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Allegato B
Seduta n. 90 del 21/12/2006
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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere - premesso che:
il Museo Abegg della seta, inaugurato nel 1953 per iniziativa di Carlo Job, responsabile del gruppo svizzero Abegg, donato al comune di Garlate nel 1976, è una delle più complete raccolte in Europa in quanto a strumentazioni relative alla lavorazione della seta oltre a rappresentare un prezioso manufatto di archeologia industriale;
il museo si trova nell'ala occidentale della ex filanda Abegg adibita fin dal 1841 a reparto cernita bozzoli e fondaco per la seta. La struttura attuale corrisponde sostanzialmente alla stesura degli antichi opifici del ciclo completo della trattura della seta;
il museo conservava al momento della donazione più di cinquecento pezzi cui si sono aggiunti numerosi attrezzi e macchinari, molti ancora in deposito, provenienti da antichi stabilimenti della zona, fino ad arrivare a 3000 pezzi, e nel suo complesso illustra l'intero sviluppo del ciclo della seta dall'allevamento del baco da seta fino al prodotto finale, passando per la filatura, raffigurando uno spaccato e una documentazione dell'ampia industria serica del territorio a partire dal '700;
il Museo Abegg è attualmente di proprietà del Comune di Garlate che ne ha la gestione ma che non ha mai provveduto, come previsto dal Regolamento, all'istituzione di un Consiglio di Amministrazione né di una Commissione Scientifica;
esiste un progetto, già operativo, dello stesso Comune il quale prevede lo smantellamento di una parte della struttura da cedere al Parco Adda Nord per essere adibita a bar e mensa per gli ospiti del parco;
tale cessione comporterebbe - come sta già avvenendo - la dismissione di una parte museale di notevole importanza con ambiti produttivi antichi (vasche di depurazione a fascina, battitura dei cascami);
è già in atto lo smantellamento di arredi e attrezzi, strumenti e macchinari da vari locali da parte del Sindaco che, come Consegnatario transitorio di un patrimonio unico che appartiene a tutta la Comunità e ne racchiude in parte la storia
le tradizioni e i saperi, dovrebbe custodire, conservare e valorizzare la struttura museale nel suo complesso;
a quanto risulta agli interpellanti, reperti del Museo Abegg mai offerti al pubblico e sottratti alla loro collocazione nell'ala est e nord sono stati portati in discarica o esposti alle intemperie e al degrado e trattati come ingombranti rottami così come è avvenuto per altre apparecchiature per le quali è stata rifiutata dall'Amministrazione comunale l'offerta di ritiro e salvataggio da parte di altri enti culturali presenti del territorio;
a quanto risulta agli interpellanti, sulla trasformazione di questa parte della ex filanda in foresteria si è pronunciata la Sovrintendenza ai Beni architettonici di Milano - che tra l'altro non prevede un settore specialistico in archeologia industriale - la quale, attraverso un frettoloso sopralluogo e anche in mancanza di una catalogazione e di un inventario della grande quantità di pezzi presenti nel museo, ha ritenuto di avallare parte del progetto presentato dalla stessa amministrazione comunale;
l'assenza di una Commissione scientifica ha impedito un confronto che consentisse una valutazione obiettiva dei lavori di ristrutturazione e smantellamento dei manufatti esistenti, anche se risulta evidente come la costruzione di un grande box in muratura all'interno dell'ex salone della filanda per adibirlo a deposito e il taglio di una massiccia ed elaborata balaustra in ferro battuto posta a fregio di un antico torcitoio, risultino essere interventi demolitori di notevole impatto con le prerogative museali;
la cessione dell'ala est, che conserva un reperto ancora integro per la produzione di rocchetteria e fusetti, all'Ente Parco Adda Nord-PAN, per uso foresteria appare totalmente incompatibile con la funzione di un museo come quello Abegg che rappresenta una memoria storico-economica insostituibile per la tradizione culturale della zona e un raro patrimonio di archeologia industriale conservato fin'ora nella sua integrità;
esiste un precedente progetto del 1996, frutto di annose ricerche di archivio di esperti del settore tendente a un'operazione di conservazione e rivalutazione della struttura museale anche in funzione turistico-culturale, mai attuato né preso in considerazione dall'attuale Amministrazione comunale;
esiste inoltre una petizione firmata da decine di cittadini per bloccare lo smantellamento del Museo della seta e per garantire che qualsiasi intervento sulla struttura e sui beni in essa contenuti sia vagliata quantomeno da un'apposita commissione tecnico scientifica di esperti -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e come intenda procedere per intervenire sulla cessione di una parte del Museo a un Ente che ha tutt'altre finalità da quelle di un complesso museale e per impedire che le ristrutturazioni in atto e i riallestimenti, secondo gli interpellanti, incongrui né minino l'integrità storico culturale, sottraendo spazi espositivi e inficiando un adeguato restauro della Filanda-Museo nella sua totale integrità;
se non ritenga necessario intervenire perché l'intero progetto di ristrutturazione e nuovo allestimento del Museo della Seta venga sottoposto a una commissione di esperti del settore affinché possa essere assicurata e tutelata la sua prerogativa di bene pubblico e mantenuta, nella sua interezza, la peculiarità di antico opificio industriale serico ormai unico non solo per la Lombardia ma per l'intero territorio nazionale;
se non consideri opportuno, in considerazione di circostanze come quelle sovraesposte, ripristinare presso il suo Ministero la Commissione Archeologia Industriale istituita con il decreto ministeriale 5 marzo 1994 dal Ministro Ronchey, affinché valuti e tuteli strumentazioni, opifici e manufatti industriali che senza alcun vincolo rischierebbero di andare perduti per sempre.
(2-00297)
«Guadagno detto Vladimir Luxuria, Rocchi».
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FOLENA, DE SIMONE, DURANTI e GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. - Al Ministro per beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la ristrutturazione e messa a norma del Museo archeologico di Taranto ha radici nel lontano 1987 quando i fondi F.I.O. e della legge n. 449 finanziarono il progetto del cosiddetto «Polo museale di Taranto»;
per tale ristrutturazione si rendeva necessaria la rimozione dei reperti archeologici del museo, collocandoli provvisoriamente presso il complesso monumentale dell'ex carcere di Sant'Antonio di Taranto;
a tale scopo fu prevista e finanziata una somma di circa due miliardi di lire. Fu commissionato il progetto di ristrutturazione di un'ala del complesso di Sant'Antonio, regolarmente pagato dalla Soprintendenza per una somma di circa duecento milioni di lire, purtroppo mai reso esecutivo. A quanto risulta agli interroganti, tutto ciò avveniva in assenza della concessione da parte dell'Intendenza di Finanza di Taranto, in quanto il complesso in oggetto fa parte del demanio dello Stato;
l'assenza di tale concessione precludeva l'accesso al Sant'Antonio da parte della Soprintendenza e quindi l'impossibilità a dare inizio ai lavori. Il mancato interessamento del soprintendente Andreassi, finalizzato a sbloccare l'intoppo burocratico tra Ministero dei beni culturali e Ministero delle finanze, fece sì che, trascorsi più di tre anni, il finanziamento dei due miliardi andasse in perenzione (e quindi non più finanziato). Il trasloco a Sant'Antonio dei reperti archeologici del museo non fu più effettuato, e di conseguenza non furono più iniziati i lavori di ristrutturazione dello stesso;
una successiva ispezione dei funzionari del CIPE, a causa del mancato inizio dei lavori, bloccò il cospicuo finanziamento previsto per la ristrutturazione del museo di Taranto. I rabberciati magazzini di Sant'Antonio, furono realizzati successivamente nel 1996/1998 usando il capannone già esistente presso il museo e con fondi ordinari del Ministero dei beni culturali; la struttura dell'ex carcere necessita ancora oggi di importanti lavori di consolidamento strutturale;
il museo di Taranto nel frattempo è stato interessato da vari appalti che hanno portato ad una ristrutturazione parziale con lunghi periodi di sosta tra i vari stralci di lavoro. È notizia di questi giorni dell'affidamento del quinto ed ultimo stralcio di lavori, consistente, per una parte, di interventi sostanziali che comprendono l'ultimazione di metà del primo piano, di tutto il secondo piano e dell'allestimento museale;
da ormai cinque anni, si leggono annunci e dichiarazioni ufficiali rilasciate ai giornali dal soprintendente Andreassi, che assicurano, ancora una volta, l'imminente restituzione alla cittadinanza dell'intero primo piano del museo;
ultimamente si è aggiunto l'annuncio del soprintendente di chiudere la sede «provvisoria» di Palazzo Pantaleo, quella che nelle promesse doveva essere una soluzione per pochi mesi, nella realtà si protrae da almeno sei anni. Desta preoccupazione l'imminente chiusura di Palazzo Pantaleo, immobile di proprietà comunale in comodato d'uso alla soprintendenza, che ha comunque assicurato la continuità dell'offerta museale a Taranto -:
se il Ministro sia a conoscenza della situazione di emergenza venutasi a creare in vista della scadenza del comodato sopra citato (dicembre 2006);
se il Ministro ritenga di prendere in considerazione l'ipotesi sostenuta da tutte le sigle sindacali, consistente nel sollecitare la richiesta di una proroga del provvedimento di comodato o, ove non fosse possibile, allestire le collezioni archeologiche attualmente fruibili al Pantaleo, nell'attuale piano terra della sede storica di San Pasquale, utilizzando tutti gli spazi espositivi
disponibili affinché non venga chiuso neppure per un giorno il Museo Nazionale e per garantire, nel contempo, continuità lavorativa ai dipendenti della ditta «Novamusa» che gestiscono la biglietteria e la vendita di gadgets a Palazzo Pantaleo.
(5-00546)
VILLARI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa risulta che il Direttore Regionale ai Beni Culturali della Campania ha comunicato ai Soprintendenti di Settore interessati che a partire dal 1o gennaio 2007 alcuni siti archeologici e altri Beni Culturali di proprietà statale e insistenti in Regione Campania saranno affidati in concessione ad una Società mista per la loro gestione, denominata SCABEC;
la forma di gestione dei Beni Culturali è strumentale al livello di valorizzazione che si intende raggiungere per il singolo bene o complesso culturale;
ogni Ente territoriale provvede alla migliore utilizzazione dei Beni Culturali di propria spettanza;
nel caso specie, trattandosi di Beni di proprietà dello Stato, il procedimento per la scelta della forma di gestione è disciplinato dal vigente decreto legislativo n. 42/2004 Codice dei Beni Culturali secondo cui il Ministero adotta, ai sensi dell'articolo 114 comma 2, un proprio decreto per fissare i livelli di qualità della valorizzazione secondo le procedure di cui al comma 1 dello stesso articolo 114;
tale decreto è fondamentale per individuare gli standards qualitativi e confrontarli con quelli raggiunti, nei singoli monumenti, con l'attuale gestione fidata allo Stato: il risultato così verificato può consigliare lo Stato a scegliere di proseguire la gestione diretta secondo le previsioni dell'articolo 115 comma 2 o prevedere la gestione in forma indiretta di cui al comma 3 e secondo le lettere a) o b);
tanto premesso e considerata la delicatezza della materia nonché la frammentarietà delle notizie si interroga -:
se il Soprintendente Regionale della Campania nel decidere la forma di gestione indiretta ha accertato previamente il grado di insufficienza del livello di qualità di valorizzazione raggiunto dall'attuale gestione dei siti interessati anche considerato che lo stesso professor De Caro è stato, per lunghi anni, responsabile della gestione di quei siti;
se tale accertamento è stato fatto alla luce dei parametri emergenti dal decreto ministeriale secondo l'articolo 114 comma 2;
se tale procedura è stata adottata previo l'istruttoria affidata ai Soprintendenti così come prevede l'attuale organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali anche in considerazione del fatto che alcuni Soprintendenti e sindacati di categoria hanno dichiarato di non esserne a conoscenza, così come riportato a più riprese in interviste e dichiarazioni apparse su tutti i quotidiani e mezzi d'informazione a diffusione nazionale e locale;
se è stata presa in considerazione l'ipotesi gestionale prevista dall'articolo 115 comma 3 lettera a);
se, una volta pervenuti alla scelta della gestione che prevede la concessione a terzi, è stata osservata la procedura ad evidenza pubblica, sulla base di valutazione comparativa dei progetti presentati.
(5-00547)
Interrogazioni a risposta scritta:
POLETTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il Castello di Popola nel Comune di Foligno fu edificato dal comune, probabilmente sopra un vecchio castrum, negli anni 1262-64 per volere di papa Urbano IV. Appartenne ad Ugolino Trinci, papa Pio VI e alla famiglia Barugi, la quale
restaurò ed arricchì il castello con una torre poligonale come simbolo di prestigio e potenza. Dalla famiglia Barugi passò alla Congregazione della Carità di Foligno, la quale adibì le case interne alla rocca a residenza estiva per gli orfani. La lunga cinta muraria con la porta d'accesso e la torre poligonale sono ancora rimaste sostanzialmente intatte. All'interno il Palazzo dei Barugi e la piccola chiesa di S.Maria Assunta. Il centro di Popola, grazie al castello e al borgo che lo caratterizza è stato definito «bene storico architettonico e urbanistico di alto pregio»;
nel 1997 la località è stata colpita da un violento sisma che causò danni a molte abitazioni e allo stesso castello;
il Comune, delegato da proprietari privati e dalla curia per il recupero del complesso monumentale, affida l'opera alla Scuola per le industrie edili e affini della Provincia di Perugia, ente paritetico sociale non a scopo di lucro. Il progetto prevedeva una consapevole valorizzazione del castello comprendente una zona di rispetto attorno alle mura;
la ricostruzione e il consolidamento resi necessari dall'evento hanno quindi rappresentato un'opportunità di miglioramento dell'assetto urbanistico del borgo. Ma oggi, come ha ammesso un rappresentante della stessa sovraintendenza «resta il rammarico per la perdita dell'occasione per migliorare la veduta del castello»;
la ricostruzione ha infatti interessato anche un «eco mostro», l'ex scuola elementare costruita negli anni '50 e poi venduto a privati che si è tentato di delocalizzare, ma in assenza di motivazioni idrologiche e del consenso dei proprietari esso fa ancora brutta mostra di sé completamente a ridosso delle mura mediovali;
ad oggi non risulta alcun vincolo posto a carico del castello, ma solo una procedura per l'apposizione del vincolo di cui al decreto legislativo 42/04 -:
se non si ritenga di dover sottoporre urgentemente il castello di Popola ad opportuni vincoli che ne preservino l'integrità e permettano la valorizzazione della struttura e di conseguenza quali iniziative si intendano mettere in atto per permettere infine la delocalizzazione dell'ex scuola elementare costruita a ridosso delle mura medioevali.
(4-02079)
DE BIASI e QUARTIANI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in virtù dei poteri commissariali conferiti al Sindaco di Milano con Ordinanza del Ministro dell'interno il 28 dicembre 2001 e in seguito più volte rinnovati fino al 30 settembre 2006, il Commissario Gabriele Albertini, in data 12 aprile 2006, sottoscriveva la convenzione di concessione con contestuale cessione del diritto di superficie e approvazione del progetto definitivo per la realizzazione in piazza Sant'Ambrogio, a pochi metri dall'omonima Basilica, capolavoro dell'arte romanica noto nel mondo, di un parcheggio interrato di cinque piani (581 posti-macchina), per la profondità di 23 metri;
piazza Sant'Ambrogio è oggetto di vincolo diretto ex articolo 10 e seguenti del decreto legislativo n. 42 del 2004 recante Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che riconosce espressamente quali «beni culturali» [(articolo 10, comma 4, lettera g)] «le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico o storico»;
con nota del 5 dicembre 2005 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano dichiarava «l'incompatibilità di un parcheggio nelle immediate vicinanze della Basilica di Sant'Ambrogio», ritenendo «inopportuna e non condivisibile la realizzazione dell'opera»;
con comunicazione in sede di Conferenza dei Servizi, in data 13 febbraio 2006, la Direzione Regionale dei Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia esprimeva «parere favorevole» (sia pur condizionato a certe prescrizioni) alla realizzazione dell'opera, adeguandosi al parere
consultivo espresso in data 13 gennaio 2006 dal Comitato tecnico-scientifico per i Beni Architettonici e Paesaggistici, ma non menzionando la determinazione contraria del Soprintendente locale per i Beni Architettonici e per il Paesaggio;
in data 23 luglio 2006 il Direttore Regionale dichiarava sul Corriere della Sera che: «un posteggio sotto una piazza storica è sconsigliabile, ma la sua realizzazione è una decisione politica» -:
se il Ministro non ritenga che le ragioni della tutela della piazza riconosciuta di valore storico-artistico e perciò considerata - in sé - come bene culturale debbano prevalere sulle pretese esigenze del traffico automobilistico e della sosta fatte valere con «decisione politica»;
se non giudichi che la destinazione della stessa piazza a solaio di copertura di una vasta autorimessa multipiano integri un uso incompatibile con il carattere di spazio pubblico inedificato, elemento essenziale nella morfologia dell'insediamento urbano di antico impianto e comporti un danno permanente e irreversibile alla integrità fisica del bene culturale, letteralmente svuotato delle sue millenarie fondazioni di appoggio;
se non ritenga, quindi, che la questione (attinente a un luogo di eccezionale interesse monumentale) debba essere riconsiderata e rimessa per una nuova valutazione al massimo istituto di consulenza scientifica del Ministero per i beni e le attività culturali, il Consiglio Superiore, di recente rinnovato e affidato alla presidenza di uno studioso del più elevato prestigio.
(4-02081)