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Allegato B
Seduta n. 33 del 27/7/2006
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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta in Commissione:
LOMAGLIO, PISCITELLO, PIRO, LONGHI, FUMAGALLI, MARIANI, ROTONDO, BUFFO e SAMPERI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
I danni ambientali e sanitari prodotti dal polo petrolchimico insediato nell'area di Augusta/Priolo/Melilli nei primi anni 50 del novecento, sono ormai universalmente noti e fanno parte della letteratura scientifica e medica. Tra tutti i dati spicca tristemente quello relativo all'alto tasso di nati malformati;
diverse indagini scientifiche e mediche, iniziate nei primi anni ottanta del secolo scorso, dimostravano chiaramente che il danno sanitario (neuropatie, epatopatie, malformazioni, nefropatie, ecc.) era strettamente correlato al mercurio immesso nell'ambiente dagli impianti Cloro Soda;
nel 2001 la Procura della Repubblica di Siracusa avvia un'inchiesta giudiziaria, per accertare le cause di tali malformazioni;
nel Gennaio 2003 si apre poi l'indagine giudiziaria più clamorosa sull'area industriale di Priolo, «l'operazione Mar Rosso»: vengono arrestati 17 tra dirigenti e dipendenti dello stabilimento ex ENICHEM (ora SYNDIAL), insieme al funzionario della provincia preposto al controllo della gestione dei rifiuti speciali prodotti nell'area industriale. Il principale capo d'imputazione contestato è l'articolo 53-bis del decreto Ronchi, per aver costituito una vera e propria «associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti pericolosi contenenti mercurio». Il mercurio, secondo l'accusa, veniva scaricato nei tombini delle condotte di raccolta delle acque piovane e da lì finiva in mare. La Procura di Siracusa ha stimato in circa 530 t. il quantitativo di mercurio scaricato in mare dalla MONTEDISON
tra il 1958 e il 1991. Dopo il sequestro giudiziario ed una lunga fermata, l'impianto ripartì con una sola delle tre linee per poi essere chiuso, probabilmente in via definitiva, nel novembre 2005;
nella primavera del 2006, a conclusione di una parte delle indagini, la magistratura indica MONTEDISON come responsabile dell'avvelenamento del mare, prosciogliendo l'ENICHEM (oggi SYNDIAL), e 23 dipendenti dello stabilimento di Priolo;
negli stessi giorni si apprendeva che la SYNDIAL stava autonomamente risarcendo un centinaio di famiglie che avevano subito il danno di un figlio malformato (circa quindicimila/ventimila euro per i casi meno gravi di malformazione fino ad un massimo di un milione di euro per i casi più gravi);
a seguito dell'entrata in vigore della legge 426/98, l'area Augusta/Priolo/Melilli è stata inserita tra i siti inquinati di interesse nazionale ai fini della bonifica e denominata «sito Priolo»;
come denunciato dall'associazione ambientalista Legambiente con il dossier «la chimera delle bonifiche», pubblicato il 10 maggio 2005, pochissimo è stato fatto nei 50 siti di interesse nazionale per l'iniziale messa in sicurezza degli stessi e l'avvio di concrete procedure di bonifica. La stessa associazione lamentava l'assenza di caratterizzazione delle aree contigue ai siti e la grave mancata applicazione delle tecnologie di qualifica. Alle carenze, ritardi ed al mancato utilizzo di efficaci tecnologie di bonifica concorrono secondo gli interroganti un'azione lenta delle istituzioni preposte e del governo Berlusconi, evidenziata dalla mancata assegnazione di adeguate risorse finanziarie pubbliche;
in questo quadro si inserisce oggi la vicenda della bonifica dei fondali del porto di Augusta che ovviamente, alla luce di quanto ricordato in narrativa, risultano contaminati da una nutrita serie di metalli pesanti (mercurio in primo luogo), idrocarburi e persino diossina immesse nelle acque del porto dagli scarichi degli stabilimenti industriali;
a seguito della più recente caratterizzazione dei fondali effettuata dall'ICRAM (istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare), il Ministero dell'Ambiente nella conferenza dei servizi del 18 luglio 2005 ordina ai titolari di concessione marittima del porto di Augusta di provvedere entro il termine di 30 giorni a mettere in sicurezza la rada attraverso la riduzione di circa 2 metri di spessore di fondale su un'area di circa 610 mila mq;
tale disposizione, per la quale vengono obbligati alla bonifica tramite dragaggio anche soggetti subentrati solo recentemente nella titolarità della concessione (a cui appare non facile addebitare responsabilità pregresse), ha dato adito all'avvio di un contenzioso legale tra le aziende interessate e la pubblica amministrazione;
la sospensiva inizialmente concessa dal TAR di Catania alle aziende ricorrenti, nel maggio 2006 è stata riformata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo;
pertanto il Ministero dell'Ambiente ha rinnovato l'ordinanza e le aziende rimangono obbligate alla messa in sicurezza/bonifica dei fondali con l'impegno di spesa di circa 270 milioni di euro;
il termine entro il quale tale obbligo doveva essere adempiuto pare sia ormai scaduto il 16 giugno 2006 e sulla stampa si legge che il Ministero dell'Ambiente, preso atto dell'omessa bonifica, intenderebbe ordinare il blocco della navigazione ed il transito delle navi nel porto di Augusta poiché il movimento delle loro eliche produrrebbe un pericoloso rimescolamento dei sedimenti facendo risalire gli inquinanti accumulati dagli strati più profondi. In alternativa a tale drastica misura, il Ministero dell'Ambiente ipotizzerebbe una sorta di percorso obbligato per le navi
all'interno del porto di Augusta al fine di evitare il loro transito sulle aree più contaminate;
ove tali misure fossero effettivamente adottate non può sfuggire che ne deriverebbe un gravissimo pregiudizio per il traffico marittimo del porto di Augusta, nel cui specchio acqueo transitano ogni anno oltre 3.000 navi e le cui eliche, presumibilmente, hanno più volte rimescolato gli strati superficiali dei fondali;
qualora tali misure fossero dirette a sollecitare le aziende ad adempiere all'ordinanza, appare evidente che l'ingente danno economico del blocco del traffico o l'obbligo di un più lungo e diverso percorso, magari con un maggior numero di rimorchiatori in assistenza, ricadrebbe sull'utenza portuale, sui servizi e sugli armatori delle navi. Le aziende, invece, non ne riporterebbero alcun danno a meno che le loro zone di approdo, come sarebbe logico attendersi, non siano dichiarate «inagibili» proprio perché per raggiungerle le navi dovrebbero transitare o sostare su fondali a rischio rimescolamento;
qualunque fosse la misura che determinasse il blocco del traffico e quindi il fermo parziale o totale degli stabilimenti, occorre tenere in debita considerazione (ed approntare le necessarie contromisure per fronteggiare un black-out nazionale) che circa un terzo dei prodotti petroliferi necessari al mercato nazionale ha origine dall'area di Augusta/Priolo/Melilli e che oltre la metà dell'energia elettrica prodotta in Sicilia nasce nella stessa area -:
se il Ministero dell'Ambiente abbia allo studio l'adozione di misure a giudizio degli interroganti tanto drastiche quanto inadeguate a produrre la bonifica di fondali inquinati e se si sia valutato il danno economico che subirebbero gli operatori portuali;
fermo restando il sacrosanto principio del «chi inquina paga», cosa abbia in animo di fare il sig. Ministro per superare ciò che, secondo gli interroganti, appare una sterile contrapposizione e scongiurare un inutile blocco del traffico portuale e delle attività industriali del polo petrolchimico;
se il sig. Ministro non intenda istituire, prescindendo dallo strumento della conferenza dei servizi, tavoli locali e nazionali di discussione e concertazione tra istituzioni (Regione, Provincia, Comuni eccetera), associazioni, imprese e comunità scientifica per superare responsabilmente i ritardi e avviare una seria ricerca sulle tecnologie di bonifica da applicare nei singoli casi.
(5-00147)
Interrogazioni a risposta scritta:
CESINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 15, comma 2 della legge 23/2001 n. 93, nel considerare necessario conservare e valorizzare, anche per finalità sociali e produttive i siti e i beni legati all'attività mineraria con rilevante valore storico, reca norme per l'istituzione e la gestione del «parco Museo Minerario delle miniere di zolfo delle Marche»;
con decreto ministeriale del 20 aprile 2005, n. 156 è stato istituito, con oltre quattro anni di ritardo rispetto alla legge di cui sopra, il «parco dello zolfo delle Marche»;
i siti interessati dalla normativa riguardavano le miniere di zolfo, dimesse negli anni '50 e '60 di Cabernardi (Sassoferrato) e di Perticara (Novafeltria);
l'iniziativa ha determinato notevoli aspettative e non poche perplessità stanno suscitando i ritardi nell'applicazione di una legge dello Stato;
è necessario consentire l'effettiva realizzazione del «Parco dello zolfo nelle Marche», occorrendo solamente - a quanto risulta all'interrogante - la nomina
degli organismi così come previsti dal decreto ministeriale n. 156/05 -:
se ed in quali tempi il Ministro intenda procedere, secondo le proprie competenze, al fine di concretizzare quanto previsto dalla normativa in premessa.
(4-00738)
TAGLIALATELA, LANDOLFI, NESPOLI, CIRIELLI, PEZZELLA, COSENZA, BOCCHINO e CASTIELLO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da dodici anni vige in Campania un regime commissariale per il ciclo integrato dei rifiuti;
la situazione dell'emergenza rifiuti in Campania è tale da determinare il continuo rinnovo della dichiarazione dello stato di emergenza, nonostante ogni anno venga affermato che si tratta dell'ultimo anno in cui sarà prevista la figura del Commissario;
secondo gli interroganti, la stragrande maggioranza delle amministrazioni comunali della Campania non hanno svolto le attività necessarie al fine del raggiungimento della percentuale di raccolta differenziata così come previsto dalla legge, senza che nei confronti dei sindaci responsabili siano stati presi provvedimenti sanzionatori, amministrativi ed economici;
nella giornata di oggi i giornali locali hanno riportato la notizia dell'avvenuta nomina, con decreto del Ministro dell'ambiente On. Pecoraro Scanio, di una nuova struttura di coordinamento e di supporto delle attività dei Commissari delegati delle regioni in cui è dichiarato lo stato di emergenza per risolvere il problema della raccolta differenziata; tale nomina è stata interpretata dai maggiori mezzi di informazione come l'istituzione di un vero e proprio super-commissario;
la costituzione di questa nuova struttura appare agli interroganti certamente contraddittoria con la dichiarata volontà di superare definitivamente e rapidamente la stagione dell'emergenza rifiuti e della presenza del commissario delegato;
dal 2000 sono stati assunti nella regione Campania dal Commissariato per l'emergenza rifiuti migliaia di disoccupati proprio per garantire la raccolta differenziata;
risulta agli interroganti che nel corso di questi anni la maggior parte di tali lavoratori non è stata utilizzata nella specifica attività;
la stessa Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nella scorsa legislatura ha più volte stigmatizzato, nel suo documento conclusivo, il mancato utilizzo dei suddetti lavoratori per gli specifici compiti per i quali erano stati assunti;
gli stessi lavoratori sono attualmente in carico funzionale presso i Consorzi di bacino costituiti sull'intero territorio regionale per garantire l'effettivo svolgimento della raccolta differenziata -:
quali urgenti iniziative intenda assumere presso il commissario affinché solleciti le amministrazioni comunali inadempienti e affinché sia assicurato l'effettivo utilizzo dei lavoratori, la cui forzata inoperosità non solo determina quotidianamente un danno erariale ma anche la disastrosa situazione che vede la regione Campania in generale, e la città di Napoli in particolare, quali ultime in graduatoria per le percentuali di raccolta differenziata.
(4-00739)
DI GIOIA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
con deliberazione del 30 novembre 2005, la n. 39, il Comitato istituzionale dell'autorità di bacino della Puglia ha approvato il Piano stralcio per l'Assetto idrogeologico (PAI) per i bacini regionali, le cui disposizioni hanno carattere immediatamente vincolante dal 30 dicembre
2005, data di pubblicazione sul sito internet per l'autorità di bacino (www.adb.puglia.it);
la discarica in località Ischia del comune di Savignano irpino ricade in area a pericolosità geomorfologia «molto elevata», contigua al Torrente Rifieto e a 70 metri dal torrente Cervaro e, quindi, in violazione degli articoli 10, 12 e 13 dello stesso PAI;
esattamente un anno fa, lungo il tratto della strada statale 90 delle Puglie si erano avuti in più punti movimenti franosi dal territorio di Capitanata fino a quello di Ariano irpino, ma la frana si era bloccata a circa un 1 chilometro dalla strada statale;
oggi è in atto uno smottamento eccezionale, diverso dagli episodi accaduti in precedenza, dato che un evento simile nella stessa zona non si verificava da almeno 40 anni; si tratta di una situazione che è andata via via peggiorando fino a restituire, oggi, un quadro a dir poco allarmante, il movimento franoso parte da Contrada Panizza nel comune di Montaguto e si estende per oltre 3 chilometri fino a contrada Russo e a pochi metri dalla contrada Russo si trova contrada Ischia, zona scelta dal gruppo tecnico della provincia di Avellino per impiantare la discarica;
questo progetto secondo l'interrogante ora, più che mai, deve essere rivisto se non bocciato completamente, in considerazione della fragilità del territorio e del grave rischio frana che insiste nella zona tra Savignano, Greci, Panni e Montaguto, comune per il quale è stato dichiarato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 maggio 2006, lo stato di emergenza in relazione al grave movimento franoso in atto nel territorio;
le sostanze dannose per l'ambiente, eventualmente presenti nei fossati, se derivanti da trattamenti di rifiuti urbani indifferenziati, sarebbero trasferite sia negli acquiferi dei due corsi d'acqua che in un sistema ambientale protetto qual è l'Area Naturale Protetta di Interesse Comunitario (SIC) della Puglia «Valle del Cervaro e Bosco dell'Incoronata» -:
quali provvedimenti si intendano intraprendere al fine di evitare che si verifichino ulteriori stati di emergenza, data la fragilità dei territori in questione a causa dei movimenti franosi in atto.
(4-00743)