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Allegato B
Seduta n. 275 del 19/2/2008
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GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel suo recente rapporto sulla durata dei processi nei Paesi membri del Consiglio d'Europa, la Commissione europea per l'efficienza nella giustizia (Cepej) oltre a fornire la classifica degli ordinamenti più tartassati, ha «censito» i criteri seguiti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per dare un parametro, se non puntuale e categorico quanto meno orientativo, per stabilire l'eccessiva durata di un processo;
il risultato del monitoraggio mostra quanto distante sia l'Italia dal metro internazionale e quanto lunga e difficoltosa sia la strada da percorrere per colmare il gap;
in Italia la durata media di un'inchiesta è di 457 giorni, la durata media di un processo di primo grado in tribunale è di 630 giorni, un processo d'appello dura in media 681 giorni fino ad arrivare ad un massimo di 1300 giorni (Ancona e Venezia), per un totale di 143 milioni di euro di debiti che gravano sul Ministero della giustizia;
in Italia, infatti, il numero delle cause civili ogni 10 mila abitanti è uguale alla somma delle cause di Gran Bretagna, Spagna e Francia, conseguentemente alla durata eccessiva delle cause penali e civili, anche i costi sono esageratamente alti rispetto al resto dell'Europa;
nei primi sei mesi del 2007 lo Stato ha recuperato soltanto il 3 per cento dei 326 milioni di sanzioni pecuniarie e dei 56 milioni di euro di spese processuali inflitte agli imputati condannati;
ricapitolando, in Italia: la spesa per la giustizia è di 67 euro pro capite. I tempi: 582 giorni per un divorzio, 696 giorni per una causa di lavoro, 1210 giorni per una causa civile;
in Europa: in Danimarca la spesa per la giustizia è di 28,7 euro pro capite. I tempi: 100 giorni per un divorzio e 190 per una causa civile;
in Francia la spesa è di 46,7 euro pro capite. I tempi: 423 giorni per un divorzio, 342 per una causa di lavoro, 331 per una causa civile;
in Spagna la spesa è di 55,5 euro pro capite. I tempi: 251 giorni per un divorzio, 80 per una causa di lavoro, 515 per una causa civile;
in Portogallo la spesa pro capite è di 49,8 euro. I tempi: 308 giorni per un divorzio, 244 per una causa di lavoro, 495 per una causa civile -:
quali azioni il Ministro intenda intraprendere per cercare di allineare i dati relativi alla giustizia in Italia ai dati del resto dell'Europa, così da poter assicurare ai cittadini un servizio efficiente con tempistiche in linea con gli altri paesi europei, ottimizzando le risorse finanziarie dello Stato.
(4-06282)
BORGHESI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
gli abitanti di una piccola frazione del Comune di Rosà (Vicenza), San Pietro in Paerno, situata a sud di Bassano del Grappa, da anni segnalano a tutti gli organi preposti al controllo della legalità e della correttezza amministrativa, le gravi anomalie, omissioni, lacune riscontrate
nella realizzazione, a ridosso delle abitazioni, di un complesso industriale di 140.000 mq denominato PIP49, destinato a varie attività produttive, ed in particolare quella svolta dalla Zincheria Valbrenta S.r.l.;
nel 1990 la società Zincheria Valbrenta, acquistava una grande area di terreno agricolo posta lungo Via Pacelli a San Pietro di Rosà;
all'epoca assessore all'urbanistica del comune di Rosà era tale Beniamino Didoné, futuro progettista e direttore dei lavori del PIP 49 nonché fratello del futuro Sindaco, Giovanni Didonè;
nel novembre 2001 prot. N. 16207 la Soprintendenza comunicava alla Direzione Generale del Ministero per i beni e le attività culturali che durante i sopralluoghi effettuati presso l'area archeologica del PIP49 dal Soprintendente dr. Luigi Malnati e dal funzionario dr. Elena Pattenò si era riscontrato l'effettivo interesse archeologico del sito;
la Regione, con delibera di Giunta del 23 febbraio 1999, n. 479, accoglieva solo parzialmente quanto proposto dal Comune per le aree del PIP 49 in località le Prese a San Pietro di Rosà ritenendo opportuno ridurre la perimetrazione del medesimo PIP 49 per motivi paesaggistici;
tale prescrizione contenuta in una fonte normativa di rango superiore allo strumento urbanistico comunale non è mai stata rispettata dal Comune;
nel procedimento penale avanti il Tribunale di Bassano del Grappa n. 1780/01 instaurato a carico di Zincheria Vaibrenta S.r.l. su esposto di 250 abitanti, il Procuratore di Bassano del Grappa Dr. Mario Milanese affidava le indagini all'Ispettore della Guardia Forestale, Dr. Fabrizio Carnino nonostante tale Ispettore risultasse iscritto all'Albo degli Avvocati della Provincia di Vicenza quale praticante dello Studio legale dell'Avvocato Danni Lago, difensore dell'indagata Zincheria Valbrenta;
il procedimento penale anzidetto veniva archiviato nel 2002, senza neppure l'audizione dei testimoni indicati;
intanto, i lavori di realizzazione dell'opificio proseguivano e veniva accertato, dapprima, dal Tribunale Amministrativo regionale per il Veneto, poi dal Consiglio di Stato una difformità essenziale dell'altezza del fabbricato rispetto a quella assentita con l'originaria concessione edilizia n. 96/02;
pur trattandosi di un abuso edilizio essenziale come riconosciuto con sentenza passata in giudicato dal Consiglio di Stato, e dunque, non sanabile, il Tribunale di Bassano del Grappa con sentenza n. 104/2005, in data 8 marzo 2005, decideva «concordemente tra le parti» e, cioè, tra il Comune di Rosà, Zincheria Valbrenta e Pubblico Ministero, per «l'oblazione» del reato previa esclusione del Comitato di San Pietro in Paerno costituitosi parte civile nel correlativo procedimento per le ragioni testualmente riportate in sentenza «... a fronte di una condotta risultante consumata fino il 2 marzo 2004, risulta dall'atto costitutivo allegato all'atto di costituzione che la predetta associazione è stata costituita solo in data 19 ottobre 2004»;
in realtà tale presupposto appare all'interrogante falso poiché l'Associazione si era costituita con Statuto e Regolamento ed era iscritta all'Albo delle Associazioni del Comune di Rosà già dal 27 marzo 1999 al n. 4193 ed il documento che lo comprovava era già stato depositato presso la Procura della Repubblica in data 7 maggio 2002 ed allegato alla denuncia n. 4552 dal quale era scaturito il correlativo procedimento penale e depositata al Corpo della Guardia di Finanza;
i lavori di realizzazione della Zincheria proseguivano e l'opificio cresceva in volume e nel numero delle campate (divenute 5 rispetto alle 3 previste negli elaborati grafici della concessione edilizia). Nell'ottobre 2003 la Zincheria Valbrenta comunicava una DIA al Comune di Rosà e contemporaneamente riprendeva i lavori e
l'Amministrazione Comunale ometteva, da un lato, di notificare l'ordine motivato a non eseguire i lavori, ai sensi dell'articolo 27, 3o comma, T.U. 380/2001, nonostante fosse stata più volte sollecitata in tal senso dai cittadini e dal Comitato, e dall'altro, di emanare il provvedimento finale a seguito del diniego alla sanatoria del 23 aprile 2003, prot. 2783;
proprio a causa di tale comportamento omissivo, il Tribunale del riesame di Vicenza disponeva il dissequestro del cantiere deciso in data 20 novembre 2003 dal Tribunale Penale di Bassano del Grappa;
di fronte ad una simile omissione in atti d'ufficio, il Tribunale di Bassano del Grappa, attraverso i suoi organi inquirenti, si asteneva dall'avviare qualsivoglia procedimento penale nei confronti dei responsabili dell'omissione in parola;
il Tribunale di Bassano con celerità che all'interrogante appare quanto meno sospetta, procedeva prima, attraverso il Procuratore, Dr. Mario Milanese (N. 905/2004 Mod. 21 P.M. e n. 1167/2004 Mod. 20 G.I.P) e condannava, poi, con decreto penale di condanna N. 371/2004, a firma del Gip Dr. Massimo Morandini i signori Lorenzo Signori e Daniele Pasinato per il reato previsto e punito dall'articolo 18 regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 perché ritenuti responsabili di aver promosso, senza avvisare il Questore, una riunione in luogo pubblico;
il relativo giudizio di opposizione si è poi concluso con sentenza n. 94/07 di assoluzione giacché «il fatto non sussiste» posto che, come si legge in sentenza «nessun obbligo in tal senso, a ben vedere, si poneva» trattandosi di «riunioni in luogo aperto al pubblico»;
con la stessa celerità - secondo l'interrogante inspiegabile - il Tribunale di Bassano procedeva penalmente prima, attraverso il Procuratore Dr. Mario Milanese, e condannava, poi, con provvedimento a firma del Dr. Massimo Morandini, il signor Luigi Pasinato, proprietario del terreno in via Pacelli nella cui area è installata la tenda del Presidio per abuso edilizio, per l'installazione della tenda;
su denuncia al Comune di Rosà di tale fatto da parte del signor Bordignon Giuseppe, legale rappresentante della Zincheria Valbrenta, il Comune sanzionava cotanto abuso con l'esproprio del terreno del Pasinato:
l'impianto della Zincheria Valbrenta è annoverato tra le industrie insalubri di prima classe inclusa al n. 27, lettera C, dell'elenco approvato con decreto ministeriale Sanità 5 settembre 1994 ed esso è collocato nelle vicinanze di numerose abitazioni residenziali del centro abitato a Borgo Brega (oltre 80 abitazioni) alcune addirittura poste a pochi metri (le separa la sola via Pacelli); basti pensare che la distanza tra l'abitazione del signor Mirco Dalla Rizza, residente in via Brega a San Pietro di Rosà, ed il fabbricato della Zincheria è pari a circa 130 m.;
in data 27 novembre 2003 il Presidente del Comitato, Stefano Zulian, veniva aggredito brutalmente e rimaneva in coma per circa un mese. Veniva aperto un procedimento penale per reato di tentato omicidio a carico di ignoti: a più di quattro anni nulla si sa sull'esito delle indagini e l'individuazione dei responsabili; mentre il magistrato inquirente avrebbe rifiutato di audire la parte lesa che lo aveva richiesto;
dal dicembre 2003 al marzo 2004 gli abitanti del luogo constatavano un continuo via vai di mezzi pesanti che carichi di materiali di riempimento, si dirigevano verso lo scavo delle fondazioni dell'opificio scendendo ad una profondità al di sotto del piano di campagna di circa 9-10 metri;
nella primavera del 2004, su iniziativa degli esponenti del Comitato, veniva accertato a seguito da esami chimici eseguiti nei laboratori Ecoricerche e Chelab, che si trattava di materiale non conforme al disposto del decreto ministeriale 479;
in data 28-29 dicembre 2004 e 18 febbraio 2005 dai pavimenti della Zincheria fuoriusciva una strana gelatina, che la stessa ditta accertava essere acrilamide, sostanza classificata dalla Gazzetta Ufficiale come cancerogena, mutagena, teratogena e tossica solo all'inalazione tanto che la Zincheria tentava di correre prontamente ai ripari presentando una denuncia a carico di ignoti;
nel frattempo il già citato Ing. Beniamino Didoné, Assessore all'urbanistica, all'epoca dei fatti di cui si discute e direttore dei lavori nella realizzazione dell'intervento edificatorio denominato PIP 49, veniva indagato ed arrestato nel mese di luglio del 2005 nell'ambito di indagini condotte dalla Magistratura di Vicenza sullo smaltimento di rifiuti nocivi;
avanti il Tribunale di Bassano del Grappa veniva promosso (R.G. N. 1976/2004) un procedimento cautelare ex articolo 700 codice di procedura civile nel corso del quale il Giudice Delegato, dapprima Dr. Montini Trotti, poi sostituito da Dr. Massimo Morandini, affidava al Dr. Giorgio Berto l'incarico peritale di eseguire i carotaggi per accertare la natura del materiale conferito nel sito della Zincheria Valbrenta;
risulta all'interrogante in altro procedimento penale, pendente avanti il medesimo giudice, che rivestiva anche il ruolo di Gip, emergeva che il Dr. G. Berto aveva già certificato per conto della ditta Eco.Men, ossia di una delle ditte fornitrici del materiale di riempimento del sottofondo, l'idoneità del materiale medesimo. In altri termini, il perito nominato dal Giudice doveva accertare e certificare al Tribunale di Bassano del Grappa l'idoneità del materiale che lui aveva già certificato su incarico privato per conto della ditta Eco.Men e Zincheria Valbrenta;
risulta sempre all'interrogante che a carico del Dr. Giorgio Berto inoltre era pendente presso la Procura della Repubblica c/o Tribunale di Venezia il procedimento penale n. 2039/04 mod. 21 per il reato di cui agli artt. 483-481 e 61 n. 2 codice penale (falso ideologico in perizia) in ordine al quale il pubblico ministero in data 26 giugno 2006 aveva richiesto e ottenuto il rinvio a giudizio;
il Giudice Dr. Massimo Morandini solo con ordinanza del 2 novembre 2006 provvedeva alla sostituzione del perito dichiarando inutilizzabile la consulenza dallo stesso svolta perché, fra l'altro, l'aveva svolta .... basandosi unicamente sulle informazioni fornite dalla Direzione dei Lavori (Ing. Beniamino Didoné) e sulla documentazione planimetrica fornita dalla stessa, omettendo ... di assumere gli informatori indicati in ricorso i quali avevano assistito alle operazioni di scarico dei materiali in questione ... pertanto ... «avendo essi recepito acriticamente le indicazioni di una delle parti in causa, disattendendo nel contempo immotivatamente le osservazioni di controparte, l'accertamento peritale si rivela inutile ai fini della decisione in considerazione della scarsa rappresentatività dei carotaggi, e ciò tenuto conto peraltro che trattasi di perforazioni eseguite alla profondità di m. 2 ... a dispetto di quanto richiesto dal ctp di parte ricorrente...» ragione per cui «l'accertamento peritale si rivela inutile ai fini della decisione ...». Si osserva per altro che alla dichiarazione di inutilizzabilità della consulenza perché «in utile ai fini della decisione» non si accompagnava la decisione di restituire ai ricorrenti, almeno in parte, la somma di euro 10.000, stabilita dal giudice, quale compenso per il CTU;
appare quanto meno discutibile che a tutto oggi, a ben quattro anni di distanza, tale procedimento ex articolo 700 avente natura cautelare e dunque fondato sull'urgenza della decisione risulti ancora aperto;
nel procedimento 1633/05 mod. 21 (pubblico ministero Dr. Linda Arata) iscritto nei confronti di Loro Anna e Bordignon Giuseppe, legali rappresentanti Zincheria Valbrenta, Segafredo Massimo, titolare dell'impresa edile che ha eseguito
i lavori di edificazione della Zincheria e Meneghini Luciano, titolare della ditta Eco.Men che fornisce il materiale oggetto dell'indagine, si perveniva alla richiesta, datata 21 febbraio 2006 del pubblico ministero Linda Arata, di procedere con incidente probatorio alla verifica, tramite carotaggi, dell'eventuale esistenza di rifiuti tossici posti in profondità sotto il terreno su cui stava sorgendo la Zincheria Valbrenta;
a tale incombente provvedeva il Gip del Tribunale di Bassano del Grappa, il Dr. Massimo Morandini, che con ordinanza 31 marzo 2006 affidava l'incarico al Dr. Vladimiro Bonamin;
ilCTU chiedeva una proroga del termine per il deposito della relazione peritale, motivandola «in considerazione di telefonate e comunicazioni verbali che lo consigliavano di abbandonare l'incarico, ma che di fatto lo minacciavano di ritorsioni, anche personali, qualora non avesse desistito dall'accettare e proseguire l'incarico ricevuto». Nella lettera il perito si riferisce ad un periodo vissuto tra dubbi e timori e contiene un riferimento ad un precedente colloquio diretto tra il Gip e il perito con il quale egli metteva al corrente dell'accaduto il giudice, nell'ufficio dello stesso, e affermava di aver raccolto informazioni sulla vicenda, ribadendo di essere seriamente preoccupato con i suoi familiari per la situazione molto difficile che psicologicamente lo aveva molto turbato ed affermando che nonostante ciò riteneva di poter espletare il suo incarico con la dovuta professionalità e serietà;
in buona sostanza, il Dr. Bonamin era vittima di un grave reato, ossia quello di aver subito, con minacce, un tentativo di costringerlo a rifiutarsi di adempiere alle proprie funzioni di perito nominato dal Giudice. La lettera sopra descritta, contenente il racconto delle minacce ricevute, veniva allegata agli atti dell'incidente probatorio, a conclusione del quale, il Gip restituiva gli atti al pubblico ministero il quale provvedeva, poi, a richiedere l'archiviazione;
ad avviso dell'interrogante, nel caso in esame non è stata rispettata l'obbligatorietà dell'azione penale;
il procedimento penale in commento veniva archiviato adducendo la motivazione della morte di uno degli indagati (segnatamente Meneghini Luciano) definito in provvedimento non indagato ma reo e rilevando altresì che la presenza delle sostanze rinvenute era imputabile ad atti dolosi;
per completezza, risulta all'interrogante che nel fornire materiale per la risposta ad altra interrogazione parlamentare sulla questione l'Agenzia Regionale di Protezione dell'Ambiente avrebbe dichiarato che «le numerosissime verifiche fin qui effettuate da questa agenzia, su sollecitazione, nel tempo, del Comune di Rosà, dei Comitati locali, della ditta interessata e - a più riprese dalla stessa Magistratura, hanno portato alla tranquilla certezza che nulla di quanto denunciato risponde al vero» e che «l'Agenzia non ha notizie di interruzione dei lavori di costruzione dello stabilimento né controversie promosse da Presidi locali»;
evidentemente egli ignora l'esistenza della sentenza del Consiglio di Stato 6038/2004; così come l'ordinanza comunale di sospensione dei lavori di costruzione del fabbricato 31 gennaio 2003 n. reg. ord. 2734 -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
se il Ministro della giustizia non ritenga opportuno assumere iniziative ispettive per valutare se sussistano i presupposti per la promozione dell'azione disciplinare;
se il Ministro dell'ambiente non intenda accertare se sussista il potenziale pericolo di un danno ambientale e - laddove ne sussistano i presupposti - esercitare i poteri sostitutivi previsti nell'ipotesi di inerzia degli enti competenti.
(4-06316)
PORETTI, BELTRANDI, D'ELIA, MELLANO e TURCO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
al policlinico di Napoli l'11 febbraio 2008 è intervenuta la polizia del commissariato Arenella della medesima città mentre in sala operatoria una donna, alla 21ma settimana di gravidanza, stava abortendo secondo le norme della legge n. 194. La polizia, così come si apprende da fonti giornalistiche, su mandato del magistrato che aveva interpellato dopo aver ricevuto una segnalazione anonima, è intervenuta perché era in corso un intervento abortivo in violazione della medesima legge;
la polizia ha sequestrato il materiale biologico relativo al feto abortito già morto, nonché la cartella clinica ed ha interrogato la donna che aveva abortito mentre era ancora sotto effetto dei postumi dell'anestesia, interrogando anche la sua vicina di letto in ospedale;
il policlinico napoletano non ha tutelato la riservatezza delle pazienti nelle fasi pre e post operatorie, tant'è che tra le persone in grado di accedere ai dati degli interventi abortivi, ci sono addetti che - ad avviso degli interroganti - sono incuranti della delicatezza della situazione e che antepongono i propri interessi ideologici al servizio sanitario che, come già confermato, veniva effettuato nel rispetto delle leggi -:
se il Ministro della giustizia ritenga opportuno avviare un'indagine presso la procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli da cui dipende il pm Vittorio Russo che ha deciso, dopo segnalazione anonima, di affidare alla polizia queste indagini;
se il Ministro dell'interno ritenga opportuno avviare un'indagine presso la Questura di Napoli (commissariato di Arenella in particolare) per verificare se sussistano specifiche responsabilità delle forze dell'ordine in relazione alle modalità di intervento così invasive mentre era in corso un intervento abortivo, interrogando tra l'altro nei modi sopra descritti le persone coinvolte;
se il Ministro della salute ritenga opportuno avviare un'indagine presso il policlinico di Napoli da cui è partita la segnalazione anonima che ha mobilitato magistratura e polizia.
(4-06321)
SGOBIO, DILIBERTO, BELLILLO, DE ANGELIS, TRANFAGLIA, CANCRINI, CESINI, CRAPOLICCHIO, GALANTE, LICANDRO, LONGHI, NAPOLETANO, PAGLIARINI, FERDINANDO BENITO PIGNATARO, SOFFRITTI, VACCA e VENIER. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
lunedì 11 febbraio 2008 è giunta alla polizia di Napoli una segnalazione in un primo momento divulgata come anonima, secondo la quale al policlinico Federico II di Napoli, camuffato da aborto terapeutico, era in corso un caso di «infanticidio»;
la polizia su delega della Procura, irrompeva quindi nel reparto di ostetricia, requisiva le cartelle cliniche per verificare se erano stati correttamente osservati i termini di legge relativi ad una corretta applicazione della legge n. 194, interrogava gli infermieri e il personale medico, sottoponeva la paziente, appena reduce dall'intervento chirurgico, ad interrogatorio incurante delle più elementari norme di sensibilità e solidarietà umana ed, in ultimo, disponeva il sequestro del feto di 21 settimane del peso di 460 grammi al fine di sottoporlo all'autopsia per verificarne l'eventuale cromosopatia che avrebbe legittimato l'aborto terapeutico;
come è rilevabile anche dall'indagine interna tempestivamente disposta dagli organi direttivi del Secondo Policlinico allo stato attuale non sono emersi indizi di reità: l'intervento chirurgico si è svolto nel pieno rispetto della normativa vigente che prevede all'articolo 6 della legge n. 194 del 1978 la possibilità di praticare l'interruzione
volontaria trascorsi i novanta giorni ove siano accertati a carico del nascituro processi patologici o malformazioni tali da determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre;
suscita poi gravi perplessità il fatto che si sia proceduto all'interrogatorio della paziente quando a norma dell'articolo 7 della citata legge sarebbe sufficiente, ai fini dell'accertamento del processo patologico, la sola acquisizione della cartella clinica predisposta dal medico del servizio ostetrico-ginecologico dell'ente ospedaliero in cui si è praticato l'intervento di IVG;
la legge 22 maggio 1978 n. 194 che disciplina l'aborto terapeutico, confermata peraltro da referendum popolare, rappresenta un valido traguardo e ha l'ambizione di conciliare il diritto alla vita del nascituro all'equilibrio psicofisico della madre predisponendo gli strumenti di sostegno indispensabili e le strutture socio-sanitarie atte a favorire nel tempo le condizioni per una maternità consapevole frutto di una procreazione cosciente e responsabile;
nello stesso tempo l'articolo 1 della legge in questione evidenzia in maniera inequivocabile che l'interruzione volontaria della gravidanza «non è mezzo per il controllo delle nascite» e stabilisce nel dettaglio il ruolo dei consultori familiari, istituiti dalla legge 29 giugno 1975, n. 405;
il ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza, rappresenta una scelta dolorosa e sofferta per la donna che decide di ricorrervi. Una scelta alla quale le donne fanno ricorso con assoluta sofferenza, oggi regolata da una legge dello Stato che è stata frutto di battaglie e lotte civili in particolare del movimento delle donne;
la Relazione annuale del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza ha evidenziato che il numero degli aborti praticati in Italia nel 2006 è di 130.000 con una flessione rispetto al 2005 di 2,1 per cento e di ben 44,6 per cento rispetto al 1982; gli aborti terapeutici praticati nel 2005 sono stati 3.364 una cifra pari al 2,7 per cento del totale;
a trenta anni dalla sua promulgazione, la legge vigente vanta, dunque, al suo attivo un bilancio confortante: non solo per una significativa riduzione delle interruzioni di gravidanza grazie anche ad una consapevole difesa contraccettiva, ma soprattutto per la rimozione della clandestinità in cui una moltitudine di donne viveva il proprio dramma;
dalla relazione annuale citata, emerge, inoltre un altro importante dato: il 93 per cento delle interruzioni volontarie della gravidanza avvengono entro i primi 90 giorni di gestazione e solo lo 0,7 dopo la ventunesima settimana;
negli ultimi tempi si è assistito ad un pesante attacco ad una legge dello Stato, quale è la legge n. 194 del 1987, da parte di alcuni esponenti del mondo politico e parte del mondo accademico, che ha per obiettivo la modifica della legge stessa e che intende mettere in discussione il ruolo e la centralità della donna per una maternità consapevole e libera. Non vi è dubbio, al riguardo, che l'episodio menzionato sia maturato in un generale clima di ostilità e di avversione nei confronti di una legge dello Stato e, più in generale, delle donne che decidano di ricorrervi;
suscita poi gravi perplessità il fatto che si sia proceduto all'interrogatorio della paziente quando a norma dell'articolo 7 della citata legge sarebbe stato sufficiente, ai fini dell'accertamento del processo patologico, la sola acquisizione della cartella clinica predisposta dal medico del servizio ostetrico-ginecologico dell'ente ospedaliero in cui si è praticato l'intervento di IVG -:
quali iniziative intenda adottare al fine di tutelare e garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, e in tal modo evitare che qualsiasi donna che si
rechi in una struttura sanitaria per praticare l'interruzione volontaria della gravidanza possa incorrere in episodi quale quello sopra menzionato;
quali provvedimenti intenda adottare allo scopo di accertare i fatti indicati in premessa e se in capo alla polizia possano essere configurabili comportamenti lesivi della dignità umana, incompatibili con il rispetto della persona e della sua sfera privata con potenziali effetti intimidatori, quali quelli registrati dagli organi di stampa nei confronti dell'episodio in oggetto, e se questi abbiano operato in conformità alle disposizioni del magistrato incaricato.
(4-06325)
TURCO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da notizie di agenzia si apprende che il 13 febbraio è morto presso l'Ospedale Sandro Pettini di Roma dove era «ricoverato da alcune settimane per un tumore ai polmoni» Michele Greco, 84 anni, detenuto presso il carcere di Roma-Rebibbia;
Michele Greco era stato arrestato il 20 febbraio 1986 e dal 1992 al 2004 è stato sottoposto al regime di 41-bis -:
se risponda al vero che è stato per 18 anni in isolamento (interrogazione 4-08919) della XIV legislatura di cui 9 guardato a vista;
se risponda al vero che il 22 dicembre scorso la magistratura di sorveglianza del tribunale di Roma aveva rigettato l'istanza di differimento provvisorio della pena avanzata dai suoi legali;
quando gli sia stato diagnosticato il tumore ai polmoni;
quando sia stato trasferito presso l'Ospedale Sandro Pettini;
dopo la revoca del 41-bis, a quale regime detentivo fosse stato assegnato e, in considerazione del suo stato di salute, se e quando gli sia stato revocato il regime detentivo.
(4-06328)
MELLANO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
un lancio dell'Agenzia ANSA, datato Roma 6 febbraio, ha riportato le seguenti dichiarazioni di Luigi Scotti, nuovo Ministro della Giustizia del Governo Prodi: «Porterò avanti l'attività del Ministero già avviata. In due mesi si può fare ancora molto, sempre nell'ordinaria amministrazione. Io, d'altronde, sono un tenace lavoratore»;
l'autorevole Agenzia commentava inoltre: «La sua tenacia è nota: da ex presidente dei Tribunale di Roma ha riorganizzato in toto il lavoro degli uffici, prima di approdare nel 2006 come sottosegretario al Ministero della Giustizia»;
in quell'occasione, rispondendo a chi gli chiedeva cosa intendesse portare avanti fino all'insediamento del prossimo governo nel suo nuovo incarico, tra le priorità di lavoro per i prossimi mesi, il Ministro indicava: «1. La realizzazione di un servizio unico di intercettazioni telefoniche, così come ci è imposto da una direttiva comunitaria e dalla legge Finanziaria; 2. il recupero delle somme tra le pene pecuniarie di condanna da destinarsi alla Giustizia; 3. il completamento del sistema informatico»;
la Cassa delle Ammende è un fondo di denaro, gestito dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia, dove confluiscono i proventi del pagamento delle ammende e delle multe oggetto delle sentenze penali di condanna; confluiscono nella Cassa anche tutti i beni mobili ed immobili confiscati alla criminalità;
il Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 (artt. da 121 a 130) ha rivisitato l'istituto della Casse delle Ammende, attribuendole precise finalità fra cui il finanziamento di «programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti
e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione (articolo 129, terzo comma);
nella risposta ad una precedente interrogazione in Commissione svolta il 16 ottobre 2007, il sottosegretario Li Gotti affermava «Alla data del 30 giugno 2007 l'ammontare del fondo patrimoniale della cassa ammende era pari ad euro 113.856.586,02. Attualmente gli impegni finanziari deliberati dalla cassa ammende in attuazione del disposto di cui all'articolo 139, II e III comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 sono pari ad euro 13.193.355,41. Quaranta sono i progetti presentati dalla cassa ammende ed approvati alla data del 12 settembre 2007 e di questi, quattordici sono quelli finalizzati al reinserimento socio-lavorativo delle persone cha hanno beneficiato del provvedimento di indulto. Questi quattordici progetti coinvolgono 882 soggetti, hanno una durata temporale cha va da un minimo di nove mesi ad un massimo di due anni e sono stati finanziati tutti dalla cassa delle ammende per un importo complessivo di circa 3 milioni e 313 mila euro» -:
se il Ministro non ritenga indispensabile, opportuno ed estremamente urgente dare corretta e piena attuazione e funzionalità all'istituto della Cassa delle Ammende;
se il Ministro non ritenga doveroso, proficuo ed urgente dare adeguata pubblicità alle funzioni ed alle attività dell'istituto della Cassa delle Ammende, con particolare attenzione alle Direzioni delle 205 carceri italiane;
se il Ministro non ritenga necessario ed urgente addivenire a una revisione del Regolamento interno della Cassa delle Ammende al fine di rendere più efficiente ed efficace il funzionamento di un prezioso strumento di lavoro per l'Amministrazione penitenziaria.
(4-06329)