Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Allegato B
Seduta n. 36 del 2/8/2006
...
GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta immediata:
LA RUSSA, DE CORATO, AIRAGHI, ALEMANNO, AMORUSO, ANGELI, ARMANI, ASCIERTO, BELLOTTI, BENEDETTI VALENTINI, BOCCHINO, BONGIORNO, BONO, BRIGUGLIO, BUONFIGLIO, BUONTEMPO, CASTELLANI, CASTIELLO, CATANOSO, CICCIOLI, CIRIELLI, CONSOLO, GIORGIO CONTE, CONTENTO, GIULIO CONTI, COSENZA, FILIPPONIO TATARELLA, GIANFRANCO FINI, FOTI, FRASSINETTI, GAMBA, GASPARRI, GERMONTANI, ALBERTO GIORGETTI, HOLZMANN, LAMORTE, LANDOLFI, LEO, LISI, LO PRESTI, MANCUSO, MARTINELLI, MAZZOCCHI, MELONI, MENIA, MIGLIORI, MINASSO, MOFFA, MURGIA, ANGELA NAPOLI, NESPOLI, PATARINO, PEDRIZZI, ANTONIO PEPE, PERINA, PEZZELLA, PORCU, PROIETTI COSIMI, RAISI, RAMPELLI, RONCHI, ROSITANI, SAGLIA, SALERNO, GARNERO SANTANCHÈ, SCALIA, SILIQUINI, TAGLIALATELA, TREMAGLIA, ULIVI, URSO e ZACCHERA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dopo l'approvazione del provvedimento sull'indulto, migliaia di detenuti usciranno dalle carceri italiane e fra questi la gran parte tornerà in libertà senza un lavoro, una casa e l'assistenza medica;
gli effetti del provvedimento potrebbero diventare reali già nelle prossime settimane, con una situazione di emergenza per gli enti locali dovuta alla massiccia richiesta di lavoro e reinserimento sociale che queste persone rivolgeranno alle strutture assistenziali;
al fine di non creare disagi alla cittadinanza, gli enti locali dovranno impegnarsi per la sistemazione adeguata degli ex detenuti, a partire da un'opportuna formazione per l'inserimento lavorativo, la ricerca di alloggi per ospitare gli ex detenuti senza casa e un'adeguata assistenza sanitaria, soprattutto per quelli malati o in cattive condizioni di salute;
solo per l'area di Milano saranno circa un migliaio i detenuti che torneranno in libertà tra le carceri di Opera, Bollate e San Vittore;
i costi sociali del provvedimento sull'indulto ricadranno inevitabilmente sugli enti locali, poiché il Governo non ha previsto i fondi necessari per il reinserimento degli ex detenuti;
i bilanci degli enti locali non sono pronti a sostenere i costi provocati dall'applicazione di tale provvedimento, non essendo state stanziate opportune risorse per provvedere al reinserimento degli ex detenuti;
gli enti locali, qualora non fossero supportati da opportuni sostegni economici, sarebbero costretti a distogliere fondi da altri progetti e attività assistenziali ugualmente importanti o ad attingere al fondo di riserva di bilancio, comunque limitato, con un danno per gli altri servizi forniti ai cittadini -:
in che modo saranno sostenuti i bilanci degli enti locali che provvederanno all'assistenza e al reinserimento degli ex detenuti e se il Governo intenda prevedere uno stanziamento apposito per gli enti locali, in modo tale che non vengano distolte risorse da altri progetti e non vengano causati danni e disagi alle altre categorie sociali.
(3-00182)
MURA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Parlamento ha appena approvato, non senza contraddizioni, un provvedimento di clemenza come l'indulto;
gli istituti penitenziari nel Paese versano ormai da anni in una situazione evidentemente critica, molto spesso oltre il limite della decenza;
la concessione dell'indulto non può essere assolutamente considerata come l'unico rimedio per risolvere le carenze strutturali del nostro sistema penitenziario;
ragioni di umanità, oltre che di sicurezza e di giustizia, impongono una riflessione attenta su un problema che resta tuttora aperto ed irrisolto: appare evidente la necessità di predisporre interventi strutturali per risolvere una situazione che non può, anche alla luce della concessione dell'indulto, essere ancora sopportata;
in particolare, l'interrogante ha personalmente constatato, visitando più volte il carcere di Rebibbia, che la situazione in quel contesto è a dir poco drammatica;
le detenute, infatti, denunciano di vivere in condizioni disumane, convivendo con parassiti e malattie quali aids e varicella: le celle sono bollenti e non è possibile avere dei ventilatori per migliorare la qualità della vita e, addirittura, quando piove l'acqua filtra all'interno delle celle, che lasciano a desiderare anche per quanto concerne le dimensioni (circa 15 metri quadrati per due persone); si vive una situazione di evidente e degradante promiscuità, che manifesta una mancanza di qualsiasi corretto criterio di distribuzione delle detenute nelle diverse celle;
secondo l'interrogante, la grande maggioranza dei detenuti che usciranno dal carcere grazie al provvedimento di indulto approvato la scorsa settimana torneranno purtroppo nuovamente ad affollare le carceri nel giro di breve tempo, senza che si sia risolto nulla circa le inumane condizioni di vita all'interno del carcere di Rebibbia e degli altri penitenziari del nostro Paese -:
se il Ministro interrogato sia al corrente delle gravi circostanze di cui sopra e se non ritenga opportuno disporre un'adeguata ispezione ministeriale, al fine di acquisire tutte le informazioni idonee a porre in essere adeguate misure per migliorare le condizioni di vita, secondo l'interrogante, inumane all'interno del carcere di Rebibbia e delle altre carceri italiane.
(3-00183)
Interrogazioni a risposta scritta:
DI CENTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nelle ultime settimane sono apparse su alcuni quotidiani notizie in merito alla chiusura del Tribunale di Tolmezzo (Udine);
tale operazione rientrerebbe in un più vasto programma governativo di soppressione delle sedi di tribunale che non siano capoluogo di provincia;
il Tribunale di Tolmezzo fa parte della circoscrizione giudiziaria della Corte di appello di Trieste;
nella provincia di Udine risiedono circa 530.000 persone, sparse in 137 comuni;
nella provincia la giustizia è amministrata nei tribunali di Udine e Tolmezzo;
al tribunale di Tolmezzo fanno riferimento ben 44 comuni della zona della Carnia, cioè della parte montuosa della provincia di Udine;
la chiusura del tribunale di Tolmezzo contribuerebbe ad incentivare quel fenomeno di spopolamento delle zone montane, che deve invece essere fermato;
visto l'elevato numero di comuni e di abitanti non è pensabile una trasformazione del tribunale in sezione distaccata -:
se corrispondano al vero le notizie circa la chiusura del Tribunale di Tolmezzo;
quali siano i programmi del Ministero della giustizia in tale senso.
(4-00804)
MORRONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 19 luglio 2006 tutti i quotidiani della Calabria hanno dato ampio risalto al fatto che il Gip di Catanzaro non ha accolto la richiesta di emissione di ordinanza di custodia cautelare per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, presentata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro a carico di ventiquattro persone appartenenti al clan degli zingari di Cosenza (operazione denomina «DRINK WATER» che, dalle notizie pubblicate sui media, ha preso avvio nel 2001), in quanto «a fronte di un grave quadro indiziario, costituito da una pluralità di elementi univoci e pregnanti e certamente idoneo, per la solidità che lo caratterizza, a supportare le contestazioni sopra indicate emerge tuttavia in modo manifesto la impossibilità di formulare, alla data attuale e a carico di ciascun indagato, quel giudizio di pericolosità sociale che a giudizio del PM legittima il ricorso alla tutela cautelare. Anche la fattispecie associativa nella richiesta cautelare viene contestata con riferimento ad un arco temporale circoscritto, che appare ormai risalente nel tempo (novembre 2000)»;
negli anni 1978-1994 nella città di Cosenza e nel suo hinterland sono stati portati a termine decine di fatti omicidiari, a seguito della cosiddetta «prima e seconda guerra di mafia», tra gli affiliati alle cosche «Perna-Pranno» da un lato e «Pino-Sena» dall'altro;
la sentenza del processo «GARDEN» (emessa dalla Corte d'assise di Cosenza in data 9 giugno 1997, confermata in appello a Catanzaro il 13 marzo 1999 e nel 2000 in Cassazione) ha ricostruito, in termini di certezza giudiziaria, perché su di essa si è formato il giudicato, il sorgere dei gruppi criminali nell'hinterland cosentino, la loro affermazione sul territorio, le sanguinose guerre condotte per il predominio;
a seguito di tale attività d'indagine hanno intrapreso la via della collaborazione con la giustizia numerosi personaggi di spicco dei due clan, che hanno, tra l'altro, confessato numerosi omicidi (vedi atti processo Garden). Nel corso di tale processo hanno reso testimonianza numerosi collaboratori di giustizia. Gli stessi «pentiti» hanno testimoniato nel processo «LUCE» relativo a cinque omicidi avvenuti a Cosenza, nonché nel processo «AZIMUT» in corso a Paola, nel processo «CIAK» e in numerosi altri processi. Essi stessi hanno riferito di aver avuto un ruolo di spicco nei gruppi mafiosi denominati «Perna-Pranno» e «Pino-Sena» e di essere autori di numerosi e svariati omicidi -:
se il Ministro interrogato ritenga di attivarsi, nell'ambito delle sue competenze,
in relazione al ritardo con cui la Procura della Repubblica di Catanzaro - Direzione Distrettuale Antimafia - ha esercitato l'azione penale rispetto all'avvio dell'operazione «DRINK WATER» risalente, secondo le notizie pubblicate dai media, al 2001, e quali iniziative intenda intraprendere affinché non si verifichino altri «DRINK WATER» e se sia «il caso di adottare con urgenza iniziative normative al fine di rendere più veloci i procedimenti penali scaturenti dalle dichiarazioni dei pentiti.
(4-00809)
DILIBERTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 1o agosto 2005, il Signor Rosario Improta, dipendente dell'amministrazione penitenziaria (DAP), inviava, con raccomandata, al dottor Giovanni Tinerba capo del DAP, istanza di riammissione in servizio, ai sensi dell'articolo 42 decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, e 132 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;
il DAP, in data 9 agosto 2005, protocollo n. 2035/, riscontrava la missiva 1o agosto 2005 del signor Rosario Improta, ed inviava il modello fac-simile da usarsi per la riammissione in servizio, precisando testualmente che: «In relazione alla sua richiesta formulata in data 1o agosto 2005, si comunica che, qualora sia in possesso dei previsti requisiti indicati, potrà avanzare apposita domanda come da modello fac-simile allegato»;
in data 16 agosto 2005 il signor Rosario Improta inviava con raccomandata ai sensi della legge 241/1990, il suddetto modello fac-simile di riammissione corredato da una nota;
non avendo ricevuto riscontro all'ultima nota del 16 agosto 2005, il signor Rosario Improta con successiva raccomandata datata 17 ottobre 2005, chiedeva di conoscere il nominativo del responsabile del procedimento, il termine per l'adozione del provvedimento finale ed anche se fosse stato nelle more adottato qualche ulteriore provvedimento;
il DAP, con nota Roma del 2 novembre 2005, protocollo n 328427/2005, testualmente affermava che «... con riferimento alla sua ultima richiesta di riammissione in servizio nel corpo di polizia penitenziaria pervenuto a questo ufficio in data 23 settembre 2005, si conferma il parere contrario alla richiesta stessa, già formulatole dal competente consiglio di amministrazione con nota n. 82/02 del 3 luglio 2002»;
a parere dell'interrogante, nel caso di specie, sarebbero state violate le disposizioni di cui all'articolo 132 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, della legge n. 241/1990 articolo 3-bis, e 20 come modificato dall'articolo 3, comma 6-ter della legge n. 80/05, dell'articolo 97 della Costituzione, nonché del decreto del Presidente della Repubblica 28 aprile 2006 -:
se non ritenga opportuno attivarsi affinché sia riammesso in servizio al primo corso successivo il signor Rosario Improta, che a tutt'oggi è disoccupato e senza alcuna fonte di reddito, a carico di sua madre vedova con pensione minima Inps.
(4-00813)
MASCIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 7 giugno 2006, il detenuto poliomielitico e paraplegico, Michele Vitale, che si trova nel carcere di Opera, è stato immotivatamente colpito a calci e pugni da un ispettore e da un agente di polizia penitenziaria;
in data 8 giugno 2006, 43 detenuti del 2o reparto, 3o piano, sezione C, della Casa di Reclusione di Opera, hanno denunciato con una dichiarazione scritta indirizzata al Ministro della giustizia, alla Procura Generale del Tribunale di Milano e al
Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, l'aggressione subita dal detenuto Michele Vitale;
a seguito di tale denuncia, quattro detenuti, tra cui lo stesso Vitale Michele, venivano trasferiti ad altro carcere, mentre, ad altri ancora, si negava l'ora d'aria, l'attività fisica e la doccia tutti i giorni;
in data 19 giugno 2006, l'Avvocato Antonia Parisotto, su segnalazione del proprio assistito, Maurizio Alfieri, uno dei firmatari della denuncia sopra citata, posto in isolamento e trasferito di sezione, inviava a sua volta al direttore dell'istituto di Opera una lettera (sia via fax sia con raccomandata con ricevuta di ritorno) per segnalare la gravità dell'episodio ai danni di Vitale Michele e del clima creatosi successivamente nel reparto;
il direttore reggente della Casa di reclusione di Opera, dottor Antonino Porcino, rispondeva solo il 2 luglio all'avvocato Antonia Parisotto, non fornendo alcuna spiegazione di quanto accaduto;
una seconda denuncia, sottoscritta da 48 detenuti, veniva nel frattempo inviata, in forma di istanza alla Procura della Repubblica del Tribunale di Milano;
copia della stessa veniva spedita per conoscenza al Magistrato di Sorveglianza, al Ministro della sanità, all'Asl Lombardia, al Garante dei detenuti, al Direttore del carcere di Opera, al Ministro della giustizia e al Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria. In essa, oltre a denunciare nuovamente l'episodio del 7 giugno 2006, si lamentava un generale contesto di ritorsioni da parte della direzione dell'istituto nei confronti dei reclusi firmatari della denuncia. Si segnalava inoltre la presenza, sullo stesso piano del reparto, di un detenuto di circa 80 anni, malato di tubercolosi, posto a diretto contatto con altri reclusi;
a quanto risulta all'interrogante, in data 17 luglio 2006, il detenuto Maurizio Alfieri veniva improvvisamente trasferito alla Casa Circondariale di Monza, senza consentirgli di portare con sé gli effetti personali, ponendolo nella più totale indigenza;
risulta, inoltre, all'interrogante che sino al 26 luglio 2006, il detenuto fosse ancora privo dei suoi effetti personali i quali, come riferito all'avvocato Parisotto dall'ufficio matricola, erano ancora in attesa di spedizione presso la Casa di Reclusione di Milano Opera -:
se sia a conoscenza dell'aggressione subita da Michele Vitale in data 7 giugno 2006;
quali provvedimenti intenda prendere per individuare i responsabili e procedere nei loro confronti sia disciplinarmente che penalmente;
quali siano le ragioni per le quali la direzione del carcere ha adottato misure punitive nei confronti dei detenuti che hanno denunciato l'aggressione subita da Vitale Michele;
quali siano le ragioni del trasferimento di alcuni detenuti del carcere di Opera verso altre carceri;
quali siano le ragioni del trasferimento di Maurizio Alfieri alla Casa Circondariale di Monza e delle modalità con cui è stato effettuato;
quali misure intenda prendere per impedire che portatori di gravi patologie possano compromettere la salute di altri detenuti;
quali provvedimenti intenda prendere per ripristinare nel carcere di Opera un clima positivo fra direzione e popolazione detenuta.
(4-00814)
ANGELA NAPOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la presenza della criminalità organizzato in Calabria è tale da richiedere adeguate strutture giudiziarie ed un supporto di magistrati utile a sopperire, in tempi celeri, tutti gli interventi giudiziari necessari;
in particolare, la Procura distrettuale antimafia di Catanzaro è costretto a coprire il distretto più grande d'Italia, che comprende ben otto Tribunali e che ha competenze sulle quattro province calabresi di Catanzaro, Crotone, Cosenza e Vibo Valentia;
nelle quattro province citate la criminalità organizzata non lascia spazi di immunità, giacché la sua presenza è riscontrabile in tutte le attività, illecite che vanno dal racket all'usura, dal traffico di armi a quello delle sostanze stupefacenti, dal traffico dell'immigrazione a quello della prostituzione, dallo smaltimento dei rifiuti solido-urbani a quello delle sostanze radioattive;
la presenza della 'ndrangheta è riscontrabile anche nella pubblica amministrazione, nella sanità, nel mondo imprenditoriale, negli appalti pubblici, nell'ambiente, nei centri di grande distribuzione, nei grossi centri commerciali;
quanto sopra fa comprendere che in Calabria non esistono isole felici, immuni dalla pressione della criminalità organizzata ed appare, pertanto, comprensibile la necessità di rendere efficiente al massimo il settore della Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Catanzaro le cui competenze incidono su un territorio così vasto ed inquinato;
ultimamente si è costretti e registrare la ripresa della faida, con ben cinque omicidi dall'inizio dell'anno, tra le cosche lametine il cui territorio è interessato da grossi interessi economici;
l'attuale organico della DDA di Catanzaro è costituito da un procuratore capo, due procuratori aggiunti e soli sei sostituti; anche il personale amministrativo è del tutto insufficiente se si pensa che, con la mole di lavoro che incide su quella Procura, ogni magistrato ha un solo assistente;
accanto all'inadeguatezza degli organici va registrata quella delle macchine, del relativo carburante e delle attrezzature necessarie ad espletare l'intero lavoro giudiziario -:
quali urgenti iniziative intenda attuare per sopperire alla grave crisi del distretto giudiziario di Catanzaro, al fine di porre la DDA nelle condizioni di accelerare le indagini e le fasi processuali contro la criminalità organizzata calabrese.
(4-00829)
GIULIO CONTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 24 febbraio 1997 fu ucciso a Rimini Giovanni Pascale;
del fatto fu accusato Ivan Liggi, poliziotto arruolatosi in data 18 marzo 1992 e in servizio al momento della morte del Pascale;
il poliziotto Ivan Liggi, Agente della Polizia Stradale di Rimini, fu ritenuto responsabile dell'omicidio volontario del Signor Giovanni Pascale dalla Corte di Assise di Apello di Bologna il 9 ottobre 2002;
la sentenza fu confermata dalla Suprema Corte di Cassazione in data 15 ottobre 2004;
attualmente il poliziotto Ivan Liggi è ristretto nella Casa Circondariale di Forlì;
come da Regolamento, in seguito alla morte del Pascale, il Liggi fu sospeso cautelativamente da ogni incarico e incarcerato presso la prigione di Forte Boccea di Roma;
il 14 aprile 1997 gli fu revocata ogni misura cautelare;
in data 3 marzo 2002 fu riammesso in Servizio presso la Polfer di Pesaro;
il 16 ottobre 2004 fu definitivamente arrestato;
nel frattempo, nel periodo che intercorre tra il momento della morte del Pascale, in data 24 febbraio 1997, e il momento del definitivo arresto, del 16
ottobre 2004, al poliziotto Ivan Liggi fu restituita la pistola d'ordinanza beretta 92/FS essendo stato riammesso in Servizio;
è necessario ricostruire i fatti;
in data 24 febbraio 1997, mentre il Liggi era in servizio di pattuglia sulla strada statale 9 a Rimini, dall'auto che guidava notava che un'auto stava effettuando tutta una serie di sorpassi proibiti, ma vista l'auto della Polizia si poneva dietro alla stessa e la seguiva;
tale manovra provocava l'ordine del Capo Pattuglia Briganti di fermare l'auto sospetta;
il Briganti, con la paletta intimava al conducente dell'auto (una A112) di fermarsi, ma l'ordine non veniva eseguito, anzi, la A112 invertiva il senso di marcia e contromano imboccava una via laterale a doppio senso;
il Capo Pattuglia allora, ordinava di inseguire l'auto in fuga che nel frattempo eseguiva tutta una serie di manovre che erano pericolose per l'incolumità sia del fuggitivo, sia altrui, fino al punto di tentare di mandare fuori strada l'auto della Polizia;
a questo punto insorgeva il fondato sospetto che l'auto trasportasse materiale proibito: o refurtiva o droga o armi;
fermatasi l'auto ad un semaforo rosso, in fila con altre auto, i due poliziotti inseguitori scendevano dalla loro auto con la pistola in pugno, come è obbligo regolamentare in simili casi, essendo una situazione ad alto rischio;
il conducente della A112 in fuga però metteva la sicura all'auto e, mentre scattava il verde, partiva sulla corsia libera.
Nel partire, l'auto dell'inseguito Signor Pascale investiva il poliziotto Liggi, il quale si rialzava con la pistola in pugno e, nel tentativo di inseguire il fuggitivo, con le braccia in movimento, alla semplice involontaria pressione del grilletto allo stesso partiva un colpo dalla pistola;
il proiettile perforava il lunotto della A112 e colpiva il fuggitivo Giovanni Pascale alla nuca e lo uccideva;
aperta la portiera dell'auto, il Liggi cercava di soccorrere il Pascale ormai morto;
poi in Caserma il Liggi firmava un contestato verbale e successive dichiarazioni al Magistrato P.M. Dottor Paci in contraddizione col verbale firmato in un momento di grave comprensibile concitazione;
la contraddizione fra il verbale firmato in caserma e le dichiarazioni rilasciatealP.M.Pacifu poi secondo l'interrogante determinante per la condanna finale del Liggi, perché fu dato credito a quella rilasciata in Questura;
la prima sentenza del Tribunale di Rimini fu una condanna a 5 anni di reclusione;
la prima sentenza però fu impugnata dal Procuratore generale della Corte d'Appello di Bologna;
la sentenza della Corte d'Appello di Bologna del 28 gennaio 2000 condannò il Liggi a 9 anni e 8 mesi di carcere;
anche la sentenza della Corte d'Appello di Bologna veniva impugnata dalla difesa del Liggi e dal Ministero degli Interni;
la Suprema Corte di Cassazione annullava il verdetto e rinviava il procedimento a nuovo giudizio ad un'altra Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Bologna, che emetteva, in data 9 ottobre 2002, una sentenza che condannava il Liggi a 9 anni e 5 mesi di reclusione perché colpevole di omicidio volontario con perpetua interdizione dai pubblici uffici;
anche in ultimo grado la sentenza veniva confermata;
il Liggi è in carcere ormai dal 16 ottobre 2004;
valutando con somma attenzione e chiarezza i fatti che hanno coinvolto l'agente Liggi, la serietà e l'onestà morale con le quali ha accettato e sopportato la condanna subita, rilevando che comunque le disgrazie giudiziarie del Liggi sono originate da una azione di ordine pubblico in difesa delle leggi dello Stato e dell'ordine pubblico, tenendo conto della complessità della vicenda dimostrata proprio dalle numerose e contraddittorie sentenze giudiziarie prima di quella definitiva -:
se non intenda esprimersi favorevolmente sulla domanda di grazia presentata dall'agente Ivan Liggi (il 21 maggio 2005).
(4-00843)
MIGLIORI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a seguito del provvedimento d'indulto è presumibile un aggravamento delle condizioni riguardanti la sicurezza dei cittadini, soprattutto in aree periferiche come la Valdelsa ed in generale la Provincia di Siena;
il carcere Ranza in San Gimignano è storicamente uno degli stabilimenti più importanti del sistema carcerario toscano -:
quale sia l'esatto numero di detenuti a San Gimignano che godranno dei benefici dell'indulto;
quali iniziative si intendano assumere per ampliare la presenza delle forze dell'ordine sul territorio e garantire al carcere di San Gimignano un sufficiente organico di agenti di polizia penitenziaria.
(4-00847)
BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in occasione della promulgazione della legge sull'indulto La Stampa di Torino, a pagina 35, in un articolo di sette colonne titolato «in trecento lasceranno il carcere delle Vallette» si legge: «Per il pm Andrea Paladino l'escamotage per evitare di distribuire a piene mani "Licenze per delinquere" potrebbe essere quello di rifiutare i patteggiamenti ed inasprire le pene per chi ricorre al rito abbreviato»;
i magistrati sono sottoposti alla legge;
l'indulto appena promulgato è legge dello Stato -:
se ritenga che l'intervista che riproduce l'intento del magistrato Paladino sia atto irrispettoso della proposizione normativa e se ritenga che in tale comportamento vi siano i presupposti per intraprendere l'azione disciplinare di cui è titolare.
(4-00858)
MELLANO, BELTRANDI, D'ELIA, PORETTI, TURCO, BUEMI e CAPEZZONE. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il dibattito svoltosi in aula in occasione della votazione della legge sull'indulto, il grido di allarme di tutti coloro che si occupano di reinserimento dei detenuti per le difficoltà cui andranno incontro coloro che in questi giorni usciranno dalle carceri italiane senza aver potuto compiere quel percorso di reinserimento sociale e lavorativo previsto dalla nostra normativa, rendono quanto mai necessario ed urgente l'utilizzo corretto, completo, efficace, efficiente e trasparente di tutte le risorse a disposizione per progetti e programmi atti al suddetto reinserimento;
nella seduta della Camera dei Deputati di giovedì 27 luglio, con l'approvazione della legge sull'indulto, il Governo ha fatto proprio un ordine del giorno (Mellano ed altri) in cui è richiesta, fra l'altro, «una gestione efficace, oculata e trasparente dell'istituto della "Cassa delle Ammende", volto a finanziare i progetti di reinserimento dei detenuti»;
la Cassa delle Ammende è un fondo di denaro, gestito dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia, dove confluiscono i proventi del pagamento delle ammende e delle multe oggetto delle sentenze penali di
condanna; confluiscono nella Cassa anche tutti i beni mobili ed immobili confiscati alla criminalità;
il Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 (artt. da 121 a 130) ha rivisitato l'istituto della Cassa delle Ammende, attribuendole precise finalità fra cui il finanziamento di «programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione» (articolo 129, 3o comma);
l'articolo 130 del suddetto decreto prevede che «Il bilancio di previsione ed il conto consuntivo della Cassa delle Ammende sono approvati con decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica»;
solo nel febbraio 2004, a quattro anni di distanza dalla legge suddetta ed a seguito di una vera e propria battaglia politica dei Radicali, fu emanato il Regolamento interno della Cassa delle Ammende, in assenza del quale l'attività di questo istituto così importante era rimasta totalmente congelata, tanto che neppure gli operatori penitenziari conoscevano l'esistenza stessa dell'istituto;
il suddetto Regolamento interno risulta anacronistico ed inadeguato in più parti; per esempio, quando prevede per la presentazione dei progetti e programmi il parere obbligatorio «dell'Assessorato alla sicurezza sociale, o organismo analogo, della provincia territorialmente competente» (art. 2, comma 3); per esempio, nella mancata previsione di una scadenza nella risposta (affermativa o negativa) del Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende rispetto alle domande presentate; per esempio, in vari errori formali di redazione del testo;
in occasione di un convegno organizzato dal Gruppo «Radicali - Lista Emma Bonino» e tenutosi presso il Consiglio Regionale del Piemonte, nel novembre del 2003, il Direttore Generale dell'Esecuzione Penale Esterna del DAP, Consigliere Riccardo Turrini, dichiarò che il fondo patrimoniale della Cassa delle Ammende ammontava a circa 80 milioni di euro;
nella risposta scritta all'interrogazione n. 4.07583 del 2 ottobre 2003 dell'on. Russo Spena, l'allora Ministro della Giustizia Castelli dichiarò che il fondo patrimoniale della Cassa delle Ammende ammontava a euro 71.280.681,36;
il giornale La Repubblica del 2 agosto 2006, nella cronaca di Torino, riporta la notizia che, nel corso di una riunione in Comune, il sindaco Sergio Chiamparino ha richiesto al sottosegretario alla Giustizia, Luigi Ligotti, «un anticipo dei fondi della Cassa delle Ammende, 30 milioni di euro bloccati da tempo che serviranno a finanziare progetti e piani di intervento. "Se vogliamo potenziare i progetti esistenti e crearne di nuovi sulla base delle esigenze che saranno monitorate - ha detto il sindaco - è opportuno fare affidamento su fondi immediatamente disponibili. Per il Piemonte si può ipotizzare una cifra di 3 milioni di euro, il 10 per cento circa del totale". I tempi, è la replica del sottosegretario alla Giustizia, potrebbero essere accelerati tenendo conto dell'emergenza...» -:
quale sia il preciso ammontare del fondo patrimoniale della Cassa delle Ammende;
dove sia possibile reperire i bilanci preventivi e consuntivi della Cassa delle Ammende relativi agli anni 2004, 2005 e 2006;
quanti e quali progetti e programmi siano stati approvati dal Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende sino ad oggi;
se il Governo non ritenga indispensabile ed opportuno dare corretta e piena attuazione all'istituto della Cassa delle
Ammende, a maggior ragione nel contesto venutosi a creare dopo l'approvazione della legge sull'indulto;
se il Governo non ritenga doveroso e proficuo dare adeguata pubblicità alle funzioni ed alle attività dell'istituto della Cassa delle Ammende;
se il Governo non ritenga necessario ed urgente addivenire a una revisione del Regolamento interno della Cassa delle Ammende, tenendo in debita considerazione i rilievi formulati dagli interroganti nella premessa.
(4-00871)