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Allegato B
Seduta n. 51 dell'11/10/2006
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AFFARI ESTERI
Interrogazioni a risposta scritta:
MELONI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della solidarietà sociale, al Ministro per le politiche per la famiglia. - Per sapere - premesso che:
sono centinaia le famiglie - riunite in un apposito coordinamento - che da tempo chiedono di adottare bambini bielorussi nel rispetto delle normative vigenti;
con l'entrata in vigore della nuova legge in materia, a partire dall'ottobre 2004 la Bielorussia ha di fatto bloccato tutte le procedure di adozione internazionale;
circa 150 procedure già in fase avanzata di valutazione sono state «sospese» ed alcune coppie che si erano recate in Bielorussia per l'udienza finale in tribunale sono state costrette a ritornare in Italia senza i bambini;
anche altre centinaia di coppie italiane - che hanno faticosamente acquisito l'idoneità all'adozione - si sono viste bloccare l'iter di presentazione delle proprie domande di adozione riguardanti bambini orfani bielorussi, nella maggioranza dei casi conosciuti durante i soggiorni periodici in Italia;
il 12 dicembre 2005 è stato sottoscritto un nuovo Protocollo bilaterale tra Italia e Bielorussia in materia di adozioni;
il testo firmato indica la data del 1o marzo 2006 quale limite entro il quale il Ministero dell'istruzione bielorusso si impegnava «ad organizzare l'esame di tutte le pratiche pervenute al Centro prima del mese di ottobre 2004 e di quelle giacenti presso il Centro al momento della sottoscrizione del Protocollo, con la ferma
intenzione di rispettare i principi fondamentali della Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, privilegiando il superiore interesse dei minori e tenendo conto dei legami affettivi che si sono instaurati tra i minori bielorussi e i candidati italiani all'adozione»;
il Coordinamento Famiglie Adottanti in Bielorussia ha più volte denunciato il mancato rispetto della scadenza da parte delle autorità bielorusse;
solo una minima parte delle 150 adozioni sospese è stata portata a termine con successo; molte adozioni vengono rifiutate sulla base di motivazioni che contrastano con il «superiore interesse dei minori» senza tenere conto dei legami affettivi che si sono instaurati tra i minori bielorussi e i candidati italiani all'adozione;
occorre compiere ulteriori passi significativi per perfezionare i termini dell'accordo e per consentire che vengano presentate in Bielorussia le domande successive a quelle «sospese», riguardanti minori che da troppi anni attendono questa adozione;
come hanno dimostrato i recenti fatti di cronaca, sono centinaia i bambini che rischiano un penoso abbandono a causa della separazione dalle famiglie che li hanno accolti e cresciuti come figli -:
se non intendano sollecitare il Governo bielorusso al fine di dare concreta attuazione al Protocollo bilaterale del dicembre 2005;
quali urgenti iniziative intendano intraprendere a sostegno delle famiglie che, nel rispetto della normativa vigente, si sono viste precludere le condizioni per la prosecuzione delle procedure adottive;
se non ritengano opportuno organizzare in tempi brevi una missione in Bielorussia al fine di riprendere il dialogo con le autorità locali e far sì che sia risolta al più presto questa drammatica situazione che coinvolge centinaia di famiglie italiane e minori bielorussi.
(4-01241)
VILLETTI. - Al ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'assassino della giornalista Anna Politkovskaya appare incontrovertibilmente un omicidio politico, volto a sopprimere una voce libera e critica nel mondo dell'informazione della Russia, nel quale sono fortissimi e cambiamenti, le limitazioni e le prevaricazioni;
dal 1992 ad oggi ci sono state ben 42 uccisioni di giornalisti, in molti casi impegnati in inchieste scomode per il governo russo;
fino ad oggi le autorità non sono state quasi mai in grado di assicurare i colpevoli alla giustizia;
Anna Politkovskaya era impegnata in modo particolare sul fronte della denuncia delle atrocità compiute da anni da appartenenti all'esercito russo ai danni della popolazione della Cecenia;
tutto ciò induce a temere che anche in questa oscura vicenda, come in quella del giornalista di radio Radicale, Antonio Russo, il crimine possa rimanere impunito -:
se intenda esprimere attraverso i canali diplomatici al presidente russo Vladimir Putin il grande turbamento dell'opinione pubblica italiana per l'assassinio di Anna Politkovskaya e di porre la questione nelle opportune sedi internazionali per spingere la Russia ad imboccare definitivamente la strada del rispetto di diritti umani, civili e di libertà.
(4-01242)
EVANGELISTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'8 settembre 1943 la Divisione Acqui che, forte di 525 ufficiali e 11.500 soldati, presidiava le isole di Cefalonia e Corfù agli ordini del generale Antonio Gandin, si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata, sapendo di non poter contare su alcun aiuto esterno. Tra il 9 e l'11 settembre si svolsero
estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull'isola nuove truppe. L'11 settembre arrivò l'ultimatum tedesco, con l'intimazione a cedere le armi;
all'alba del 13 settembre batterie italiane aprirono il fuoco su due grossi pontoni da sbarco carichi di tedeschi. Barge rispose con un ulteriore ultimatum, che conteneva la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiese allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. Tramite un referendum i soldati scelsero all'unanimità di resistere;
il 15 settembre cominciò la battaglia che si protrasse sino al 22 settembre, con drastici interventi degli aerei Stukas che mitragliarono e bombardano le truppe italiane. I nostri soldati si difesero con coraggio, ma non ci fu scampo: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento;
l'Acqui si dovette arrendere, la vendetta tedesca fu spietata e senza ragionevole giustificazione. Il Comando superiore tedesco ribadì che «a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer»;
il 24 settembre Gandin venne fucilato alla schiena; in una scuola 600 soldati italiani con i loro ufficiali furono falciati dal tiro delle mitragliatrici; 360 ufficiali furono uccisi a gruppetti nel cortile della casetta rossa. Questi gli ordini del generale Hubert Lanz, responsabile dell'eccidio: «Gli ufficiali che hanno combattuto contro le unità tedesche sono da fucilare con l'eccezione di: 1) fascisti, 2) ufficiali di origine germanica, 3) ufficiali medici, 4) cappellani, 5) fucilazioni fuori dalla città, nessuna apertura di fosse, divieto di accesso ai soldati tedeschi e alla popolazione civile, 6) nessuna fucilazione sull'isola, portarsi al largo e affondare i corpi in punti diversi dopo averli zavorrati»;
alla fine saranno 5.000 i soldati massacrati, 446 gli ufficiali; 3.000 superstiti, caricati su tre piroscafi con destinazione i lager tedeschi, scomparirono in mare affondati dalle mine. In tutto 9.640 caduti, la Divisione Acqui annientata;
molti dei superstiti dell'eccidio si rifugiarono nelle asperità dell'isola e continuarono la resistenza nel ricordo dei compagni trucidati e si costituirono nel raggruppamento Banditi della Acqui, che fino all'abbandono tedesco di Cefalonia si mantenne in contatto con i partigiani greci e con la missione inglese operando azioni di sabotaggio e fornendo preziose informazioni agli alleati;
a quanto si apprende da fonti di stampa, la Procura di Monaco di Baviera ha recentemente prosciolto l'ex sottotenente Otmar Muhlhauser, oggi ottantaseienne reo confesso di aver preso parte attiva all'eccidio di Cefalonia ordinando la fucilazione di centinaia di militari italiani, tra cui il comandante della divisione Acqui, Antonio Gandin. Sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, la Procura bavarese ha sostenuto che i militari italiani trucidati a freddo dai tedeschi «non erano prigionieri di guerra«, bensì dei «traditori»;
infatti il procuratore Stern, nell'articolare le proprie motivazioni storico-giuridiche, ha sostenuto che «le forze militari italiane non erano normali prigionieri di guerra. Inizialmente erano alleati dei tedeschi che si sono poi trasformati in nemici combattenti diventando dei "traditori" - per usare il gergo militare -. In questo caso è come se parti delle truppe tedesche fossero disertate e si fossero schierate dalla parte del nemico. Una successiva esecuzione di tali soldati non sarebbe da giudicare come omicidio per vili motivi ai sensi del comma 211 del StGB - codice penale tedesco -. Inoltre durante l'analisi complessiva è stato necessario tener conto del fatto che l'accusato non abbia preso la decisione definitiva di fucilare i soldati italiani, bensì abbia solo inoltrato un ordine a lui giunto.
L'obbedienza ad eseguire un ordine, seppur illecito, può essere stata la cosa più importante per l'accusato. Sicuramente eseguire prontamente un tale ordine è del tutto riprovevole (vedi comma 441s BGH MDR - periodo mensile della Corte Federale di Cassazione - 1984). Ciò può essere solo espressione di una debolezza umana che non può essere approvata né legalmente che moralmente, ma che dal punto di vista morale non si trova sulla scala più bassa (vedi al punto indicato). In questo caso non si può escludere del tutto. L'accusato era un subalterno del Maggior Klebe e inoltre dava per scontato che si trattasse di un ordine del "Führer"»;
sempre la stessa sentenza (del 27 luglio 2006, sigla 115Js 11161/06), per quanto concerne l'accusato Otmar Muhlhauser provvede all'archiviazione del procedimento, perché si è in presenza solo di un fondato sospetto di omicidio in assenza di circostanze aggravanti. Tale reato è però caduto in prescrizione. Non ci sono elementi comprovabili di omicidio doloso aggravato;
a giudizio dell'interrogante, con questa sentenza «revisionista», si vuole riesaminare il giudizio italico iniziale sulla grave responsabilità tedesca per quei fatti, che una decisione errata e offensiva per l'Italia e per tutti gli italiani non può cancellare gli errori, dolosi o colposi che siano, e tanto meno le colpe e le responsabilità degli uomini negli eventi accaduti nel corso della seconda guerra mondiale, specialmente se tragici e nefasti;
è necessario ed urgente condannare la sentenza del procuratore Stern, come è necessario difendere la «memoria» dei nostri morti e anche di noi italiani vivi e non disposti ad accettare passivamente una versione «revisionista» della storia -:
se non ritenga opportuno prendere iniziative diplomatiche per stigmatizzare le posizioni della magistratura tedesca che infangano non solo la memoria di 5.000 soldati italiani caduti nel corso di una resistenza nobile, eroica e valorosa, ma anche una delle pagine più gloriose e luminose della storia italiana.
(4-01251)