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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 175 di venerdì 22 giugno 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
La seduta comincia alle 11,05.
MARCO BOATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione a partire dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati già in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 11,08).
PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VIII Commissione (Ambiente):
S. 1566 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 11 maggio 2007, n. 61, recante interventi straordinari per superare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per garantire l'esercizio dei propri poteri agli enti ordinariamente competenti» (Approvato dal Senato) (2826) - Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
Discussione della proposta di legge: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d'opera (A.C. 1538-A) (ore 11,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Nicchi ed altri: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d'opera.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1538-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i Presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia e L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioniPag. 2nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, deputata Di Salvo, ha facoltà di svolgere la relazione.
TITTI DI SALVO, Relatore. Signor Presidente, l'obiettivo della proposta di legge in esame è quello di neutralizzare una pratica molto diffusa e indegna per un Paese civile: proporre alle persone, nel momento in cui sono più deboli - all'inizio del loro rapporto di lavoro e come vincolo per il rapporto di lavoro stesso - di firmare una lettera di dimissioni che non ha, apposta in calce, alcuna data. Si tratta, dunque, di una lettera di dimissioni in bianco. La data verrà apposta successivamente - come dimostrano l'esperienza e la realtà - quando il datore di lavoro deciderà che quella persona, per una serie di ragioni, non è più utile all'impresa in cui, in quel momento, svolge la sua attività. L'obiettivo della proposta di legge, pertanto, è molto semplice: neutralizzare tale pratica.
Per avere il senso della necessità di intervenire con una legge rispetto a tale pratica, occorre anche ricordarne la dimensione. Essa è ampia, anche se, naturalmente, è evidente a tutti come sia difficile certificare l'ampiezza del fenomeno, poiché l'unica certezza è data, in termini quantitativi, dal censimento delle persone che, successivamente all'avvenimento del fatto, si rivolgono agli uffici vertenze del sindacato o direttamente alla magistratura per adire le vie giudiziarie, affinché il loro diritto venga tutelato.
Vi è, quindi, una difficoltà di emersione del problema. Ciò nonostante esistono dati e ricerche - di cui darò conto tra un momento - che consentono di riferire con precisione su una nuova tendenza all'accelerazione e all'aumento di tale pratica, che era presente nel passato (soprattutto nell'appalto assicurativo) e che in questi ultimi anni ritorna, come un fiume carsico, con grande evidenza. Come dicevo, esistono ricerche che censiscono ciò in modo evidente: esiste una ricerca delle ACLI la quale dimostra come un quarto delle dimissioni volontarie, anno per anno, siano in realtà dimissioni estorte. Vi è poi un rapporto commissionato dalla Commissione pari opportunità all'ISFOL, nel quale si indagano i collegamenti tra mercato del lavoro e maternità, che dimostra come la pratica delle dimissioni «volontarie» estorte sia una forma di pressione e di abuso di potere molto diffusa rispetto alle donne alla vigilia della loro gravidanza.
Inoltre, esistono rapporti da parte degli uffici che si occupano di vertenze sindacali. Ricordo i rapporti degli uffici della CGL, i quali censiscono, in almeno milleottocento casi all'anno, avvenimenti di questo genere.
In terzo luogo, vorrei far presente l'estensione geografica e per tipologia di imprese di tale problema. Si tratta di un fenomeno, per quanto emerge, presente soprattutto nelle piccole e medie imprese, soprattutto al centro-sud - dicendo soprattutto intendo sottolineare che il fenomeno è presente «non solo» ma «soprattutto» in questa zona: lo affermo con molta certezza - e riguarda anche le lavoratrici ma non soltanto queste ultime.
In quarto luogo, vorrei evidenziare che tale pratica di pressione e abuso di potere consiste nell'apporre, alle dimissioni volontarie sottoscritte all'inizio del rapporto di lavoro, una data successiva e nel ripresentarle in presenza di alcuni avvenimenti. Le ipotesi censite maggiormente evidenti riguardano il caso della maternità delle lavoratrici, lunghe malattie o periodi di infortunio, È evidente la conseguenza dell'abbattimento dei costi del lavoro che tali avvenimenti comporterebbero, prefigurandosi, pertanto, non soltanto un abuso di potere ed una lesione della dignità delle persone, bensì anche una forma di concorrenza sleale, da parte di chi pone in essere tali pratiche, nei confronti di altre imprese che applicano le leggi correttamente e si comportano in modo rispettoso nei confronti delle persone oltre che delle leggi stesse.Pag. 3
Allora, come risolvere e neutralizzare tale problema? La proposta di legge in discussione avanza un'ipotesi e una modalità molto semplice ed assolutamente efficace. Essa prevede l'obbligo, in caso di dimissioni volontarie, a pena di nullità, di procedere utilizzando dei moduli che presentano una numerazione alfanumerica progressiva ed una validità, dal ritiro, di 15 giorni. In tal modo, obbligando ad utilizzare per le dimissioni un modulo predisposto dal Ministero del lavoro di concerto con il Ministero per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, in distribuzione presso gli uffici pubblici, soggetto a scadenza, si rendono impossibili le contraffazioni e si vincolano le dimissioni volontarie ad un meccanismo trasparente.
Tale meccanismo è molto semplice e, peraltro, non costoso. Vi sono normative che si sono già occupate di questa tematica - sarebbe errato sostenere che si tratta di un problema mai esaminato - sebbene con vuoti importanti che vengono risolti dalle modalità previste nel disegno di legge in discussione, del quale l'onorevole Nicchi è primo firmatario. In particolare sono due le normative che si sono occupate del problema. In primo luogo vi è il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità -, il quale afferma che, in presenza di dimissioni volontarie di una lavoratrice madre e fino ad un anno di vita del bambino, le stesse dimissioni devono essere certificate da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, in quanto devono corrispondere ad una effettiva volontà.
Inoltre, una seconda normativa è costituita dal codice delle pari opportunità il quale, analogamente, rende nulle le dimissioni avvenute fino ad un anno dalla data di pubblicazione del matrimonio di un lavoratore o di una lavoratrice, ove non confermate entro un mese dagli stessi soggetti.
Naturalmente, come ho già detto, tali normative, sebbene molto importanti, lasciano dei vuoti. In primo luogo, perché prevedono norme da applicare in via successiva e non preventiva, cercando di rimediare ad un problema già avvenuto.
La proposta di cui stiamo parlando previene il problema. Le causali per le quali le normative precedenti intervengono sono molto importanti, riguardano la libera maternità e il matrimonio che però non sono tutte le causali possibili. Ho detto prima come la pratica viene messa in atto anche in caso di malattie e infortuni. Quindi si tratta di un secondo problema nel quale la normativa in vigore interviene ma non risolve tutto. La proposta di legge, pertanto, allarga anche le causali e si applica a tutti rapporti di lavoro: c'è un elenco, nel comma 1 dell'articolo unico della proposta di legge, che specifica come l'ambito di applicazione sia generale.
L'ultima osservazione di merito, dopo di che passerò ad un'osservazione di carattere generale, è il percorso, ad oggi, della riflessione che ha portato in aula la proposta di legge. Tale riflessione aveva portato l'intera Commissione lavoro a considerare la proposta di legge (che è stata depositata all'inizio della legislatura) così rilevante da farne un emendamento al testo della legge finanziaria. La Commissione bilancio respinse la proposta ritenendola non pertinente; allora la Commissione lavoro, prendendo atto della decisione della Commissione bilancio, decise di presentare un ordine del giorno alla legge finanziaria che venne accolto dal Governo, votato dall'Assemblea durante la terza lettura e firmato da tutti i gruppi parlamentari, dimostrando come esista una forte condivisione della proposta.
Vorrei fare infine alcune osservazioni di carattere generale. La prima è che la proposta di legge è molto semplice e non determina costi particolari, ma si inserisce in un filone, in una cultura politica, molto importante del diritto del lavoro italiano. Si tratta di un orientamento che ritiene che tra la forza del datore di lavoro che offre lavoro e la debolezza dei lavoratori e delle lavoratrici ci sia un vuoto che leggi,Pag. 4norme e contratti devono equilibrare. Essi naturalmente equilibrano rapporti di forze diverse.
I fatti che sto descrivendo riguardano un abuso di potere e la proposta di legge Nicchi n. 1538 si inserisce riequilibrando tale abuso di potere. Si inserisce quindi in un filone importante della legislazione italiana e del diritto del lavoro italiano, ma rappresenta anche un modo semplice per affrontare il tema dell'elusione delle normative e delle piccole furbizie che determinano invece grandi lesioni di dignità.
La seconda osservazione di carattere generale è che si tratta di una proposta di legge semplice ma concreta, uno strumento di lotta alla precarietà del lavoro intesa come lesione della dignità dei lavoratori attraverso la neutralizzazione dei loro diritti e il potere ricattatorio che si traduce in una forma di governo del luogo di lavoro. Credo di essere stata chiara, ma vorrei esserlo ancora di più: sono certa che con una lettera di dimissioni in bianco alle spalle il potere di ricatto e di vessazione nei confronti del modo in cui una determinata persona svolge l'attività sia palese a tutti.
La precarietà si manifesta in molte forme oggi; è stata quasi ultimata un'indagine molto importante svolta dalla Commissione lavoro su forme e dimensioni della precarietà in Italia, la quale rivela che i lavori più precari sono svolti prevalentemente da donne. Quindi sia l'uso improprio dei contratti a termine e dei contratti di collaborazione, sia le forme di lavoro nero e sommerso, insomma le diverse forme di precarietà vedono le donne come protagoniste. Vorrei solo accennare, perché lo ritengo molto pertinente, che le donne in Italia sono anche le più povere. Quando si parla di povertà essa ha un «viso» femminile. La proposta di legge, quindi, è un atto molto semplice e concreto di contrasto alla precarietà intesa in questo modo.
Infine, è un atto concreto di sostegno alla maternità, in cui viene ribadito il suo valore sociale, che le normative in Italia riconoscono, ma è evidente che una pratica come quella di cui parlavo è una lesione al valore sociale della maternità molto forte e molto evidente ed è altrettanto evidente come questo provvedimento diventi un sostegno vero a tale valore.
Un'ultimissima considerazione: il 2007 è l'anno europeo delle pari opportunità contro le discriminazioni. Penso che il Parlamento italiano abbia il dovere di parteciparvi nel modo che gli è proprio, con l'approvazione di leggi che traducano l'impegno alto contro le discriminazioni in norme che aiutino a combatterle e aiutino le donne e gli uomini di questo Paese a riproporre un'idea del valore del lavoro, della convivenza e della coesione sociale come vero volano dello sviluppo che si fonda sui diritti delle persone e non sulla loro vessazione (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare la deputata Schirru. Ne ha facoltà.
AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, il provvedimento in esame detta le disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie del prestatore d'opera e ha la sua origine nella proposta di legge n. 1538, prima firmataria Marisa Nicchi, sottoscritta da tutte le deputate e i deputati del gruppo dell'Ulivo. È stato un provvedimento anche oggetto di discussione pubblica tra le forze politiche e gli organi di informazione in occasione della finanziaria per il 2007, nell'ambito delle misure relative alla stabilizzazione del precariato e del contrasto al lavoro in nero portato avanti con forza dal Governo, in particolar modo dal Ministro del lavoro Damiano.
Il provvedimento introduce una disciplina volta a contrastare il fenomeno delle dimissioni firmate in bianco e serve a proteggere i lavoratori, soprattutto le lavoratrici, da tale fenomeno, evitando che il datore di lavoro possa utilizzare le falsePag. 5dimissioni, che ha fatto firmare al momento dell'assunzione, per fare cessare, in qualsiasi momento, il rapporto di lavoro.
Consideriamo questo provvedimento come un'ulteriore politica pubblica, capace di assicurare diritti mediante forme di assistenza e di tutela all'interno di un'economia sempre più globalizzata; la riteniamo una politica di sicurezza del lavoro capace di offrire ai lavoratori la tutela dei loro diritti e, in caso di licenziamento, aiutarli ad uscire dal senso di incertezza economica e psicologica.
Riteniamo, infatti, che le modalità di licenziamento debbano essere consentite solo in un contesto di consolidamento della sicurezza del lavoro. La proposta di legge definisce le modalità per la risoluzione del contratto per dimissioni volontarie del lavoratore con l'utilizzo di uno strumento semplice, un apposito modulo realizzato secondo specifiche direttive. Nel modulo, come ci ricordava la relatrice, si debbono riportare una serie di dati, come il codice alfanumerico progressivo di identificazione, la data di emissione e ci sono appositi spazi da compilare a cura del firmatario, che sono dedicati all'identificazione del prestatore d'opera, del datore di lavoro e, soprattutto, alla tipologia di contratto da cui si intende recedere.
I moduli hanno una validità temporale massima di quindici giorni dalla data della pubblicazione e sono resi disponibili attraverso il sito Internet del Ministero del lavoro, per essere poi riconsegnati alle direzioni provinciali del lavoro, che hanno già il compito di vigilare, per esempio, in ordine alle dimissioni volontarie delle lavoratrici madri, come previsto dal decreto legislativo n. 151 del 2001.
Si tratta, come si diceva, di una legge che ha il pregio della semplicità e della chiarezza, ma, a nostro parere, anche un alto valore simbolico: una piccola norma a protezione di diritti e garanzie, delle tutele e quindi della libertà dei lavoratori e lavoratrici, ma soprattutto a protezione del diritto alla maternità.
È noto che tra le donne c'è un atteggiamento nuovo nei confronti del lavoro, che si traduce, da un lato, nella consapevolezza dei propri diritti, e dall'altro nella ricerca attiva di un'occupazione sempre più stabile e qualificata. A ciò, tuttavia, non fa automaticamente seguito la realizzazione di tale obiettivo. Permangono infatti molte difficoltà, che alimentano la disoccupazione femminile, la quale nasconde e contempla al suo interno isole di lavoro sommerso e di lavoro precario, fatto di condizionamenti, paure e tante insicurezze sociali. Le donne, infatti, spesso si trovano ancora davanti alla scelta obbligata di dover rassegnare le dimissioni dal lavoro per motivi personali, per trasferimento di residenza, per trovare una nuova occupazione e soprattutto per la difficoltà a conciliare vita e lavoro. In tutte le ricerche sul campo, tra gli aspetti fortemente determinanti, troviamo appunto i motivi personali e la difficoltà a conciliare vita e lavoro.
I motivi personali comprendono un'infinità di situazioni: conflittualità col datore di lavoro, violazioni contrattuali, e un'altissima percentuale di donne dichiara espressamente di dimettersi per la difficoltà a conciliare vita professionale e vita familiare. Ma una parte consistente afferma di aver lasciato il lavoro per motivi personali: dimissioni che rimandano spesso e volentieri al tema centrale delle difficoltà a gestire pressioni e ricatti permanenti nel corso del rapporto di lavoro. Per le lavoratrici, quindi, la sottoscrizione preventiva di dimissioni in bianco rappresenta un ulteriore disincentivo anche nei confronti della maternità, e ciò appare paradossale in un Paese con forti problemi di natalità e con ancora un insufficiente tasso di attività lavorativa rispetto ai parametri europei.
Come richiamato dalla relatrice, nell'ordinamento sono già presenti specifiche tutele per i lavoratori subordinati contro il citato fenomeno delle false dimissioni. In particolare, voglio ricordare l'articolo 55 del decreto legislativo n. 151 del 2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, su cui non mi soffermo. Così comePag. 6è stato richiamato l'articolo 35 del decreto legislativo n. 198 del 2006, recante il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, che stabilisce la nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice in caso di preparazione di matrimonio. Nonostante ciò, risulta che la pratica delle dimissioni firmate in bianco persiste e viene adottata soprattutto a danno delle lavoratrici.
Il fenomeno delle dimissioni in bianco è inoltre preoccupante perché esse vengono utilizzate in maniera più ampia indipendentemente dal sesso del lavoratore anche per fini fiscali, allo scopo, a volte, di sgravare l'impresa dal pagamento dei periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia. Non abbiamo i dati statistici, ma sappiamo che il fenomeno è in aumento, e interessa soprattutto i nuovi contratti relativi a rapporti di lavoro solo apparentemente autonomi o parasubordinati.
Per tali motivi riteniamo molto importante il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge in esame, che riconosce le diverse tipologie di contratti di lavoro presenti oggi nel mercato del lavoro, e che potranno usufruire della tutela delle dimissioni volontarie. Sono tutti quei contratti inerenti il rapporto di lavoro subordinato, di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata; i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, compresi i contratti di collaborazione a progetto; i contratti di collaborazione di natura occasionale; i contratti di associazione in partecipazione, di cui all'articolo 2594 del codice civile; i contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci.
Proprio al fine di contrastare tale fenomeno e rendere meno difficoltoso l'onere probatorio relativo alla nullità delle dimissioni volontarie, la proposta di legge al nostro esame prevede che la validità della lettera di dimissioni volontarie presentata dal prestatore d'opera sia subordinata all'utilizzo, a pena di nullità, degli appositi moduli predisposti e resi disponibili dagli uffici provinciali del lavoro.
I contratti di collaborazione, previsti dal codice civile (contratto d'opera, contratto di associazione in partecipazione agli utili d'impresa), nonché quelli, riconosciuti dalla legge n. 276 del 2003, di collaborazione a progetto, instaurati spesso senza individuare un vero e specifico progetto o programma di lavoro, vengono già considerati rapporti di lavoro subordinati fin dalla costituzione, purché il lavoratore sia in grado di fornire la prova, e, in caso di rescissione del contratto, di fornire le motivazioni della giusta causa. Si tratta di situazioni che generano conflitti e litigiosità e, soprattutto, la perdita di tutela. Infatti, il lavoratore che firma le dimissioni in bianco rischia di perdere non solo il lavoro ma anche il diritto all'indennità di disoccupazione. In tale contesto riteniamo utile e doveroso porre rimedio, mettendo un freno al possibile contenzioso, sempre più difficile da gestire, sia da parte del lavoratore, sia da parte del datore di lavoro: si tratta infatti di riconoscere che questa mala pratica genera una crescente problematicità.
Per tale ragione, riteniamo che il provvedimento al nostro esame interessi tutti: sia i lavoratori dipendenti e i prestatori d'opera, sia il datore di lavoro. Esso ha infatti un fine ben preciso: quello di prevenire denunce ed azioni giudiziarie, con le ovvie ripercussioni negative che esse presentano sul piano economico ed anche umano. Lo Stato, in questo modo, offre modalità di risoluzione pacifica a garanzia delle parti e si pone in un ruolo di controllo ed assistenza nel caso di controversie.
È pertanto giusto sottolineare l'universalità di tale provvedimento, poiché esso è rivolto all'intero mondo del lavoro ed ha particolari valenze antidiscriminatorie e a favore di quei diritti sacrosanti che sono la maternità e la conservazione del posto di lavoro a fronte di malattie ed infortuni: valori che trovano ampio riconoscimento giuridico tanto nell'ordinamento europeo quanto in quello italiano, come è sancitoPag. 7dall'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dagli articoli 35 e 37 della Costituzione.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Lo Presti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata Cesini. Ne ha facoltà.
ROSALBA CESINI. Signor Presidente, una piccola norma per dare visibilità ad una pratica vessatoria: così titolavano le agenzie di stampa alla vigilia dell'8 marzo, riportando il resoconto della conferenza stampa tenutasi al Senato in occasione della presentazione della proposta di legge che oggi l'Assemblea comincia ad esaminare. Ma ben poca visibilità fu poi data a questa notizia sulla stampa.
Quello al nostro esame è un provvedimento che, ci auguriamo, avrà prestissimo forza di legge e che segnerà un piccolo ma significativo passo in avanti nella tutela dei diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici. È sufficiente scorrere le pagine dei giornali o navigare in rete: quasi quotidianamente, ci si imbatte in notizie come quella che citerò, notizie di fronte alle quali è inevitabile provare contemporaneamente una sensazione di vergogna e di indignazione.
Da una lettera inviata alla trasmissione Anno zero, rinvenibile sul sito della RAI, si apprende che in una cittadina a sud di Bari opera un'industria cartotecnica con circa 250 operai: tutti sono stati assunti a tempo indeterminato; tutti sono stati assunti come operai generici, senza alcuna qualifica riconosciuta in busta paga, anche se la maggior parte di essi svolge mansioni specifiche. Si lavora a turni senza che venga riconosciuta una tariffa oraria diversificata. Il lavoratore scrive inoltre che i macchinari utilizzati in azienda di regola sono a norma di legge, ma, per disposizioni superiori, vengono assoggettati a modifiche non legali, e che vengono disattivate le fotocellule di sicurezza, al fine di incrementare la produzione. Sono poi frequenti gli incidenti sul lavoro.
Quando si verificano, al dramma si aggiunge la minaccia da parte del datore di lavoro volta a far dichiarare al pronto soccorso che l'incidente è avvenuto non sul posto di lavoro, ma a casa. Quando poi l'incidente è grave, ad esempio ci si frattura, si perde l'uso di una mano o di una parte di una mano - come è già successo - e magari il lavoratore minaccia un'azione legale, il datore di lavoro fa in modo di comprare lo sfortunato operaio, assicurandogli il posto di lavoro e promettendogli che interverrà affinché gli venga riconosciuta una percentuale di invalidità più alta rispetto a quella effettiva, perché lui ha le conoscenze giuste.
Il sindacato non è presente in fabbrica e nessuno vi si rivolge per il timore di essere licenziato e di perdere quei miseri mille euro di salario, che per la maggior parte di quegli operai rappresentano l'unica entrata familiare. Ebbene, siamo in Italia, anche se non sembra; siamo nel Paese in cui la Confindustria, il sindacato dei padroni, ad ogni piè sospinto bacchetta il Governo perché le aziende non vengono messe nelle condizioni di essere competitive sul mercato internazionale. Solo ieri, Montezemolo ha ribadito che il Governo crea problemi alle aziende e che i sindacati rappresentano i fannulloni, scordandosi totalmente dei 5 miliardi di euro raggranellati con l'ultima legge finanziaria, tacendo del tutto sul fatto che viviamo nel Paese in cui i salari sono i più bassi e le ore lavorate le più elevate d'Europa, che secondo la Commissione europea l'Italia è il terzo Paese nell'Unione a 25 per agevolazioni alle aziende, che siamo il Paese in cui il 10 per cento della popolazione detiene il 70 per cento di tutta la ricchezza, e in particolare l'1 per cento più ricco degli italiani è passato, in un solo anno, dal 10,6 per cento del reddito nazionale al 17,2 per cento, e in cui nel 2004, secondo Mediobanca, le principali società quotate in borsa hanno realizzato un incremento degli utili del 32 per cento. Siamo, cioè, in un Paese in cui, nei cinque anni di Governo del centrodestra, le rendite sono lievitate in maniera inversamente proporzionale a salari e pensioni.
Ebbene, a queste condizioni incivili e terribili di lavoro, che ho appena descritto,Pag. 8in cui versano quei 250 operai pugliesi, ne va aggiunta un'altra: a tutti loro è stato fatto firmare un foglio prestampato di dimissioni. Come dire: non azzardarti ad alzare la testa, non pretendere alcun diritto! O sottostai a queste regole selvagge, o te ne vai fuori, perché fuori c'è una fila lunghissima di nuovi schiavi, che all'inizio del terzo millennio sognano i tuoi miserabili mille euro!
Tutti questi lavoratori, così come tanti altri che si guadagnano il pane alle medesime condizioni, figurano a tutti gli effetti, quanto impropriamente, tra gli occupati a tempo indeterminato, mentre in realtà fanno parte di quella amplissima schiera di lavoratori precari che creano ricchezza, prestando la propria opera in piccole e grandi aziende. Un esercito, quello dei precari, fatto di oltre 3 milioni 700 mila persone, pari al 13 per cento degli occupati, cifra che appunto, a nostro parere, non tenendo conto del fenomeno appena descritto, sarebbe destinata ad incrementarsi sensibilmente qualora si riuscisse a far emergere la piaga delle dimissioni in bianco.
Secondo una stima della Ragioneria generale dello Stato, i lavoratori occupati con tipologie amabilmente dette flessibili sono prevalentemente donne, con una presenza preponderante fra gli addetti con contratto a tempo determinato e di formazione lavoro. Siamo intorno a una percentuale corrispondente al 63 per cento di donne, rispetto al 37 per cento di uomini. Ed è per questo che la gravidanza diventa, dal punto di vista del datore di lavoro, un problema, e dal punto di vista della donna è troppo spesso un dramma.
Prendiamo un'altra storia a caso, dai giornali, solo una, a titolo di esempio tra le tante. In questo caso ci troviamo al nord. Sara, che lavora in un'azienda lodigiana con meno di 15 dipendenti, è incinta. Le hanno detto che se non avesse abortito l'avrebbero licenziata, perché avevano già in mano le sue dimissioni. Così, anche se Sara desiderava con tutta se stessa questo figlio, è stata costretta a presentarsi in una clinica e a fare quello che c'era da fare. Sara era un'impiegata. Si era sposata ed aveva già avuto un bambino che ormai è grandicello. Con il secondo figlio, però, hanno iniziato a farle pressioni per spingerla a non tenerlo.
Sapeva perfettamente che se fosse stata licenziata, in casa non ce l'avrebbero mai fatta ad arrivare alla fine del mese. Lo stipendio del marito non bastava; così, al terzo mese, è stata costretta ad abortire. Non ci sono numeri ufficiali su vicende di questo tipo, ma solo qualche rara ricerca sul campo. Alcune sono state citate dalla relatrice, che ringrazio.
I dati forniti dagli uffici vertenze della CGIL riferiscono che sono circa 1.800 le donne che ogni anno chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie, e che ciò avviene quando il fatto è già avvenuto. Va peraltro sottolineato che si stima che sia soltanto una lavoratrice su dieci a ricorrere al giudice del lavoro.
In ogni caso, è accertato che le donne con il posto fisso abortiscono molto meno, così come è accertato che non sono pochi i datori di lavoro che rifiutano, in maniera subdola o talvolta addirittura esplicita, di farsi carico degli obblighi prescritti dalla legge a tutela della maternità.
Da dove discende tale affermazione? Dal fatto che il 30 per centro delle donne che hanno avuto un figlio dopo un anno e mezzo dalla nascita del bambino non ha più un'occupazione. È ovvio che una parte di queste donne possa aver deciso volontariamente di abbandonare il posto di lavoro, così come è ovvio che tale volontarietà metta spesso le radici nella scarsezza di tutele sociali e di servizi pubblici destinati all'infanzia o agli anziani, dunque nella difficoltà delle donne, spesso lasciate troppo sole nella gestione dei rapporti di cura.
Ma è altrettanto evidente che quando il datore di lavoro ritiene che la lavoratrice madre sia un problema per l'azienda si avvale delle dimissioni prefirmate o, più semplicemente, sopporta il «peso accessorio», finché il bimbo non compie un anno, periodo in cui è illegale l'interruzione del rapporto di lavoro, e poi mette in atto unaPag. 9serie di atteggiamenti di vero e proprio mobbing, senza alcun bisogno di ricorrere a minacce o a ricatti.
Ciò accade molto più spesso quando la lavoratrice è assunta con un contratto di prestazione d'opera. Per queste lavoratrici la prima minaccia è il mancato rinnovo del contratto, la seconda, in sede di assunzione a tempo indeterminato, è la firma della lettera di dimissioni in bianco. Spesso il datore di lavoro, o perché ritiene insufficiente il periodo di prova, ancorché quello massimo consentito è pari a sei mesi, così come previsto dalla contrattazione collettiva, oppure perché vuole mantenersi la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro, impone al lavoratore e alla lavoratrice, come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di queste finte dimissioni, che poi tira fuori al momento opportuno, quando i lavoratori esigono i propri diritti, quando si ammalano, quando si infortunano, o, per le donne, quando scoprono la loro gravidanza.
In questo modo il padrone - ed uso appositamente questo termine, perché è il padrone dell'azienda, ma è anche padrone della possibilità di costruzione del futuro dei propri dipendenti - pone il lavoratore e la lavoratrice in una situazione di soggezione psicologica assoluta.
Il datore di lavoro, sempre facendo leva sulla propria forza contrattuale, in questo modo si garantisce, si tiene le mani libere, si può permettere di svicolare dalle norme, che pure esistono, in difesa del mondo del lavoro, e utilizza al contempo tali metodi anche per tenere al livello più basso possibile il costo del lavoro.
Mentre il licenziamento può essere impugnato a tutela del lavoratore davanti al giudice del lavoro (per questo si ricorre alle finte dimissioni), le dimissioni non sono considerate una prova sostenibile o lo sono solo in casi eccezionali, perché l'onere probatorio dell'estorsione delle finte dimissioni volontarie è comunque a carico del lavoratore.
In caso di licenziamento, il lavoratore ha diritto di far verificare al giudice l'effettiva sussistenza delle ragioni che hanno portato al licenziamento, ma queste, purtroppo, in molti casi, si rivelano insussistenti, quando vengono sottoposte al vaglio della magistratura. Nel caso in cui venga esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore spettano cinque mensilità di retribuzione, oltre al diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. Ma avete mai visto qualcuno che ha scelto di essere reintegrato nel proprio posto di lavoro?
Chi viene espulso dal proprio posto di lavoro con queste modalità teme di ritornare in tale posto, perché sa bene quali vessazioni sarà costretto a subire. Il più delle volte, quindi, incamera le quindici mensilità di retribuzione, rinunciando al posto e incominciando nuovamente la ricerca di un altro lavoro, probabilmente altrettanto insicuro e precario, esattamente come quello appena perso.
L'obiettivo della proposta di legge che oggi cominciamo a discutere è proprio riequilibrare le asimmetrie tra prestatore e datore di lavoro, impedendo a quest'ultimo di imporre al primo, all'atto della sottoscrizione del contratto di lavoro, oppure in qualsiasi altro momento di debolezza contrattuale del lavoratore, la sottoscrizione delle dimissioni in bianco. Lo strumento individuato per ovviare a tale abuso è vincolare la validità della dichiarazione di dimissione volontaria all'utilizzo di appositi moduli datati, non modificabili e non soggetti a contraffazioni, disponibili presso gli uffici pubblici, la rete Internet, organizzazioni sindacali e patronati, con validità limitata a quindici giorni.
I destinatari della proposta di legge sono i prestatori di lavoro subordinato, i co.co.co, i co.co.pro., i lavoratori occasionali e gli associati in partecipazione. Stiamo parlando, cioè, dei soggetti più deboli del mondo del lavoro, coloro che si trovano su un gradino appena superiore a quello su cui si trovano i lavoratori in nero. Il contesto, il senso e gli obiettivi della proposta di legge in esame evidenziano come il diritto del lavoro italiano, e prima ancora la stessa Costituzione, si pongano il problema di equilibrare i rapporti di forza nel rapporto di lavoro, in modo che tale disparità non si trasformi inPag. 10abuso di potere e lesione della dignità e della libertà delle persone. La soluzione del problema è, peraltro, interesse comune dei lavoratori e della maggioranza dei datori di lavoro, i quali, applicando correttamente le leggi e i contratti, subiscono la concorrenza sleale di coloro che abbattono i costi di produzione evadendo obblighi e responsabilità sociali.
Nell'ordinamento, così come già ricordato dalla relatrice, sono presenti specifiche tutele per i lavoratori subordinati contro il fenomeno delle false dimissioni. Veniva in quest'aula ricordato il testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità e il codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Risulta però evidente come tali norme affrontino soltanto le conseguenze di eventuali dimissioni estorte e, in ogni caso, l'ambito di applicazione della normativa è applicato ad alcune situazioni, anche se sicuramente meritevoli di particolare attenzione. Al contrario, la proposta di legge in esame previene la possibilità che si possa verificare il fenomeno, in virtù del vincolo, a pena di nullità, dell'utilizzo di appositi moduli ed ha valenza di tutela generale.
Se la proposta in esame, come già detto e come ci auguriamo, diventerà al più presto legge dello Stato, per le lavoratrici e per tutte le donne avrà un valore molto importante. L'ignobile ricatto delle dimissioni in bianco, infatti, per una donna significa essere costretta ad un certo punto della sua vita a dover fare una scelta immorale, ripugnante e illiberale tra la propria autonomia economica, che spesso coincide con quella sociale, e la signoria sul proprio corpo, sul proprio desiderio e capacità di procreazione.
Troppo spesso, in questi anni, abbiamo sentito celebrare la parola «famiglia», ma ancora più spesso questo termine è stato usato in maniera ideologica. Troppo spesso ci si è nascosti dietro la difesa di una famiglia immaginaria, il cui valore sociale si è fatto dipendere più dalla forma che dalla sostanza e dalle condizioni concrete di esistenza delle donne. Siamo continuamente bersagliati da una sorta di crociata. Di volta in volta, la famiglia sarebbe messa a rischio da rapporti d'amore omosessuale, dalle coppie di fatto, dalla fecondazione eterologa, dall'applicazione della legge n. 194 del 1978 ed altro. Non abbiamo mai - lo ripeto, mai - sentito dire da questi paladini della famiglia immaginaria che oggi ciò che mette più a rischio le famiglie è l'estrema precarietà del lavoro ed il voler relegare le donne in un ruolo subalterno e surrettizio di compiti e funzioni che dovrebbero essere a carico dell'intera società.
Ben venga, dunque, questa norma, anche se sappiamo bene che si tratta ancora di un piccolo passo, così come di un piccolo passo si è trattato quando, con la legge finanziaria, si sono previsti sgravi fiscali per le aziende del Mezzogiorno per l'assunzione di lavoratrici.
Si tratta di andare avanti. Noi, Comunisti Italiani, ci attendiamo molto dal nostro Governo. Ci attendiamo norme più stringenti per combattere il mobbing di genere, ci attendiamo che si estenda il diritto di gravidanza a rischio alle lavoratrici parasubordinate e che si investa sui consultori pubblici. Ci attendiamo che il lavoro a tempo indeterminato torni ad essere la normalità e non l'eccezione, così com'è chiaramente scritto nel programma di Governo, e che si torni ad una cultura del lavoro che sappia mettere al centro la dignità del lavoro e del lavoratore.
Voglio approfittare di questa occasione per ringraziare la Commissione lavoro che sta svolgendo, anche in questo ambito, un ruolo prezioso ed importante. Signor sottosegretario, noi ci attendiamo investimenti più sostanziosi per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, che non è questione che riguarda solo le donne; ci attendiamo risorse più adeguate per i servizi di cura per bambini ed anziani non autosufficienti; ci attendiamo politiche di sensibilizzazione sul valore della differenza di genere e politiche di promozione affinché nel Paese vi sia uno scatto culturale, affinché donne e uomini siano messi nelle condizioni di potersi costruire, laicamente, civilmente, economicamente e in modo solidaristico, il proprio futuro.Pag. 11
Ci attendiamo, infine, che questo Governo, il nostro Governo, sappia ridare speranza e fiducia al popolo che lo ha votato e, più in generale, al nostro Paese, affinché si inverta la tendenza secondo la quale, per la prima volta dalla nascita della nostra Repubblica, i figli e le figlie smettano di vivere in condizioni peggiori di quelle dei propri genitori (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani, L'Ulivo e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pelino. Ne ha facoltà.
PAOLA PELINO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Craxi, rappresentante del Governo, anche se avrei preferito, oltre alla sua presenza, la presenza di un rappresentante del Ministero del lavoro, considerato che la materia che stiamo trattando nell'odierna discussione sulle linee generali è molto più inerente a tale Ministero. D'altronde, non capita spesso che si riesca ad esaminare in Assemblea un provvedimento di competenza della Commissione lavoro, tengo a sottolineare che si tratta del primo in questa legislatura. Mi auguro che, nel frattempo, possa arrivare il sottosegretario del Ministero del lavoro, soddisfacendo così alla mia richiesta.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il contesto e gli obiettivi della proposta di legge in esame evidenziano come il diritto del lavoro italiano, e prima ancora la stessa Costituzione, si pongano il problema di come equilibrare i rapporti di forza nel rapporto di lavoro, squilibrati tra datore di lavoro e lavoratrice o lavoratore, in modo che tale disparità non si trasformi in abuso di potere e lesione della dignità e libertà delle persone.
Nella relazione di accompagnamento è posto in rilievo, inoltre, che la pratica delle dimissioni firmate in bianco viene adottata soprattutto a danno delle donne lavoratrici, come emerge tra l'altro dai dati forniti dall'ufficio vertenze della CGIL, da una indagine svolta dal coordinamento delle donne dell'ACLI e da una ricerca condotta dall'Isfol su incarico dell'Ufficio nazionale della consigliera di parità, su un campione di 25 mila donne. Tuttavia, precisa la medesima relazione, il fenomeno delle dimissioni in bianco viene utilizzato in maniera più ampia, indipendentemente dal sesso dei lavoratori, anche per fini fiscali, con lo scopo di sgravare l'impresa dal pagamento dei periodi di assenza dal lavoro, quali infortuni e malattia.
Rilevo, in ogni caso, come ho già esposto nel corso dell'esame del provvedimento in XI Commissione, che non è condivisibile l'estensione delle misure anche ai contratti a termine, tra cui quelli descritti nel decreto legislativo n. 276 del 2003, attuativo della cosiddetta legge Biagi.
Il provvedimento in esame, che ha lo scopo di contrastare la pratica di far firmare al lavoratore le dimissioni in bianco al momento dell'assunzione - quindi, nel momento in cui la posizione del lavoratore è più debole -, pur nel condivisibile scopo di scongiurare l'intento elusivo datoriale, appalesa alcune censure correlate al comma 2 dell'articolo 1, che elenca tassativamente le tipologie di contratti di lavoro che usufruiscono della tutela delle dimissioni volontarie. Si tratta, in definitiva, di tutti i contratti di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata; dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto; dei contratti di collaborazione di natura occasionale e dei contratti di associazione in partecipazione di cui all'articolo 2549 del codice civile.
Orbene, in relazione al comma 2 dell'articolo 1, rilevo che il vincolo della validità della dichiarazione delle dimissioni volontarie, correlato all'utilizzo dell'apposita modulistica disponibile solo presso gli uffici provinciali del lavoro e delle amministrazioni comunali, con ulteriori cautele amministrative, troverebbe giusta collocazione nell'ambito del rapporto di lavoro tipicamente subordinato, regolato dalla legge e in particolare dall'articolo 2094 del codice civile, richiamato dalla predetta disposizione del provvedimentoPag. 12in esame. Tuttavia, si può rilevare che il meccanismo previsto a pena di nullità, potrebbe creare un eccessivo irrigidimento dei meccanismi attuativi, considerato il coinvolgimento delle pubbliche strutture per quanto concerne l'apposita modulistica.
Per quanto riguarda l'estensione del provvedimento ad altre tipologie contrattuali non di lavoro subordinato, disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003, attuativo della cosiddetta legge Biagi (di collaborazione coordinata e continuativa, di collaborazione di natura occasionale e, finanche, di associazione in partecipazione), si rileva che tali tipologie, aggiuntive, tramite la congiunzione «nonché», alla tipologia nominata tipica del lavoro subordinato, non essendo a tempo indeterminato, ma a termine, non sarebbero suscettibili di detta applicazione antielusiva, per cui sarebbe meglio lasciare la materia delle dimissioni rimesse alla libera volontà del lavoratore, esercitabile nei termini della legge richiamata. Ravviserei, dunque, l'opportunità di eliminare tale materia dal contesto del provvedimento, in base alle considerazioni testé svolte, fondate su ragioni di coerenza e legate all'ambito soggettivo dell'applicazione della norma, considerato che l'articolo 67 del citato decreto legislativo, regolante le prestazioni lavorative a termine, intitolato «Estinzione del contratto e preavviso», recita, al comma 1: «I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto»; al comma 2:«Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale».
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Codurelli. Ne ha facoltà.
LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, gli obiettivi di promuovere la crescita e la buona occupazione implicano anche provvedimenti come quello che oggi l'Assemblea sta esaminando; un provvedimento che si rende necessario poiché interviene sulla disciplina civilistica dei rapporti di lavoro, disponendo la nullità delle dimissioni che non siano presentate secondo determinate modalità.
La proposta di legge in esame riguarda un diritto contemplato dalla Costituzione - è già stato detto, ma credo sia importante sottolinearlo - purtroppo, in molti casi, non rispettato. Pertanto, si pone il problema di come riequilibrare i rapporti di forza tra datore di lavoro e lavoratrice (o lavoratore) che sono ancora troppo squilibrati, tanto da poter dar luogo ad un abuso di potere e alla lesione della dignità e della libertà delle persone. Il provvedimento in esame è coerente con i principi costituzionali, anzitutto con l'articolo 35, primo comma, in base al quale la Repubblica deve tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
É altresì coerente con l'articolo 37 della Costituzione, secondo cui la donna lavoratrice ha gli stessi diritti spettanti al lavoratore e le condizioni di lavoro devono consentire alla lavoratrice di adempiere alle sue essenziali funzioni familiari, tramite una speciale adeguata protezione, sia per la medesima lavoratrice, sia per un futuro figlio. Purtroppo, assistiamo ad un fenomeno di dimensioni molto maggiori di quanto le statistiche a disposizione indichino, come la relatrice ha bene evidenziato, per la quantità e per la difficoltà evidente di censire un fenomeno che emerge solo a dimissioni avvenute.
Pertanto è importante evidenziare come la soluzione contenuta nel provvedimento sia di interesse comune dei lavoratori e delle lavoratrici, ma, sottolineo, anche della maggioranza dei datori di lavoro i quali, applicando correttamente le leggi e i contratti, subiscono la concorrenza sleale di coloro che abbattono i costi di produzione evadendo obblighi e responsabilità sociali. Ciò sottolinea come vi sia la stessa slealtà che esiste per il lavoro nero.
Tre importanti obiettivi, dunque, si prefigge, a mio avviso, il provvedimento inPag. 13esame. Il primo è costituito dal rispetto della dignità nel lavoro senza assistere a dei ricatti; il secondo è rappresentato dalla necessità di riconoscere, nei fatti e in ogni occasione, il valore sociale della maternità non solo, come troppo spesso avviene, con enunciazioni di principio che sono violate sistematicamente, lasciando le donne sole di fronte alla maternità, come se fosse un problema loro e solo loro. Il terzo obiettivo è costituito dal lavoro delle donne come risorsa indispensabile per il futuro della nostra economia, per raggiungere gli obiettivi di Lisbona e per la buona occupazione.
Il provvedimento in esame è stato assunto come priorità dal gruppo dell'Ulivo; è stato calendarizzato - come è stato sottolineato - grazie alla grande e piena disponibilità del presidente in Commissione, ed oggi è giunto in aula. Già nella finanziaria, come hanno ricordato le colleghe, abbiamo cercato di porlo in agenda, prima con un emendamento e, successivamente, trasformandolo in ordine del giorno, in quanto era ed è urgente porre rimedio alla situazione, per essere coerenti con tutto il tema dei diritti inviolabili.
Mi preme sottolineare ancora un aspetto non secondario, contenuto nel testo, che dovrebbe rappresentare un filo conduttore in tutte le norme legislative, per tutelare realmente le lavoratrici e i lavoratori, evitando loro defatiganti procedure burocratiche, prevedendo la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica, tramite Internet, o tramite il Ministero del lavoro e della previdenza sociale o, come si è ipotizzato, con il coinvolgimento dei patronati attraverso convenzioni. Il provvedimento in esame, inoltre, contiene un valore che trova ampio riconoscimento giuridico, tanto nell'ordinamento europeo quanto in quello italiano - lo ha affermato la collega Schirru e l'ho ribadito anche precedentemente - rispetto alla nostra Costituzione e alla Carta europea. Ancora di più, oggi, con la perdita di centralità dell'impresa fordista, occorrono interventi e strumenti di tutela del lavoro nel singolo rapporto, per garantire ai lavoratori sia condizioni di tutela della propria dignità, sia condizioni che permettano speranza nel futuro, per una vita di coppia e per costruirsi una vita migliore.
Per realizzare tale obiettivo - e ne siamo coscienti - occorre anche tanto altro, ma é necessario iniziare dal rispetto dei diritti. Successivamente si agirà come previsto nel programma del Governo - che ha iniziato il percorso ma tanto bisogna realizzare e presto - di concerto con le parti sociali, con politiche specifiche che tengano conto delle differenze esistenti nel mondo del lavoro e, soprattutto, con l'obiettivo della piena e buona occupazione, con misure generali di regolazione, con politiche attive e di incentivazione. L'insieme di tali politiche dovrà attuarsi con interventi condivisi nell'ambito delle rispettive competenze, ma anche volti ad aumentare le opportunità dei gruppi sottorappresentati del mercato del lavoro, ovvero le donne e giovani.
Dunque, elevare il tasso di occupazione di tali gruppi (in particolare di giovani e donne), porre rimedio a ricatti - come previsto dal provvedimento in discussione - e raggiungere l'emersione del lavoro nero sono obiettivi non solo giusti in sé ma anche essenziali per rendere sostenibili gli oneri per il welfare delle pensioni, della sanità, dell'assistenza ai servizi veri per la conciliazione e, soprattutto, per le donne, che oggi sono le più penalizzate (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1538-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Di Salvo.
TITTI DI SALVO, Relatore. Signor Presidente, ho molto apprezzato gli interventi che si sono succeduti. L'onorevole PelinoPag. 14ha, naturalmente, avanzato obiezioni che non condivido e non ritengo pertinenti; avremo modo di parlarne nel corso della discussione degli articoli e delle proposte emendative, ma gli abusi di potere sono tali in qualunque tipo di rapporto di lavoro vengano perpetrati. Se vi è un abuso di potere, vi è un abuso di potere; se vi è un'elusione di legalità, altrettanto. Avremo comunque modo di parlarne successivamente.
Ringrazio il sottosegretario e il Governo per la presenza, ringrazio il Presidente della Camera, i colleghi, le colleghe ed il presidente della Commissione lavoro, che hanno condiviso con noi la discussione. Ringrazio anche la prima firmataria della proposta di legge in esame, l'onorevole Nicchi (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Leoni ed altri n. 1-00159 sulle iniziative in favore del popolo saharawi (ore 12,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Leoni ed altri n. 1-00159 sulle iniziative in favore del popolo saharawi (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2007.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare il deputato Scotto, che illustrerà anche la mozione Leoni ed altri n. 1-00159, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, stiamo discutendo una mozione che dà il senso di una battaglia che, nel corso degli ultimi anni, è stata svolta, nel nostro Paese, da diversi punti di vista e da diverse posizioni politiche, ma non ha trovato sempre attenzione sulla stampa, né mobilitazione politica e culturale. Si tratta, però, di una battaglia che dura da trent'anni.
Riprendendo un vecchio detto saharawi, «prima di ogni oasi, c'è un deserto da affrontare». Questo viaggio dura ormai da trent'anni e vive di pause e ripartenze, violazioni della libertà e dei diritti, accordi siglati la mattina e abbandonati la sera, in una condizione simile a una tela di Penelope: pare quasi, infatti, che, di giorno, si costruiscano le condizioni per la pace e che poi, la sera, esse siano poste in discussione.
La causa del popolo saharawi non è da oggi all'ordine del giorno della politica italiana ed europea: quel popolo chiede con forza, da oltre trent'anni - da quando, nel 1973, nacque il Fronte polisario - la possibilità di procedere ad un referendum che consenta ai 250 mila uomini e donne che vivono nel deserto algerino di scegliere il proprio destino ed avere una dignità statuale.
Da anni il Fronte polisario ha chiesto di poter essere governato da un'amministrazione internazionale a guida dell'ONU e dell'Organizzazione dell'unità africana (OUA), chiedendo nel contempo il ritiro delle truppe marocchine dal proprio territorio.
È ormai dal 1963 che le Nazioni Unite hanno inserito il Sahara spagnolo nella lista dei luoghi per i quali sarebbe possibile far valere il diritto di autodeterminazione dei popoli. Anche grazie ad un'intensa attività diplomatica del Fronte polisario, nel 1988 l'ONU stabilisce per la prima volta l'indizione del referendum, proprio mentre il Marocco avvia una lungaPag. 15e dannosa edificazione di un muro di oltre duemila chilometri, che separa la maggior parte del territorio del Sahara occidentale da quello che il «popolo del deserto» - questa è la definizione alla lettera dei saharawi - definisce il territorio liberato.
Purtroppo, quel referendum non è mai stato svolto, nonostante le risoluzioni ONU e l'inizio di pratiche di identificazione e di censimento del popolo saharawi. La RASD, l'entità che rappresenta il popolo saharawi, è diventata il cinquantunesimo Stato dell'Unità africana, anche se ancora oggi l'Unione europea, gli Stati Uniti e l'Italia non lo riconoscono come tale.
La Minurso, che è stata incaricata alle Nazioni Unite di avviare il censimento e di preparare le condizioni per un referendum, non è in grado di svolgere la sua missione nel Sahara occidentale, perché palesemente ostacolata dalle truppe marocchine e perché non è sufficientemente sostenuta politicamente e logisticamente dalla stessa ONU.
Questo ritardo e il protrarsi di una questione così delicata anche dal punto di vista degli equilibri geopolitici dell'area (uno Stato africano che ne occupa un altro, in un'area ricca di fosfati minerali), rischia di radicalizzare seriamente lo scontro tra saharawi ed esercito marocchino, dando vita, da un lato, al fenomeno che qualcuno ha definito (forse un po' forzatamente) una vera e propria intifada del deserto e, dall'altro, al rischio concreto, in un'area delicatissima, di infiltrazioni del fondamentalismo islamico.
Nel deserto algerino attorno a Tindouf vivono più di 250 mila profughi distribuiti in quattro tendopoli, con un proprio apparato amministrativo, sotto la giurisdizione congiunta del Fronte polisario e della RASD, organi coesistenti e di diversa natura che si sono assegnati compiti complementari nel sostegno alla popolazione.
Ricevono assistenza dall'Alto commissariato dell'ONU per i profughi di guerra e grazie agli aiuti sono stati costruiti ospedali, scuole - che, a differenza di altri Paesi, sono miste, composte da uomini e donne - e pozzi.
Nel deserto non vi è acqua potabile, della quale è ovviamente obbligatoria l'importazione, e la luce arriva soltanto attraverso i pannelli solari.
Per chi vi sia stato, è facile rendersi conto che si tratta di un vero e proprio «Stato in esilio». Tuttavia, le condizioni sul fronte dei diritti umani, secondo il rapporto annuale dell'Association marocaine des droits de l'homme (AMDH) per il 2005, sono estremamente preoccupanti, oltre il livello di guardia.
Si tratta un popolo sradicato, che paga la sua orgogliosa battaglia di libertà con la violenza, la tortura, l'inquisizione politica, l'incertezza del diritto, la prigionia prolungata in assenza di processi con il minimo di garanzie civili.
Ecco, per questo motivo è importante che il Parlamento approvi la mozione Leoni, che stabilisce alcuni punti, condizioni e impegni per il Governo. Anzitutto, la mozione in esame impegna il Governo ad adottare ogni iniziativa per giungere a una soluzione condivisa e definitiva del conflitto del Sahara occidentale, nell'ambito di quanto stabilito dalle Nazioni Unite, ad adoperarsi affinché quel dramma umanitario abbia termine e ci sia la possibilità di mettere fine a trent'anni di violazioni dei diritti umani, a riconoscere quanto è stato fatto anche in altre occasioni di fronte ad altre cause fondamentali di autodeterminazione dei popoli, a partire dall'OLP, a riconoscere rappresentanza e status diplomatico al Fronte polisario, come è stato fatto in passato dalle Nazioni Unite per il riconoscimento dei movimenti di liberazione come interlocutori ufficiali nei processi di pace.
Infine, il tema vero e fondamentale è quello di avviare le procedure, questa volta in maniera definitiva, di un referendum per l'autodeterminazione del popolo saharawi affinché possa scegliere tra l'integrazione e la possibilità di costruire una propria entità statuale. Su tale aspetto le rappresentanze del Fronte polisario, a differenza di quelle marocchine, si sono impegnate ed hanno detto chiaramente che qualsiasi fosse stato l'esito del referendumPag. 16lo avrebbero accettato. Tali parole non sono state pronunciate con altrettanta forza dall'autorità marocchina.
Ma il rispetto del diritto internazionale, la possibilità di procedere a un referendum e la possibilità di avere una soluzione definitiva a tale conflitto sono punti fondamentali. Se ciò non avverrà, c'è il rischio molto forte di una «palestinizzazione» del conflitto, di una nuova intifada, di nuove forme di guerra, di un riacuirsi delle situazioni conflittuali e di una difficoltà politica ed umanitaria delle popolazioni nel deserto.
Riprendo in conclusione un proverbio saharawi: «il coraggio è vivere per la libertà»; è una lezione di questo piccolo ma importante, grande, dignitoso, tollerante, aperto popolo che ha un confronto continuo con l'Europa, che è consapevole che uscendo da questo assedio avrà la possibilità di costruire nuove forme di democrazia e di partecipazione. Quel coraggio di vivere per la libertà gli deve essere riconosciuto e potrà essergli riconosciuto esclusivamente attraverso un referendum e attraverso un'azione forte del nostro Governo e dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, le chiedo se cortesemente può avvisarmi quando sono trascorsi dieci minuti dal mio intervento.
PRESIDENTE. La avviserò un po' prima.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, ne ho 14, di minuti, e mi volevo lasciare gli ultimi quattro per il prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Certamente, non avevo capito bene.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, l'argomento è molto importante e come lei sa mi appassiona così come appassiona lei e come appassiona i pochi deputati presenti oggi in Assemblea. Intervengo a nome del gruppo La Rosa nel Pugno per dichiarare il pieno sostegno a questa mozione, peraltro firmata anche dal collega D'Elia che è membro della Commissione affari esteri e comunitari. Per noi rappresenta un'occasione importante di portare dentro l'Assemblea del Parlamento l'attenzione su una discussione che non inizia solamente adesso e che ha visto recentemente audizioni formali dei rappresentanti del Fronte polisario e della Repubblica araba democratica Saharawi nel Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri e comunitari. È importante parlare del Saharawi, è importante decidere e approvare la mozione in esame, perché il popolo saharawi rappresenta una delle tante cartine di tornasole di quello che succede a livello internazionale e di Nazioni Unite.
Non è un popolo del tutto dimenticato come tanti in giro per il mondo - penso agli Uiguri, minoranza semisconosciuta all'interno della Repubblica popolare cinese - o come altre popolazioni di cui neanche il nome fa parte della memoria collettiva delle opulenti e ricche società occidentali, spesso cariche di informazioni e stordite. Del Saharawi ci siamo occupati e si sono occupati molti enti locali, molte associazioni, molte iniziative sono partite dal territorio italiano e spagnolo in particolare, perché è un classico processo di fallimento internazionale. Il processo di decolonizzazione che ha visto la Spagna franchista uscire «in fretta e furia» da una situazione del Sahara occidentale che rischiava di diventare ingestibile e che rappresenta un modo egoistico, del tutto antidemocratico, di procedere ad una fuga strategica, lasciando il territorio in balia delle forze presenti.
Quindi, il Sahara occidentale, occupato dapprima dal Marocco e dalla Mauritania - occorre ricordare anche questo aspetto della vicenda -, è un territorio su cui si sono giocati e continuano a giocarsi interessi contrapposti di un'area come tante, ma delicata ed importantissima, non soloPag. 17per la presenza di ricchezze assai rilevanti in una situazione desertica. In tale contesto, il conflitto è avvenuto sopra la testa del popolo saharawi, il popolo del deserto, e sopra un terreno desertico che si è stato uno dei tanti casi di fallimenti internazionali della diplomazia, dell'ONU ed anche delle organizzazioni umanitarie.
Come è già stato ricordato dal collega Scotto che ha illustrato la mozione, i passaggi arrivano da lontano - ma, ripeto, arrivano dal processo di decolonizzazione spagnola -, e cioè dalla decisione, che risale al 1976, di procedere alla definizione del contenzioso mediante referendum, tra l'altro già indicando anche l'elemento cardine, che è in genere oggetto di contenzioso, ovvero l'indicazione dei censimenti spagnoli del 1974, disponendo così già di una base certa su cui lavorare.
Invece, come reazione all'occupazione, è nato, ovviamente, il Fronte polisario e, quindi, un'organizzazione militare, anche di guerriglia, per contendere il territorio alle forze occupanti. Nel 1979 si determinò una prima svolta che sembrava aprire uno spiraglio serio per la situazione, ossia il ritiro dal contenzioso della Mauritania, che rinunciò ai propri terreni occupati, ma non così fece il Marocco. In tal modo, si è sedimenta, cristallizzata ed incancrenita una situazione che, appunto, a trent'anni di distanza, ci vede nel tentativo di difendere, anzitutto, la dignità delle Nazioni Unite e le decisioni più volte assunte e ribadite, con dichiarazioni ufficiali e risoluzioni internazionali, per la definizione di un ruolo, che era chiaro e definito, della missione internazionale Minurso, che doveva garantire un processo condiviso di fuoriuscita dalla situazione.
Occorre riconoscere al popolo saharawi, all'organizzazione della Repubblica araba democratica del Saharawi, ma anche al Fronte polisario di aver unilateralmente rinunciato alla lotta armata.
Il collega intervenuto in precedenza in qualche modo faceva balenare un rischio di «palestinizzazione» del conflitto e, quindi, di intifada.
Desidero ringraziare davvero, a nome dei radicali e dei socialisti del gruppo della Rosa nel Pugno, gli organi che, nella difficoltà dell'esilio, sono stati scelti dal popolo saharawi, per aver rinunciato, con buon senso e capacità lungimiranti, alla lotta armata, e per aver rinunciato ad accendere conflitti per segnalare la loro presenza e la loro esistenza sullo scacchiere internazionale. Ciò ha, però, riempito e gravato di responsabilità le società occidentali e le Nazioni occidentali, in particolare, ripeto, l'Italia e la Spagna - che più direttamente conoscono la situazione, anche perché intervengono con aiuti umanitari e con un'attenzione concreta della cooperazione decentrata delle nostre amministrazioni locali -, per tentare di innescare un processo virtuoso di risoluzione del problema. Esigiamo, in questo come in altri casi (ad esempio, la vicenda del Tibet o del Darfur, di cui parlavamo l'altro ieri in Commissione affari esteri), il rispetto delle decisioni internazionali dell'ONU. Questa è la battaglia che l'Italia può affrontare - e la mozione al nostro esame si muove nel senso di indicare una linea d'azione e di segnalare un'attenzione concreta del Parlamento italiano -, per tentare di incardinare sulla strada giusta un intervento che rischia davvero di non giungere mai.
Si tratta, peraltro, di una doppia responsabilità, perché conosciamo benissimo l'atteggiamento del popolo saharawi - un popolo islamico sunnita e laico -, che ha saputo vivere, nelle difficoltà dei campi profughi, con grandissima dignità e cultura, ed ha saputo valorizzare il ruolo delle donne e la situazione di autoorganizzazione e di costruzione di brandelli e forme di democrazia partecipata, anche nella gestione delle tendopoli e degli aiuti umanitari.
Quindi, abbiamo una responsabilità diretta, che ci impone di svolgere un ruolo nuovo - se possibile -, con la fantasia che tali situazioni, così fossilizzate, richiedono.
Come Europa e come Italia abbiamo rapporti ottimi e profondi con il Marocco. È necessario riuscire ad incidere sulla classe dirigente di tale Paese, che è molto aperta all'Europa, per tentare di instaurare con essa un'interlocuzione vera, chePag. 18superi gli odi, i conflitti e gli scontri tradizionali, che vanno a cristallizzarsi in questo conflitto.
Occorre, tuttavia, sapere che, in quell'area geografica, anche l'Algeria gioca un ruolo non indifferente: i campi profughi, infatti, sono in Algeria e nel deserto algerino. Esiste un utilizzo strumentale - a mio giudizio - del popolo saharawi, come popolo «cuscinetto» fra l'Algeria e il Marocco, con un intervento «pesante» dell'Algeria, non solo nel sostenere e accogliere le popolazioni saharawi, ma anche nel tenere viva una «spina nel fianco» del governo marocchino.
Quindi, numerosi sono gli elementi di difficoltà, gli elementi di obiettiva incapacità di intervento, che hanno dimostrato l'Europa e l'ONU. Tuttavia, per dare una speranza concreta, per evitare il rischio di spirali violente - che sono sempre dietro l'angolo, in particolare in questa fase storica di terrorismo internazionale, di globalizzazione della violenza (invece che di globalizzazione dei diritti) - occorre dare sostanza e forma a soluzioni e al riconoscimento dei diritti, già sanciti nelle nostre dichiarazioni e in quelle dell'ONU.
Questo è un dato importante. Con tale mozione ribadiamo una strategia di intervento...
PRESIDENTE. Onorevole Mellano, concluda.
BRUNO MELLANO. ...ricordando - e concludo - che anch'io, come altri colleghi, ho avuto la possibilità di conoscere direttamente quella realtà.
Desidero ringraziare uno dei tanti organismi che agisce nel territorio, la Recosol (la Rete dei Comuni Solidali), che, insieme al comune di Carmagnola (dove ho lavorato per un anno), è stata presente - ed è presente -, come tanti altri comuni ed enti locali, con aiuti umanitari diretti, in una realtà in cui un quaderno, una matita, una penna, cambiano la storia almeno di una generazione di giovani, che studia per poter avere un futuro.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gambescia. Ne ha facoltà.
PAOLO GAMBESCIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la mozione Leoni ed altri n. 1-00159, che il gruppo dell'Ulivo sostiene con convinzione, viene titolata negli atti parlamentari «Iniziative in favore del popolo saharawi».
Ritengo che tale titolo sia riduttivo. Il problema - come hanno illustrato i colleghi - è di natura politica, oltre che umanitaria; esso riguarda, in primo luogo, la situazione nel Mediterraneo. Tale problema è politico anche perché riguarda i rapporti tra nord Africa, il Maghreb e l'Europa.
In tale quadro, la posizione italiana non è affatto secondaria, come, d'altra parte, dimostra l'attenzione che l'Italia ha sempre rivolto a quel problema. Esso può essere riassunto in tre punti.
Non racconterò la storia del dramma di questo popolo - che è già stata ampiamente illustrata - ma mi soffermerò solamente sulle ultime risoluzioni ONU e sulle ultime iniziative diplomatiche.
Il primo punto, ovviamente, riguarda gli aiuti umanitari; il secondo punto riguarda i diritti umani e l'esercizio dei diritti politici; il terzo punto riguarda le possibili vie di uscita da una situazione che si trascina da trent'anni nonostante l'impegno, non solo apparente, della comunità internazionale.
Ricordiamo che la risoluzione ONU che fissa tali punti ormai risale a diciassette anni fa, è del 1990. È vero, accade spesso che le risoluzioni dell'ONU non trovino attuazione, ma in questo caso dopo quella del 1990 ve ne sono state altre.
L'ONU e le organizzazioni umanitarie internazionali sono presenti sul territorio, è vero, e non si tratta - come per molte altre realtà - di una situazione dimenticata, anche e soprattutto per merito del Fronte polisario, che svolge un'intensa attività diplomatica. Ciò è, francamente, singolare: vi è un'intensa attività diplomatica per un popolo che non viene riconosciuto - sono le frequenti contraddizioni della politica internazionale - ed è giusto che nella mozione Leoni ed altri n. 1-00159 siPag. 19sottolinei come il riconoscimento, dal punto di vista diplomatico del Fronte, non sia secondario.
Partirò dagli sviluppi delle iniziative diplomatiche in quest'anno, poiché, apparentemente, vi è stata una svolta che, tuttavia, non sembra ancora aver aperto la strada in modo definitivo alla soluzione del problema. Nel febbraio di quest'anno è stato nominato dal Segretario generale delle Nazioni Unite il nuovo Rappresentante speciale per il Sahara occidentale e due mesi dopo - il 10 e l'11 aprile - il Fronte polisario e il Governo marocchino hanno presentato le loro due ipotesi di soluzione. Per la verità, sono ormai quindici anni che vengono proposte soluzioni spesso divergenti e non si trova un punto di incontro, anche se la speranza è che questa volta si riesca a fare un passo in avanti dal punto di vista diplomatico. Tuttavia, le due posizioni continuano ad essere molto distanti. Il punto centrale consiste sempre nel come svolgere il referendum e quale valore attribuirgli.
Da una parte, il Fronte polisario ha ribadito la sua posizione, secondo cui la questione del Sahara occidentale costituisce essenzialmente un problema di decolonizzazione (abbiamo ascoltato ciò anche nei precedenti interventi) e, quindi, la soluzione consisterebbe nell'indizione del referendum. Se come è vero, in quel territorio, la situazione si è determinata per la ritirata delle forze che lo occupavano, giustamente il Fronte polisario chiede che venga loro consentito di dire cosa vogliono essere e come si vogliono organizzare.
Dall'altra parte, invece, il Marocco continua a mantenere la propria posizione, che attribuisce un valore relativo al referendum, perché continua a ritenere che il territorio gli appartenga, le regole continuano ad essere quelle proprie di uno Stato unitario e, pertanto, l'autonomia è vigilata e controllata.
Le due posizioni non sono facilmente accostabili. Tuttavia, nei giorni scorsi, si è svolta una riunione, alla quale l'ONU ha chiesto che partecipassero anche Algeria, Marocco, Mauritania e il Fronte polisario. Qualcosa si sta muovendo. Pertanto, a maggior ragione, è importante la mozione in discussione in Parlamento.
Potremmo domandarci quale sia il valore di una mozione. In realtà, mediante una mozione, si può fare molto, perché essa ribadisce la posizione dell'Italia, spinge a prendere un impegno, non solo per quanto riguarda le possibilità di intervenire da parte del Paese, ma anche perché chiama a raccolta le forze in Europa che desiderano affrontare tale problema. È fuori discussione che l'Europa debba affrontarlo - avrebbe dovuto farlo con maggior forza, già da molto tempo - per la geografia, per gli interessi, per la presenza americana, in funzione di mediazione in tale situazione, e per l'emarginazione dell'Europa, spesso ridotta, per così dire, a coprire il segmento degli aiuti umanitari e assistenza ai profughi, anche se non si tratta di cosa di poca importanza, dato che sono oltre 150 mila persone.
La mozione in discussione deve chiamare il Governo italiano ad assumere un'iniziativa, perché l'Europa si muova, in quanto, come al solito, l'Europa ha due differenti posizioni abbastanza nette, quella francese e quella spagnola, determinatesi storicamente nella disattenzione di molti altri Paesi.
Finora la Francia, per i rapporti storici avuti con il Marocco, ha cercato di avere un occhio di riguardo, per usare un eufemismo, rispetto alle posizioni dello stesso Marocco. Potrebbe darsi che il nuovo Governo francese assuma posizioni diverse; vi è da augurarsi che imprima una maggiore spinta in direzione dell'accordo. In presenza di tale situazione, è giunto il momento di spingere sull'acceleratore.
Di recente, al Senato, il Viceministro degli affari esteri Intini ha affermato qualcosa di interessante, sostenendo come sia assolutamente paradossale che, negli anni 2000, l'Algeria e il Marocco, investiti entrambi dal terrorismo fondamentalista, anziché preoccuparsi di fare fronte comune contro questa minaccia, litighino. Si tratta di un ulteriore aspetto che dovrebbe interessare l'Europa, anch'esso non secondario,Pag. 20in quanto, ad esempio, la lotta al terrorismo si effettua, in primo luogo, laddove lo stesso terrorismo cresce, si alimenta e successivamente viene esportato.
Lasciare incancrenire condizioni simili, significa anche creare le condizioni perché si sviluppino situazioni pericolose o potenzialmente tali.
C'è un aspetto umanitario, di tutela dei diritti umani. La Croce rossa afferma che la situazione è migliorata (lo sostiene anche Amnesty international) ma il Fronte polisario continua a denunciare arresti, limitazioni della libertà fondamentale. C'è, poi, un aspetto politico generale che riguarda l'ONU e le iniziative che l'ONU mette in campo per cercare di disinnescare i focolai pericolosi e c'è un problema che riguarda il Mediterraneo e l'Europa.
Il gruppo dell'Ulivo sostiene in modo convinto la mozione in esame e credo che quando un Parlamento ha una visione ampia, uno spettro ampio di possibilità di intervento e pone questioni come quella ora considerata, svolge esattamente il compito proprio di un Parlamento nazionale. Esso cioè non solo riflette su quanto possa realizzare direttamente, ma anche su ciò che può fare per spingere gli altri Paesi a muoversi insieme verso la soluzione del problema.
Nella discussione che seguirà potranno essere affrontati altri temi, ma a me pare che questi tre siano i punti che la mozione individua, i tre punti fondamentali per ogni riflessione e ogni azione a difesa di un popolo martoriato, ma anche a difesa della stabilità nel Mediterraneo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi.
VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare per la sensibilità con cui il Parlamento della Repubblica ha avviato la discussione su un tema e su una questione delicata, ma che al tempo stesso ci tocca da vicino - come avete ricordato anche voi - e non solo per i nostri interessi, ma anche perché abbiamo fatto riferimento a loro come nostri amici del deserto, come popoli ai quali l'Italia guarda con particolare amicizia e al tempo stesso con particolare preoccupazione.
Tuttavia, ritengo utile intervenire a nome del Governo della Repubblica nella discussione sulle linee generali della mozione cercando di fornire alcuni aggiornamenti utili sugli ultimi sviluppi della situazione nel Sahara occidentale.
È noto che lo scorso 30 aprile il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione sul rinnovo del mandato della missione Minurso. Tale risoluzione riprende quanto affermato dal Segretario generale nel suo rapporto semestrale sulla necessità di avviare il negoziato senza precondizioni tra il Marocco e il Fronte polisario al fine di superare la situazione di stallo e giungere quindi ad una soluzione equa e definitiva.
La risoluzione inoltre, sotto gli auspici di tali negoziati, invitava il Segretario generale a riferire in Consiglio, entro il 30 giugno prossimo, sui progressi ottenuti. In seguito a tale risoluzione, come ricordato poco fa dall'onorevole Gambescia, sono stati avviati in questi giorni, esattamente il 18 e 19 giugno a New York, i negoziati diretti tra Marocco e Fronte polisario, sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Il dato positivo è che si è raggiunto l'accordo per una nuova tornata negoziale da tenersi entro la seconda settimana di agosto, sempre a New York. I colloqui sono avvenuti in una atmosfera generalmente definita buona sul piano dei rapporti e, già in questa prima fase, si è parlato di temi di fondo relativi ai territori, evitando procedure o schermaglie procedurali che avrebbero ritardato o impedito l'avviamento del dialogo e dei negoziati.Pag. 21
Riteniamo che si tratti di un processo che possa avere sviluppi positivi e per questo abbiamo lavorato nei mesi scorsi: il Ministro D'Alema in prima persona, il Viceministro Intini ed io stesso ci siamo fortemente impegnati e attivati per facilitare la ripresa dei negoziati diretti fra Marocco e Fronte polisario senza precondizioni nel rispetto del principio dell'autodeterminazione.
Di questo impegno ci è stato dato ampiamente atto da parte delle autorità marocchine e algerine e dei rappresentanti del Fronte polisario. La risoluzione votata in aprile è anche frutto dell'azione condotta dal Governo italiano, e per tale ragione non riteniamo opportuno, valutando le considerazioni espresse nella mozione, in questa fase negoziale che si sta aprendo sotto gli auspici e con il concorso delle Nazioni Unite, assumere delle iniziative unilaterali.
Nel nostro caso, non possiamo che confermare che manterremo la nostra posizione, facendo valere anche il nostro ruolo, in particolare nel Consiglio di sicurezza. Nel corso del dibattito avete fatto riferimento, giustamente, innanzitutto e soprattutto, al dramma umanitario che il popolo saharawi vive. Naturalmente, questo dramma non potrà che avere, attraverso la soluzione negoziale, una risoluzione definitiva (è questo il nostro auspicio). Sottolineo che abbiamo sempre manifestato attenzione e solidarietà ai saharawi, come ci è largamente riconosciuto dagli stessi rappresentanti del Fronte polisario.
La cooperazione italiana, la protezione civile e altri enti di carattere umanitario contribuiscono da anni ad alleviare, con interventi mirati e diretti, per quanto possibile, i forti disagi di quella popolazione. Se ciò sta in cima alle nostre preoccupazioni - come è giusto e come deve essere - ribadiamo che questo impegno non verrà meno, anche di fronte a un eventuale stallo negoziale, mantenendo saldo il principio, per così dire, di amicizia nei confronti delle parti in causa, non soltanto per ragioni di interesse generale, siano esse di carattere economico o collegate alla sicurezza, stabilità e pace dell'area, ma anche perché, nel corso della nostra storia, abbiamo sempre mantenuto nei confronti del popolo saharawi e dei governi algerino e marocchino un rapporto di franca, salda e solida amicizia. In virtù di questo, ci è riconosciuto un ruolo di terzietà, che può essere di grande aiuto, soprattutto ora che si avvia una seconda fase di carattere negoziale.
Per quanto concerne la mozione, ci riserviamo di esprimere il parere del Governo nel prosieguo del dibattito. L'impegno del Governo è comunque quello di venire incontro, nel modo più coerente e concreto possibile, agli orientamenti, ai principi e agli auspici espressi nella mozione stessa.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 12,50, è ripresa alle 13.
Discussione delle mozioni Germontani ed altri n. 1-00186, Pellegrino ed altri n. 1-00188, Mura ed altri n. 1-00189, Fabris ed altri n. 1-00190 e Volontè ed altri n. 1-00191 sulle misure di contrasto alla pedofilia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Germontani ed altri n. 1-00186, Pellegrino ed altri n. 1-00188, Mura ed altri n. 1-00189, Fabris ed altri n. 1-00190 e Volontè ed altri n. 1-00191 sulle misure di contrasto alla pedofilia (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2007.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Germontani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00186. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, ringrazio il Ministro per le politiche per la famiglia per la sua presenza, in un momento che il mio gruppo ritiene particolarmente importante.
Abbiamo chiesto alla Presidenza della Camera la calendarizzazione delle mozioni in esame, che hanno per oggetto la delicata questione della pedofilia. L'abbiamo chiesta alla vigilia della giornata del 23 giugno, la giornata di domani, nella quale attraverso numerosi siti Internet i pedofili di tutto il mondo si sono dati appuntamento per celebrare il Boy love day, la giornata dell'orgoglio pedofilo, con il dichiarato intento di diffondere la cultura della pedofilia e di solidarizzare con i violentatori di bambini in carcere.
Credo che ci siano circostanze in cui un Parlamento, anche se vuoto come oggi, debba essere richiamato ad un momento di forte responsabilità. Oggi iniziamo la discussione delle mozioni, in seguito proseguiremo l'esame e le voteremo, e mi auguro che tutto il Parlamento sia solidale nel chiedere un impegno forte su quello che consideriamo un terribile crimine, e quindi un impegno forte delle istituzioni nella lotta contro di esso.
L'iniziativa di domani è solo l'ultima manifestazione di un fenomeno che assume dimensioni sempre più inquietanti per numero di adepti e per la quantità di materiale osceno diffuso ogni giorno attraverso i canali della comunicazione telematica. La diffusione di foto, film e immagini pornografiche oggi trova ampio mercato su Internet, dove è sempre più frequente e inquietante anche lo scambio di materiale pedopornografico. L'individuazione dei pedofili nella rete non è un compito facile, perché essi cambiano con frequenza le loro tecniche di adescamento e gli agenti della polizia postale e delle comunicazioni hanno scoperto che, se per adescare un bambino, i pedofili scelgono nomi tratti da fumetti o cartoni animati, per riconoscersi fra di loro invece utilizzano un nickname di tipo diverso, cioè un nomignolo.
Tra l'ottobre 2004 e il settembre 2005 sono state 3.106 le segnalazioni inviate a Stop-It, un sito web creato dall'associazione Save the Children nel 2002, cui è possibile segnalare la presenza di materiale pornografico individuato in rete, e che, fino a oggi, ha ricevuto più di 7.700 segnalazioni. Nel 2005 esse sono aumentate, rispetto all'anno precedente, del 10 per cento, e nella maggior parte dei casi sono riferite a siti pedopornografici. Il dato più significativo riguarda però le segnalazioni di file sharing, ovvero file messi in condivisione sul web e scaricati gratuitamente, che sono cresciute dell'85,4 per cento, passando da 165 a 306. Anche le e-mail indesiderate, le cosiddette spam, contenenti link o foto pedopornografiche sono quasi raddoppiate, passando da 428 a 631. Inoltre l'abbinamento di Internet al telefono cellulare, con la possibilità di inviare immagini, aumenta le occasioni per i minori di esposizione a materiale pedopornografico, di molestie e di adescamento a scopo sessuale.
I dati che arrivano invitano ad una riflessione attenta sull'evoluzione continua della pedofilia in Internet e sul ruolo che ciascun soggetto - il legislatore, le istituzioni, la polizia, i provider, le associazioni specializzate - è chiamato a svolgere, con particolare attenzione ad evitare ritardi ed indecisioni, i cui costi, per le bambine e i bambini coinvolti, sono ancora tanto alti da risultare davvero incalcolabili.
Si stima che un sito pedopornografico registri da un minimo di 7 mila ad un massimo di 20 mila contatti al giorno, e l'aumento di questo tipo di siti fra il 1997 e il 2005 è stato del 1.500 per cento (del 60 per cento solo nell'ultimo anno). Si tratta di dati allarmanti, ma che rappresentano soltanto la punta di un iceberg: infatti, gli esperti della polizia postale ePag. 23delle comunicazioni rilevano come le violenze avvengano ancora e soprattutto fra le mura domestiche e non riguardino solo le famiglie degradate, ma tutte le classi sociali e tutte le categorie di professionisti. È di tutta evidenza, quindi, che il permissivismo estremo, la tolleranza e l'eccessiva indulgenza rispetto ad ogni tipo di comportamento portano a simili degenerazioni.
David Riegel è l'ideologo del Boy love day, ed ha fondato la Safe Haven Foundation, il sito che espone la teoria del pedofilo responsabile. Riegel giustifica la perversione sui minori, affermando che il vero danno non è rappresentato dal rapporto sessuale in sé, poiché esso in molti casi si svolge con il consenso delle parti, ma che sono le terapie successive, la manipolazione di familiari e medici, ad interpretare l'atto come perverso, senza considerare - afferma Riegel - la libera adesione delle parti. Si tratta però di una libertà falsa, di una deviazione morale frutto della cultura permissiva: queste frasi sono sconcertanti, ma raccolgono sempre più consensi; basti pensare che Riegel ha raccolto oltre 40 mila firme contro l'opposizione fatta al Boy love day.
A mio avviso dobbiamo prendere le distanze da due atteggiamenti culturali opposti nei confronti della pedofilia, entrambi pericolosi e che paradossalmente si rafforzano a vicenda: uno è quello della caccia alle streghe, nutrito da una sospettosità persecutoria e sessuofobica, scatenata in un'indefessa ricerca di colpevoli da giustiziare; l'altro è quello snobistico di una sorta di tollerantismo che si schiera a difesa della libertà sessuale anche nei casi dei crimini più indicibili, o che pretende di fare tendenziosi distinguo fra coloro che «consumano» bambini e coloro che «consumano» immagini di bambini.
Sono molti ancora i casi che potrei citare: non ultimo quello della recente e sconvolgente scoperta da parte dell'associazione Meter di don Di Noto - che da tempo si adopera per combattere il fenomeno della pedofilia - di una TV in webcasting (cioè visibile tramite Internet) dedicata al childlove: una TV nata per spiegare la gioia di abusare dei minori. Inoltre, da uno studio della Caramella buona, un'associazione che da anni si batte per la tutela dei minori, è emerso che in Italia sono quindici le organizzazioni pedofile che si autodefiniscono culturali e che l'Italia è il secondo Paese al mondo per visite alla Thailandia per turismo sessuale a danno dei minori.
La prima Conferenza internazionale sul tema del turismo e dello sfruttamento sessuale infantile a fini commerciali - svoltasi nel marzo di quest'anno a Madrid - ha evidenziato come nei prossimi cinque-sette anni le cifre sul fenomeno della pedofilia saranno sempre più allarmanti. Basti considerare il dato italiano: nel solo 2006 si è registrato un aumento del 30 per cento dei casi di abuso sessuale su minori rispetto agli anni precedenti. I centri nevralgici individuati sono la Lombardia, il Veneto, il Lazio e la Campania. Per quanto riguarda gli abusi nelle scuole, il settimanale Panorama ha recentemente pubblicato un'inchiesta, basata su un rapporto della Corte dei conti, da cui emerge che, sugli oltre cinquanta casi accertati ai quali hanno fatto seguito condanne con sentenza definitiva per reati sessuali nelle scuole italiane, diciotto persone sono ancora in servizio. Inoltre, mentre taluni dei condannati sono stati almeno trasferiti, altri - dopo un periodo di sospensione dal lavoro - sono addirittura tornati nella stessa scuola dove lavoravano in precedenza. Questo rappresenta, come è facile immaginare, un doppio trauma per il bambino vittima di violenza, che non solo non vede condannato il proprio seviziatore, ma rischia anche di diventare nuovamente bersaglio delle sue attenzioni deviate.
Secondo le stime riportate nell'ultimo rapporto ONU sulla violenza sui bambini, nel mondo i minori costretti a subire violenze sessuali sono oltre 63 milioni ogni anno. È proprio di oggi la notizia, riportata dal Corriere della sera, relativa alle violenze sessuali che in Australia subiscono i bambini aborigeni. Il quotidiano riferisce di minori vittime di pedofili ubriachi, in un minuscolo Stato a 250 chilometri da Darwin. È un fenomenoPag. 24odioso e drammatico, che va inquadrato nella gestione da parte del governo di quelle comunità locali, appunto aborigene, che da oltre quarant'anni vivono in isolamento e hanno trasformato i loro villaggi in ghetti, isolati dal resto del Paese, senza leggi, con la popolazione femminile e i minori vittime di costanti violenze.
Si tratta, pertanto, di una vera piaga. Il rapporto, che da don Fortunato Di Noto è stato definito l'olocausto bianco, ha denunciato come tra i fenomeni di violenza sui minori più gravi, ma anche meno noti, vi siano quelli della cosiddetta violenza assistita sui bambini, che si verifica quando i piccoli abbiano assistito al maltrattamento e all'abuso sessuale di un fratello o della propria madre. Si tratta di un fenomeno poco conosciuto e sottovalutato rispetto alla gravità dei danni che possono derivarne, e che si stima riguardi circa un milione di minori in Italia.
Con la legge 20 marzo 2003, n. 77, l'Italia si è assunta l'impegno di istituire il garante nazionale dei diritti dell'infanzia, al quale, tuttavia, non si è ancora adempiuto. Il garante, che già è stato istituito in molti paesi e anche in alcune regioni italiane, si prefigge il compito di tutelare i diritti e gli interessi dei minori attraverso la vigilanza sull'applicazione delle leggi che li proteggono e l'accoglimento di richieste e lamentele, informando e orientando l'azione dei pubblici poteri a favore dei diritti dei minori.
Vorrei inoltre portare all'attenzione dell'Assemblea che l'ordine del giorno Buontempo n. 9/1287/104, presentato nel luglio 2006 in occasione della conversione in legge del decreto-legge n. 181 del 2006 sulla riorganizzazione dei ministeri, chiedeva, alla luce della difficile individuazione delle competenze ministeriali in materia di difesa dei diritti dell'infanzia, che si trovasse un'intesa al fine di una sollecita approvazione delle proposte di legge relative all'istituzione di un garante, ma nonostante l'accoglimento dell'atto da parte del Governo, ancora nulla è stato fatto.
È evidente che questi ritardi e queste incertezze da parte del Governo non fanno altro che accrescere il numero delle vittime. Di fronte ad un crimine vergognoso come quello della pedofilia, la politica ha il dovere di fare qualcosa di più che scandalizzarsi. L'Italia è tra i sottoscrittori della Convenzione del Consiglio d'Europa sul cybercrime, la criminalità informatica, firmata a Budapest il 23 novembre 2001 ed entrata in vigore il 1o luglio 2004, che riserva grande attenzione alla repressione dei fenomeni di pornografia infantile, ai quali dedica l'articolo 9, includendo tra i crimini aventi contenuto inerente alla pedopornografia la produzione, l'offerta, la messa a disposizione, la diffusione, la trasmissione e il procacciamento o possesso di materiale pedopornografico mediante sistema informatico. Tale Convenzione non è ancora stata ratificata da parte del nostro Paese.
L'obiettivo cardine della Convenzione è la promozione di una politica comune, intesa a tutelare la società dai crimini informatici, adottando una legislazione appropriata e realizzando una fruttuosa cooperazione a livello internazionale. Rappresenta, quindi, uno dei migliori strumenti a nostra disposizione per contrastare tale fenomeno, visto anche i numerosi porti franchi telematici internazionali ed europei, come il Liechtenstein, in cui pedofili possono collocare indisturbati i loro siti.
Nella lotta alla pedofilia, inoltre, è importante sostenere, con gli adeguati strumenti amministrativi e finanziari, lo sforzo compiuto dalle forze dell'ordine, con particolare riguardo alla diffusione del fenomeno attraverso i canali telematici. La nostra polizia postale, una delle migliori del mondo, sta svolgendo un grande lavoro, ma è indispensabile che essa venga dotata degli strumenti più innovativi e all'avanguardia per contrastare la pedofilia on line.
Inoltre, occorre riconsiderare anche il codice penale, perché in materia di pedofilia e di violenza sui minori non solo va sostenuta l'azione delle forze dell'ordine, anche attraverso il controllo dei canali telematici, ma va soprattutto concepita una legislazione più intransigente, in gradoPag. 25di individuare i responsabili e di prevenire e reprimere tale fenomeno con pene e sanzioni più adeguate.
Pertanto, a nome del mio gruppo, con la presente mozione, chiedo al Governo di sostenere, con adeguati strumenti amministrativi e finanziari, lo sforzo sostenuto dalle forze dell'ordine nel contrasto alla pedofilia e di adottare ogni iniziativa atta a garantire la sicurezza dei bambini e degli adolescenti all'interno delle istituzioni scolastiche, da un lato, realizzando un efficiente sistema di monitoraggio e, dall'altro, garantendo che i dipendenti del Ministero della pubblica istruzione che abbiano subito condanne passate in giudicato per reati sessuali siano allontanati in via definitiva dalle strutture scolastiche.
Chiediamo di coordinare in modo efficace l'operato dei singoli ministeri, sia in ordine alla lotta alla povertà, sia in ordine agli aiuti e al sostegno alle famiglie ed ai minori, monitorando e analizzando la quota di finanziamenti che l'Italia destina ogni anno complessivamente e specificatamente ai bambini, ponendo rimedio all'eccessiva frammentazione dei fondi per l'infanzia tra i diversi dicasteri.
Invitiamo il Governo, nell'ambito dei lavori parlamentari, a procedere tempestivamente, sia alla ratifica della Convenzione relativa alla criminalità informatica, sia alla calendarizzazione ed approvazione delle proposte di legge volte ad istituire la figura del garante dell'infanzia.
Chiediamo, inoltre, di approvare e di approntare specifiche politiche e programmi mirati di prevenzione primaria e secondaria contro le violenze sui minori, prestando attenzione alle nuove forme di maltrattamento di cui ho parlato nel corso del mio intervento; si tratta di maltrattamenti e di abusi scarsamente conosciuti e sottovalutati come, ad esempio, la violenza assistita.
Il gruppo di Alleanza Nazionale è fortemente impegnato su questo fronte, e non da oggi. Abbiamo chiesto con forza la calendarizzazione, come ho detto all'inizio del mio intervento, della mozione nella giornata odierna, alla vigilia della giornata del Boy love day; siamo impegnati nelle piazze, tra la gente e nel Parlamento europeo. Siamo sicuri che tutto il Parlamento si unirà a noi su questo fronte e nel chiedere al Governo un impegno che renderà nobile la nostra presenza in quest'aula.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pellegrino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00188. Ne ha facoltà.
TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, saluto e ringrazio il Ministro Bindi per la sua presenza che, ancora una volta, dimostra quanto il Governo e il Ministro stesso siano sensibili ad un problema così sentito come quello della pedofilia.
Nei giorni scorsi particolare scalpore ed indignazione ha destato l'iniziativa intrapresa per via telematica dal titolo Boy love day, ossia la giornata dell'orgoglio pedofilo, che si celebrerà domani, 23 giugno. Si tratta di una vergognosa e ignobile iniziativa internazionale, promossa da diverse associazioni che dialogano attraverso siti Internet con lo scopo di diffondere la «cultura della pedofilia» e solidarizzare con i violentatori di bambini in carcere.
Diversi sono stati i mezzi di informazione che si sono occupati di questo tema negli ultimi giorni. Tra i primi, vorrei ricordare il quotidiano Epolis che ha promosso un appello rivolto all'Unione europea, all'UNICEF e a tutte le istituzioni, affinché il Boy love day non si celebri e affinché vengano oscurati tutti i siti Internet in cui si sta propagandando tale iniziativa criminale. Meritoriamente, il nostro Paese è riuscito, nei giorni scorsi - per merito del sofisticato lavoro della polizia postale (che ringraziamo) e della collaborazione dei provider italiani - a bloccare, di fatto, su tutto il territorio nazionale, l'accesso al sito tedesco incriminato di promuovere detta vergognosa iniziativa.
A fronte del generale miglioramento delle condizioni di vita, nel mondo occidentale si assiste ad un pericoloso incremento del fenomeno della pedofilia, sia in ambito extrafamiliare sia in ambito intrafamiliare. L'avvento di Internet ha consentito -Pag. 26e, purtroppo, favorito - da una decina di anni il consolidarsi di una nuova dimensione organizzata della pedofilia che, grazie al web, ha posto in connessione tra di loro pedofili di tutto il mondo che, sfruttando l'anonimato del mezzo telematico, hanno costituito vere e proprie reti criminali al cui interno vengono scambiati materiali pedopornografici e vengono pensati, progettati e realizzati gli abusi.
L'attuale livello di sviluppo tecnologico consente la diffusione di aberrazioni criminali, contro cui ancora oggi si fatica a trovare strumenti realmente validi per individuare e punire i responsabili. Nel nostro Paese l'impegno contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori è stato - ed è - senza dubbio importante ed ha portato a dotarci di una legislazione complessivamente tra le migliori a livello europeo.
Con la legge 3 agosto 1998, n. 269, il Parlamento italiano ha introdotto nell'ordinamento giuridico norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori quali nuove forme di riduzione in schiavitù, che, insieme a quelle introdotte con la legge n. 66 del 1996 sulla violenza sessuale, costituiscono norme avanzate a tutela dell'interesse superiore dei minori e nel contrasto ai reati legati alla pedofilia e allo sfruttamento sessuale; la legge n. 269 del 1998 ha altresì dato attuazione all'impegno assunto dal nostro Paese in virtù della Convenzione di New York sul diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176. Quindi, con la legge 6 febbraio 2006, n. 38, recante «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet», il nostro Paese si è dotato di un ordinamento normativo importante in materia di tutela dei minori e di contrasto allo sfruttamento sessuale dei bambini e alla pornografia infantile.
Il contesto normativo italiano si dimostra ampiamente esaustivo dal punto di vista delle disposizioni necessarie a contrastare lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile e, in tal senso, concorre a rafforzare il principio secondo cui questi fenomeni costituiscono gravi violazioni dei diritti dell'uomo e del diritto fondamentale di tutti bambini ad una crescita, ad un'educazione e ad uno sviluppo armonioso. Va evidenziato, tuttavia, che, non altrettanto esaustivi ed efficaci sono gli strumenti operativi attualmente disponibili tramite cui assicurare una reale osservanza delle vigenti norme di contrasto allo sfruttamento sessuale dei bambini.
Sottopongo alla vostra attenzione alcuni dati, per renderci conto delle dimensioni di questo vergognoso fenomeno: l'Internet watch foundation stima che il numero dei siti che veicolano materiale pedofilo sia aumentato del 1.500 per cento dal 1997 al 2005; 400 siti pedofili sono stati oscurati e sequestrati in Italia negli ultimi quattro anni; la vendita di materiale pedopornografico via Internet genera un profitto di circa un miliardo di euro; ogni anno si contano due milioni di nuove vittime, mentre si sta diffondendo l'infantofilia, cioè la violenza su neonati e piccoli fino a cinque anni di età. Nel mondo sono oltre 73 milioni ogni anno, secondo le stime riportate nell'ultimo rapporto dell'ONU sulla violenza sui bambini, i minori costretti a subire violenze sessuali. Don Fortunato Di Noto, parroco di Avola (Siracusa), che ha fondato l'associazione Meter e che lotta proprio contro la pedofilia, la definisce giustamente «l'olocausto bianco». Agli indispensabili e urgenti interventi repressivi per contrastare con efficacia il fenomeno della violenza sui minori, è importante affiancare il contributo di tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti: istituzioni, mass media, associazioni, famiglie, ai fini della consapevolezza della società civile.
In Italia, la polizia postale e delle comunicazioni svolge un lavoro valido ed efficace, purtroppo, però, non ha il potere di chiudere siti esteri, proprio quando la gran parte dei siti in questione sono stranieri. La natura transnazionale delle organizzazioni di pedofili impone, quindi, l'attivazione di una rete di contatti operativiPag. 27tra le forze di polizia di tutto il mondo per scambi di informazioni in tempo reale. È opportuno, inoltre, considerare che, in base a quanto documentato dalle indagini giudiziarie e dalla letteratura scientifica internazionale, il rischio di recidiva dei pedofili rimane pressoché inalterato nel tempo e, quindi, ben oltre il periodo di detenzione previsto in caso di condanna penale. Tale fattore, pertanto, suggerisce l'attivazione di interventi di prevenzione e di controllo. La pedofilia, prima ancora di estrinsecarsi in un atto delittuoso, è, infatti, soprattutto un disturbo della sfera sessuale, con rilievo dal punto di vista psichiatrico, e in ambito medico sono stati, quindi, elaborati diversi modelli trattamentali.
Con riferimento al trattamento psicoterapeutico dei delinquenti sessuali, uno studio condotto in Olanda negli anni Novanta aveva rivelato che la percentuale di recidiva varia dal 36 all'80 per cento ove non vi sia trattamento, mentre si va dallo zero al 18 per cento in caso di trattamento effettuato.
Il gruppo dei Verdi chiede al Governo di impegnarsi su due fronti: sul fronte nazionale e su quello comunitario. Per quanto concerne l'ambito nazionale, chiediamo al Governo di istituire un'agenzia nazionale per la prevenzione e il contrasto agli abusi sui minori - noi Verdi abbiamo anche presentato una proposta di legge che va in questa direzione - al fine di consentire un costante monitoraggio quantitativo e qualitativo del fenomeno, attraverso studi specialistici e ricerche in collegamento con organismi investigativi italiani ed esteri, e la creazione e la gestione di una banca dati di soggetti e informazioni investigative, provenienti anche da attività di contrasto all'estero e contenente elementi correlati alla pedofilia e agli abusi sui minori in genere, come momento fondamentale per un'indispensabile attività di intelligence e di supporto investigativo agli organismi di polizia giudiziaria.
Chiediamo, inoltre, di rafforzare i controlli della polizia postale, anche attraverso più adeguate risorse finanziarie, che consentano - tra l'altro - l'utilizzazione di metodi tecnologici di indagine sempre più sofisticati, ormai indispensabili per contrastare la pedofilia on line.
Chiediamo anche di assumere l'iniziativa - alla luce dei numerosi studi medico-comportamentali esistenti che individuano nella maggior parte dei casi nella pedofilia un disturbo della sfera sessuale - di opportune disposizioni legislative che favoriscano il recupero dei delinquenti sessuali, prevedendo un trattamento terapeutico individuale per la persona che ha commesso questi specifici reati o che si ritenga in procinto di commetterne di nuovi e l'attivazione di interventi di prevenzione e di controllo.
Chiediamo al Governo un impegno anche in ambito comunitario, invitandolo ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie prerogative, al fine di proporre l'avvio di una sessione straordinaria del Parlamento europeo, che affronti il drammatico fenomeno della criminalità pedopornografica nei confronti dei minori. Chiediamo un impegno per la definizione di un ineludibile quadro di intervento comune - ancora sostanzialmente assente - e di una legislazione omogenea a tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Chiediamo, infine, di intensificare la cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia nella lotta alla pornografia infantile e alla violenza sessuale sui minori.
Noi Verdi riteniamo che, con questa mozione, il Parlamento debba dare un segnale forte e deciso nei confronti di una iniziativa, il Boy love day, che rappresenta un episodio veramente vergognoso. Riteniamo inoltre necessario esprimere anche una forte condanna nei confronti di tutte quelle iniziative che vanno nella direzione contraria alla tutela dei minori e dei bambini.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cosentino. Ne ha facoltà.
LIONELLO COSENTINO. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, il gruppo dell'Ulivo non ha presentato una propria mozione su questo tema perché ritiene che sia utile provare ancora a costruire unPag. 28documento da parte dell'insieme delle forze politiche presenti in Parlamento, come segnale - al di là della diversità dei ruoli politici - di un sentire comune molto importante su un tema che anche noi riteniamo di straordinaria importanza e drammaticità.
Ed è dunque per questo motivo che, se possibile, lavoreremo ancora, prima della votazione, per costruire un documento dell'insieme di tutte le forze parlamentari di impegno al Governo per una lotta senza quartiere alla pedofilia. Ciò che è avvenuto in questi giorni, questo Boy love day, dà il senso di ciò che si muove e cresce, in particolare nel mondo di Internet. Abbiamo apprezzato la rapidità con cui il Governo e le forze di sicurezza si sono mossi, il lavoro della polizia postale con l'oscuramento dei siti e riteniamo che non vi sia alcun dubbio che la lotta debba essere netta, forte, senza esitazioni e capace di intervenire su uno dei crimini di violenza più grave, verso bambini indifesi.
Concordo con moltissime considerazioni svolte dalla collega Germontani e dal collega Pellegrino. Alla collega Germontani vorrei dire solo questo. Ella ha dichiarato che questi fenomeni criminali, questi delitti di enorme gravità, con cui si arricchiscono, tra l'altro, organizzazioni internazionali con il traffico internazionale di materiale pedopornografico, sono figli di un permissivismo estremo.
Credo che affermare ciò, offra quasi una sorta di giustificazione culturale che non vorrei dare a chi si rende responsabile di atti di tale gravità. Credo che insieme dobbiamo segnare un discrimine invalicabile tra i principi di libertà sessuale tra adulti consenzienti, al di là delle opinioni di ciascuno, e l'elemento di violenza - che è sempre tale - nei confronti di un minore. Al di là di ogni altro elemento di valutazione, in ciò risiede la gravità di un fatto, che costituisce certamente un reato, ma che rappresenta anche un degrado culturale e spesso, come è stato detto dal collega Pellegrino, una devianza psichiatrica grave.
Non sono un esperto di psichiatria né di psicologia per sapere se tale fenomeno è figlio della repressione sessuale o no, e, del resto, la risposta all'interrogativo non m'interessa; mi preme, invece, che la battaglia per difendere i bambini dalla violenza, in tutti i momenti della loro infanzia, sia comune. La violenza avviene certamente attraverso Internet, ma si perpetra anche nelle istituzioni e spesso in famiglia; occorre, dunque, che le istituzioni sappiano capire, orientare e sviluppare le politiche d'intervento, e che siano capaci di seguire l'andamento del fenomeno e disporre delle risorse adeguate per realizzare gli obiettivi prefissati.
L'organo competente potrà essere un osservatorio, un'agenzia o l'ufficio del Garante: possiamo deciderlo insieme; così come insieme possiamo individuare gli strumenti d'azione più efficaci. Ciò che a me pare importante è che il Parlamento dia un segno forte di attenzione perché tutti riteniamo che questo crimine vada combattuto con la durezza necessaria.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, colleghi, un recente lancio dell'agenzia Reuters di Milano ci fornisce alcuni dati di riflessione, dai quali vorrei partire per svolgere il mio breve intervento.
In Italia, almeno un ragazzo su sei è stato vittima di abusi sessuali nell'infanzia o nell'adolescenza, e ogni anno vi sono almeno 41 mila casi di violenza su minori, ma per ogni episodio accertato, cento non vengono denunciati perché il 90 per cento delle violenze si consuma fra le mura domestiche. È quanto emerge da una ricerca condotta dal dipartimento di sanità pubblica dell'Università degli studi di Milano, secondo la quale, su un campione di 3 mila studenti milanesi nelle scuole secondarie superiori, è emerso che il 14 per cento, in maggioranza bambine e ragazze, è stato vittima di episodi di violenza o di abuso durante l'infanzia o l'adolescenza.
Il dato conferma un'analisi comune a tutti gli interventi e al sentire dell'intero Parlamento su un problema che è storico e antico, ma che ha assunto forme ePag. 29dimensioni nuove, certamente anche grazie ad un utilizzo spregiudicato della rete telematica globale, che permette l'uso di nuove connessioni e lo sviluppo di molte positive libertà, ma è indubbio che permetta, anche, l'esistenza di organizzazioni criminali più scientifiche e più moderne.
Intervengo a nome de La Rosa nel Pugno che questa mattina ha organizzato in questo ramo del Parlamento, presso la sala delle colonne, un convegno che riteniamo molto importante proprio perché ha attinenza con il problema di cui stiamo discutendo, il cui titolo è: «La repressione sessuale: una politica che genera violenza». Occorre riflettere e avere uno sguardo lucido sulle radici profonde di un disagio sociale e individuale crescente; noi poniamo l'accento su questo aspetto del problema in quanto lo riteniamo il nucleo centrale, ma voglio dire chiaramente che ho condiviso ed ho trovato assolutamente ragionevoli e sottoscrivibili molti degli spunti dell'intervento della collega Germontani.
In particolare nella parte centrale, laddove richiamava il doppio rischio: da una parte, quello della caccia alle streghe; dall'altra, quello di una giustificazione generica di un permissivismo e di un relativismo che non sa leggere il dato concreto. Dato concreto che, come ci ricordava ora il collega dell'Ulivo, è inequivocabile laddove c'è violenza, laddove c'è diritto negato all'infanzia e al vivere le fasi della transizione fisico-sessuale del ragazzo che cresce, laddove c'è il crimine, e quindi la violenza propriamente detta.
Pertanto su tale argomento, come Parlamento, abbiamo un ampio margine di manovra, sia perché il problema conosce fenomeni e aspetti nuovi sia perché, come accade in molti casi, abbiamo dei termometri della situazione in grado di farci riflettere. Recentemente mi sono recato al carcere di Verbania, dove da alcuni mesi è stata aperta una sezione particolare per i sex offenders; il carcere di Bollate ne ha una molto attiva da anni, nella quale si stanno sperimentando interventi veri e concreti. Molte volte, infatti, i nostri provvedimenti e le nostre dichiarazioni rischiano di essere delle gride manzoniane senza ricaduta concreta.
Allora, cerchiamo di operare e di capire come intervenire, poiché non è sufficiente reprimere o arrestare la violenza. Certamente ciò è importante, necessario e rappresenta il primo passo concreto, ma non si può pensare di chiudere in carcere una persona con accuse così infamanti (peraltro, in molti casi, con il procedere dell'inchiesta della magistratura, si scopre che le vicende sono andate diversamente da come sembrava durante la fase iniziale). Occorre, invece, essere consapevoli che su queste persone è necessario intervenire con tecniche e progetti specifici e moderni, che il Governo e il Parlamento devono trovare le risorse per procedere con interventi di prevenzione, di repressione, ma anche di riabilitazione, di recupero, di cura e, sostanzialmente, con interventi concreti e positivi.
Un rischio di tale dibattito, che ho ritrovato anche in alcuni passaggi della mozione Germontani, è quello di un certo strabismo: non si può non vedere che il dato della famiglia, all'interno di tale fenomeno, rappresenta un elemento anche di crisi, non solo di protezione. Il dato di come intervenire, prevenendo il fenomeno e favorendone l'emersione in questo momento deve partire da una riflessione senza paraocchi rispetto alla famiglia.
Occorre anche sottolineare che è importante parlare della scuola e individuare, come è stato fatto, il dato di contraddizione relativo a persone condannate che, successivamente, rientrano nell'ambiente di lavoro, ovvero nella stessa situazione che ha favorito, indotto o coltivato la devianza e la violenza. È necessario non avere paraocchi e affermare, come si sta cominciando a fare, che anche in certi ambienti - e devo citare i casi internazionali e nazionali relativi alla Chiesa cattolica - dobbiamo avere la forza di leggere il fenomeno e di guardare con lucidità.
Il convegno di oggi, organizzato dal collega Maurizio Turco con l'associazione Anticlericale.net, ha come testimoni privilegiatiPag. 30alcuni esponenti americani che testimoniano e denunciano, al di là e oltre di quanto già fatto da una trasmissione della RAI, episodi fortemente indicativi di come la trasgressione sessuale, in particolari ambienti di rigida conservazione e repressione, rischia di essere incentivata invece che impedita e superata.
Sul tema si potrebbero leggere anche interessanti riflessioni provenienti dal mondo cattolico: ne ho trovate alcune del Centro studi teologici di Milano, critiche nei confronti delle impostazioni del cardinale Ratzinger. Ciò, unito ad alcune ambiguità che hanno caratterizzato la gestione di casi internazionali, è il sintomo di un problema nell'affrontare questo dato che, però, spinge ad aggravare il fenomeno e non a superarlo ed affrontarlo. Quando si ha la leggerezza di creare trait d'union ingiustificati, come omosessualità e pedofilia, si rischia di far precipitare il dibattito in un confronto-scontro che non ci conduce da nessuna parte. Termino qui il mio contributo alla riflessione - che tale voleva essere - affermando che molti sono gli aspetti oscuri della vicenda.
Con il gruppo dei Radicali, sin dagli anni Novanta, insieme al segretario del partito Olivier Dupuis, eurodeputato belga eletto in Italia, abbiamo lanciato allarmi e denunce prima che esplodesse il caso belga di una connessione, giunta addirittura fino all'entourage della famiglia reale, che è stata coperta per anni. Si possono anche consultare, al riguardo, le interrogazioni al Parlamento europeo e le denunce puntuali.
Non abbiamo paura di affrontare questo tema, ma bisogna saper salvare dalla «caccia alle streghe» la libertà di espressione e la libertà di confronto vero e profondo su un dato sensibilissimo e delicatissimo, che deve vederci assolutamente uniti, in maniera convinta, contro le violenze, gli abusi e il mancato rispetto dell'infanzia e dell'adolescenza. Su tali basi anch'io spero si possa raggiungere un comune ragionare ed un operativo e concreto livello di iniziativa politica, che ci porti a dotare di infrastrutture, capacità e competenze tecniche la polizia postale, gli strumenti di prevenzione, le strutture carcerarie e il Ministero della giustizia, per costruire percorsi di recupero e di reinserimento sociale.
Ricordo che, in Italia, l'ergastolo è ormai superato e di fatto non esiste più da anni: chiunque sia accusato, e anche riconosciuto colpevole di questi reati, ritorna in società. Abbiamo il compito, quindi, di affrontare tale rientro, trovando - siamo uno Stato avanzato, sotto molti aspetti all'avanguardia - i canali migliori per intervenire efficacemente su un problema che però è anche - e soprattutto - un problema culturale, con il quale le nostre società affrontano il livello della sessualità.
Invito tutti a riflettere su come, più che il permissivismo, la repressione sessuale rischia di costituire un elemento che danneggia la battaglia comune contro la violenza e i crimini: tale elemento ci vede sullo stesso fronte di battaglia quotidiana e di attività, che spero si voglia portare avanti con concretezza ed efficacia.
PRESIDENTE. Constato l'assenza della deputata Capitanio Santolini, iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro per le politiche per la famiglia, Rosy Bindi.
Signor Ministro, intende intervenire ora o si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito?
ROSY BINDI, Ministro per le politiche per la famiglia. Signor Presidente, sceglierei entrambe le possibilità.
PRESIDENTE. Sta bene. In via del tutto eccezionale.
ROSY BINDI, Ministro per le politiche per la famiglia. Gradirei interloquire con iPag. 31presentatori delle mozioni e intendo, altresì, riservarmi di esprimere il parere sulle mozioni stesse, presentate peraltro solo nella giornata di ieri, anche perché sono molto articolate e complesse e contengono proposte davvero pensate ed approfondite, che investono molte amministrazioni e molti ministeri.
Quindi, è mia intenzione svolgere un approfondimento per poi riservarmi di esprimere il parere del Governo nel prosieguo del dibattito, auspicando anch'io, una posizione unanime da parte del Parlamento, non solo per quanto riguarda la condanna di qualunque atteggiamento, comportamento o uso di strumenti pedofili o a fini di pedofilia, ma possibilmente anche ai fini dell'individuazione di linee condivise e comuni per la prevenzione, la repressione e per la tutela dei minori.
Pertanto, come da tutti i presentatori delle mozioni, ed anche da chi è intervenuto e da chi si riserva di presentarne una successivamente, è stata auspicata, così come fa il Governo, una posizione il più possibile collegiale da parte del Parlamento, proprio per dare forza all'azione del Governo, ma anche per riuscire ad esprimere insieme ciò che credo sia nella realtà, come le mozioni in esame dimostrano. Quindi, al di là dell'individuazione delle cause, sulle quali credo sia giusto rinviare anche a momenti di studio e di approfondimento nelle sedi opportune, credo sia doveroso da parte dei rappresentanti del popolo italiano condannare in maniera unanime qualunque tipo non solo di atteggiamento e comportamento di abuso nei confronti dei minori, ma anche qualunque cedimento od acquiescenza culturale nei confronti di questo tipo di comportamento, per individuare insieme anche il percorso per combatterlo e per tutelare i nostri minori.
Approfitto dell'occasione per ringraziare i presentatori delle mozioni e quanti sono intervenuti, perché hanno voluto porre proprio oggi all'attenzione del Governo e del Parlamento del nostro Paese il tema della tutela dei minori di fronte all'abuso e allo sfruttamento sessuale.
Il motivo per il quale è stata scelta la giornata di oggi è chiaro a tutti noi: vogliamo mandare da subito un segnale preciso a chi si ostina ad organizzare la giornata del sedicente orgoglio pedofilo, che riteniamo essere, appunto, uno di quegli evidenti atteggiamenti culturali da condannare, proprio perché rischiano di indurre un comportamento acquiescente nei confronti degli abusi verso i minori e della pedofilia.
Occorre invece una reazione forte e unanime, prima che politico-culturale, perché la pedofilia non è solo violenza barbara e violazione dei diritti umani fondamentali, ma è negazione assoluta della realtà stessa dell'infanzia e dell'adolescenza. Il Governo di un Paese civile non può che considerarlo un fenomeno intollerabile e odioso, da combattere con fermezza e determinazione implacabile, e non può non adoperarsi perché questa condanna sia davvero ferma, unanime ed implacabile da parte di tutta la società.
La giornata di domani è una giornata che vogliamo duramente condannare e contro la quale dobbiamo, come affermano tutte le mozioni, opporci con tutte le nostre forze perché è davvero intollerabile che attraverso Internet si diffondano immagini aberranti che propagandano una cultura ignobile e che tentano in modo alquanto insidioso di adescare i minori che utilizzano la rete. Personalmente ritengo che l'apologia della pedofilia attuata attraverso Internet o in altre forme debba essere considerata un reato e perseguita penalmente. Il nostro ordinamento attualmente non lo consente ma ritengo che si tratti di un ritardo che va assolutamente colmato.
Vorrei in primo luogo rassicurare i presentatori delle mozioni che le autorità di Governo si sono tempestivamente attivate - come del resto è stato riconosciuto - al fine di contrastare la vergognosa iniziativa alla quale ho fatto riferimento. Io stessa il 13 giugno ho espresso in una lettera forti preoccupazioni ai Ministri dell'interno, delle comunicazioni e della giustizia osservando come vi fosse la necessità di assumere ogni possibile iniziativaPag. 32volta ad impedire agli organizzatori di raggiungere i loro turpi scopi. In quella lettera ricordavo tra l'altro come la polizia postale e delle telecomunicazioni fosse in grado di effettuare un'operazione di oscuramento di tutti i siti Internet in sede italiana. Il giorno successivo la polizia postale e delle telecomunicazioni (mostrando un'efficienza e una professionalità che le fanno onore e delle quali hanno dato prova più d'una volta in questi mesi) oscurava immediatamente i siti che hanno sede in Italia anche grazie alla collaborazione dei provider italiani. Purtroppo non è stato possibile riuscire ad impedire l'accesso a siti che hanno sede in altri Paesi e tale circostanza ha determinato l'immediata richiesta alla Germania di collaborare al fine della chiusura degli spazi virtuali che ospitano i siti inibiti, proprio perché riteniamo che da questo punto di vista sia assolutamente necessario un impegno da parte dell'Europa e della comunità internazionale nel suo complesso.
Per completezza di informazione devo ricordare che la manifestazione del sedicente orgoglio pedofilo è un evento che è conosciuto fin dal 1998 e ricorre durante la giornata del primo sabato successivo al solstizio di estate o d'inverno. L'ultimo si è svolto il 24 dicembre del 2006 e in quella circostanza prevenimmo l'accesso al sito così come abbiamo fatto questa volta. Ritengo che tenere presente tali date ci impegna già da ora a condurre una campagna di sensibilizzazione esattamente in senso opposto e contrario.
Vorrei anche ricordare che il nostro Paese si sta adoperando da tempo per fronteggiare tale problema e forse anche in maniera esemplare rispetto ad altri Paesi. Non mi riferisco solo all'impegno svolto nell'ambito dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa; ricordo che proprio in questi giorni si stanno concludendo a Strasburgo i lavori che daranno vita ad una Convenzione sulla protezione dei minori contro gli abusi sessuali alla quale abbiamo lavorato con i nostri esperti e che ha visto l'Italia dare un importante contributo. Abbiamo chiesto ed ottenuto che nel testo della Convenzione vi fosse un esplicito riferimento al reato di corruzione di minori previsto da tempo nel nostro ordinamento ma ignorato in numerosi altri Paesi europei. Si è ottenuto altresì l'impegno da parte di tutti gli Stati di creare osservatori nazionali che facciano il monitoraggio del fenomeno dell'abuso sessuale e dello sfruttamento sessuale dei minori anche attraverso la raccolta di dati e la collaborazione con esponenti della società civile. La delegazione italiana ha fatto anche inserire nel testo previsioni relative alla possibilità di allontanamento di chi si macchia di tali reati dalla casa familiare o comunque dal luogo nel quale si sono verificati.
Ricordo, inoltre, che proprio per il nostro impegno siamo capofila nel Consiglio d'Europa tra i Paesi che effettuano il monitoraggio delle buone pratiche poste in essere da parte degli Stati a tutela dei minori e per prevenire qualunque forma di abuso sessuale.
Segnalo altresì che l'Unione europea ha dato vita ad un gruppo permanente intergovernativo, proprio per la protezione dell'infanzia, volto alle attività di prevenzione e repressione, ma soprattutto di circolazione di buone pratiche. L'impegno di questo Governo, all'inizio del suo mandato, ha voluto immediatamente qualificarsi proprio per una maggiore tutela dei minori, presentando un disegno di legge contro la violenza sessuale, che attualmente è all'esame della Camera dei deputati, e che prevede tra l'altro il reato di adescamento attraverso Internet, e-mail, sms. Colgo l'occasione per sottolineare che tale disegno di legge ha avuto in Commissione giustizia un avvio abbastanza complesso, per una serie di motivi. Potrebbe essere preso in considerazione lo stralcio delle disposizioni relative alla previsione di tale reato, sulle quali credo che il Parlamento potrebbe trovare l'unanimità, per dare un segnale preciso su questa complessa e difficile materia.Pag. 33
Le mozioni in esame invocano la costituzione di nuovi strumenti. In questa fase di interlocuzione con i presentatori delle mozioni e con quanti sono intervenuti, non posso non richiamare il lavoro che già viene svolto e gli strumenti in nostro possesso, di cui già ci siamo dotati, a partire dal 1998, e che, forse, adeguatamente potenziati e meglio organizzati, potrebbero rappresentare, almeno in questa prima fase, un avvio degli istituti richiamati in alcune mozioni.
Mi riferisco, in particolare, all'osservatorio contro la pedofilia, la pedopornografia e l'abuso contro i minori, che ha funzionato grazie alla dedizione di chi vi ha lavorato in questi anni, ma con povertà di strumenti e con un'esigua organizzazione. Con la legge finanziaria 2007 sono stati messi a disposizione finanziamenti che ritengo più adeguati, ed è in via di approvazione un regolamento di ristrutturazione dello stesso osservatorio, che potrebbe dotarsi di una struttura scientifica molto più robusta, alla quale affidare anche una riflessione sui temi delle cause del fenomeno, che sono stati qui accennati e intorno ai quali credo non ci si debba dividere e non si debbano creare delle barriere ideologiche, perché questo depotenzierebbe di fatto il nostro impegno. Credo che l'osservatorio potrebbe diventare una sede di coordinamento anche scientifico, di conoscenza, di approfondimento su questo fenomeno che dilaga in maniera così preoccupante, senza nessun atteggiamento omertoso. Ritengo che il modo migliore per combattere gli abusi sessuali sia quello di portarli e farli emergere alla luce del sole, di non aver paura di parlarne, né se avvengono nella famiglia, né se avvengono in strutture educative, né se coinvolgono la Chiesa, né se riguardano i potenti e i politici. Ciò proprio perché l'odiosità e la pericolosità degli abusi sessuali nei confronti dei minori sono tanto più forti quando gli abusi avvengono all'interno dei rapporti affettivi, dei rapporti familiari, dei rapporti di fiducia, dei rapporti educativi.
In questo senso, ritengo che anche l'atteggiamento della politica e delle istituzioni debba essere tale da incoraggiare l'emersione da quel cono d'ombra dentro il quale si consumano atteggiamenti che, se in un primo momento non possono essere qualificati come atti di abuso o di pedofilia,, possono rappresentare il terreno sul quale poi l'abuso sul minore aumenta e si moltiplica. Da questo punto di vista, quindi, l'osservatorio deve essere - e può essere - uno strumento molto prezioso.
Occorre, inoltre, far funzionare meglio il comitato interministeriale cosiddetto «Ciclope», che è presieduto dal Ministro della famiglia e al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate (in maniera particolare, l'interno, la giustizia, la salute, l'istruzione, le comunicazioni). Ciò al fine di alimentare una banca dati - per la quale abbiamo già predisposto una gara d'appalto - che ci potrà fornire tutti i dati di conoscenza necessari per meglio combattere il fenomeno, per meglio prevenirlo, per meglio recuperare le vittime e anche per curare chi si macchia di questo terribile reato.
Ritengo che su questa strada sia possibile rafforzare l'azione del Governo e costruire una grande collaborazione, che coinvolga non solo tutte le forze politiche, ma anche tutte le forze sociali e le centrali educative del nostro Paese. Credo che tale collaborazione possa aiutare i nostri minori, le nostre famiglie, tutte le agenzie educative, a partire dal sistema delle comunicazioni e delle telecomunicazioni, a realizzare una forte alleanza, a tutela della dignità dei minori e della serenità dei rapporti all'interno della società.
Mi riservo di esprimere il parere del Governo sulle mozioni nel prosieguo del dibattito, auspicando ancora una volta la possibilità di una convergenza di tutte le forze politiche.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Pag. 34Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Lunedì 25 giugno 2007, alle 15:
Discussione delle mozioni Bondi ed altri n. 1-00170, Maroni ed altri n. 1-00185 e Misiti ed Evangelisti n. 1-00192 sulla gestione dell'emergenza rifiuti in Campania.
La seduta termina alle 14.