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Allegato B
Seduta n. 81 del 4/12/2006
TESTO AGGIORNATO AL 30 OTTOBRE 2007
GIUSTIZIA
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
l'onorevole Giulio Gargano è stato arrestato il 7 luglio 2006 in esecuzione del provvedimento emesso dal GIP di Roma su richiesta della procura della Repubblica nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa alle dichiarazioni della cosiddetta «Lady Asl»;
l'onorevole Gargano non ha partecipato alle riunioni di giunta nel corso delle quali sono stati adottati i provvedimenti oggetto dell'ipotetica corruzione;
le sue condizioni di salute sono gravi per un'accertata severa sofferenza cardiaca già manifestatasi più volte negli ultimi anni: anche recentemente egli è svenuto in carcere durante la notte e, per quanto risulta agli interpellanti, sarebbe rimasto senza soccorso un'ora prima di ricevere aiuto. Dopo un altro malore la struttura sanitaria del carcere ha richiesto il trasferimento urgente in una struttura ospedaliera;
a quanto risulta agli interpellanti, nel corso di una delle visite specialistiche è stato riscontrato l'arresto cardiocircolatorio per il tempo a rischio di 12 secondi, i sanitari sono concordi nel rilevare la necessità dell'applicazione del pace-maker;
lo stato di detenzioni in carcere comporta inoltre un grave stato di depressione che può intensificare e/o aggravare gli episodi verificatisi;
la custodia cautelare ha come presupposti il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato;
l'onorevole Gargano non può in alcun modo reiterare alcun reato, non appartenendo alla compagine di maggioranza dell'assemblea regionale del Lazio né conseguentemente alla giunta di governo, non può in alcun modo incidere, neppure indirettamente, su convenzioni, prestazioni ad altra attività amministrativa;
non vi è alcun pericolo di inquinamento delle prove, sia per l'inesistente capacità di incidenza sull'apparato amministrativo regionale per effetto di quanto precede, sia, in virtù di provvedimenti di sequestro e acquisizione di tutti gli atti rilevanti ai fini dell'indagine, sia, e soprattutto, per il fatto che ormai le indagini si sono concluse;
non vi è, infine, per ragioni fin troppo evidenti pericolo di fuga;
pertanto secondo gli interroganti non risulta giustificabile in alcun modo la sua detenzione;
sulla questione è intervenuto anche il garante dei detenuti che, sottolineando la gravità delle condizioni di salute dell'onorevole Gargano, ne ha rilevato l'assoluta incompatibilità con il regime carcerario;
casi analoghi hanno visto soluzioni meno restrittive o punitive sia presso gli uffici giudiziari di Roma che in altri (recentemente nei confronti di un politico regionale calabrese dei DS) con l'evidente rischio di una incomprensibile disparità di trattamento dell'onorevole Gargano -:
quali iniziative intende adottare allo scopo di valutare la sussistenza nella fattispecie illustrata in premessa dei presupposti per l'eventuale promozione di una azione disciplinare a carico dei magistrati
investiti del processo nei confronti dell'onorevole Gargano.
(2-00258) «Carlucci, Iannarilli, Di Virgilio, Aprea, Colucci, Martusciello, Marinello, Pili, Fasolino, Aracu, Ceccacci Rubino, Fabbri, Zorzato, Minardo, Licastro Scardino, Santelli, Biancofiore, Testoni, Valducci, Baldelli, Lainati, Palmieri, Uggè, Ceroni, Pizzolante, Dell'Elce, Garagnani, Cicu, Gianfranco Conte, Cossiga, Crosetto».
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:
DANIELE FARINA e MASCIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Paolo Persichetti è stato condannato alla pena di 22 anni e mesi sei di reclusione con attuale fine pena, fissato al febbraio 2016;
ha già espiato oltre metà della pena ed è attualmente recluso nel carcere di Viterbo-Mammagialla;
lo scorso mese di aprile Paolo Persichetti ha avanzato un'ulteriore richiesta di trasferimento presso la Casa Circondariale di Rebibbia - Nuovo Complesso;
dallo scorso mese luglio il Persichetti ha maturato i requisiti per accedere ai benefici della semilibertà e dal 2003 ha maturato i requisiti per accedere ai permessi premio senza averne potuto usufruire, almeno fino alla data odierna;
la madre di Paolo Persichetti è persona ultrasettantenne e residente in Roma e pertanto la detenzione del figlio presso un istituto penitenziario situato a molti chilometri di distanza dalla sua abitazione rende eccessivamente difficoltosa la possibilità di visite regolari;
Paolo Persichetti prima di essere estradato svolgeva attività di insegnamento e di ricerca presso l'Università Paris VIII ed oggi ha stabilito un piano di adattamento del proprio progetto di studi che vede il coinvolgimento di docenti dell'Università di Roma 3, con i quali necessiterebbe maggiore possibilità di confronto e di prossimità;
nel penitenziario di Viterbo mai si è riusciti ad attivare una collaborazione con l'Università più prossima, cioè quella della Tuscia, nonostante il Persichetti abbia più volte sollecitato in questa richiesta;
lo scorso mese di agosto la direzione della Casa Circondariale di Viterbo ha autorizzato un colloquio con il Vice Presidente del Tribunale di Parigi Antoine Garapon, richiesto da quest'ultimo per conferire con il Persichetti per ragioni di studio e ricerca;
Persichetti, nel mese di settembre, ha formulato richiesta di iscrizione e partecipazione al corso di laurea in giurisprudenze - progetto sperimentale condotto presso il polo universitario della Casa Circondariale di Rebibbia nuovo complesso in Roma - in convenzione con l'università Tor Vergata; dunque, l'attività di studio e ricerca del Persichetti appare di fatto ostacolata dalla sua permanenza presso la Casa Circondariale di Viterbo;
alcuni «divieti di incontro» disposti dall'Ufficio II - Sezione II - Reparto II della Direzione generale dei detenuti e del trattamento di Roma, e dalla stessa Casa Circondariale di Viterbo hanno di fatto determinato la possibilità per il soggetto di cui sopra di accedere all'«aria» soltanto tre giorni su sette, con evidente limitazione del diritto del Persichetti ad usufruire dell'«aria» per sette giorni a settimana; i medesimi divieti d'incontro limitano di fatto l'accesso del Persichetti alle altre attività trattamentali;
tutte le componenti dell'area trattamentale dell'istituto di Viterbo ritengono che il Persichetti abbia fin qui collaborato efficacemente, ed abbia partecipato fattivamente
ad ogni forma di socializzazione mantenendo sempre un clima di fiducia e che un ulteriore diniego del trasferimento potrebbe causare una possibile battuta d'arresto al proseguimento equilibrato della detenzione; ritengono altresì, che per il Persichetti sia ormai pronto ad essere ammesso al regime di semilibertà;
il Sottosegretario onorevole Luigi Manconi nel concludere l'atto di sindacato ispettivo n. 2-00202 nel corso della
seduta n. 62 del 30 ottobre 2006 della Camera dei deputati, riferiva che il rigetto delle precedenti richieste di trasferimento da parte del DAP (Dipartimento amministrazione penitenziaria) è dovuto alle esigenze di gestione penitenziaria relative alla particolare fattispecie dei reati ascritti al Persichetti, e che l'amministrazione penitenziaria non avrebbe escluso la valutazione di ulteriori e nuovi elementi;
nella medesima occasione il Sottosegretario Manconi ha riferito della possibilità concessa al Persichetti di accedere ad un personal computer, situato in un locale diverso dalla sua cella, con quotidianità dalle ore 9 alle ore 18, omettendo di riferire che in realtà l'utilizzo reale è limitato a sole 6 ore suddivise in tre turni organizzati in modo tale da coincidere con gli orari dell'ora d'aria, delle attività trattamentali, sportive ed educative nonché di socialità; omettendo, ancora, di riferire che al Persichetti non è stato consentito tenere in cella il computer come pure è previsto dall'articolo 40 del regolamento dell'Ordinamento Penitenziario approvato con decreto del Presidente della Repubblica 230/2000.
risulta, inoltre agli interroganti che in data 8 novembre 2006, il Comandante di Reparto della Casa circondariale di Viterbo ha diffidato il Persichetti dall'utilizzare il personal computer «per motivi diversi da quelli di studio e/o di lavoro», a seguito di una richiesta di accesso agli atti che lo stesso Persichetti aveva inoltrato all'amministrazione e scritto attraverso il PC per esercitare il suo diritto costituzionale di difesa;
tale episodio, secondo gli interroganti odiosamente vessatorio, si connota quale evidente ed allarmante sintomo di «ostilità ambientale» da parte della direzione della casa Circondariale di Viterbo, nei confronti del Persichetti;
sono state almeno sei le richieste di trasferimento avanzate dal Persichetti e respinte dall'amministrazione con motivazioni che come riferito nella nota del DAP del 4 dicembre 2002 non appaiono certamente come un bilanciamento degli interessi del Persichetti con le esigenze di detenzione, contrariamente a quanto riferito dal Sottosegretario Manconi;
Paolo Persichetti non è sottoposto ad alcun regime di detenzione differenziata non essendo classificato quale detenuto alta sorveglianza, né sottoposto al regime di 41-bis, e nei suoi confronti non si applicano le limitazioni previste all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario;
infatti, dalla nota del DAP con la quale si dava corso al trasferimento del Persichetti dalla Casa Circondariale di Ascoli a quella di Viterbo (trasferimento avviato d'ufficio e non su richiesta del Persichetti) si legge testualmente: «idoneo allocamento in cella singola in ambito sezioni istituti c.d. comuni» -:
se non ritenga opportuno, alla luce di quanto esposto, sollecitare la Direzione Generale competente dell'amministrazione penitenziaria ad una diversa valutazione della esigenze di gestione penitenziaria.
(5-00465)
CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con interrogazione in Commissione del 31 maggio 2006 (n. 5-00011), lo scrivente ricostruiva la vicenda amministrativa relativa al nuovo istituto penitenziario di Pordenone, la cui realizzazione è prevista dal piano straordinario pluriennale di interventi di edilizia penitenziaria predisposto con decreto del Ministro della giustizia in data 12 gennaio 2004;
più precisamente, detto piano contempla l'acquisizione in locazione finanziaria del nuovo carcere stanziando, allo scopo, l'importo di 32.462.000,00 euro;
all'atto di sindacato ispettivo indicato, rispondeva il sottosegretario Luigi Manconi, nella seduta della Commissione giustizia del 12 ottobre 2006;
nell'occasione, dopo aver ricordato il contenzioso con la Commissione europea in ordine alla gara bandita per l'esecuzione dell'opera, in seguito al quale l'amministrazione competente si era determinata all'annullamento di quest'ultima, il rappresentante del Governo concludeva nei termini che seguono: «... e attualmente sono all'attenzione del Ministero diverse ipotesi procedurali circa le determinazioni da adottare riguardo alla realizzazione dell'opera e all'impiego dei fondi a suo tempo stanziati, ferma restando la volontà del Ministero di arrivare comunque, nel più breve tempo possibile, alla realizzazione di una nuova Casa circondariale a Pordenone»;
accade ora che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia abbia fatto pervenire, alle competenti commissioni parlamentari, la «Relazione concernente il piano straordinario pluriennale di interventi in materia di edilizia penitenziaria»;
il documento in questione, contrariamente alle assicurazioni fornite in più occasioni, rivede le scelte precedentemente assunte per il nuovo istituto carcerario di Pordenone sottraendolo alle iniziative, la cui attuazione era prevista nel contesto del piano pluriennale straordinario, con le risorse ivi stanziate e, rinviandone la realizzazione «nell'ambito del programma di edilizia penitenziaria di competenza del Ministero delle infrastrutture»;
l'importo di 32.462.000,00 di euro, come del resto tutte le risorse ancora disponibili, pari a euro 67.212.301,00, vengono riorientate e, secondo quanto si può leggere, «gli interventi sono stati individuati sulla base di valutazioni e considerazioni che hanno portato a ubicare nelle regioni del centro sud la maggior parte degli interventi;
è di intuitiva evidenza che la decisione proposta finirebbe per frustrare definitivamente ogni possibilità di veder realizzata la nuova struttura carceraria prevista in quel di Pordenone e ciò per le croniche difficoltà che da sempre contraddistinguono l'attuazione del programma di edilizia penitenziaria affidato al Ministero delle infrastrutture;
ancora più grave si appalesa tale scelta sotto il profilo politico e di buona amministrazione;
sotto quest'ultimo aspetto, infatti, sarebbe stato possibile ed opportuno, vista la disponibilità delle somme stanziate, procedere all'avvio della nuova gara mentre, per quel che concerne il profilo politico, va sottolineata quella che l'interrogante giudica l'assoluta inaffidabilità di chi ha fornito, in più occasioni, rassicurazioni circa il rispetto del piano straordinario pluriennale in ordine alla realizzazione del nuovo istituto;
è da considerare di estrema gravità il comportamento assunto, attraverso la comunicazione della relazione concernente il piano straordinario pluriennale di interventi in materia di edilizia penitenziaria, in ordine alla costruzione del nuovo carcere di Pordenone;
alla luce di tale proposta, che penalizza la comunità pordenonese, il Governo si dovrebbe sentire il dovere di fornire delle spiegazioni agli operatori di polizia penitenziaria, alla popolazione carceraria e ai cittadini di Pordenone a cominciare dal primo cittadino -:
se non ritenga opportuno, anche allo scopo di evitare un giudizio politico di inaffidabilità in relazione al contraddittorio comportamento adottato sul problema del nuovo istituto penitenziario, rivedere la scelta ipotizzata confermando l'originaria impostazione del piano medesimo.
(5-00466)
Interrogazioni a risposta scritta:
MELLANO. - Al Ministro della giustizia al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il ministro Mastella che, rispondendo in data 11 ottobre 2006, al question time, ha iniziato a fornire dati e numeri precisi sull'attività che svolge la Cassa delle Ammende: sui progetti approvati e non approvati, sull'ammontare delle cifre che riguardano il finanziamento dei progetti stessi, ed ha espresso l'impegno di dare completa trasparenza all'operato di questo importante istituto;
il magistrato Francesco Gianfrotta, nel corso di un convegno tenutosi a Torino il 10 giugno 2006, dal titolo: «Verso politiche penitenziarie regionali», ha dichiarato: «....certamente non c'è, non emerge dalla lettura dei verbali delle riunioni della Cassa delle Ammende, una discussione sulla congruità dei costi del singolo progetto, e neppure una discussione più generale sulla eventuale opportunità di pianificare la spesa, ad esempio annualmente. I progetti vengono esaminati e valutati uno per uno; ma non si può dire neppure che ci sia superficialità o faciloneria nel finanziamento dei progetti finanziati. Non è così. Lo dimostra il fatto che molti progetti non vengono approvati e su altrettanti si richiede un supplemento di istruttoria. Quello di cui non c'è traccia è la programmazione della spesa ....... nonostante si dica in qualche passaggio della corrispondenza che ho potuto esaminare, che si vuole evitare l'esperienza del passato di finanziamenti a pioggia, di fatto è proprio questo quello che è capitato, oserei dire, in modo ineluttabile ...... è difficile evitare i finanziamenti a pioggia, cioè la casualità nella spesa pubblica, se non c'è progettualità politica».
per quanto riguarda il Regolamento della Cassa delle Ammende, approvato a febbraio del 2004, il Presidente Gianfrotta ha detto: «...Poiché nel regolamento di esecuzione sono indicati ed istituiti degli organi che non sono previsti nella legge istitutiva, che è quella del 1932, si ritiene di proporre una modifica di questa legge all'ufficio legislativo del Ministero della Giustizia ........la modifica comprende la previsione di una indennità di carica corrisposta annualmente e commisurata agli importi di bilancio, il cui ammontare dovrà essere stabilito con delibera del consiglio di amministrazione, approvata dal ministro della Giustizia previo parere favorevole del ministro dell'Economia. Francamente non so se questo punto rifletta una necessità per il migliore assolvimento delle finalità istituzionali della Cassa delle Ammende.»;
in occasione di un convegno organizzato dal Gruppo «Radicali - Lista Emma Bonino» e tenutosi presso il Consiglio Regionale del Piemonte, nel novembre del 2003, il Direttore Generale dell'Esecuzione Penale Esterna del DAP, Consigliere Riccardo Turrini, dichiarò che uno dei problemi che giustificavano la totale inattività della Cassa delle Ammende era la partecipazione a titolo gratuito dei componenti il consiglio di amministrazione alle sedute del consiglio stesso, a fronte di grandi responsabilità derivanti dal dover gestire somme importanti -:
dovesia possibile reperire i bilanci preventivi e consuntivi della Cassa delle Ammende relativi agli anni 2004, 2005 e 2006;
quali siano i progetti e programmi approvati dal Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende sino ad oggi, chi i destinatari, quali le finalità specifiche;
se il Governo non ritenga necessario ed urgente addivenire a una revisione del Regolamento interno della Cassa delle Ammende, tenendo in debita considerazione i rilievi formulati nella premessa, nel question time dell'11 ottobre, nella precedente interrogazione presentata su questo tema ed ancora in attesa di risposta e nell'ordine del giorno 9/00525-BIS/038 fatto proprio dal Governo in sede di approvazione della legge di indulto.
(4-01827)
TURCO, BELTRANDI, D'ELIA, MELLANO e PORETTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sono prossimi a scadere i decreti di applicazione dei regime speciale di cui all'articolo 41-bis OP;
nei confronti di numerosi detenuti, il durissimo regime speciale è in atto da molti anni (per taluno dall'estate 1992, cioè da ormai quattordici anni);
nonostante la riforma del 2002, il regime speciale è pur sempre - nei confronti del singolo detenuto - una forma di trattamento derogatoria, temporanea e di carattere straordinario (la norma è infatti rubricata «Situazioni di emergenza»);
i decreti applicativi (o di «rinnovo») emessi dal 1992 ad oggi, tutti praticamente uguali tra loro ad onta del principio della personalizzazione del trattamento detentivo e della pena, a giudizio dell'interrogante, risultano ispirati da una interpretazione assai discutibile della normativa in materia, per la quale - a proposito dei soggetti legati, al momento dell'arresto, ad associazioni criminali di stampo mafioso - sussisterebbe una «presunzione di persistenza dei collegamenti (del detenuto) con il gruppo criminale» che potrebbe essere superata soltanto dallo scioglimento del gruppo criminale ovvero dalla sopravvenuta collaborazione del detenuto con la giustizia;
in tal modo si è creata, per via d'interpretazione in malam partem e nella prassi, una norma che è invece inesistente a livello normativo, per la quale il regime detentivo de quo sarebbe automaticamente (e necessariamente) applicabile a tutti gli imputati e/o condannati per associazione di tipo mafioso che non si siano determinati alla collaborazione;
al contrario, secondo l'interrogante, non pare ammissibile sostenere che la «persistenza dei collegamenti» con l'associazione criminale di (originaria) appartenenza debba «presumersi» (nonostante anni ed anni di sottoposizione al particolare e restrittivo regime detentivo), mentre e più aderente ai principi costituzionali ritenere che l'eventuale persistenza di collegamenti «criminali» del detenuto debba affermarsi sulla scorta di positivi elementi e concrete circostanze;
in altri termini, da una parte sta la concezione del «41-bis» come regime non più eccezionale ma ordinario (anzi: perpetuo, almeno per certe categorie di detenuti); dall'altra parte quella (più adeguata già alla rubrica della norma, recante «Situazioni di emergenza») di istituto eccezionale da applicarsi rigorosamente «quando ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica» (peraltro, la prima impostazione presuppone che tali «gravi motivi» sussistano ininterrottamente, nel nostro Paese, da ormai quasi quattordici anni; da quando, cioè, l'articolo 41-bis ord. penit. è stato introdotto ed immediatamente applicato);
la nuova formulazione (intervenuta con la legge n. 279 del 2002) della norma citata ha introdotto un fondamentale ma trascurato passaggio, per il quale la sospensione del normale trattamento penitenziario è possibile (sempre quando ricorrano i gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica) «nei confronti di detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1, dell'articolo 4-bis, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale terroristica o eversiva», di tal che tali elementi devono «esserci» (e cioè risultare attualmente ed in positivo) e non possono in alcun modo essere presunti;
la diversa opzione interpretativa sarebbe invece possibile a fronte di una disposizione di legge che consentisse o imponesse il particolare regime «...a meno che non vi siano elementi tali da far escludere la sussistenza di collegamenti...», anche perché risulta addirittura ovvio come una cosa sia richiedere, al fine di legittimare l'adozione di un certo provvedimento, che «vi siano» elementi indicativi di attuali collegamenti del destinatario col mondo del crimine (ed allora occorre
che tali elementi siano individuati e descritti); mentre tutt'altra e ben diversa cosa è che - al contrario - esistano elementi tali da far escludere qualsiasi possibilità di collegamenti di quella natura (le due differenti situazioni determinano una differente distribuzione dell'onere della prova dell'esistenza, ovvero dell'inesistenza, dei collegamenti in questione);
la predetta sostanziale differenza è stata tenuta ben presente dal legislatore allorché ha «messo mano» all'aggiustamento dell'ordinamento penitenziario come d'altronde risulta, senza andare troppo lontano, proprio dal dato testuale dell'articolo 4-bis ord. penit., così come deriva dalle modifiche introdotte dalla stessa legge n. 279 del 2002: «I benefici suddetti possono essere concessi ai detenuti ed agli internati per uno dei delitti di cui al primo periodo del presente comma purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata...»;
la prospettiva per la quale il restrittivo regime deve fondarsi sulla positiva emergenza di persistenti collegamenti del detenuto con l'associazione criminale ha già avuto, d'altra parte, significativo e ripetuto avallo in sede di verifica giurisdizionale dei decreti ministeriali: «nelle ipotesi in cui, come quella di specie, sia trascorso un così rilevante periodo di tempo dalla commissione dei delitti ed il soggetto sia stato ristretto ininterrottamente nel medesimo regime restrittivo, l'ulteriore proroga deve essere supportata da circostanze recenti o fatti concreti da cui possa desumersi il perdurare del vincolo associativo e della posizione di preminenza un tempo rivestita dal soggetto. Né tale necessità può ritenersi soddisfatta dal generico richiamo a «recenti indagini», quando si ometta di indicare la natura e l'entità degli indizi che si assumono sopravvenuti. - Tale interpretazione della norma, che appare l'unica costituzionalmente corretta peraltro conforme alla nota giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze 349/93, 351/96 376/97), è stata ora recepita dal testo novellato dell'articolo 41-bis, a seguito della modifica intervenuta con la legge n. 279/02, che ancora la facoltà di sospendere in tutto o in parte le normali regole del trattamento penitenziario e rieducativo, alla presenza di «elementi tali da far desumere la sussistenza di collegamenti» con l'organizzazione criminale di appartenenza» (Tribunale di Sorveglianza di Roma, ord. n. 3390/2003, Emmanuello A.; negli stessi termini, Tribunale di Sorveglianza di Roma, ord. 2269/2003, Barreca S.; Tribunale di Sorveglianza di Perugia, ord. n. 977/2003, Tagliavia F.; Tribunale di Sorveglianza di Perugia, ord. n. 1280/2003, Barreca G.);
secondo l'interrogante nella impostazione contestata si confondano i piani della permanenza del reato associativo (che però - e come noto - cessa con la sentenza di primo grado) e quello - ben diverso - della sussistenza attuale di collegamenti con l'associazione di provenienza, mentre (va ribadito con fermezza) è la seconda condizione, e non già la prima, a legittimare il regime carcerario speciale;
al contrario, i decreti applicativi sono stati sino ad oggi ispirati alla pretesa «massima d'esperienza» per rimane tale fino a prova (diabolica) del contrario: a quale il mafioso - o il camorrista «La regola principale della militanza nel gruppo mafioso... è data dalla assoluta fedeltà all'associazione, alla quale si rimane legati anche nello stato di detenzione, e dalla quale, in quanto appartenenti, si ottengono mensilmente le risorse per il mantenimento della famiglia e per sostenere le spese legali e processuali»; ebbene, nel ribadire che non spetta al Ministro stabilire quando cessi la permanenza del reato, ma soltanto se sussistono collegamenti del (mafioso o ex) con l'associazione di appartenenza, deve rilevarsi la genericità di tali assunti (difatti ripetuti indistintamente in tutti i decreti applicativi);
a quanto risulta all'interrogante, nei decreti applicativi si legge che «il comportamento
corretto (del detenuto) nel corso della detenzione, che è regola per gli appartenenti alle organizzazioni di tipo mafioso, in nessun caso può essere interpretato come segno univoco della resipiscenza e cessazione di ogni pericolosità sociale», il che svela l'automaticità dell'applicazione dell'istituto: se si dà atto dei corretto comportamento intramurario (e quindi - deve ritenersi - dell'insussistenza di tentativi di indebita comunicazione con l'esterno), l'asserita persistenza di contatti con l'associazione criminale non può che trovare fondamento in una presunzione assoluta ed insuperabile (se non, come s'è detto, con la collaborazione);
la rituale elencazione delle «pendenze» (cioè dei procedimenti e processi in corso) del detenuto deve essere letta alla luce del presupposto che spesso (se non sempre) si tratta di processi per fatti assai datati, rivelatori quindi di ciò che era, e non già di ciò che attualmente è il soggetto in questione; diversamente, dovrebbe ammettersi che la detenzione - ad onta dei princìpi costituzionali - è del tutto inutile ai fini della riabilitazione personale;
i detenuti sottoposti al «41-bis» hanno rapporti assai rarefatti (non già con l'ambiente di provenienza, ma) addirittura con la loro stessa famiglia, essendo ristretti in località lontane dai luoghi d'origine, ed essendo decisamente «disincentivante» l'unico colloquio mensile, della durata di un'ora, attraverso uno spesso vetro divisorio; pur tuttavia ciò non è tenuto mai in considerazione nella «presunzione di mantenimento di contatti con l'associazione criminale di appartenenza», trattandosi invece della rappresentazione più eloquente non soltanto della mancanza di contatti «criminali», ma addirittura di un progressivo isolamento personale dei soggetti, dalle preoccupanti conseguenze sul piano dell'equilibrio personale e della stessa salute mentale;
negli anni scorsi centinaia di detenuti sottoposti al regime speciale (non vi è mai stato modo di stabilirne il numero esatto) chiesero, tanto formalmente quanto inutilmente, che i colloqui fossero videoregistrati per verificarne il contenuto verbale e «mimico», con rinuncia scritta ad ogni profilo di privacy (anche da parte del parente ammesso al colloquio, che firmava una «liberatoria» in tal senso), se a ciò aggiungiamo che la posta di tali detenuti è già interamente sottoposta a censura, la misura avrebbe consentito di azzerare qualsiasi rischio di indebite comunicazioni, consentendo colloqui in numero e con modalità ordinarie; ma forse proprio per questo, la richiesta non ha mai avuto seguito;
la stessa sussistenza dei presupposti «oggettivi» per la sospensione dell'ordinario regime carcerario (la ricorrenza di «gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica») è stata sinora affermata e ritenuta nei seguenti termini: «Per ciò che in particolare riguarda «cosa nostra» e le altre associazioni criminali similari, la maturate esperienze consentono di affermare che l'operatività e gli interessi dell'organizzazione frequentemente prescindono dalla manifesta commissione di reati. Spesso pertanto il "silenzio" è frutto di una strategia per determinare cali di tensione nell'attività di contrasto istituzionale e promuovere il rilancio delle attività criminali e di controllo sul territorio»; con il che, secondo l'interrogante, il Ministro, esplicitamente, ha dato atto della insussistenza, allo stato, di quella particolare situazione «esterna» che legittima l'inasprimento del regime detentivo, ma ha mostrato di ritenere che il «41-bis» possa impedire il «rilancio» delle attività criminali;
la norma non autorizza affatto tale «applicazione in via preventiva» dell'(un tempo, ma ormai non più) eccezionale regime, che continua ad essere legato ad obiettivi fattori, riassunti nella formula «gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica»; previsione indiscutibilmente «aperta», ma che certo non consente di giungere al paradosso per il quale l'assenza di manifestazioni criminali equivarrebbe alla drammatica situazione che, a partire dalla primavera/estate del 1992
(basti rammentare la tragica escalation omicidio Lima, strage di Capaci, strage di Via D'Amelio, attentati a Roma e Firenze) provocò l'introduzione del regime detentivo;
a giudizio dell'interrogante, ciò è la riprova che il regime differenziato è divenuto, nella prospettiva ministeriale, una normale modalità di detenzione e di espiazione della pena per certe categorie di detenuti, indipendentemente dalla reale sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive che ne autorizzano l'applicazione;
in conclusione, appare chiaro che l'istituto della sospensione delle normali regole trattamentali all'interno dell'istituto di pena di cui all'articolo 41-bis ord. penit., per mantenersi nei limiti imposti dalla Carta Costituzionale, deve rispondere a specifiche e determinate finalità indicate dalla legge, quali la salvaguardia di esigenze di ordine e di sicurezza, e deve essere rivolto ad impedire i collegamenti dello specifico soggetto con l'associazione criminale, terroristica o eversiva d'appartenenza, mentre, allo stato, secondo l'interrogante, è prevalsa la concezione di un sistema duramente punitivo, inadeguato ai fini che ufficialmente si propone, ed invece mirante unicamente a provocare la collaborazione del detenuto -:
se ritenga necessario ed urgente riportare il sistema ai livelli di legalità previsti dalla riforma legislativa intervenuta con la legge n. 279 del 2002, partendo almeno dalla immediata limitazione dei decreti applicativi o di proroga ai casi in cui sia concretamente emersa l'esistenza (o il tentativo) di contatti del detenuto con l'associazione criminale esterna, con il superamento di preconcettuali, indebite ed insuperabili «presunzioni» di segno opposto.
(4-01832)