anche grazie all'integrazione del monte ore dello straordinario.
Si fa presente, infine, che il Provveditore regionale, pur dando atto del carico di lavoro presso l'istituto, ha rilevato che esso sembra trovare adeguata compensazione in condizioni ambientali, interne ed esterne, particolarmente apprezzate dal personale. Infatti, i dati sulla mobilità relativi alla casa circondariale in questione sono in palese controtendenza rispetto alla maggior parte delle altre sedi, evidenziando un numero di aspiranti in ingresso ben superiore a quello degli aspiranti in uscita.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
VOLONTÈ. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'avvocato attivista per i diritti umani Cheng Guang Cheng, battutosi contro la campagna di aborti forzati imposta dal regime cinese nella provincia dello Shandong, è stato condannato a quattro anni e tre mesi di reclusione per aver «causato danno alla pubblica proprietà»;
secondo il Times Magazine del 9 dicembre 2005, solamente nella regione Linyi della stessa provincia, almeno 7.000 giovani donne sono state costrette ad abortire dal marzo al luglio dello stesso anno;
un articolo del giornale citato testimonia il caso della giovane ventitreenne Li Juan: dopo aver legato la giovane a un letto, gli operatori sanitari hanno infilato un ago nel suo addome fino a raggiungere e uccidere il feto di nove mesi, successivamente immerso in un secchio d'acqua per accertarne il decesso;
il Parlamento Britannico, secondo cui si registrano annualmente in Cina almeno
130.000 aborti forzati, ha presentato una mozione di solidarietà per Chen Guang Cheng, tesa alla sua immediata liberazione, nonché alla sospensione da parte del Governo dei contributi in favore dell'UNFPA (United Nations Population Fund) che sostiene economicamente la politica di «pianificazione familiare» del regime cinese;
anche il Governo italiano e l'UE finanziano le attività del Fondo suddetto -:
se sia a conoscenza di quanto esposto e se non ritenga di intervenire presso le autorità cinesi e le istituzioni comunitarie, al fine di sollecitare la scarcerazione dell'attivista, prevedendo come extrema ratio anche la sospensione del sostegno economico in favore dell'UNFPA, in linea con quanto richiesto dalla mozione sopra citata.
(4-04339)
Risposta. - L'Italia segue costantemente la tematica del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Cina, sia nei contatti bilaterali sia nel più ampio contesto dell'azione esterna dell'Unione europea. Sotto quest'ultimo profilo, particolare rilevanza assume il Dialogo strutturato Unione europea-Cina sui diritti umani, che costituisce anche l'occasione per l'Italia e per l'Unione europea per segnalare alle Autorità cinesi casi individuali di detenuti per reati di opinione, di vittime di trattamenti inumani e degradanti e di condannati a morte. Il caso dell'avvocato Chen Guang Cheng rientra appunto nella lista dei casi sollevati dall'Unione europea negli incontri con le autorità cinesi.
L'ultima sessione del Dialogo (tenutasi a Berlino, il 15 e 16 maggio 2007) ha visto tra i temi affrontati anche quello della tutela dei difensori dei diritti umani. In questa occasione, l'Unione europea ha espresso profonda preoccupazione per i provvedimenti presi dalle Autorità cinesi nei confronti di avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani e critici nei confronti di corruzione ed abusi di potere, tra i quali appunto l'avvocato Chen. Non è mancato un riferimento più generale al problema della relativa scarsità di avvocati attivi in Cina, dettata probabilmente dal timore, proprio di chi intende intraprendere questa carriera, di subire minacce o maltrattamenti da parte delle autorità cinesi.
In base alle informazioni in possesso dell'Unione europea, l'avvocato Chen è stato effettivamente condannato a 4 anni e tre mesi di reclusione l'8 gennaio 2007. Chen starebbe scontando la pena nella prigione di Linyi nello Shandong e sarebbe, secondo le autorità cinesi, in buona salute.
Il caso dell'avvocato Chen è stato inoltre sollevato nell'ambito di un passo svolto lo scorso 2 luglio 2007 dalla Troika UE presso il Ministero degli esteri cinese, a seguito di informazioni ricevute circa un episodio di violenza che questi avrebbe subito da parte di altri detenuti, apparentemente istigati dalle guardie carcerarie. A seguito di tale episodio l'avvocato Chen avrebbe intrapreso uno sciopero della fame.
E stata espressa nuovamente preoccupazione per lo stato di salute dell'avvocato cinese ed è stato richiesto al Governo cinese di adottare misure concrete affinché egli riceva cure e visite mediche adeguate e non venga sottoposto ad ulteriori maltrattamenti.
Circa l'eventualità di una sospensione di contributi italiani in favore dell'UNFPA (United Nations Populations Fund) ritengo opportuno precisare come i contributi volontari consistano in finanziamenti concessi agli organismi internazionali, banche e fondi di sviluppo per la realizzazione di interventi nei paesi in via di sviluppo con finalità di sviluppo, sulla base di accordi e protocolli internazionali. Si tratta dunque di finanziamenti alle core activities dell'Organizzazione, e non di contributi finalizzati a singoli Paesi.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del commercio internazionale. - Per sapere - premesso che:
Le rilevazioni statistiche confermano che il gettito delle imposte e dei tributi dovuti all'Erario stiano segnando un deciso
incremento rispetto alle previsioni di cui alla legge finanziaria 2007;
si è posto politicamente il problema di dove impegnare tali risorse;
le somme messe a disposizione del MAE sono state significativamente contratte rispetto agli anni precedenti mettendo tra l'altro in gravi difficoltà l'organizzazione esterna di Ambasciate e Consolati, prova ne siano i reiterati appelli delle Organizzazioni Sindacali dei diplomatici;
ovunque nel mondo necessita una maggiore presenza italiana sia nel campo consolare che come promozione degli investimenti e del commercio all'estero, nelle dotazioni agli Istituti italiani di cultura come nella sicurezza e nell'adeguamento di strutture e personale le nostre missioni all'estero;
le nostre comunità segnalano molti casi di insufficiente copertura dei capitoli per l'assistenza ad italiani in difficoltà, soprattutto nei paesi dove non esiste adeguata assistenza sanitaria e previdenziale pubblica -:
che passi abbiano svolto od abbiano in animo di svolgere i Ministri interessati affinché una quota significativa delle plusvalenze che si dovrebbero manifestare nella finanza pubblica siano investite in una più valida presenza italiana all'estero;
se sia stata predisposta una mappa delle maggiori emergenze, necessità e priorità.
(4-03256)
Risposta. - Il sostegno ed il finanziamento della proiezione esterna del Paese rappresentano una priorità fondamentale per il Governo che, sin dalle prime fasi della preparazione della manovra di bilancio per il 2008, ha affrontato la questione di un incremento adeguato dell'ammontare globale delle risorse finanziarie destinate a sostenere la presenza internazionale dell'Italia.
Il disegno di legge per l'approvazione del bilancio dello Stato per il 2008, attualmente in esame al Senato, prevede 32 milioni di euro aggiuntivi destinati agli italiani all'estero. In particolare, 14 milioni di euro sono previsti da un emendamento presentato dal Governo su mia proposta e 18 milioni di euro sono inseriti in un emendamento presentato dai parlamentari eletti nella circoscrizione estero.
Tali incrementate risorse, distribuite sui capitoli che maggiormente necessitavano di finanziamenti aggiuntivi, consentiranno di proseguire i programmi di assistenza - soprattutto sanitaria - agli indigenti e di realizzare ulteriori importanti iniziative in favore delle nostre collettività all'estero.
Vi è infatti un fermo impegno ad attribuire i necessari mezzi al ministero degli esteri, delle cui funzioni di supporto e di fulcro della proiezione esterna del nostro «sistema paese» siamo ben consapevoli, come pure del suo imprescindibile ruolo per promuovere l'azione dell'Italia per la pace e la sicurezza internazionale, per la gestione delle sfide globali, per la cooperazione allo sviluppo e la tutela dei nostri connazionali all'estero.
Queste funzioni e questi obiettivi saranno tenuti ben presenti, nella misura delle disponibilità complessive, in vista della destinazione al Mae di fondi aggiuntivi, considerati anche i nuovi compiti attribuiti alla rete diplomatico-consolare. Ci si riferisce, in particolare, alla prospettata disciplina di ammissione di extra-comunitari in Italia, in base a «liste di collocamento» da istituire presso i nostri Uffci all'estero, nonché all'estensione a nuove categorie di soggetti del regime di riconoscimento, acquisto o riacquisto di cittadinanza (vedi Testo Unificato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera il 28 marzo 2007).
Si tratta di ulteriori adempimenti che andranno ad aggiungersi alla già pesante situazione registrata da molti degli uffici consolari, e che giustificano di per sé un significativo incremento nella dotazione di risorse umane e materiali da destinare alle rappresentanze consolari.
Il Viceministro degli affari esteri: Franco Danieli.
ZACCHERA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel novembre 2002 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha bandito un concorso interno per 500 posti di vice ispettore di polizia penitenziaria, poi ampliato a 600 posti;
i 526 vincitori hanno concluso il prescritto corso di formazione nel mese di maggio 2006 e l'amministrazione penitenziaria li ha restituiti alle sedi di provenienza in attesa dell'assegnazione definitiva in base alle disponibilità dei posti stabiliti nel bando di concorso;
nel frattempo le predette 526 unità hanno assunto il trattamento economico relativo al nuovo status di vice ispettori di polizia penitenziaria e hanno iniziato ad assolvere alle funzioni ed agli incarichi corrispondenti al nuovo ruolo;
solo nel mese di maggio 2007 (e quindi ad oltre un anno dalla conclusione del corso di formazione e dall'acquisizione da parte degli interessati di nuove qualifiche e funzioni), l'amministrazione penitenziaria - anche a seguito dei solleciti delle organizzazioni sindacali - ha deciso di riesaminare l'incerta posizione dei predetti 526 vice ispettori di polizia penitenziaria dal punto di vista delle sedi di assegnazione ed ha individuato nuove sedi di assegnazione;
ciò a seguito di un singolo incontro tenuto con le stesse organizzazioni sindacali il giorno 24 maggio, effettuando una nuova determinazione dei posti disponibili e delle piante organiche del Corpo di Polizia penitenziaria per singole regioni ma senza una verifica sulla base di una puntuale rilevazione delle esigenze sul territorio;
detta rilevazione l'amministrazione penitenziaria avrebbe avuto tutto il tempo di effettuarla durante l'anno trascorso e fra l'altro si sarebbe resa comunque ancora più necessaria ed urgente in relazione al mutato rapporto quantitativo/qualitativo dei detenuti presenti negli istituti penitenziari, anche a seguito del provvedimento di indulto che ha portato la popolazione penitenziaria dai 64.000 detenuti presenti nel luglio 2006 agli attuali 42.000, ed al fatto che negli ultimi 8 anni, non considerate nelle attuali piante organiche di tutti i ruoli del Corpo di Polizia penitenziaria, sono state realizzate almeno 10 nuove infrastrutture penitenziarie;
dal 12 al 15 giugno 2007 l'amministrazione penitenziaria, per una complessiva spesa stimabile in diverse decine di migliaia di euro, ha quindi provveduto alla convocazione da tutte le sedi del territorio nazionale a Roma di 500 dei 526 vice ispettori disponendo che i medesimi scegliessero la nuova sede sulla base dei nuovi posti individuati e delle singole posizioni nella graduatoria del corso di formazione;
contrariamente - secondo l'interrogante - alle regole generali relative ai concorsi nelle pubbliche amministrazioni non sarà peraltro consentito di rinunciare alla nuova qualifica qualora la nuova sede di assegnazione, di fatto obbligatoria perché individuata a priori, non corrisponda alle aspettative e alle esigenze degli interessati;
è comprensibile quante difficoltà logistiche e famigliari può comportare un imprevisto cambiamento di residenza per molte persone così obbligate a farlo;
l'amministrazione penitenziaria si appresta, quindi, e con un anno di ritardo a disporre per circa 300 assegnazioni di vice ispettori di polizia penitenziaria a nuove sedi, per una spesa complessiva, corrispondente alle retribuzioni per tale mobilità non inferiore a 2,5 milioni di euro;
l'individuazione di nuovi posti nell'organico da destinare alle predette 526 unità, inoltre, preclude anche la possibilità di ottenere un trasferimento a domanda e a proprie spese negli stessi istituti agli altri appartenenti al ruolo degli ispettori di polizia penitenziaria che, sulla base del prescritto interpello nazionale, avevano presentato apposita domanda per essere inclusi nelle graduatorie nazionali per ciascuna
singola sede relativa all'anno 2006 -:
se non possa essere considerata illogica e tardiva la procedura attuata dall'amministrazione penitenziaria, tenuto conto che ad avviso dell'interrogante la stessa non corrisponde alle attuali esigenze del Corpo di Polizia penitenziaria né accrescerà la funzionalità e l'efficienza dei relativi servizi penitenziari;
se non reputi eccessivamente dispendiosa nelle varie fasi la procedura seguita, tenuto conto che ad oltre un anno di effettivo e proficuo impiego nelle sedi di appartenenza dei 526 vice ispettori di polizia penitenziaria gli stessi potevano essere mantenuti, senza alcuna spesa ulteriore, nelle sedi originarie, ovvero trasferiti esclusivamente a domanda e quindi comunque a proprie spese;
se si siano considerati i problemi insorgenti, stante anche il periodo di tempo trascorso dall'inizio del concorso, dell'indubbia continuità nel servizio e le aspettative ingenerate in un personale di polizia penitenziaria anche con notevole anzianità di servizio e con prole e coniuge a carico, di cui si vuole disporre l'assegnazione a sedi distanti anche centinaia di chilometri dalle attuali;
se si sia tenuto conto nel prendere questa decisione anche del danno indirettamente arrecato a tutti coloro che, appartenenti al medesimo ruolo degli ispettori di polizia penitenziaria, da anni attendevano il trasferimento a domanda verso le sedi che saranno ora «occupate» dai 526 vice ispettori e che in tal senso avevano presentato apposita istanza di mobilità a proprie spese;
se il Ministro interrogato, alla luce di quanto testé esposto, sia intenzionato ad intervenire con urgenza nelle appropriate sedi per il ripristino di idonee condizioni che non danneggino né i 526 vice ispettori di polizia penitenziaria né coloro che appartengono al medesimo ruolo e aspirano, da anni del tutto legittimamente, al trasferimento a domanda, né comportino spese inutili ed assolutamente eccessive.
(4-04098)
Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame oggetto va preliminarmente osservato che il fenomeno nella stessa menzionato ha una dimensione meno estesa rispetto a quanto rappresentato, poiché solo una parte esigua dei 526 neo Vice Ispettori - in ragione della collocazione nella relativa graduatoria di merito - è stata destinata ad una sede distante da quella occupata nelle more della nuova assegnazione.
È infatti esito abituale delle procedure concorsuali l'assegnazione nelle sedi che, in base alle esigenze di servizio dell'Amministrazione, necessitano della presenza della figura del Vice Ispettore.
Avvalendosi della riserva di cui all'articolo 1 del PCD con cui venne indetto il concorso in questione, l'amministrazione, con nuovo provvedimento - a seguito di consultazione con le organizzazioni sindacali e sulla base del mutamento, nel tempo, delle suddette esigenze - ha modificato la ripartizione territoriale dei posti, tenendo conto di vari aspetti.
In primo luogo, si rammenta l'incidenza sul territorio del sopravvenuto provvedimento di indulto; in secondo luogo, vanno tenute in debita considerazione le esigenze di razionalizzazione delle risorse economiche imposte dalla legislazione finanziaria per il contenimento della spesa pubblica, il cui logico corollario è il preferire un diverso sistema di ripartizione dei posti al ricorso alla mobilità d'ufficio.
Va, infine, evidenziato che la ripartizione in argomento è stata delineata anche sulla base della preliminare ricognizione delle aspirazioni degli interessati.
Non va, infine, tralasciata la circostanza che l'Amministrazione ha dovuto tener conto anche del notevole lasso di tempo intercorso tra la nomina e l'assegnazione dei vincitori di concorso, definendone la posizione senza ulteriore indugio.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
ZACCHERA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
molteplici sono gli incarichi del personale di polizia penitenziaria all'interno ed all'esterno delle infrastrutture penitenziaria, tra i quali notevole rilevanza, anche attinente l'ordine e la sicurezza pubblici, assume il servizio delle traduzioni dei detenuti da e per gli istituti penitenziari e verso le aule di giustizia, mediante un contingente di oltre 6.000 donne e uomini del corpo sul territorio nazionale;
è indubbio che la gestione dei nuclei operativi delle traduzioni e che in alcuni istituti penitenziari impiegano quotidianamente anche 200 unità di polizia penitenziaria, richiede il disimpegno di capacità ed esperienze professionali non comuni da parte di coloro che, appartenenti nella stragrande maggioranza dei casi al ruolo degli ispettori, vi svolgono le funzioni di coordinatori;
è, peraltro, invalsa l'abitudine nell'amministrazione penitenziaria, come di recente nell'ambito dell'assegnazione di 143 vice commissari del ruolo ordinario di polizia penitenziaria alle sedi di istituti penitenziari, di procedere all'avvicendamento, a volte senza preavviso e anche senza motivazione, dei predetti ispettori che hanno svolto per anni e con assoluto profitto per la stessa amministrazione, le funzioni di coordinatori dei predetti nuclei operativi delle traduzioni;
i repentini avvicendamenti dei coordinatori dei nuclei operativi delle traduzioni, come detto anche non motivati da esigenze reali, sono la diretta conseguenza della preoccupante e della possibile tendenza dell'amministrazione penitenziaria (diversamente da quanto avviene per il personale dei profili tecnico-amministrativi della stessa amministrazione), a non riconoscere in alcun modo - ovvero a ritenere di minima rilevanza - le professionalità disimpegnate dal personale di polizia penitenziaria, anche nel caso in cui è proprio solo grazie alle comprovate capacità ed allo spirito di sacrificio di tale personale che sono garantite idonee condizioni di sicurezza, legittimità ed efficienza in un servizio così delicato ed importante -:
se il Ministro interrogato non ravvisi in tale prassi obbiettivi rischi per le ingiustificate perdite di professionalità, attitudini e spirito di sacrificio fuori dal comune di cui la polizia penitenziaria e soprattutto l'amministrazione penitenziaria si è avvalsa e tuttora si avvale con indubbia utilità per l'Istituzione;
se il Ministro non ritenga necessario provvedere per opportuni riconoscimenti, oltre che di carattere economico nonché di carriera, per il personale di polizia penitenziaria nominato per lunghi periodi coordinatore dei nuclei operativi delle traduzioni e se non sia il caso di disporre per l'adozione di idonei correttivi che impediscano che tale personale possa essere sostituito nell'incarico in maniera assolutamente discrezionale.
(4-04101)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente che la competente Direzione generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assegnato ai neo vice commissari il ruolo direttivo ordinario delle funzioni di Coordinatore dei Nuclei Traduzioni e Piantonamenti ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6, comma 2 del decreto-legislativo 146/2000 e del successivo decreto ministeriale del 28 gennaio 2004 (articolo 2, comma 1).
Gli ispettori, pertanto, sono stati destinati a svolgere le funzioni di vice coordinatori non solo a norma dell'articolo 23 del decreto legislativo 443/1992 e dell'articolo 14, comma 1, della legge n. 395/1990, ma anche in considerazione della specifica professionalità acquisita nell'ambito del servizio traduzioni e piantonamenti, e proprio per scongiurare i rischi paventati dal Senatore interrogante.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.
ZANELLA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Yeshe norbu Appello per il Tibet onlus gestisce circa 1000 adozioni a distanza di bambini, monaci, disabili e anziani tibetani in Nepal, Nord India e specialmente nel Sud India (www.AdozioniTibet.it);
il denaro raccolto viene spedito tramite banca e un incaricato locale della onlus lo distribuisce agli assistiti;
in teoria tutti i fondi spediti in India dall'estero ricadono sotto il Foreign Contribution Regulation Act che richiede una particolare autorizzazione, però finora non venivano applicate restrizioni a importi relativamente modesti (circa 12.000 euro al mese per il Sud India) e in tanti anni non si erano mai avuti problemi, mentre tre mesi fa la banca nel Sud India ha comunicato alla onlus che non può spedire altri bonifici; i soldi destinati al Nord India sono stati allora inviati a un'altra banca che finora non ha sollevato obiezioni, è possibile però che presto ci saranno problemi anche lì;
qualcuno ipotizza che l'irrigidimento sia una misura antiterrorismo;
l'iter per ottenere l'autorizzazione ufficiale e avere la possibilità di spedire il denaro necessario alle adozioni richiede abitualmente tre anni o più, e intanto i bambini aspettano -:
se il Governo sia a conoscenza delle difficoltà, delle quali quella sopra descritta è solo un esempio, affrontate quotidianamente dall'associazionismo, spesso poco tutelato dalle istituzioni;
se il Governo intenda intercedere col Governo indiano per supportare tutte quelle realtà che come la Yeshe norbu Appello per il Tibet onlus, si trovano in difficoltà a causa della Foreign Contribution Regulation Act e permettere che la loro opera di grande valore sociale ed umano non venga interrotta durante l'iter necessario per ottenere l'autorizzazione ufficiale;
quali eventuali azioni di monitoraggio voglia intraprendere il Governo per conoscere e concorrere a risolvere i problemi delle altre molteplici realtà del terzo settore che da anni svolgono attività meritorie per il tessuto sociale.
(4-02488)
Risposta. - La nostra Ambasciata a Nuova Delhi è al corrente delle difficoltà pratiche e normative che sovente si frappongono - in un contesto già di per sé difficile - alle organizzazioni non governative italiane impegnate in India sui temi sociali, e pertanto segue con molta attenzione gli sviluppi della situazione relativa alla protezione dei contributi per le adozioni a distanza in India.
L'impianto normativo attualmente in vigore in India in materia di contributi esteri a persone o associazioni operanti nel Paese sta attraversando una fase particolarmente dinamica.
È stato istituito un Comitato parlamentare con l'incarico di redigere un rapporto i cui contenuti, una volta approvati dal Parlamento, consentiranno alle autorità indiane di applicare una nuova normativa alla cui definizione hanno contribuito anche alcune organizzazioni non governative operanti in India, tramite una opportuna azione di lobbying.
L'Ambasciata d'Italia a Nuova Delhi è attivamente impegnata a monitorare l'evoluzione legislativa per concordare eventuali seguiti operativi con le autorità locali, con i diversi soggetti portatori di interessi e con i partners Unione Europea presenti nell'area.
Premesso che l'esistenza di una specifica legislazione indiana in materia riduce notevolmente le possibilità di intervento da parte dei Governi stranieri, non si è fino ad ora mancato, né si mancherà in futuro, di intervenire presso le Autorità indiane in relazione a singoli casi per la soluzione di difficoltà di tipo burocratico e/o autorizzativi.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Gianni Vernetti.