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Allegato B
Seduta n. 42 del 26/9/2006
LAVORO E PREVIDENZA SOCIALE
Interrogazione a risposta in Commissione:
MANCUSO e ULIVI. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
risulta all'interrogante che presso diversi sedi italiane dell'Inpdap prestano servizio 87 lavoratori con contratto di formazione lavoro (contratto prorogato fino al 31 dicembre 2006 con legge n. 266 del 2005) i cui rapporti non si sono ancora trasformati in contratti a tempo indeterminato a causa del blocco delle assunzioni che le leggi finanziarie dal 2003 ad oggi hanno mantenuto;
l'Inpdap è stata autorizzata, in deroga ai suddetti blocchi, ad assumere per l'anno 2004 un contingente di personale inferiore a quello richiesto e conseguentemente solo parte di questi contratti ha visto la trasformazione a tempo indeterminato;
i restanti rapporti di lavoro e la conseguente situazione di precarietà causata dalle continue proroghe hanno determinato una situazione di pesante disagio tra i lavoratori nonché l'instaurarsi di una notevole disparità di trattamento tra coloro che sono stati assunti nel corso del 2005 (grazie al meccanismo delle assunzioni in deroga) e quanti sono ancora in servizio con il contratto di formazione e lavoro;
i lavoratori con il contratto di formazione, a distanza di 5 anni dall'assunzione (avvenuta con regolare superamento di concorso pubblico), sono da considerarsi completamente professionalizzati ed integrati nei processi produttivi grazie anche al consistente piano formativo che l'Istituto ha loro riservato;
nessun percorso di stabilizzazione dei lavoratori in contratto di formazione ha trovato spazio nella legge finanziaria per il 2006 e la stessa normativa contenuta nel decreto-legge 4/06(articolo 14) risulta essere stata eliminata durante i lavori parlamentari di conversione del citato decreto-legge;
nelle dichiarazioni pre-elettorali, i rappresentanti del centro sinistra, hanno fatto/del problema del precariato un nodo cruciale del proprio programma, ma ad oggi poco o nulla sembra essere stato fatto in tale direzione -:
quali siano le intenzioni del Governo in merito alla posizione di tali lavoratori a contratto di formazione, considerato il fatto che tali assunzioni non comporterebbero un costo ulteriore per la Pubblica Amministrazione.
(5-00211)
Interrogazione a risposta scritta:
CRAPOLICCHIO. - Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
com'è noto, i medici ospedalieri che prestano la propria opera alle dipendenze delle Aziende Sanitarie Locali, in quanto pubblici dipendenti, sono assoggettati alla disciplina previdenziale introdotta a seguito della riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, attuata con la legge n. 335 dell'8 agosto 1995 (cosiddetta Riforma Dini);
i relativi trattamenti pensionistici, gestiti dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP), vengono determinati, conformemente a quanto prescritto dalla detta disciplina di riforma, mediante l'applicazione del sistema cosiddetto contributivo;
prescindendo dalla questione, pur importante, dell'incongruità delle somme che presumibilmente gli iscritti andranno a maturare al momento del collocamento in pensione (a fronte di un gravoso obbligo contributivo annuale), è bene ribadire che la disciplina cennata non è ovviamente derogabile da parte del lavoratore; in particolare, non sono ammesse scelte di sorta
rispetto all'Ente gestore dei fondi, né, tantomeno, in ordine al concreto sistema di calcolo dei maturandi trattamenti;
dal punto di vista degli oneri contributivi è, inoltre, da tenere presente che tutti i medici, e quindi anche quelli che svolgono servizio presso gli ospedali pubblici del Servizio Sanitario Nazionale, in quanto iscritti al relativo Ordine Professionale, sono tenuti all'iscrizione obbligatoria, giusto il disposto dell'articolo 21 del D.L.C.P.S. n. 233 del 13 settembre 1946, ai Fondi gestiti dall'Ente Nazionale Previdenza ed Assistenza Medici ed Odontoiatri (ENPAM), con conseguente obbligo del versamento annuo del contributo previdenziale, pari a circa il 12,50 per cento del reddito annuo complessivo;
sin qui la disciplina generale, che dovrebbe, proprio in quanto generale, applicarsi a tutti i medici ospedalieri dipendenti delle Aziende Sanitarie Locali, inquadrati nell'ambito della medesima qualifica professionale e che svolgano le medesime mansioni;
ciò nonostante, a seguito di sopravvenuti interventi normativi, è venuta a determinarsi una sostanziale disparità di trattamento previdenziale tra i soggetti appartenenti alla medesima categoria professionale, quella, appunto, dei medici che lavorano negli ospedali pubblici del Servizio Sanitario Nazionale;
infatti, in virtù del disposto dell'articolo 8, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, è stata prevista la possibilità, per le Aziende unità sanitarie locali e per quelle ospedaliere, al fine di garantire l'erogazione delle prestazioni assistenziali ed in deroga alla necessità di ricorrere ad apposite convenzioni triennali, di utilizzare all'uopo i medici addetti alle attività di guardia medica e di medicina dei servizi che risultavano (alla data del 31 dicembre 1998) in possesso di taluni requisiti, stabilendo, altresì, che previa apposita domanda, il personale suddetto potesse essere inquadrato nel ruolo sanitario, nei limiti delle dotazioni organiche delle singole Aziende sanitarie ed ospedaliere;
successivamente, con il decreto legislativo n. 254 del 28 luglio 2000, che ha introdotto, nella disposizione citata, il comma 2-bis, si è previsto che ai medici della guardia medica, dell'emergenza territoriale e della medicina dei servizi, passati alla dipendenza secondo la predetta normativa, fosse data facoltà di optare, al momento dell'inquadramento in ruolo, per il mantenimento della posizione assicurativa già costituita presso l'Enpam (come detto, preesistente, in quanto derivante automaticamente dall'iscrizione all'Ordine Professionale di appartenenza), ovvero di incardinare la loro posizione assicurativa presso l'Inpdap, secondo il regime vigente per i loro colleghi già precedentemente inquadrati in ruolo;
evidentemente, tale facoltà di scelta, concessa, si noti, solamente in ragione delle diverse modalità temporali di instaurazione del rapporto lavorativo (che, per il resto, è, da ogni punto di vista, assolutamente identico per entrambe le categorie di dipendenti), realizza una palese violazione del principio di eguaglianza sostanziale, finendo, in ultima analisi, per attribuire solamente ad alcuni dei soggetti inquadrati nell'ambito della medesima categoria professionale un privilegio assolutamente irragionevole oltre che essenzialmente discriminatorio;
privilegio, si noti, che si traduce nella possibilità di decidere ex ante, e secondo criteri di convenienza individuale, l'entità della prestazione pensionistica futura, ciò anche in ragione del fatto che l'eventuale scelta in favore del mantenimento della posizione assicurativa già maturata presso l'Enpam garantirà loro, atteso il regime a ripartizione ivi vigente, una futura rendita mensile molto più alta rispetto a quella che conseguirebbero ove, invece, decidessero di optare per il regime assicurativo Inpdap;
tuttavia, eguale possibilità di scelta non è concessa, come detto, ai circa 120.000 medici che, pur svolgendo le medesime mansioni, abbiano instaurato il rapporto di pubblico impiego antecedentemente
all'entrata in vigore della citata normativa, che, viceversa, si trovano assoggettati alla disciplina introdotta dalla legge n. 335 dell'8 agosto 1995, che garantirà loro una rendita pensionistica determinata secondo il sistema cosiddetto contributivo e, quindi, di entità certamente minore;
senza contare, poi, che questi ultimi, pur non potendo optare per il trattamento pensionistico Enpam, sono comunque tenuti, al versamento della contribuzione obbligatoria in favore del fondo di previdenza generale gestito dall'Ente stesso, contributi che, si noti, porteranno a maturare nel tempo una pensione di importo assolutamente risibile;
non si vede, dunque, la ragione sostanziale per cui, soggetti appartenenti alla stessa categoria professionale, che svolgano identiche mansioni e che prestino la propria attività presso il medesimo datore di lavoro, debbano essere esposti ad una, secondo l'interrogante, così evidente disparità di trattamento dal punto di vista previdenziale, basata, e qui davvero l'incongruenza normativa rivela tutta la sua arbitrarietà, solamente sulle diverse modalità temporali di instaurazione del rapporto di pubblico impiego -:
quali iniziative intenda intraprendere, onde impedire che, in evidente spregio del principio di eguaglianza, costituzionalmente garantito, abbia ad ulteriormente perpetrarsi quella che, a giudizio dell'interrogante, è una irragionevole ed assolutamente infondata disparità di trattamento previdenziale tra soggetti che, a fronte dell'identità di mansioni svolte e di qualifica posseduta, dovrebbero, viceversa, essere trattati in maniera analoga ed essere, quindi, titolari delle medesime facoltà, nonché se sia opportuno intraprendere iniziative legislative onde modificare la normativa vigente, nella parte in cui prescrive l'obbligo generalizzato per tutti i medici iscritti all'albo professionale, senza esenzione per quelli che prestino attività ospedaliera a tempo pieno, di iscrizione all'ente previdenziale assistenziale della categoria, e di pagamento dei relativi contributi.
(4-01060)