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Allegato B
Seduta n. 48 del 5/10/2006
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, stabilita con la legge 17 dicembre 1971, n. 1158, dovrebbe collegare, secondo la formulazione attuale del progetto, le località di Ganzirri in Sicilia e di Pezzo in Calabria;
la società Stretto di Messina spa è la società concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento stabile tra la Sicilia e il continente. I suoi azionisti sono la Fintecna (una costola dell'Iri), con il 68,8 per cento delle azioni, Rete ferroviaria italiana (la società del gruppo Ferrovie dello Stato che si occupa della parte infrastrutturale), con il 13 per cento, l'Anas, con il 13 per cento, e la Regione siciliana e la regione Calabria, rispettivamente con il 2,6 per cento ciascuno. Sia Fintecna che Rete ferroviaria italiana e Anas sono di proprietà del ministero dell'economia e delle finanze. Questo assetto societario è diverso da quello originario, che prevedeva che le quote di capitale fossero distribuite così: Fintecna 53 per cento, Rete ferroviaria italiana 12,9 per cento, Anas 7,7 per cento, Regione siciliana 12,9 per cento, regione Calabria 12,9 per cento. Il nuovo assetto è il risultato della prima tranche dell'aumento di capitale necessario per finanziare il ponte, che la Stretto di Messina spa ha attuato alla fine del 2003. Le quote di proprietà delle regioni Sicilia e Calabria sono sensibilmente diminuite perché le due regioni hanno deciso di non sottoscrivere l'aumento di capitale, per cui le altre tre componenti della società hanno comprato anche le quote azionarie che erano riservate ai due governi regionali;
la società Stretto di Messina spa presentò nel 1986 uno studio di fattibilità, dal quale risultò che il ponte sarebbe tecnicamente realizzabile;
l'allora presidente dell'Iri Romano Prodi disse che era una priorità e sarebbero potuti iniziare i lavori nel 1996;
sin dal 1985, l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, ne chiedeva l'approvazione urgente per realizzare quel ponte tra Sicilia e Calabria che «recupererebbe una cultura della grandi opere pubbliche che si è persa negli ultimi anni», spiegando all'epoca che «la Sicilia è fortemente ostacolata da questa barriera naturale. Con un collegamento stabile i costi calerebbero del 13 per cento, senza parlare della maggiore rapidità degli spostamenti». Sempre secondo le dichiarazioni del Presidente Romano Prodi, «il risparmio per un automobilista sarebbe stato di 40 minuti, 35 per autocarro e 92 per il treno» e «nel 2015 sarebbero transitati sul ponte 12 milioni e 621mila autovetture, oltre a 295 mila carrozze ferroviarie»;
nel 1996 Romano Prodi, da candidato premier, inserì il progetto nei primi cento giorni di governo e, una volta a Palazzo Chigi, anche l'onorevole Massimo D'Alema sostenne che «il ponte sarebbe stato capace di autofinanziarsi e avrebbe fatto da volano per lo sviluppo del Sud», tesi peraltro appoggiata dall'allora Ministro dei lavori pubblici Antonio Di Pietro;
nei primi anni '90 la società Stretto di Messina spa produsse un progetto di massima definitivo, comprensivo di previsioni di spesa, tempi di esecuzione e valutazione di impatto ambientale. Anche Anas e Ferrovie dello Stato in seguito diedero il loro parere favorevole alla realizzazione del progetto, approvato nel 1997 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici;
a fine dicembre 2001 il ponte sullo stretto venne inserito tra le infrastrutture strategiche che usufruiranno delle procedure speciali previste dalla cosiddetta «legge obiettivo» (legge 21 dicembre 2001, n. 443). Nel corso del 2003 il consiglio di amministrazione della Stretto di Messina spa e il Comitato interministeriale per la programmazione economica approvavano il progetto preliminare;
il 1o ottobre 2003 la Commissione europea ha adottato la proposta di revisione delle reti transeuropee di trasporto, prevedendo tra queste anche la realizzazione del ponte sullo stretto: tale proposta è stata approvata dal Consiglio dei ministri europeo dei trasporti e, successivamente, dal Consiglio europeo dei Capi di Stato;
il 21 aprile 2004 il Parlamento europeo ha definitivamente confermato la priorità europea del ponte;
il ponte, una volta completato, sarà parte integrante di una serie di sistemi viari, ferroviari e marittimi: il corridoio n. 8, il corridoio n. 5 e l'asse Palermo - Berlino, che non avrebbe ragione di esistere in assenza di un collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente;
nell'ottobre 2005 Impregilo si è aggiudicata la gara per la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, battendo la cordata concorrente guidata dalla capogruppo Astaldi. L'offerta finale è risultata essere pari a 3,88 miliardi di euro; il progetto considera, inoltre, un tempo di realizzazione di 70 mesi (6 anni). Il contratto di assegnazione è stato firmato il 27 marzo 2006;
l'approvazione del progetto definitivo e, di conseguenza, del progetto esecutivo da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) e della società concessionaria Stretto di Messina spa, capeggiata da Impregilo, dovrà essere conclusa entro un tempo definito in dieci mesi dalla firma del contratto;
l'opera è già stata finanziata, progettata e appaltata e per l'appalto Impregilo sta lavorando come general contractor; Impregilo guida il raggruppamento temporaneo con una quota del 45 per cento. Gli altri partner sono la spagnola Sacyr (18,7 per cento), Condotte d'acqua (15 per cento), la Cmc di Ravenna (13 per cento), la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries (6,3 per cento), il consorzio stabile Aci (2 per cento);
il costo complessivo di 6,1 miliardi di euro doveva essere coperto per il 40 per cento con risorse pubbliche e la restante quota (3,6 miliardi) con risorse da recepire con emissioni obbligazionarie, da ripagare con gli introiti da tariffe, fatta salva la garanzia dello Stato in caso di introiti insufficienti;
circa 1,4 miliardi di euro provenienti dalle privatizzazioni Iri e destinati al ponte di Messina sono attualmente nelle casse di Fintecna, sono vincolati agli aumenti di capitale della controllata Stretto di Messina spa (già deliberati fino a 2.5 miliardi);
la Fintecna ha già versato circa 250 milioni alla controllata, di cui possiede il 67,06 per cento e, prima dello stop annunciato dal Governo, avrebbe dovuto versare gli altri 1,4 miliardi;
l'articolo 14 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, al secondo comma, trasferisce le risorse inerenti agli impegni assunti da Fintecna nei confronti di Stretto di Messina spa al ministero dell'economia e delle finanze «per la realizzazione di opere infrastrutturali e di tutela dell'ambiente e difesa del suolo in Sicilia e in Calabria»;
la costruzione del ponte consentirebbe grandi opportunità di sviluppo: 40mila occupati l'anno nelle sole due regioni dello stretto, un impatto complessivo del cantiere di 5,5 miliardi di euro di cui il 75 per cento distribuito fra Calabria e Sicilia, l'arrivo di player mondiali della tecnologia, la possibilità per tutti i partecipanti al progetto di acquisire un know how esportabile in operazioni simili, un modello di gestione del cantiere (project management), che è dettagliato ancora prima di partire, cosa unica per le opere pubbliche italiane;
dal ponte nascerebbe una grande area urbana integrata Messina - Reggio Calabria;
l'opera, oltre al normale turismo, attirerebbe anche quello tecnologico/industriale, visto che oggi il turismo architettonico
muove migliaia di persone e, soprattutto, è capace di dare una valenza mondiale a un'opera destinata a restare, altrimenti, locale;
il ponte permetterà di utilizzare pienamente le potenzialità della ferrovia sulla linea a sud di Napoli e per i capoluoghi siciliani, sia per i passeggeri (treni indivisibili, quali gli Eurostar), sia per le merci, migliorando in misura notevole la qualità dei servizi ferroviari di attraversamento;
impegna il Governo:
ad adottare ogni utile iniziativa volta alla realizzazione di un'opera fondamentale per il corridoio verticale del Mediterraneo, già finanziata dall'Unione europea, per la quale potrebbe realizzarsi il rischio sia della perdita dei finanziamenti comunitari, sia del pagamento di ingenti penali da versare al general contractor, in caso di un non auspicabile annullamento della procedura in corso.
(1-00037) «D'Alia, Tassone, Volontè».
La Camera,
premesso che:
il reportage pubblicato lo scorso primo settembre dal settimanale l'Espresso, a cura di Fabrizio Gatti, «Io schiavo in Puglia. Sfruttati. Sottopagati. Alloggiati in luridi tuguri. Massacrati di botte se protestano. Diario di una settimana nell'inferno. Tra i braccianti stranieri della provincia di Foggia», ha portato alla luce un gravissimo fenomeno di sfruttamento della manodopera a danno di migranti, regolari e non, rifugiati e asilanti;
l'inchiesta di Gatti, si sofferma in particolare su un triangolo che copre quasi tutta la provincia di Foggia, da Cerignola a Candela e più a nord fin oltre San Severo, e denuncia gravissime violazioni dei più elementari diritti umani e del lavoro, ad opera di imprenditori senza scrupoli. Si tratta di piccole e grandi aziende alimentari che quando devono assumere personale stagionale per la raccolta nei campi, quasi tutte scelgono «la scorciatoia del caporalato». Esse agiscono impunemente in un territorio sottratto alla legalità e al controllo dello Stato. Gatti denuncia che «nell'ultimo anno in provincia di Foggia soltanto un imprenditore, a Orta Nova, è stato arrestato per sfruttamento dell'immigrazione clandestina»;
il fenomeno è più vasto e riguarda diversi territori del nostro meridione, Puglia, Calabria, Basilicata, Campania e Sicilia, era già stato dettagliatamente denunciato dall'associazione umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere (MSF) sui lavoratori stranieri impiegati stagionalmente nell'agricoltura nel sud d'Italia, il 31 marzo del 2005 con la pubblicazione del rapporto: «I frutti dell'ipocrisia. Storie di chi l'agricoltura la fa. Di nascosto»;
secondo il rapporto di Medici Senza Frontiere gli immigrati impiegati nell'agricoltura vivono in condizioni disumane e inaccettabili per un paese civile. Essi arrivano sani nel nostro paese e dopo qualche tempo si ammalano. Secondo la ONLUS, la grande maggioranza dei lavoratori incontrati vive in condizioni igieniche e abitative inaccettabili. Il 40 per cento delle persone visitate vive in edifici abbandonati; il 36 per cento vive in spazi sovraffollati; più del 50 per cento non dispone di acqua corrente; il 30 per cento non ha elettricità; il 43,2 per cento non dispone di toilette; la maggior parte dei lavoratori immigrati riesce a mangiare solo una volta al giorno e spesso si nutre dello stesso prodotto di raccolta con enormi limiti nell'apporto calorico e nutrizionale. In conseguenza di tutto ciò le patologie riscontrate sono spesso gravi e di origine infettiva: patologie dermatologiche; parassiti intestinali e malattie del cavo orale; malattie respiratorie con casi di tubercolosi. In queste condizioni di lavoro e di vita si vengono a trovare non solo migranti irregolari 51,4 per cento, ma anche rifugiati 6,3 per cento, richiedenti asilo 23,4 per cento e persone con permesso di soggiorno 18,9 per cento;
le stesse condizioni di sfruttamento e precarietà riguardano anche altri settori delle attività lavorative e produttive del nostro paese quali l'edilizia, l'industria tessile e manifatturiera come è dimostrato dalle quotidiane notizie di cronaca sulle tante «morti bianche» e di donne, minori e uomini ridotti in schiavitù a lavorare in turni massacranti, anche 16 ore al giorno, in malsani e lugubri scantinati. Condizioni ancora più gravi di ricatto, violenza, anche sessuale e di segregazione domestica, conosciute e quasi mai denunciate, sono l'apice di un malessere profondo che, a nostro avviso andrebbero urgentemente indagate,
impegna il Governo:
a intraprendere tutte le iniziative possibili a livello locale e nazionale, per contrastare i fenomeni di sfruttamento della manodopera, del caporalato e dello schiavismo, coinvolgendo in forma attiva, le forze di polizia, gli enti locali, le organizzazioni professionali dei produttori, dei coltivatori e dei consumatori, le organizzazioni sindacali, le organizzazioni della società civile e a promuovere, a tale scopo, l'istituzione di un tavolo comune per l'individuazione di strumenti di controllo dell'intera filiera produttiva e di trasformazione dei prodotti agroalimentari nonché di marchi di certificazione etica nello spirito del Global Compact e sulla responsabilità d'impresa;
le vittime dello sfruttamento che denunciano violazioni delle leggi dello Stato e dei diritti umani dando piena attuazione, a tale fine, all'articolo 18 del TU delle leggi sull'immigrazione, che prevede l'accesso alla protezione per collaborazione di giustizia a tutti i migranti che denunciano tali situazioni di sfruttamento e schiavismo, indipendentemente dal loro status di presenza sul territorio;
a promuovere campagne di sensibilizzazione pubblica contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione e a dare sostegno alle organizzazioni della società civile organizzata nella loro opera di denuncia, di aiuto umanitario e solidale alle vittime dello sfruttamento, di sensibilizzazione pubblica per un consumo consapevole e per la promozione e tutela dei diritti umani;
ad attivarsi per dare attuazione alla risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 48/134 del 1993 che, in sintonia con i «Principi di Parigi», invita gli stati membri a dotarsi sul proprio territorio di una istituzione nazionale indipendente ed efficace in materia di promozione e protezione dei diritti umani.
(1-00038) «De Zulueta, Leoni, Grillini, Baratella, Frias, Guadagno detto Vladimir Luxuria, Lombardi, Duranti, Forgione, Rotondo, Boato, Crema, Di Gioia, Marcenaro, Lumia, De Biasi, D'Antona, Trupia, Falomi, Deiana, Scotto, Zanella, Allam, Longhi, Bonelli, Castagnetti, Di Salvo, Di Girolamo, Servodio, Fincato, Sasso, Piro, Laganà Fortugno, Cassola, Camillo Piazza, Widmann, Piscitello, Lucà, Betta, Chiaromonte, Siniscalchi, Cardano, Fedi, Lovelli, Raiti, Froner, Samperi, Rocco Pignataro, Angeli».