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Allegato B
Seduta n. 26 del 17/7/2006
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GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta orale:
PEDRINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
emergono dati allarmanti circa la cronica carenza di personale ed il sovraffollamento delle sette strutture carcerarie della regione Liguria;
alla capienza regolamentare nei sette penitenziari liguri di 1.140 posti erano presenti, alla data del 30 maggio scorso, 1.486 detenuti;
rispetto all'organico complessivo regionale di 1.264 poliziotti penitenziari (determinato dal decreto ministeriale dell'8 febbraio 2001) risultano amministrate, alla stessa data del 30 giugno 2006, n. 1.060 unità a cui ne vanno ulteriormente sottratte 162 distaccate in altre sedi e 297 assenti a vario titolo;
il sistema penitenziario ligure, caratterizzato da una popolazione detenuta per buona parte straniera e tossicodipendente, «tiene» principalmente per l'alto senso di responsabilità e di professionalità del personale del Corpo di Polizia penitenziaria, impiegato nelle sezioni detentive 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno, quasi sempre in netta minoranza numerica rispetto ai detenuti presenti e con carichi di lavoro sempre più onerosi;
i dati che emergono dallo studio di alcuni Sindacati autonomi evidenziano una pericolosa criticità nonché la gravità del problema carcerario in Liguria per la grave carenza di personale di Polizia penitenziaria e del Comparto ministeri; una popolazione detenuta in prevalenza composta da immigrati e tossicodipendenti; strutture spesso vecchie ed inadeguate come quella di Savona Sant'Agostino -:
quali urgenti iniziative il Ministro in indirizzo intenda assumere rispetto alla grave situazione penitenziaria ligure denunciata, in particolare rispetto alla significativa carenza di personale del Corpo di Polizia penitenziaria in Liguria e alla grave situazione delle strutture.
(3-00125)
Interrogazione a risposta scritta:
PAOLETTI TANGHERONI, BERTOLINI e LICASTRO SCARDINO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro per i diritti e le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
la Corte di cassazione ha decretato che non sempre è stupro un rapporto iniziato con l'assenso di entrambi i partner ma non interrotto su richiesta di uno dei due, annullando così la condanna del tribunale di Latina e della Corte d'appello di Roma a quattro anni di reclusione per un giovane ventenne, accusato di violenza su una minorenne;
la storia risale al 2000, quando i due fidanzati si erano appartati per scambiarsi effusioni, sfociate in un rapporto completo. La ragazza aveva allora 16 anni e poco dopo la sua prima volta ha denunciato il fidanzato perché dopo un primo consenso avrebbe chiesto invano al partner di fermarsi, senza però essere ascoltata;
dopo le due sentenze di condanna l'imputato ha proposto ricorso in Cassazione denunciando vizi di motivazione e, in particolare, una erronea ricostruzione dei fatti e l'inattendibilità della minorenne;
con la sentenza 24061 la Corte ha dato ragione al ragazzo adducendo quale motivazione proprio quel sì iniziale della ex fidanzata;
per la Corte di cassazione, accogliendo la richiesta della difesa, non sussiste la violenza nel caso in cui il ragazzo non abbia percepito il dissenso della partner. I giudici hanno accettato la tesi innocentista, che evidenziava come la giovane si sarebbe indotta a denunciare il fatto, perché in perfetta buonafede riteneva di non avere voluto quel rapporto o di averlo desiderato in maniera diversa, sottolineando che i magistrati di primo grado avrebbero omesso di valutare se questo dissenso poteva essere stato percepito dal compagno. In proposito, la Suprema Corte sottolinea che i giudici, nel condannare l'uomo, avrebbero dovuto specificare come il racconto della ragazza, secondo il quale la stessa si sarebbe opposta decisamente nel momento in cui aveva iniziato a sentire forti dolori... si fosse realmente obiettato con dati di concretezza e non si fosse tradotto semplicemente in una mera riserva mentale. Particolare, importante per la Cassazione, perché in questo caso l'imputato, che agiva nella certezza di avere un rapporto consentito, poteva non avere percepito quel disagio che la ragazza avrebbe successivamente manifestato;
sarà ora la Corte d'appello di Roma, cui la Cassazione ha rinviato il caso, a vedere se il ragazzo effettivamente avesse percepito il rifiuto della fidanzata perché diversamente al di là dell'asserito presentimento di pensare che l'imputato volesse chiederle scusa per il fatto del giorno precedente, non ci si saprebbe dare una spiegazione persuasiva del fatto che, dopo quello che era successo il giorno precedente, la parte offesa si era nuovamente accompagnata con lo stesso imputato in macchina;
non è la prima volta che le decisioni della Corte di cassazione fanno discutere.
Infatti nel 1999 ci fu il caso dei cosi detti jeans per il quale i magistrati stabilirono che per una donna che indossi i jeans e viene violentata, non si può parlare di stupro perché è dato di comune esperienza che questo tipo di pantaloni non si possono sfilare nemmeno in parte, senza la fattiva collaborazione di chi li porta;
secondo le interroganti sentenze del genere rischiano, da una parte, di incoraggiare atti di violenza che finiscono per godere di impunità e, dall'altra invece, di scoraggiare le donne soprattutto se giovani, a denunciare le violenze subite, perché la denuncia non solo cade nel vuoto, ma le sottopone ad ulteriori umiliazioni -:
se non ritengano di adottare urgentemente iniziative normative alla luce della delicata vicenda, volte a tutelare maggiormente i diritti della donna.
(4-00573)