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Allegato B
Seduta n. 266 del 15/1/2008
TESTO AGGIORNATO AL 28 GENNAIO 2008
...
SVILUPPO ECONOMICO
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
nel bimestrale di Legambiente «QualEnergia» Gianni Silvestrini conduce una lucida e condivisibile analisi sui rischi dei mega impianti fotovoltaici, con riferimento all'annunciata costruzione in Sicilia di un impianto che si presenta come la più grande centrale solare fotovoltaica d'Europa, grazie ad un investimento di 200 milioni di euro;
su tale vicenda il direttore di QualEnergia esprime più di una perplessità. Secondo lui la taglia della centrale rappresenta il punto negativo della proposta. È noto infatti che il decreto governativo del febbraio 2007 sul fotovoltaico premia gli impianti di piccola scala integrati negli edifici. Gli elementi di critica di maggior rilievo sono: i prezzi elevatissimi delle celle, causati dall'elevata domanda mondiale; la maggiore efficienza, in ambito di impianti solari di decine di MW, degli impianti termodinamici, come la centrale Archimede di Rubbia a Priolo; gli impatti sul paesaggio che rischiano di alimentare un'opposizione locale gettando una luce negativa sul solare; l'utilizzo in un settore ad elevata intensità di capitale di ingenti risorse europee, nazionali e regionali, che potrebbero essere meglio utilizzate per investimenti ad alta intensità di lavoro;
dunque, secondo Silvestrini, «questi megaimpianti proposti - perché altri progetti sono in via di definizione - sembrano fuori tempo e fuori scala ... gli stessi incentivi potrebbero invece essere impiegati in tutt'altra direzione. Ad esempio, per favorire l'installazione di un'industria fotovoltaica di punta, con una capacità produttiva annua di celle pari a 150-200 MW, un fatturato di 4-500 milioni, ricadute occupazionali qualificate, un'interazione con le Università locali, insomma una realtà in grado di competere a livello internazionale. Non c'è paragone tra le due opzioni!...»;
aggiunge l'interpellante che i mega impianti occupano ulteriori spazi in un Paese già stretto ed affollato, che già ha gravi problemi di gestione del territorio; viceversa gli impianti integrati negli edifici occupano spazi già occupati; è stato calcolato che, in linea teorica, se tutti i tetti civili ed industriali d'Italia avessero i pannelli fotovoltaici, non avremmo bisogno di importare energia;
ciò premesso resta incomprensibile come questo genere di critiche non sia stato rivolto anche ai mega impianti eolici, cioè quelli che in questa fase stanno avendo uno sviluppo tumultuoso in Italia, con richieste di installazione per oltre 22.000 MW;
l'eolico industriale, con le sue torri alte oltre 100 metri, è assai più invasivo dal punto di vista paesaggistico e di occupazione del territorio; come i mega impianti fotovoltaici è ad alta concentrazione di capitale invece che di lavoro, ma al contrario di questo non è in grado di sviluppare una industria nazionale, in quanto essa si è già sviluppata da altri Paesi europei; inoltre appare tecnologicamente maturo cioè non sembra in grado di svilupparsi se non in altezza, mentre il solare ha ampi margini per accrescere sia la propria efficienza, sia le capacità di inserimento negli edifici e nell'ambiente;
peraltro gli elevati incentivi, sia nel fotovoltaico che nell'eolico, sembrano solleticare
i peggiori intenti speculativi, per cui, grazie ai contributi in conto capitale, ai certificati verdi ed ai sovrapprezzi pagati per l'energia prodotta si rischia che sorgano impianti inefficienti; non per niente una delle accuse rivolte all'eolico è che si consentano impianti in aree poco ventose e che il limite di 2000 ore di vento per anno, un tempo ritenuto il livello minimo per garantire l'efficienza dell'impianto, oggi è stato ridotto di almeno un terzo;
nel libro «l'economia dell'idrogeno» Jeremy Ritkin sostiene che quella energetica sarà una delle libertà del futuro: ognuno tenderà a prodursi da solo la propria energia da fonte rinnovabile, in quella Rifkin chiama «microgenerazione diffusa»; la UE ha accolto questa visione;
se non ritenga opportuno individuare a livello nazionale:
a) criteri uniformi di efficienza (ventosità, insolazione, uso del territorio) che consentano il corretto inserimento degli impianti da fonte solare ed eolica di grande taglia, fatta salva la necessità di linee guida per il loro corretto inserimento nel paesaggio;
b) norme di coordinamento, se non un vero e proprio piano nazionale per la produzione di energia da fonte rinnovabile, per il corretto sviluppo di queste fonti energetiche e dell'industria ad esse legata.
(2-00918) «Turco, Beltrandi, D'Elia, Mellano, Poretti».
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:
D'AGRÒ e FAVA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel protocollo di intesa su Porto Marghera, siglato il 14 dicembre 2006 dal Ministro Bersani, dalla Provincia e dal Comune di Venezia, dalle organizzazioni sindacali, dalle aziende e dalle associazioni di categoria, era stato promosso il superamento degli ostacoli che hanno impedito per anni l'attuazione dell'Accordo di Programma per la chimica di Marghera del 1998, al fine di favorire la realizzazione degli investimenti legati al ciclo del cloro;
il Protocollo di Intesa ribadiva che le parti si impegnavano a garantire «la continuità produttiva e la competitività delle attività chimiche a partire dal ciclo del cloro attraverso il bilanciamento cloro - CVM - PVC»;
tale protocollo era stato firmato dopo che a Porto Marghera era stato chiuso dalla multinazionale Dow Chemical l'impianto di TDI, con la perdita di 180 posti di lavoro diretti e altrettanti indiretti, mettendo in crisi l'integrazione dei cicli produttivi, in particolare di quello del cloro che condiziona la base dell'attività dell'intero Petrolchimico di Porto Marghera;
nel citato protocollo era stato convenuto che i due procedimenti di VIA relativi al ciclo del cloro, (quello relativo alla membranizzazione dell'impianto cloro soda e quello relativo al bilanciamento del ciclo delle produzioni CVM-PVC), sarebbero stati sbloccati al più presto, essendo fermi da anni al Ministero dell'ambiente;
il VIA della membranizzazione è stato ottenuto a gennaio di quest'anno e le due società interessate al progetto di investimento, Ineos Vinyls Italia e Syndial, (gruppo ENI), hanno avviato la fase realizzativa del progetto;
dopo circa sette anni di attesa, è stato firmato dal Ministro dell'ambiente il decreto che autorizza la realizzazione del nuovo impianto Syndial per la produzione di clorosoda con la tecnologia delle celle a membrana in sostituzione di quelle a catodo di mercurio, più inquinanti;
il VIA del bilanciamento delle produzioni CVM-PVC di Ineos Vinyls Italia Spa, atteso anche esso da sette anni, rimane invece bloccato al Ministero dell'ambiente, con grave pregiudizio delle prospettive di Porto Marghera, delle sorti di Ineos Vinyls Italia e della chimica di base nel nostro Paese;
Ineos Vinyls Italia S.p.A. (allora EVC Italia), dopo aver predisposto un progetto per il bilanciamento delle capacità produttive dei propri impianti di produzione di cloruro di vinile monomero (CVM) e polivinilcloruro (PVC), ubicati presso lo stabilimento petrolchimico di Porto Marghera, aveva trasmesso lo Studio di Impatto Ambientale (SIA) alla Unità di Progetto «Riconversione Polo Industriale di Marghera» ed al Ministero dell'ambiente ad agosto 2000;
il progetto è stato sottoposto a procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, la cui istruttoria è stata avviata a dicembre 2000;
la Giunta Regionale del Veneto, con propria deliberazione n. 1900 del 20 luglio 2001, ha approvato il parere della commissione VIA regionale e lo ha trasmesso al Ministero dell'ambiente;
contemporaneamente all'invio del SIA, Ineos Vinyls Italia ha trasmesso al CTR il Rapporto Preliminare di Sicurezza per il rilascio del Nulla Osta di Fattibilità; l'istruttoria si è conclusa con parere positivo con il verbale CTR n. 195 del 30 maggio 2002;
il 7 agosto 2002 INEOS Vinyls Italia ha chiesto al ministero dell'ambiente la sospensione della procedura VIA per poter presentare un'integrazione al progetto, ricevendo formale riscontro da parte del Ministero in data 5 settembre 2002;
il nuovo SIA è stato trasmesso al ministero dell'ambiente a marzo 2003;
la Giunta Regionale del Veneto, con propria deliberazione n. 2540 del 6 agosto 2004, ha approvato il parere della commissione VIA regionale e lo ha trasmesso al ministero dell'ambiente;
in data 9 gennaio 2007 si è tenuto un incontro presso il ministero dello sviluppo economico, alla presenza di funzionari del Ministero dell'ambiente e di Ineos Vinyls Italia, dove la Direzione Generale per la Salvaguardia Ambientale ha illustrato come la presentazione della domanda di Autorizzazione Integrata Ambientale da parte di INEOS Vinyls Italia avrebbe consentito di concludere, in tempi ristretti, l'iter della proposta di bilanciamento, sospeso in attesa di acquisire le informazioni collegate alla procedura di autorizzazione integrata ambientale (IPPC);
Ineos Vinyls Italia ha consegnato la domanda di Autorizzazione Integrata Ambientale per il proprio stabilimento di Porto Marghera il 22 marzo 2007;
in data 20 aprile 2007 Ineos Vinyls Italia ha ricevuto dal Ministero dell'Ambiente la comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo per il rilascio di Autorizzazione Integrata Ambientale, necessario per l'esercizio degli impianti dello stabilimento di Porto Marghera, ed ha quindi provveduto alla pubblicazione dell'avviso pubblico in data 30 aprile 2007;
in data 6 novembre 2007 Ineos Vinyls Italia ha inviato alla Direzione Generale per la Salvaguardia Ambientale una richiesta di aggiornamento sullo stato di avanzamento dell'istruttoria;
senza l'autorizzazione al bilanciamento delle produzioni CVM-PVC e senza gli investimenti relativi, Ineos sarà costretta a chiudere le sue attività in Italia, a Porto Marghera, Ravenna, Porto Torres, con una perdita diretta di 500 posti di lavoro e altrettanti indiretti;
contemporaneamente avverrebbe la chiusura degli impianti cloro-soda, attualmente di proprietà Syndial, a Porto Marghera e Assemini (Sardegna) con perdita di altrettanti posti di lavoro;
altresì la chiusura dei cicli cloro a Porto Marghera e in Sardegna metterebbe in crisi definitivamente i petrolchimici di Porto Marghera e di Porto Torres, facendo venire meno la economicità degli stessi e compromettendo alla fine anche i petrolchimici di Mantova, Ferrara e Ravenna (che dipendono da Porto Marghera per la
fornitura di etilene), con una perdita stimata di alcune migliaia di posti di lavoro ad alta qualificazione -:
essendo il Polo industriale di Porto Marghera un sito nevralgico per tutta la chimica del nostro Paese e strategico per lo sviluppo dell'intero sistema produttivo nazionale, quali iniziative intenda adottare per accelerare l'iter autorizzativi del bilanciamento del ciclo delle produzioni CVM-PVC e dare cosi attuazione a quanto previsto nell'Accordo di Programma del 14 dicembre 2006.
(5-01904)
LULLI e VICO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la Val Basento, area industriale in provincia di Matera, tra Ferrandina e Pisticci, è nata negli anni '60 con la scoperta del metano, a seguito di ciò essa è divenuta un'importante area di insediamento di impianti per la produzione di fibre acriliche, poliestere e poliammidiche, che occupava 6.000-7.000 addetti tra lavoratori diretti ed indiretti;
nel 1963 furono avviate le prime attività, di tipo monosettoriale, essenzialmente della chimica di base; nel 1978 nella Val Basento risultavano occupate 4.935 unità, non so se tutte occupate o quante di queste già interessate agli ammortizzatori sociali, alla cassa integrazione;
la crisi profonda che ha investito la chimica di base, crisi che prosegue tuttora, ha coinvolto la Basilicata ed in particolare la Val Basento soprattutto perché in quest'area sono state allocate attività industriali la cui crisi era già nota;
nel 1981 si avviò il processo di riconversione industriale e reindustrializzazione derivante appunto dalla crisi della chimica di base, delle fibre chimiche, si iniziarono a chiudere gli impianti, si fece un massiccio ricorso alla cassa integrazione;
alla fine del 1987 maturò l'idea di un accordo di programma stipulato ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 64 del 1986 con il tentativo di costruire un approccio concreto, sistemico ai problemi della reindustrializzazione e dello sviluppo dell'area industriale;
l'accordo di programma, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 1987, coinvolse diversi soggetti: il Ministero del Mezzogiorno, il Ministero dell'industria, la regione Basilicata, il Consorzio Industriale di Matera, l'ENI;
l'accordo, modificato il 18 marzo del 1994, affidava all'ENI la realizzazione del processo di reindustrializzazione con l'obbligo di occupare, nell'area della Valle del Basento, 2.900 addetti diretti, mentre affidava al Consorzio la realizzazione del Parco Tecnologico della Valle del Basento; fu costituita una società di gestione dei servizi dell'area (40 per cento Enichem, 40 per cento Consorzio industriale, 20 per cento Finanziaria meridionale FIME), che successivamente ha cambiato l'assetto di partecipazione diventando l'attuale Tecnoparco;
nel 1999 dei 5.000 addetti del 1978 e dei 3.000 addetti previsti nell'accordo di programma dell'87, rimanevano solo 1.881 unità, mentre negli anni tra il 2000 e il 2007 sono stati espulsi altri 600 lavoratori raggiungendo in tal modo le 1.200 unità occupate, di cui 400 in mobilità o cassa integrazione;
le risorse finanziarie previste negli accordi di programma, 1987-1994, per una parte non furono spese, mentre nel tempo sono state spese quelle relative all'infrastrutturazione e ad alcuni servizi, ma non quelle per favorire l'occupazione;
alla fine degli anni '90, con l'intesa istituzionale tra Regione Basilicata e Governo nazionale, si recuperarono i 212 miliardi di lire impegnati nel precedente accordo di programma ed una parte, pari a 109 miliardi, fu impegnata nel cosiddetto bando Val Basento (27 iniziative ammesse ed una previsione occupazionale di circa 1.700 unità), che tuttavia non è riuscito a fermare l'emorragia occupazionale, nel periodo
2000-2007 permane infatti il saldo negativo, con 600 espulsi e 400 nuove assunzioni;
allo stato attuale ai 1.200 lavoratori rimasti dopo la crisi complessiva e perdurante della chimica si aggiungono le 400 unità impiegate con il bando Val Basento, con un saldo di poco più di 1.600 unità, di cui circa 600 a Ferrandina, circa 900 a Pisticci, 49 unità occupate a Calandra;
allo stato attuale esistono risorse finanziarie disponibili pari a 34 milioni di euro sul bando Val Basento, nel frattempo la chiusura delle aziende Nylstar2 e CFP, ha determinato oltre la perdita dei 600 citati lavoratori, anche una perdita di fatturato per Tecnoparco di oltre 9 milioni di euro, che si aggiungono ai 16 milioni di euro già persi come fatturato per la chiusura della Nistar1 e della International;
si aggravano in tal modo anche i costi dei servizi alle altre aziende insediate, determinando possibili difficoltà per Tecnoparco e per l'occupazione nell'area;
in quasi mezzo secolo la Val Basento è stata attraversata da processi di industrializzazione e soprattutto da processi di deindustrializzazione complessi che hanno determinato problemi sociali ed economici alle popolazioni locali, ma soprattutto hanno lasciato alle proprie spalle una situazione ambientale di inquinamento del suolo di enorme gravità;
il decreto del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 26 febbraio 2003 ha infatti perimetrato tutta l'area della Val Basento, fatta eccezione per l'area nord del quartiere residenziale di Pisticci, prevedendo la caratterizzazione e la bonifica delle aree prima di qualunque attività edilizia;
il problema dell'inquinamento del suolo è solo agli inizi ed ha finora comportato un impegno di risorse finanziarie di 2,5 milioni di euro, ottenute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dopo che la regione Basilicata ha, insieme al Consorzio, iniziato delle attività;
gli accordi di programma e le varie intese non sono stati in grado di garantire un assetto industriale della Val Basento, le attività realizzate erano infatti prevalentemente di tipo manifatturiero o riguardavano processi produttivi slegati dal contesto, al di fuori di qualsiasi concetto di filiera produttiva;
in assenza di progetti e strategie, anche ambientali, il risultato attuale è un'area priva o quasi di iniziative industriali e a rischio di desertificazione, dove lavorano non più di 700 lavoratori una parte dei quali in CIGS;
la Regione Basilicata è impegnata su questa vertenza, ma intanto la chiusura delle attività è continuata, e la Val Basento si configura come una delle aree industriali in crisi alle quali è necessario porre nuova attenzione e per le quali è necessario pensare a progetti innovativi mirati e nuove risorse;
la Val Basento è uno specchio della difficoltà dell'industria italiana che il Governo intende superare con il programma Industria 2015, che stabilisce le linee strategiche per lo sviluppo e la competitività del sistema produttivo italiano del futuro -:
se e come il Ministro intenda inserire l'area della Val Basento nella discussione e tra gli impegni del programma Industria 2015 ed in particolare se intenda impegnarsi con le società petrolifere multinazionali affinché nella definizione o rinegoziazione delle royalties derivanti dall'estrazione del petrolio si introduca l'impegno di dette società a intervenire direttamente o a sostenere l'insediamento di iniziative industriali compatibili con le strategie definite nel progetto Industria 2015.
(5-01905)
PROVERA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
lo stabilimento OMVP-SKF TBU, sito in Villar Perosa, Via Nazionale 26 di proprietà della multinazionale svedese SKF,
in cui si producono semilavorati per cuscinetti volventi per auto e cuscinetti finiti per treni, da anni perde produzioni che vengono esternalizzate o trasferite in paesi dell'est europeo o nell'estremo oriente, mentre la multinazionale ha deciso di vendere la struttura;
i rappresentanti sindacali ritengono che buona parte di queste produzioni vengano però effettuate da ditte che operano in Piemonte perché offrono costi più bassi;
la preoccupazione dei lavoratori è che si continui a ridurre le lavorazioni a Villar Perosa e che i costi di gestione dello stabilimento siano troppo alti rispetto ai volumi rimasti, soprattutto se la produzione di cuscinetti per treni dovesse essere trasferita in quanto, attualmente, crea profitti considerevoli che aiutano a mantenere in vita lo stabilimento. Negli ultimi anni si sono persi 150 posti di lavoro circa;
attualmente 600 persone lavorano alla OMVP e 70 ai TBU -:
come si intendano valorizzare le produzioni in Piemonte che si dovrebbero ritenere più convenienti, considerando anche che l'attività si svolge nel rispetto delle leggi, dei contratti e degli standard di sicurezza italiani, e se il Governo non ritenga necessario attivare un confronto con l'Azienda al fine di accertare in quale modo e con quali produzioni si possano mantenere, nel sito di Villar Perosa, almeno gli attuali livelli occupazionali, che con i lavoratori dell'indotto (trasporti, mense, imprese di servizi) sono la fonte di reddito di circa 800 famiglie della Valle e del territorio pinerolese.
(5-01906)
FAVA, ALLASIA, BRIGANDÌ, MONTANI e ALESSANDRI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il problema della chimica nazionale e nello specifico del polo mantovano, era già stato sollevato dagli interroganti con l'interrogazione n. 5-00312 alla quale il Sottosegretario Gianni, per conto del Ministro dello sviluppo economico ha dato risposta il 18 ottobre 2006;
nella risposta il Sottosegretario definì la chimica settore strategico per l'Italia, in un contesto europeo e di competizione internazionale. Questa convinzione era presente già dal 1996 con il Governo Prodi, quando proprio al Ministero dell'industria si aprì un Tavolo nazionale per la chimica e un Osservatorio chimico nazionale, articolato a livello territoriale. Da tale tavolo scaturì il valore strategico di questo comparto e la necessità di ridisegnarne le prospettive industriali, tenendo conto delle interconnessioni tra le produzioni e le qualificazioni dei siti in una dimensione capace di far interagire gli impianti del nord con quelli del sud. Particolare importanza, in questo ambito, hanno gli stabilimenti di Mantova, Porto Marghera, Ferrara e Ravenna;
lo stesso rappresentante del Governo ricordò come nel mese di agosto 2006 si era aperto un problema serio nel polo di Porto Marghera che è snodo essenziale per la chimica italiana. Infatti la chiusura dello stabilimento della Dow rischiava di produrre un effetto domino sulle altre imprese e sugli altri siti. Per questo il Governo stava lavorando per dare nuove prospettive a Marghera, così da proseguire sulla politica industriale dei vari siti che vanno a loro volta valorizzati attraverso momenti specifici inseriti in un Tavolo nazionale e nei relativi Osservatori che verranno rapidamente attivati;
nella conclusione della risposta rimarcò come «nell'ambito di questo impegnativo lavoro di tenuta delle produzioni e dei siti sarà non solo impedito il depauperamento dello stabilimento di Mantova, ma saranno individuate le prospettive di rilancio»;
dopo più di un anno le drammatiche previsioni si sono trasformate in realtà infatti l'azienda ha comunicato la cassa integrazione per 21 lavoratori a Mantova e di 288 a Ferrara, senza possibilità di appello;
la preoccupazione delle maestranze è che tutto questo possa solo essere l'inizio di una deriva che possa estendersi a tutti gli occupati;
appare utile ricordare coma l'azienda sia in una situazione di stallo, essendo di fronte ad una crisi diversa, che deriva dalla mancanza di senso di responsabilità del ministero dello sviluppo economico, che fa attendere le sue decisioni;
tutte le parti stanno attendendo infatti per il 13 dicembre le autorizzazioni necessarie a sbloccare i fondi, già accantonati, per un massiccio investimento volto al rilancio della chimica italiana;
se non dovessero essere concesse, dopo che chiuderà Marghera, in 3, massimo 4 giorni, anche la Polimeri non avrà più lavoro;
ad aggravare la situazione è da sottolineare come le nostre istituzioni locali si dimostrino ambigue; infatti si schierano al fianco dei lavoratori ma contemporaneamente vanno a braccetto con i Ministeri;
la lotta contro la chiusura del polo della chimica di Mantova deve essere inserita in una strategia più generale di sviluppo strutturale di una politica industriale nazionale -:
se il Ministro, essendo a conoscenza della situazione non intenda attivarsi al fine di trovare una soluzione definitiva al problema, dopo avere certificato la necessità di una riorganizzazione e del rilancio della chimica italiana che da sempre è un settore strategico dell'economia nazionale, ricordando come già da ora ci sia una ricaduta sulle famiglie di 21 i lavoratori del settore a Mantova, di 288 a Ferrara e che senza interventi la stessa sorte toccherebbe a tutti le rimanenti maestranze con ricadute drammatiche sul territorio.
(5-01907)
Interrogazioni a risposta scritta:
TURCO, BELTRANDI, D'ELIA, MELLANO e PORETTI. - Al Ministro delle sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
sin dal suo insediamento il Governo, ed il Ministro dello sviluppo economico in particolare, sostengono la necessità di realizzare almeno 3 o 4 rigassificatori lungo le coste italiane per evitare da un lato che la riduzione delle forniture di gas russo possa procurare problemi energetici al Paese, come accaduto nell'inverno 2005-2006, dall'altro per calmierare i prezzi diversificando le fonti di approvvigionamento;
rispetto a questa posizione che sembrava acquisita e pacifica, la trasmissione televisiva Report ha sollevato taluni problemi, ai quali non è stata data risposta, ma che si ritiene opportuno chiarire;
Report si è domandata per quali motivi su 13 richieste di costruzione di rigassificatori in tutto il mondo 12 sono in Italia; ha inoltre chiarito che per un funzionamento efficiente dei rigassificatori occorre approntare un'adeguata flotta di navi specializzate nel trasporto di gas liquefatto e un adeguato numero di strutture di liquefazione del prodotto lì dove questo viene estratto;
sempre secondo Report 12 rigassificatori non possono funzionare perché non ci sono al mondo abbastanza terminali di liquefazione del gas; la trasmissione imputa il motivo di questo elevato numero di richieste di costruzione di rigassificatori alla Delibera dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas n. 178/05 del 4 agosto 2005, nella quale all'articolo 13, comma 2 si garantisce «(...) anche in caso di mancato utilizzo dell'impianto, la copertura di una quota pari all'80 per cento di ricavi di riferimento ... per un periodo di 20 anni (...)»; questi costi sono coperti, come per il CIP 6, da una componente tariffaria delle bollette pagate dall'utenza;
infine la trasmissione assesta un ulteriore colpo alla politica dei rigassificatori (e quindi aiuta involontariamente i vari comitati e raggruppamenti locali che si oppongono alla realizzazione degli impianti) sostenendo che esistono navi gassiere in grado di liquefare il gas alla fonte e di ritrasformarlo in gas una volta giunta
a destinazione; in sostanza non occorre il rigassificatore ma più semplicemente un terminale per immettere il gas in rete;
l'interrogante si domanda dove sia finito il rischio di impresa se alla stessa viene comunque assicurato, per 20 anni, l'80 per cento dei ricavi di riferimento, a spese dell'utenza; inoltre si rammenta che, come accaduto con le convenzioni CIP 6, una volta sottoscritto un contratto del genere bisogna onorarlo ed è difficile tornare indietro -:
se le diverse affermazioni fatte durante la trasmissione Report rispondano al vero e, in caso affermativo, quale sia la posizione del Ministro e quali iniziative intenda assumere e in che tempi.
(4-06076)
TURCO, BELTRANDI, D'ELIA e PORETTI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 6 gennaio 2008 il sindaco di Terni, Paolo Raffaelli, richiesto di informare l'opinione pubblica dei motivi per i quali l'inceneritore di Terni fosse spento, ha dichiarato: «Lo sciagurato provvedimento che ha eliminato gli incentivi "Cip 6" dal sistema di trattamento dei rifiuti rende più conveniente sistemare i rifiuti in discarica che non bruciarli. Unicamente per questo motivo l'inceneritore dell'Asm di Terni è temporaneamente spento ... Questa normativa va cambiata perché serve solo alle ecomafie e perché sembra fatta apposta per impedire una soluzione moderna, ambientalmente e socialmente compatibile ...»;
negli ultimi due anni l'informazione sul CIP 6 e l'opinione generale degli italiani su di esso è stata che il grosso delle risorse era (malamente!) finito ai petrolieri ed agli inceneritori di rifiuti, invece che alle fonti energetiche rinnovabili, con una maggiore spesa dell'utenza di 30 miliardi di euro; anche il Ministro interrogato ha sostenuto la necessità di superare il CIP 6; ora si scopre che serve a non alimentare le ecomafie -:
se risultino al Governo elementi per i quali potrebbe essere più conveniente smaltire la «materia prima» dell'inceneritore, peraltro già pagata dall'utenza, in discarica, piuttosto che utilizzarla per la produzione di energia elettrica, che sarebbe comunque pagata, sia pure a tariffa minore, come si desume dalle parole del sindaco di Terni;
per quali motivi gli inceneritori di rifiuti debbano godere del CIP 6 pur non essendo, per la gran parte, gestiti da imprese private, ma da aziende in mano pubblica, che ricevono la materia prima da altre aziende in mano pubblica e che dovrebbero avere come obiettivo non il lucro, ma il miglior servizio possibile al minor costo possibile.
(4-06077)