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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 214 di lunedì 1 ottobre 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI
La seduta comincia alle 15.
RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 24 settembre 2007.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Azzolini, Bersani, Bimbi, Bindi, Bocchino, Boco, Bonino, Boniver, Cento, Cesa, Chiti, Colucci, D'Alema, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, Di Pietro, Di Salvo, Donadi, Fioroni, Folena, Forgione, Franceschini, Galante, Gentiloni Silveri, Landolfi, Lanzillotta, Letta, Levi, Marcenaro, Margiotta, Maroni, Martino, Melandri, Minniti, Morrone, Mosella, Mussi, Leoluca Orlando, Parisi, Pecoraro Scanio, Pinotti, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Realacci, Rutelli, Santagata, Sgobio, Siniscalchi, Valducci, Visco, Elio Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori (ore 15,03).
LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, ho chiesto di parlare a nome del mio gruppo a proposito delle espressioni usate dall'onorevole Bossi a Vicenza nel corso di un raduno del suo partito. In quella sede l'onorevole Bossi ha posto due questioni: il ricorso alla violenza nella lotta politica e la secessione.
La Padania, che è l'organo d'informazione della Lega, ha scritto che il ricorso alla violenza («il ricorso alla violenza» è una mia espressione, l'onorevole Bossi parlava di «lotta di liberazione») è stato effettuato - cito - «per avere una terra libera, non più legata a un Paese che ha perso ormai ogni barlume di lucidità democratica». Verrebbe da chiedere chi ha perso lucidità democratica, ma non è questo il tema e non intendo fare polemiche che scivolerebbero nell'insulto.
Innanzitutto, signor Presidente, vi è un punto che riguarda la nostra identità nazionale: la categoria della «liberazione». Nella cultura nazionale italiana e nella cultura delle regioni del nord liberazione vuol dire una cosa sola: abbattimento della dittatura fascista e nazista e conquista della libertà; nella grammatica repubblicana liberazione è stata quello e solo quello. Lo dico perché vi sono parole che nella storia di un popolo diventano sacre perché fondamento del sacrificio stesso della vita compiuto da migliaia di donne e di uomini.Pag. 2
Dobbiamo prendere sul serio queste parole o sono parte di una sorta di espressione colorita, com'è stato detto? Allora, se dobbiamo prenderle sul serio, le espressioni sono preoccupanti per la democrazia; se non dobbiamo prenderle sul serio, questa seconda ipotesi è offensiva per lo stesso Bossi, che è parificato dai suoi stessi colleghi della coalizione a un qualsiasi giullare che afferma ciò che gli pare, tanto non succede nulla.
Il problema non è questo, sappiamo bene che Bossi è un dirigente politico avveduto, che è stato Ministro della Repubblica, leader di uno dei partiti che ha come obiettivo legittimo quello di tornare al Governo del Paese; il problema sono gli effetti delle dichiarazioni e delle parole che noi politici pronunciamo nei confronti della società. Quando si parla prima di fucilate, poi di violenze e poi di scissione, si pone un problema, Presidente; la classe politica dirigente ha un dovere d'indirizzo nei confronti della società? Ha il dovere di indicare obiettivi, metodi, questioni? E, se ciò che si propone è la secessione e la violenza, quali conclusioni dobbiamo trarre tutti noi?
Tali dichiarazioni sono dovute a malessere e a impotenza? Lo dico perché posso anche comprendere che vi è un'escalation di dichiarazioni in una coalizione che, dal giorno dopo le elezioni, ha vissuto nel miraggio della spallata, dell'acquisto di parlamentari, dello sfascio del Governo e vede, invece, che tali obiettivi non si realizzano e che il Governo va avanti. Ma a questo punto ad un'opposizione che abbia progetti diversi serve - per il bene del Paese e per se stessa - che si misuri sui contenuti specifici del lavoro politico e che passi al setaccio impietoso del rapporto con la maggioranza perché, rifugiandosi nella speranza della spallata, nell'inventiva o nell'invocazione della violenza, non serve a nulla.
Il capo dell'opposizione ha affermato che garantisce lui. Ci chiediamo, Presidente, se nella Casa delle libertà vi siano partiti sotto tutela; se cioè vi sia un partito che, pur se si esprime attraverso il suo massimo dirigente, non ha alcun peso perché chi deve rispondere è un altro soggetto.
Concludo dicendo che ci ha impressionato il silenzio degli altri partiti della Casa delle libertà; chiedo scusa perché so che non è così, ma la raffigurazione scenica che è stata data è stata quella di un sovrano, di un giullare e di una corte silenziosa, muta e ossequiente.
La Casa delle Libertà non è questo, sappiamo che è una coalizione dignitosa, forte e radicata nel Paese; tuttavia è necessario essere coerenti. Ritengo che chi sinora ha rivendicato l'interesse e l'unità nazionale come elemento caratteristico della propria azione politica dovrebbe parlare. Credo, inoltre, che chi ha fatto della moderazione - a parole almeno - l'essenza stessa del proprio impegno politico non possa tacere.
Abbiamo tutti, signor Presidente, il dovere di difendere i nostri valori anche quando riteniamo che non sia conveniente. Quella liberazione cui si accennava prima fu caratterizzata da chi, anche se non era conveniente, rischiò la vita. Dunque, signor Presidente, l'Italia, in un momento difficile della propria storia politica come questo di oggi, ha bisogno di chiarezza e di sapere chi sta dalla parte delle violenze e della secessione e chi, invece, dalla parte della lotta politica democratica. È un aspetto determinante, soprattutto se vi sarà uno scontro tra le coalizioni.
Quindi, siccome vi è bisogno di questa chiarezza, se essa non vi sarà il nostro gruppo presenterà un documento parlamentare per aprire un dibattito, affinché ciascuno possa pronunciarsi su tale questione e il Paese possa sapere chi sta da una parte e chi dall'altra. Credo, infatti, che legittimamente si possa sostenere che si sta nel centrodestra, ma non con le dichiarazioni di Bossi. Noi ci aspettiamo che tutti i dirigenti del centrodestra lo facciano (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.
Pag. 3PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo per associarmi all'intervento del collega, soprattutto per quanto riguarda l'ultima richiesta, anche se - lo dico con estrema franchezza - da ultimo vi è stato un riferimento; qui non siamo allo Sparafucile, sicario di professione, dell'opera verdiana: qui siamo passati dall'opera all'operetta!
Per una volta tanto sono d'accordo con un fondo del giornale La Nazione, dove si scrive: dovesse davvero mettersi a cercare migliaia di uomini da lanciare per la liberazione del nord, oggi, Umberto Bossi ne recupererebbe solo poche decine.
Tuttavia, non è questo il punto. Quanto preoccupa - e mi sembra che sia stato rilevato con forza - è che di fronte a tali espressioni vi sia un silenzio assordante da parte, ad esempio, del Presidente di Forza Italia, l'onorevole Berlusconi, che, addirittura, oltre al silenzio, è costretto a tagliare una torta per il suo compleanno con il sole celtico, ad indossare una maglietta da calcio padana facendo buon viso a cattiva sorte nel pagare il prezzo di alleanze politiche. Inoltre, il senatore Calderoli si è reso protagonista di un fotomontaggio che definire volgare è quanto di meno si possa fare.
Quindi, si sta lentamente scivolando in un clima in cui vi è non più il confronto politico ma il degrado politico. Dunque, chiedo agli amici e ai colleghi, associandomi anche in questo alle espressioni serie dell'onorevole Violante e sapendo di quale cultura e serietà sono portatrici anche le forze del centrodestra, di pronunciarsi e di intervenire. Non ci si può alzare e stracciare le vesti quando parla l'onorevole Caruso - usando espressioni inqualificabili che tutto il centrosinistra condanna - quando loro, invece, di fronte alla gravità di queste affermazioni sanno solo usare la strada del silenzio (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori, L'Ulivo e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
ANTONELLO FALOMI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, ho chiesto la parola per associarmi alla richiesta avanzata dal Presidente Violante di svolgere in quest'aula una discussione e un dibattito dopo le gravi dichiarazioni del leader della Lega Nord Umberto Bossi.
Penso che quando si rilasciano dichiarazioni inaccettabili e sbagliate ciò sia sempre grave, chiunque le rilasci e le pronunci (un semplice esponente politico o un semplice parlamentare).
Tuttavia, credo che tali dichiarazioni siano ancora più gravi quando a pronunciarle non è un politico qualsiasi, ma il capo di un movimento politico che ha una sua rappresentanza parlamentare che è parte di una coalizione di forze che nel nostro Paese, in questo momento, è all'opposizione.
Tali dichiarazioni sono di una gravità particolare.
Certamente, non possiamo più accettare l'idea dell'abitudine, ossia che ormai il processo di degrado della politica e del confronto politico faccia parte dello scenario. Credo che il Parlamento italiano faccia bene a discuterne e a far chiarezza, come invocava prima il presidente Violante; a mio avviso, infatti, il veleno inoculato costantemente nel corpo del Paese produrrà danni non per questo o quel partito, ma per la democrazia italiana, e questi danni debbono essere evitati alla democrazia italiana.
È quindi necessaria una reazione di tutte le forze politiche democratiche, affinché non si accetti più la logica del folclore leghista, delle frasi dai toni forti, degli sproloqui che spesso vengono pronunciati o del linguaggio colorito. Non ritengo accettabili, nel confronto politico, queste tipologie di linguaggi, di affermazioni e di posizioni, molto pericolose per la democrazia italiana.
È bene che le forze politiche, in particolare quelle alleate con il partito di Bossi, dichiarino con chiarezza, di fronte al Parlamento, qual è la loro posizione. Non si può accettare, ad esempio, come ho letto sui giornali, che il collega Ronchi, portavoce di uno dei principali partiti rappresentati in Parlamento, affermi: nonPag. 4possiamo polemizzare con Bossi, perché in realtà è un nostro alleato e faremmo un favore alla sinistra. Si tratta di fare favori non alla sinistra, ma alla democrazia italiana e alla difesa della medesima! È importante, quindi, che il Parlamento torni su questo argomento e ne discuta: ne discuta con sobrietà e senza toni esacerbati, ma fissando un argine e ponendo un «alt» a una deriva molto pericolosa per il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Prendo atto delle considerazioni svolte. La Presidenza della Camera non può che richiamare i valori fondamentali che sono alla base della nostra Costituzione, tra cui quello dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica, nonché quello del metodo democratico come strumento unico e imprescindibile attraverso il quale tutti i cittadini possono concorrere a determinare la politica nazionale. Si tratta di valori fondanti delle nostre istituzioni, che devono essere ribaditi con salda e serena fermezza a fronte di qualsiasi intervento inteso a porli in discussione.
Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione. (Già articoli 28, 29, 30 e 31 del disegno di legge n. 2272, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 17 aprile 2007) (A.C. 2272-ter-A) (ore 15,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione.
Ricordo che nella seduta dell'11 settembre è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti gli interventi del relatore e del Governo.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2272-ter-A)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare è il deputato Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'esame del disegno di legge in discussione non posso che rifarmi a quanto sostenuto dai colleghi del mio gruppo, in particolare dalla collega Aprea e, in generale, alle riflessioni svolte da tutti i colleghi della Casa delle libertà.
Ci troviamo di fronte ad un testo confuso, approssimativo, del quale numerose parti sono state emendate o stralciate e che, soprattutto, denota la volontà della maggioranza di abrogare sic et simpliciter un testo normativo senza alcun confronto effettivo con la precedente maggioranza, con la realtà della scuola, con i risultati ottenuti sulla base di questo articolato e con la volontà effettiva delle componenti della scuola medesima.
Ritengo che maggioranza e minoranza debbano porsi il problema delle condizioni della popolazione scolastica italiana - e della scuola in genere - di fronte ad una variazione continua di norme e di dispositivi che, in realtà, a seconda del succedersi di maggioranze di tipo diverso, finiscono per penalizzare soprattutto il livello dell'istruzione media e le realtà più importanti e significative della nostra scuola.
La mia premessa rappresenta un aspetto sostanziale perché ho notato che ognuno di noi può e deve avere una propria visione della società, della funzione e del ruolo della scuola e del pluralismo educativo, ma credo che nel momento in cui ci si avvicini a modifiche sostanziali della legislazione vigente o precedente non si possa prescindere da un confronto reale, che presupponga, da un lato, i propri convincimenti ideali ma, dall'altro, gli obiettivi che si vogliono raggiungere sulla base di una realtà che tutti conosciamo.
Tutto questo è mancato e vi è stato non un confronto effettivo - assente sia in Commissione sia nelle sedi istituzionali -, ma semplicemente l'attuazione di una volontà, ribadita in campagna elettorale, che ha voluto prescindere - lo dicevo prima -Pag. 5da ogni discussione, da ogni riflessione seria e da appelli venuti dal mondo della scuola in genere, dall'opinione pubblica e dai mass media per una rivisitazione molto più accurata e approfondita della normativa che regolamenta la scuola italiana.
Entrando nel merito dei pochi articoli contenuti nel testo in esame, anzitutto credo che un'altra anomalia sia quella della doppia discussione, perché si è precedentemente discusso di alcuni articoli stralciati, mentre oggi si discute di altri, in un contesto di caos generale che certamente non aiuta i nostri studenti né l'avvio dell'anno scolastico. Credo che occorra riflettere anche su tale aspetto, perché tale doppio binario e questa incertezza sono sintomatici della difficoltà della maggioranza - in seguito lo ribadirò riguardo ad altri aspetti del provvedimento - a definire compiutamente un unico progetto di legge che faccia riferimento a varie impostazioni ideali e ad un comune obiettivo: vi è tutto, e il contrario di tutto. Ciò va affermato, proprio perché desideriamo essere obiettivi, anzitutto per la parte che ripristina o definisce in modo diverso la serietà degli studi, fatto che negli anni passati abbiamo sempre auspicato. Chi può essere contrario ad un approccio diverso rispetto alla preparazione degli studenti, alla serietà dei medesimi e alla qualificazione dei docenti? Se vi è stata una parte politica che ha sostenuto tutto ciò è innanzitutto Forza Italia, e la Casa della libertà negli anni passati, che ha cercato di porre rimedio ad una situazione scolastica che vedeva la prevalenza dell'ideologia, di condizionamenti politici residuati del 1968, ed altresì il prevalere, molto spesso, di situazioni di garantismo esasperato nelle scuole di ogni ordine e grado rispetto ad una valutazione seria del profitto, del merito, delle capacità professionali e del livello della scuola.
Di fronte a tutto ciò non possiamo non essere d'accordo su misure volte ad accentuare o a ripristinare - perché prima non sussisteva - la serietà degli studi. Noi lo abbiamo fatto nel quinquennio precedente a quello attuale, e comunque su tale principio non possiamo non essere d'accordo; però, occorre misurarsi su quali risultati si possano ottenere con i provvedimenti in esame, con quali obiettivi, e partendo da quali presupposti. In tale provvedimento troviamo la pura enunciazione di alcune volontà senza che alle medesime siano conseguiti atti conseguenti - mi scuso per il bisticcio di parole - e situazioni ben definite.
Anzitutto credo di dover enunciare un presupposto sul quale siamo sempre molto attenti quando si affrontano le materie scolastiche e della cultura in generale. Noi siamo per una parità scolastica effettiva e per un sistema pubblico imperniato su una competizione fra scuole statali e scuole paritarie, che siano in grado di offrire al cittadino una scelta fra varie opzioni educative, all'interno di un quadro normativo minimo definito dallo Stato - sia ben chiaro, non siamo per le scuole assolutamente private - e siamo quindi per una pluralità di modelli formativi in grado di garantire alla famiglia e allo studente la scelta del tipo di educazione più confacente alle proprie ispirazioni, al proprio ruolo o a quello che crede debba essere il proprio ruolo nella società italiana.
In altre parole si tratta di tutto il contrario di quanto è contenuto nel provvedimento in esame, poiché permane ancora nello stesso - è tipico della mentalità della sinistra - una concezione ossessivamente statalista, di matrice giacobina, che è rimasta l'unica in Europa.
Direi che, tranne la Grecia, siamo l'unico Paese che, al di là di alcuni provvedimenti, come la legge n. 62 del 2000 che riconosce la funzione sociale della scuola paritaria, di fatto impernia il proprio sistema scolastico sul monopolio statale della pubblica istruzione. Tale monopolio costituisce la vera e grande aberrazione che, a mio modo di vedere, deve essere combattuta nel nostro Paese e che altri Paesi hanno combattuto e superato. Infatti, rispetto al secolo scorso o al secolo ancora precedente, in cui c'era la necessità di un intervento dello Stato di fronte ad un diffuso analfabetismo, oggi il problema della cultura di massa e il problemaPag. 6dell'alfabetizzazione non si pone più o si pone in termini radicalmente diversi.
La colpa del gruppo dirigente della scuola italiana - anche dei Governi precedenti, sia ben chiaro - è di essersi attardato su un modello statalista - non dico pubblico - che non può, proprio perché basato su un monopolio, risolvere i problemi fondamentali della scuola italiana: un elevato livello di qualità e professionalità dei docenti, un elevato livello nella capacità di apprendimento dei discenti e, ovviamente, un maggiore pluralismo, che ne è diretta conseguenza e, anzi, spesso, ne è presupposto. Se non si modifica detto sistema, i problemi che cerchiamo di affrontare ora, si riproporranno il prossimo anno e ancora successivamente. Bisogna uscirne per gradi: non pretendo di uscire immediatamente da un sistema basato su tale monopolio antistorico, illiberale, antisociale dove circa un milione di operatori della scuola paralizzano ogni forma di intervento migliorativo della scuola medesima, dal settore della qualificazione professionale a quello della ricerca scientifica ed altro. Con ciò non si pretende la privatizzazione tout court: il sistema pubblico è diverso dal sistema statalista. Ma non mi voglio dilungare su questo punto perché ho già detto che l'asse portante della nostra proposta rimane il superamento del sistema statalista. Non significa togliere alla scuola di Stato una serie di dotazioni, di interventi che sono necessari e indispensabili, ma significa favorire il ruolo proprio degli operatori della scuola, della famiglia e degli studenti.
In sostanza, chiediamo l'applicazione piena del principio di sussidiarietà, al posto di uno statalismo ormai vecchio e superato, che non è più considerato tale in tutta l'Europa e in tutto il mondo occidentale e che rimane così un ultimo moloc intoccabile forse per la sinistra nostalgica di altri regimi e di altre realtà.
Detto questo, credo che sia importante esprimere alcune valutazioni sul testo. Per quanto riguarda l'articolo 1, nel quale si definiscono le norme in materia di istruzione e di personale scolastico, è già stato detto molto sul tempo pieno; mi limito pertanto a esprimere una considerazione. Non è vero che il Governo precedente aveva abrogato il tempo pieno, l'aveva qualificato in modo diverso, riservando alla famiglia una capacità decisionale che ora è scomparsa, rischia di scomparire o perlomeno non è più considerata tale sebbene proprio la famiglia, il cui ruolo in altre parti del testo è stato compresso, ha un ruolo essenziale non solo nella società, ma nella scuola medesima. La scuola non appartiene agli insegnanti, ma alle famiglie, agli studenti e agli insegnanti, per così dire in modo paritario. L'approccio dato al tempo pieno, tra l'altro normalizzandolo con una serie di norme particolarmente vincolanti riguardanti le quaranta ore e l'organico di diritto, di fatto impedisce la realizzazione del tempo pieno in molte realtà. Ho già avuto occasione di dire che nella mia regione e, in particolare, nella mia città, Bologna, ci sono venticinque classi che nonostante questa norma rimangono senza la possibilità di usufruire del tempo pieno. Ma vi sono anche altre realtà in questa situazione.
Andando oltre, laddove si stabilisce un piano triennale di intervento in relazione alle competenze delle regioni in materia di diritto allo studio, si cerca di definirlo con l'obiettivo di coniugare esigenze di uniformità ed omogeneità in tutte le regioni per quanto riguarda gli interventi del diritto allo studio.
Invito il Governo, gli amici e i colleghi di maggioranza a riflettere adeguatamente, in sede di piano triennale di intervento in materia di diritto allo studio - come è riportato nell'articolo 1 - sulla situazione di assoluta disparità che caratterizza le regioni italiane in una materia delicata come questa. Si parla di livelli essenziali di istruzione, non di qualcosa di più. Vi sono regioni, come la Lombardia e il Veneto, dove il diritto allo studio, attraverso una concezione evolutiva del medesimo, è arrivato addirittura ad offrire il buono-scuola alle famiglie, cioè la capacità e la possibilità per le famiglie di scegliere per diritti essenziali, che non riguardano soltanto il vitto o il trasporto, ma la qualità degli studi. Vi sono altre regioni, comePag. 7quella da cui provengo, cioè l'Emilia Romagna, in cui tale diritto è negato, in quanto permane un monopolio pubblico - regionale nel caso specifico - del diritto allo studio. Vi sono, infine, altre regioni dove, purtroppo, non esiste alcuna applicazione del diritto allo studio, perché le leggi regionali sono sostanzialmente disapplicate, mancando - in molte delle suddette regioni (soprattutto del sud) - la copertura finanziaria. Anche ciò, pertanto, rappresenta un problema che ritengo non possa essere sottovalutato, soprattutto se si considerano gli stanziamenti previsti da regione a regione.
Pongo, quindi, il problema al Governo: credo che sia giunto il momento di stabilire, senza invadere la competenza delle regioni, un livello minimo di assistenza per quanto riguarda il diritto allo studio, che sia valido della Sicilia all'Alto Adige. Non possiamo accettare situazioni di così palese discriminazione in una materia importante e delicata come quella che stiamo trattando. Vi sono palesi discriminazioni che è compito del Governo - che si è dimostrato finora sordo al problema - risolvere o, perlomeno, attenuare - lo ripeto - attraverso alcuni limiti, alcuni parametri, che ritengo indispensabili. Ciò riguarda le condizioni di accesso e il tempo pieno.
Un altro tema fondamentale su cui ritengo necessario attirare l'attenzione del Governo e della maggioranza - e su cui esiste una differenza di fondo fra noi e il centrosinistra - consiste nella questione posta, giustamente, nell'articolo 1 e cioè nel sostegno ai disabili. I disabili - ci mancherebbe altro! - devono essere aiutati ancor più di quanto è stato fatto nel passato, attraverso una migliore redistribuzione degli insegnanti di sostegno (tornerò in seguito su questo aspetto), ma l'articolo 1, comma 1, lettera b), si riferisce anche all'integrazione sociale e culturale dei minori immigrati. Stante anche la peculiarità dell'attuale momento politico (in precedenza, i colleghi del centrosinistra hanno fatto riferimento alla questione del nord, in relazione alle affermazioni dell'onorevole Bossi che, ritengo emblematiche di realtà particolari in cui vi è la richiesta della difesa di una certa identità e di una certa storia), in un momento in cui in Francia sono varate determinate leggi e in cui si parla della sicurezza in tutto il nostro Paese, dalla Sicilia al nord-est, c'è il rischio di perdere il senso di appartenenza ad una comunità. Ritengo che un provvedimento significativo collegato all'apertura dell'anno scolastico come questo, non poteva non fare riferimento - e, purtroppo, non lo ha fatto - alla difesa dell'identità culturale del nostro popolo, alla necessità della conoscenza da parte di tutti gli studenti (anche e, soprattutto, degli immigrati) di quella tradizione culturale cristiana che ha permeato l'ordinamento sociale, culturale e giuridico in duemila anni di storia del popolo italiano. Ciò proprio al fine di favorire una reale integrazione, in presenza di comportamenti non generalizzati, ma significativi, di docenti che, in questi anni, hanno penalizzato e delegittimato la nostra storia, la nostra identità e la nostra tradizione, in favore di un multiculturalismo fine a se stesso, che non ha fatto altro che aggravare i problemi sottesi alla scuola, determinando un'intolleranza di fondo per le esigenze della maggioranza della popolazione scolastica e di tutto il popolo italiano. In questo contesto - lo ripeto - per favorire una reale integrazione, sarebbe stato giusto e opportuno, anzi doveroso, porre tale problema, che non può essere risolto con tesi revanchiste o razziste, come hanno affermato - le ho lette - alcune critiche della sinistra.
È un problema che riguarda la difesa di un patrimonio culturale che tutti noi, oggi come oggi, vediamo messo a repentaglio nella scuola, la quale ha il compito di formare le nuove generazioni. Il dovere del legislatore, pertanto, consiste nel farsi carico, difendere e sostenere questa esigenza, non imporla con la forza, ma difenderla con le leggi a disposizione, soprattutto - ripeto - per favorire quell'integrazione di cui stiamo parlando. Quest'ultima, per come è attuata in molte scuole, non è assolutamente integrazione: di fatto è un relativismo culturale chePag. 8aggrava i problemi invece di risolverli, isolando sempre più gli immigrati e determinando, per reazione, quelle spinte razziste e xenofobe che a parole diciamo di voler evitare! Su questo problema, a mio parere, dobbiamo fare ancora molta strada, superando quella concezione cosiddetta sessantottina e terzomondista che, oggi, indistintamente, tende a penalizzare le basi fondamentali della nostra cultura e della nostra civiltà.
In merito al citato articolo - in particolare, sul problema degli organi collegiali - vorrei svolgere un'ulteriore considerazione: non sono soddisfatto di come il Governo ha affrontato il problema. So che vi sono opzioni diverse anche all'interno della maggioranza; tuttavia, oggi come oggi, alla luce delle difficoltà che tutti noi riscontriamo quotidianamente e che ho poc'anzi illustrato, si impone la definizione di un nuovo ruolo di tali organi collegiali, i quali non possono più assumere la dimensione strettamente burocratica - quasi, direi, da Soviet - che li ha caratterizzati negli anni Settanta. Essi devono assumere una dimensione maggiormente dinamica, che comprenda le esigenze reali della società e che apra la scuola a queste figure intermedio-professionali, pure presenti. Il ritardo con cui si affronta questo problema, a mio modo di vedere, è veramente colpevole. Un'ulteriore considerazione: in tale contesto, non posso tacere la perplessità per la disinvoltura con cui il Governo ha superato il sistema liceale, ripristinando la tradizionale impostazione tra licei e istituti tecnici. Cosa temiamo? Lo diciamo proprio noi del centrodestra: temiamo una sorta di ghettizzazione degli studenti che frequentano gli istituti tecnici, i quali, ovviamente, in questo modo vengono penalizzati e privati di alcuni elementi fondamentali - sia della cultura umanistica sia della cultura scientifica - che dovevano essere comuni a tutti e che sono, oggi più che mai, indispensabili. La questione non riguarda tanto le tre «i» o il recupero dell'italiano, della storia o dell'aritmetica. Credo, invece, che in questione vi sia la necessità di recuperare, in modo nuovo e originale, l'approccio tradizionale della nostra scuola su questi temi. La pura restaurazione dello status quo, a mio parere, non può soddisfare alcuno. È chiaro: in questi anni ci siamo trovati di fronte a situazioni paradossali, a studenti «unidimensionali», che conoscevano solo una disciplina e non altre. Si impone la necessità di recuperare una minima cultura di base, fondata sulla serietà degli studi e su un approccio totalmente diverso da quello che finora è stato attuato e che, molto disinvoltamente, prescindeva anche dalla valutazione del merito (su quest'ultimo problema le responsabilità sono di tutti).
Sia ben chiaro, la nostra contestazione non riguarda la serietà degli studi, ma il modo in cui il percorso è definito. Ritengo che tale percorso dovrebbe essere definito anche per quanto riguarda il servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione previsto nel comma 9, questione su cui siamo d'accordo, purché la commissione in questione venga definita in modo diverso. La previsione della direttiva annuale potrebbe andar bene, se tale direttiva tenesse conto dei cambiamenti e dei risultati; ma come si possono valutare, in un anno, risultati ottenuti sulla base di sperimentazioni particolari? Su ciò dobbiamo essere estremamente chiari.
Allo stesso modo, ritengo che dobbiamo tener conto maggiormente dell'esperienza estremamente significativa delle scuole paritarie. Queste ultime sono già presenti in un certo qual modo, ma, a mio avviso, alla luce del discorso che ci caratterizza da sempre, è utile per tutti la definizione di un sistema nazionale di istruzione che non sia basato soltanto sulla scuola di Stato, ma comprenda - a livello di reale parità - la scuola paritaria. Credo che sia importante definire tale aspetto in modo precipuo e molto più significativo di quanto non sia stato fatto finora. Inoltre, per quanto riguarda il problema della cosiddetta licealizzazione, vorrei fare solo un accenno all'autonomia delle regioni, ai problemi e al contenzioso che si è aperto nel passato: decine, anzi centinaia di procedimenti contenziosi da parte di alcune regioni contro il Governo precedente a quello attuale, proprio in materia di istruzionePag. 9professionale, di competenza delle regioni. A mio avviso, tale problema è stato affrontato con disinvoltura, - prescindo dalle querelle del passato, in quanto non è tanto questione di licei o di istituti tecnici, ma del fatto che una formazione professionale adeguata non può non essere concepita, anche e soprattutto a livello regionale, sulla base di esperienze che hanno dato i loro frutti, soprattutto nel nord Italia, dove vi sono stati risultati riconosciuti come tali da molte imprese, dagli studenti e dalle famiglie. In tale settore la regione può e deve essere un partner essenziale. Si prescinde da ciò e in un certo qual modo viene ripristinato una sorta di centralismo statale che, a mio modo di vedere, rischia di non risolvere problemi veramente reali quali quelli dell'immissione dei giovani nel mondo del lavoro con conoscenze scientifiche approfondite, non soltanto con una formazione di base a livello professionale che, oggi come oggi, non risponde più all'esigenza di una società moderna e dei ceti produttivi, alle prospettive occupazionali dei giovani e che invece fatalmente si rischia di riproporre.
Inoltre, vorrei sottolineare un altro punto relativo al comma 12 che non ci trova assolutamente d'accordo. Laddove si fa riferimento alla riforma degli organi collegiali scolastici, siamo molto d'accordo sull'inserimento nei consigli di indirizzo degli studenti adulti, ma non lo siamo sulla totale estromissione della famiglia. Riteniamo che all'interno dei consigli di indirizzo vi debba essere una compresenza dei vari elementi che contribuiscono a definire la scuola, non assegnando una presenza soltanto ad alcune componenti. Ciò era stato affermato anche in precedenza. Inoltre, credo che per quanto riguarda le riunioni del consiglio di indirizzo e della giunta esecutiva, anche se è giusto prevedere la consultazione di rappresentanti delle autonomie locali, dell'università, delle associazioni e fondazioni e rappresentanti tout court del mondo economico, sindacale, del terzo settore e degli enti locali, è altrettanto giusto stabilire che dette rappresentanze non siano consultate in modo permanente, bensì quando è in discussione un argomento che le riguarda direttamente. Personalmente non condivido la presenza in modo organico e definitivo di rappresentanti degli enti locali, chiunque essi siano, perché si corre il rischio di politicizzare un'altra volta tali organismi. Piaccia o no, i rappresentanti degli enti locali sono giustamente espressione delle forze politiche, rispondono ad un proprio ruolo e ad una funzione precisa, ma in particolari momenti della vita scolastica. A mio avviso, non possono essere rappresentanti permanenti, proprio per la caratterizzazione che, di fatto, li obbliga ad esprimere valutazioni e comportamenti che spesso possono essere conflittuali con le necessità formative della scuola.
Un altro punto sul quale siamo contrari è quello relativo al problema dei docenti di sostegno e delle priorità per i docenti impegnati nelle scuole a rischio e nelle classi funzionanti negli ospedali.
Nulla quaestio su tale problema: si tratta di criteri giusti in sé. Credo, però che, anche e soprattutto per gli insegnanti di sostegno, dobbiamo stabilire reali priorità distribuendo in modo più uniforme la presenza dei medesimi sul territorio nazionale. Non dobbiamo nasconderci il fatto che, in molte realtà, l'assunzione di insegnanti di sostegno è servita per calmierare - diciamo così - soprattutto la disoccupazione giovanile; piuttosto poniamoci il problema della loro continua qualificazione. Si tratta di un problema sociale e drammatico, ma la scuola non può farsi carico di altre realtà che non siano quelle dell'insegnamento, del livello di cultura degli studenti, del miglioramento di situazioni di disabilità e della promozione delle capacità di apprendimento. Funzioni diverse esulano dal ruolo della scuola e credo debbano essere definite, soprattutto in un provvedimento importante come quello in discussione che, in realtà, pur demandando a una direttiva, già nelle linee portanti è estremamente generico con rischi di intuitiva evidenza.
Per quanto riguarda le sanzioni si tratta di un problema estremamente delicato e finalmente si è arrivati ad ipotizzarePag. 10provvedimenti sanzionatori nei confronti dei docenti. A fronte di tanti docenti che fanno il loro dovere, infatti, ce ne sono altri che in questi anni, non svolgendo il proprio ruolo, hanno tenacemente boicottato - in modo diretto o indiretto - le istituzioni scolastiche, totalmente privi di una forma di controllo in nome di quel garantismo assoluto che ha condizionato negativamente e danneggiato profondamente la scuola italiana.
Occorreva intervenire prima - non ho dubbi a dirlo - e per fortuna si è intervenuti, ma dobbiamo farlo in modo razionale. Credo che sia giunto il momento di prevedere sanzioni che siano effettive, proprio nel rispetto di quei docenti che svolgono il proprio lavoro e che rischiano di essere demotivati in presenza di loro colleghi che assolutamente non lo svolgono e che rimangono tranquilli e imperterriti nelle loro cattedre.
A fronte di tale aspetto, però, ritengo debba essere ulteriormente precisata la questione delle garanzie. Effettivamente sono state previste alcune ipotesi che credo debbano essere valutate positivamente. Tuttavia, soprattutto laddove esista un ruolo del dirigente scolastico regionale e si ipotizzi anche una sorta di incompatibilità ambientale, occorre, in effetti, prevedere meglio anche una forma di difesa e di tutela del docente che ovviamente non si risolva in puro corporativismo. Immagino che già in molte scuole la classe docente, al di là delle distinzioni ideologiche, può ergersi a difesa (come è successo) di un collega, per timore di cadere un domani.
PRESIDENTE. Onorevole Garagnani, concluda.
FABIO GARAGNANI. Concludo, Presidente. Dobbiamo, però, stare attenti che, per un malinteso senso di antipatia o per altri condizionamenti, venga punito un docente che, invece, non merita una sanzione.
Allora, credo che l'osservazione avanzata in altra sede al fine di prevedere una garanzia per tali sanzioni, sia stata posta proprio perché fosse disciplinata nel provvedimento.
Un problema fondamentale è anche quello della libertà di insegnamento: il giusto principio della libertà di insegnamento non dev'essere conflittuale con il giusto principio del rispetto della giovane personalità del discente, della Carta costituzionale, del ruolo della famiglia e di una forma di pluralismo all'interno....
PRESIDENTE. La pregherei di concludere, onorevole Garagnani: ha parlato più di 30 minuti.
FABIO GARAGNANI.... che deve essere presente. Detto ciò credo che occorra evitare determinati eccessi del passato e contemperare la severità con la giustizia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Rampelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Volpini. Ne ha facoltà.
DOMENICO VOLPINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, intervengo per rispondere alle obiezioni del collega Garagnani.
Innanzitutto, non è vero che questo disegno di legge non abbia visto il concorso dell'opposizione e un dibattito serio e lungo in Commissione. Basta prendere i resoconti della Commissione cultura - anche quelli inerenti al provvedimento approvato di recente, di cui questo costituisce uno stralcio - per vedere come, sia l'onorevole Aprea sia tutti gli altri rappresentanti del Polo convenissero sul disegno di legge, che era stato ben approfondito, ma non sullo stralcio.
Non capisco, quindi, come l'onorevole Garagnani, a distanza di pochi giorni, dica che non vi siano stati un approfondimento,Pag. 11un dibattito né un apporto da parte della minoranza rispetto a questo disegno di legge.
Per quanto riguarda i vari punti affrontati, innanzitutto, vi è il discorso sulla serietà degli studi. Sentiamo sempre parlare di serietà. In questo momento in cui il Ministro è tornato sull'argomento, imprimendo una piccola svolta in ordine alla serietà degli studi, delle verifiche e di altro, si nota un'opposizione preconcetta.
Non si può dire che risponda ad una seria valutazione del merito degli studenti il fatto di aver spazzato via le disposizioni sull'esame di maturità contenute nella riforma Berlinguer, una riforma equilibrata, che prevedeva che il 50 per cento dei commissari fossero interni (mentre prima erano praticamente tutti esterni eccetto il membro interno), stabilendo che tutti i commissari siano interni. Ciò significa che le scuole molto serie faranno dei veri esami di maturità mentre i «diplomifici» faranno quello che vogliono, essendo tutti i commissari loro insegnanti.
Mi sembrava che la questione fosse riconducibile ad un minimo di serietà, sottoponendo l'esame di maturità, che è la verifica finale di tutto il corso degli studi della scuola italiana preuniversitaria, a una verifica più seria.
C'è un punto forte che ci divide ed è quello dell'abolizione del titolo di studio. Non siamo d'accordo con l'abolizione del titolo di studio, ma riteniamo che la scuola italiana in questi cinquant'anni abbia ottenuto degli ottimi risultati (anche se andrebbe modificata per adattarla ai tempi) con il titolo di studio. Quest'ultimo ha fatto sì che gli studenti che hanno frequentato la scuola in un qualsiasi paesetto italiano oppure a Milano, Roma, e via dicendo, qualora abbiano conseguito la licenza di quinta elementare o di terza media o abbiano un diploma di scuola media superiore, possiedano comunque un livello minimo di competenze comuni.
Dove il titolo di studio non ha valore legale questo non accade! C'è un'altra rilevante questione cui devo rispondere, che è quella relativa al rapporto tra la scuola dello Stato e le scuole paritarie private e, concerne, quindi la parità scolastica.
Onorevole Garagnani, lei sa benissimo che, se oggi vi è la legge n. 62 del 2000 - non me ne voglio gloriare - un po' di merito è del sottoscritto, che ne è stato il relatore ed è riuscito a farla approvare. La legge sulla parità è stata approvata dal centrosinistra.
I finanziamenti alle scuole paritarie private sono stati aumentati dal centrosinistra da 225 miliardi a 1050 miliardi nella legislatura dal 1996 al 2001: si è trattato di aumenti rilevanti. Nel corso della vostra legislatura, con la riforma Moratti, non solo non è stata aggiunta una lira, ma nell'ultima legge finanziaria avete disposto il taglio in tre anni del 30 per cento delle risorse. Pertanto, non ho capito dove sia tutto questo vostro afflato nei confronti della parità scolastica.
Un altro punto è essenziale: la sussidiarietà in campo scolastico. Vi è una distinzione profonda sulla filosofia dell'educazione e della scuola che distingue Forza Italia non dico dal centrosinistra, ma anche da alcune forze del centrodestra. Forza Italia vede l'istruzione come un bisogno della persona umana (questo lo ha affermato in aula l'onorevole Aprea più volte nei suoi interventi, anche se non in questa legislatura). Noi, invece, non vediamo l'istruzione come un bisogno che può essere soddisfatto dal mercato, mentre lo Stato interviene solo laddove il privato non riesce ad arrivare. Pensiamo che l'istruzione sia un diritto fondamentale della persona umana. Il cittadino italiano per il fatto stesso della sua nascita ha un diritto inalienabile alla istruzione; e questo diritto, come tutti i diritti fondamentali della persona umana, deve essere garantito da un sistema nazionale, non dal mercato. Il mercato non assicura i diritti fondamentali, assicura il soddisfacimento dei bisogni, e in modo abbastanza squilibrato.
Il fatto che in Italia ci sia il monopolio della scuola dello Stato, onorevole Garagnani, discende da un dettame costituzionale. È inutile che facciamo finta che la Costituzione non ci sia: la CostituzionePag. 12italiana c'è e va rispettata, o altrimenti cambiata. Vorrei dare lettura del comma secondo dell'articolo 33 della Costituzione, citato anche dalla legge n. 62 del 2000, che recita: «La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Ossia, lo Stato è obbligato dalla Costituzione a istituire scuole di ogni ordine e grado, non si può esimere. Questa è la Costituzione italiana: o la cambiamo o, altrimenti, la solidarietà orizzontale di cui parliamo non può essere attuata per quanto concerne la scuola.
Quanto al diritto allo studio, vorrei dire solo una cosa: il diritto allo studio è garantito dall'articolo 117 della Costituzione che rimanda ad una legge quadro nazionale, ed è realizzato da leggi regionali. O cambiamo la Costituzione, e richiamiamo in capo allo Stato tale potestà, o altrimenti il dispositivo costituzionale è questo. Non capisco quindi quando lei, da una parte, auspica che le regioni, come ha detto verso la fine del suo discorso, intervengano in modo serio, efficace, autonomo sull'istruzione, e poi, dall'altra parte, sostiene che invece lo Stato deve accentrare su di sé l'unica competenza che è veramente e profondamente decentrata, che è proprio quella relativa al diritto allo studio. Non vorrei, come è accaduto per qualche proposta di legge che lei ha presentato la scorsa legislatura, che ci fosse un equivoco tra diritto allo studio e diritto alla libertà di scelta educativa dei genitori.
Per la Costituzione italiana il diritto allo studio è qualcosa di molto preciso: ad esso fanno capo tutta una serie di provvedimenti di aiuto alle famiglie meno abbienti che servono a far sì che i loro figli siano facilitati nell'accesso e nella frequenza della scuola.
Quanto alla questione del finanziamento del sistema nazionale - che noi abbiamo istituito e che riguarda le scuole dello Stato, le scuole paritarie private e quelle degli enti locali - questo è un discorso che attiene alla fiscalità generale dello Stato. In proposito, anzi, se ciò sarà possibile, credo che con la prossima legge finanziaria si debba incrementare il fondo per le scuole paritarie non statali, così come del resto noi abbiamo fatto in modo consistente (mentre voi non solo non lo avete fatto, ma avete anche tagliato i fondi).
Quanto poi agli organi collegiali, questo tema è stato stralciato dal disegno di legge al nostro esame. In ogni caso, però, non si parli di rispetto della famiglia! Se si legge il disegno di legge Moratti su questa materia, infatti, si vede bene che la prima cosa che esso proponeva era proprio di sostituire il presidente, che era un genitore, con ...
FABIO GARAGNANI. Ma si aumentava il numero dei componenti attribuiti alle famiglie!
DOMENICO VOLPINI. Niente affatto, si stabiliva semplicemente che il primo degli eletti della componente delle famiglie entrava di diritto nell'organo di valutazione della scuola. E le sembra una scelta decente? In questo modo, se un padre di famiglia interessato alla scuola dei figli viene eletto nel consiglio di istituto, egli, nonostante non abbia alcuna competenza in fatto di valutazione, diviene automaticamente presidente del comitato di valutazione. È questo che voi volevate: porre alla presidenza del comitato di valutazione non un esperto del tema, ma, meccanicamente, il primo degli eletti dei genitori. Non scherziamo sulla serietà della scuola!
FABIO GARAGNANI. Nessuno scherza.
DOMENICO VOLPINI. Per quanto concerne la questione della cultura italiana e cristiana nella scuola - cioè il tema dell'identità - non capisco per quale ragione questo argomento sia stato ripetuto in Commissione in tanti interventi. Basta leggere i programmi della scuola italiana. Si studia letteratura, arte, musica, storia, filosofia: tutte materie che sono impregnate della cultura cristiana, che ne è la radice principale. Da essa deriva quasi tutta la storia dell'arte che si studia, la letteratura (pensiamo alla Divina Commedia), la filosofia (pensiamo a tutti i filosofi cristianiPag. 13che vengono studiati). Del resto, in base al Concordato, la religione cattolica rientra di diritto fra le materie scolastiche, e gli insegnanti sono di ruolo. Davvero, dunque, non capisco questo continuo battere su un argomento che, secondo me, non ha grande motivo di essere.
FABIO GARAGNANI. Davvero, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire!
DOMENICO VOLPINI. Per quanto riguarda il tema delle sanzioni, in tutti i dibattiti svoltisi tanto in Commissione quanto in Assemblea - basta leggere l'intervento dell'onorevole Aprea - su questo argomento era emersa perfetta concordanza.
Per quel che riguarda le garanzie, vi era un solo piccolo aggiustamento che andava introdotto e ciò è stato fatto: nella prima stesura del testo, infatti, quando il direttore regionale comminava la sanzione, non si prevedeva alcuna possibilità di appello per il dirigente scolastico sanzionato. Oggi, nel testo al nostro esame si è, invece, introdotta la possibilità che il soggetto sanzionato si appelli ad un direttore generale del Ministero (o ad un direttore generale ad hoc o al direttore generale del personale). Non so quali altre garanzie si potrebbero prevedere. Del resto, non è che si possano mettere in piedi tribunali: tribunali e magistratura già ci sono, ed operano nel caso di violazioni. Dunque, c'è sempre un organo di garanzia al quale ci si può appellare.
Non capisco la volontà di fare opposizione per forza rispetto al disegno di legge in discussione, sul quale voi stessi in Commissione - ma anche in questa sede, se solo si riprendono certi interventi - vi siete dichiarati concordi, in quanto esso aveva recepito molte vostre istanze (avevate anche sostenuto di volerne proporre delle altre, ma poi non lo avete fatto, forse perché non ne avete avuto il tempo ritenendo che il testo andasse bene così).
Non comprendo, dunque, tale atteggiamento di opposizione per forza e preconcetta, anche in merito ad aspetti sui quali vi siete dichiarati assolutamente concordi.
PRESIDENTE. Onorevole Volpini, mi scusi se la disturbo: non è mia intenzione interromperla e lei potrà proseguire il suo intervento. Vorrei salutare una delegazione del comune di Bellosguardo (SA), presente a Roma per partecipare, tra un'ora, alla commemorazione del centenario di un loro illustre concittadino, nonché ex Ministro della pubblica istruzione, l'onorevole Valitutti (del resto, stiamo discutendo proprio dei problemi dell'istruzione).
Desidero, dunque, rivolgere un saluto a nome dell'Assemblea (Applausi).
Onorevole Volpini, mi scusi se l'ho interrotta, può ora riprendere il suo intervento.
DOMENICO VOLPINI. Avendo nominato l'onorevole Valitutti, mi viene in mente la sua presidenza dell'unione per la lotta contro l'analfabetismo (Unla), ma anche la sua osservazione, onorevole Garagnani, circa il comma 12 dell'articolo 1 del testo al nostro esame. Nel comma in questione non è stata prevista l'estromissione della famiglia dai consigli di gestione della scuola, poiché ciò attiene, piuttosto, all'educazione permanente degli adulti: stiamo parlando, cioè, di persone di quaranta o cinquant'anni, e non avrebbe senso chiamare il padre, la madre o il nonno ad intervenire. Essi stessi fanno già parte dei comitati e dei consigli e in tali sedi esprimeranno le loro posizioni: sono individui pienamente adulti, dunque non hanno bisogno dell'intervento dei genitori o della famiglia, in quanto essi stessi, in genere, sono capifamiglia e possono di per sé stessi e per conto loro intervenire.
Ringrazio, signor Presidente, il Governo per l'attenzione e spero di aver risposto a tutte le obiezioni del collega Garagnani.
FABIO GARAGNANI. No, meno che mai!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Schietroma, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2272-ter-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Sasso.
ALBA SASSO, Relatore. Signor Presidente, la mia replica sarà molto veloce. Ho ascoltato con molta attenzione l'intervento dell'onorevole Garagnani, ma credo che il provvedimento al nostro esame sia anche di natura tecnica: esso reca norme urgenti per l'istruzione ed affronta una serie di questioni che vanno risolte o che andrebbero risolte al più presto.
A mio avviso - onorevole Garagnani, ce lo siamo già detto quando abbiamo lavorato in Commissione, dove abbiamo trovato anche punti di convergenza - questo provvedimento dimostra essenzialmente che la scuola italiana ha bisogno di riscrivere il testo unico per la legislazione scolastica, perché nel corso degli anni la legislazione si è andata accumulando e sono state approvate nuove norme che non hanno cancellato le precedenti, rischiando alla fine di ingenerare effettivamente confusione.
Credo che la scuola italiana abbia bisogno di quanto è stato fatto in altri Paesi (ad esempio, la Spagna, che ha adottato una legge generale o di ordinamento, come è stata chiamata), ossia di norme snelle, leggere, comprensibili e, soprattutto, attuabili.
Molte volte la legislazione scolastica - questo è il punto - lascia interdetti anche coloro che la devono applicare. Si tratta, quindi, di un provvedimento urgente, la cui urgenza è dimostrata anche dal fatto che alcuni degli argomenti contenuti nel disegno di legge in discussione sono stati stralciati e hanno trovato collocazione in un disegno di legge di conversione di cui abbiamo avviato la discussione nella scorsa settimana e che mi auguro si concluderà in questa settimana.
Le norme principali, citate prima dagli onorevoli Volpini e Garagnani, sono quelle relative alla questione del tempo pieno. Ne abbiamo discusso e credo sia stato uno dei temi che abbiamo trattato di più. Voglio ribadire, con semplicità, una questione: il tempo pieno (le 40 ore), sul quale nella scorsa settimana in aula vi è stata una lunga discussione, rappresenta un modello pedagogico che è stato ed è fondamentale - non è vero che il tempo pieno non esiste: è stato ridotto ma è presente - per garantire il migliore apprendimento e, soprattutto, il migliore apprendimento per tutti, che costituisce, come affermava il collega Volpini, uno degli obiettivi di una scuola democratica.
Vi sono ancora delle difficoltà, anche rispetto a tale testo di legge - non lo voglio nascondere - relative al fatto che tale modello, che è stato così importante nella scuola italiana, ha bisogno di più personale.
Non solo la Commissione bilancio, ma anche il Ministro dell'economia sembrano non consentire un impiego di risorse per il tempo pieno che, invece, costituirebbe uno strumento molto importante. Infatti, quando si leggono le statistiche e i quaderni bianchi sull'istruzione, ci si mette le mani nei capelli. Come mai al sud i livelli di apprendimento delle ragazze e dei ragazzi sono più bassi rispetto a quelli dei loro coetanei dell'Italia centrale e del nord? Forse perché nel sud esperienze come quelle del tempo pieno o la generalizzazione della scuola dell'infanzia non vi sono. Si tratta di quelle precondizioni che permettono, veramente, di combattere la dispersione scolastica e di migliorare il livello e la qualità dell'istruzione generale.
Un altro tema affrontato nel provvedimento in esame, anch'esso transitato nel decreto, è quello relativo ai provvedimenti disciplinari. Anche in questo caso se ne è fatto un gran parlare. Sembra che con tale provvedimento si vadano a colpire gli insegnanti fannulloni. Non è così, perché si tratta di provvedimenti disciplinari che già esistono. Alcuni procedimenti sono stati resi più celeri perché nella scuola, come in altri settori, il problema è costituito dal tempo delle decisioni, che non èPag. 15sempre esclusivamente legato alle necessarie garanzie dei destinatari del provvedimento.
Su tali temi continueremo a discutere nel corso dell'esame del provvedimento, perché sicuramente la questione delle sanzioni e dei provvedimenti disciplinari è assai delicata e va affrontata con la necessaria urgenza, che è stata adoperata, ma anche con tutte le garanzie per ogni soggetto della vita della scuola.
Inoltre, vi sono altre norme, onorevole Garagnani, che procedono nella direzione degli argomenti da lei sostenuti. Per esempio, vi è una norma volta a garantire la permanenza nelle scuole sia dei docenti di sostegno per i ragazzi diversamente abili, sia dei docenti che insegnano nelle scuole a rischio, in ospedale, eccetera, che garantisce la continuità che dovrebbe essere assicurata a tutti gli studenti, che diventa ancora più importante per quelli che hanno maggiori difficoltà e che necessitano della permanenza di figure di riferimento.
Vi sono altri elementi, che anche lei ha citato, come l'individuazione degli organi di governo dei centri per l'educazione permanente.
Vi è un'altra disposizione molto importante nel provvedimento in esame, ossia quella che riassegna i fondi non spesi per l'edilizia scolastica e che sono da utilizzare anche per ottimizzare la messa in sicurezza e l'adeguamento a norma degli edifici scolastici.
Vi erano anche alcune norme, sulle quali la Commissione bilancio è stata molto severa, volte a ridurre la TARSU che, per alcune scuole (soprattutto quelle primarie), costituisce il 90 per cento del bilancio della scuola stessa, o a ridurre l'IVA sugli acquisti per le specifiche attività della scuola.
Confido che nel dibattito parlamentare e nella discussione degli emendamenti si possa ritornare su tali questioni.
PRESIDENTE. Onorevole Sasso, concluda.
ALBA SASSO, Relatore. Concludo, Presidente.
Il cammino per l'approvazione definitiva del provvedimento al nostro esame è ancora lungo e, sia in Commissione, sia in Assemblea, dovremo trovare accordi su taluni aspetti che mi sembrano veramente essenziali per la scuola, senza enfatizzare la natura del provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GAETANO PASCARELLA, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione l'intervento dell'onorevole Garagnani e ritengo di poter fare un'osservazione che possa, a mio parere, aprire un confronto nel Parlamento e nel Paese libero dai pregiudizi del passato.
Sono convinto che l'aspetto più innovativo della scuola italiana sia costituito dall'autonomia scolastica, perché, attraverso la rete delle autonomie, significa riportare la scuola nei territori e poter dare le opportune risposte ai problemi che si hanno di fronte. Non sempre alle stesse domande si possono dare risposte uguali a prescindere dai territori. Pertanto, l'aspetto della valorizzazione delle autonomie locali è senz'altro un elemento che deve rilanciare, nel Parlamento e nel Paese, un confronto più aperto.
Inoltre, vi è un aspetto certamente innovativo: il Governo non ha inteso nascondere le difficoltà della scuola italiana. Nel Quaderno bianco abbiamo detto, con serenità e severità, che la scuola italiana vive un momento di grande difficoltà, messa in evidenza prima quasi esclusivamente da istituzioni di monitoraggio internazionale e oggi anche dall'istituzione di una valutazione interna al Ministero della pubblica istruzione.
Su tali difficoltà, con la collaborazione del Parlamento, stiamo cercando di intervenire con atti legislativi che hanno visto impegnati, in questi mesi, sia la Camera sia il Senato.
Il disegno di legge al nostro esame è stato ampiamente stralciato, perché alcune norme sono presenti nel disegno di legge di conversione del decreto-legge sull'avvioPag. 16dell'anno scolastico in approvazione nei prossimi giorni dalla stessa Camera. Altre questioni, come è giusto che sia e come rilevava la relatrice onorevole Sasso, sono state stralciate perché sugli aspetti della democrazia è sempre necessario sviluppare un dibattito più ampio possibile, ma oggi, anche alla luce delle scelte compiute nella legge finanziaria dell'anno presente, penso che alla scuola italiana si possa ricominciare a guardare con fiducia.
Sono tagliati i rimborsi ai partiti politici e i proventi vengono utilizzati per la messa in sicurezza delle infrastrutture scolastiche italiane: ciò costituisce certamente un aspetto positivo, come lo stanziamento di 154 milioni di euro previsti dal decreto-legge affinché vi sia un migliore funzionamento della scuola.
Già veniva detto precedentemente che alla scuola si è data direttamente, nella legge finanziaria dello scorso anno, la possibilità di avere un'autonomia anche economica. Su tale versante vi è la necessità di regolamenti e di approfondimenti, ma un segnale positivo certamente è stato dato.
Un ulteriore segnale, a mio avviso, estremamente positivo è costituito dalla scelta che si sta compiendo in queste ore, attraverso cui si forniscono delle risposte in merito ad alcuni commi dell'articolo 1 per quanto riguarda i docenti di sostegno.
Infatti, finalmente, rispetto ai quasi 100 mila insegnanti di sostegno della scuola italiana, soltanto 48 mila erano nell'organico di diritto. Ci avviamo a portare tale cifra quasi a 70 mila, che significa dare una risposta anche per quanto riguarda la qualità dell'istruzione di questi nostri concittadini più deboli, con una possibilità di avere una stabilità nell'insegnamento pluriennale da parte degli stessi docenti di sostegno.
Per il resto, mi richiamo alle osservazioni svolte con puntualità e precisione dall'onorevole Alba Sasso.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del disegno di legge: Concessione di un contributo finanziario alla Delegazione generale palestinese per il funzionamento della sede in Italia (A.C. 2549) (ore 16,20).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Concessione di un contributo finanziario alla Delegazione generale palestinese per il funzionamento della sede in Italia.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2549)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole De Zulueta, ha facoltà di svolgere la relazione.
TANA DE ZULUETA, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge che discutiamo oggi tratta della concessione di un contributo per finanziare la Delegazione generale palestinese e, specificatamente, per il funzionamento della sede dell'ufficio dell'Autorità nazionale palestinese in Italia. Tale finanziamento è, di fatto, il rinnovo di un contributo già rinnovato per il triennio 2002-2004, per un valore di 309.875 euro annui.
Ricordo che la delegazione palestinese opera a Roma da molti anni (dal 1974). L'Italia, inoltre, è stato uno dei primi Paesi, se non il primo, a riconoscere a tale delegazione lo status diplomatico, che è intervenuto nel 1989. Ricordo anche che tale finanziamento è stato istituito nelPag. 171996 e rinnovato nella scorsa legislatura. Ciò testimonia una continuità nella politica estera italiana, che vede nell'Autorità nazionale palestinese (e nella possibilità per l'Autorità stessa di agire anche attraverso proprie rappresentanze all'estero) un importante attore nel necessario, ma purtroppo non molto avanzato, processo di pace.
Ricordo che vi dovrebbe essere a novembre una conferenza di pace promossa dal Governo statunitense nello Stato del Maryland e che saranno presenti - c'è da augurarselo - tutti gli attori coinvolti nello scenario. Probabilmente parteciperà anche la Siria, anche se oggi stesso il Presidente Bashar al-Assad ha dichiarato che potrebbe partecipare solo a condizione di poter parlare anche degli aspetti del conflitto riguardanti il proprio Paese, non solo come osservatore.
Spero che con un voto unanime dell'Assemblea potremo rilanciare un protagonismo italiano, che è storicamente confermato in tale processo di pace. Siamo direttamente coinvolti nello scenario del conflitto con la presenza delle nostre truppe sulla frontiera tra il Libano e Israele. Inoltre, la guida della missione delle Nazioni Unite UNIFIL è italiana. La proposta stessa di rafforzare UNIFIL fu una proposta italiana e credo sia importante ritrovare la capacità di essere propositori di soluzioni sempre più avanzate.
La mia opinione è che un processo di pace che continui ad ignorare una parte della popolazione palestinese e la sua rappresentanza - mi riferisco a quella di Hamas attualmente accerchiata nella Striscia di Gaza - non può fare grandi passi avanti. Pertanto, condivido e spero che troverà altri sostenitori internazionali l'appello di intellettuali e scrittori israeliani che, di recente, hanno suggerito al proprio Governo di avviare un negoziato, con il fine di assicurare un cessate il fuoco tra Hamas e il Governo israeliano.
Il Governo di Israele, attraverso la persona del suo Ministro della difesa Ehud Barak, purtroppo ha dato segnali molto diversi, minacciando un'ulteriore incursione militare nella Striscia di Gaza. Credo che in un momento così difficile sarebbe saggio, piuttosto, ascoltare le voci autorevoli a sostegno di un percorso esclusivamente negoziale, un percorso di pace, quali sono quelle degli scrittori più importanti, Amos Oz, David Grossman e Abraham B. Yehoshua. Faccio riferimento al loro appello per la pace, nella speranza che anche dall'Italia possa ripartire un'iniziativa costruttiva in tal senso.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, come ha ricordato la collega relatrice Tana De Zulueta, con il provvedimento in esame rinnoviamo per il triennio 2007-2009 un contributo che è sempre stato concesso a partire dal 1996 da tutti i Governi che si sono succeduti in questi anni per il funzionamento della Delegazione generale palestinese nel nostro Paese.
Tale contributo - occorre ricordarlo - forfettario e senza obbligo di rendicontazione, origina, come scritto nella relazione, dalla necessità di sostenere il Presidente Abu Mazen e di rafforzare l'apparato statale palestinese da cui direttamente dipendono le delegazioni palestinesi all'estero.
Preannunzio subito che il gruppo della Rosa nel Pugno voterà questo provvedimento ed anche io lo farò con tutti i dubbi possibili e immaginabili riguardo a forme e contenuti di interventi di questo genere. In termini metodologici preferisco forme di finanziamento «a progetto» piuttosto che contributi a fondo perduto per sostenere le strutture.
Inoltre - questo è il dato politicamente più rilevante sul quale mi soffermerò - credo occorra interrogarsi sulle prospettive, potremmo dire strategiche, di interventi di questo tipo e il provvedimento in esame, che come ripeto voteremo, mi dàPag. 18l'occasione di farlo. Occorre dire con molta nettezza che il nostro Paese e l'Europa non hanno la visione che vorrei avessero, un progetto su quell'area, detta Medio Oriente, nella quale, peraltro, affondano le radici della nostra storia e della nostra cultura europea. Mi riferisco, in particolare, a quel lembo di terra chiamato Palestina dove sono nate le tre religioni monoteiste, che oggi coincide con il focolaio di crisi e di guerre e rappresenta l'unica parte del mondo che ha conosciuto periodicamente, ma costantemente, il dato strutturale del conflitto, della guerra tra nazioni e fazioni, che rischia poi di propagarsi a livello mondiale.
Noi, in quanto partito radicale, su quell'area abbiamo un progetto e lo abbiamo lanciato come primo grande satyagraha mondiale per la pace in Medio Oriente, per costruire un'alternativa strutturale al dato strutturale di una realtà che genera e provoca continuamente guerre e conflitti in Medio Oriente che rischiano di propagarsi nel mondo.
Il nostro è un progetto chiaramente federalista e democratico. È velleitario o visionario? Io credo di «no». Ritengo, invece, sia un progetto realista, certamente più di tanti progetti che circolano, di road map, di conferenze cosiddette di pace e di piani che, ben che vadano, riproporranno o ripristineranno uno status quo che è una situazione di guerra, di Stati in conflitto tra loro. Quindi, ben che vada, vi sarà uno status quo, una tregua, ma tra un conflitto e l'altro e tra una guerra e l'altra.
È un progetto visionario? Veniva considerato visionario e velleitario il progetto lanciato quattro anni fa da Marco Pannella con il titolo «Iraq Libero», che prevedeva un'alternativa all'intervento armato che si stava preparando (e che poi si è compiuto): ossia l'esilio per il dittatore iracheno e, nel frattempo, un'amministrazione transitoria e controllata non dagli iracheni, ma dalle Nazioni Unite.
Coloro che siedono in quest'aula e gli stessi giornali italiani, che con la loro disinformazione hanno ricoperto un ruolo determinante nel fallimento di tale progetto, ora potrebbero riparare a quel danno inferto al nostro Paese (e sarebbe comunque poco!), agli Stati Uniti (che con i 4 mila morti americani forse un danno l'hanno avuto!), alle decine di migliaia, anzi, forse centinaia di migliaia, di morti irachene e alla situazione in cui l'Iraq si trova in questo momento.
L'informazione italiana deve riparare al danno di disinformazione che ha provocato quando ha censurato quel progetto che poi si è rivelato essere realistico. In questi giorni, infatti - ma era già accaduto nei mesi scorsi - dai diari di un personaggio politico che poi ha aderito a quell'iniziativa di guerra, l'allora Premier spagnolo Aznar, è trapelato che Saddam Hussein era d'accordo sul proprio esilio, aveva già sondato la disponibilità di alcuni Paesi del Medio Oriente e del mondo arabo che hanno confermato che sarebbero stati disposti ad accoglierlo, e che chiedeva semplicemente di portarsi via il suo «tesoretto», ossia un miliardo di dollari. Quanto è costata la guerra da allora ad oggi, e quanto costerà, purtroppo, nei prossimi mesi, se non anni, rispetto a quel miliardo di dollari che Saddam Hussein chiedeva di portarsi via, magari con alcuni componenti della sua famiglia e del suo regime?
Ora, si è a conoscenza del fatto che l'esilio era pronto, che si trattava di un progetto realistico, ma che è stato impedito con un'accelerazione nell'intervento armato. Aznar, inoltre, scrive nei suoi diari che il Presidente Bush era contrario all'esilio, in quanto avrebbe preferito regolare i conti con Saddam Hussein in un altro modo, ma abbiamo visto in che modo lo ha fatto e con quale successo.
Pertanto, il nostro progetto relativo all'area del Medio Oriente è chiaramente federalista e democratico perché, come è accaduto nell'Europa degli anni Quaranta, anche per quanto riguarda il Medio Oriente di oggi occorre riconoscere nel dato strutturale di certi Stati nazionali ed autoritari, nelle aspirazioni ed illusioni nazionaliste, nonché nelle ideologie apertamente illiberali la causa prima delle guerre con un'ipoteca pesante e distruttiva sullo sviluppo civile e democratico della regione medio-orientale (è ciò che rappresentanoPag. 19le ideologie nazionaliste, il mito della sovranità nazionale assoluta ed i regimi totalitari).
Il discorso - e lo affermo con chiarezza, nonostante la profonda amicizia che lega la mia parte politica a Israele - vale anche per lo Stato di Israele, il cui connotato strutturale, nazionale, sostanzialmente nazionalistico appare sempre di più dominante nella sua politica estera e di difesa, così come risulta oggi, limitata nei confini di un territorio che costituisce lo 0,2 per cento dell'intera area con l'accerchiamento dello Stato di Israele in quel mare di fondamentalismo o, comunque, di regimi sicuramente non democratici, affidandosi esclusivamente alla propria potenza e capacità militare.
Tale dato strutturale costituisce un'illusione e rischia anche di essere un pericolo per Israele, ma anche per la sua vita e per l'intera area. La sicurezza di Israele non può essere nel medio-lungo periodo garantita dal suo esercito e forse meno che mai dai caschi blu delle Nazioni Unite, né dai berretti verdi americani, ma solo da una prospettiva e da una dimensione di Israele più ampia che deriva dalla consapevolezza di essere parte di uno spazio politico, giuridico, in una parola, istituzionale, sovranazionale, come potrebbe essere quello europeo. Ciò significa essere parte di una comunità non di 6 milioni di cittadini, ma di quasi mezzo miliardo di persone.
Lo stesso discorso vale per il nascente Stato palestinese rispetto al quale, a mio avviso, è del tutto insoddisfacente la formula: due popoli, due Stati. Se non nei limiti illusori e già pericolosi della sovranità nazionale assoluta, la formula deve essere almeno intesa nel senso di due popoli e due democrazie, non due Stati. Quindi, deve essere almeno assicurato che il nascente Stato palestinese sia fondato sui principi di Stato di diritto, sul rispetto dei diritti civili e politici, sul diritto alla libertà e alla democrazia dei cittadini palestinesi innanzitutto. Il rispetto di tali diritti deve essere almeno pari a quello che lo Stato di Israele assicura ai suoi cittadini e agli stessi palestinesi che vivono nel suo territorio.
Signor Presidente, colleghe e colleghi, con il disegno di legge al nostro esame dobbiamo essere consapevoli di finanziare non uno Stato di diritto in atto, ma - credo - un mito e, forse, un'altra, l'ennesima illusione in Medio Oriente. Di certo, sosteniamo una struttura, non un progetto e, forse, un'idea di Stato della quale, però, già oggi non conosciamo i connotati, ossia se si tratti di uno Stato di diritto e quali siano i diritti civili e politici del nascente Stato palestinese. Anzi, se dovessimo prefigurare il futuro Stato palestinese a partire dalla realtà odierna dell'amministrazione nazionale palestinese, non sarei certo e fiducioso sul futuro del nuovo Stato, se è vero - come è vero - che la memoria è il futuro. Abbiamo memoria di quali siano le violazioni nei territori amministrati dall'Autorità nazionale palestinese: la pena di morte, le esecuzioni, i processi (e la rapidità con la quale questi sono svolti), le garanzie e i diritti della difesa. Se il nascente Stato palestinese dovesse fondarsi su tali presupposti, ciò costituirebbe un pericolo innanzitutto nei confronti dei cittadini palestinesi e poi, per il connotato illiberale o nazionalistico che quello Stato avrebbe, anche nei confronti degli Stati vicini.
È scritto chiaramente nella relazione che, con il finanziamento previsto nel disegno di legge in esame, contribuiamo a rafforzare l'apparato statale palestinese nella prospettiva di pace in Palestina - quindi in Medio Oriente - e, magari, anche nel resto del mondo. Andrei più cauto e mi limiterei ai dati di fatto: finanziamo una struttura alle dipendenze dell'Autorità nazionale palestinese.
Rimango della convinzione, inoltre, che la pace in Palestina, come in ogni altra parte del mondo, affinché sia un dato strutturale alternativo alla realtà e alle prospettive incombenti di guerra e di conflitti nazionali, passa attraverso il superamento del principio della sovranità assoluta, delle ideologie illiberali e delle illusioniPag. 20nazionaliste, che sono state la fonte di tutti i problemi del Medio Oriente e temo presto anche del mondo.
Inoltre, se i palestinesi hanno diritto a avere uno Stato, credo abbiano il diritto a non vedersi imposto uno Stato qualsiasi o una qualunque forma di Stato (come ne abbiamo conosciute e ne conosciamo in Medio Oriente): se Stato deve essere, che sia almeno espressione e forza dei diritti umani, politici, civili, sociali e di coscienza innanzitutto dei cittadini palestinesi.
Deliberiamo il finanziamento alla Delegazione in Italia dell'ANP, sapendo che esso rischia di essere letteralmente a fondo perduto, se non concepiamo anche qualcosa di diverso ed alternativo: una visione, un progetto, una soluzione diversa, alternativa al dato strutturale di guerre e di conflitti in quell'area. Tale alternativa - ripeto - risiede, a parer mio, solo nella prospettiva federalista, democratica e liberale in quell'area: intanto potrebbe prevedersi, ad esempio, una forma federale in cui Palestina, Israele, Libano e Giordania devolvono parte della loro nazionalità a garanzia del fatto che, almeno tra di loro ed in quell'area, non vi saranno guerre. Se ricordate, tale meccanismo, negli anni Quaranta, è stato prefigurato da altri visionari, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, che proposero per l'Europa delle patrie in cui rischiamo di ricadere; non siamo di fronte alla patria europea che essi stessi vollero e prefigurarono, ma alla realtà dell'Europa delle patrie.
La patria europea fu da loro concepita come l'antidoto alle guerre fratricide, che in Europa avevano provocato non soltanto i morti ma anche la storia e la vicenda del nazismo. I nostri padri allora decisero di costituirsi in Comunità europea e di introdurre elementi di federalismo, che determinarono il fatto che non vi fossero più guerre nel continente europeo.
Il meccanismo è lo stesso. Mi riferisco ad un federalismo che comprenda, in quell'area, la Palestina e Israele, ma che riguardi anche una dimensione più allargata - la chiamo euromediterranea - ove popoli e persone palestinesi, israeliani, giordani e libanesi potranno considerarsi parte di un'unica comunità umana e soprattutto godere degli stessi diritti civili, politici, sociali ed economici di cui godiamo, ad esempio, noi, bianchi, cristiani ed europei.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caldarola. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CALDAROLA. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevole relatrice, colleghe e colleghi, parlo a nome del gruppo dell'Ulivo, e a nome di questo gruppo preannuncio fin da ora il voto favorevole al disegno di legge illustrato dall'onorevole De Zulueta. Sono undici anni - credo dal 1996 - che l'Italia assegna un contributo per il funzionamento della Delegazione generale palestinese nel nostro Paese.
In questi undici anni, durante i quali il mondo è cambiato, la situazione del Medio Oriente, nell'area, è cambiata ma non si sbaglia a dire che, probabilmente, è cambiata in peggio.
Israele ha una maggiore percezione della propria fragilità, più volte anche resa evidente da numerosissimi attentati e anche, di recente, dalla vicenda che ha visto contrapposti Israele e Libano, con tutti i drammi della guerra e anche le autocritiche che il Governo d'Israele ha fatto.
È peggiorata la condizione di vita dei palestinesi, che raggiunge ormai livelli allarmanti, che non possono non angosciare tutti quanti noi. Si è aperto uno scontro, che forse non immaginavamo potesse avere queste proporzioni, all'interno stesso del mondo palestinese, con una contrapposizione che ha fatto parlare - credo legittimamente - di colpo di Stato ai danni dell'Autorità palestinese, e con un controllo del territorio da parte dei settori più radicali e fondamentalisti del mondo palestinese, al punto che, con perfida ironia noir, molti hanno posto il tema, per quell'area, non più di due, ma di tre Stati. È ovvio che si tratta di un ragionamento inaccettabile.
Tuttavia è più insicura l'area nel suo insieme e al riguardo citavo prima il Libano. Di recente ho fatto un visita nelPag. 21territorio d'Israele - sono anche presidente della sezione bilaterale di amicizia Italia-Israele, un Comitato parlamentare - e mi sono trovato di fronte a militari che ragionavano sull'esperienza tragica dall'anno passato, ma che temevano anche che quella esperienza dovesse ripetersi.
Al momento la missione militare italiana e internazionale fornisce condizioni d'interposizione utili, però le notizie anche recenti non lasciano tranquilli; mi riferisco in particolare alla ripresa dell'attacco alle componenti musulmane non radicali, a quelle cristiane, e a quella parte del Parlamento libanese che ha a cuore una maggiore autonomia di quel Paese rispetto alle mire siriane.
Siamo di fronte dunque ad una situazione di straordinario pericolo che riguarda l'intera area. Non mi diffondo sulle altre questioni, anche perché sono largamente note a tutti noi. Addirittura molti credono - tale fatto è adombrato anche oggi da un articolo di un intellettuale esperto e denso come Lucio Caracciolo - che sia anche superata la formula «due popoli, due Stati».
Prima il collega affermava a ragione che questa formula va integrata nel senso di dire «due popoli, due Stati, due democrazie», perché il contributo che il mondo deve dare è in favore di una più complessa operazione di liberazione che riguardi l'autonomia palestinese e la sicurezza di Israele ma anche le garanzie democratiche per tutti i popoli che vivono in quell'area.
Molti pensano, anche in Israele, che questo Stato sarà costretto a combattere una nuova guerra. Molti credono e sperano che lo Stato ebraico sarà distrutto nel lungo periodo dal fattore demografico, poiché la gara dal punto di vista della pressione demografica è incomparabilmente più difficile per Israele di quanto sia per il mondo palestinese e per il mondo arabo.
Molti, inoltre, pensano che il popolo palestinese rischi di essere disperso per sempre e per sempre destinato a militare nelle file più oltranziste. È drammatico leggere i dati su come oggi è dislocata la popolazione palestinese nelle diverse aree del mondo fino a comprendere una robusta diaspora molto al di fuori di quelle terre.
Credo che dobbiamo renderci conto che il lavoro per riportare la pace è di lunga lena e richiede pazienza, fantasia e anche le parole degli scrittori, non solo di quelli che giustamente citava l'onorevole De Zulueta.
Ho letto sei o sette mesi fa uno splendido romanzo di una scrittrice israeliana, Schifra Horn, che ha un titolo che sembra sinfonico, perché rimanda ad un motivo che contrasta con il tema. Infatti, il romanzo è intitolato Inno alla gioia e si apre con una scena drammatica in cui una giovane donna israeliana, seguendo un bus, scambia sorrisi con una bambina o un bambino - si capirà alla fine di chi si tratta - che improvvisamente salta per aria. Muoiono decine di persone, un evento accaduto assai spesso nella terra di Israele, e la vita di questa donna viene sconvolta al punto che, nella ricerca della famiglia di questo bambino o bambina, essa sfascia la propria famiglia ma poi alla fine ritrova un'amicizia molto forte con un personaggio arabo, di religione musulmana.
Dalla letteratura talvolta viene un messaggio di pace, non solo da quella dei grandi nomi, ma anche di personalità importanti anche se non così internazionalmente note. Quel messaggio in qualche modo apre il cuore alla speranza, soprattutto in giornate come queste in cui siamo alla vigilia di eventi decisivi. Dopodomani si terrà l'incontro, già previsto per domani, tra Olmert e Abu Mazen, in vista dell'incontro nel Maryland, perché si possa fare un passo in avanti nel processo di pace, anche se le agenzie oggi stesso riportavano alcune dichiarazioni, da parte del rappresentante della Lega Araba, particolarmente improntate al pessimismo.
In questo senso, per non dilungarmi troppo, penso che il senso del provvedimento in esame - pur piccolo e che spero trovi il voto unanime del Parlamento, indipendentemente dalle opzioni di ciascuno di noi, dalla preferenza, che non demonizzo verso l'una o l'altra delle parti in lotta, anche se credo che si sia capitoPag. 22dove batte il mio cuore - risiede soprattutto nel fatto che si conferma un contributo per l'Autorità palestinese nel momento in cui il riconoscimento di ruolo dell'Autorità palestinese e soprattutto del suo leader, Abu Mazen, è particolarmente rilevante.
Certo devono essere i palestinesi a scegliersi i propri leader, però è abbastanza importante che il popolo palestinese sappia che con certi leader è più facile discutere che con altri. Lo dico perché ho sentito un cenno, anche nell'intervento della collega De Zulueta, intorno alle posizioni che una parte dell'occidente prende sul ruolo di Hamas.
Il fatto che Hamas sia legittimato dal voto popolare è consegnato alla cronaca e alla storia; il fatto che, però, ciò possa fare aggio sulla richiesta stringente, imperativa e categorica che Hamas rinunci, nel proprio programma fondamentale e in quello pratico, alla distruzione dello Stato di Israele, ritengo sia un obbligo per le potenze democratiche, per i cittadini democratici e per gli amici dei palestinesi. La vittoria di posizioni come quelle di Hamas non cambia di un millimetro la condizione umana drammatica delle popolazioni palestinesi, libere di scegliersi i leader, ma libere anche di sapere che con certi leader non si costruisce la pace.
Ritengo che, con l'approvazione del provvedimento in discussione, si lanci un doppio messaggio di amicizia: innanzitutto, verso i palestinesi e la parte che li rappresenta e che vuole percorrere, fra tante fatiche, una linea di diplomazia e di trattativa (come scrive oggi Amos Oz nell'intervista pubblicata dal Corriere della Sera, esaltando il valore storico del concetto di compromesso fra parti in lotta), ma anche verso lo Stato ebraico, per incoraggiare quelle forze (anche nello Stato ebraico vi sono posizioni diverse) che hanno investito il destino personale del proprio Paese sul tema della pace.
Noi tutti dobbiamo liberarci delle lenti della guerra fredda. Talvolta noto - e concludo - che nella discussione riguardo alla vicenda ebraico-palestinese, utilizziamo lenti del passato, che guardano divisioni del mondo del passato e che non fanno giustizia della drammaticità delle condizioni di oggi. Ritengo sia necessario partire da questo, per garantire a Israele il diritto assoluto alla sicurezza e un processo di pace che possa portare rapidamente ad uno Stato democratico per i palestinesi in Palestina.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cossiga. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE COSSIGA. Signor Presidente, come avviene quando un provvedimento di legge ottiene la formale approvazione da parte di tutti i gruppi, la fase di discussione in Assemblea, a volte (proprio nell'affrontare problemi che sono considerati scontati), si articola su considerazioni più generali e, forse, più utili, anche a testimonianza della necessità che il Parlamento ha di riflettere e discutere su alcuni temi che, troppe volte, sono considerati scontati.
Il disegno di legge in discussione, sostanzialmente identico a quello che fu approvato nella scorsa legislatura, è caratterizzato, a mio avviso, da un vizio dei Governi italiani, al di là del colore politico (forse si tratta proprio di un problema italiano), del «non dire» e di dare per scontato. Mi scuseranno gli uffici, non vuole essere un attacco al Governo, ma ciò è in parte esemplificato anche dalla sciatteria con cui è stata preparata la relazione relativa al provvedimento.
Con questo disegno di legge si vuole concedere un contributo finanziario alla Delegazione generale palestinese: si riporta in esso che la ragione risiede nella necessità di concedere tale contributo e che l'obiettivo è, appunto, quello di concederlo. Ritengo che, su alcuni aspetti, l'intervento della relatrice, nella sua serenità, sia parzialmente omissivo.
Il primo punto che sottopongo alla vostra attenzione è che il provvedimento rinnova da capo un contributo alla Delegazione: in Italia non esiste una legge che preveda la concessione di tale contributo. Se parliamo delle leggi che sono state varate, faccio notare che l'ultima è quellaPag. 23relativa al triennio 2002-2004, mentre questa è relativa al triennio 2007-2009: vi sarebbe da considerare cosa sia accaduto nel 2005 e nel 2006. È accaduto che, non esistendo una legge che nella sua conformazione potesse garantire un contributo alla Delegazione palestinese, quando se ne sente la necessità, quando le situazioni politiche lo richiedono o lo considerano opportuno, i vari Governi trovano modo di finanziarlo.
Ciò accadde nella scorsa legislatura con il Governo Berlusconi, che - tra l'altro - incrementò tale contributo di 100 milioni di vecchie lire all'anno, e accade nuovamente adesso.
Tutti siamo favorevoli a questo provvedimento e probabilmente molti di noi lo sono per motivazioni molto diverse; l'onorevole D'Elia ha addirittura descritto i suoi dubbi, io ho molti meno dubbi di lui ma, probabilmente, ho motivazioni diverse da quelle che sentiremo.
Un altro punto che viene toccato nella relazione - più per «non dire», che per «dire» - riguarda il fatto che questo provvedimento si inquadrerebbe in un generico supporto al popolo palestinese, il quale - e in ciò, ha sicuramente ragione l'onorevole d'Elia - ha bisogno di capacità realizzativa di progetti, più che di ambasciate. Quando si finanzia semplicemente una struttura, sinceramente ho difficoltà a pensare che tale contributo serva al popolo palestinese, così come ho qualche difficoltà a pensare che questo contributo, nei fatti, possa contribuire al rafforzamento delle istituzioni statali, in particolare della posizione del Presidente Abu Mazen.
Dunque, ciò che manca in questo provvedimento e, purtroppo, in quasi tutti quelli che riguardano la Palestina, è il progetto: cioè, cosa vuole, nello specifico, questo Governo italiano e cosa volevano i precedenti Governi italiani nel concedere il finanziamento, nella forma che è stata scelta negli ultimi dieci anni e nei vari supporti che sono stati dati alla classe dirigente del popolo palestinese del passato. Di queste cose normalmente non si parla e con questo provvedimento si continua a non parlarne.
Ho difficoltà a pensare che le motivazioni che sono alla base della norma in esame, da parte del Governo che ha come Ministro degli esteri l'onorevole D'Alema, possano essere le stesse di quelle del Governo Berlusconi. Parliamone, dunque! Parliamo di queste differenze, del progetto di questo Governo nei confronti della Palestina e, nello specifico, dei rapporti con l'amministrazione e con la dirigenza palestinese che può avere un'altra parte politica.
Nel momento in cui parliamo del progetto, infatti, risulterà evidente che - ancora una volta e come spesso accade quando si parla di tematiche spinose, come ad esempio la guerra in Afghanistan o la guerra che non abbiamo fatto in Iraq (ove, nel non utilizzare la parola, si spera di esorcizzare il problema) - anche in questo caso, non si capisce quale sia l'interesse del nostro Paese nel finanziamento della delegazione palestinese in Italia, quale sia l'interesse del nostro Paese e dell'Europa nell'appoggiare una parte - e, sottolineo, evidentemente non l'altra - della dirigenza palestinese.
È stato correttamente sottolineato, infatti, come la legittimazione democratica a volte non sia sufficiente, per quanto ciò avvenga in un contesto che non è né democratico, né liberale. La garanzia di democrazia non è data dal voto; quando il voto avviene in un contesto che, per sua natura, è lungi dall'essere quello in cui la vera democrazia si può esercitare, non è il voto a fornire legittimazione democratica.
Pertanto, qual è il nostro interesse nell'appoggiare Abu Mazen e la sua parte, anche attraverso il finanziamento della delegazione? È più importante l'interesse del nostro Paese e dell'Europa, o il più generico interesse-obiettivo della pace in Medioriente od altro?
Sento parlare spesso di pace e, assai meno spesso, degli interessi del nostro Paese. Nella difficile situazione mediorientale siamo tutti liberi di criticare sia l'azione del Governo israeliano (questo sì, democratico, anche per il contesto in cui opera), ma siamo anche legittimamente autorizzati a criticare alcune scelte della dirigenza palestinese.Pag. 24
Pertanto, in tale contesto, mi piacerebbe sentire dal Governo quali ritiene che siano gli interessi da difendere dell'Italia e come questi potrebbero essere raggiunti. So che non è questo il provvedimento che scioglierà i miei dubbi, ma non dispero e sono certo che sarà comunque un'occasione per approfondire alcuni temi.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione: le ricette per la tutela della pace e dei nostri interessi in quella regione sono sicuramente tante.
L'onorevole D'Elia ha voluto proporre un avventuroso paragone tra un futuro federale dell'area e lo sviluppo in senso federalista dell'Europa. È vero che, se non si pone in alto l'asticella, se non si pongono obiettivi alti e se non si ha un sogno, non si va da nessuna parte.
Tuttavia, sinceramente onorevole D'Elia, da un'Europa che ha avuto secoli di guerre e decine di milioni di morti, ma che ha una sua base di radici comuni, ci si può aspettare un certo tipo di evoluzione; ma in un contesto assai più complicato in cui le radici stesse sono intrecciate profonde e complesse - a mio avviso la situazione libanese è un esempio estremamente importante - è molto difficile pensare ad uno sviluppo come quello da lei indicato.
Ci troviamo in un contesto più complesso, in cui le radici sono profonde ma diverse, e a volte è l'una che, nel passato, ha tentato di strozzare l'altra. Io penso che, al centro del nostro progetto, vi dovrà essere l'interesse di tutti i popoli di questa regione al raggiungimento della pace anche al di là delle proprie radici (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il mio intervento sarà brevissimo. Vorrei cominciare con una considerazione persino ovvia e banale. Se abbiamo in mente la possibilità di risolvere, un giorno, le gravi e controverse vicende del Medio Oriente e la difficile situazione che viviamo nelle relazioni con i popoli che si trovano in Afghanistan, in Iraq e in altre realtà del Medio Oriente, non c'è dubbio che la chiave per risolvere tali problemi passi attraverso la soluzione della questione palestinese (intendendo ovviamente, con tale espressione il riferimento ad una situazione complessa in cui, da una parte, vi è il diritto del popolo palestinese a vedere riconosciuta la propria entità statuale e, dall'altra, il diritto di Israele ad avere la propria sicurezza ed il proprio riconoscimento compiuto e definitivo).
Non a caso, infatti, nella discussione del provvedimento con cui si chiede il rinnovo, per il prossimo triennio, della concessione di un contributo finanziario alla delegazione generale palestinese per la propria sede in Italia, preferirei che, più che parlare di opportunità, si sottolineasse il carattere della necessità.
Si tratta di una necessità che nasce fin dal 1993, quando l'allora OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina, riconoscendo lo stato di Israele, ricevette in cambio poteri di gestione, in buona parte autonoma, dei territori della Striscia di Gaza e di molte città della Cisgiordania, dando così vita all'Autorità nazionale palestinese.
Oggi ho ascoltato interventi molto seri e riferimenti anche ad esperienze personali. Vorrei aggiungere la mia esperienza personale, essendo stato fra gli osservatori dell'ONU presenti in Palestina il 20 gennaio del 1996 quando, per la prima volta, si votò per l'elezione del Parlamento dell'Autorità nazionale palestinese.
Allora, il clima di dialogo e pace fu immortalato da una storica fotografia, quella di Camp David - un'immagine che da lì a poco avrebbe fatto il giro del mondo e che ancora oggi rappresenta una pietra miliare di ciò che può essere ancora fatto e di quello che doveva essere ancora fatto in Medio Oriente - in cui si riprendeva la stretta di mano tra il leader palestinese Yasser Arafat e l'ex Premier israeliano Isaac Rabin, alla quale faceva da sfondo il Presidente americano Bill Clinton.
In seguito al grande passo avanti compiuto tra quei due leader, anche in Italia venne avviata una riflessione che portò, trePag. 25anni dopo, all'approvazione della prima legge tesa a finanziare la sede italiana della delegazione palestinese.
Fu un segnale di apertura internazionale dal carattere, non solo politico, ma anche sociale ed umanitario, che avrebbe ben presto trovato un riscontro (nel 2000 e, ancora, nel 2003 in tutt'altro contesto politico interno, per quanto ci riguarda), senza alcun ostacolo e senza alcuna contrapposizione ideologica, segno evidente dell'importanza che tale impegno rappresenta per tutto il popolo italiano e per le intere espressioni parlamentari di questo Paese.
Da anni, infatti, l'Italia riveste - credo di poterlo dire - un ruolo centrale nella diplomazia dello scacchiere mediorientale (non da ultimo il riferimento è al ruolo importante e preminente che abbiamo nel sud del Libano); un ruolo che, attraverso una posizione di responsabilità, la vede spesso frapporsi nel conflitto strisciante che oggi colpisce l'intera regione fino a sfociare nelle realtà limitrofe come il Libano.
È per tali motivi che oggi, come in passato, l'impegno italiano può rappresentare e rappresenta una necessità per l'intero processo di pace in Medio Oriente, un impegno che deve essere considerato all'interno della più complessa e organica serie di strumenti e di iniziative volte a concretizzare questo processo, da anni sempre più sfilacciato e meno tangibile.
In quest'ottica riteniamo importante rinnovare il contributo finanziario alla delegazione palestinese in Italia dalla quale dipende anche il funzionamento delle altre sedi all'estero, prevedendo inoltre ulteriori misure a favore del dialogo e del confronto pacifico tra Israele e Palestina.
In tal senso, preannuncio anche il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori sul provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente è impossibile dire oggi se aveva ragione un grande intellettuale palestinese, come Edward Said, nel sostenere che il processo di Oslo - quello del 1993 - era viziato alla base e non avrebbe mai potuto produrre un processo di pace.
Le sue convinzioni si basavano sul fatto che le due parti in causa - palestinesi e israeliani - erano assolutamente impari: da una parte c'era Israele, uno Stato moderno dotato di un imponente apparato militare (ora non lo so, ma sicuramente allora era considerato almeno la quarta potenza militare del mondo) che controllava (e controlla) territori e persone di cui si era impadronito con le armi trent'anni prima e, dall'altra, c'erano i palestinesi, una comunità dispersa, diseredata, sradicata, priva di un esercito e di territori propri.
C'era un occupante e c'erano coloro che subivano l'occupazione e, dunque, secondo Said, dichiarare - come si fece - che i punti controversi (cioè quelli rimasti in sospeso e che lo sono tutt'oggi: l'amministrazione di Gerusalemme, il diritto di ritorno dei profughi palestinesi, il problema dell'insediamento dei coloni, il ripristino delle frontiere del 1967) sarebbero stati affrontati in seguito, a suo avviso, già significava che non ci sarebbe mai stato alcun processo di pace e, cioè, che il progetto era viziato alla base.
Quanto è successo in questo periodo fino agli ultimi anni (l'assedio del 2000, il muro, la situazione di oggi ulteriormente aggravata, come qualcuno ha sottolineato), fa sorgere quantomeno un dubbio e, in ogni caso, impone a noi tutti di interrogarci sulle esperienze di questi anni e sui diversi passaggi e le diverse tappe che nel corso degli ultimi decenni si sono susseguiti, fermo restando che tutti, dalle Nazioni Unite ai singoli Stati, hanno sostenuto e sostengono la necessità di garantire i due popoli e i due Stati.
Oggi si è sviluppata, anche in quest'aula, la necessità di una nuova riflessione sulle caratteristiche di tali eventuali due Stati, ma certamente si tratta del punto da cui partiamo: l'esigenza di garantire il popolo palestinese e il popolo israeliano.
Anche per questo le nostre responsabilità sono tanto più grandi; mi riferisco alle nostre responsabilità a livello nazionale, per l'interesse storico e geograficoPag. 26che abbiamo su tutta l'area mediorientale, nonché alle nostre responsabilità come Europa perché, quanto meno, dovremmo chiederci se una diversa politica, soprattutto in questi ultimi due anni, avrebbe potuto favorire una diversa situazione.
Oggi guardiamo tutti con preoccupazione e inquietudine alla situazione di Gaza, non solo perché ogni giorno, ogni settimana, vi è un numero imprecisato di civili che perdono la vita, ma perché, anche quando questo non si verifica, ci sono condizioni di povertà per buona parte della popolazione (e ciò avviene anche nella stessa Cisgiordania). È assolutamente preoccupante!
Le condizioni in cui vive la popolazione in tutta quest'area sono per noi elemento di preoccupazione, e preoccupazione ed inquietudine suscita anche il rischio che in quell'area si vada stabilizzando una situazione integralista, per le divisioni che si sono create e il conflitto che oggi è presente a Gaza a seguito dell'assunzione della gestione da parte di Hamas.
Chi ha conosciuto la Palestina anni fa sa che quella era una realtà totalmente laica, straordinaria, anche in relazione alle esperienze dei Paesi arabi nel mondo, e per chi ha visto Gerusalemme, in cui storicamente hanno convissuto e ancora oggi convivono diverse religioni, ma in un clima diverso, in un clima di tensione che non si era mai verificato, anche tra la popolazione, fino a pochissimi anni fa (penso a città come Betlemme, come Gerusalemme, che sono state e sono simboli di pace e di tolleranza non da un punto di vista teorico, ma da un punto di vista concreto per come popoli diversi, con storie diverse, religioni diverse riescono e riuscivano, soprattutto, a vivere insieme), oggi è difficile rassegnarsi a quello che vediamo in quei territori.
Penso che dobbiamo ammettere che errori ci sono stati e sono errori grandi, distribuiti diversamente, evidentemente. Sono errori che partono da lontano e fra le tante responsabilità ci sono anche quelle della comunità internazionale.
Solo per guardare ai recenti avvenimenti, quando si ricorda, giustamente, la vittoria di Hamas alle ultime elezioni politiche, credo sia giusto ribadire che quelle elezioni sono state corrette, svolte in un clima totalmente sereno. Semmai bisogna chiedersi il perché di quei risultati!
I risultati probabilmente hanno a che fare anche con una crisi di credibilità della dirigenza di allora, per i fenomeni di corruzione di cui ora si parla, che forse a suo tempo non abbiamo considerato fino in fondo, anche a sinistra, e soprattutto per le condizioni della situazione economica che c'era già in quella fase. Era una situazione veramente drammatica, con la difficoltà di muoversi, di circolare nei territori e di poter svolgere un lavoro. C'erano divisioni anche tra le famiglie, che erano separate dal muro. Oggi Betlemme è tutta circondata da un muro!
I cristiani, i cattolici che vanno in quei luoghi credo che siano i primi ad essere sconvolti da questa nuova situazione che si incontra da qualche tempo a questa parte. Penso che un popolo che vive per tanto tempo sotto la morsa dell'occupazione, con continui rastrellamenti nei territori, i bombardamenti e l'impossibilità di spostarsi in territori separati da un muro, come minimo ha il problema della sopravvivenza e di trovare un lavoro.
Bisogna dire che nelle moschee musulmane migliaia di ragazzi avevano trovato l'assistenza che lo Stato non era in grado di offrire. Penso che sia giusto dire queste cose, altrimenti non si capisce nulla e non si comprende come un popolo laico, che io considero continui ad essere laico nel senso culturale (o comunque lo è la sua maggioranza, non a caso distribuita tra diverse religioni), possa aver votato Hamas e dia ad esso ulteriore consenso, come qualcuno ha sostenuto nel corso di questi mesi (certamente chi l'ha sostenuto sono giornalisti che in quei territori vivono da anni, di testate assolutamente non sospette).
Sottolineo queste cose perché la replica europea alla vittoria di Hamas in quelle elezioni regolari non poteva, anzi - penso - non doveva essere l'embargo, come invece è stato, perché il prezzo degli embarghi viene sempre pagato dalla popolazione, dai bambini, dagli anziani, dagliPag. 27elementi più deboli, ed essi producono normalmente una radicalizzazione, spingono verso posizioni inconciliabili anziché favorire il dialogo. Viceversa, un'evoluzione positiva della situazione interna alla Palestina è l'unica che può garantire la sicurezza di Israele.
Quando noi andiamo in Palestina ci rechiamo sempre anche nei territori israeliani, dove abbiamo molte relazioni: c'è una larga parte di quella popolazione che non sopporta più la situazione che si è creata, oltre ad esservi numerose organizzazioni e personalità che spingono e si battono per un processo di pace. Credo, tuttavia, che il senso di impotenza negli ultimi tempi, negli ultimi mesi sia percepibile in entrambe le popolazioni. La sicurezza di Israele, bisogna sottolinearlo, non è data a prescindere dalla possibilità che nei territori palestinesi si determinino condizioni di vita migliori dal punto di vista economico e sociale, e anche un clima politico assolutamente diverso da quello che è attuale e da quello che c'era solo qualche mese fa.
Questi processi non possono che passare per il dialogo, per processi unitari che riguardino tutte le componenti presenti in quei territori, compreso Hamas: bisogna avere il coraggio di dirlo. Molto spesso, nel corso di questi mesi, vi sono state polemiche; oggi capisco che la situazione sia più complicata, perché nel frattempo sono accaduti avvenimenti gravi e questa organizzazione si è impadronita di una parte del territorio, dove viaggiano le armi e si ricorre all'uso della forza. Tuttavia, la politica deve essere l'unico strumento che possiamo pensare di utilizzare per svolgere il nostro ruolo e per tentare davvero di favorire un'inversione di tendenza in una situazione assai complicata.
Il Governo Prodi, e lo stesso Ministro degli esteri D'Alema, hanno a mio avviso dimostrato più volte una grande sensibilità e un impegno nel voler contribuire a risolvere il conflitto israelo-palestinese con la politica. Anzi, il nostro Governo credo che vanti tra i meriti più rilevanti acquisiti nel corso di questo anno proprio il lavoro svolto all'estero, e in particolare nel Medio Oriente: l'esperienza della missione in Libano e il ruolo che abbiamo svolto per costruirla in ambito europeo ne sono la conferma.
Sappiamo che ora la fase è molto più complicata, sia per la situazione a Gaza e nei territori, che non è cambiata dal punto di vista concreto, sia per quello che si va aggiungendo intorno, nell'area mediorientale: la vicenda iraniana, le scadenze di fine novembre in Libano, le prossime elezioni in Israele, che naturalmente possono influenzare gli incontri di questi giorni tra il Presidente Olmert e Mahmoud Abbas.
Tutto ciò richiede molto a tutti noi: all'Italia, perché siamo nel Parlamento italiano e sentiamo una responsabilità verso la storia positiva che ha caratterizzato l'impegno del nostro Paese da decenni, dal punto di vista sia umanitario sia politico, e all'Europa, che invece a mio avviso non sempre è stata, nel suo insieme, all'altezza della situazione, ma che oggi credo sia costretta ad un impegno e ad un ruolo rinnovati.
Stiamo discutendo di un provvedimento che prevede un contributo, seppur non significativo (309 mila euro l'anno: una cifra non esosa), da destinare alla Delegazione dell'Autorità nazionale palestinese. Si tratta di poca cosa rispetto ad una vicenda drammatica, complicata e che dura da decenni come questa, ma lo riteniamo importante e il dibattito che si è sviluppato lo conferma, non solo perché questo contributo viene rinnovato sin dal 1996 e ha attraversato legislature con maggioranze diverse (non avrebbe dunque alcun senso non confermarlo), ma anche perché in questo momento è utile che l'Italia - che ha sempre sostenuto l'Autorità nazionale palestinese e il suo processo interno di riforme - manifesti, anche attraverso un piccolo simbolo come questo, la sua volontà di sostenere il presidente dell'Autorità e il lavoro che si sta svolgendo. Ciò, indirettamente, anche al fine di dire che l'Italia c'è, vuole garantire la presenza diplomatica di questo popolo e vuole segnalare il suo impegno e la sua amicizia con esso.Pag. 28
Naturalmente questo contributo è diverso dall'assistenza umanitaria e dai progetti di cooperazione specifici che il nostro Paese è comunque impegnato a garantire. Tali progetti viaggiano, infatti, non solo sulle responsabilità o sull'impegno nostro, ma anche sugli impegni volontari di decine di associazioni. È dunque necessario, naturalmente, che tali progetti procedano, tanto più in questa situazione, ma questo contributo, proprio perché è un contributo alla politica, dal punto di vista simbolico è secondo noi di grande importanza. Di conseguenza, preannuncio su di esso il nostro voto favorevole e il nostro sostegno.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2549)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole De Zulueta.
TANA DE ZULUETA, Relatore. Signor Presidente, credo che questa sia stata una discussione utile e spero che potremo speditamente giungere alla votazione di questo provvedimento, poiché siamo un po' indietro nell'erogazione di un finanziamento già annunziato.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, intervengo molto brevemente per svolgere talune considerazioni che derivano dal dibattito.
Gli onorevoli deputati intervenuti, nell'esprimere le loro considerazioni, hanno voluto manifestare l'assenso dei propri gruppi al provvedimento in discussione: mi pare che ciò costituisca un fatto di rilievo positivo.
Ciononostante, gli interventi svolti hanno voluto anche allargare il campo, a partire dalla relazione che è stata presentata dall'onorevole De Zulueta, per compiere valutazioni più generali sulla situazione dell'intera area mediorientale, ad indicare - a me pare ed è questo che rilevo con grande interesse - una particolare sensibilità politica delle nostre istituzioni, del Governo, del Parlamento e, in particolare, di quest'Assemblea. Si tratta di un fatto molto significativo proprio perché i diversi interventi, pur con accenti naturalmente diversi, hanno delineato una situazione assai delicata e di grande instabilità, che determina in tutti noi - nel Governo, nel Parlamento, ma mi sento di dire anche nel popolo italiano - un'inquietudine, ma anche, nello stesso tempo, una grande serietà nell'assunzione delle nostre responsabilità.
Infatti, il nostro Paese - è stato anche ricordato da alcuni di voi in particolare, ma è una circostanza reale e riconosciuta da tutti - è impegnato in prima linea a costruire la pace e a definire politiche di sicurezza di Israele così come di riconoscimento dello Stato di Palestina; esso è impegnato in senso generale, politicamente rilevante, ma anche in modo puntuale, nella definizione appunto di una nostra presenza con la missione UNIFIL così delicata.
Vi è, nel contempo, anche un impegno di carattere umanitario volto a sollevare, benché parzialmente, tutta la popolazione coinvolta dalla miseria e dalle terribili situazioni che vive, con interventi a favore delle donne e i bambini, nel settore della sanità e per favorire il dialogo: si tratta di interventi di emergenza umanitaria, ma anche di vera cooperazione.
Io stessa andrò, a metà mese, a Beirut e a Gerusalemme per verificare, anche assieme alle organizzazioni non governative operanti sul campo, la qualità, l'efficacia o meno degli interventi che abbiamo sinora sostenuto, al fine di suggerire e sollecitarne altri; ciò indica come il nostro Paese sia impegnato a tutto campo.
Certamente, la discussione relativa al nostro impegno e all'efficacia generalePag. 29nella definizione del nostro impegno progettuale va ripresa, in questa Assemblea così come da parte del Governo.
Oggi, dunque, è stato svolto un argomentare importante, ma è alla nostra attenzione un provvedimento specifico che, peraltro, richiede di essere approvato velocemente (come ricordava, da ultimo, anche l'onorevole De Zulueta).
Si tratta di un provvedimento rispetto al quale - tutti lo abbiamo detto e lo abbiamo sentito dire da voi - c'è un interesse e un convincimento, che non risolve tutti i problemi ma assume una parte di quei problemi.
Esso prevede un finanziamento che aderisce all'impostazione generale della politica italiana di sostegno - non di oggi, ma che conferma l'impegno precedente - alle istituzioni delle autorità palestinesi che condividono i principi di pace, giustizia e legalità sostenuti, peraltro, dalla comunità internazionale per la soluzione del conflitto nell'intera regione.
Il sostegno alla Delegazione palestinese di cui parla il provvedimento in esame è particolarmente importante proprio perché a noi pare che vi sia bisogno di un interlocutore in grado di veicolare tempestivamente ed efficacemente le comunicazioni alla Presidenza palestinese e di condividere le informazioni dei fatti che si evolvono.
Peraltro - credo di interpretare anche molti dei suggerimenti e delle considerazioni svolte dall'Assemblea -, la concessione di tale contributo (che, come è stato sottolineato, non è di grandissima entità, bensì è pari a quelli precedenti), dà un significato maggiore e del tutto particolare in questa difficile situazione per capirne anche l'evoluzione.
Le delegazioni palestinesi, come tutti voi sapete, dipendono direttamente dal Presidente Abu Mazen, che ha espressamente chiesto, quando recentemente ha svolto la sua ultima visita in Italia, che il nostro Paese sostenga il funzionamento delle Delegazione generale a Roma: quindi, il provvedimento al nostro esame si inserisce - e non è l'unico - dentro un quadro di diverse iniziative in corso, sia in ambito europeo che bilaterale, a sostegno del rafforzamento di quelle strutture dell'apparato statale palestinese che a noi sembra importante.
Dicevo - e lo ripeto - che il contributo viene mantenuto inalterato rispetto a quello precedente: esso è necessario al mantenimento del decoro di una sede di rappresentanza dell'Autorità nazionale palestinese (ANP) anche come segno tangibile di amicizia - qualcuno di voi lo ricordava -, perché non vi sarebbero altrimenti i mezzi sufficienti affinché tale rappresentanza possa funzionare, non potendo appunto l'ANP provvedere con le sue sole finanze al funzionamento degli uffici all'estero.
A noi sembra un elemento importante che sta all'interno della strategia più generale, di cui abbiamo discusso già altre volte, che il Parlamento ha affrontato con grande cura e che il Governo sta mettendo in atto, come alcuni di voi hanno segnalato, con grande determinazione e grande responsabilità.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sull'ordine dei lavori.
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per un breve richiamo. Lo scorso anno, proprio di questi tempi, Forza Italia sollevò in quest'aula una questione relativa alla mancata presentazione, entro i termini previsti dalla legge, del disegno di legge finanziaria alle Camere.
Quest'anno, tale disegno di legge ha seguito un percorso diverso, in quanto è stato presentato in prima lettura al Senato, ma registriamo lo stesso identico problema dell'anno scorso, cioè che il disegno di legge, pur approvato dal Consiglio dei Ministri solo tre giorni fa con grande clamore di stampa e con un susseguirsi di dichiarazioni più o meno contraddittorie anche all'internodella maggioranza e del Governo stesso, non è ancora giunto all'attenzione del Parlamento.
In tal senso, signor Presidente, non avanzo alcun richiamo di natura formale alla Presidenza, ma vorrei che rimanesse agli atti tale questione, anche alla luce di quanto auspicato dal Presidente della Repubblica Napolitano in queste ore, allorché egli ha dimostrato la sua preoccupazione per il ricorso alla questione di fiducia sulla legge finanziaria, perché una legge finanziaria, che dovrebbe essere discussa dal Parlamento, si è trasformata in passato - in particolare lo scorso anno - in un unico articolo composto da oltre 1.300 commi. Ciò evidentemente ha impedito al Parlamento di discutere in maniera chiara, serena e democratica un disegno di legge su cui è stata posta la questione di fiducia.
Voglio quindi lasciare agli atti della seduta in corso un auspicio da noi condiviso, cioè che si possa discutere il disegno di legge finanziaria e non ritrovarsi nella stessa antipatica situazione dello scorso anno, visto che le premesse e la situazione politica in seno al Governo e alla maggioranza non sono certamente migliori.
Qualcuno avrebbe potuto dire, in difesa della legge finanziaria del Governo Berlusconi (l'ultima delle cinque e l'unica della scorsa legislatura su cui fu posta la questione di fiducia), che si trattava di una legge finanziaria di fine legislatura. L'auspicio, in questo senso, è che si tratti dell'ultima legge finanziaria di questo Governo.
PRESIDENTE. Prendo atto del significato politico delle osservazioni da lei svolte. Si tratta, tuttavia, di una questione che, come lei ha ricordato, in questa fase riguarda più direttamente il Senato e che, pertanto, potrà più utilmente essere affrontata presso quel ramo del Parlamento.
Annunzio di una nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2008-2011.
PRESIDENTE. Con lettere del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'economia e delle finanze, in data 30 settembre e 1o ottobre 2007, è stata trasmessa, ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, una nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2008-2011.
La nota di aggiornamento (doc. LVII, n. 2-bis) è trasmessa alla V Commissione (Bilancio), con il parere della VI Commissione (Finanze).
Ricordo che il calendario dei lavori dell'Assemblea prevede che l'esame della nota abbia inizio nella mattinata di giovedì 4 ottobre. Le Commissioni dovranno pertanto concludere l'esame in tempo utile.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 2 ottobre 2007, alle 14:
1. - Discussione di una domanda di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche dei deputati Cicu, D'Alema e Fassino (Doc. IV, n. 9-A).
- Relatori: Giovanardi, per la posizione del deputato Cicu; Vacca, per la posizione del deputato D'Alema; Antonio Pepe, per la posizione del deputato Fassino.
2. - Discussione di documenti in materia di insindacabilità ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione:
Richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Tiziana Parenti, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-ter, n. 7-A).
- Relatore: Antonio Pepe.
Applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento civile nei confronti del deputato Volontè (Doc. IV-quater, n. 23).
- Relatore: Mormino.
3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2007-2008 ed in materia di concorsi per ricercatori universitari (3025-A).
- Relatori: Sasso, per la VII Commissione e Motta, per l'XI Commissione.
4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione (Già articoli 28, 29, 30 e 31 del disegno di legge n. 2272, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 17 aprile 2007) (2272-ter-A).
- Relatore: Sasso.
5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Concessione di un contributo finanziario alla Delegazione generale palestinese per il funzionamento della sede in Italia (2549).
- Relatore: De Zulueta.
La seduta termina alle 17,40.
INTERVENTO DEL DEPUTATO FABIO RAMPELLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 2272-TER-A
FABIO RAMPELLI. Nella prima settimana di settembre l'Esecutivo ha assunto una serie di provvedimenti sia attraverso la decretazione ordinaria, come, ad esempio il regolamento per l'obbligo di istruzione a 16 anni, in attuazione della legge finanziaria 2007, sia attraverso la decretazione d'urgenza, come il decreto-legge recante «Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2007-2008», varato il 5 settembre 2007 dal Consiglio dei ministri e pubblicato in data 7 settembre.
Del resto, tutti gli interventi strutturali e ordinamentali sul sistema educativo sono contenuti o in leggi blindate come la finanziaria 2007 o in decreti-legge o in atti amministrativi; solo i ritocchi all'esame di Stato sono stati oggetto di una legge ordinaria.
D'altro canto, continuamente assistiamo, nella corrente legislatura, al ricorso sistematico - per motivi di fragilità della composizione della maggioranza (e non solo dal punto di vista numerico) - a strumenti normativi di decretazione d'urgenza che non passano attraverso le ordinarie procedure parlamentari.
Ne è una testimonianza eclatante il già citato decreto-legge del 5 settembre, con il quale sono state toccate diverse materie, alcune di notevole rilievo, dalla reintroduzione del vecchio «tempo pieno», con quaranta ore settimanali, all'esame di maturità, che i privatisti potranno sostenere solo nelle scuole indicate dall'Amministrazione; dal ripristino del giudizio di ammissione all'esame di terza media, alle norme sulle sanzioni disciplinari a carico del personale.
Si tratta di un vero scippo antidemocratico di provvedimenti per i quali era già stata avviata la procedura di trattazione in aula e per i quali risultava difficile, già in Commissione, esercitare un'opposizione costruttiva a causa delle caotiche previsioni normative del disegno di legge n. 2272-ter, ora n. 2272-ter-A.
Il Governo, in modo programmatico e contrariamente a quanto raccomandato dal Presidente Napolitano, tende sempre ad eliminare la prassi democratica di ricorrere a leggi condivise dal Parlamento, soprattutto quando si parla di scuola; tema che, invece, dovrebbe vedere la classe politica, di maggioranza e di opposizione, impegnata ad individuare punti d'intesaPag. 32super partes nel settore delle politiche educative e formative necessarie per far uscire la scuola italiana dalla profonda crisi in cui si trova, documentata dall'esito delle indagini comparative internazionali.
Passo ora ad illustrare i punti salienti del provvedimento.
Va detto anzitutto che il contenuto del comma 1 dell'articolo l è entrato a far parte, con la sola eccezione del secondo capoverso, del decreto-legge del 7 settembre 2007 (varato il 5 settembre dal Consiglio dei ministri), con il quale il Governo, trasformando in decreto parti rilevanti di un disegno di legge già predisposto per la discussione, ha testimoniato, ancora una volta, la volontà di espropriare il Parlamento del suo ruolo.
In ogni caso, il comma 1 si presenta come un ritorno al passato, con un tempo pieno che è una concessione ai depressi post-sessantottini, che credono che la scuola debba soddisfare le «esigenze» di chi ci lavora e non degli studenti che apprendono, perché non è certo il tempo pieno che fa la qualità della scuola.
Questo tempo pieno anni settanta, giustamente messo in soffitta dalla riforma Moratti, che pure aveva mantenuto lo stesso tempo scuola, questo pacchetto preconfezionato di tipo bulgaro che viola l'autonomia organizzativa delle scuole e non permette alcuna possibilità di opzione per le famiglie, sarà in ultima analisi una beffa. Con il doppio organico previsto per norma, ma senza un aumento complessivo di posti di organico e, quindi, senza la previsione di alcuna risorsa aggiuntiva per realizzarlo, può determinarsi, infatti, come giustamente rileva la rivista Tuttoscuola, uno dei seguenti effetti: le classi a tempo pieno potrebbero diminuire oppure, per mantenere quelle attuali o farle aumentare di numero, occorrerebbe chiuderne molte organizzate a tempo normale.
C'è da chiedersi, come fa Il Manifesto in un articolo del 12 settembre: ma «il nuovo Governo non lottava a spada tratta contro il fantasma della riduzione di orario scolastico ventilata dalla Moratti?»
Il Governo pretende di modificare le Indicazioni nazionali (programmi per le elementari, le medie e le superiori) attraverso regolamenti adottati con decreti del Ministro della pubblica istruzione, mentre, in base alla legge delega n. 53 del 2003 (legge Moratti) e al decreto legislativo relativo al primo ciclo (n. 59 del 2004), il regolamento dovrebbe essere governativo («mediante uno o più regolamenti da adottare a norma dell'articolo 117, comma 6, della Costituzione e dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400) e nascere da una procedura lunga e complessa, perché, comunque, affronta una materia che riguarda anche il settore dell'istruzione e della formazione professionale, di esclusiva competenza regionale.
Se, invece, così come è stato scritto in questo comma 11, si adotta un decreto ministeriale (ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400), i tempi sono più contenuti, ma sono contenuti, care colleghe e cari colleghi, anche la democrazia e il rispetto delle regole!
A proposito, poi, delle «Nuove indicazioni per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione», di cui al decreto Fioroni di fine luglio che, una volta sperimentate ed eventualmente modificate a seguito degli esiti della sperimentazione, diventeranno norma con uno dei regolamenti di cui stiamo parlando (per quello delle superiori c'è tempo fino a dopo il 2009-2010), mi chiedo, tra l'altro, come sarà possibile affrontare con consapevolezza la sperimentazione di questi nuovi programmi, così come vuole il ministro, dal momento che le indicazioni per elaborare il curricolo sono state rese pubbliche quando ormai i docenti erano già in vacanza.
È improbabile, poi, che i docenti siano riusciti ad approfondire, prima dell'inizio di questo nuovo anno scolastico - nell'arco, quindi, di pochissimi giorni - un testo lungo e complesso, anche tenendo conto delle note interpretative e degli «esempi in pillole», pervenuti, tra l'altro, solo il 4 settembre. È chiaro che le ipotesi sperimentali rischiano, nel migliore dei casi, di essere improvvisate, o, nel peggiore,Pag. 33che tutto il lavoro si riduca ad operazioni di facciata che non toccano in alcun modo la sostanza.
Inoltre, mi domando quale sia l'urgenza di prevedere per i centri provinciali per l'educazione degli adulti, che, sebbene istituiti dalla legge finanziaria, a tutt'oggi non sono stati ancora riorganizzati e finanziati, l'istituzione di un autonomo consiglio di istituto, pardon, di indirizzo. E poi, perché deve essere presieduto da un alunno, sia pure adulto, e non da un rappresentante dell'ente locale (comune), titolare per legge della competenza in materia di educazione degli adulti? Non sarebbe più coerente? Sarebbe meglio attendere la trattazione in aula della già preannunciata riforma degli organi collegiali.
L'educazione degli adulti è una preoccupazione emergente e pressante che necessita di un'attenta programmazione ed organizzazione, visto che dal recente rapporto ISTAT risulta che oggi sono sei milioni gli italiani che non possiedono un titolo di studio (il dato è stato riportato da Avvenire in un articolo del 26 giugno 2007).
Quello della continuità didattica è un problema cruciale, in quanto la formazione dei ragazzi si realizza anche nel crearsi di un rapporto stabile tra docente e discente. Infatti, una delle principali preoccupazioni che attanaglia genitori e studenti riguarda quale insegnante troveranno in cattedra all'inizio del nuovo anno scolastico.
L'Italia spende 39 miliardi di euro l'anno, come leggiamo in Tuttoscuola, per il personale della scuola, ma non riesce ad assicurare ai propri studenti - in un terzo dei casi - un docente che li segua per tutto il ciclo scolastico, dal momento che i trasferimenti di sede, i comandi e i distacchi sindacali danno vita ad un «carosello» che coinvolge annualmente un terzo (o un quinto, se riferito alla scuola primaria) dei docenti, con buona pace della continuità didattica.
L'allora ministro Moratti aveva provato ad introdurre un primo divieto per i docenti di chiedere annualmente il trasferimento di sede, introducendo, nell'articolo 3 della legge n. 53 del 2003, la continuità didattica attraverso una «congrua permanenza dei docenti nella sede di titolarità»; congrua permanenza fissata, poi, nel decreto legislativo n. 59 del 2004 in un minimo di due anni. Ma, trattandosi di materia contrattuale, lo scorso anno il sindacato ha disapplicato la norma ed in tal modo la permanenza dei docenti nella stessa sede è saltata. Ancora una volta un danno agli studenti!
Proprio nella consapevolezza dell'importanza della continuità didattica si è ritenuto utile emendare parzialmente, per renderlo più cogente, il testo del comma 13.
Il testo proposto nel disegno di legge, così come è redatto, non evidenzia, infatti, lo stretto rapporto che lega la permanenza dei docenti nella sede assegnata con la stabilità dell'organico, mentre con l'emendamento al testo si intende rendere più chiaro detto rapporto, introducendo da subito «la congrua permanenza» nella sede di titolarità come condizione di stabilità.
Dopo queste considerazioni generali, a parte le riserve sul metodo espresse in apertura, corre l'obbligo di sottolineare che, se, da una parte, si condividono alcuni punti del disegno di legge, come, ad esempio, la linea, per ora solo di tendenza, assunta nel comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge che stiamo discutendo, intesa a dare maggiore consistenza ai futuri percorsi degli Istituti tecnici superiori e maggiore valorizzazione ai certificati di specializzazione tecnica superiore, nonché la linea di maggior rigore relativo ai provvedimenti disciplinari nei confronti del personale docente e che il decreto-legge varato il 5 settembre dal Consiglio dei ministri estende, nella parte relativa alla sospensione cautelare (articolo 2), ai dirigenti scolastici, dall'altra, si è preoccupati della scomparsa dal disegno di legge di altri punti di rilevante interesse come, ad esempio, il comma 26, relativo all'esenzione per le scuole del pagamento della TARSU (Tassa smaltimento rifiuti). Tale scomparsa è stata determinata dalla richiesta in tal senso della Commissione bilancio, in quanto non sono stati forniti, a suo parere, adeguati elementi informativi, relativi sia alla verifica di congruitàPag. 34dell'onere indicato nel comma, derivante dall'esenzione in parola, sia alla disponibilità delle risorse utilizzate ai fini della copertura. Non si risolve così il grave problema che affligge le scuole, tant'è che in relazione a questa tassa, fino ad oggi, le scuole hanno maturato verso i comuni un debito di circa 230 milioni di euro (Italia Oggi, 11 settembre 2007).
Per concludere, e al di là del disegno di legge in discussione, vorrei rappresentare al Ministro della pubblica istruzione che condividiamo alcune sue prese di posizione, come l'aver voluto mantenere la possibilità offerta agli studenti di adempiere all'obbligo di istruzione fino a 16 anni, anche attraverso la frequenza dei percorsi triennali di istruzione e formazione, introdotti dalla Moratti, e per i quali auspichiamo una stabilizzazione e una diffusione in tutto il territorio nazionale. Allo stesso modo, giudichiamo positivamente la linea, non solo teorica, di maggiore severità che ha deciso di intraprendere, sia nei confronti degli studenti, sia nei confronti dei docenti.
Non possiamo, però, non stigmatizzare l'incongrua distanza tra l'immagine, più volte pubblicizzata, di un ministro attento ai tempi e alle necessità della scuola ed il caotico avvio dell'anno scolastico a causa delle tante cattedre ancora scoperte per i ritardi nelle operazioni di nomina in diverse regioni, evidenziati persino sulla stampa e che, in realtà metropolitane, come quella di Roma, assumono quest'anno dimensioni allarmanti.
Si tratta di ritardi che determinano orario ridotto delle lezioni e discontinuità didattica per i ragazzi, nonché un danno per numerosissimi supplenti che non potranno percepire lo stipendio dal mese di settembre e, forse - temo - neanche da ottobre.
Ministro Fioroni, come riportato da alcuni organi di stampa (Il Messaggero, 13 settembre 2007), in una scuola romana dove ha inaugurato l'anno scolastico, a coloro che chiedevano quando sarebbe finito il caos delle nomine, lei ha risposto che entro una settimana tutte le classi delle scuole romane avrebbero avuto i loro insegnanti.
Ministro, non aveva forse ragione Oscar Wilde, quando affermava che «non esistono domande imbarazzanti, bensì risposte imbarazzanti»?
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico del 27 settembre 2007, a pagina 87, nel contingentamento dei tempi di esame della nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria:
nella riga «Tempo complessivo»: le parole «4 ore e 40 minuti» si intendono sostituite dalle seguenti: «4 ore e 5 minuti»;
nella colonna «Totale», alla prima riga, sostituire le parole «55 minuti» con «30 minuti» ed alla seconda riga, sostituire le parole «40 minuti» con «30 minuti»;
all'ultima riga della medesima pagina, dopo le parole: «un totale sempre di 2 ore e 20 minuti» aggiungere le seguenti: «, fino ad un tempo massimo pari a 30 minuti per ciascun gruppo).».