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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 31 di martedì 25 luglio 2006
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI
La seduta comincia alle 9,30.
SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Brugger, Cento, Cirino Pomicino, D'Alema, D'Antoni, Del Bue, Del Mese, Duilio, Galati, Lusetti, Migliore, Morrone, Mussi, Oliva, Piscitello, Stucchi e Violante sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono cinquantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Seguito della discussione del documento: Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1) (ore 9,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione.
(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 4)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, intendo innanzitutto manifestare il mio personale disappunto per il fatto che, a fronte degli annunci del Governo relativamente alla maggiore rilevanza che il DPEF - e successivamente immaginiamo la legge di bilancio - avrebbe dato al settore della conoscenza, il Documento all'esame dell'Assemblea non contiene significative novità sul punto. Anzi, per molti aspetti rappresenta un arretramento inaccettabile anche rispetto alle politiche europee.
Per quel che riguarda, in particolare, gli interventi relativi al settore dell'università e della ricerca non posso non evidenziare che le considerazioni contenute nel DPEF in merito alla necessità di migliorare la qualità della spesa equivalgono all'ammissione dell'assenza di risorse adeguate da utilizzare nel settore.
Passando ad esaminare la tematica della scuola, stigmatizzo con forza l'assenza di riferimenti nel documento di programmazione economico-finanziaria al tema della formazione professionale e, quindi, delle opportunità create nella precedente legislatura attraverso i percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale, all'interno del diritto-dovere. Si tratta di percorsi finalizzati aPag. 2contrastare, innanzitutto, la dispersione scolastica e formativa, buco nero del nostro sistema educativo, ma prima ancora a qualificare i nostri giovani attraverso il conseguimento possibile entro il diciottesimo anno di età di un titolo di studio o di una qualifica professionale spendibile nel mercato del lavoro nazionale ed europeo.
Soprattutto critico l'impostazione del Documento tendente a dare risalto al potenziamento del diritto allo studio, poiché questa impostazione aveva una sua ragione di essere in un'epoca in cui il livello di scolarizzazione nel paese era molto basso, quindi con riferimento alla situazione degli anni Settanta. Oggi occorre puntare piuttosto sul miglioramento della qualità dell'istruzione, passando da politiche di accesso all'istruzione scolastica a politiche volte al successo formativo: questo è il problema.
In merito, quindi, all'elevazione dell'obbligo scolastico richiamato nel Documento non riteniamo assolutamente condivisibile la proposta contenuta di elevare tale obbligo a 16 anni, dato che l'obbligo scolastico e formativo è già stato elevato dal precedente Governo, con la riforma Moratti, a 18 anni. Si tratta quindi piuttosto di una riduzione dell'obbligo scolastico; si tratta di dare meno tempo e minori opportunità di formazione ai nostri giovani. Si riduce, quindi, inopportunamente il diritto-dovere. Una prova che noi abbiamo elevato già a 17 anni l'obbligo scolastico sta nel fatto che gli studenti, da qualche anno, non pagano le tasse scolastiche proprio perché abbiamo provveduto ad abolirle contestualmente con l'attuazione del diritto-dovere all'istruzione fino a 18 anni e che, nel frattempo, attraverso la gradualità prevista dalle leggi finanziarie, è giunta al diciassettesimo anno di età.
Ancora: contestiamo le osservazioni contenute nel DPEF relativamente al miglioramento dell'autonomia scolastica, visto che le azioni del Governo sono andate in direzione opposta.
Infine, con riferimento alla messa in sicurezza degli edifici scolastici giudichiamo proibitiva la proposta anche perché avrebbe costi elevati e non ci sembra che il DPEF garantisca questo tipo di finanziamenti. Con riferimento al personale docente riteniamo riduttiva la proposta di risolvere la questione della docenza scolastica soltanto con la parziale soluzione del problema dei precari.
Quindi, si tratta di una proposta insufficiente, molto debole e, soprattutto, poco europea. È il caso di dire, Presidente, che la montagna partorirà un topolino!
Preannunzio, pertanto, l'espressione del voto contrario da parte del gruppo di Forza Italia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.
AUGUSTO ROCCHI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, il Governo dell'Unione ha ereditato una situazione complessiva di gravità, come già denunciato negli interventi svolti ieri, per quanto riguarda l'andamento economico e la situazione sociale complessiva del paese.
Il programma con cui l'Unione si è presentata alle elezioni ha definito una linea alternativa alle politiche che il Governo di centrodestra ha realizzato in questi anni, promettendo, a fronte di una serie di interventi e allo sviluppo di una politica neoliberista, una ripresa, una crescita economica ed un progresso per tutti. Così non è stato ed i dati reali sono sotto gli occhi di tutti!
La situazione reale della società italiana è tale che gli elettori hanno sconfitto il Governo di centrodestra. Il perno della politica alternativa che il programma dell'Unione ha definito si basa su due nodi: «no» alla politica dei due tempi e capacità di rilanciare una politica di risanamento, di equità sociale e sviluppo.
Noi abbiamo espresso alcuni dubbi ed alcune perplessità non solo e non tanto con riferimento all'impianto del DPEF, ma al rapporto tra questo e le ventilate ipotesi di legge finanziaria per il prossimo anno che devono essere coerenti con tale impostazione.
Speriamo che la risoluzione finale serva a chiarire i dubbi, in particolarPag. 3modo, in ordine all'entità della manovra, alla sua concentrazione in tempi stretti; se, infatti, la manovra di risanamento interviene di nuovo con tagli sul terreno della spesa, potrebbe non avviarsi la ripresa economica e non si fornirebbe una risposta positiva ai problemi di crisi sociale. Infatti, se è sempre possibile ragionare in termini di razionalizzazioni e risparmi, è chiaro che non si possono mettere in campo misure drastiche di taglio della spesa sociale.
La spesa sanitaria in Italia è ancora sotto la media europea e bisogna partire dalla stabilizzazione di questa spesa in percentuale sul PIL per favorire nel futuro, attraverso la ripresa economica e nuove risorse, anche la capacità dell'Italia di adeguarsi a livello europeo.
Altrettanto si può dire per quanto riguarda le pensioni. Non bisogna considerare le pensioni come il terreno di scorribande o di ragionamenti per fare cassa. Bisogna smetterla! Le pensioni sono già state pesantemente toccate e molti lavoratori e lavoratrici italiani ne hanno in qualche modo fatto le spese.
Oggi, invece, si tratta di fare un'operazione di giustizia e di verità, togliendo dal fondo dell'INPS, relativamente alle pensioni, quel carico di spese e di costi che nulla hanno a che fare con la previdenza. Solo dopo questa operazione e aver valutato, quindi, la corretta coerenza e tenuta del fondo pensionistico, epurato da tutto ciò che riguarda, invece, l'assistenza ed altro, si può ragionare sullo stato del sistema pensionistico. Il problema allora emergerà con chiarezza.
Non occorre prevedere nuovi tagli alle pensioni, anzi, forse, bisogna fare quello che il Governo il centrodestra non ha fatto in questi anni, vale a dire un adeguamento reale dell'aumento delle pensioni, soprattutto, quelle minime, perché molte persone vivono in una situazione di grande difficoltà.
Bisogna capire, quindi, come affrontare il terreno delle risorse. Allora, lotta all'evasione, fiscale e contributiva e, soprattutto, capacità di intervento complessivo nei confronti di quei redditi e quelle rendite che, in questi anni, hanno goduto di una politica del centrodestra sul terreno fiscale impostata in termini contrari: sono state tolte le tasse ai ricchi, lasciando invariati, se non sono aumentati, attraverso i tagli alla spesa sociale, i costi della vita per le persone con redditi medio-bassi!
Quindi, bisogna intervenire sul fronte delle entrate, ripristinando una giustizia fiscale, una proporzionalità, e restituendo ai lavoratori e alle lavoratrici italiane quello che hanno pagato in più in questi anni e che non è stato rimborsato loro, cioè la restituzione del fiscal drag.
L'altro grande tema del nostro tempo è la precarietà del lavoro. Penso che sui temi della precarietà e della sicurezza del lavoro bisognerà, con il DPEF e la legge finanziaria, presentare due disegni di legge: uno che affermi un testo unico sulla sicurezza del lavoro e l'altro che riordini l'insieme del mercato del lavoro nel nostro paese. Ci vuole tempo per realizzare questi obiettivi ed è bene che il DPEF abbia una portata quinquennale. Questa maggioranza avrà tutto il tempo di lavorare, applicando il programma dell'Unione per realizzare e dare una risposta alle domande dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, debbo innanzitutto rilevare che, nonostante sia stato presentato questo Documento di programmazione economico-finanziaria con grande enfasi da parte della maggioranza, il Governo non è presente nella sua massima espressione, in particolare con il ministro dell'economia. Con il Governo Berlusconi eravamo abituati ad avere presente, quanto meno, qualche viceministro. Con tutto il rispetto per il sottosegretario, riteniamo che questo sia, ancora una volta, una dimostrazione di scarsa attenzione da parte del Governo nei confronti del Parlamento. Il Governo ha presentato un Documento di programmazionePag. 4economico-finanziaria bello e impossibile, come recita la nota canzone di Gianna Nannini. Bello perché, come tutti i libri dei sogni, fa sognare o, meglio, tenta di far sognare e tenta di accontentare tutti. Basta pensare che si tratta di ben 165 pagine, dove c'è tutto e il contrario di tutto, quando ne sarebbero bastate solamente qualche decina, come sanno i colleghi in quest'aula. È un DPEF impossibile perché non dice niente, proprio niente, sugli strumenti che saranno utilizzati per raggiungere gli obiettivi. Prevede solamente che nel 2007 ci sarà bisogno di ben 35 miliardi di aggiustamento, dei quali 20 miliardi per riportare i conti sotto i parametri europei e 15 miliardi per lo sviluppo. A legislazione vigente, perciò, il disavanzo 2006 è pari al 4 per cento, inferiore dunque alla forchetta 4,1-4,6 per cento stimata dalla due diligence fatta eseguire dal Governo a metà giugno. Questo sarebbe il buco lasciato dal Governo di centrodestra?
Bisogna riconoscere, lo devono riconoscere tutti gli esponenti dell'attuale maggioranza che hanno parlato di dissesto e di disastro, che il deficit di bilancio nel passaggio di legislatura è stato veramente contenuto: in fondo solamente 5 miliardi in più rispetto alla trimestrale di cassa presentata dal Governo di centrodestra. La correzione prevista per il 2007, quindi, rispetto al disavanzo tendenziale, è pari all'1,3 per cento del PIL, vale a dire circa 20 miliardi di euro. Per questo il Governo prevede con molta approssimazione una riduzione delle retribuzioni in valore assoluto ed una crescita dei consumi intermedi di poco più dell'1 per cento.
Dicevo che si tratta di un libro dei sogni perché pochi sono i dettagli su come si raggiungeranno questi obiettivi così ambiziosi. È vero che il Documento di programmazione economico-finanziaria ha sempre avuto la funzione di libro dei sogni di mezza estate - dove i Governi indicano tutte le cose pregevoli che vorrebbero fare e realizzare, salvo poi fare il contrario con le finanziarie autunnali -, ma questa volta ci sembra veramente troppo, poiché la manovra correttiva disegnata nella sua composizione generale è priva di qualsiasi contenuto, che dovrà essere individuato con la prossima legge finanziaria e con i provvedimenti collegati. Il DPEF indica solo che dovranno essere strutturalmente ridotte le spese per la previdenza, la sanità, l'amministrazione pubblica e gli enti locali, senza tuttavia ancora definire con quali riforme.
Non una parola è spesa sulla necessità di elevare l'età pensionabile, né sul passaggio integrale al sistema contributivo delle pensioni. Sulla spesa sanitaria non si anticipano riforme idonee a realizzare un pieno federalismo responsabile delle regioni. Anzi, si continua con il sistema del ripiano a carico dello Stato. Sul lato delle entrate, il DPEF prevede che un contributo importante verrà dato dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale, ma non sono state annunciate azioni incisive di riorganizzazione e di riforma dell'amministrazione finanziaria, senza le quali ancora un volta le promesse restano solo sulla carta.
Non è stato ancora precisato quale sarà la redistribuzione del carico fiscale, necessaria anche per finanziare la riduzione del cuneo fiscale e contributivo di 5 punti percentuali. Il DPEF si limita a promettere il proseguimento della politica di privatizzazione e di dismissione del patrimonio pubblico residuo, senza nemmeno quantificarne le dimensioni. Non vorremmo che alla fine l'aggiustamento richiesto fosse raggiunto ancora una volta - lo diceva il collega della sinistra poco fa - ricorrendo soprattutto ad inasprimenti fiscali a carico della parte del paese che adempie scrupolosamente ai propri doveri fiscali.
Oltre che bello e impossibile, questo DPEF è anche velleitario, in quanto vuole coniugare risanamento e crescita. Tecnicamente si tratta di un tentativo di utilizzare simultaneamente il freno e l'acceleratore. Il rischio è che da un punto di vista della finanza pubblica le due misure si annullino a vicenda e che si resti fermi per quanto riguarda lo sviluppo e con i conti al di fuori del controllo e quindi dei parametri di Maastricht. Per questo ilPag. 5DPEF non risulterà credibile a Bruxelles e dunque bisognerà aspettare la finanziaria per il 2007.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, se il Consiglio dei ministri avesse approvato una finanziaria da 35 miliardi di euro, anziché il DPEF, si potrebbe dire senza tema di essere smentiti che il paese ha finalmente imboccato la strada del cambiamento epocale, perché recuperare risorse finalizzate sia al risanamento della finanza pubblica sia al rilancio dello sviluppo attraverso i ventilati interventi strutturali sulla sanità, sulla previdenza, sugli enti locali e sulla pubblica amministrazione significa avviare veramente un processo di modernizzazione. Purtroppo questo DPEF, approvato dal Governo con notevole travaglio interno e con la significativa eccezione del ministro Ferrero di Rifondazione Comunista, è soltanto uno strumento inutile, come tutti noi sappiamo.
La verità è che, a fianco delle grandi quattro voci di spesa, non ci sono numeri precisi né strumenti che ci dicano come verranno recuperati i 20 miliardi di tagli, né come saranno utilmente impiegati i 15 miliardi previsti per sostenere lo sviluppo. Il vero problema, onorevoli colleghi, è la capacità di questa maggioranza di fare scelte coraggiose e lungimiranti, assumendosene la responsabilità politica di fronte agli italiani, senza spaccarsi quando si metterà in discussione un consolidato sistema di spesa pubblica. La domanda quindi è: può un Governo debole in Parlamento e diviso fra una componente radicale ed una riformista reggere all'urto non tanto di questo DPEF, che forse riuscirà a reggere, ma della finanziaria, che ne dovrebbe essere la prosecuzione attuativa? Tutto ciò è compatibile con le forze politiche radicali ed antagoniste, che con la cultura di Governo non hanno nulla da spartire? Noi pensiamo proprio di no! Per questo in autunno inoltrato il Governo cadrà ed il centrosinistra andrà a casa (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iannuzzi. Ne ha facoltà.
TINO IANNUZZI. L'esame del DPEF rappresenta la prima occasione per un confronto in Parlamento sulla politica infrastrutturale del nostro paese. Si tratta quindi di un'occasione preziosa per discutere e per definire i punti fermi della strategia del Governo e del Parlamento in questo campo, per fissare le grandi direttrici che devono orientare e caratterizzare l'operato e le decisioni dell'esecutivo in questa legislatura e per dare il volto generale alla politica del nostro Governo nel campo delle infrastrutture.
Vogliamo, come gruppo dell'Ulivo, sottolineare subito con grande convinzione, ma anche con grande forza, che la questione dell'ammodernamento e del potenziamento del sistema infrastrutturale del nostro paese è una questione assolutamente centrale e decisiva, che interessa in maniera particolarmente forte e marcata il Mezzogiorno, ma interessa in misura altrettanto irrinunciabile il centro, il nord del paese e l'intero sistema Italia.
La questione infrastrutturale interessa l'intera nazione e richiede un impegno, nella distinzione e nell'autonomia dei ruoli, comune e convergente della maggioranza e dell'opposizione, in un dialogo di merito franco e a tutto campo. Infatti, è evidente che senza l'adeguamento della rete infrastrutturale non potremmo mai realizzare le condizioni di un paese più moderno, più funzionale, più europeo. Noi condividiamo anche l'impostazione che il ministro Di Pietro ha dato all'allegato al DPEF in materia infrastrutturale, che parte innanzitutto dallo sforzo di realizzare un'analisi a trecentosessanta gradi della situazione esistente, del cosiddetto stato dell'arte dal punto di vista dei cantieri aperti, degli appalti in svolgimento, dei finanziamenti erogati, delle risorse ancora disponibili, del fabbisogno finanziario: elementi che bisogna acquisire per perseguire con decisione un chiaro programma di ammodernamento infrastrutturale.Pag. 6
Ci rendiamo, altresì, conto che tutta l'impostazione politica di questa legislatura non può non far tesoro del grande limite che è emerso nel quinquennio che abbiamo alle nostre spalle e che si identifica nell'aver voluto tracciare, con la delibera del CIPE del 21 dicembre 2001, attuativa della legge obiettivo, un elenco smisurato, infinito e irrealizzabile di opere cosiddette prioritarie, ben 228! Troppe priorità, tante priorità, nella sostanza significano nessuna vera effettiva e grande priorità, che ci porta ad aprire e chiudere i cantieri di una grande opera pubblica nel corso della legislatura. Oggi invece dobbiamo voltare pagina e dire con chiarezza che l'elenco delle priorità deve essere estremamente circoscritto e puntuale, ma soprattutto deve essere rapportato con responsabilità e coraggio politico alla quantità di risorse finanziare effettivamente disponibili; ma sicuramente, alla luce della situazione complessiva della finanza pubblica del nostro paese, questi fondi cui attingere sono esigui.
Allora dobbiamo definire una griglia ristretta ed effettiva di grandi, vere e reali priorità, identificandole in quelle opere che sono capaci di far compiere un salto di qualità a territori di area vasta, a cominciare, ad esempio, nel Mezzogiorno dal completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Condividiamo anche il metodo preannunciato dal ministro, che è quello di un dialogo e di una condivisione con il territorio, con le regioni e con le comunità locali. Naturalmente tale dialogo deve svolgersi in maniera proficua e approfondita, preventiva e chiara, ma deve anche avere tempi certi, responsabilità reciproche e soprattutto consentire alle opere di essere condivise nelle elaborazioni progettuali e poi portate avanti con decisione. Vogliamo, altresì, dire che è particolarmente giusta l'indicazione che il ministro dà circa lo svolgimento del trend degli investimenti infrastrutturali nella scorsa legislatura: vi è un grave deficit, una grave carenza infrastrutturale che si evince nel Mezzogiorno. Ebbene, degli investimenti realizzati, il 77 per cento è andato al nord, il 13 per cento al centro, solo il 10 per cento al sud.
Ora, è evidente che nel Mezzogiorno occorre intervenire subito e di più, ma è altrettanto evidente che i problemi infrastrutturali sussistono anche nel centro e nel nord del paese. Sono problemi diversi, che pure vanno affrontati con responsabilità e coraggio. Riteniamo anche giusta l'indicazione di dare priorità innanzitutto alle grandi opere pubbliche avviate già in misura significativa e rilevante, e di dare grande attenzione, inoltre, ai nodi territoriali strategici per la competitività del paese. Riteniamo inoltre che, nelle prossime settimane, nel definire la griglia di priorità, dovremo affrontare con chiarezza il discorso della finanza di progetto, che è decollata ma si è fermata, soprattutto a livello comunale, per investimenti e opere di taglio piccolo e medio.
Dal punto di vista delle grandi opere, come insegna anche l'esperienza della Bre-Be-Mi, ancora non abbiamo esempi significativi, ma dobbiamo distinguere - e concludo, signor Presidente - tra opere che possono essere realizzate con la finanza pubblica e quelle che possono essere realizzate con il contributo dei privati. Naturalmente, per il Mezzogiorno sarà prioritaria e decisiva la destinazione delle risorse finanziarie pubbliche, perché lo Stato non può non farsi carico di realizzare le opere necessarie all'infrastrutturazione del Sud (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non mi annovero tra quanti reputano indispensabile il Documento oggi in discussione; ritengo, anzi, che questo DPEF in particolare debba farci riflettere sulla validità dello strumento che abbiamo a disposizione.
Infatti, il Documento di programmazione economico-finanziaria, nato alcuni anni fa quando gli strumenti di contabilità economica dello Stato non erano ancoraPag. 7affinati come oggi, serviva a fotografare lo stato dell'arte, al fine, poi, di impostare la legge finanziaria. Ma gli strumenti oggi a disposizione dello Stato e dei ministeri sono talmente evoluti che questi dati, ormai, li conosciamo in tempo reale; quindi, quello odierno rischia di diventare un lavoro inutile.
Ho fatto tale premessa perché tutti insieme, forse, dovremmo cominciare a meditare se valga la pena impegnare le Camere, nei mesi di giugno e luglio, in una discussione che potrebbe risultare inutile. Anzi, è talmente inutile che oggi facciamo fatica ad identificare, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, le linee che poi dovremmo affrontare, invece, nell'esame in prima lettura della finanziaria, tra settembre ed ottobre.
In questa sede, ci limitiamo a quantificare il fabbisogno dello Stato per il 2007 in 35 miliardi di euro; in realtà, a mio avviso, lo si quantifica in 41 miliardi di euro. Infatti, la manovra Visco-Bersani che approveremo nei prossimi giorni avrà un riflesso in termini di maggiori imposte per il 2007 di circa 6 miliardi di euro, che si sommeranno - così ha dichiarato il ministro dell'economia e delle finanze nell'ultima seduta congiunta delle Commissioni bilancio di Camera e Senato - ai 35 miliardi che dovremo ancora reperire; perciò, il fabbisogno dello Stato sarà di 41 miliardi di euro.
Mi preme anche aggiungere che mi appassiona poco lo «scaricabarile» sulla passata gestione dei conti dello Stato; mi limito solo a chiarire come siano tre gli elementi che si identificano in questo Documento di programmazione economico-finanziaria.
Il primo, positivo, è un boom delle entrate fiscali; ciò significa che la politica economica del Governo precedente incomincia a dare i propri frutti. Considerate che si tratta di un boom senza provvedimenti straordinari e, quindi, probabilmente ripetibile anche nel corso dei prossimi anni.
In secondo luogo, finalmente si dichiara la verità sull'avanzo primario; è vero che è azzerato ma, nella relazione al Documento di programmazione economico-finanziaria e nel Documento stesso, si dichiara esplicitamente che ciò è anche dovuto ad un cambiamento dei criteri contabili di elaborazione dell'avanzo primario imposto dall'Unione europea, sicché non vi è una grande differenza rispetto agli esercizi precedenti.
Terzo, ma non ultimo, il fatto che l'indice di povertà, negli ultimi cinque anni, è calato; ciò significa che la politica, soprattutto fiscale, portata avanti dal precedente Governo ha dato, per le classi disagiate del nostro paese, un risultato altamente positivo.
Mi interessa anche sostenere che, se vogliamo che questi 35 miliardi di euro non gravino in particolare sugli enti locali bisogna che rafforziamo, quando vareremo la legge finanziaria, la parte riguardante le privatizzazioni. Al riguardo, nel Documento si parla solo delle privatizzazioni dello Stato; a mio avviso, invece, dobbiamo compiere una grande riflessione sulle privatizzazioni da effettuarsi a livello locale, soprattutto se vogliamo procedere verso le liberalizzazioni. È vero infatti che privatizzare non significa liberalizzare, ma noi non liberalizzeremo mai se prima non privatizzeremo le multiutilities locali. La presenza dei comuni in quelle multiutilities è un ostacolo alle liberalizzazioni; la finanziaria dovrà perciò prevedere un'incentivazione per quei comuni che decideranno di dismettere le proprie partecipazioni. Solo così, riusciremo a convincere i nostri amministratori locali a vendere parte di quelle partecipazioni, a facilitare il progetto di liberalizzazione dei servizi pubblici locali e a reperire quelle risorse - e mi aggancio all'intervento svolto dianzi - indispensabili per ammodernare i territori locali.
PRESIDENTE. Onorevole...
GIAN LUCA GALLETTI. L'ultima considerazione che voglio svolgere riguarda gli enti locali; è indispensabile che, se il patto di stabilità funzionerà, come è scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria, per saldi e non più perPag. 8tetto di spesa, i trasferimenti ai comuni siano in aumento.
Il patto di stabilità per i saldi funziona solo in presenza di trasferimenti crescenti per gli enti locali, altrimenti metteremmo i comuni nella condizione di dover aumentare le imposte al posto dello Stato. Questo sarebbe scorretto per lo Stato e per gli enti locali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fasolino. Ne ha facoltà.
GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il DPEF 2007-2011 denuncia anche quest'anno i limiti derivantigli dal costituire un provvedimento inutile e ripetitivo, che fa parte ormai di un rituale di cui sarebbe opportuno potersi quanto prima liberare. Un merito comunque ce l'ha: quello di smascherare, ove ve ne fosse ancora bisogno, le incongruenze e le menzogne di un centrosinistra che ha perseguito il solo obiettivo di predicare in modo ingannevole per gli elettori, salvo cambiare atteggiamento una volta pervenuto al Governo.
L'unico traguardo sinora tagliato dalla coalizione ulivista e dal Presidente del Consiglio in realtà rimane il record di ministri e sottosegretari in un Governo della Repubblica. Prodi, per la verità, è vicino anche ad altri notevoli primati: il Governo con il più numeroso ricorso a voti di fiducia, insieme alla più massacrante ed avvilente utilizzazione dei senatori a vita.
Il Governo Prodi sta mostrando agli italiani una faccia negativa di questo grande istituto e spero vivamente che il Presidente Napolitano voglia per il futuro procedere, all'occorrenza, alla nomina di componenti più giovani, attingendo, diversamente da quanto operato dai suoi predecessori, a tutte le culture del paese. Il paese merita questo rispetto e questa attenzione.
Per quanto concerne le politiche per la crescita economica, un primo «tonfo» il Governo l'ha registrato sulle liberalizzazioni, facendo due passi avanti e quattro indietro sui provvedimenti approvati.
In primo luogo, il decreto-legge non sembra la misura più idonea per realizzare riforme di grande spessore; in secondo luogo, è stata intenzionalmente esclusa la metodologia della concertazione, quasi che il lavoro autonomo professionale fosse di serie B rispetto al lavoro dipendente.
In terzo luogo, sarebbe stato più corretto ed opportuno - dico anche più coraggioso - intervenire inizialmente sui settori dei grandi monopoli, delle comunicazioni e dell'energia; evidentemente Bersani, Franca Rame, Rizzo, per citare solo alcuni degli esegeti del nuovo corso, amano riempirsi la bocca con pretese lotte ai grandi potentati, salvo all'occorrenza precipitosamente ripiegare su provvedimenti più semplici e meno compromettenti.
Sulla politica delle infrastrutture registro con soddisfazione...
PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere: ha esaurito il suo tempo.
GAETANO FASOLINO. Concludo, con un passaggio sul ministro Di Pietro. Registro con soddisfazione che il ministro Di Pietro ha asserito di voler dare continuità all'azione del precedente Governo, in considerazione dell'importanza delle opere infrastrutturali del paese.
Dopo il folkloristico defenestramento del consiglio di amministrazione dell'ANAS, misura che ha rasserenato tutti gli italiani sulle sue non sopite capacità inquirenti, il ministro metterà altre frecce al suo arco, perché sicuramente Pecoraro Scanio, dopo una transitoria opposizione strumentale e di facciata, rinfodererà la spada e si accoderà a tutte le iniziative in materia di infrastrutture, che altro non sono che quelle del Governo Berlusconi.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Fasolino, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Merloni. Ne ha facoltà.
MARIA PAOLA MERLONI. Signor Presidente, il DPEF 2007-2011 si inserisce in un quadro economico e finanziario tutt'altro che rassicurante. La legislatura appena avviata ha trovato un'Italia sfibrata da una lunga stagnazione economica, dalla costante crescita del debito pubblico, dalla perdita di credibilità a livello europeo e soprattutto da una grave e complessiva crisi di fiducia dei cittadini, delle imprese e dei lavoratori.
Senza voler entrare nel merito dei motivi e delle responsabilità, dobbiamo cercare nel più breve tempo possibile di porvi riparo affrontando con decisione i principali problemi che abbiamo di fronte: lo squilibrio dei conti pubblici da un lato, e la mancata crescita dall'altro. Da questo punto di vista, il DPEF rappresenta un'importante novità contenuta essenzialmente nell'enunciazione di voler evitare la politica dei due tempi, affermando invece la necessità di intervenire in contemporanea su entrambi i problemi. La nostra crescita economica non può prescindere dal risanamento dei conti pubblici e non si possono che apprezzare le misure che il DPEF indica a questo proposito. In particolare, è estremamente importante che vi sia indicata la volontà di rientrare, già dal prossimo anno, nei parametri europei. Il nostro paese potrà così, oltre alla stabilità dei conti, riacquistare anche quella credibilità presso i mercati internazionali che in parte si era ridotta negli ultimi anni.
Negli ultimi mesi abbiamo visto qualche segnale di ripresa, ma sappiamo bene che la ripresa di per sé non è sufficiente a risolvere il problema della mancata crescita che ci affligge da oltre un decennio e che rischia ormai di intaccare il talento innovativo dell'economia, di deprimere perennemente le speranze dei giovani e di affossare ulteriormente la fiducia dei cittadini. Dunque, così come dieci anni fa l'obiettivo che ci eravamo posti era quello di entrare nell'euro, oggi il traguardo che dobbiamo perseguire è quello di tornare a crescere. Dagli anni Novanta in poi l'economia italiana si è praticamente fermata e la nostra competitività è calata in maniera preoccupante. I motivi sono molteplici; hanno sicuramente pesato la mancata crescita dimensionale delle imprese, così come la scarsa innovazione ma anche l'assenza di concorrenza in molti settori fondamentali come, ad esempio, i servizi e l'energia, il costo del lavoro e il fisco. Si tratta di ritardi strutturali gravi che si possono risolvere con misure adeguate. Da questo punto di vista riteniamo che il DPEF indichi percorsi condivisibili a partire dall'impegno di utilizzare le risorse che verranno reperite sia attraverso il taglio delle spese sia con nuove entrate non solo per incidere sul disavanzo, ma per finanziare misure utili a stimolare la crescita e la competitività, per creare nuove opportunità per i giovani, per combattere la povertà e l'emarginazione, per promuovere l'equità sociale.
Qualcuno ha osservato che il DPEF è un po' come un libro dei sogni; in realtà, il suo ruolo è quello di fissare i punti cardinali e la direzione nella quale dovrà può muoversi la legge finanziaria alla quale spetta il compito di dare concretezza alle diverse misure per il risanamento e lo sviluppo. Riteniamo che il taglio del cuneo fiscale sia un segnale importante in questa direzione. Si tratta di un elemento essenziale per correggere le distorsioni del costo del lavoro e per liberare risorse che le imprese potranno poi destinare a nuovi investimenti avviando una spirale virtuosa anche nei confronti dell'occupazione. Ma altri provvedimenti oltre a questo sono ugualmente urgenti e necessari. Per ricordarne soltanto alcuni: occorre aumentare la concorrenza in tutti i settori superando la centenaria storia di privilegi di alcune categorie a scapito di altre. Proseguire, quindi, senza indecisioni sulla strada già avviata delle liberalizzazioni, ampliandone il raggio ed estendendole ai settori dei servizi pubblici locali e dell'energia i cui costi costituiscono un peso per la nostra economia. Occorre affrontare con decisione il nodo delle infrastrutture, terreno sul quale siamo in ritardo gravissimo e che rischia di tagliare il nostro paese fuori dall'Europa. Definire, quindi, urgenze ePag. 10priorità e maggiore correlazione con le esigenze logistiche delle aree produttive del paese.
Occorrono misure che agevolino la crescita patrimoniale e dimensionale delle imprese, la loro capacità di fare innovazione e ricerca, l'internazionalizzazione.
PRESIDENTE. Onorevole Merloni...!
MARIA PAOLA MERLONI. Occorre individuare misure adeguate per sfruttare al meglio la nostra industria del turismo, occorre dare una speranza nuova al Mezzogiorno. Occorrono, infine, provvedimenti che puntino all'ammodernamento della pubblica amministrazione e alla semplificazione della burocrazia.
Il ministro Padoa Schioppa, con una formula inusuale, ha voluto aprire il DPEF con una citazione di Kant: «Coloro che dicono che il mondo non andrà sempre così com'è andato finora (...) contribuiscono a far sì che l'oggetto della loro predizione si avveri». A noi piace credere che, se non il mondo, almeno l'Italia possa finalmente da oggi tornare a crescere (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.
ELIAS VACCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preannuncio fin d'ora il voto favorevole del gruppo dei Comunisti italiani, che rappresento in quest'aula, al Documento di programmazione economico-finanziaria e dico, innanzitutto, che si tratterà di un voto fondato su un meccanismo di fiducia, non della fiducia che tecnicamente viene posta dal Governo, e che reiteratamente è all'ordine del giorno dei nostri lavori, anche di quelli dell'Assemblea del Senato di questi giorni, ma di quella che sta nelle cose che sono scritte nel Documento stesso.
Ha detto qualche collega prima di me, richiamandolo talvolta come fatto positivo o anche come negativo, che il DPEF sarebbe in fondo un libro dei sogni. Ma io domando a me e a voi, colleghi, che cos'altro deve fare la politica se non tradurre in documenti, in mozioni, in norme non i sogni, bensì le aspirazioni di una società a realizzare più sviluppo, più equità e a risanare i conti del paese?
Quella che i Comunisti italiani manifestano con il voto favorevole è naturalmente una fiducia prudente, che guarda alla legge finanziaria. È stato ricordato che non tutte le forze che compongono la coalizione dell'Unione danno la medesima lettura di questo documento. A tale proposito vi sono stati dei distinguo anche significativi, che però, per quanto mi constano, sono stati posti non in termini assoluti, ma di sospensione del giudizio, la stessa sospensione che, in buona sostanza, su alcuni punti degli intenti dichiarati nel Documento, anche i Comunisti italiani pongono in essere.
Parlare di equità in questo paese, che non sempre, e particolarmente negli ultimi anni, ha fatto ricorso a tale concetto, è già di per sé un fatto importante. Quando dell'equità si fa il punto centrale di un documento di programmazione, si stanno svolgendo comunque affermazioni che pesano come pietre, che intendono precisare una linea di pacificazione sociale e di condivisione di misure, anche di quelle che nel nostro singolo cortile possono sembrare meno facilmente accettabili.
Abbiamo già visto che il Governo, attraverso la decretazione, si è mosso in alcuni settori dell'economia e non credo che spetti ai Comunisti italiani, in linea generale, glorificare i sistemi di liberalizzazione come incentivo alla concorrenza e come strumento di realizzazione dell'equità e dello sviluppo sociale. Devo dire, però, considerato che qualche collega si riferisce spesso a noi chiamandoci «sinistra radicale», con un termine che, oltre ad essere poco gradito, è anche abusato, che i radicali in questa Assemblea sono rappresentati da ben altre forze e che il significato della parola «radicale», anche in altri paesi di tradizione democratica, ha ben altra valenza. Credo che si debba parlare di noi piuttosto come di una sinistra consapevolmente riformista, assolutamente rigorosa e che probabilmentePag. 11preferirebbe chiamarsi ancora - mi si passi il termine, se non storicamente e politicamente desueto - «sinistra comunista».
Dunque, non sta a noi, egregi colleghi, glorificare il sistema delle liberalizzazioni; dobbiamo bensì riconoscere, posto che la logica economica alla quale storicamente si ispira questo paese è quella nella quale il mercato ha un ruolo importante e significativo, che la riaffermazione di regole di concorrenza e di competizione corretta ne costituiscono un elemento basilare.
Anche in ciò, infatti, risiede la citata equità. Vorrei segnalare che io stesso sono rimasto favorevolmente impressionato dal fatto che, quando si discute di correttezza nell'ambito della concorrenza, si faccia riferimento al rispetto delle regole. Sto parlando, innanzitutto, del pagamento delle tasse e della regolarizzazione delle posizioni previdenziali dei lavoratori dipendenti attraverso il versamento dei contributi, nonché di tutti gli oneri che, legittimamente, derivano dall'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria in esame, inoltre, è contenuta un'indicazione importante riguardo alla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, poiché vi si afferma che il beneficio che ne deriverà...
PRESIDENTE. Onorevole Vacca...
ELIAS VACCA. ...non dovrà andare a favore delle imprese indiscriminatamente, poiché dovranno trarne giovamento soprattutto quelle aziende che stabilizzeranno i posti di lavoro: per i Comunisti, allora, si tratta di un elemento ancora essenziale.
Concludo, signor Presidente, accogliendo il suo invito a terminare il mio intervento ed affermando che è evidente che il DPEF contiene dichiarazioni di intenti e che tali dichiarazioni, successivamente, saranno tradotte in numeri ed in misure concrete dal disegno di legge finanziaria.
Tuttavia, poiché il Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011 contiene, almeno in termini concettuali, qualche risposta alle aspirazioni che emergono nel nostro paese, esso riceverà il voto favorevole del gruppo dei Comunisti Italiani.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.
ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, vorrei ricordare come, da più parti, sia stato affermato che Documento di programmazione economico-finanziaria è uno strumento che non risulta utile allo svolgimento dei lavori parlamentari.
Ritengo che in parte sia vero e che sussista la necessità di approfondire lo strumento in questione; tuttavia, credo che l'impianto della legge n. 468 del 1978 affidi al DPEF l'obiettivo di fissare principi ordine generale. In primo luogo, infatti, esso deve definire l'entità del fabbisogno del bilancio dello Stato, nonché altri parametri economici e finanziaria fondamentali, sulla base di una previsione almeno triennale.
Penso che, per non trovarsi tra le mani dei libri dei sogni, occorra approfondire i temi che, attraverso il Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011, il Governo di centrosinistra ha sottoposto alla nostra attenzione.
Vorrei affrontare, in primo luogo, la questione del risanamento dei conti pubblici. Infatti, non potrebbe esservi l'intervento della politica in generale, di questa Assemblea e dello stesso Governo senza avere certezze in ordine allo stato dei conti dello Stato. È inutile parlare di eredità del passato, poiché si tratta di una questione di fondo: infatti, quando ci troviamo a discutere di crescita economica, di sviluppo, di equità e di redistribuzione del reddito, incontriamo difficoltà nel reperire le necessarie risorse finanziarie. All'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame, pertanto, il risanamento dei conti pubbliciPag. 12rappresenta, giustamente, un tema centrale.
Tale processo di risanamento si articola in alcuni interventi. Vorrei ricordare, infatti, che esso prevede di reperire 35 miliardi di euro attraverso una seria e concreta lotta all'elusione e all'evasione fiscale; evidenzio, inoltre, che il cosiddetto decreto-legge Bersani-Visco ha già indicato alcuni comportamenti di fondo nell'ambito degli indirizzi relativi all'azione del Governo.
Per l'economia dei nostri lavori non intendo richiamarli, poiché avremo modo di discuterli in sede di conversione del decreto-legge in oggetto; vorrei osservare che, comunque, si tratta di un provvedimento strutturale, che porterà nelle casse dello Stato 7 miliardi di euro, destinati al risanamento dei conti pubblici per l'esercizio finanziario in corso. Vorrei peraltro segnalare che, quando parliamo dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo, è sempre bene ricordarsi l'entità della manovra in termini assoluti.
A tale riguardo, vorrei sottoporre all'attenzione dell'Assemblea, tra i tanti, il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal precedente Governo nel 2002. In tale Documento si legge che l'obiettivo in termini di indebitamento netto strutturale per il 2003 era stato fissato all'1,8 per cento del PIL, mentre per il 2004 era pari all'1,3 per cento, per il 2005 allo 0,8 per cento e per il 2006 allo 0,3 per cento del prodotto interno lordo. I dati contabili attuali, tuttavia, indicano che tale livello, pur con tutte le manovre correttive adottate, si attesta al 4 per cento del PIL.
Vorrei osservare che siamo in presenza di uno scostamento di quasi 4 punti percentuali di prodotto interno lordo, pari a circa 60 miliardi di euro. Se consideriamo anche che paghiamo oneri sul debito pubblico ad un tasso d'interesse del 5 per cento, allora ciò significa che stiamo trasferendo l'azione di risanamento finanziario sui prossimi anni, vale a dire sulle giovani generazioni!
Questo bel libro, che reca la firma di Berlusconi e Tremonti - che sa fare i conti senza mettere le mani in tasca agli italiani -, ci forniva anche un altro obiettivo, vale a dire il fatto che il debito complessivo del PIL doveva trovarsi in un rapporto del 99,4 per cento. Leggendo l'indicatore di oggi, si registra una cifra pari al 107 per cento.
Quindi, le previsioni del Governo precedente evidenziano come non si sia prestata attenzione al tema dei conti pubblici e del risanamento. Infatti, il risanamento dà nuovamente spazio alla politica economica del paese; se parliamo di innovazione, di sviluppo tecnologico, di nuova politica scolastica, non può esservi un'operazione di questo tipo se il bilancio dello Stato è in queste condizioni ed è costituito da previsioni fantastiche, non credibili e disattente.
Quindi, la nostra domanda è la seguente: la proposta di questo strumento di programmazione economica è credibile rispetto ai conti pubblici? Ritengo che, nel nostro atteggiamento, dovremmo superare tutta la parte di rappresentanza anche lobbistica, territoriale e di categoria, sforzandoci affinché questo strumento, nell'interesse del paese, raggiunga l'obiettivo del risanamento, della crescita e dell'equità.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, può ricordarmi il tempo che ho a disposizione?
PRESIDENTE. Onorevole Barani, lei ha a disposizione 9 minuti.
LUCIO BARANI. Nel Documento di programmazione economico-finanziaria fa bella mostra di sé una frase - letta ed apprezzata da molti - del filosofo Kant, secondo la quale: coloro che dicono che il mondo andrà sempre così com'è andato finora, contribuiscono a far sì che l'oggetto della loro previsione si avveri.
Si potevano utilizzare molte altre citazioni, ma esiste sempre quel lapsus freudiano, per il quale si cita casualmente un concetto che in realtà denota le reali intenzioni o le idee della compagnia.Pag. 13
Il ministro Padoa Schioppa sapeva bene con chi aveva a che fare e gli è sfuggito l'incipit del suo Documento. Cerchiamo dunque di definire chi sono coloro che dicono che il mondo non cambierà mai.
In primis, tutti i sindacati. Dell'incontro con le organizzazioni sindacali si è parlato come di un incontro non facile, quasi freddo; il segretario generale della CGIL, Guglielmo Epifani, lo dice chiaramente: non sono soddisfatto! E il numero uno della CISL, Bonanni, rimarca la dose: temiamo atti unilaterali, come il Governo Berlusconi! Inoltre, Epifani afferma: sembra di cogliere un'accentuazione - che non condividiamo - nei confronti dei tagli alla spesa sociale, in modo particolare nel settore della previdenza, della sanità e degli enti locali. Non sono soddisfatto né dell'entità delle informazioni né dello squilibrio nei confronti dei tagli sociali che non ci sono stati quantificati. Sottolinea Bonanni: la spesa sociale non si tocca. Dicono che vogliono mettere sotto pressione i punti principali della spesa, come il pubblico impiego e le pensioni. Non siamo d'accordo e lo diremo con molta forza!
Inoltre, tra coloro che dicono che il mondo non cambierà mai, vi sono anche «pezzi» dell'Unione. Ad esempio, Rifondazione Comunista, attraverso il ministro Ferrero, ha reso esplicito il dissenso nei confronti del provvedimento che prefigura una finanziaria da 35 miliardi di euro, da reperire anche e soprattutto attraverso interventi strutturali sulla pubblica amministrazione, sulla previdenza, sulla sanità e sugli enti locali.
Il segretario Giordano chiede un percorso di consenso, ma non manca di sottolineare l'apertura verso le richieste dei sindacati con l'innalzamento del tasso programmatico di inflazione al 2 per cento, mentre, il sottosegretario per lo sviluppo economico, Alfonso Gianni, contesta proprio l'impianto del Documento, prefigurando una manovra da 15 miliardi di euro, invece che da 35, senza l'obiettivo di abbattere da subito il debito.
Anche Verdi, PDC e sinistra-DS non mancano di esprimere forti preoccupazioni. Siamo di fronte a dei dilettanti allo sbaraglio!
Poi, è la filosofia stessa di tutta l'Unione che certamente non è kantiana, se è vero che, per anni, ci ha abituato ad un catastrofismo che ha impaurito cittadini, borse e mercati. Tale filosofia è altrettanto stucchevole quanto l'esagerato buonismo e ottimismo messo in atto dalla Casa delle libertà.
Poi ci sono i soliti e autorevoli criticoni. Questo è il giudizio dell'agenzia Standard and Poor's sul DPEF: la manovra economica annunciata dal Governo italiano contiene obiettivi ambiziosi, che, però, rimarranno fuori portata, a meno che Roma non specifichi con quali riforme strutturali intende realizzarli; come è accaduto in precedenza, il DPEF contiene molte buone intenzioni, ma poche misure concrete; il Governo dovrà quindi specificare le riforme strutturali per rendere raggiungibili gli ambiziosi obiettivi.
Non mancano poi giudizi sulla debolezza del Governo in carica. Per la Standard and Poor's, sul DPEF la risicata maggioranza parlamentare della coalizione porterà, nel tempo, ad una progressiva erosione delle prospettive di consolidamento fiscale, ragione per cui la valutazione della credibilità del percorso di consolidamento prospettato e, quindi, la prossima mossa sul rating, sovrano dell'Italia, dipenderà dal successo dell'attuazione nei primi tempi del Governo. L'outlook negativo resta quindi appropriato, fino a quando una sostanziale realizzazione non è in corso. Se, però, i progressi nel 2006 sono poco o niente, il rating potrebbe essere abbassato prima della fine dell'anno.
Poi c'è la Corte dei conti: ciò che continua a risaltare è l'assenza, ripetutamente lamentata dalla Corte, di una strategia di contrasto all'evasione che sia finalmente intesa come una ordinaria attività gestionale. È la critica del Presidente della Corte dei conti Staderini. Manca una programmazione - dice Staderini - che, partendo dalla periodica sistemazione ePag. 14quantificazione delle dimensioni e della composizione del fenomeno dell'evasione, per imposta, tipologia del contribuente, territorio, classe di reddito e quant'altro, fissi e renda noti obiettivi e traguardi, generali e specifici, di riduzione delle perdite di gettito e definisca coerenti misure di contrasto da aggiornare e rivedere continuamente sulla base della costante verifica dei risultati conseguiti e pubblicizzati. Nel corso delle audizioni presso la Camera dei deputati, egli ha aggiunto che la spesa pubblica registra una preoccupante espansione e che il buon esito delle entrate sarebbe assorbito interamente dalla maggior spesa corrente primaria.
Secondo Staderini, la crescita dell'1,2, prevista nel DPEF per il 2007, è una ipotesi inverificabile in assenza di indicazioni più precise sulla composizione della manovra e, in particolare, sui provvedimenti diretti a contenere il reddito disponibile di famiglie e di imprese.
Poi ci sono le regioni: secondo il loro parere comune, espresso in Conferenza unificata, l'allegato relativo alle infrastrutture non è stato elaborato con il coinvolgimento delle regioni, che risultano ancora una volta estromesse da un fondamentale processo decisionale destinato ad incidere sulle loro rispettive realtà. Le regioni sono contro il DPEF anche per quanto riguarda gli aspetti legati alle risorse da destinare al Servizio sanitario nazionale. Non emergono aspetti quantitativi e di certezza sulle risorse nel breve-medio periodo. Le regioni chiedono che tale certezza sia indicata in un nuovo patto per la salute, da definire prima della pausa estiva.
Quindi, ha ragione l'onorevole Tremonti, quando riassume il tutto nel solito e lapidario commento: il Governo non sa cosa ha approvato.
Mi fermo qui. Ciò basta per dimostrare che, in fondo, è vero quanto affermato nell'incipit del ministro Padoa Schioppa. Pare che tutti stiano a dire che il mondo descritto dal Documento di programmazione economico-finanziaria non ha cambiato nulla sotto i cieli dell'Unione e, sostanzialmente, sta scontentando tutti. Comunque, un ministro tecnico dovrà fare i conti dei mille interessi politici e corporativi che sono rappresentati dalla variopinta moltitudine prodiana.
Penso che, alla fine, se ci sarà un dimissionario, sarà proprio il ministro Padoa Schioppa. Ci pensano già talmente in tanti che contribuiranno a far sì che l'oggetto delle loro previsioni si avveri. E credo che ciò avverrà molto precocemente.
In conclusione, mi sembra che aumenti sempre più la sfiducia nello Stato da parte di cittadini, imprenditori e, soprattutto, professionisti. Si continua a non capire che l'evasione fiscale si combatte dando a tutti la possibilità di detrarre il più possibile, in modo che tutti siano stimolati a chiedere le ricevute al ristorante, allo stabilimento balneare, al professionista, al ferramenta. C'è uno statuto del contribuente, alla luce delle direttive dell'Unione europea, che viene completamente disatteso. Andando avanti così, si toccherà veramente il fondo!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zipponi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ZIPPONI. Signor Presidente, risanamento, sviluppo ed equità sono tre parole che, per il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, devono parlare, innanzitutto, ai lavoratori, ai pensionati, al sistema delle imprese italiane.
Risanamento, con entrate che attaccano davvero l'evasione fiscale; risanamento, discutendo con l'Europa sia sui tempi sia sul livello di rientro dal debito.
Sviluppo, tenendo conto che siamo in una nuova fase economica, ossia siamo di fronte al più grande processo mondiale di industrializzazione e che anche le imprese manifatturiere italiane stanno uscendo in molti casi dalla crisi.
Oggi, è necessario che, a partire dal Governo, si dia l'imput per una nuova rinascita industriale nazionale dell'Italia. E cosa deve contenere il DPEF per lo sviluppo? Innanzitutto, deve individuare i settori manifatturieri strategici, a partire dall'energia; l'energia, che è il punto debole nei costi delle imprese e per le tasche dei lavoratori e dei pensionati.Pag. 15
Bisogna agire sulle infrastrutture, intervenendo anche sulle grandi speculazioni, come la vendita della società Autostrade da parte del gruppo Benetton agli spagnoli, facendo prevalere l'interesse nazionale. Bisogna intervenire con strumenti finanziari a sostegno dell'impresa che cresce e crea lavoro buono, ossia a tempo indeterminato.
Equità: per equità intendiamo lotta al precariato, un cuneo fiscale selettivo per le aziende che creano lavoro a tempo indeterminato. Intendiamo la restituzione del fiscal drag e la difesa delle retribuzioni dei pensionati di questo paese.
Questi temi parlano direttamente al paese. Per tale motivo, crediamo che il Governo di centrosinistra abbia iniziato bene, perché prima con la «manovrina» e, poi, con il cosiddetto decreto Bersani si è data l'idea di volere decidere. Si decide chi deve pagare, perché non possono continuamente pagare coloro che, negli anni passati, hanno già contribuito con prezzi altissimi.
Pertanto, riteniamo sbagliato fare allarmismo da parte di alcuni ministri di questo Governo, che continuamente citano termini come previdenza, sanità, pubblico impiego e quant'altro, come se tutti fossero uguali, come se le pensioni non fossero già state colpite.
Deve essere chiaro che, nella prossima legge finanziaria - dove davvero si discuterà delle scelte - le pensioni dei lavoratori dipendenti non saranno a disposizione del Governo. Comunque, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea si batterà contro qualsiasi intervento volto a tagliare le pensioni.
Non sarà possibile intervenire contro chi, in questi dieci anni, ha pagato prezzi altissimi. Per questo motivo, nel Consiglio di ministri, il nostro ministro non ha votato a favore del DPEF. Per questo motivo, la legge finanziaria dovrà parlare al paese con chiarezza, indicando con decisione chi dovrà pagare, per far sì che le parole sviluppo, equità, rinascita del paese e risanamento si rivolgano direttamente alle persone interessate.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, questo DPEF di inizio legislatura non resterà certo negli annali. D'altra parte, credo che, in altra sede, andrebbe forse discussa più in generale l'utilità di tale documento.
A proposito del trittico, richiamato più volte anche dai colleghi, che avrebbe dovuto dare contenuto politico e di indirizzo all'azione del Governo - sviluppo, risanamento, equità - desidero sottolineare, nel breve tempo di cui dispongo, un paio di elementi emblematici.
Per quanto concerne il risanamento, la vostra strategia si basa sulla ricostituzione dell'avanzo primario. Partite dal presupposto che la riduzione, fin quasi all'azzeramento, dell'avanzo primario sia una grave responsabilità del Governo Berlusconi e che voi siate ritornati per rimettere le cose a posto in qualche modo. Il presupposto è falso per due motivi.
Nel 1997, l'avanzo primario era del 6,7 per cento - il sottosegretario Pinza lo sa bene - ed è stato lasciato dai Governi del centrosinistra al 3,2 nel 2001 (ed erano tempi di vacche grasse). La progressiva riduzione dell'avanzo primario negli anni del Governo Berlusconi è stata indotta, in larga parte, dal rallentamento dell'economia mondiale, com'è dimostrato dal confronto internazionale: in Francia, l'avanzo primario passa dall'1,5 per cento del 2001 al meno 0,1 per cento del 2005; in Germania, nello stesso periodo, esso passa dallo 0,4 al meno 0,6 e, in Olanda, dal 3 allo 0; in Gran Bretagna, l'avanzo primario è negativo dal 2003.
Si obietterà che noi abbiamo il debito pubblico più alto del mondo, o quasi - giusto, anzi sacrosanto! - e che tale debito va aggredito. Ebbene, nel programma elettorale della Casa delle libertà vi era un piano Tremonti (in qualche modo analogo alla proposta Guarino) di valorizzazione e cessione del patrimonio pubblico, un attivo di bilancio che rende pochissimo, a fronte di oneri e debiti costosissimi. Nel DPEF in esame, di fatto,Pag. 16non c'è nulla che riguardi le privatizzazioni, nulla che riguardi l'eventuale dismissione del patrimonio pubblico, nulla che riguardi la diminuzione della spesa pubblica nei tre punti fondamentali della previdenza, della sanità e degli enti locali. In particolare, riguardo agli enti locali, fate riferimento ai saldi e non al contenimento della spesa; e anche questo lascia intravedere quello che sarà ...
PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova...
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... il cuore della vostra iniziativa - ho quasi finito, signor Presidente - vale a dire l'inasprimento fiscale.
Tralascio altre considerazioni per dedicarmi all'ultimo aspetto che intendo sottolineare. Sullo sviluppo e sull'equità rilasciate soltanto affermazioni, ma il rischio è quello di fare la politica della carestia. L'unico elemento del DPEF che è collegato allo sviluppo è il cuneo fiscale. Si tratta di una scelta sbagliata: il cuneo fiscale non è altro che una svalutazione realizzata con altri mezzi e, quindi, dopo quattro o cinque anni il vantaggio sarebbe assorbito. Inoltre, se selezionate le imprese o i settori, fate un'operazione dirigista che è bene non fare; se non si selezionano i settori, si creano incentivi perversi a favore delle società che operano in settori labour-intensive (e, forse, non è questa la prospettiva in cui l'economia italiana deve muoversi). Soprattutto, una volta svanito il beneficio competitivo, come succedeva subito dopo le svalutazioni, della diminuzione del cuneo fiscale resterà, a differenza di quanto avveniva dopo le svalutazioni, l'onere del finanziamento della riduzione del cuneo fiscale, che, da quanto è stato detto in campagna elettorale...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Della Vedova.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... volete trasferire.
Avete parlato - e chiudo, signor Presidente - di allineamento delle aliquote sulle rendite finanziare. In realtà, se fate il cuneo fiscale, o trasferite la spesa per le pensioni alla fiscalità generale oppure colpirete duramente i risparmi degli italiani. Non credo che questa sia una via possibile per sostenere lo sviluppo. Forse, è meglio ridurre la spesa pubblica e ridurre le tasse (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raiti. Ne ha facoltà.
SALVATORE RAITI. Onorevole Presidente, onorevole rappresentante del Governo, nella qualità di capogruppo dell'Italia dei Valori in Commissione bilancio, non posso non prendere atto, all'inizio del mio intervento, della situazione attuale: sono svaniti gli effetti della finanza creativa messa in atto dal Governo Berlusconi nella precedente legislatura e, oggi, ci troviamo a dover prendere atto della condizione nella quale il paese versa realmente. Il ministro dell'economia e delle finanze l'ha ben descritta: essa è simile a quella del 1992, in quanto caratterizzata da un aumento dell'indebitamento e da un rapporto debito-PIL assolutamente insostenibile.
Da questo dato dobbiamo partire per cominciare un ragionamento che ci porti a valutare con serietà il Documento di programmazione economico-finanziaria che guiderà l'attività del Governo Prodi nei prossimi cinque anni. Il Documento costituirà, per così dire, la cornice all'interno della quale saranno inseriti gli interventi concreti, improntati alla serietà, al rigore ed all'equità, che faranno ripartire il nostro paese.
Questo complesso di interventi a noi dell'Italia dei Valori ci convince e ci convince in maniera completa. Riteniamo sia giusto ripartire da una tassazione più giusta e solidale e riteniamo che questo sia ineludibile, partendo dal recupero dell'evasione e dell'elusione fiscale, che hanno rappresentato alcuni degli effetti più sconvolgenti della cosiddetta finanza creativa a cui facevo cenno all'inizio del mio intervento.Pag. 17
L'ammontare dell'evasione fiscale ha raggiunto oggi una cifra elevatissima, pari al 16 per cento del PIL. Appare dunque doveroso indirizzare l'azione di Governo verso un forte contrasto di questo fenomeno, che rappresenta un grave handicap per la forza del nostro paese. Siamo consapevoli che, come avverte responsabilmente il DPEF, la dimensione dello squilibrio rende indispensabile intervenire anche su tendenze strutturali della spesa pubblica. Anche su questo il sostegno dell'Italia dei Valori non verrà meno, ma con altrettanta determinazione crediamo necessario che il Governo assuma l'impegno al contrasto continuo e rigoroso di ogni forma di evasione e di elusione fiscale. In tal senso riteniamo necessario impegnarsi per mettere in atto una strategia coordinata e complessiva di controlli fiscali capaci di usufruire di appositi studi di settore e, soprattutto, di una effettiva semplificazione degli adempimenti, attuata grazie all'adozione su scala generale dell'utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche oggi disponibili.
In secondo luogo, appare necessario, come lo stesso DPEF evidenzia, l'obiettivo di concentrare gli sforzi nella direzione di una migliore armonizzazione delle spese degli enti locali. Tali spese sono cresciute a dismisura e spesso sono fuori controllo. Il DPEF evidenzia in maniera assolutamente convincente l'intervento sul patto di stabilità interna degli enti locali che possa consentire di rimodulare e, in qualche maniera, rendere più efficace la spesa. Noi dell'Italia dei Valori riteniamo che questo sia uno strumento utile e necessario, ma forse non sufficiente. Per quanto ci riguarda, sarebbe opportuno studiare la possibilità di avere delle autorità indipendenti che possano certificare, attestare o fare comunque in modo che si torni ad una gestione sulla legalità e sulla legittimità della spesa anche in via preventiva, sapendo che comunque questo cozza e deve trovare gli equilibri necessari sulla base del tessuto costituzionale oggi vigente.
Un altro argomento da noi ritenuto assolutamente importante, che tra l'altro fa parte in modo sostanziale del programma dell'Unione, è quello del Mezzogiorno. Noi riteniamo che l'Italia non possa ripartire se non riparte il Mezzogiorno d'Italia; purtroppo la forbice negli ultimi cinque anni è aumentata a dismisura, basti vedere ciò che è accaduto per la ripartizione dei fondi della legge obiettivo, più volte richiamata dal Governo precedente, che avrebbe dovuto far ripartire i cantieri. Da un'analisi rigorosa e puntigliosa operata dal Ministero delle infrastrutture abbiamo dovuto prendere atto con amarezza che il 77 per cento dei fondi disponibili è stato impiegato per il nord Italia, il 13 per cento per il centro ed il 10 per cento per il Mezzogiorno.
Questi squilibri hanno procurato le difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti: il Mezzogiorno infatti non è ripartito. Crediamo che sia opportuno e necessario invertire la marcia e andare nella direzione opposta. Bisogna intervenire con politiche di fiscalità di vantaggio, in armonia con quanto stabilito dall'Unione europea, che adesso consente di poter procedere in questa direzione; bisogna intervenire anche con una modulazione del cuneo fiscale, uno degli argomenti fondamentali della politica economica di questo Governo, facendo in modo che esso possa essere distribuito in maniera diversa a seconda dell'esigenza di recupero delle zone più disagiate del paese, prestando quindi attenzione al meridione d'Italia.
Noi riteniamo che se riparte il meridione ripartirà tutto il paese. Lo stesso ragionamento può essere fatto ritenendo necessario realizzare infrastrutture di qualità nel meridione d'Italia e questo nel DPEF è evidenziato, anche se deve essere puntualizzato in maniera più specifica per quanto riguarda le infrastrutture che possono collegare il Tirreno con l'Adriatico o per quanto riguarda le cosiddette opere invarianti sullo Stretto di Messina.
Sono opere necessarie ed indispensabili che possono armonizzare e rendere effettivamente fruibile lo stato infrastrutturale del meridione d'Italia, possono rilanciare la domanda, possono creare più occupazione evitando, nello stesso tempo, impatti ambientali straordinari. Possono, inoltre,Pag. 18creare quell'indotto di crescita necessario ed indispensabile per porre al centro dell'azione del nostro paese quella parte dell'Italia senza la quale non possiamo crescere.
PRESIDENTE. Onorevole Raiti...
SALVATORE RAITI. Dobbiamo tenerlo in considerazione, e lo teniamo fortemente in considerazione insieme al Governo - e concludo, Presidente - in relazione a quanto accadrà nel 2010 quando, in ossequio al Trattato di Barcellona, partirà l'area del libero scambio del Mediterraneo. Non possiamo pensare di non considerare il meridione e l'Italia tutta come una piattaforma logistica del Mediterraneo: su questo bisogna investire per rendere protagonista il nostro paese nel futuro millennio.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO. Signor Presidente, alcuni dei colleghi che mi hanno preceduto hanno già avuto modo di toccare diverse tematiche relative al silenzio programmatico del Documento presentato dal Governo. Quindi, mi concentrerò su un solo tema, quello delle privatizzazioni, che ritengo emblematico.
Da un ministro tecnico, al quale riconosciamo squisita cortesia, che ha trascorso i passati mesi parlando di una nuova dottrina delle privatizzazioni ci aspettavamo che fosse in grado di esplicitarla. Da un ministro tecnico, che ha detto di condividere un approccio colbertiano alle privatizzazioni, ci aspettavamo che ci sapesse indicare come e se avrebbe ottemperato e come avrebbe contemperato le esigenze sociali al dictum del Trattato di Roma in tema di privatizzazioni sorrette ed assistite da golden share. Ci aspettavamo che ci dicesse come intende reagire al deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia da parte della Commissione europea su questo tema. Ci aspettavamo che ci dicesse se sta studiando misure alternative per superare il test di legittimità comunitario, magari applicando la riforma Vietti voluta dal Governo Berlusconi, pensando a nomine di rappresentanti dello Stato negli organi di amministrazione e controllo delle società privatizzate. Soprattutto, ci aspettavamo che ci dicesse se intende incidere in modo concreto e rilevante sul rapporto debito/PIL mediante la cessione di immobili dello Stato.
In realtà, ciò che troviamo nelle sei righe dedicate dal DPEF alle privatizzazioni sono solo due enunciazioni di un clamoroso falso e di una clamorosa dichiarazione di impotenza. Nel clamoroso falso si dice che il precedente Governo ha avuto un'incapacità di programmazione e di pianificazione, quando questa stessa maggioranza accusò il ministro Tremonti, stravolgendo la realtà, di voler vendere troppi immobili dello Stato. La clamorosa dichiarazione di impotenza è quella di un ministro che si rivela ostaggio delle roventi discussioni in seno alla sua maggioranza e che non è, di fatto, in grado di decidere.
Riteniamo che un Governo serio possa decidere di privatizzare o di non privatizzare, possa decidere di essere Colbert o la Thatcher, ma non possa decidere di non decidere (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
MARIO BARBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in campagna elettorale noi dell'Ulivo e dell'Unione ci siamo impegnati a riportare serietà al Governo e questo DPEF è, a nostro avviso, una prova di serietà anche per i trasporti e le infrastrutture.
Nel dibattito in IX Commissione i colleghi dell'opposizione, a differenza, per la verità, dell'onorevole Pedrizzi poc'anzi, hanno imputato alla maggioranza ed al Governo mancanza di visione ed incapacità di sognare. In effetti, abbiamo dovuto aprire gli occhi e svegliarci più che dai sogni dai miraggi della legge obiettivo, passata da un elenco iniziale di quattro priorità ad una lista infinita di 238 opere, la cui realizzazione risulta finanziata per appena un terzo.Pag. 19
La destra ci ha lasciato le casse vuote ed il Governo, per riportare la spesa in conto capitale nell'anno corrente ad un livello appropriato, vale a dire da meno del 3,8 per cento (dati della trimestrale di cassa) a più del 4,2 per cento del PIL e, quindi, per non tagliare servizi e chiudere cantieri, ha dovuto provvedere con un intervento straordinario che ha, tra l'altro, assegnato 1,8 miliardi alle Ferrovie dello Stato e un miliardo all'ANAS.
Niente miraggi, dunque, ma progetti nel senso indicato dal programma dell'Unione, che individua nella debolezza delle infrastrutture e della logistica, nonché nella saturazione e congestione delle reti di trasporto, pesantemente sbilanciate sul trasporto su gomma, uno dei grandi assi per la modernizzazione ed il rilancio del paese e della sua capacità competitiva.
Sui trasporti il DPEF evidenzia la priorità dell'intervento su nodi e segmenti infrastrutturali che rivestono un'importanza strategica per il paese e sulla necessità di collegare le infrastrutture e le reti interne ed europee, garantendo i collegamenti orizzontali e verticali tra le diverse aree dell'Italia. Nella stessa ottica di modernizzazione, il DPEF precisa che un elemento indispensabile è costituito dalla diffusione e dall'accesso, a livello di massa, alle tecnologie digitali e, quindi, dalle connessioni in banda larga e dal contrasto del digital divide.
Il Documento programmatico chiarisce che il Governo affronta il tema della realizzazione delle grandi opere, considerando le risorse stanziate ed il grado di avanzamento delle opere stesse, e segnala che particolare attenzione sarà riservata al sistema infrastrutturale di Roma capitale.
Vi sono poi correzioni da fare: sia il ricorso alla via ordinaria per la valutazione dell'impatto ambientale della TAV in Val di Susa, sia gli interventi sulla missione e la funzione del concessionario autostradale ANAS, che non può continuare ad esercitare il ruolo di realizzatore e vigilante.
Anche quest'anno è stato presentato l'allegato infrastrutture, che indica la linea di azione per lo sviluppo delle capacità trasportistiche e logistiche dell'armatura infrastrutturale del territorio nazionale, linea di azione che passa attraverso il potenziamento e la messa a sistema delle grandi direttrici strategiche e dei relativi nodi di rango internazionale, di fatto identificabili nei corridoi terrestri transeuropei, nelle autostrade del mare, negli hub aeroportuali di Fiumicino e Malpensa, nonché negli assi e corridoi di rilevanza nazionale transfrontaliera, con particolare attenzione ai corridoi tirrenico ed adriatico.
L'allegato si sofferma, quindi, sulla situazione attuale delle infrastrutture connesse alle diverse modalità di trasporto stradale, ferroviario, aeroportuale, portuale ed urbano, evidenziando diverse ipotesi operative di interventi strategici per le seguenti tipologie: hub portuali, interportuali e aeroportuali, snodi ferroviari e sistemi urbani.
L'ammontare complessivo delle risorse necessarie al completamento delle opere individuate è pari a 3,4 miliardi di euro. Tutte le ipotesi operative in tal modo individuate dovranno essere oggetto di consultazione con le parti sociali e con le autonomie locali.
In conclusione, non possiamo non aggiungere che, nel quadro dato, appare indispensabile provvedere ad un forte aumento della quota di risorse destinate ad investimenti nelle regioni meridionali ed insulari, che risultano decisamente svantaggiate dall'attuale distribuzione degli investimenti. Ci pare utile, inoltre, anche un richiamo a sbloccare il sistema portuale italiano, a superare gli attuali commissariamenti di talune autorità, nonché a procedere alla soluzione della questione dell'affidamento delle concessioni delle gestioni aeroportuali.
Il DPEF in esame è attento, quindi, alle questioni del sistema dei trasporti italiani, che saranno al centro dell'azione di Governo proprio perché dobbiamo cambiare rotta rispetto alle insoddisfacenti politiche del passato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taglialatela. Ne ha facoltà.
Pag. 20MARCELLO TAGLIALATELA. Signor Presidente, colleghi, il mio intervento si concentra sulle regioni del sud che, con riferimento al Documento di programmazione economico-finanziaria, sembrano non dico dimenticate, ma accantonate.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11)
MARCELLO TAGLIALATELA. Appare strano che, all'interno di una manovra ambiziosa di 35 miliardi di euro, le parole espresse dal Governo in favore del necessario sviluppo economico e occupazionale delle regioni meridionali siano davvero scarne. Soprattutto, appare strano come all'interno del Documento uno dei temi complessivamente ben accolti da tutto lo schieramento politico, sia di centrodestra sia di centrosinistra, quello della fiscalità di vantaggio, sia cancellato. Nel contesto di una manovra che cancella il tema della fiscalità di vantaggio, che può rappresentare una delle possibili soluzioni per determinare il riscatto economico dei territori delle regioni meridionali, si accompagna anche una decisione di contenimento della spesa pubblica che è certamente necessaria, laddove siamo in presenza di sprechi; tuttavia, nel momento in cui colpisce in modo particolare la spesa sanitaria, il trasferimento agli enti locali e, in prospettiva, la spesa previdenziale, è evidente che colpisce in maniera diretta e molto più articolata soprattutto il sistema economico delle regioni meridionali.
In sintesi, se contemporaneamente alla diminuzione della spesa pubblica, per effetto delle riduzioni dei trasferimenti dello Stato nazionale alle regioni per quanto riguarda il fondo sanitario, e al contenimento della spesa sanitaria si accompagnasse anche un contenimento dei trasferimenti agli enti locali e, in prospettiva, della spesa per il sistema previdenziale, e se a questa manovra non si accompagnasse una decisione che, poi, deve trovare una sua concretezza nell'utilizzare strumenti che determinino una maggiore attenzione alle regioni meridionali ed una maggiore competitività degli imprenditori all'interno delle stesse, si rischierebbe di aggiungere ad una condizione di difficoltà una situazione di vero e proprio pericolo.
Eppure esistono strumenti già immediatamente utilizzabili e dei quali non si fa cenno all'interno del Documento, mentre la grande discussione sulla fiscalità di vantaggio - discussione che, ovviamente, deve essere portata soprattutto all'attenzione della Comunità europea - ovviamente prenderà i suoi i tempi, ma prima si comincia e meglio è. Mi riferisco agli sgravi IRAP per i neoassunti, che sono stati approvati dalla Comunità europea - era una delle manovre principali del precedente Governo -, e che, se fossero inseriti all'interno della prossima legge finanziaria, potrebbero determinare un effetto estremamente positivo. Innanzitutto, il mancato ricorso ai contributi in conto capitale o ai contributi a fondo perduto nei confronti delle aziende, sostituiti viceversa con sgravi fiscali soprattutto in presenza di nuove assunzioni, è uno dei meccanismi che viene auspicato anche dai rappresentanti datoriali. Non è vero che all'interno del Mezzogiorno le associazioni datoriali chiedono in maniera semplicistica e semplicemente il recupero di vecchi strumenti di contributi a fondo perduto e a pioggia, che nel tempo non hanno determinato - e i fatti lo dimostrano - gli effetti positivi che ci si aspettava. Inoltre, non tutti i rappresentanti delle associazioni di categoria chiedono il ripristino di meccanismi automatici per quanto riguarda gli sgravi fiscali, mentre ci sono strumenti, quelli legati in modo particolare ad uno sgravio IRAP in ragione della presenza di neoassunzioni, che certamente rappresentano un'occasione felice.
Ebbene, all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria di ciò non si fa cenno. Durante le audizioni con il ministro Padoa Schioppa, nonostante ci siano state domande specifiche in tal senso, non si è arrivati ad una risposta soddisfacente. La sensazione è che all'interno di questo Documento vi sia semplicemente la volontà e la semplicistica dichiarazione di principio del contenimentoPag. 21della spesa pubblica, ma non vi sia ancora una chiara idea di come poter intervenire in maniera strutturale per determinare condizioni positive. Ci sono stati certamente spunti felici all'interno delle discussioni nella Commissione bilancio e, tra questi, vi è stata anche la proposta, anticipata dalla Conferenza delle regioni e fatta propria dall'ufficio di presidenza della Commissione bilancio, di istituire una commissione per il monitoraggio della spesa pubblica, che sarebbe uno strumento molto più efficace rispetto ad un generico provvedimento di tagli alle spese.
Tra l'altro, faccio notare che, nei cinque anni precedenti, da parte del centrosinistra e quindi da parte degli attuali esponenti del Governo c'è sempre stata l'accusa nei confronti del Governo Berlusconi di una povertà di risorse per la spesa sociale e per gli enti locali, mentre nel DPEF si legge esattamente il contrario: la spesa sanitaria è andata troppo oltre rispetto all'incidenza sul PIL e la spesa per il funzionamento degli enti locali (e complessivamente il trasferimento di risorse agli enti locali) non ha trovato una corrispondente efficacia nella qualità dei servizi. Si dicono quindi cose che all'interno di quest'aula non possono restare dimenticate.
Si tratta di approfondire le varie questioni e soprattutto di individuare gli strumenti economici e finanziari che consentano, all'interno della prossima manovra finanziaria, quella dei 35 miliardi di euro, non solo di contenere le spese e di combattere l'evasione fiscale, ma anche di ottenere un risultato positivo per il sud. Quest'analisi sostanzialmente manca, così come manca l'approfondimento dei temi della fiscalità differenziata e di vantaggio. Nel documento che l'opposizione di centrodestra sta elaborando, queste questioni verranno ovviamente ulteriormente approfondite. Resta la nostra valutazione negativa rispetto all'attuale stesura del Documento di programmazione economico-finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Leddi Maiola. Ne ha facoltà.
MARIA LEDDI MAIOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina è stata sollevata in ordine al DPEF, del quale stiamo discutendo, una questione di forma, che già era stata sollevata più volte anche nel corso degli interventi che ci sono stati in Commissione Bilancio durante le varie audizioni. Il DPEF serve o non serve? Credo che, trattandosi di uno strumento portante della nostra attività, sia una questione che merita comunque una risposta. Per parte mia, ritengo di poter dire che il DPEF, che pure ha diciotto anni di vita, è comunque uno strumento utile. Ritengo utile anzitutto il fatto che esso sia uno strumento che ci consente di arrivare alla predisposizione della finanziaria avendo sentito il polso della società. Questo non è irrilevante, considerato che tutte le azioni che abbiamo svolto in questo periodo, in termini di audizioni con soggetti esterni, credo siano state estremamente utili per posizionare la nostra azione in relazione alla finanziaria, che sarà poi lo strumento operativo con cui determineremo l'economia del paese nel prossimo anno. Quindi la mia risposta su questo tema è sicuramente di ordine positivo, anche perché credo che uscire dall'aria a volte un po' rarefatta dei nostri palazzi per sentire il polso che batte all'esterno sia cosa estremamente utile.
Un altro rilievo emerso più volte nel corso del dibattito in Commissione Bilancio, in occasione delle varie audizioni, è stato, invece, proprio un rilievo di sostanza. Alcuni colleghi autorevoli dell'opposizione hanno infatti chiesto, in relazione al DPEF, perché non si sia osato di più. Io credo che osare sia di per sé sempre un valore. Osare è il principio per mettere in moto le cose. Osare troppo è però un disvalore. Credo che l'azione che il Governo ha svolto, in particolare il ministro Padoa Schioppa, con la predisposizione del DPEF, sia stato un giusto equilibrio tra l'analisi della situazione e la capacità di osare ciò che appare sostenibile. La procedura che è stata utilizzataPag. 22per identificare che cosa si potesse osare è quella che tradizionalmente si usa nelle aziende.
È stato introdotto al riguardo il termine due diligence, un termine molto aziendalistico che ora è entrato a far parte del nostro linguaggio. Con esso si indica un'operazione che normalmente si fa quando si vuol capire a fondo lo stato di un'azienda. L'azienda-paese, a seguito della due diligence, ha avuto una fotografia della realtà. I numeri sono freddi e asettici, ma indispensabili. L'attività che il Governo ha svolto e che trovo particolarmente lodevole e significativa è stata quella di leggere dietro ai numeri. Le percentuali e i numeri dicono molto, ma non a sufficienza per capire quali sono le politiche che si devono impostare. La due diligence è servita a capire quali disfunzioni avessero determinato questi numeri e, conseguentemente, quali fossero le azioni da porre in essere per rimediare ad uno stato di fatto dei conti del paese che è unanimemente riconosciuto dalla maggioranza e dalla minoranza come di estrema criticità e che richiede interventi rapidi.
Trovo che l'impostazione che il Governo ha dato nel DPEF sulla terapia, una volta fatta la diagnosi, per rientrare dalla situazione grave in cui versano i nostri conti, sia in sè una vera sfida: rilancio, equità e risanamento sono contestualmente le azioni che nel DPEF il Governo ha indicato di voler intraprendere nelle modalità, nei modi e nei termini per affrontare la vera sfida indispensabile - e concludo Presidente - se s'intende restituire il futuro al paese.
Credo che - le chiedo solo pochi secondi per finire, signor Presidente - il rilancio sia la sfida intorno a cui costruire un'idea di paese che si deve strutturare per restare tra i grandi e quindi vincere la grande sfida nella capacità di fare scelte sulle infrastrutture e sull'efficienza. Quest'ultima è ciò che serve per dare alle nostre aziende che competono nel mondo ciò che gli altri hanno, vale a dire un paese che consenta loro di fare scelte rapide ed avere la capacità di muoversi adeguatamente. L'equità è un punto indispensabile, come molti colleghi hanno sottolineato; la credibilità del nostro paese passa anche per l'equità fiscale e quest'ultima significa anche combattere l'evasione fiscale o altrimenti lo Stato sarà lo sceriffo di Nottingham e non Robin Hood.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zorzato. Ne ha facoltà.
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il Documento di programmazione economico-finanziaria, al di là delle considerazioni fatte in Commissione sulla sua utilità o meno, sia da ritenere un documento certamente utile perché ci consente di cominciare un confronto tra opposizione e maggioranza sulle rispettive linee di politica economica e sociale. Soprattutto, mai come in questo momento, credo esso sia utile per verificare e quindi confrontare in Parlamento le contraddizioni in seno alla stessa maggioranza che già sono emerse con molta forza sia durante le audizioni sia - soprattutto - durante il dibattito in Commissione.
Sono forse preliminari lo scontro e il confronto all'interno della maggioranza, ma lo stesso Documento di programmazione economico-finanziaria risulta generico e lacunoso nelle proposte, ma soprattutto nelle quantificazioni di risparmio e di contenimento nei vari comparti di spesa, e ciò sarà, ovviamente, oggetto di polemica all'interno della stessa maggioranza prima dell'elaborazione della legge finanziaria. Ecco allora che è facile convenire sui titoli: crescita, risanamento, equità. Come si fa a non essere d'accordo con questi termini? D'altra parte è anche facile dire che è normale che i settori da contenere in termini di spesa sono quello sanitario, del sociale, delle pensioni, della pubblica amministrazione e degli enti locali, i quali comportano l'80 per cento della spesa pubblica. Dunque, come facciamo a non essere d'accordo su queste linee di principio? È troppo indefinita e volutamente omertosa la quantificazione delle tipologie di risparmio. Certamente, nelle audizioni abbiamo ascoltato con attenzionePag. 23il ministro, che ha anche ammesso la bontà dell'ultima legge finanziaria, di Tremonti; almeno in questo, un po' di onestà intellettuale gli va riconosciuta. Certo è che l'aver gridato «al lupo, al lupo» durante la campagna elettorale sui conti pubblici, per poi passare, dopo quel momento, ad un primo provvedimento che rappresenta un contenimento dei costi pubblici dello 0,1 per cento del PIL nel 2006, ci fa pensare che, forse, la finanza pubblica che abbiamo lasciato non era poi così devastante come è stata descritta.
Ancora, a riconoscimento della sua onestà intellettuale, voglio ricordare che il ministro è consapevole - lo scrive, peraltro, nel Documento di programmazione economico-finanziaria - che, durante il periodo del Governo Berlusconi, la spesa sociale è passata dal 22 al 23,7 per cento del PIL - quindi, è aumentata - e che la spesa sanitaria, nello stesso periodo, è anch'essa aumentata, dal 5,8 al 6,7 per cento del PIL. Dichiara, poi, il ministro, che le regioni che non sono state virtuose - quasi tutte governate dal centrosinistra - devono prendere a modello quelle virtuose (ed ha citato Veneto e Lombardia) per il rientro dei debiti finanziari; ebbene, ciò ci fa onore: dove governiamo, governiamo bene!
Sempre lo stesso ministro scrive - il Documento l'ha fatto lui - che la spesa italiana per l'istruzione, l'università e la ricerca è in media con quella europea; per anni, invece, ci avete criticato sostenendo che spendevamo poco. Non solo, scrive che il rapporto docenti-alunni in Italia è il più alto in Europa e che la qualità dell'alunno che esce dalla nostra scuola è tra le peggiori d'Europa. Voi, però, accantonando la riforma Moratti, volete mantenere ancora per anni questo stato di cose, un sistema costoso e inefficiente.
PRESIDENTE. Onorevole...
MARINO ZORZATO. Avendo esaurito il tempo a mia disposizione, Presidente, proseguirò il mio intervento rapidamente in modo da concludere subito.
Analoghe considerazioni possono essere riferite alla ricerca, tema delicatissimo, per il quale voi sostenete, in questo Documento, che la spesa è in media con quella europea; ma aggiungete che manterrete in ogni caso un limite di spesa, ovvero non aumenterete l'investimento nella ricerca. Ritengo si tratti di un dato abbastanza preoccupante.
Orbene, Presidente, il Documento è poco coraggioso, manca di fiducia soprattutto negli italiani, propone tagli in settori delicati, non dà prospettive; aspettiamo con interesse la predisposizione della legge finanziaria, quando le vostre contraddizioni e le vostre liti interne - come hanno detto i colleghi già intervenuti - esploderanno. Voi, infatti, non potete stare assieme, soprattutto in materia di finanza, di una finanza che guardi al futuro. Certo, ci proponete una finanza...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, concludo chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zorzato, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta. Ne ha facoltà.
SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghi deputati, in questo mio brevissimo intervento sul Documento di programmazione economico-finanziaria cercherò di trattare, portandoli a sintesi, due temi in questo momento di per sé fortemente connessi, che segnano anche la cifra del mio impegno civile e politico e che saranno la guida per me in questa legislatura: il Mezzogiorno e le infrastrutture.
Dopo alcuni anni nei quali, grazie all'azione dei Governi di centrosinistra, tra il 1996 e il 2001, le regioni del Mezzogiorno tendevano ad un riallineamento in termini di sviluppo rispetto alla restante parte del paese - come dimenticare, adPag. 24esempio, la finanziaria, D'Alema dal titolo: per il Mezzogiorno del Governo? - gli effetti del Governo di centrodestra sono sotto gli occhi di tutti: il divario è aumentato nuovamente; il delta si è di nuovo divaricato.
I dati Svimez lo segnalano in moto netto e obiettivo: il Mezzogiorno, nel momento in cui, nel 2005, il prodotto interno lordo del paese è rimasto fermo, ha avuto un decremento dello 0,3 per cento; la spesa per investimenti è diminuita del 2,8 per cento; la spesa per consumi delle famiglie, dello 0,3 per cento. L'occupazione, tra il 2002 ed il 2005, segnala un calo di 69 mila unità, a fronte del nord del paese, in cui vi è una crescita di 618 mila unità, certo, dovuta in parte ai lavoratori venuti dall'estero ma molto anche ai lavoratori che partono nuovamente dal sud per trovare lavoro al nord: si pone un problema di nuovo flusso migratorio.
La Svimez ha anche segnalato che, dal punto di vista complessivo degli investimenti pubblici, l'incidenza sul totale italiano è scesa dal 41,2 per cento del 2001 al 36,8 per cento nel 2004. La Svimez denuncia, inoltre, il mancato rispetto della riserva del 30 per cento da parte di amministrazioni dello Stato - Ferrovie dello Stato ed ANAS, per fare degli esempi - nei confronti del sud.
In tale quadro, già di per sé negativo, si iscrive il ragionamento del deficit infrastrutturale. Un recente studio dell'istituto Tagliacarne ha dimostrato che, considerando 100 la dotazione infrastrutturale delle singole regioni, anzi delle singole province, e differenziando le province in cinque classi, praticamente tutto il Mezzogiorno si trova nell'ultima classe, contrassegnata da un dato percentuale tra il 24 e il 62 per cento. Il colore cromaticamente utilizzato per descrivere queste zone è il rosso (non è una notazione politica: è, invece, il dato assolutamente negativo di deficit infrastrutturale). L'allegato infrastrutture al DPEF - e qui è il punto - che ci ha presentato il ministro Di Pietro fa di più: esso dice che, con riferimento ai frutti della legge obiettivo in termini di investimenti reali, non in termini di progetti o di idee, i fondi investiti ad oggi nelle regioni del nord sono il 73 per cento e solo il 10 per cento nel Mezzogiorno. In pratica, anziché un riallineamento ed un riequilibrio, vi è una redistribuzione al contrario: si è dato di più a chi aveva di più.
Questo avviene in un momento in cui il Mezzogiorno avrebbe grandi potenzialità, considerata la nuova fisionomia dell'Unione europea. Davanti alla Comunità economica europea, il Mezzogiorno d'Italia rappresentava una parte confinante e laterale rispetto alla restante parte dei paesi, mentre oggi, con l'allargamento ai paesi dell'est, l'Italia e il Mezzogiorno d'Italia hanno una posizione centrale. Ancor di più questo è vero per i nuovi flussi mercantili, che ormai interessano la direttrice Asia-Stati Uniti e attraversano e interessano integralmente il Mezzogiorno, e per il ruolo doloroso, come vediamo in questi giorni, ma sempre più influente, che il Mediterraneo ha nei nuovi schemi.
PRESIDENTE. La prego di concludere...
SALVATORE MARGIOTTA. Concludo, signor Presidente.
Se tutto questo è vero, bisogna però segnare un'inversione di tendenza. Da questo punto di vista, riteniamo che il DPEF rappresenti solo un primo passo in questa direzione, non ancora totalmente sufficiente. L'Ulivo deve riconsiderare centrale la questione meridionale. Io e tanti altri saremo vigili sulle scelte del Governo, ma anche protagonisti nelle sedi dove si determineranno le scelte.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, nel pur breve tempo a mia disposizione, vorrei affrontare una parte importante di questo, come di tutti i DPEF predisposti da quattro anni a questa parte, cioè l'allegato infrastrutture. Parto da una premessa, che è poi un giudizio complessivo se si parla di infrastrutture, di privatizzazioniPag. 25e di rilancio del paese. Peraltro, si tratta di un giudizio comune, espresso anche da altri colleghi (mi riferisco alla collega Ravetto e al collega Zorzato).
Questo DPEF è accomunato - poi cercherò di dimostrarlo, seppur brevemente, nella lettura dell'allegato infrastrutture - da un minimo comune denominatore: la povertà strategica, la povertà politica, la povertà economica, l'idea di una mancata assunzione di responsabilità. Anzi, in particolare, nell'allegato alle infrastrutture si decide di non decidere, si decide di rinviare, con la scusa del confronto con le regioni, decisioni indispensabili per questo paese: quali priorità darsi, in che direzione procedere, come prendere e attivare le risorse.
Vediamo nel dettaglio la declinazione di questo nostro giudizio. In primo luogo, nell'allegato infrastrutture del DPEF, si dice che il precedente Governo avrebbe avuto una povertà di visione strategica e avrebbe realizzato opere a pioggia. Ebbene, un dato che tutti denunciavano e che tutti conoscevano prima del 2001 era che, dal 1990 al 2000, gli investimenti in infrastrutture in Italia erano stati inferiori di 205 miliardi di euro rispetto alla media europea, con la conseguenza di dover far fronte ad un deficit infrastrutturale.
Un dato che tutti riconoscono, che anche questo DPEF riconosce, è che il precedente Governo ha posto fine alle chiacchiere sulle infrastrutture e ha presentato finalmente al paese, attraverso la legge obiettivo - che anche questo DPEF definisce innovativa -, un piano decennale per coprire questo deficit infrastrutturale. Tale piano ha in sé un programma strategico e non è, quindi, un intervento a pioggia. Domando ai colleghi del Governo e al ministro di Pietro: è un intervento a pioggia dire che c'è bisogno della Bre-Be-Mi, della Salerno-Reggio Calabria, del Corridoio 5, del Corridoio 1? Si tratta di interventi a pioggia o non, piuttosto, di verificare le esigenze effettive di questo paese?
È necessario, quindi, smetterla di chiacchierare e dotare finalmente il paese delle grandi infrastrutture di cui necessita. Per far ciò, chi ha la responsabilità di Governo deve fare una cosa: deve assumersi la responsabilità di dire quello che manca - e manca tanto - e, soprattutto, di vincere questa sfida.
Il ministro Di Pietro forse non sa che quando si predispone un programma decennale, oltre ad individuare le infrastrutture strategiche mancanti, si definisce anche, per quell'arco di tempo, la relativa copertura finanziaria. Quando, nel 2001, dicemmo che occorrevano 125,8 miliardi di euro per realizzare il programma decennale, oggi aggiornati a 175,5 miliardi di euro, volevamo dire che quella era la cifra che in dieci anni occorreva reperire.
Nella passata legislatura, come Governo, quanto abbiamo investito? Lo si evince anche dal DPEF: 58,4 miliardi di euro, che hanno rappresentato il volano necessario e indispensabile per far partire quel programma. Rimangono da reperire nei prossimi cinque anni altri 120 miliardi di euro. Quei 58,4 miliardi di euro sono stati trovati in tre anni e sono, quindi, disponibilità finanziarie. Il Governo deve, dunque, dirci se ritiene indispensabile realizzare il piano strategico di dotazione delle infrastrutture e come intende individuare le risorse necessarie, oppure se ritiene opportuno porre in essere la politica del piccolo cabotaggio, del piccolo pensiero, la guerra tra poveri. È più importante la Salerno-Reggio Calabria o la Bre-Be-Mi? In questo paese é importante la Salerno-Reggio Calabria così come la Bre-Be-Mi.
Un'ultima osservazione, anche perché è giunto ormai il momento di dire basta alle falsità. Colleghi, leggete questo e i precedenti DPEF. Il primo capitolo del DPEF dello scorso anno, presentato dal Governo Berlusconi, recava come titolo: «Il rilancio e lo sviluppo del Mezzogiorno». Nei cinque anni del Governo di sinistra, che ha avuto tanti Presidenti del Consiglio dei ministri, gli investimenti in infrastrutture per il Mezzogiorno sono stati pari al 7 per cento. I dati relativi agli investimenti in infrastrutture degli ultimi tre anni, contenuti anche in questo DPEF - e proprioPag. 26per questo motivo invito il ministro Di Pietro a rileggerseli - sono i seguenti: il 22 per cento di quelle risorse è stato destinato ai cantieri per il sud; sommando gli investimenti dell'ANAS, si giunge ad una percentuale pari al 31 per cento. Questo è un dato: 31 per cento, contro il 7 per cento!
PRESIDENTE. Onorevole Lupi, concluda.
MAURIZIO ENZO LUPI. Concludo, Presidente.
Non sono sufficienti? Certo che non sono sufficienti! Ma vi è stata una svolta? Certo, che vi è stata una svolta! Ciò detto, il paese ha bisogno di capire se il Governo vuole lanciare la sfida - altro che politica degli interventi a pioggia! - ed assumersi la responsabilità di decidere per lo sviluppo del paese, oppure se vuole morire ed annegare nel mare delle divisioni al suo interno, nascondendo la testa dietro una falsa unità di Governo, così non affrontando mai i problemi. Il paese ha bisogno della realizzazione delle infrastrutture.
Noi, con il precedente Governo, abbiamo dato a questo riguardo un grande contributo. Quindi, vi sfidiamo su questo terreno. Sulla sfida della realizzazione delle infrastrutture siamo disposti a confrontarci; sul terreno della demagogia, della non responsabilità, della non decisione, ovviamente non saremo d'accordo. In questo momento, fra l'altro, abbiamo un ministro, Di Pietro, che si è autosospeso e, conseguentemente, non sappiamo con chi parlare. La Lombardia, così come la Sicilia e la Calabria, aspetterà la fine dell'autosospensione del ministro di Pietro per capire se si realizzeranno o meno le infrastrutture necessarie al paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cordoni. Ne ha facoltà.
ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente, nel valutare il DPEF presentato dal Governo, ritengo sia importante porre in rilievo alcune questioni.
In primo luogo, la volontà che il centrosinistra vuole mettere in campo opera su tre fronti: lo abbiamo detto durante la campagna elettorale, lo diciamo nel programma dell'Unione e lo ribadiamo con questo Documento di programmazione economico-finanziaria.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,30)
ELENA EMMA CORDONI. In particolare, la politica economica che vogliamo mettere in atto deve saper operare su tre campi: sviluppo, risanamento ed equità.
Tale esigenza nasce dal fatto che la crescita è indispensabile a generare le risorse necessarie ad un aumento del benessere ed anche al risanamento dei conti pubblici, così come l'equilibrio di bilancio lo è per liberare finalmente i cittadini e le imprese dal timore di possibili, ulteriori nuovi interventi. L'equità esige, infine, che si ponga termine ai diffusi fenomeni di evasione e di elusione fiscale che il Governo Berlusconi, con le sue politiche di condono, ha alimentato in questi anni.
I provvedimenti assunti finora, e quelli che verranno ad esserlo a partire anche dalla legge finanziaria, terranno - ne sono sicura - sempre questa impostazione, poiché nel nostro dibattito è chiaro che non vogliamo mettere in campo, di fronte alla difficile fase che il paese attraversa, una politica dei due tempi.
Sviluppo, risanamento e redistribuzione saranno i riferimenti della politica economica: è quanto abbiamo promesso agli italiani nella campagna elettorale ed è quanto sosteniamo nel Documento di programmazione economico-finanziaria. È vero che i dati relativi al nostro paese non sono dei migliori, perché la ripresa che il mondo sta attraversando pare solo lambire il quadro italiano, e che, senza una vera politica economica, sarebbe impossibile credere che una realtà produttiva così disarticolata e frammentata come quella italiana possa veramente sfruttare le spinte provenienti dai grandi mercati internazionali. Si deve puntare alla crescitaPag. 27economica - lo ripeto - se si vuole rispondere anche alle pressioni del mercato finanziario e internazionale.
Non soltanto tutto quello che è successo espone il nostro paese a tali rischi, ma la bassa crescita, le distorsioni del sistema fiscale, la scarsa efficacia della politica di bilancio ai fini redistributivi, le diffuse arretratezze dell'apparato amministrativo pubblico continuano a peggiorare le condizioni degli italiani, aumentando la disuguaglianza.
Ribadisco che sviluppo, risanamento e redistribuzione saranno i temi che guideranno i comportamenti e le scelte della politica economica del Governo di centrosinistra.
Una politica economica può creare condizioni favorevoli alla crescita; certo, non è sufficiente. Adesso, spetta all'azione delle imprese, delle parti sociali, dei cittadini cogliere le opportunità che possono arrivare dall'apertura di mercati più aperti e concorrenziali, da regole più efficaci e certe, da una fiscalità giusta e da un'offerta più completa dei beni pubblici.
È questa la strada che vogliamo intraprendere per recuperare quel divario che oggi separa l'Italia dall'Europa. L'Italia, infatti, rispetto all'Europa e agli altri paesi industrializzati, ha accumulato in questo decennio un significativo ritardo di crescita ed a questo ha contribuito anche l'andamento del mercato del lavoro. Il tasso di occupazione italiano è più basso rispetto a quello dell'Europa; quello di occupazione femminile è relativamente ancora più basso e ciò che viene previsto nel DPEF, se così rimarrà lo sviluppo e non vi saranno elementi di modificazione, sicuramente porterà ad un lieve miglioramento del tasso di occupazione, non tale da permetterci di raggiungere gli obiettivi che ci eravamo dati a Lisbona.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria si sottolinea la necessità di aumentare in maniera congiunta sia la produttività del lavoro che il tasso di occupazione. Valutiamo positivamente il fatto che si sia posto al 2 per cento il tasso di inflazione programmata, così come l'esigenza di definire un piano straordinario per le pari opportunità ed anche per la politica giovanile.
Concludendo, mi preme rilevare, come è risultato molto chiaro dal parere espresso dalla Commissione lavoro, che il tema della restituzione del fiscal drag ai lavoratori e ai pensionati è un capitolo importante di questa politica economica, così come l'obiettivo della costruzione di un percorso di stabilizzazione del lavoro privato e pubblico.
PRESIDENTE. Onorevole Cordoni, la ringrazio...
ELENA EMMA CORDONI. Ritengo che nella legge finanziaria ci troveremo nelle condizioni di ritrovare anche politiche di protezione sociale a favore dei lavoratori precari.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, non intendo soffermarmi sulla validità dello strumento che stiamo discutendo, né, tantomeno, sulle contraddizioni presenti nello stesso Documento di programmazione economico-finanziaria, poiché un problema analogo si era evidenziato anche durante l'attività svolta dal Governo di centrodestra.
Vorrei preliminarmente formulare due considerazioni. Il Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame si esprime in termini «prudenti» riguardo alle prospettive di crescita economica. Ciò ci fa piacere, poiché, come avevamo già evidenziato riguardo ad altri strumenti del genere, esisteva il rischio che lo sviluppo economico fosse presupposto, anziché essere un obiettivo da conseguire.
Ipotizzando una crescita «prudente», tuttavia, si giunge ad affermare che il sistema-Italia presenta problemi strutturali che devono essere risolti. Proprio perché esistono tali problemi, credo che porre sullo stesso piano il risanamento dei conti pubblici, lo sviluppo e l'equità sia una scelta incomprensibile dal punto diPag. 28vista politico. È facile prevedere, infatti, che lo sviluppo economico possa sia condurre al risanamento finanziario, sia garantire una maggiore equità sociale.
È questo il punto sul quale il Governo non ha voluto sforzarsi di ragionare e comprendere la situazione esistente, al fine di compiere scelte radicali. Il vero problema di questo paese, infatti, è proprio lo sviluppo economico. Vorrei osservare che tale problema non risale a due, tre o cinque anni fa, ma si trascina ormai da un quindicennio.
Ritengo che lo sviluppo rappresenti la questione centrale per la trasformazione del nostro sistema economico. Sappiamo perfettamente, inoltre, che i gravi problemi che rappresentano un peso per i processi di sviluppo sono la scarsa produttività, i costi dell'approvvigionamento energetico (il nostro sistema industriale, infatti, non può sopportare che il prezzo di un barile di petrolio superi i 50 dollari) e lo stato della finanza pubblica.
Per quanto concerne la produttività dei fattori, vorrei osservare che, quando il Governo parla di sviluppo e lo lega alla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, mi domando se lo stesso cuneo fiscale possa essere collegato alla produttività. Ho la sensazione che la ventilata riduzione del cuneo fiscale sia una sorta di «promozione pubblicitaria»; forse, per alcuni versi, è un problema che attanaglia il centrosinistra in questo momento.
Si tratta, infatti, più che di un elemento finalizzato alla promozione dello sviluppo, di uno strumento che viene in qualche modo sacrificato alla realizzazione di un programma. Vorrei altresì comprendere - e, in questo caso, sarebbe opportuno che il Governo lo chiarisse una volta per tutte - se la riduzione del cuneo fiscale sarà generalizzata od avverrà in maniera selettiva.
In questo paese, infatti, esiste un problema rilevante. Il settore manifatturiero costituisce una parte considerevole del prodotto interno lordo, tuttavia sappiamo che una parte di tale comparto ha difficoltà a rimanere competitivo sul mercato. Aiutare anche alcune imprese di tale comparto ha dunque un significato strategico, oppure significa operare un intervento a pioggia con finalità esclusivamente clientelari? In sostanza, il Governo ha l'intenzione di fare di tutta l'erba un fascio, anziché operare in maniera selettiva in tale ambito, per non avere problemi né con la Confindustria, né con i sindacati.
Se consideriamo i tagli di spesa previsti dal DPEF in esame, inoltre, ci accorgiamo che vengono effettuati anche attraverso minori trasferimenti agli enti locali. Sono d'accordo con tale misura, tuttavia vorrei svolgere una considerazione in ordine all'anima della politica.
Quando noi del centrodestra adottammo interventi di questo tipo, siamo stati insultati...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
LUIGI D'AGRÒ. ...e ci è stato detto che si trattava di provvedimenti che avrebbero aumentato le imposte locali. Noi vi diciamo non che sbagliate oggi, ma soltanto che eravate bugiardi allora. Vorrei osservare che non è giusto che la competizione politica si basi su bugie: proprio per trasformare il paese, infatti, è giunta l'ora di raccontare al paese stesso la verità sui fatti!
Da ultimo, signor Presidente, vorrei ricordare che forse sussiste la necessità di rivedere le previsioni relative ai tagli delle spese destinate al comparto della difesa. Così come sono formulati, infatti, arrecherebbero danni irreversibili a tale comparto, anziché assicurare una maggiore funzionalità ed efficacia per metterlo al servizio dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, nel mio intervento mi riferirò quasi esclusivamente alle questioni che riguardano le materie di competenza della VII Commissione nonché al dibattito che si è svolto in tale sede.Pag. 29
È solo un manifesto, abbiamo sentito dire dal centrodestra durante il dibattito con riferimento al Documento di programmazione economico-finanziaria. E ancora: voi avete l'ossessione della discontinuità. Certo, un manifesto! Finalmente un manifesto! Un manifesto che guarda lontano, che indica una politica, linee di lavoro, impegni, scelte conseguenti. Rigore, equità e sviluppo sono i punti forti della manovra e sono i segnavia di un percorso di Governo.
Per quanto riguarda la discontinuità, si tratta di ossessione o di necessità? Una ripresa duratura della crescita e un graduale innalzamento del tasso di crescita potenziale dell'economia postulano - si dice nel DPEF - che la produttività esca dalla lunga stasi degli ultimi anni. Ciò implica più investimenti, più innovazione, più ricerca e sviluppo, come previsto dalla strategia di Lisbona.
L'economia della conoscenza chiede un sistema produttivo che sappia investire in ricerca, in innovazione - anche nel settore privato -, in tecnologie. L'economia italiana - dopo anni di scarsi investimenti in ricerca ed innovazione nel settore pubblico e ancor di più in quello privato - soffre di marginalizzazione e di bassa qualità. È questo che rende particolarmente pesante la stagnazione che il paese sta vivendo, è questo che rende l'Italia - tra i paesi dell'Unione europea - il più esposto alla concorrenza dei paesi asiatici i quali, proiettati sul futuro, non si limitano a produrre magliette, scarpe o componenti elettroniche, ma formano - in qualità e quantità - ingegneri, matematici ed esperti in tecnologie.
Per tale motivo, occorre invertire una tendenza, occorre discontinuità con le politiche del precedente Governo, per un'idea dello sviluppo che si proponga di affrontare le sfide dell'innovazione di prodotto, della produzione di nuove tecnologie, di un sistema avanzato e diffuso di ricerca. Si tratta di leve indispensabili per superare le difficoltà e l'affanno attuale del nostro sistema produttivo.
Per fare ciò, sono necessari anche più alti livelli culturali per tutti; è quello che il Documento definisce «investimento in capitale umano». Ed è quanto diceva Lester Turow: Un paese cresce se cresce il livello culturale della maggior parte della sua popolazione.
È qui l'altro terreno di forte discontinuità con le politiche del centrodestra: favorire il diritto allo studio per tutti, mettere in condizione i capaci e i meritevoli di andare avanti senza decidere a priori chi può e chi non può studiare, chi non deve studiare. Vi sono state le politiche della canalizzazione precoce, l'idea che il figlio dell'operaio e il figlio del dottore non possano avere le stesse opportunità.
Allora, il DPEF indica alcune strade, in particolare che l'aumento dei diplomi e delle lauree - soprattutto delle lauree tecnico-scientifiche, così come già affermato nella Conferenza di Lisbona - è problema di equità e di garanzia dell'uguaglianza e dei diritti ma, al tempo stesso, una necessità per l'economia. È la scelta compiuta negli anni Sessanta dai Governi di centrosinistra, che compresero che, se il paese doveva fare un salto da paese agricolo a paese industriale, aveva il compito di elevare il livello culturale della popolazione; e fu la scuola media unica, la riforma del 1962! Noi non possiamo essere meno lungimiranti.
Pertanto, occorre un sistema di incentivi per favorire la ricerca anche nel settore privato, ma soprattutto, per quanto riguarda l'istruzione, occorre l'estensione dell'obbligo scolastico, il potenziamento dell'autonomia, la messa a norma del patrimonio edilizio e la soluzione del problema del precariato. Sono misure che garantiscono condizioni concrete...
PRESIDENTE. La prego...
ALBA SASSO. ...per migliorare l'apprendimento - sto per concludere - e combattere quell'analfabetismo tecnologico che non permette una modernizzazione vera.
E così per l'università si indicano linee di fondo e interventi strutturali, politiche del diritto allo studio per i capaci ePag. 30meritevoli e un sistema di valutazione che premi il merito e la qualità.
Ci convince anche - per questo vi è il parere positivo della maggior parte della Commissione - che ci siano scelte per la cultura e per politiche culturali che indichino come questo settore costituisca una risorsa per il sistema produttivo e per la formazione dei cittadini. Solo chi non ha cultura non capisce le straordinarie opportunità che derivano dalla cultura stessa.
Per concludere, la chiave del Documento è proprio quella dell'investimento nel «capitale umano» come risorsa cruciale del tessuto sociale europeo, come strumento del decollo dell'intero paese verso obiettivi più elevati di crescita e insieme di inclusione e coesione sociale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, noi del gruppo della Rosa nel Pugno valutiamo positivamente il Documento di programmazione economico-finanziaria, perché riteniamo che all'interno di esso vi siano le scelte e le indicazioni che abbiamo portato avanti con determinazione e con convinzione nella scorsa legislatura.
Si tratta di un Documento che pone all'attenzione del paese e dei cittadini come sia possibile determinare una condizione di crescita all'interno del paese, come fare in modo che vi sia una equità in questo paese e che i conti pubblici siano messi sotto controllo.
Noi abbiamo di fronte un quadro internazionale estremamente significativo, nel senso che vi è una crescita importante a livello internazionale, soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti paesi emergenti. Ma la cosa più significativa è che anche la nostra Europa, il vecchio continente, se così vogliamo definirla, in quest'ultimo periodo ha avuto una crescita estremamente significativa. Essa è dovuta, probabilmente, alla competitività e alla ripresa che si registra in alcuni paesi importanti, come per esempio la Francia e la Germania, ed anche all'aumento dei consumi interni, che ha caratterizzato anche una fase di crescita del nostro paese in quest'ultimo periodo.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria delinea questi aspetti con chiarezza, stabilendo che vi è una ripresa anche all'interno del nostro paese, dovuta ad una domanda dei consumi che sta aumentando e ad una ripresa della fiducia che i cittadini hanno nel sistema Italia. Ciò, evidentemente, non è accaduto negli anni passati perché, quando veniva posto alla nostra considerazione il DPEF del Governo Berlusconi, vi era tutta una serie di indicatori estremamente ottimistici che, poi, sistematicamente dovevano essere riverificati, perché non si realizzavano. Nello stesso tempo, il Presidente del Consiglio di allora poneva all'attenzione dei cittadini la cosiddetta «grande fiducia». Ciò è tanto vero che poi questa fiducia non si è trasformata nella crescita economica del nostro paese, nella crescita occupazionale e nell'intera questione della equità sociale.
È giusto, quindi, che questo DPEF sia estremamente cauto, proprio in virtù di ciò che abbiamo vissuto nei tempi passati. Si dimostra così la serietà non soltanto del ministro dell'economia e delle finanze, ma anche del Governo, che capisce bene che vi possono essere fattori che possono influenzare negativamente anche una crescita che è definita all'1,5 per cento per il prossimo anno. Sono fattori legati, come ben sappiamo, al costo del petrolio, che potrebbe aumentare sensibilmente, e alle difficoltà geopolitiche esistenti a livello internazionale.
Quindi, vi è una grande responsabilità, nonché la grande consapevolezza della possibilità di agganciarsi alla ripresa, per fare in modo che questo paese cresca e cominci a ricollocarsi nello scenario economico europeo ed internazionale.
In proposito, si è determinata la cosiddetta triade, ossia i tre elementi più importanti per la ripresa: la crescita, il recupero del debito pubblico e, quindi, il risanamento, e la cosiddetta equità. La crescita è possibile: all'interno di questo Documento vi sono chiari indicatori in talPag. 31senso. La crescita si intravede chiaramente. Vi è la necessità di recuperare un debito e di tenere sotto controllo la spesa pubblica, senza intaccare gli elementi che influenzano la possibilità della stessa crescita.
Per quanto riguarda la cosiddetta crescita dell'economia privata, all'interno del Documento sono menzionati indicatori chiari: non mi riferisco semplicemente alla questione del cuneo fiscale. Siamo perfettamente d'accordo sul fatto che il cuneo fiscale, che interviene sia dalla parte dell'impresa sia dalla parte del lavoratori, crei un sistema di equità e di recupero del reddito che può agire sulla domanda e, quindi, accelerare anche un processo di maggiori consumi. Siamo convinti che il cuneo fiscale agisca soprattutto sugli indici del costo del lavoro, ponendo la nostra industria in condizione di competere a livello internazionale con i livelli più bassi del costo del lavoro.
Siamo anche convinti che la produttività delle imprese debba essere recuperata attraverso un confronto forte e serrato con le parti sociali e con i soggetti interessati. All'interno del sistema impresa - qui vi è anche un altro limite dello scorso Governo Berlusconi di centrodestra -, non si è mai pensato di attuare una politica industriale che ponesse il paese in grado di competere a livello internazionale, in modo da realizzare una crescita diversa da quella registrata negli anni passati (che abbiamo già verificato) o all'inizio di questa nuova legislatura.
Quindi, come ho detto, vi sono tutte le condizioni affinché questo paese si possa indirizzare verso la ripresa e la crescita del sistema, che influenzano notevolmente anche i livelli di occupazione del paese. Tali livelli devono aumentare: lo stesso DPEF sta a dimostrare che vi sono le condizioni affinché ciò accada, certamente con una certa gradualità e con una certa cautela, in virtù dei problemi cui ho accennato precedentemente.
L'occupazione deve essere stabile e non precaria, come è accaduto negli anni passati. In questo ambito si inserisce il sistema degli incentivi, che abbiamo riproposto nel DPEF: mi riferisco soprattutto ai cosiddetti crediti di imposta, che agevolano in buona sostanza le possibilità di intervento nelle aree del Mezzogiorno, e al bonus occupazionale. Tali fattori determinano una stabilità del lavoro e non certamente la sua precarietà. Si tratta di indirizzi chiari che il Governo ha sottoposto all'attenzione dell'Assemblea e del paese. Occorre restituire fiducia anche a coloro i quali vedono tale fiducia messa in discussione per la precarietà e per le condizioni di grande difficoltà in cui si trovano.
Su questa linea, il DPEF contiene elementi di credibilità, elementi innovativi per quanto riguarda la possibilità di dare certezze in termini di equità e di giustizia sociale, anche nell'ambito di quel lavoro elastico che si svolge all'interno del sistema, in un contesto in cui non vi siano quelle condizioni di disparità che fino ad oggi si sono verificate all'interno del nostro paese, soprattutto con il Governo di centrodestra.
In buona sostanza, desidero soffermarmi su alcuni aspetti importanti del Documento di programmazione economico-finanziaria in esame.
È stato obiettato che il programma delle infrastrutture, allegato al DPEF, non delineerebbe scelte strategiche volte a fare in modo che il paese si doti di un sistema infrastrutturale forte e si inserisca, in tal modo, nel sistema competitivo internazionale. Non è così! Non è così! C'è una differenza tra il Documento in esame e quelli presentati negli anni passati: nel Documento al nostro esame è contenuta un'analisi chiara degli interventi che bisognerà realizzare nel paese, in relazione ai quali sono definite le priorità e, soprattutto, sono determinate le possibilità finanziarie. Lo stesso non accadeva nella precedente legislatura, quando nel DPEF si inseriva di tutto e di più (per accontentare un sistema di autonomie e di raccordi) senza indicare, però, le disponibilità finanziarie volte a rilanciare il sistema infrastrutturale del paese.
Nel DPEF, per il periodo 2007-2011, viene delineato con chiarezza il futuro delPag. 32nostro paese attraverso gli interventi relativi alle infrastrutture autostradali, al sistema ferroviario - il Governo precedente li ha tagliati, mentre quello in carica ha previsto di rilanciare gli investimenti ferroviari, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, mediante la manovra aggiuntiva -, ai porti ed agli aeroporti, alle autostrade del mare, significative non soltanto per i commerci con il Medio Oriente, ma anche per ricostituire il sistema della logistica nel paese, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.
Quello del Mezzogiorno d'Italia è un problema serio che va affrontato con grande determinazione, al di là delle appartenenze politiche. A tale proposito, emerge un dato reale che va posto in risalto. Mentre, negli anni scorsi, il DPEF conteneva di tutto e di più - ma poi abbiamo dovuto constatare che gli investimenti previsti non sono mai stati realizzati -, il DPEF al nostro esame fa una precisa scelta di campo: il Mezzogiorno d'Italia deve essere considerato il vero problema del paese. Dopo tanti anni in cui vi era stato anche al sud un minimo di ripresa, oggi si registrano un rallentamento ed una conseguente condizione di difficoltà. È difficile, in particolare, fare in modo che il reddito pro capite del sud si agganci a quello del centro-nord.
Ebbene, il DPEF in esame prevede investimenti programmati ed indirizzi chiari. Ad esempio, per affrancare una parte della popolazione dalla condizione di povertà è importante anche contrastare l'assenza di un adeguato livello di istruzione. Inoltre, bisogna affrontare il problema degli indigenti che fanno parte dei nuclei familiari del Mezzogiorno d'Italia. Dunque, si vogliono dare risposte in materia di innovazione e di istruzione, mentre gli interventi finanziari non devono riguardare situazioni generali ma, com'è giustamente sottolineato nel Documento, devono avere riguardo, in particolare, alle imprese ed agli interventi pubblici da realizzare nel Mezzogiorno d'Italia.
Il DPEF contiene un esame chiaro degli interventi che si devono e che si possono realizzare. Con grande serietà e con grande responsabilità - e concludo, signor Presidente -, esso pone all'attenzione del paese e dei cittadini gli obiettivi che il centrosinistra si è dato: crescita, rientro del debito pubblico, equità. Non vogliamo più sacrifici per nulla: questo centrosinistra vuole che ai sacrifici corrispondano crescita e sviluppo per tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fitto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE FITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Documento di programmazione economico-finanziaria alla nostra attenzione ritengo sia lo specchio delle contraddizioni e, quindi, della conseguente debolezza che il Governo manifesta in termini di politica economica. Stranamente, ciò che maggiormente preoccupa non è tanto il suo contenuto ma, soprattutto, ciò che viene puntualmente omesso sulle grandi questioni che riguardano il nostro paese.
Nei pochi minuti che mi vengono assegnati vorrei soffermare l'attenzione su tre questioni di particolare rilievo, sulle quali emerge appunto in modo molto chiaro l'assenza di una programmazione e di una scelta da parte del Governo: il tema delle infrastrutture; il tema della politica economica e quindi anche del conseguente inasprimento fiscale nei confronti dei cittadini; il tema del Mezzogiorno. Queste sono le tre questioni che mancano nel DPEF, perché su ognuna di esse ci si limita ad un generico riferimento ai precedenti DPEF, ma, nel merito, si omettono alcuni aspetti fondamentali.
Sin dal 2002, il DPEF del Governo Berlusconi ha sempre previsto una tabella allegata con la quale si segnalavano in modo specifico le infrastrutture che dovevano essere realizzate. Le scelte degli anni scorsi hanno portato ad una crescita complessiva, stimata anche in riferimento alla media europea, pari al 4,3 per cento della spesa per investimento sulle infrastrutture. Una spesa importante, che ha collocato il nostro paese in un contesto molto piùPag. 33ampio della crescita complessiva a livello europeo nel settore delle infrastrutture. Ebbene, su tutto ciò vi è un silenzio totale: nell'ambito del DPEF si rinvia a questioni di carattere generico, senza indicare in modo specifico quali saranno le infrastrutture che il Governo si impegna a realizzare e con quali precise risorse.
Penso che questo sia un aspetto da rimarcare, unitamente alla questione della finanza pubblica, che viene omessa all'interno di questo Documento, se è vero, come è vero, che ciò che non dice il DPEF viene puntualmente scritto all'interno del cosiddetto decreto Visco-Bersani, sul quale saremo chiamati a discutere, perché è evidente che, rispetto alle questioni poste, noi, dopo aver verificato il gran polverone sollevato con dei dati parziali, a posteriori rivelatisi errati, da parte della commissione appositamente creata dal ministro per la due diligence sui conti pubblici, abbiamo avuto modo di verificare che tanto rumore non ha creato alcunché nel merito dell'attuazione degli interventi. Sostanzialmente, vengono eluse le questioni principali.
Concludo con un ultimo richiamo. Ho ascoltato molti interventi che parlavano di Mezzogiorno; sinceramente, da parte mia esprimo una forte preoccupazione al riguardo. Si fa un riferimento che poggia esclusivamente sui contenuti del lavoro del Ministero dell'economia e delle finanze per la nuova programmazione comunitaria 2007-2013, non si cita alcun intervento specifico, si individua il cofinanziamento del programma comunitario come unica fonte di riferimento finanziario per l'azione del Governo nel Mezzogiorno. Si cita in modo specifico la proiezione, senza alcuna tabella, del tentativo di raccordo sullo 0,6 per cento della spesa complessiva sul PIL, per mantenere, anche se questo dato è assolutamente inferiore a quello precedente, le spese del fondo per le aree sottoutilizzate. Mi sembra che tutto ciò debba suscitare una grande preoccupazione, tale da portare ad un'azione contraria da parte nostra.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Pignataro. Ne ha facoltà.
ROCCO PIGNATARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, discutiamo oggi del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011, il primo di questo Governo Prodi.
Il DPEF persegue l'obiettivo di delineare il percorso di uscita dall'attuale situazione di crisi, soprattutto in materia di finanza pubblica, in una nuova ottica di sviluppo, di risanamento e di equità. Infatti, ad oggi, la situazione economica del paese è caratterizzata da ritardi e squilibri che stanno minando le nostre reali possibilità di crescita. All'azione diretta a porre sotto controllo ed a risanare i conti pubblici posta in essere negli anni che vanno dal 1992 al 2001, ha fatto invece seguito, negli anni che vanno dal 2001 al 2006, una crescita incontrollata del debito e la forte diminuzione dell'avanzo primario.
In questo senso il documento di programmazione economico-finanziaria di cui oggi discutiamo si fa apprezzare per un percorso graduale volto ad ottenere un rientro del deficit al 2,8 per cento ed un pareggio nel 2011, un consistente recupero dell'avanzo primario già nel 2007, una diminuzione del debito pubblico nel 2007 sino alla quota del 99 per cento del PIL nel 2011, obiettivi cui si potrà pervenire attraverso un'aumentata capacità di crescita del nostro sistema economico.
La correzione dei conti pubblici avrà carattere strutturale non solo perché questo ci chiedono gli impegni europei, ma ancor più perché i problemi stessi del paese hanno natura strutturale e richiedono, quindi, soluzioni in grado di recare benefici che durino nel tempo.
Qualcuno ha definito il DPEF una sorta di wish list del Governo, lista dei desideri che difficilmente vengono poi tradotti in realtà. Invece, il Documento di cui oggi discutiamo si caratterizza per un impianto realistico che tiene conto dell'avvenuta realizzazione delle misure di dismissione e privatizzazione, ma anche della volontà di realizzare gli obiettivi prefissati di liberalizzazionePag. 34e concorrenza. Ciò che lo caratterizza è sicuramente il fatto che sono tenute in debita considerazione le esigenze di partecipazione rimandando i dettagli delle politiche economiche agli esiti di specifiche concertazione con le parti sociali, ai fini della più vasta condivisione delle relative misure attuative.
L'intervento previsto sui quattro comparti della spesa pubblica risponde a strategie di riforma strutturale e non a logiche di mero taglio delle spese in quanto ciò non comporterà la riduzione né dell'offerta di servizi, né delle garanzie individuali. L'intervento è sostenibile in quanto graduale e non concentrato in settori esclusivi e, soprattutto, in linea con le richieste dell'Europa circa l'abbandono della prassi di misure una tantum che, come molti sanno, hanno esiti tutt'altro che positivi, come abbiamo visto nel passato.
La stagione della cosiddetta finanza creativa della scorsa legislatura può dirsi conclusa e noi Popolari-Udeur riteniamo imprescindibile l'esigenza di riportare finalmente l'equilibrio in un paese che ha visto, in questi ultimi cinque anni, aumentare il divario tra ricchi e poveri, tra aree territoriali forti e deboli, come mai era accaduto negli ultimi vent'anni.
L'intervento sul cuneo fiscale assume, poi, un carattere di straordinarietà per il rilancio della competitività, ma deve accompagnarsi chiaramente a misure selettive e a serie politiche strutturali per la crescita.
Ulteriore obiettivo del documento è costituito dall'affermazione del principio dell'equità e dell'equilibrio sociale nella distribuzione delle risorse. È necessario, infatti, legare le prospettive dello sviluppo economico alla costruzione di maggiore giustizia sociale in termini di crescita occupazionale connessa alla produttività, nonché di riequilibrio del reddito e della ricchezza. In un regime democratico una maggiore equità è condizione indispensabile per il sostegno popolare al risanamento finanziario e per il rilancio della crescita. Equità sociale significa realizzare un programma nel campo dei diritti di cittadinanza e delle politiche per la famiglia che sia in grado di modificare la situazione di assoluto degrado che viviamo oggi. In Italia è necessaria una svolta in questi ambiti perché si parte da una quota di risorse dedicate a sostegno dei redditi bassi e precari e delle responsabilità familiari, nonché alla fornitura di servizi sociali ed abitativi alle famiglie ed ai soggetti non autosufficienti inferiore alla media europea. In questo senso i Popolari-Udeur salutano con favore la recente calendarizzazione in Commissione giustizia della proposta di legge a favore di soggetti in situazione di insolvenza per i quali è prevista la possibilità di concludere con i creditori una particolare forma di concordato per far fronte alla situazione di insolvenza in cui sono venuti a trovarsi. Si tratta di una misura a favore delle famiglie disagiate, di quelle persone fisiche che sono venute a trovarsi in una situazione di sovraindebitamento per esigenze relative a necessità familiari o domestiche.
Noi Popolari-Udeur, che ci siamo fatti carico in campagna elettorale di rappresentare la parte più moderata della coalizione di centrosinistra - il centro, per intenderci - saremo particolarmente attenti a valutare le misure che saranno attuate con riguardo alla famiglia, al mercato del lavoro, alla salvaguardia dell'individuo nel suo complesso. Certamente, non siamo il partito del «no» a scelte condivise da tutte le componenti politiche della coalizione, ma saremo il partito dell'attenzione e della critica laddove sarà necessario.
La crescita del sistema Italia passa attraverso la valorizzazione della risorsa Mezzogiorno, ma le politiche recenti al riguardo hanno contribuito solo ad aumentare le disuguaglianze, anche attraverso una riduzione all'osso degli investimenti infrastrutturali. Invece, le infrastrutture di qualità dovrebbero essere considerate questione centrale per favorire lo sviluppo economico dell'intero paese, data la collocazione geografica dell'area del Mediterraneo che ne fanno il nodo cruciale per tutte le attività di scambio.Pag. 35
In conclusione, esprimo a nome del gruppo dei Popolari-Udeur una valutazione positiva sulle linee programmatiche indicate nel DPEF, auspicando che le indicazioni in esso contenute trovino realizzazione nel prossimo disegno di legge finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, nella lettera con la quale il Presidente del Consiglio ed il ministro dell'economia accompagnano la trasmissione del Documento di programmazione economico-finanziaria si dice, con molta forza e chiarezza, che la politica economica è chiamata ad agire su tre fronti: lo sviluppo, il risanamento e l'equità; obiettivi, dicono i due interlocutori, che devono essere affrontati simultaneamente perché sono inscindibili (e ne spiegano anche le ragioni).
Esaminando le cifre programmatiche del DPEF, ci si domanda come sia stato tradotto questo impegno così solennemente assunto addirittura dal Presidente del Consiglio e dal ministro e la tavola n. IV.4, riportata nel documento, ci consente di esprimere un giudizio sullo stesso. Il dibattito, secondo me, è anche troppo esteso, perché si tratta di un punto centrale.
Il contenuto degli interventi lo vedremo con il disegno di legge finanziaria, ma l'andamento tendenziale degli obiettivi programmatici è chiaro ed è indicato, in primo luogo, dall'andamento del PIL che, in termini reali, nel 2011 riesce a scardinare l'andamento negativo, quello dell'1,3 per cento di crescita tendenziale, portandolo - colleghi, è un risultato formidabile - all'1,7 per cento.
È un Governo che ha cambiato la natura dell'economia italiana, perché laddove questa è stata stagnante per molti anni, invece di non fare nulla, mantenendo la crescita all'1,3 per cento, affronta un enorme programma che scomoderà gli enti locali, la sanità, la previdenza per sollevare dello 0,4 per cento il reddito tendenziale (è ciò che accade anche relativamente agli anni precedenti).
La domanda che rivolgo al Governo è la seguente: si tratta di un programma serio? Pensate davvero che su questa base possiate raggiungere gli altri due obiettivi, vale a dire il risanamento e l'equità sociale?
Quando il ministro Padoa Schioppa disse di voler raggiungere tre obiettivi, risanamento, equità e sviluppo, gli dissi che, nella storia italiana, è stato molto difficile coniugare il risanamento e lo sviluppo e che aggiungere un terzo obiettivo mi sembrava molto complicato. Si tratta di un vaste programme, come disse una volta il generale De Gaulle, a proposito di un'altra questione. Ma questo vaste programme si riduce al nulla, quando si scopre che la crescita del reddito è nulla; quindi, forse si raggiunge l'obiettivo del risanamento, perché il debito comincia a scendere, ma non c'è certamente lo sviluppo ed è molto difficile raggiungere anche l'obiettivo dell'equità. Se la torta non lievita, è molto difficile ridistribuire; è più difficile sottrarre a chi possiede qualcosa, piuttosto che aggiungere a chi ha meno, quando il reddito cresce.
La conferma di questo problema si rinviene nell'andamento disperato della produttività e del costo del lavoro per unità di prodotto. Tendenzialmente, la produttività, che secondo Prodi e Padoa Schioppa rappresenta una problema italiano, nel 2011 crescerebbe dello 0,7 per cento. Dopo cinque anni di un Governo così virtuoso e così impegnato, crescerebbe dello 0,9 per cento: ma pensate davvero che questo sia il programma economico dell'Italia, di un Governo di legislatura?
Il CLUP, vale a dire il costo del lavoro per unità di prodotto, da cui dipende la competitività, addirittura cresce dell'1,2 per cento. Quindi, invece di migliorare, come migliora in Francia, in Germania, peggiora ulteriormente.
Questo è il programma di politica economica? La mia proposta - lo dico ai colleghi della maggioranza - è di fare ciò che avvenne nel 1996, quando il Presidente del Consiglio Prodi ritirò il Documento di programmazione economico-finanziaria ePag. 36ne ripresentò un altro. Ritirate il Documento di programmazione economico-finanziaria, perché è stato costruito male! Non è un documento serio, non è un documento di legislatura e non vi consentirà di attuare una politica di risanamento.
O affrontate seriamente le cause del basso tasso di crescita della produttività - e, ovviamente, il cuneo fiscale non c'entra niente, c'entra di più la legge Biagi - oppure, se non potete affrontare tali questioni, non potrete affrontare i problemi dell'economia italiana e la lascerete in una condizione di difficoltà, la stessa nella quale si dibatte da molti anni.
Onorevole Ventura, non ci dite che tutto questo è prudenza, come ha detto qualche esponente di Governo, perché, quando il Governo «parla» al Parlamento con il DPEF, non può dire che i numeri sono stati inseriti ma pensa ad altro. Se voi pensate ad altro, scrivete altro, se pensate che la vostra terapia sia in grado di far crescere l'economia del 2,5, del 3 o del 4 per cento avete l'obbligo di scriverlo.
Per tali motivi, credo che il Documento di programmazione economico-finanziaria si debba riscrivere e, prima lo fate, meglio è!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.
NICOLA ROSSI. Signor Presidente, colleghi, penso che il Parlamento debba esprimere il suo apprezzamento al Governo per questo Documento perché individua con assoluta chiarezza le due strade davanti alle quali è il paese. Nella parte non programmatica del Documento si intravede con precisione quello che sarebbe il percorso del prodotto interno lordo nei prossimi anni qualora nulla venisse fatto. Il prodotto crescerebbe, come sappiamo già, dell'1,5 per cento quest'anno, per poi pian piano declinare verso il suo tasso di crescita di lungo periodo, che non va oltre l'1,2 - 1,3 per cento, dopo essere cresciuto anche l'anno prossimo dell'1,5 per cento a seguito del favorevole andamento del ciclo internazionale. Se, invece, venissero adottate le misure descritte dal Documento, sia pure nella sua giusta vaghezza, avremmo un percorso completamente diverso. L'anno prossimo avremmo una crescita ridotta perché, in qualche maniera, si farebbe comunque sentire l'impatto della manovra da farsi a settembre, ma, a distanza di tre o quattro anni, il prodotto potenziale - quindi, il prodotto di medio periodo - crescerebbe dell'1,7 per cento. Capisco che cinque decimi di punto possano sembrare poca cosa e comprendo perfettamente chi osserva che cinque decimi di punto, forse, non valgono lo sforzo. Tuttavia, vorrei ricordare che la legge dell'interesse composto suggerisce che, se i cinque decimi di punto diventassero strutturalmente un tasso di crescita più elevato di questo paese, da qui a vent'anni ci sarebbero un reddito pro capite di un quinto superiore a quello odierno, a quello che avremmo altrimenti, e non è certamente poca cosa.
Quindi, credo che vada dato merito al Governo di aver chiaramente indicato al paese i benefici derivanti da una cura non banale. Mi limito a due osservazioni, una riguardante le modalità di copertura e l'altra la ripartizione territoriale di questi risultati. Sul fronte della modalità di copertura, in questo caso mi rivolgo soprattutto alla maggioranza, per quanto il Documento sia giustamente vago - qui mi permetto di dissentire da ciò che il ministro dell'economia ha detto più volte -, continuo a pensare che lo stesso potrebbe essere fatto di una sola paginetta e di un solo numero, e che non vi sarebbe assolutamente bisogno della grande discussione estiva, che di solito il Documento stesso innesca, ma si tratterebbe di questioni addizionali. Dal punto di vista delle coperture, il Documento - lo si legge chiaramente non solo nelle sue pieghe, ma anche in ciò che è scritto a pagina 158 - immagina con una certa precisione il che cosa e il da dove, anche se non esattamente da quali poste ma quali grandi comparti, e credo di non sbagliare molto se dico che il Documento è poggiato su un'ipotesi che, sostanzialmente, divide a metà la copertura del provvedimento stesso fra entrate ed uscite.Pag. 37
Questo punto è rilevante perché l'andamento di cui ho parlato prima, in particolare i due o i tre decimi di punto di crescita che si perderebbero nel 2007, si tiene - e il risultato non sarebbe, invece, peggiore nel 2007 - solo se quella proporzione viene mantenuta. Quindi, credo che debba essere chiaro a tutti, soprattutto alla maggioranza che sostiene il Governo in questo sforzo non facile, che l'obiettivo implicito del Documento deve essere un obiettivo di tutta la maggioranza.
Se mancassimo quell'obiettivo, nel senso per esempio di immaginare una copertura pressoché interamente derivante dal fronte delle entrate, la situazione nel 2007 potrebbe essere assai più seria di quella che invece viene descritta nel Documento stesso. Quindi, il tema delle coperture non riguarda solo ed esclusivamente il prossimo mese di settembre. Esso riguarda in realtà tutto il 2007, in particolare la congiuntura economica, e di conseguenza anche politica, che vivremo nel 2007. Dunque l'impegno da parte di tutti deve essere teso a rispettare il vincolo implicito nel Documento stesso.
Il secondo punto sul quale vorrei soffermarmi riguarda invece quella che io considero una delle parti meno riuscite del Documento: la parte relativa agli squilibri territoriali. Al riguardo, mi permetto di segnalarvi che, se si fa riferimento al grafico che compare nelle ultime pagine del Documento, la crescita di lungo periodo del centronord si attesterebbe all'1,5 per cento, mentre la crescita di lungo periodo del sud arriverebbe al 2,5 per cento. Quest'ultimo dato percentuale, considerati i pesi del sud e del centronord, fornirebbe quell'1,7 per cento di lungo periodo, cui fa riferimento il Documento.
Ebbene, credo che al riguardo il Governo debba fare una valutazione molto attenta. Innanzitutto perché è poco credibile che la congerie di provvedimenti immaginata nel Documento per il centronord del paese, cioè nell'area certamente a maggiore densità produttiva, determini un incremento del prodotto potenziale valutabile in soli due decimi di punto. Onestamente non è una valutazione molto credibile e, se lo fosse, sarebbe un problema non piccolo.
Del resto, è veramente difficile immaginare che, dopo sette anni in cui il Mezzogiorno è cresciuto più o meno come il centronord del paese, improvvisamente si passi ad un tasso di crescita meridionale di lungo periodo di 1,3 punti superiore a quello del centronord o comunque superiore a quello che si avrebbe altrimenti. Questo soprattutto perché lo stesso grafico evidenzia un qualche cosa a cui dovremmo porre mente. Quel grafico lo si potrebbe nominare fino ad oggi «niente», da domani «miracoli». Peraltro è lo stesso grafico che vediamo puntualmente nelle pagine del Documento di programmazione da sette anni a questa parte.
Mi chiedo allora come sia francamente pensabile che le stesse politiche - perché le stesse politiche sono riportate in quelle pagine del Documento di programmazione - possano produrre un risultato così miracoloso. Evidentemente così non è ed evidentemente proprio in quelle pagine, proprio in quella direzione, proprio nel capitolo che riguarda gli interventi sul Mezzogiorno, mi attendo che il Governo dia dei segnali di novità, con chiarezza, determinazione e decisione già a partire dal prossimo mese di settembre (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Centa. Ne ha facoltà.
MANUELA DI CENTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo mio breve intervento sull'esame del DPEF si soffermerà su una carenza, che ho riscontrato nel contenuto del Documento stesso: la montagna, intesa come territorio - più della metà del territorio italiano è montagnoso - e come popolazione che vive sulle montagne, con tutte le sue risorse e le sue peculiarità.
Nel Documento, tra le numerose politiche di settore illustrate non figura mai il riferimento alle zone montane. Le aree montagnose rappresentano risorse imprescindibili per il settore del turismo, perPag. 38l'attività di piccola, media e grande impresa. Le aree montagnose sono strategiche per la competitività delle merci e sono miniere preziose grazie alle loro acque, boschi e foreste, e per le fonti di energia che ci propongono (ad esempio idroelettrica e biomassa).
Il Documento sottolinea la necessità di agire su tre fronti: sviluppo, risanamento, equità. Tuttavia il Governo non fa riferimento alla montagna nemmeno nella parte dedicata al turismo o ai beni culturali, né tanto meno in quella dedicata allo sport, come se la montagna non rappresentasse, ad esempio, una vera cartolina geografica del made in Italy. Ne è esempio il Giro d'Italia, con la sua cima Coppi, con lo Stelvio, con le Dolomiti, con l'Etna e quant'altro.
Secondo il Documento, il turismo in Italia deve costituire una componente significativa del ritorno alla crescita economica e alla sua stabilità. Esso fa specifico riferimento alla qualificazione dell'offerta turistica sotto il profilo culturale, con una particolare attenzione ai piccoli comuni e agli itinerari storico-culturali-religiosi. Questo Documento è una semplicistica visione dell'industria turistica: noi dobbiamo invece pensare ad una visione più ampia, ove il turismo montano deve essere considerato nella globalità del «mondo montagna». Dobbiamo pensare alle popolazioni che vivono stabilmente in quei territori, che producono, che determinano anch'essi la crescita del prodotto interno lordo e contenere il fenomeno della fuga verso le città delle popolazioni alpine e appenniniche. Dobbiamo pensare ad incentivare i residenti, affinchè proseguano quelle attività artigianali, industriali ed agricole che hanno sempre caratterizzato la montagna e che, col passare degli anni, vengono abbandonate.
Passate le Olimpiadi invernali di Torino 2006, la montagna è ritornata sulle prime pagine dei giornali solo con le vicende della val di Susa e della TAV e, ogni tanto, con qualche frana che interrompe la viabilità. Il rilancio del turismo montano potrà avvenire anche attraverso il miglioramento delle rete stradale tra le valli e delle vie di collegamento ed interconnessione con i paesi d'oltralpe. Questo servirà anche per un più rapido trasporto delle merci del prodotto «Italia nel mondo».
Invito i colleghi della maggioranza - e concludo, signor Presidente - a ricordarsi della montagna in sede di redazione della risoluzione con la quale sarà approvato il DPEF, così come invito il Governo a considerare, in sede di predisposizione del disegno di legge finanziaria per il 2007, il rifinanziamento del fondo per la montagna ormai caduto nel dimenticatoio. Noi lavoreremo, signor Presidente, anche dai banchi dell'opposizione, affinché nella XV legislatura ci possa essere l'approvazione della nuova legge sulla montagna.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Prendo atto che il relatore e il Governo si riservano di svolgere le repliche nella seduta di domani.
Avverto che le risoluzioni al Documento di programmazione economico-finanziaria potranno essere presentate prima dello svolgimento delle suddette repliche.
Sospendo la seduta fino alle 15.
La seduta, sospesa alle 12,25 è ripresa alle 15,05.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori (ore 15,06).
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Prego, deputato Della Vedova, ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, nelle prossime ore il Senato della Repubblica, salvo sorprese, dovrebbe trasmettere alla Camera dei deputati il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006, il cosiddetto decreto Visco-Bersani.
Il principio della competenza per materia, cui si ispira giustamente il regolamento della Camera nel delineare la procedura di assegnazione alle Commissioni dei progetti di legge, individua, a nostro giudizio, nella Commissione finanze la sede naturale per l'esame di quel provvedimento, eventualmente in sede congiunta con la Commissione attività produttive.
Auspichiamo pertanto che lei, signor Presidente, non voglia, per il provvedimento in oggetto, procedere in analogia con quanto è stato fatto al Senato, dove il disegno di legge di conversione è stato assegnato alla Commissione bilancio; una scelta dettata da ragioni di opportunità o, forse, per meglio dire, di opportunismo politico. Tra l'altro, si è trattato di una scelta che ha suscitato lo scontento dello stesso presidente della Commissione finanze del Senato, il senatore Benvenuto, il quale ha dichiarato: «Sarebbe stato più utile che la Commissione finanze fosse stata investita del provvedimento». Questo fatto, invece - ha proseguito il senatore -, «porta ad espropriare le Commissioni di merito».
Ecco, assegnare alla Commissione bilancio questo provvedimento per mantenere una sorta di analogia o di parallelismo - non voglio dire: di copertura - con quanto operato al Senato rappresenterebbe un pericoloso precedente per il futuro, quando l'assegnazione alle Commissioni di provvedimenti che la Camera si troverà ad esaminare come primo ramo del Parlamento investito potrebbe essere dettata, per l'appunto, dalle dette esigenze di analogia.
Ritengo che ciò rappresenterebbe una violazione del regolamento. Pertanto, signor Presidente, mi permetto di invitarla ad assegnare il disegno di legge di conversione, non appena giungerà al nostro esame, alla Commissione finanze, eventualmente in sede congiunta con la Commissione attività produttive, ma non alla Commissione bilancio, considerata - e mi richiamo in tal caso anche al regolamento - la prevalente materia fiscale del provvedimento in questione.
La ringrazio, Presidente.
PRESIDENTE. Come lei ha dichiarato, il decreto è in corso di esame presso il Senato; quando sarà trasmesso alla Camera, alla luce del contenuto, la Presidenza ne valuterà l'assegnazione e terrà conto, ovviamente, di questi rilievi, che saranno debitamente vagliati.
Le ricordo, comunque, che la Camera dei deputati si è sempre comportata secondo il suo regolamento.
ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Prego, deputato Leone, ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, la ringrazio della risposta testé fornita.
In effetti, conoscendo già il contenuto dell'intervento del collega Della Vedova, volevo anch'io intervenire sullo stesso argomento per aggiungere che, eventualmente, ove mai su quanto testé rappresentato dal collega, sorgessero se non, per così dire, delle difficoltà, comunque talune riflessioni, inviterei la Presidenza, come peraltro correttamente - e, anzi, bonariamente - ha fatto in altre circostanze, a sottoporre la questione alla Giunta per il regolamento.
Ciò, in quanto, altrimenti, si potrebbe forse giungere - ove mai fosse intrapresa una strada che non si vuole da parte nostra che si intraprenda - ad una sorta di «traino» di questa Camera da parte delPag. 40Senato, pur in presenza di regolamenti diversi che consentirebbero invece di accedere alla richiesta del collega.
Era solo questo il contenuto del mio intervento e la ringrazio ancora, Presidente, della risposta data al collega; la pregherei, dunque, ove mai fosse intenzionato ad approfondire la questione, di portarla eventualmente in sede di Giunta per il regolamento.
PRESIDENTE. La ringrazio per il suggerimento, deputato Leone.
Seguito della discussione della proposta di legge: Buemi ed altri: Concessione di indulto (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 1 e 3 della proposta di legge n. 525, deliberato dall'Assemblea il 18 luglio 2006) (A.C. 525-bis); e delle abbinate proposte di legge: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella (A.C. 372-662/bis-663/bis-665/bis-1122/bis-1266/bis-1323/bis-1333/bis) (ore 15,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Buemi ed altri: Concessione di indulto; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.
(Esame dell'articolo unico - A.C. 525-bis ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico della proposta di legge, nel testo della Commissione, e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 525-bis ed abbinate sezione 3).
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 525-bis ed abbinate sezione 1 e 2).
Avverto che non sono da considerarsi ammissibili, ai sensi dell'articolo 86, comma 1, e 89 del regolamento, i seguenti articoli aggiuntivi, non previamente presentati in Commissione e che non vertono nell'ambito degli argomenti già considerati nel testo e negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione: Contento 1.01 (pag. 69), che prevede che ministro della giustizia individui, in sede di approvazione della legge finanziaria per l'anno 2007, un programma di interventi urgenti in materia di edilizia carceraria; Palomba 1.02 e 1.03 (pag. 70), che prevedono rispettivamente l'istituzione di un fondo per la corresponsione di un contributo a favore dei consigli di aiuto sociale e l'istituzione di un fondo per la corresponsione di un contributo a favore dei detenuti che beneficiano dell'indulto e che versino in condizioni di disagio economico.
Ricordo peraltro che, ai sensi dell'articolo 79 della Costituzione, l'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Ove i predetti articoli aggiuntivi fossero ammessi, gli stessi - essendo collocati in una proposta di legge di indulto - sarebbero posti in votazione con una maggioranza aggravata, pur non essendo il contenuto degli stessi riconducibile alla concessione dell'indulto.
Informo l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare. A tal fine, i gruppi Italia dei Valori, Alleanza nazionale e Lega Nord Padania sono stati invitati a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione. Tuttavia, in considerazione della rilevanza dell'argomento trattato ePag. 41del fatto che la proposta in esame consta di un unico articolo, la Presidenza - senza che ciò costituisca precedente - ha ritenuto di ammettere alla votazione un numero di emendamenti pari al triplo di quelli consentiti dal richiamato articolo.
Ricordo nuovamente che, ai sensi dell'articolo 79 della Costituzione, l'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale.
Da tale previsione discendono, come già ricordato dalla Presidenza nella seduta del 12 gennaio 2006, le seguenti conseguenze. Poiché l'articolo 79 non fa alcun riferimento alle votazioni intermedie che caratterizzano il procedimento legislativo, alle votazioni riguardanti gli emendamenti riferiti ai singoli articoli si applica il principio generale della maggioranza semplice, fatta eccezione per gli emendamenti interamente sostitutivi e per gli articoli aggiuntivi che necessitano per essere approvati della maggioranza dei due terzi.
Come già ricordato, la votazione dei singoli articoli del progetto di legge deve avvenire con la maggioranza dei due terzi dei componenti della Camera. Nel caso in esame, tuttavia, essendo la proposta composta di un unico articolo, secondo quanto previsto dall'articolo 87, comma 5, del regolamento, non si procederà alla votazione di tale articolo, ma si passerà direttamente alla votazione finale del provvedimento che avrà luogo, conformemente alla norma costituzionale, con la maggioranza dei due terzi dei componenti.
Gli emendamenti soppressivi dell'articolo unico del testo devono essere viceversa votati con la maggioranza ordinaria. Poiché il quorum aggravato è previsto dalla Costituzione solo per l'approvazione del progetto e dei suoi singoli articoli, esso non può infatti ritenersi applicabile per una deliberazione di carattere negativo, quale la proposta di soppressione di un articolo.
Il deputato Buontempo ha chiesto di parlare sulla dichiarazione di inammissibilità dell'articolo aggiuntivo Contento 1.01. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, l'articolo aggiuntivo Contento 1.01 è stato dichiarato inammissibile. A mio avviso, invece, sarebbe stato più opportuno chiedere al collega di riformulare tale articolo aggiuntivo prima ancora che lo stesso venisse inserito nel fascicolo delle proposte emendative presentate.
Come è noto, il provvedimento in esame si basa sul fatto che le carceri italiane sono insufficienti a contenere l'attuale numero di detenuti. Dato questo presupposto, all'onorevole Contento sembrava giusto che in questo provvedimento si prevedesse, tra l'altro, che il ministro della giustizia individuasse, in sede di approvazione della legge finanziaria per l'anno 2007, un programma di interventi urgenti in materia di edilizia carceraria, che possano essere realizzati a partire dal 2007, con le necessarie coperture finanziarie.
Tale articolo aggiuntivo al momento non mi pare che comporti un aumento della spesa. A questo riguardo, ricordo che l'articolo 86, comma 2, del nostro regolamento prevede che qualora i nuovi articoli aggiuntivi o emendamenti importino maggiori spese o diminuzione di entrate, sono trasmessi, appena presentati, alla Commissione bilancio affinché siano esaminati e valutati nelle loro conseguenze finanziarie. A tal fine, il Presidente della Camera stabilisce, ove occorra, il termine entro il quale deve essere espresso il parere della Commissione bilancio.
Ciò detto, desidererei sapere se nei confronti di questo articolo aggiuntivo vi è una presa di posizione della Commissione bilancio e conoscere, qualora questa abbia espresso parere contrario, le motivazioni che l'hanno indotta ad esprimere tale parere. A mio avviso, lo ripeto, si poteva chiedere al collega Contento, tramite gli uffici, una riformulazione di tale articolo aggiuntivo proprio perché la materia in esso trattata a me pare attinente al provvedimento in esame. Quello che con tale articolo aggiuntivo si chiede è di fissare, come peraltro avvenuto centinaia di volte, in questo provvedimento dei «paletti» (chiamiamoli così) affinché norme successivePag. 42vertenti sulla stessa materia tengano conto dell'indirizzo già espresso da questa Camera.
Non ritengo - e concludo, Presidente - che la dichiarazione di inammissibilità sia stata fatta secondo la previsione regolamentare. Semmai, a tempo debito, avrebbe potuto essere chiesta una riformulazione, in quanto nell'articolo aggiuntivo in questione si sarebbe potuta modificare la dicitura «a partire dal 2007», in base al principio per cui all'interno di una legge non si può stabilire una data per un evento che deve essere previsto da un'altra legge.
Se venisse eliminata l'espressione «che possono essere realizzati a partire dal 2007», l'articolo aggiuntivo sarebbe accoglibile. Altrimenti, dovremmo dire, ma lo svilupperemo nel corso del dibattito, che il provvedimento in esame si regge sul nulla, poiché non è accompagnato da un impegno, nella proposta di legge, per cui si provvede all'indulto - a cui personalmente sono contrario insieme al gruppo cui appartengo - a causa di un sovraffollamento. Se non viene previsto nulla per eliminare le condizioni di tale sovraffollamento, mi pare che il provvedimento stesso risulti monco.
PRESIDENTE. È stata sollevata un'obiezione circa la decisione della Presidenza di dichiarare inammissibile l'articolo aggiuntivo Contento 1.01. Mi rendo conto del contenuto politico delle osservazioni svolte; tuttavia, dal punto di vista regolamentare, non posso che ribadire la decisione assunta.
L'articolo 86, comma 1, del regolamento della Camera dei deputati stabilisce, infatti, che per l'esame in Assemblea possono essere presentati solo gli emendamenti o articoli aggiuntivi già respinti in Commissione, nonché ulteriori emendamenti o articoli aggiuntivi, purché nell'ambito degli argomenti già considerati nel testo o negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione. L'articolo aggiuntivo in questione non risponde palesemente ai citati requisiti, non essendo stato presentato in Commissione e non vertendo sulla materia specificamente oggetto del provvedimento. La Commissione bilancio ha dato parere sull'argomento, ma questo è ininfluente sulla sua ammissibilità.
Deve inoltre essere ribadito che, ai sensi dell'articolo 79 della Costituzione, l'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Ove i predetti articoli aggiuntivi fossero ammessi, gli stessi, essendo collocati in una proposta di legge di indulto, sarebbero posti in votazione con una maggioranza aggravata, pur non essendo il contenuto degli stessi riconducibile alla concessione dell'indulto.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, abbiamo letto con una certa sorpresa l'elenco dei deputati che hanno chiesto di parlare nella parte pomeridiana della seduta. Francamente, ci aspettavamo un confronto aperto, visto che si tratta di un provvedimento che nasce in una sede prettamente parlamentare.
Vedo invece che, dopo l'onorevole D'Elia, sono iscritti a parlare soltanto deputati del gruppo dell'Italia dei Valori. Dunque, proprio per poter esprimere al meglio il senso del nostro contributo, vorrei pregarla, signor Presidente, di invertire l'ordine degli interventi facendo iniziare i colleghi Leoluca Orlando, Raiti, Costantini, Palomba, Borghesi, Belisario, Donadi e, a seguire, gli altri.
Le sarei estremamente grato se volesse concederci tale opportunità.
PRESIDENTE. Mi si fa rilevare che hanno chiesto di intervenire sul complesso delle proposte emendative presentate anche deputati appartenenti ai gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania.
I deputati che hanno chiesto di intervenire sono stati «intercalati» finché si è potuto; dopo di che, non ne sono rimastiPag. 43altri se non quelli appartenenti al gruppo dell'Italia dei Valori, i quali sono stati così aggiunti all'elenco.
FABIO EVANGELISTI. Non ho capito la risposta, Presidente!
PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Vorrei chiedere al Presidente di sospendere la seduta per qualche minuto, al fine di consentire al Comitato dei nove di esaminare una richiesta formulata da un gruppo parlamentare in sede di Commissione giustizia.
Data l'importanza del dibattito che ci apprestiamo a svolgere questo pomeriggio, credo che affrontare tale questione possa risultare utile ai fini dell'economia dei lavori parlamentari.
PRESIDENTE. Presidente Pisicchio, per favore, può dirmi di quanto tempo ha bisogno?
PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, saranno necessari non più di dieci minuti.
PRESIDENTE. Inviterei l'Assemblea a riflettere sulla proposta di sospendere i nostri lavori per il tempo indicato.
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, vorrei far presente che il problema non è costituito dalla durata della sospensione della seduta. Per noi, infatti, tale sospensione può anche essere eterna, ma il problema è che si è già svolto l'esame in sede di Commissione.
Segnalo che la stessa Commissione ha già espresso il proprio parere su tutte le proposte emendative presentate e non riteniamo corretto che quando, in sede di Assemblea, si sta per avviare la discussione sul complesso delle proposte emendative presentate, il presidente della stessa Commissione giustizia richieda una sospensione dei lavori.
Il tempo può anche essere limitato - dal momento che sono limitate le modifiche ai pareri espressi che si intendono apportare -, tuttavia si tratta, a nostro avviso, di una questione di principio. Pertanto, se deve essere accolta la richiesta di sospensione, signor Presidente, allora tanto varrebbe rinviare l'esame del provvedimento in Commissione e rivederci a settembre!
Non si tratta solo di sospendere i lavori per dieci minuti, perché il problema è tener fede al lavoro già svolto dalla Commissione giustizia, e vorrei rilevare che il presidente di tale organo dovrebbe essere il garante dell'attività già svolta.
Credo, pertanto, che l'Assemblea sia in condizione di procedere con l'esame del provvedimento all'ordine del giorno. Non riteniamo necessarie ulteriori sospensioni: anzi, le consideriamo del tutto controproducenti (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, mi sembra che, in questa vicenda, siano già capitate un po' troppe stranezze. Vedo l'onorevole Di Pietro in aula - mi rivolgo a lei per rispetto nei suoi confronti, onorevole Di Pietro: la mia era solo una cortesia - e, tra le varie stranezze di questo dibattito sull'ordine dei lavori, vorrei citare il comunicato emesso, ieri sera, dall'ufficio stampa del Ministero delle infrastrutture, il quale ci ha informato riguardo ad una sorta di «autosospensione».
Tale comunicato, infatti, afferma che, visto il perdurare del silenzio da parte dei leader del centrosinistra, il ministro delle infrastrutture ha sospeso gli incontri e le attività a data da destinarsi per dedicarsi alla questione dell'indulto.
Si tratta, a mio avviso, di una stranezza: non credo, infatti, che la nostraPag. 44Costituzione preveda il congelamento o l'autosospensione da incarichi di Governo. Rispetto comunque fino in fondo, naturalmente, il parere del ministro, il quale è evidentemente contrario all'approvazione del provvedimento in esame, così come lo sono, d'altronde, alcuni gruppi parlamentari.
Vorrei tuttavia rivolgere una richiesta alla Presidenza. In questo caso, qualcuno - il Presidente del Consiglio dei ministri, oppure il Vicepresidente del Consiglio, dal momento che è presente in Assemblea - deve chiarire la dinamica alla base degli eventi che si stanno dipanando; in caso contrario, si tratterebbe veramente di aggiungere stranezza a stranezza (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale); oltretutto, si inserirebbero, nell'ambito di una vicenda già di per sé complicata, ulteriori questioni che la renderanno, inevitabilmente, indistricabile!
Vorrei aggiungere che, in materia di indulto, anche in passato sono state espresse opinioni diverse. Tutti noi conosciamo la situazione carceraria: ebbene, oggi è il 25 luglio, ed i gruppi contrari alla concessione dell'indulto possono seguire due strade. La prima via è esprimere la propria contrarietà e cercare di convincere della bontà delle loro ragioni chi, come me, la pensa diversamente.
L'altra strada è quella di ricorrere all'ostruzionismo parlamentare, che consentirebbe al Presidente della Camera di applicare il contingentamento nel calendario successivo, vale a dire nei primi giorni di agosto.
L'unico risultato sarebbe non tanto quello di far ritornare i deputati ad agosto - perché questo è nostro dovere e, dunque, torneremmo -, quanto quello di rendere ancora più difficile la situazione carceraria in ordine ad attese che si sono prodotte anche a causa del fatto che il ministro della giustizia del vostro Governo, qualche settimana fa, è andato ad evocare questo tema nelle carceri, mentre tutti sappiamo che questo non è un tema da evocare nelle carceri (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)! Infatti, una classe politica seria o accetta di andare avanti sulla strada delle decisioni oppure, con rispetto, assume una decisione diversa. L'unica cosa che non può fare è andare irresponsabilmente ad evocare questo tema nelle carceri, giocando con le attese dei detenuti.
In definitiva, onorevole Presidente Bertinotti, il presidente Pisicchio ha chiesto una interruzione di dieci minuti. Da semplice parlamentare, dico al presidente della II Commissione che io e il mio gruppo le concediamo volentieri dieci minuti di sospensione; non solo dieci minuti: mezz'ora, un'ora, ma lei ci deve dire quali sono gli elementi nuovi che devono essere esaminati dal Comitato dei nove. Altrimenti, è un'assurdità; qui si stanno stravolgendo le regole!
Come sottolineato dall'onorevole Elio Vito, il problema non sono i dieci minuti, in quanto siamo di fronte ad una questione di principio. A cosa serve questa sospensione? Vi sono elementi nuovi? Devono essere presentati ulteriori emendamenti?
Presidente Pisicchio, se ci chiarisce questo aspetto, possiamo anche essere d'accordo in ordine alla sospensione, altrimenti - Presidente Bertinotti - sono convinto che lei, come sempre ha fatto, sarà garante della regolarità delle procedure. Ciascuno si dovrà assumere la responsabilità davanti al paese di dire «sì» o «no» all'indulto.
Auspico che i gruppi dell'opposizione - come ha fatto Alleanza nazionale attraverso il presidente La Russa - si assumano la responsabilità di dire «no» all'indulto senza ricorrere all'ostruzionismo che, in questo caso, significa giocare con le attese dei detenuti (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato La Russa. Ne ha facoltà.
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IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, dico subito che siamo contrari alla proposta di sospensione anche di un solo minuto, in quanto - grazie ai colleghi dell'Italia dei Valori - siamo nella condizione di fornire risposta al quesito posto dall'onorevole Casini in ordine a quale sia la motivazione di tale sospensione.
Credo che il contrasto evidente esistente all'interno della maggioranza spinga l'Italia dei Valori a presentare tardivamente una «pezza» che farebbe diventare ancora più arlecchinesca l'intera coloritura di questo provvedimento. Credo cioè che i deputati dell'Italia dei Valori abbiano lecitamente in animo - ma dovevano pensarci prima - che il termine dal quale comincerà a decorrere la possibilità di godere dell'indulto non sia più quello del 2 maggio 2006, ma sia legato alla situazione dei reati passati in giudicato.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi sembra si stia discutendo di situazioni che ci consentono di denunciare una sorta di gioco delle parti.
Caro onorevole Di Pietro, occorre essere chiari: non è necessario fare ostruzionismo e noi non ne faremo. È necessario consentire che il Parlamento decida liberamente se intende concedere l'indulto o se invece ritenga - come noi riteniamo - che ciò non sia utile allo svuotamento delle carceri, che a nostro avviso, dopo tre mesi, in mancanza di altri seri provvedimenti, si riempirebbero nuovamente. Il tentativo di approvare norme che consentano che gli amici escano dal carcere e che i nemici restino nel carcere non trova alcun accoglimento da parte nostra (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale e di deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Donadi. Ne ha facoltà.
MASSIMO DONADI. Signor Presidente, intervengo per esprimere l'appoggio dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori alla richiesta di sospensione formulata dal presidente Pisicchio.
Ho ascoltato parole, frasi, ma soprattutto toni, che mi sembrano veramente poco pertinenti con l'oggetto della discussione attuale.
Mi è parso di percepire nelle sue parole, onorevole Vito, - lo dico con il massimo rispetto nei suoi confronti - quasi un timore rispetto al fatto che chissà cosa di drammatico questa sospensione possa cambiare negli equilibri di un indulto, che, evidentemente, si ritiene di aver già concordato nei termini e nei contenuti.
Devo dirlo con uguale rispetto: ho sentito negli altri interventi tutta una serie di considerazioni, condivisibili o meno, a seconda dei punti di vista, probabilmente più consone a un contenzioso elettorale, piuttosto che a un confronto parlamentare su un aspetto che mi pare limitato e puramente tecnico, ovvero quello di concedere o meno questo breve termine di riflessione.
Da parte nostra, la chiarezza dei nostri comportamenti e la mancanza di qualsiasi intenzione di accedere ad «accordicchi» e piccole contrattazioni dell'ultimo minuto saranno manifestate, nelle prossime ore, con il nostro comportamento in aula. Il nostro comportamento non avrà nulla di ostruzionistico e, semplicemente, cercherà, attraverso il contributo che ognuno dei deputati del nostro gruppo tenterà di fornire a un dibattito chiaro, articolato e preciso, rispetto a un tema che riteniamo centrale, importante e cruciale per tanti aspetti della vita del nostro paese, di apportare quella dignità e quella ampiezza che merita un simile argomento.
Mi sembrano assolutamente fuori luogo le considerazioni svolte in questa sede nei confronti del ministro di Pietro, ma non credo che egli abbia bisogno di difensori. Per questo motivo, esprimiamo il nostro consenso a questa breve interruzione (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Franceschini. Ne ha facoltà.
DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, mi pare che, fino ad oggi, siamoPag. 46riusciti positivamente ad affrontare il tema di un provvedimento di clemenza, che richiede, come sappiamo, la maggioranza dei due terzi dei componenti su ciascun articolo e sul voto finale, tenendo in qualche modo slegato il dibattito politico dal confronto normale tra maggioranza ed opposizione.
Credo che, sulla base del testo approvato dalla Commissione, l'esigenza di dieci minuti o di un quarto d'ora di sospensione per verificare la praticabilità e l'accoglimento di alcuni elementi, che non cambiano la natura del provvedimento - lo dico rispetto a quanto dichiarato dal presidente La Russa -, per quel che riguarda il gruppo dell'Ulivo, non abbia nulla a che vedere con la data rispetto alla quale verrebbe applicato il provvedimento di clemenza.
Credo che tale sospensione sarebbe utile per consentire di raggiungere il quorum dei due terzi dei componenti. Se, invece, prevalesse la volontà di fare apparire all'esterno ciò che è utile, piuttosto che cercare utilmente di concorrere ad una soluzione che metta insieme i due terzi dei componenti di quest'Assemblea, potremmo scegliere un'altra strada.
Siccome mi pare, signor Presidente, anche rispetto agli appelli che lei ci ha rivolto in questi giorni, che sia utile cercare di costruire questa intesa, ritengo sia assolutamente fisiologico e normale dare tempo alla Commissione di riunirsi un quarto d'ora, per vedere se è praticabile una soluzione che ci consenta di raggiungere il quorum previsto (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gibelli. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, io mi rivolgo particolarmente a lei per un invito formale sulla necessità assoluta di garantire il rispetto delle regole che la Camera si è data in questi anni.
Non possiamo accettare che, magari attraverso una votazione dell'Assemblea, si tenti di forzare una condizione politica che vede una componente della maggioranza fare palesemente ostruzionismo rispetto all'attività e alle scelte della propria maggioranza e del proprio Governo. Non vogliamo e, quindi, non accettiamo la possibilità che si interrompano i lavori parlamentari, perché siamo oltre il tempo massimo.
Il tempo richiesto, al di là dei dieci minuti, che non sono importanti in quanto tali, non può diventare un modo per trovare un ulteriore artifizio per la componente capitanata e guidata dal ministro Di Pietro, che chiamo ex ministro, perché non si comprende fino in fondo che cosa intenda dire quando congela le proprie funzioni, visto che ci sono milioni di persone sulle strade che hanno bisogno di un ministro che si occupi di infrastrutture, quando, per questioni di lana caprina, viene qui a fare il primo della classe e a dirci che sta nella maggioranza di Governo, un giorno sì e dieci minuti no, per permettere al Comitato dei nove di intervenire (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
Perché le chiedo, come hanno già fatto i miei colleghi, di rispettare il regolamento? Perché non vorrei che accadesse che, dopo gli interventi delle numerose persone appartenenti al gruppo dell'Italia dei Valori che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti con una chiara azione ostruzionistica, si giungesse all'applicazione dell'articolo 44 del regolamento. Probabilmente, il ministro Di Pietro è più abituato a Porta a Porta che alle aule del Parlamento...
Signor Presidente Bertinotti, mi rivolgo a lei: non vorrei che, dopo aver visto l'elenco dei colleghi dell'Italia dei Valori che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti per svolgere chiaramente un'azione ostruzionistica, qualcuno, magari seduto vicino all'onorevole Franceschini, chieda l'interruzione della discussione, ai sensi dell'articolo 44 del regolamento. Tale meccanismo consentirebbe di chiudere la discussione e permetterebbe al ministro Di Pietro di affermare di portarePag. 47avanti la sua azione ostruzionistica sapendo benissimo che ciò non avverrà.
Allora, le chiedo di consentire il proseguimento dei lavori. Questa Assemblea non può accettare di mettere delle «pezze» a tale provvedimento: oggi, si chiede di essere a favore o contro l'indulto. O si sta in questa maggioranza o non si sta in questa maggioranza; e non si può decidere a giorni alterni, come fa qualcuno che nelle piazze grida vergogna rispetto a questo provvedimento, mentre continua a sedersi nei banchi del Governo, facendo finta di niente (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Per quanto riguarda la Presidenza, faccio soltanto notare, per evitare polemiche a mio giudizio sovrabbondanti, che il ministro Di Pietro è presente nei banchi del Governo, come è suo diritto, naturalmente senza intervenire nel dibattito.
Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, noi ci rimettiamo alla sua autorevolezza. Lei ha sotto gli occhi il clima di ricatto politico con cui la maggioranza e il Parlamento stanno affrontando un serio atto di giustizia e di responsabilità. L'indulto non può essere una merce di scambio. L'atto di clemenza o di giustizia erga omnes non deve essere barattato con regole ed eccezioni palesemente costruite per coprire o colpire Tizio, Caio e Sempronio.
Il nostro gruppo - Democrazia Cristiana-Partito Socialista - ovviamente è favorevole all'indulto, all'amnistia, ad una completa revisione del sistema carcerario, nonché ad una completa revisione del sistema di giustizia, con la speranza, infine, non tanto recondita, che il ministro Di Pietro mantenga la sua minaccia e vada finalmente a casa. Il motivo che non possiamo nascondere è che proviamo vergogna per il giudizio che l'Europa esprime sul nostro sistema carcerario e sulla nostra giustizia. Non si può portare avanti un ministero da pubblici ministeri. I pubblici ministeri devono fare i pubblici ministeri e non devono stare in questo Parlamento. Egli non può continuare a ricattare il suo gruppo, imponendo ai suoi appartenenti di parlare ad ogni costo, pur sapendo che molti di loro sono a favore dell'indulto. Non sono uomini liberi; è l'Italia dei dis-valori !
FEDERICO PALOMBA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, in questa sede si stanno stravolgendo le regole del gioco. Il presidente Pisicchio ha chiesto legittimamente, a termini di regolamento, la riunione del Comitato dei nove, poiché è data a quest'ultimo organo la possibilità di proporre autonomamente nuovi emendamenti. Il gruppo dell'Italia dei Valori ritiene di dover proporre alla Commissione, attraverso il Comitato dei nove, una seria proposta emendativa: non vediamo niente di stravolgente rispetto a ciò che la Commissione può liberamente e autonomamente decidere. Faccio parte del gruppo dell'Italia dei Valori e voglio dire al collega che mi ha preceduto che mi sento pienamente libero, forse più libero di quanto egli non si senta nel suo gruppo, e non gli permetto minimamente di insultare alcuno dei deputati di questo Parlamento, i quali sono tutti liberi, fino a prova contraria (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori)!
Inoltre, signor Presidente, non ho bisogno di prendere le difese di alcuno. Tuttavia, se l'intervento nei confronti del ministro Di Pietro volesse significare che c'è qualcuno a sovranità politica limitata, questo lo si deve dimenticare! Ad ognuno, tanto più ad un leader di un partito che ha manifestato, e confermato, la piena fiducia alla maggioranza ed al Governo, deve essere consentito di esprimere le sue opinioni e posizioni nel modo da lui ritenuto più opportuno, senza che alcuno possa ergersi a giudice!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Raiti, (Commenti), naturalmente sull'ordine dei lavori. Ne ha facoltà.
SALVATORE RAITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sento il dovere di intervenire, non foss'altro che per puntualizzare, per rispondere ad affermazioni di un collega della Lega che, per il pulpito dal quale provengono...
PRESIDENTE. Per favore, vorrei che lei si attenesse all'ordine dei lavori.
SALVATORE RAITI. Certo, signor Presidente, mi sto sforzando di seguire un percorso logico per far capire la ragione per la quale chiederò di procedere in un certo modo relativamente all'ordine dei lavori.
Il collega della Lega si è sforzato, in maniera impropria, nel compito di offendere l'attività del ministro delle infrastrutture, quando il gruppo dell'Italia dei Valori, con il suo presidente, non sta conducendo altro che una battaglia politica nella quale non soltanto ci siamo spesi nel corso di questi anni, ma abbiamo chiesto il voto, dapprima durante le primarie e, successivamente, alle elezioni politiche. Non si possono sentire certe affermazioni da parte del collega della Lega, il quale dimentica che, spesso, nel corso nella precedente legislatura, i ministri del suo partito saltavano a piazza Montecitorio al grido di: «Chi non salta italiano è!», offendendo, in tal modo, tutto il popolo italiano (Commenti dei deputati della Lega Nord Padania)!
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, ma che ordine è?
SALVATORE RAITI. Oggi, si viene ad attaccare un ministro che, nel corso della sua attività istituzionale...
PRESIDENTE. Per favore, la prego!
SALVATORE RAITI. ...sto arrivando alla conclusione, signor Presidente ... sia per ore sia per qualità di lavoro, ha già svolto più di un mandato rispetto al ministro precedente! Lo dico soltanto per ribadire che noi ci sforziamo di essere (Commenti)...
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia! Invito tutti ad avere pazienza e chi parla a concludere.
SALVATORE RAITI. Sto arrivando alla conclusione, signor Presidente.
PRESIDENTE. Lei sa che, per consuetudine, parla un solo deputato per gruppo, mentre io sto permettendo ulteriori interventi sull'ordine dei lavori, in ragione degli argomenti trattati; però, prego anche lei di favorire la conclusione.
SALVATORE RAITI. La ringrazio, signor Presidente: favorirò subito la conclusione.
Dicevo che noi ci sforziamo di essere una forza moderata ed equilibrata. Il contesto nel quale ci muoviamo ci porta a dire che la richiesta di una sospensione di dieci minuti va nella direzione di un ulteriore confronto propositivo, per trovare una strada che ci possa consentire di soddisfare esigenze opposte e che, comunque, come accade nella politica, spesso possono trovare una sintesi. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei.
Come loro capiscono, siamo ad un passaggio molto delicato, cui corrisponde nel paese un'attesa assai grande. Ho sentito richiami al senso di responsabilità di tutti e debbo dire che da qualunque parte essi vengano mi sembrano assolutamente da accogliere.
Vorrei far notare, tuttavia, che i riferimenti al regolamento mi sembrano francamente difficili da accogliere: come loro sanno, la Commissione ed il Governo possono presentare emendamenti, subemendamenti ed articoli aggiuntivi fino a che sia iniziata la votazione dell'articolo. Dunque, è assai evidente che esiste la facoltà della Commissione, in questo caso del Comitato dei nove, di potersi disporre a tale bisogna.Pag. 49
Tuttavia, è stata posta una domanda al presidente Pisicchio: di formulare la motivazione sulla base della quale viene richiesta la sospensione della seduta.
Il presidente ha seguito l'andamento della discussione e credo, quindi, sarebbe utile fare uno sforzo - ma chiedo appunto a lei, presidente Pisicchio, ragguagli in merito a tale possibilità - per poter diluire tale richiesta in un ambito di conoscenze che ne consentano una più precisa motivazione, alla luce della quale eventualmente si possa valutare.
Per tale ragione, le chiedo, presidente Pisicchio - in caso contrario, naturalmente, non potrei che accogliere la sua richiesta - se possibile, di soprassedere alla richiesta medesima, in modo da consentire l'apertura del dibattito sul complesso degli emendamenti e nel caso emergessero, durante il dibattito, ragioni che facessero ritenere a lei ed al Comitato dei nove di necessitare di una rapida valutazione, chiederei a tutta l'Assemblea di accogliere - in tal caso - la richiesta, in modo da consentire - accolta o no che fosse - una prosecuzione ordinaria dei lavori.
Prego, presidente Pisicchio, ha facoltà di parlare.
PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, desidererei certamente accogliere il suo invito. Tuttavia, mi permetterò di insistere nella richiesta di sospensione della seduta, per una ragione. Credo che onestamente nessuno dei miei colleghi della Commissione giustizia possa immaginare - o sostenere - di aver visto il presidente della stessa Commissione giustizia in una dimensione diversa dal tentativo di sviluppare un momento di equilibrio e di sottolineatura delle regole che hanno, in modo onesto, trasparente ed assolutamente sgombro da pregiudiziali ideologiche, animato il dibattito nella Commissione medesima.
Qual è stato l'intento di ciò? Quello di arrivare ad una determinazione che fosse davvero comprensiva delle ragioni, altissime e forti, di umanità - ed al tempo stesso di giustizia - che lo stesso tema del provvedimento di clemenza evoca. Questo è il motivo per cui ritengo che, a fronte della richiesta che viene formulata da un gruppo - a questo punto, attraverso una richiesta rivolta al Comitato dei nove - che ha già anticipato di rapportarsi a questo provvedimento con uno spirito collaborativo sì, ma non di rispecchiamento dello schema proposto all'Assemblea, il dovere di un presidente di Commissione, proprio ricorrendo l'obiettivo di un risultato armonioso ed il più possibile coerente con le premesse che hanno così utilmente animato il nostro lavoro in Commissione, sia verificare se è possibile raggiungere l'obiettivo di una convergenza.
La richiesta formulata in Commissione in modo formale dall'onorevole Palomba, quale capogruppo dell'Italia dei Valori, concerne le condizioni di applicabilità dell'indulto. Credo che se fosse già stata accolta la richiesta di sospensione per dieci minuti, a quest'ora avremmo utilmente impiegato il nostro tempo, ma conosciamo bene le procedure parlamentari e l'importanza di questo provvedimento.
In ragione di ciò, signor Presidente, mi permetto di rinnovarle la richiesta della concessione di una pausa.
PRESIDENTE. Hanno chiesto la parola i deputati Volontè e Capotosti. Proporrei, in ogni caso, ascoltati i due deputati che hanno chiesto la parola, di concludere la discussione su questo punto.
Prego, deputato Volontè, ha facoltà di parlare.
LUCA VOLONTÈ. Presidente, mi consenta. Intervengo solo per chiederle - non so, a questo punto, lei cosa deciderà, se concedere tale pausa subito o alla fine della discussione sulle proposte emendative -, considerata la delicatezza dell'argomento ed anche del momento in cui ci troviamo in quest'aula, in cui vi è un ministro che sulle prime pagine dei giornali dichiara di essersi «autosospeso», di domandare al ministro della giustizia, con tutto il rispetto per il sottosegretario, di essere presente. Ciò perché la presenza del ministro della giustizia possa in qualchePag. 50modo dimostrare quanto al Governo può essere rappresentato anche in quest'aula rispetto ad un argomento che sulle pagine dei giornali sta a tutti a cuore e poi, invece, in quest'aula, senza niente togliere agli altri ministri presenti, viene però rappresentato dal responsabile del dicastero.
PRESIDENTE. Prego, deputato Capotosti, ha facoltà di parlare.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, con tutto il rispetto per il presidente della Commissione giustizia, come membro del Comitato dei nove ritengo opportuno sostenere le ragioni formulate dalla Presidenza; infatti, ritengo che sarebbe opportuno dare corso alla discussione per poi, laddove emergessero situazioni particolari, provvedere ad una sospensione.
Al momento mi sembra che non ce ne siano i presupposti. A tal proposito vorrei rimarcare che questo provvedimento - come è stato già detto tante volte - è un provvedimento di natura parlamentare e siamo qui per questo.
PRESIDENTE. Malgrado la mia sollecitazione, ha chiesto la parola il deputato Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, ho chiesto di parlare per intervenire sull'argomento e, chiaramente, per invitare sia lei sia l'Assemblea a non assecondare la richiesta del presidente Pisicchio, la cui cortesia, anche sotto il profilo istituzionale, è ampiamente riconosciuta sia da me personalmente sia dal mio gruppo; però, mi sembra che questa richiesta sia alquanto irrituale come è già stato detto poco fa.
Noi siamo arrivati in aula alle 15 pronti ad entrare nel merito del provvedimento; infatti, siamo in sede di interventi sul complesso degli emendamenti. Alle 14 c'è stata una riunione del Comitato dei nove e in quella riunione nessuno - neanche i rappresentanti del gruppo dell'Italia dei Valori - ha sollevato eccezioni. C'è stata anche un'esplicita richiesta del presidente a fronte del parere negativo su tutti gli emendamenti da parte del relatore di, eventualmente, entrare nel merito nel corso della discussione e di chiedere ulteriori approfondimenti.
Allora qual è il fatto nuovo che dovrebbe far riconvocare il Comitato dei nove, senza essere entrati nella discussione articolo per articolo ed emendamento per emendamento?
Lei, signor Presidente, ha fatto bene a chiedere maggiori chiarimenti al presidente Pisicchio. Che cosa è cambiato se il gruppo Italia dei Valori o il ministro Di Pietro vogliono presentare degli emendamenti nuovi ed aggiuntivi? Potevano farlo prima, potevano presentare la richiesta alle 14 nel Comitato dei nove e non sicuramente adesso; oppure richiamiamo il regolamento: qualunque emendamento nuovo può essere presentato dal relatore o dal Governo. A questo punto intervenga il Governo.
PRESIDENTE. Mi sembra che abbiamo sentito tutta la gamma delle opinioni e io stesso ho avanzato una proposta che pensavo potesse tenere conto dell'andamento della discussione in cui tutti gli elementi sono stati sviscerati.
Noi rischiamo, però, di infilarci in una strada senza via di uscita; quindi, formulo, per l'ultima volta, al presidente Pisicchio la domanda: intende mantenere la sua richiesta?
PINO PISICCHIO, Presidente della II Commissione. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Sospendo pertanto brevemente la seduta per consentire al Comitato dei nove di riunirsi.
La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16,35.
Preavviso di votazioni elettroniche.
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorronoPag. 51da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.
Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 525-bis ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato D'Elia. Ne ha facoltà...
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, chiedo di parlare ai sensi dell'articolo 40 del regolamento.
PRESIDENTE. Mi scusi, ma ho dato la parola al deputato D'Elia sul complesso delle proposte emendative.
Prego, deputato D'Elia.
ANTONIO BORGHESI. Presidente, è la seconda volta che mi impedisce di parlare! È la seconda volta! Protesto!
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, intervengo a nome del gruppo della Rosa nel Pugno, ma non utilizzerò tutto il tempo a nostra disposizione. Evidentemente, non si tratterà di un intervento ostruzionistico. Ritengo che i lavori debbano procedere speditamente in questa fase di discussione del provvedimento, ma credo anche che il dibattito vada onorato essendo la questione molto importante.
Colleghe e colleghi, la disastrosa situazione delle carceri e, più in generale, la non amministrazione della giustizia nel nostro paese costituiscono ormai la prima e principale questione sociale in Italia; questione, è il caso di ricordarlo, per cui lo Stato italiano viene condannato ripetutamente da molti anni per violazione di diritti umani fondamentali. Una situazione di cui - va detto con nettezza - sono responsabili sia le maggioranze sia le opposizioni che si sono succedute, almeno negli ultimi vent'anni, e che ora è giusto sia affrontata con senso di responsabilità sia dalla maggioranza sia dall'opposizione di oggi.
Non si tratta solo della condizione delle carceri, nelle quali oltre 61 mila detenuti sono ammassati in celle che potrebbero contenerne al massimo 43 mila. Si tratta anche e soprattutto della vita e della dignità di almeno 18 milioni di cittadini italiani. Stiamo parlando del 30 per cento della popolazione italiana in attesa, anche da dieci o quindici anni, di una decisione giudiziaria, essendo parte in causa negli attuali 9 milioni e mezzo di processi pendenti. Per questo, oltre all'indulto, vogliamo sia approvata anche un'amnistia, la più ampia possibile, che possa immediatamente ridurre di almeno un terzo il carico processuale che sta soffocando l'amministrazione della giustizia perché essa possa, liberata dai processi meno gravi, proficuamente impegnarsi a concludere quelli più gravi.
Intanto, e a condizione che dopo segua anche l'amnistia, va bene l'indulto, che tuttavia avremmo voluto senza esclusioni, che, se hanno senso nel caso dell'amnistia, che cancella il reato, sono assolutamente ingiustificate per un provvedimento che incide solo sull'entità della pena. Ciò perché chi è stato condannato per un reato grave usufruirà dell'indulto dopo molti - e negli ultimi - anni di espiazione di una pena che si presume commisurata alla gravità del reato commesso. Un indulto non generalizzato come questo equivale, di fatto, ad un ulteriore grado di giudizio che aggrava la pena di chi sta già espiando una condanna pesante, si presume, tanto quanto il fatto commesso.
La proposta di indulto della Rosa nel Pugno era volta a sgravare di almeno un terzo il carico umano che soffre in tutte le sue componenti - non solo i detenuti, ma anche gli operatori penitenziari, gli agenti di polizia penitenziaria, il personale amministrativo - per la condizione disastrosa delle prigioni. Anche se la proposta in discussione non ci appare adeguata a questo obiettivo, comunque la voteremo, tuttavia ci opporremo a tutti gli emendamenti volti a ridurre ulteriormente la portata diPag. 52un provvedimento già ridotto ai minimi termini; siamo ai livelli dell'indultino di qualche anno fa!
Il fatto che la maggioranza e il Governo, nella scorsa legislatura, abbiano deciso di affrontare alcuni, pochi, aspetti della crisi della giustizia nel nostro paese, sulla spinta di alcuni e pochi casi o interessi individuali, per cui si è parlato giustamente di leggi ad personam, non è una buona ragione per contraccambiare oggi, e specularmente, introducendo nel provvedimento che stiamo discutendo e che affronta un solo aspetto della crisi della giustizia, quello del sistema penitenziario, esclusioni odiose, politiche o addirittura personali. Alle leggi ad personam non possiamo rispondere con le leggi contra personam.
Non possiamo andare avanti così, chiedendoci ogni volta a chi giovi o a chi nuoccia questa o quella legge, questo o quell'articolo, questo o quell'emendamento. Sgombriamo quindi il campo dalla casistica individuale, da antipatie o simpatie personali, ma pure dai travagli da Stato etico, dai «grilli parlanti» giustizialisti e dalla demagogia dei luoghi comuni sulla sicurezza sociale e sulla certezza della pena. Chi ha veramente a cuore il problema della sicurezza sociale sa che la soluzione non sta nella politica propagandistica sulla certezza della pena intesa volgarmente come lo sbattere in cella una persona e buttare via la chiave, ma in quella volta ad affermare la legalità e soprattutto ad aumentare la probabilità che chi ha commesso un delitto sia individuato e ne risponda in un'aula di giustizia.
Se l'80-90 per cento dei reati - sono due milioni e mezzo di reati ogni anno - resta impunito, nel senso che non è stato individuato l'autore, il problema per la sicurezza sociale è soprattutto questo, e non certo quello della certezza della pena. È la certezza dell'arresto e del processo, non l'entità o la durata effettiva della pena, il vero deterrente contro la criminalità. Chi si oppone all'indulto dimentica che in molti casi è il carcere stesso a portare alla commissione di nuovi reati. I dati dicono che, se la percentuale della recidiva è del 75 per cento nei casi di detenuti che scontano per intero la condanna in carcere, questa si abbassa drasticamente al 27 per cento nel caso, ad esempio, dei tossicodipendenti condannati che scontano una parte della condanna in affidamento ai servizi sociali e si abbassa al 12 per cento nel caso di non tossicodipendenti affidati ai servizi sociali. L'indulto, è bene chiarirlo, come l'amnistia, non è un atto di clemenza. È innanzitutto un atto volto al ripristino della legalità e al buon governo di un'emergenza che rischia di divenire irreversibile e di tramutarsi in catastrofe vera e propria dell'amministrazione del carcere e della giustizia.
L'indulto è lo strumento tecnico a disposizione del Parlamento per interrompere e rendere possibile l'uscita da una situazione di flagrante illegalità, nella quale si trova il carcere in Italia: 61 mila detenuti, ristretti - è proprio il caso di dirlo - in spazi che potrebbero contenerne al massimo 43 mila, rappresentano la cifra di questa illegalità. Nelle condizioni attuali del carcere, è la stessa legge penitenziaria a non poter essere applicata. Ricordo che il regolamento penitenziario varato nel 2000 e che doveva entrare in vigore entro il 2005 è rimasto lettera morta. È ridotto il lavoro per i detenuti, sono impossibilitati i corsi professionali in carcere e le attività risocializzanti, tutto lo spazio esistente è adibito a cella e a posto letto, con letti a castello che arrivano ad un palmo dal soffitto e con detenuti costretti a stare sdraiati ventidue ore al giorno e a fare i turni per poter sgranchirsi le gambe o andare in bagno.
Gli operatori penitenziari, gli educatori, gli psicologi, gli assistenti sociali e i magistrati di sorveglianza, che sono le figure chiave per il trattamento finalizzato al reinserimento nella società, non sono in grado di trattare e rieducare, reinserire nella società una popolazione così numerosa, che resta quindi buttata in carcere, come se fosse immondizia. In queste condizioni, non è un caso che in carcere ci si suicidi diciannove volte di più rispetto aPag. 53fuori. Nel 2005, i suicidi sono stati almeno cinquantasette, senza tener conto di altri ventidue casi di detenuti morti, come si suol dire, per cause non ancora accertate, per cui sono ancora in corso le inchieste della magistratura sui reali motivi del decesso.
Nei primi tre mesi del 2006, si sono tolti la vita almeno quattordici detenuti, mentre altri sei sono morti per malattia, o sarebbe meglio dire a causa di un'assistenza sanitaria disastrata dal taglio di fondi, che sono diminuiti del 20 per cento negli ultimi anni, a fronte invece dell'aumento dei detenuti. L'indulto è uno strumento volto non solo a ripristinare la legalità violata nelle carceri, ma anche a conquistare il tempo necessario per porre mano a tutte le proposte che giacciono nei cassetti, finalizzate ad una riforma delle carceri e della giustizia nel nostro paese.
Colleghi e colleghi, approvando questa legge - intanto sull'indulto, ma subito dopo l'estate approvando anche una legge sull'amnistia -, la Camera dei deputati può dire di avere iniziato a fare la sua parte nella difesa dello Stato di diritto, per la civiltà e l'umanità nelle prigioni e per la riforma della giustizia nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi deputati, siamo chiamati ad adottare un provvedimento in una materia che credo sia forse la più delicata in un sistema di divisione dei poteri. Siamo chiamati cioè ad approvare, per legge, un provvedimento che mette nel nulla una sentenza validamente espressa da una magistratura penale.
Questo è certamente il punto limite e di confine tra il potere legislativo ed il potere giudiziario, per molti versi ancora più significativo di quanto non possa essere un provvedimento di amnistia e, di certo, più importante di una normale disciplina del codice penale. È il primo provvedimento che la Camera dei deputati adotta e che viene definito di clemenza, disciplinata dall'articolo 79 della Costituzione e ripresa dall'articolo 134 del codice penale. Quest'ultimo fa espressamente riferimento all'indulto come causa di estinzione totale o parziale di una pena che sia stata accertata in sede giudiziaria.
Noi avremmo immaginato che questo provvedimento, come peraltro previsto nel programma dell'Unione, sarebbe stato approvato insieme e contestualmente alla riforma del codice penale ed in subordine o, comunque, in armonia con tale riforma. Tuttavia, abbiamo una proposta di un indulto, peraltro senza amnistia, che è in contrasto con le ipotesi che la stessa Unione s'era data come possibile riforma del codice penale.
Si dice che questo provvedimento è necessario per lo svuotamento delle carceri. Noi dell'Italia dei Valori siamo convinti che i provvedimenti di clemenza devono essere applicati, in quanto previsti dalla Costituzione, ma come elemento in armonia e non in disarmonia rispetto al complessivo sistema politico. Tali provvedimenti devono accompagnarsi ad interventi per rendere più umane le condizioni di vita nelle carceri e, soprattutto, non devono disperdere l'obiettivo della rieducazione della pena e dell'umanizzazione delle carceri.
Questo provvedimento, nel testo proposto, a nostro avviso non risponde a tali requisiti, per alcune motivazioni che sono poi alla base di alcune proposte di modifica. Noi siamo, infatti, favorevoli all'approvazione di un provvedimento di clemenza, ma non vogliamo che esso diventi un colpo di spugna non soltanto per i reati già accertati, ma anche per quelli non ancora contestati né accertati.
Il primo elemento di valutazione si basa sulla scelta della data del 2 maggio 2006; i reati commessi entro quel termine beneficeranno dell'indulto. Ciò significa che tale misura rischia di diventare un bonus di impunità per ipotesi non ancora contestate, non ancora accertate e non ancora oggetto di un procedimento penale. Chiunque abbia commesso un illecito penalePag. 54prima del 2 maggio 2006 sa che, quand'anche venisse sottoposto ad un procedimento penale, fosse condannato o venisse confermata la condanna, potrà, tra tre, quattro o cinque anni, presentare, per così dire, un bonus di impunità in forza di un indulto approvato grazie al voto determinante di quella nuova maggioranza che dovrebbe governare in maniera diversa il nostro paese rispetto al quinquennio precedente.
Il secondo aspetto è il seguente: questo indulto esclude dalla sua applicazione alcuni reati in ragione dell'allarme sociale che procurano, ma non esclude alcune ipotesi da noi, invece, ritenute di grave allarme sociale. Non comprende la previsione di esclusione sottoposta al nostro esame, l'articolo 416-ter del codice penale; ricordo, al riguardo, che l'articolo 416-bis del codice, come è noto, fa riferimento all'associazione mafiosa. Ebbene, l'articolo 416-ter fa invece riferimento al voto di scambio mafioso. Applicando la previsione tenendo conto della data del 2 maggio del 2006, prevedendo, cioè, l'indulto anche per i reati consistenti in voti di scambio mafioso commessi prima di quella data, vale a dire anche con riferimento alle ultime elezioni del 9-10 aprile 2006 (dalle quali è nato questo Parlamento), avremmo la seguente conseguenza. Se vi fosse - certamente non vi sarà - qualche parlamentare che ha stretto un patto scellerato con un capomafia o con un mafioso, egli saprebbe che, se un giorno tale reato gli verrà contestato o verrà accertato o egli verrà condannato per averlo commesso nelle ultime elezioni del 9-10 aprile, potrà esibire un bonus di impunità che gli consentirebbe di non espiare la pena.
Noi riteniamo che tale reato sia di grave allarme sociale; lo è in particolare laddove la data del 2 maggio 2006 è riferita alla commissione del reato, e non all'accertamento dello stesso. Diverso sarebbe se si fossero considerati i reati accertati con sentenze passate in giudicato alla data del 2 maggio 2006: almeno, si sarebbe limitato l'effetto devastante, diseducativo, di incentivo all'illegalità del sistema proposto.
Noi riteniamo che costituiscano grave allarme sociale tutti i reati di cui al capo I e al capo II del titolo II e del titolo III del Libro Secondo del codice penale; in altre parole, i reati contro la pubblica amministrazione e quelli contro l'amministrazione della giustizia. Noi riteniamo che costituisca un reato di grave allarme sociale il peculato e che l'articolo 316-bis - malversazione a danno dello Stato - lo sia ugualmente. Riteniamo che la concussione, così come la corruzione in atti d'ufficio lo siano e che l'articolo 319-ter - corruzione in atti giudiziari - configuri certamente un reato di grave allarme sociale. Ma come si può non pensare che sia di grave allarme sociale l'ipotesi di un magistrato corrotto! Noi non vogliamo che possano avvalersi di tale indulto i magistrati corrotti; l'attuale proposta consente al magistrato corrotto, riconosciuto responsabile di corruzione, di avvalersi dell'indulto così come, ovviamente, anche al corruttore dei magistrati.
Noi riteniamo che le false informazioni rese al pubblico ministero siano un reato di grave allarme sociale e crediamo che lo sia altresì l'avvelenamento delle acque, come l'adulterazione alimentare.
È soltanto un'elencazione; tralascio, peraltro, di citare tutti i reati societari e fiscali. Noi crediamo che sia nel programma dell'Unione il penalizzare nuovamente il falso in bilancio; con questo indulto, sostanzialmente, garantiamo l'impunità a chi si sia reso responsabile di un falso in bilancio, ancorché non ancora accertato - ciò significa anche per il bilancio dell'anno corrente - e ancorché non ancora contestato. E, tra tre o quattro anni, noi avremo la soddisfazione di dire che qualcuno non espierà una pena perché ha ottenuto il bonus, approvato grazie ai voti determinanti dell'Unione.
Credo che tutto questo non sia un buon servizio e ritengo che non cominciamo ad affrontare nel modo migliore i temi della giustizia in questo Parlamento.
È vero, qualcuno può obiettare che vi sono 10 mila detenuti che vivono in condizioni assolutamente disumane e che non dovrebbero restare in carcere; mi permettoPag. 55di ricordare che si tratta in gran parte di detenuti per reati che per noi non sono di grave allarme sociale, per effetto dell'applicazione della cosiddetta legge Bossi-Fini. Se si vuole risolvere questo problema, basta approvare un articolo unico di depenalizzazione di questi reati e, l'indomani, 10 mila detenuti usciranno dal carcere senza bisogno di mandare un messaggio devastante, che sostanzialmente tiene in sequestro 10 mila persone, per garantire l'impunità presente e futura derivante dalla concessione del bonus di impunità, del quale ho parlato.
Siamo tutti attenti a seguire le vicende della giustizia sportiva e conosceremo questa sera la sorte degli arbitri e degli amministratori di società che hanno contribuito a falsare il sistema del calcio professionistico nel nostro paese; ebbene, noi sappiamo che, approvando questo indulto, Moggi e compari non potranno mai essere condannati per sentenze, perché quand'anche fosse accertata in sede penale la loro responsabilità, quand'anche venissero condannati ad espiare delle pene, queste rientrerebbero tutte per intero nella previsione di questo indulto.
Crediamo che i «furbetti di quartiere», come gli amministratori della Parmalat, che hanno depredato e derubato milioni di risparmiatori, sappiano che, con l'approvazione di questo indulto, non verranno mai sottoposti alle pene previste dall'attuale normativa. Lo stesso vale per i corruttori di magistrati e per i magistrati corrotti.
Riflettete, vi prego, sul senso che questo può avere nei riguardi delle Forze dell'ordine e dei magistrati, che saranno chiamati a svolgere indagini su reati che spesso comportano dei rischi; essi faranno pedinamenti, realizzeranno anche scontri a fuoco, sapendo che il destinatario dei loro provvedimenti ha in tasca un bonus di impunità che potrà spendere e utilizzare in qualunque momento, anche in futuro.
Credo che, con questo provvedimento, se dovesse essere approvato, daremmo un cattivo segnale, relativamente alla nostra concezione della cultura della legalità. I nostri emendamenti mirano invece a correggere l'indulto. In Commissione giustizia abbiamo tentato di invitare alla ragionevolezza, sostenendo di introdurre almeno la data del 2 maggio del 2006 per sentenze di condanna passate in giudicato e di limitare quanto meno l'effetto devastante della clausola di impunità garantita per il futuro, che questo testo finisce per introdurre. Abbiamo detto di escludere perlomeno i reati contro la pubblica amministrazione, i reati di corruzione, di applicare il provvedimento laddove si siano espiati almeno i due terzi della pena; ma sembra che i nostri appelli siano destinati a restare inascoltati. Continueremo ad insistere su questa posizione perché non ci rassegniamo all'idea che un indulto, atto di clemenza, possa essere un cavallo di Troia e possa essere utilizzato, con la scusa di tante migliaia di persone che vivono in drammatiche condizioni nelle carceri, per distribuire scampoli di impunità a personaggi che di tutto hanno bisogno tranne che di un atto di clemenza.
In altri tempi - fatemelo dire -, avremmo visto i responsabili politici nazionali dei partiti dell'Unione in piazza con noi, che siamo stati in tanti a dire «no» a questa vergogna. Vogliamo fare appello alla coerenza di questa Unione, alla coerenza di questa coalizione, alla speranza che abbiamo alimentato nel nostro paese, quando abbiamo detto che con noi si voltava pagina. Con questo provvedimento non si volta pagina. La maggioranza precedente - amici e compagni della nostra maggioranza - non si era mai permessa di presentare all'approvazione del Parlamento un provvedimento come quello che vi accingete a varare.
Con molta forza ripetiamo le nostre ragioni e vi diciamo: fermatevi! Riflettete! La coerenza di oggi vi ripagherà domani.
Noi per cinque anni non accettiamo di essere confusi con coloro i quali si sono prestati ad un patto scellerato che, con la scusa dei due terzi di maggioranza, realizza un risultato che nessuna maggioranza del passato si era mai permessa di ottenere. Quando parlate di questi argomenti, inoltre, fatemi la cortesia di rispettare i laici e chi è credente! Non citate ilPag. 56Santo Padre! Mi rifiuto di pensare che il Santo Padre avesse in testa di operare un colpo di spugna che andasse, magari, a favore di qualche finanziere d'assalto che si trova in qualche isola felice, in qualche paradiso fiscale, e che attende con trepidazione che il Parlamento approvi un provvedimento che lo renda esente da condanne, sia del passato sia future.
Con questi sentimenti, con queste posizioni, noi rivolgiamo un appello forte affinché il Parlamento, realizzando il massimo di unità possibile, possa elaborare un provvedimento di clemenza e non dia invece un colpo di spugna che rappresenterebbe una vergogna per questa istituzione (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Deputato Presidente, onorevoli colleghi, ritengo sia più che lecito, in un dibattito che a tratti ha assunto toni quasi da conformismo, esprimere un «no» non a rate o parziale, come quello pronunziato da chi mi ha preceduto, il quale ha detto «no» ad alcune norme ma di fatto «sì» all'indulto, bensì un «no» all'indulto in quanto tale. Questo è l'orientamento prevalente nel nostro gruppo, l'indicazione di voto che proviene da Alleanza Nazionale, oggi più volte ribadita dal presidente del partito, onorevole Gianfranco Fini, e dal presidente del gruppo, onorevole La Russa.
Diciamo ciò anche per distinguerci da un conformismo dei «sì» o dei falsi «no», che sono poi dei «nì». Quando si passerà al voto, mi auguro che chi ora esprime perplessità voti a favore degli identici emendamenti Gasparri 1.6 e Lussana 1.90 (i primi emendamenti che saranno votati dall'Assemblea), con i quali si chiede, senza entrare nei distinguo, la soppressione dell'articolo 1. A questo proposito, il presidente Casini, intervenendo nel corso del dibattito, ha detto che sono preferibili - di ciò gliene diamo atto -, in una differenza di posizione tra il suo e il nostro gruppo, le posizioni contrarie a quelle che fingono di esserlo ma che poi, alla fine, non saranno sufficientemente chiare. Ma ciò, come detto, lo vedremo quando si passerà al voto.
Noi riteniamo anche che si debba manifestare in questa sede la presenza di chi intende tutelare la gente comune. Non siamo insensibili ai problemi delle carceri e alle situazioni di emergenza in essere in quel settore. Avevamo chiesto più volte, anche nel corso delle settimane che hanno preceduto l'approdo in aula del provvedimento, di conoscere le intenzioni del Governo sull'edilizia carceraria, sul diritto penale e sulle pene alternative. Ma il ministro Mastella, al di là di un comizio tenuto a Regina Coeli, non l'abbiamo visto neanche oggi per sapere che cosa intenda fare in tema di giustizia, di edilizia carceraria e di ordinamento penale nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Perché il ministro Mastella non viene qui, in Assemblea, una volta smaltiti i postumi del succulento pranzo o della cena di nozze su cui gli organi di stampa ci hanno deliziato? Complimenti: abiti da 120 mila euro (Commenti)! Chissà che cosa avranno pensato di tutto ciò in carcere! Il ministro Mastella fa ancora in tempo a dirci cosa intenda fare, oltre a tenere, come detto, un comizio a Regina Coeli che abbiamo potuto seguire in televisione.
Colleghi, il mio gruppo non è contrario, ad esempio, ai meccanismi delle sanzioni alternative. Ma in questa sede vi sono parlamentari che, qualche giorno fa - mi riferisco ad un collega della sinistra -, hanno presentato un'interrogazione a risposta immediata per chiedere al Governo se alcune strutture dedite alla lotta alla tossicodipendenza (faccio riferimento alla Comunità Incontro di don Gelmini e alla Comunità di San Patrignano) avessero i requisiti adatti per poter accogliere al loro interno detenuti. Le leggi vigenti consentono, e la legge Giovanardi-Fini ha ampliato questa possibilità, di far uscire dal carcere tossicodipendenti, anche con condanne significative alle spalle, per trasferirsiPag. 57in comunità che sono sicuramente dei luoghi migliori delle strutture detentive carcerarie.
Alcuni giorni fa, persone che ora sono a favore dell'indulto hanno contestato la possibilità che quelle strutture accolgano detenuti, e il ministro della giustizia ha dato una risposta evasiva, impiegando ventiquattr'ore per dire che le strutture della Comunità Incontro o di San Patrignano possiedano i requisiti per poter svolgere una funzione di grande significato sociale: infatti, i tossicodipendenti che escono dal carcere e vanno nelle comunità fruiscono di misure alternative. Su questo punto, siamo aperti all'ampliamento di tali opportunità, ritenendo infatti che, per taluni reati meno gravi, le sanzioni che possono essere scontate fuori dal carcere (come per i lavori di pubblica utilità o altri ancora) possano essere ragionevolmente allargate.
Un parlamentare di Alleanza Nazionale, il senatore Martinat, ha proposto, ad esempio, laddove occorresse sfoltire le presenze nelle carceri per l'emergenza causata dal sovraffollamento, la realizzazione di strutture meno vigilate e meno protette per coloro che fruiscono del regime di semilibertà, per quei detenuti cioè che passano la giornata fuori dal carcere e che vi tornano soltanto per dormire e che, se volessero fuggire, potrebbero farlo durante il giorno quando sono liberi. Si potrebbe intervenire su tali situazioni non facendoli più dormire in carcere, bensì in altre strutture, utilizzando caserme dismesse e altri immobili con una vigilanza attenuata, trattandosi di persone che non fuggirebbero nella notte potendolo fare durante il giorno, quando sono liberi, se volessero sottrarsi all'esecuzione della parte residua della pena. Vi sono, insomma, strade più efficaci per attenuare l'emergenza esistente nelle carceri a causa del sovraffollamento.
La stessa sinistra, che propone l'indulto e che ha contestato in quest'aula, alcuni giorni fa, coloro che tolgono i ragazzi dal carcere portandoli fuori dai penitenziari e inserendoli nelle comunità, non dice nulla sulle sanzioni alternative e non ha risposto alla nostra sollecitazione affinché le persone che fruiscono della semilibertà possano vederne ampliate le opportunità e sgravare quindi della loro presenza le strutture carcerarie: di tutto questo non si è avuto modo di parlare!
Si vara un provvedimento che porterà, appena approvato, oltre 10 mila detenuti sulle strade. Conosciamo la lunga storia italiana dei provvedimenti sugli indulti: da subito vi sono le scarcerazioni, poi, in un tempo relativamente breve, molte di quelle persone ritornano in carcere per aver commesso nuovi reati. Si tratta di provvedimenti rivelatisi sempre del tutto inutili ed inadeguati: accadrebbe così anche questa volta, se il provvedimento venisse approvato dal Parlamento.
Tra l'altro, voglio richiamare l'attenzione in termini schematici sulla gravità della decisione che il Parlamento potrebbe assumere. Si sta discutendo di alcuni tipi di reati, con distinzioni che sono, francamente, di scarso rilievo.
Con il provvedimento in esame, così come è stato licenziato dalla Commissione, persone che hanno riportato condanne anche fino a nove anni, potrebbero ritrovarsi in libertà se venisse approvato, perché nel corso di un procedimento penale potrebbero essere concesse le attenuanti, con la riduzione da nove a sei anni della condanna, che per la metà, cioè per tre anni, potrebbe essere scontata attraverso l'affidamento ai servizi sociali e quindi non in condizione detentiva. La condanna detentiva di tre anni, per una persona che ha commesso reati per cui sono previste sanzioni fino a nove anni di carcere, può portare alla fruizione dell'indulto in questione. Se si va a verificare quali siano i reati da far rientrare entro tale tetto di condanna, si può constatare come vi siano reati di grave allarme sociale.
Riteniamo dunque che l'approvazione del provvedimento in esame sia un errore, commesso tra l'altro in piena estate, e già possiamo immaginare quante persone potranno, nelle città meno presidiate, riprendere la loro attività predatoria. Il provvedimento in esame finisce con il premiarePag. 58proprio, ed in particolare, quella criminalità predatoria che è molto preoccupante.
Non voglio entrare nel merito, ma richiamo l'attenzione, tra i vari emendamenti, non numerosi, in particolare sul primo di essi, volto a sopprimere l'articolo 1 della proposta di legge in esame.
Leggevo nei giorni scorsi un'intervista del senatore Brutti, che è responsabile del settore giustizia dei DS, il quale, entrando nel merito del finto dibattito nel centrosinistra sui reati da includere e da escludere, ha affermato che alcuni reati di carattere predatorio (quali rapine, estorsioni o reati collegati ad altre attività criminali) sono ben più allarmanti di altri tipi di reati: Brutti dixit! Lo cito per dire come tutta la discussione su questo o quel reato inventata da un gruppo parlamentare, quasi per farsi una verginità ed una credibilità, abbia poco rilievo.
Devo dare ragione - anche se con qualche fatica, ma è giusto farlo - al senatore Brutti, dei Democratici di Sinistra, quando afferma che le misure in discussione riguardano soprattutto alcuni reati.
Vorrei allora rivolgere al senatore Brutti - e, in maniera immaginaria, a tutto lo schieramento delle forze di sinistra - le seguenti domande: vale la pena scarcerare persone che hanno commesso gravi reati? Vale la pena esporre le nostre città ad un grave pericolo? Vale la pena iniziare l'attività dell'attuale legislatura in questa maniera, con un Governo che si è molto attivato, tramite il suo ministro della giustizia, in tal senso?
Riteniamo che i principi di legge ed ordine debbano essere difesi, e la destra ha il dovere di difenderli, anche in questa stessa Assemblea! È questo il motivo per cui esprimiamo la nostra contrarietà al provvedimento in esame, che molti cittadini potrebbero veder tradotto in un ulteriore aumento della criminalità, dei furti e delle rapine. Con il provvedimento di indulto, in altri termini, si accentuerebbero gli aspetti peggiori della vita delle città!
Crediamo che si debbano combattere senza tregua e senza pietà i fenomeni del terrorismo e della criminalità organizzata; invitiamo anche a non sottovalutare quella criminalità diffusa che colpisce quotidianamente la gente comune. Non dobbiamo sottovalutare, infatti, tale azione di disturbo costante allo svolgimento della vita libera ed ordinata della gente perbene, ed è per tale motivo che questi cittadini vedono nel provvedimento in esame una grave minaccia.
Riteniamo che fare tali affermazioni in Parlamento sia un dovere. Al riguardo, vorrei associarmi a quanto sostenuto dal collega che è precedentemente intervenuto. Noi siamo cattolici, e crediamo quindi giusto considerare gli inviti e le esortazioni provenienti dalla Chiesa. Ricordo che ho avuto l'onore, come tanti altri colleghi, di essere presente in quest'aula quando, nel 2002, il Santo Padre rivolse un appello per l'adozione di un provvedimento di clemenza.
Vorrei pertanto formulare due considerazioni. In primo luogo, ricordo che quell'appello fu parzialmente accolto da un provvedimento importante (il cosiddetto «indultino»), il quale, anche in omaggio a tale forte appello, determinò la liberazione di alcune migliaia di detenuti.
Rivolgendomi soprattutto ad alcuni colleghi della sinistra, vorrei tuttavia osservare che i loro appelli «papisti» sarebbero più credibili se seguissero le indicazioni della Chiesa anche quando si parla di contrasto alla droga, di diritto alla vita e di lotta all'aborto (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Si tratta, infatti, di questioni importanti, ma voi non le prendete affatto in considerazione!
Non si può, pertanto, fare riferimento alla Chiesa quando fa comodo per ignorare, invece, il suo costante richiamo su altre questioni: il Parlamento, dopo - perché siamo qui per assumerci le nostre responsabilità davanti agli elettori -, potrà compiere, in maniera laica, le proprie valutazioni. Esistono, pertanto, mille ragioni per dire «no» al provvedimento in esame!
Ricordo che il nostro gruppo si pronunciò in tal senso quando, il 27 dicembre dello scorso anno, si svolse alla CameraPag. 59dei deputati un dibattito sollecitato da molti parlamentari. Vorrei evidenziare che numerosi di essi parteciparono al corteo indetto per chiedere al Parlamento di varare un provvedimento di clemenza, ma dopo essere sfilati davanti alle telecamere vennero in questa Assemblea a sostenere il contrario. Anche in tale circostanza, infatti, vi erano questioni di lana caprina, poiché vi era chi voleva approvare l'amnistia, chi voleva l'indulto e chi voleva varare sia l'una sia l'altro!
Rammento che noi mantenemmo una posizione coerente, esprimendo la nostra contrarietà: è una posizione che intendiamo ribadire anche oggi. Mi auguro, pertanto, che si apra una riflessione su tale questione, e non sulla distinzione tra i reati. Vorrei dire al collega Leoluca Orlando di leggersi l'intervista rilasciata dal senatore Brutti, poiché forse ha ragione!
Non voglio giustificare nulla, ma, probabilmente, alcuni reati trovano già una grave sanzione nella perdita di credibilità di chi li ha commessi; alcuni criminali di un certo tipo, invece, possono rinnovare e reiterare i propri comportamenti delittuosi in caso di estorsione, usura, furto e via dicendo.
Ritengo giusto, allora, considerare tale aspetto in maniera ferma ma pacata, rispettando tutte le posizioni esistenti. Tali temi, infatti, suscitano dibattiti e divisioni all'interno degli schieramenti e dei partiti, poiché si tratta di realtà composite che hanno tutto il diritto di discutere. Anche nel mio partito, peraltro, la discussione su tali questioni è costante ed appassionata, e talvolta può incontrare anche toni e sensibilità molto differenziati. Riteniamo, tuttavia, che una posizione chiara e netta debba essere affermata.
Mi rivolgo a quei soggetti che conducono un ostruzionismo che non ho capito a quali obiettivo miri. Non ho compreso, infatti, se esso sia posto in essere per recuperare visibilità, poiché si ritiene sottostimata la loro presenza nel Governo; qualcuno, inoltre, come è stato precedentemente osservato da alcuni colleghi, si autosospende a fasi alterne. Probabilmente, il collega Di Pietro è, nel suo animus, più ministro della giustizia che ministro delle infrastrutture, e dunque, quando emergono alcune questioni, partecipa con maggiore vis polemica alla discussione!
Noi vorremmo conoscere anche la posizione del Governo. È possibile affermare che l'indulto e l'amnistia sono materie che attengono alla coscienza delle singole persone, e quindi è giusto che il Governo non si presenti compatto e unito. Vorrei tuttavia osservare che il vostro programma, che citate numerose volte, si è occupato di tali questioni, e probabilmente Di Pietro, o qualcun altro che lo ha sottoscritto, non se ne è accorto.
Si tratta, allora, di un programma inattendibile, perché, se non lo seguono coloro che lo hanno sostenuto, figuratevi quale considerazione potremmo averne noi che, ovviamente, non lo abbiamo né apprezzato, né condiviso. Riteniamo, soprattutto, che vi sia una carenza assoluta di orientamenti da parte del Governo. Avete rivolto tante critiche al centrodestra che tuttavia, negli anni di Governo, ha registrato una diminuzione del numero dei reati, delle aggravanti per i recidivi. Tanti provvedimenti sono stati criticati, ma alcune norme poi tornarono alla loro accezione originaria, aumentando la funzione nei confronti di chi reitera il reato.
Abbiamo contrastato i fenomeni del terrorismo internazionale e abbiamo contenuto e disciplinato il fenomeno dell'immigrazione clandestina. In questi giorni, notiamo un regresso complessivo sul fronte dell'immigrazione clandestina, attraverso maxisanatorie che tentano di svuotare una legge che non avete la forza, i numeri e la credibilità di modificare.
In ordine al tema della lotta al terrorismo, dimostrate un atteggiamento equivoco, sia per la balbettante politica estera nei confronti dei vari contendenti in Medio Oriente, sia perché un clima politico ambiguo sta facendo moltiplicare pericolose sentenze, come quella che giorni fa, a Bologna - replicando deprecate decisioni di giudici di altre città -, ha scambiato ancora una volta terroristi per guerriglieri,Pag. 60fornendo messaggi assolutamente pericolosi e devastanti (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
Noi giudichiamo i fenomeni nel loro complesso. L'indulto, che libera 10-12 mila persone pronte a commettere nuovamente reati, le maxisanatorie per i clandestini, una giurisprudenza singolare, con riferimento soprattutto ai fenomeni del terrorismo internazionale: vi è dunque un insieme di atteggiamenti che, a nostro avviso, può determinare un abbassamento della guardia di fronte ai fenomeni criminali. Credo che questo sia il problema di fondo.
Per tale motivo, non ci appassiona la diatriba se viene inserito questo o quell'argomento; ciò non si può fare in assoluto! D'altra parte, emanare le leggi contro Tizio o contro Caio ha poco senso.
Pertanto, deputato Presidente, vi è la possibilità di chiudere la questione, se nel paese non si avverte un consenso adeguato a questa misura e se prevedere solo l'indulto, senza l'amnistia, non riesce a risolvere i problemi della giustizia. Alleanza Nazionale è contraria anche all'amnistia che, come qualcuno ha affermato, sarà realizzata successivamente, in questa specie di telenovela a puntate. La conseguenza sarà la presenza di sempre più giudizi pendenti, aule di giustizia ingolfate e un bel po' di criminali nelle strade.
Per tale motivo, riteniamo vi sia la mancanza di una logica, la mancanza di un disegno, la mancanza di un orientamento. Noi ci proponiamo quale credibile punto di riferimento per la gente che non è d'accordo! Probabilmente - mi auguro di no -, potrebbe capitare di essere in minoranza in quest'aula, ma spero che questa fase di discussione possa servire anche per cambiare i numeri dell'Assemblea di Montecitorio. In ogni caso, sappiamo che nel paese vi sono tante persone che condividono la nostra posizione. La condivide la gente comune, le persone vittime della criminalità e i tanti operatori delle Forze dell'ordine, ai quali vogliamo rinnovare la nostra solidarietà e il nostro apprezzamento. A tali operatori giungono messaggi contraddittori sulla lotta alla droga, all'immigrazione clandestina e alla criminalità. Noi, invece, riteniamo che le Forze dell'ordine avrebbero bisogno di indicazioni, di direttive ben diverse e molto più chiare. E questo senso di resa, che conseguirebbe anche dal provvedimento in discussione, è un qualcosa di pericoloso che va avversato. Sono queste le ragioni per le quali crediamo vi debba essere una forte assunzione di responsabilità.
Voglio dire anche alla cosiddetta Unione, che si rivela sempre più disunita su tanti temi, che non vale neanche il giochetto del «megafonaggio» dalle 9 alle 11 per poi tenere chissà quale atteggiamento, nelle aule, nelle ore successive. Occorre assumersi responsabilità precise e, se si compiono determinate scelte, si va fino in fondo; allora, si vota l'emendamento soppressivo dell'intero articolo e, se poi qualcuno ritiene che aver voluto il provvedimento di indulto non sia accettabile, esce anche dal Governo. Questo Governo dal quale, prima Mastella, poi Di Pietro, poi altri, annunciano di voler uscire. Ci auguriamo che escano tutti insieme e al più presto a seguito di qualche evidente fatto parlamentare che sancisca l'inadeguatezza di questo esecutivo.
Invitiamo, soprattutto, i parlamentari a ricordarsi che fuori da qui c'è un'Italia onesta, che crede nei principi della legge e dell'ordine e che non vuole vedere le città infestate da una nuova ondata di criminalità.
Se poi questo fenomeno, una volta che il Parlamento dovesse malauguratamente assumere questa decisione, si dovesse realizzare, sapremo di chi è la responsabilità. Allora, vi invitiamo, come già è successo in altre occasioni, ad accantonare questo provvedimento, a dire «no» all'indulto e a far prevalere le ragioni della legge e dell'ordine (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Jannone. Ne ha facoltà.
GIORGIO JANNONE. Signor Presidente, intervengo in qualità di primo firmatarioPag. 61della proposta di legge, A.C. 372, ossia la prima che trattava questa materia nel nuovo Parlamento.
È scontato, quindi, che il mio parere sia favorevole alla misura dell'indulto. Sono favorevole pur essendo consapevole delle molte conseguenze, anche non positive, che una misura del genere comporta. È chiaro, però, che esistono alcune motivazioni oggettive sulle quali vale la pena soffermarsi.
Innanzitutto, questa misura è richiesta fortemente dal mondo carcerario, inteso nella accezione più ampia del termine, non solo cioè dai detenuti, ovviamente, che sono direttamente coinvolti, ma anche da tutti gli operatori che si trovano a lavorare in un contesto invivibile, dove il sovraffollamento, le condizioni umane, il caldo, le condizioni climatiche ed igieniche raggiungono, soprattutto in questi giorni, un livello inaccettabile.
Credo che si stia vivendo uno stato di necessità emergenziale e, come in tutte le emergenze, un paese, grande come il nostro, civile come il nostro, ha il dovere di intervenire tempestivamente, anche con misure che, talvolta, non possono essere totalmente accettabili sotto il profilo normativo.
Come si conciliano le tante parole spese in quest'aula da molti mesi a questa parte, le posizioni giustizialiste del ministro di Pietro, le scene e le sceneggiate di un ministro, le uscite, le minacce, le assenze, strategiche o tattiche, di alcuni rappresentanti dell'esecutivo, con le condizioni di vita di chi di vive in una cella a 40 gradi, sovraffollata, aspettando da mesi di sapere esattamente il proprio destino? Come si conciliano tutte le parole spese con la situazione che vivono i detenuti, gli operatori delle carceri e anche tutti i familiari che si trovano, loro malgrado, a vivere in queste condizioni?
Io credo che esista il dovere da parte di questo Stato e di questo Parlamento di arrivare celermente, senza tattiche che nascondono contraddizioni politiche, soprattutto all'interno della maggioranza, ad una soluzione il più possibile condivisa.
Se è giusto, infatti, che esistano uno Stato di diritto, la certezza del diritto e la certezza della pena, è ancora più giusto e irrinunciabile che esista la certezza della dignità delle persone. Parliamo, sì, di detenuti, di persone che hanno commesso certamente dei reati e che si sono macchiati di errori, ma parliamo soprattutto di uomini e di donne, che vivono in condizioni oggi davvero inaccettabili a causa della situazione oggettiva delle nostre carceri.
La nostra Carta costituzionale, all'articolo 27, sancisce alcuni obblighi e le finalità che tutti noi sappiamo in questo momento non essere pienamente rispondenti alla realtà. È solo per questo che ritengo che il Parlamento debba intervenire velocemente, senza contraddirsi, senza perdere tempo, senza i tatticismi in questo Governo, senza le contraddizioni di questa maggioranza, cercando una soluzione il più possibile unitaria e condivisa, per fare in modo che tutte le persone - lo ripeto - e tutto il mondo carcerario nella sua accezione più ampia, i detenuti e gli operatori, abbiano una risposta chiara e definitiva.
A più riprese ho sentito in questo dibattito evocare la visita di Giovanni Paolo II in quest'aula.
Come molti di voi, ero tra coloro che hanno vissuto quel momento storico importante ed emotivamente coinvolgente. E, come molti di voi, ero fra coloro che hanno applaudito, quando Papa Giovanni Paolo II ha chiesto un gesto di clemenza. Sapete bene che l'applauso nell'aula di un Parlamento assume un significato preciso: è una presa d'atto, una presa di coscienza ed anche una chiara volontà di consenso. Ricordo bene quel gesto e quell'applauso: in quel momento storico per quest'aula, tutti i gruppi parlamentari, senza alcuna eccezione, hanno preso un preciso impegno.
Onorevole Orlando, non si tratta di chiamare in causa a sproposito il Santo Padre. Probabilmente, le sue parole sono state pronunciate a sproposito, quando con una parentetica del tutto impropria e poco felice ha cercato di distinguere i reatiPag. 62e i protagonisti dei reati. Questo modo di operare nell'ambito della giustizia - ma non solo in tale settore - da parte dell'attuale maggioranza e della passata posizione non è accettabile.
Le leggi non possono essere contra personam, o disegnate per giovare o far del male a qualcuno in particolare. Questo provvedimento, in particolare, riguarda una popolazione molto ampia. Quando il Santo Padre richiamava un gesto di clemenza, certamente si riferiva a tutte le persone. Egli, infatti, faceva riferimento ai diritti, alla dignità di tutte le persone, quella dignità che talvolta voi, pronunciando discorsi ad personam non condivisibili, dimostrate davvero di non rispettare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, anche noi avremmo preferito che oggi giungesse in Assemblea un provvedimento di indulto senza restrizioni, così come sottolineato prima dall'onorevole D'Elia della Rosa nel Pugno. L'indulto interviene sulle pene e non già sui reati e, quindi, è abbastanza discutibile che da questo provvedimento vengano escluse alcune tipologie di reato.
Pur tuttavia, voteremo a favore di questo provvedimento e contro gli emendamenti che sono stati presentati. Riteniamo, infatti, che esso sia un punto d'intesa importante e utile, affinché si risponda concretamente ad un'esigenza, in questo momento assai diffusa e profonda, della popolazione carceraria, che è aumentata sempre più, anche a seguito di mancati provvedimenti di amnistia e di indulto, che nel corso degli ultimi anni non sono stati presentati nel nostro paese.
È evidente - e mi pare di cogliere l'essenza politica di questo dibattito - che una parte dell'attuale maggioranza, che fa capo all'onorevole Di Pietro, ricongiungendosi in questo con la posizione più naturale della destra politica italiana, si opponga a questo provvedimento, non già per l'indulto in sé, ma perché esso non esclude quegli stessi reati che l'onorevole Di Pietro ha perseguito per anni come magistrato del pool «mani pulite» e sui quali ha costruito la sua carriera politica.
Egli mi ricorda un vecchio partigiano che vive sempre nel ricordo delle imprese della guerra di liberazione. Per Di Pietro quei ricordi sono rappresentati dalle sue iniziative giudiziarie degli anni Novanta, quando divenne improvvisamente un eroe popolare, forse il più popolare degli italiani. Certo, non può accettare che in questo provvedimento di indulto - e lo capisco bene - non vengano esclusi questi reati. Faccio solo una notazione, non temporale, ma politica: l'ultimo provvedimento di perdono e di amnistia è stato adottato in Italia il 10 aprile 1990, cioè due anni prima che esplodesse la cosiddetta tangentopoli.
L'Italia è priva di provvedimenti di clemenza, di indulto o di amnistia da 16 anni: non era mai avvenuto nella storia del nostro paese, perché la distanza che ha separato un provvedimento di perdono da quello successivo era stata, al massimo, di otto o nove anni. Ad esempio, al decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1970, n. 283, mediante il quale si intervenne nei confronti dei movimenti operai e studenteschi del 1968 e degli episodi di violenza che si erano verificati in Italia, era seguito il decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1978, n. 413 (subito dopo l'assassinio di Aldo Moro e, quindi, in pieno terrorismo), che, ovviamente, escludeva dall'indulto proprio i reati concernenti il terrorismo.
Ebbene, sono passati sedici anni dall'ultimo provvedimento di clemenza della Repubblica italiana. A mio giudizio, ciò è avvenuto perché quella parte di destra che si è installata, diciamo così, nella sinistra, ha culturalmente pervaso larga parte della sinistra italiana: il suo atteggiamento giustizialista, non di garanzia del singolo cittadino, il suo atteggiamento non favorevole a provvedimenti di condono e di amnistia, sanciva l'esistenza di una posizione «pura» della sinistra italiana. Oggi, vorrei che tutti si rendessero conto diPag. 63come questa congiunzione, o ricongiunzione, della destra politica italiana con l'Italia dei Valori, ed il distacco da tale posizione di gran parte della sinistra italiana, riconsegni quest'ultima, per alcuni aspetti, alla sua tradizione, profondamente segnata dal rispetto dei diritti di tutti i cittadini, delle garanzie costituzionali e della libertà di ognuno di noi.
Con questo mio breve intervento desideravo manifestare l'adesione del mio gruppo al provvedimento di indulto in esame. Speriamo che esso non incontri altri ostruzionismi. Onorevole Di Pietro, in genere, gli ostruzionismi li fa un esponente dell'opposizione, non un ministro di un Governo in carica. Allo stesso modo, in genere, i sit-in li organizzano gli esponenti dell'opposizione parlamentare (quando non sono troppo notabili...), ma non credo che li possa promuovere un ministro in carica se non ha il coraggio di mettere in discussione anche la sua poltrona di ministro. Non si è mai verificato, in Italia, che un ministro protesti con i sit-in davanti al Parlamento della Repubblica e definisca in un certo modo la situazione che vive all'interno del Governo! Scrive Di Pietro: «Non ritiro l'Italia dei Valori dal Governo e sono ostaggio di una situazione che mi fa schifo». Non è linguaggio da ministro della Repubblica! Se proprio la situazione è così - come dice lui - schifosa, dovrebbe risolvere il problema semplicemente presentando una lettera di dimissioni. Ma a questo siamo oggi in Italia! Questa è l'Italia delle contraddizioni e, quindi, non ci stupisce un simile atteggiamento.
Noi voteremo a favore del provvedimento in esame anche per ricongiungerci all'appello che Giovanni Paolo II ci rivolse, in quest'aula, per un atto di clemenza nei confronti del popolo delle carceri. Sono passati troppi anni da allora: ritengo sia giunto il momento di dare una risposta al popolo delle carceri ed anche a quel grande Papa che fu Giovanni Paolo II (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, de La Rosa nel Pugno e dei Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, con tutto il rispetto, nel condurre il dibattito lei ha parlato, in precedenza, di una forte aspettativa del paese per il provvedimento in esame, ovviamente sottintendendo che si trattava dell'aspettativa nel senso dell'approvazione. Francamente, tutta questa aspettativa non la vedo, signor Presidente! Penso, invece, signor Presidente, colleghi, che questo costituisca uno degli esempi della grande distanza che esiste tra le istituzioni ed i cittadini: noi siamo qui - voi siete qui - per approvare un provvedimento cui è sotteso un vostro interesse. Non sottende l'interesse della maggioranza dei cittadini che, in un bilanciamento di interessi, preferisce l'interesse ad una vita sicura e tranquilla, l'interesse a non rivedere i delinquenti che vengono messi in libertà, perché proprio questo sarà il risultato pratico del provvedimento che state per approvare. E, poi, vi è il contesto nel quale avviene la discussione e l'approvazione del provvedimento stesso, un contesto di grave sofferenza politica di questa maggioranza, un'ulteriore sofferenza dopo le altre che abbiamo già constatato negli altri provvedimenti che, in questi pochi mesi di legislatura, sono stati sottoposti al Parlamento. Oggi assistiamo ad un ministro che si «autosospende». Penso che sia un istituto nuovo nella vita parlamentare e quando un ministro si «autosospende» vuol dire che non vi è più una maggioranza parlamentare, perché i voti del movimento che il ministro Di Pietro rappresenta sono oggi sospesi e congelati e, quindi, dopo le tensioni che abbiamo constatato anche in quest'aula sul provvedimento sulla missione in Afghanistan, vi è una nuova tensione all'interno della maggioranza, che non esiste più virtualmente, per effetto dell'atteggiamento del ministro Di Pietro. Egli parla di «furbetti del quartierino». Penso che sia lui, oggi, il «furbetto» in quest'aula che, con il suo atteggiamento, denuncia un uso strumentale delle istituzioni e della carica di ministro, per portarePag. 64avanti i propri interessi di carattere eminentemente elettorale.
Ed ancora, vi è l'assenza del ministro della giustizia, Mastella. È molto grave tale assenza, sia perché egli è competente per materia, sia perché noi oggi avremmo voluto conoscere dal ministro stesso i dati sull'impatto di questo provvedimento, per quanto riguarda lo svuotamento delle carceri e per quanto riguarda i rischi, molto alti, di recidiva. Inoltre, il ministro della giustizia, di fronte a questo provvedimento, avrebbe dovuto chiarirci le linee del Governo, considerato che si dice che il provvedimento è necessario perché occorre gestire una situazione esplosiva all'interno delle carceri. Allora, qual è la linea del Governo per gestire questa situazione esplosiva all'interno delle carceri? Realizzare l'indulto, che sappiamo non risolverà il problema, perché abbiamo già i dati dell'«indultino» che ci testimoniano come un terzo di coloro che vengono fatti uscire immediatamente tornano in carcere?
In tale contesto, discutiamo di un provvedimento che vede la Lega fermamente contraria. Noi siamo sempre stati contrari all'indulto, perché riteniamo che il principio della certezza della pena debba essere assolutamente da salvaguardare, nell'interesse dei cittadini comuni. Oggi, se dobbiamo fare un bilanciamento di interessi, dobbiamo far pendere la bilancia a favore della gente comune, a favore delle vittime, a favore degli Abele, non dei Caino. Questa è una posizione che la Lega ha perseguito nel corso di tutta la legislatura precedente, con grande coerenza e grazie all'impegno del ministro Castelli, che non è scappato quando si trattava di prendere una posizione sull'indulto e sull'amnistia! Ed è anche grazie a lui che questo provvedimento non è stato approvato nella scorsa legislatura, garantendo un po' di sicurezza in più ai nostri cittadini!
Allora, anche illustri studiosi, quando parlano della funzione della pena, affermano che la pena stessa deve avere, sì, una funzione rieducativa, ma essa deve comunque avere una funzione repressiva e preventiva, general preventiva e special preventiva.
Ci stiamo scordando quella che deve essere, anche da un punto di vista giuridico, considerato che in quest'aula tutti si riempiono la bocca con citazioni di dottrina e con principi di carattere giuridico, la funzione principale della pena.
Anche la funzione rieducativa della pena non può coincidere con uno svilimento completo della pena stessa; infatti, se quest'ultima deve avere una funzione rieducativa, comunque non può essere cancellata con un colpo di spugna. La pena deve, comunque, esistere e deve essere scontata.
La Lega voterà contro il provvedimento e per questo motivo ho presentato una serie di emendamenti, non ostruzionistici, che puntano a fare riflettere l'Assemblea su quello che viene approvato. Emendamenti certamente abrogativi, ma anche emendamenti che puntano a ridurre il danno che si crea con l'approvazione di questo provvedimento. Noi puntiamo, ad esempio, ad escludere dalla previsione il reato di omicidio; infatti, oggi si può concedere l'indulto, con il testo che voi andate ad approvare, anche a chi è stato condannato per omicidio, cioè il reato più grave in assoluto. Considerando anche l'impatto molto grave che questo provvedimento ha rispetto ad un fenomeno come quello dell'immigrazione clandestina, che porta a commettere reati, abbiamo, inoltre, presentato alcuni emendamenti in materia; infatti, è inutile nasconderci dietro ad un dito e riempirsi la bocca con il solito buonismo. Il 45 per cento degli ingressi in carcere sono di immigrati clandestini e di extracomunitari e il 33 per cento della popolazione carceraria risponde a questa tipologia. Noi, quindi, stiamo per scarcerare migliaia di persone che non solo hanno commesso dei reati, ma, una volta usciti dal carcere, vivranno in una situazione di illegalità e di irregolarità che è ulteriormente propedeutica alla commissione di altri reati. A questo scopo abbiamo presentato degli emendamenti perPag. 65fare in modo che gli immigrati clandestini che saranno scarcerati vengano immediatamente rimpatriati.
Tutti gli emendamenti che abbiamo presentato servono a ridurre il danno; così come abbiamo presentato proposte emendative per escludere dall'applicazione dell'indulto alcuni reati che noi riteniamo molto gravi, quali l'omicidio, i reati collegati alla corruzione, alla pubblica amministrazione e ad un allarme sociale diffuso. In questo periodo, ad esempio, stiamo assistendo a numerose rapine all'interno delle ville. Ci sono persone tranquille che vengono minate in uno dei beni più preziosi, cioè la tranquillità della propria esistenza; quindi, riteniamo che questo tipo di criminali non possa uscire impunemente dalle carceri ed è per questo abbiamo presentato un emendamento in tal senso.
La Lega, con coerenza, voterà contro questo provvedimento e non tradirà le aspettative della gente, cioè le aspettative della maggioranza dei cittadini che hanno diritto ad un'esistenza tranquilla; noi siamo per gli interessi dei molti, non per gli interessi dei pochi che, per giunta, non lo meritano (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Raiti. Ne ha facoltà.
SALVATORE RAITI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, intervenire su questo argomento per uno come me, che è profondamente cattolico, è un po' difficile. Non v'è dubbio che noi dell'Italia dei Valori non siamo a priori contrari all'indulto, come ha detto qualcuno negli interventi precedenti, che ci ha descritti come giustizialisti, sostenendo che vogliamo continuare nelle aule parlamentari l'attività che qualcuno di noi ha iniziato prima di venire in Parlamento; tutto questo non c'entra nulla con la battaglia parlamentare che oggi stiamo conducendo per portare avanti le nostre ragioni. Anzi, per quanto ci riguarda, siamo assolutamente favorevoli ad atti di clemenza che vadano nella direzione auspicata dalla nostra Costituzione, ma che, nello stesso tempo, tengano conto di quelle che sono le esigenze sociali del nostro paese e, soprattutto, di quello che era il programma dell'Unione che tutti noi abbiamo sottoposto al giudizio degli elettori e sul quale gli elettori ci hanno dato la fiducia per governare questo paese. Noi, su questi principi, siamo assolutamente coerenti e vogliamo continuare ad esserlo, correndo il rischio di venire considerati pedanti. Infatti, crediamo non si possa tradire il mandato elettorale.
In linea di principio, siamo favorevoli ad un atto di clemenza, perché - lo sappiamo bene e lo sanno anche i cittadini italiani -, nel corso di questi anni, lo Stato è stato forte con i deboli e deboli con i forti. Lo Stato, attraverso una serie di atti normativi, ha determinato il sovraffollamento delle carceri, nonché disumane ed inaccettabili condizioni di vita per i detenuti. Vi sono quasi sessantamila carcerati. Ma se consideriamo da chi è composta la popolazione carceraria, ci rendiamo conto che l'assunto di cui parlavo è reale e dobbiamo lottare per modificare lo stato delle cose.
Il provvedimento in esame, purtroppo, non determina quell'inversione di marcia che tutti noi auspicavamo e che abbiamo richiesto, fin dal momento in cui ci siamo presentati alle primarie, quando abbiamo proposto il codice etico composto di 102 punti che si poneva l'obiettivo, appunto, di un inversione di marcia.
Oggi, invece, constatiamo che la popolazione carceraria è composta quasi per il 60 per cento da poveracci (il 27,9 è composto da tossicodipendenti, il 30,7 da immigrati e il 10 per cento da persone che hanno commesso piccolo reati contro il patrimonio); questi soggetti stanno per diventare uno specchietto per le allodole, purtroppo, per portare avanti un percorso intrapreso dal vecchio Governo e dalla vecchia maggioranza. A tutto questo vogliamo dire «no»! Continuiamo a dire «no» e invitiamo i colleghi dell'Unione a riflettere, per cercare di aggiustare il tiro.Pag. 66
Sempre più spesso si cerca di indurre a compiere una riflessione che va nella direzione opposta ad una giustizia giusta e celere e ad uno Stato di diritto che sia veramente tale. Al contrario, registriamo una giustizia sempre più diseguale, una giustizia che non riesce a soddisfare in tempi ragionevoli la richiesta di attuazione dei diritti. Vi è un abbandono della legalità, non solo come priorità da perseguire, ma anche come valore fondamentale di riferimento!
Sappiamo anche che questo provvedimento, pur rispondendo all'esigenza di rendere più umane le carceri e di fare uscire i soggetti che hanno compiuto reati di non particolare gravità, non affronta alcuni degli aspetti fondamentali che vorremmo fossero considerati, anche nei riguardi della popolazione carceraria. Sappiamo che, spesso, i soggetti che escono dalle carceri ci tornano presto, perché non esiste una normativa di accompagnamento che preveda la possibilità di reinserirli nella società e di trovare un lavoro che possa evitar loro di tornare a delinquere! Molti di loro ci ricadranno e dopo tre mesi torneranno nelle carceri, così come ci torneranno quei poveri disgraziati che non avranno vitto e alloggio e commetteranno reati per tornare nelle carceri!
A queste esigenze, purtroppo, il provvedimento non risponde e, a nostro avviso, questo fatto è assolutamente grave. Se a ciò si aggiunge che questi poveracci, cui va tutta la nostra solidarietà, così come va alle forze dell'ordine, alla polizia penitenziaria che chiede di essere sollevata da un modo di lavorare insostenibile, diventano solo degli specchietti per le allodole, la cosa diventa ancora più grave! Il provvedimento, infatti, viene esteso ad una serie di altri soggetti cui non poteva e non doveva essere esteso, perché ci siamo impegnati a compiere un'inversione di marcia rispetto a quello che è stato fatto nella precedente legislatura! Questo provvedimento non realizza un'inversione di marcia! Si va invece nella stessa direzione! Questo non lo possiamo accettare! Alle forze dell'Unione chiediamo di modificare tutto ciò!
Infatti, da una esigenza giusta e da un obiettivo giusto non possiamo arrivare ad ottenere un risultato sbagliato che va nella direzione contraria agli impegni assunti nei confronti dei cittadini. Sappiamo bene che, purtroppo, la nostra giustizia ed il nostro processo hanno compiuto alcuni passi all'indietro. Il nostro processo, oggi, sta diventando sempre più un processo di classe, tanto implacabile nei confronti di alcuni strati sociali quanto ineffettivo e declamatorio per altri. I processi sono messi sotto accusa per parzialità o malafede o con minacce ministeriali o con procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Sappiamo bene che, nel corso degli ultimi cinque anni, sono state cambiate le leggi da applicare nel processo. Ciononostante, nel migliore dei casi si è affrontato tutto cercando di considerare che non vi è più l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ma vi sono cittadini - i cosiddetti colletti bianchi, cioè coloro i quali appartengono alle classi sociali più alte - che sono al di fuori della legge, perché non possono essere perseguiti. Costoro hanno avuto a disposizione tutti gli strumenti necessari per evitare di rispondere, come deve accadere in uno Stato giusto ed egualitario, per le loro responsabilità in maniera seria ed equilibrata. Questo è accaduto nel corso degli ultimi cinque anni. Come se non bastasse, questo provvedimento mira a garantire ad essi, ancora una volta, la totale impunità anche per il futuro. Infatti, si applicherà anche a coloro che hanno commesso reati fino al 2 maggio 2006 e potranno essere condannati negli anni a venire. Oltre a depotenziare l'attività dei magistrati, non facciamo ciò che sarebbe giusto fare, cioè alleggerire il peso dei fascicoli processuali. In virtù di questo provvedimento, infatti, i magistrati lavoreranno sapendo che, spesso, le loro sentenze e gli sforzi compiuti non porteranno ad alcuna pena certa ed effettiva. Questo non possiamo tollerarlo!
Allo stesso modo, non possiamo tollerare che il provvedimento preveda l'esenzione dall'applicazione anche delle pene accessorie. Questo è un fatto gravissimo! Mi rivolgo soprattutto ai colleghi dell'Unione,Pag. 67ricordando che la nostra Costituzione e i principi del nostro ordinamento processuale affermano che l'indulto non si applica alle pene accessorie. Invece, questo provvedimento si estende anche a queste ultime. Come tutti sapete, si tratta di quelle pene che hanno, soprattutto, finalità rieducativa e sono applicate a quei soggetti che, pur non andando in carcere, devono pagare una sanzione che, spesso, risulta essere più onerosa della stessa detenzione, soprattutto per i cosiddetti colletti bianchi o per coloro che appartengono ai ceti sociali più alti. Questa esigenza, prevista dalla nostra Costituzione, voi pensate che non debba essere rispettata, con questo provvedimento. In tal modo, quindi, si concede una impunità totale!
Ma c'è un fatto ancora più grave. L'articolo 151 del codice penale prevede che generalmente sono esclusi dall'applicazione dell'indulto coloro che commettono reati abitualmente o professionalmente: ebbene, si è previsto che questo provvedimento si possa applicare anche a tali soggetti. Quindi, non solo il danno ma anche la beffa: si applica ai cosiddetti colletti bianchi e si estende anche alle pene accessorie e a coloro cui sarebbe inapplicabile in virtù dell'articolo 151 del codice penale!
Questi sono fatti gravi per i quali non possiamo accettare di esprimere un voto favorevole su questo provvedimento; questi sono fatti gravi che ci inducono a combattere una battaglia parlamentare seria e determinata. Vogliamo far valere le nostre ragioni, che credo siano le ragioni della maggioranza degli italiani. Vogliamo essere assolutamente consequenziali con gli impegni assunti nel corso della campagna elettorale e in occasione delle primarie. Noi di questo facciamo una questione vitale perché ne va della serietà della politica. Invitiamo i colleghi dell'Unione che la pensano allo stesso modo - so che sono numerosi - a cercare di correggere il tiro. Dobbiamo mandare un segnale serio. Nel corso della campagna elettorale avevamo affermato che questo sarebbe stato il Governo della serietà e dell'equità. Della serietà e dell'equità dobbiamo fare un impegno preciso. Dobbiamo essere determinati, fino in fondo, soprattutto in questo caso (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Costantini. Ne ha facoltà.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, colleghi deputati, come hanno già puntualizzato i colleghi dell'Italia dei Valori che mi hanno preceduto, noi non siamo pregiudizialmente contrari ad un provvedimento di clemenza, anche se riteniamo che il ricorso ai benefici clemenziali intesi come modalità per ridurre il sovraffollamento degli istituti carcerari non solo non costituisca la migliore soluzione del problema, ma neppure costituisca una soluzione del problema. Il regolare avvicendarsi di indulti ed indultini in questi ultimi decenni ha dimostrato quanto sia stata impropria ed anzi spesso assolutamente deleteria la scelta di voler risolvere i problemi delle condizioni di vita della popolazione carceraria con un atto di clemenza.
Non devo essere io a ricordare rimedi tanto scontati quanto efficaci per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri che ormai tutti conosciamo, ma per coerenza con quanto sempre sostenuto dall'Italia dei Valori devo piuttosto rivolgermi a voi tutti, deputati colleghi, per invitarvi a svolgere alcune riflessioni. La convinzione dell'inadeguatezza dell'atto di clemenza è suffragata dalla maggior parte dei giuristi. Nel nostro paese si è fatto e si continua a fare un grande abuso dell'amnistia e dell'indulto, che fioriscono per le ragioni più o meno demagogiche, celebrative ed elettoralistiche, neppure dissimulate, di alleggerire spesso in modo effimero il carico della giustizia o come pessimo surrogato di mancate riforme penali o processuali o come depenalizzazione surrettizia, sempre con la solenne promessa che sarà l'ultima.
Ciò determina uno svilimento dell'autorità dello Stato ed una diminuzione della forza della legge penale. Vanifica gli sforziPag. 68della polizia e della magistratura. Comporta un prolungamento artificioso dei processi, in attesa dell'immancabile provvedimento clemenziale, ed un aumento del numero dei delinquenti in libertà, senza alcun previo accertamento sulla loro pericolosità e con non infrequenti recidivismi, anche efferati, a breve scadenza. Il valore criminogeno dei provvedimenti di clemenza è comprovato dall'aumento degli indici di criminalità, che sempre segue la loro concessione. Queste considerazioni, colleghi deputati, sono testualmente contenute in uno dei manuali di diritto penale più autorevoli e diffusi nelle nostre università e dunque più approfonditi dai giovani e dagli operatori del diritto di domani.
Anche l'incremento degli indici di criminalità, che segue sempre la loro concessione, è provato documentalmente. Dal 2002 al 2003 i reati erano in diminuzione, da 211 mila a 204 mila. Nel 2004, dopo l'approvazione di un indulto, i reati sono aumentati sino a 215 mila e sino a 225 mila nel 2005. Questo è quanto avvenne anche negli anni successivi alle amnistie del 1978, del 1986 e del 1990. Addirittura in quest'ultimo caso, nel 1991, i reati aumentarono del 41 per cento. A sostegno dell'effetto impunità vi sono dati che mostrano la stessa tendenza anche al di fuori del nostro paese. In Spagna ad esempio, dopo l'indulto del 2000 a favore di 1.500 persone, nel 2001 la popolazione carceraria in un solo anno aumentò di ben 1.200 unità rispetto all'anno precedente. Ciò dimostra che dopo ogni provvedimento di clemenza le carceri si riempiono nuovamente, in maniera maggiore, creando un circolo vizioso che finisce con il danneggiare proprio i nostri detenuti.
In passato questi errori sono stati già commessi. Al sovraffollamento delle carceri si rispondeva con l'indulto, fino ad aspettare che le carceri si riempissero nuovamente ed altri detenuti morissero per le condizioni igienico-sanitarie disumane, per poi risolvere nuovamente il problema con un nuovo indulto. Su questo è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 175 del 1971, con la quale le Camere furono invitate ad un uso più ponderato degli atti di clemenza. Ciò condusse nel 1991 alla riforma dell'articolo 79 della Costituzione che, volta a frenare gli abusi delle Camere, stabilì che la legge di delegificazione dovesse essere approvata con la maggioranza dei due terzi.
Ebbene, colleghi deputati, queste considerazioni oggettive avrebbero consentito a noi dell'Italia dei Valori di argomentare fondatamente una posizione di totale contrarietà ad un qualsivoglia provvedimento di clemenza, ma ciononostante, muovendo proprio dalla constatazione della reale attuale insostenibilità della situazione di sovraffollamento delle carceri, abbiamo deciso di aprirci al confronto, convinti che - a titolo di solo esempio e non in modo esaustivo - nel centrosinistra non si sarebbe mai rinnegato l'impegno assunto nella precedente legislatura contro la legge sul legittimo sospetto, che ha determinato la sospensione e con essa l'allungamento dei tempi di definizione dei processi.
Nel centrosinistra non si sarebbe mai rinnegato l'impegno assunto nella precedente legislatura contro l'ex Cirielli che ha modificato, in termini negativi per il funzionamento della giustizia, i tempi di prescrizione dei reati, inclusi quelli relativi ai reati societari, finanziari, contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia; non si sarebbe rinnegato l'impegno contro la depenalizzazione del falso in bilancio, che ha consentito in molti casi l'inflazione della sola sanzione amministrativa, né l'impegno contro le iniziative legislative che hanno svilito e svuotato le funzioni proprie del pubblico ministero.
Era l'impegno, colleghi deputati, di tutto il centrosinistra che voleva che i reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia fossero perseguiti e puniti. Era l'impegno di un centrosinistra che voleva che i reati societari che avevano messo in ginocchio decine di migliaia di risparmiatori fossero perseguiti e puniti; era l'impegno di tutto il centrosinistra che voleva che i reati di natura fiscale e finanziaria, quelli commessi dagli speculatori e dai grandi evasori,Pag. 69che irresponsabilmente scaricano i costi di un funzionamento devastato sui ceti più deboli, fossero perseguiti e puniti.
Questi sono reati che hanno come vittime non una o due o tre persone, ma che incidono direttamente sull'intero apparato economico statale ovvero sull'insieme degli organi e delle attività direttamente preordinati al concreto perseguimento degli scopi considerati di pubblico interesse in una collettività statale. Nei reati contro la pubblica amministrazione, l'oggetto giuridico è il regolare funzionamento, nonché il prestigio degli enti pubblici e dei soggetti che ad essi appartengono; nei reati finanziari e societari ad essere mortificati sono gli interessi dei creditori e dei consumatori e della collettività tutta, intere categorie di soggetti, lavoratori, piccoli risparmiatori e giovani che si accingono, con non pochi giustificati timori, ad entrare nell'universo lavorativo. Vengono altresì mortificate le condizioni e la qualità di vita quotidiana della maggior parte degli italiani. È inaccettabile includere anche le categorie di reati con i quali gli ex responsabili della Parmalat e dei vari crack ed i «furbetti del quartierino» hanno messo in ginocchio, a terra, un milione di famiglie.
Questi obiettivi, contenuti negli emendamenti presentati dall'Italia dei Valori, hanno unito per cinque anni il centrosinistra quando era opposizione ed incredibilmente lo dividono oggi che è maggioranza. È questo l'aspetto più sconcertante della questione, il quale non riusciamo davvero a comprendere o che forse comprendiamo troppo bene: esso rinnega in un solo giorno anni di impegno politico, parlamentare e sociale del centrosinistra e di tanti italiani che in quel centrosinistra vorrebbero continuare a credere. La nostra è quindi l'unica posizione possibile, coerente con le indicazioni programmatiche dell'Unione rispetto alla possibilità di adottare provvedimenti di clemenza, ma coerente anche con anni d'impegno politico e sociale di partiti e di cittadini impegnati contro il tentativo del precedente Governo di una vera e propria demolizione del sistema giudiziario.
Nessuno potrà, infine, obiettare che l'accoglimento degli emendamenti dell'Italia dei Valori vanificherebbe gli obiettivi attuali del provvedimento di clemenza in discussione. Sappiamo infatti, sulla base di informazioni ufficiali fornite dal Ministero, che sarebbero poco più di sessanta i detenuti che non beneficerebbero della scarcerazione, un numero davvero privo di ogni rilevanza rispetto alla complessiva portata del provvedimento all'esame della Camera.
Non esiste, quindi, alcuna ragione logica e soprattutto spiegabile dignitosamente agli elettori dell'Unione, per non sostenere gli emendamenti che recepiscono queste indicazioni e per impedire che vengano approvati: con essi, passerebbe anche la concessione di un indulto che conserva intatta tutta la sua efficacia rispetto all'immediata soluzione, auspicata da tutti, del sovraffollamento delle carceri (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, anzitutto mi consenta di ringraziarla perché si è rivolto a me con l'appellativo di deputato; preferisco, infatti, non essere chiamato onorevole. Se sarò onorevole, lo diranno gli altri, e probabilmente alla fine della legislatura.
Questa non è la Camera degli onorevoli: è la Camera dei deputati, ed io sono orgoglioso di farne parte. Quindi, vorrei che la Presidenza sempre si rivolgesse a me - non agli altri che desiderano ed hanno bisogno di essere chiamati «onorevoli» dal Presidente - come deputato (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Colleghi...
FEDERICO PALOMBA. La ringrazio, Presidente. Speravo così, se possibile, di portare una nota di sdrammatizzazione nella trattazione di un tema di tale straordinaria importanza.Pag. 70
Non ripeterò quanto già dichiarato dai colleghi dell'Italia dei valori; la nostra posizione è nota: io l'ho illustrata in Commissione giustizia e, in questa sede, i colleghi che mi hanno preceduto l'hanno ribadita con molta nettezza. Mi limiterò perciò a riassumerla con poche parole.
Noi non siamo insensibili alle esigenze della popolazione carceraria: rifiutiamo di essere messi all'angolo, tacciati di insensibilità nei confronti delle sofferenze di tanti detenuti. Vorrei ricordare che noi abbiamo presentato una proposta emendativa per dare un assegno di reinserimento ai tanti «poveracci» che l'indulto scarcererà e che torneranno sulla strada senza avere, probabilmente, la possibilità di reinserirsi; noi, inoltre, per nostra sensibilità, abbiamo previsto un fondo a favore del consiglio di aiuto sociale per l'indennizzo alle vittime del reato. Non abbiamo scorto analoga sensibilità in chi ha proposto il testo in esame.
Noi, quindi, siamo favorevoli, in una situazione di emergenza, ad un provvedimento che allevi la situazione delle carceri; però, a tale proposito, ho bisogno di fare una precisazione. Non accettiamo l'idea che nelle carceri si viva una situazione di illegalità perché, se così fosse, coerenza vorrebbe che l'indulto non fosse limitato alla misura di tre anni ma giungesse sino a cinque, dieci o venti anni, fino, cioè, a scarcerare tutti. Non possiamo sostenere che noi ripariamo dall'illegalità soltanto 10 mila persone che stanno nelle carceri mentre tolleriamo che tutte le altre vi restino. In secondo luogo, non accettiamo l'idea che, per eliminare una supposta illegalità presente nelle carceri, si faccia ricorso ad un'altra illegalità, ovvero non si applichino le leggi che esistono, banalizzando la regola sociale e decretando, in fondo, una resa dello Stato. Neppure accettiamo che a tale presunta illegalità si risponda con la scarcerazione dei detenuti senza intervenire, invece, sulle ragioni strutturali della sofferenza degli stessi.
Allora, non siamo contrari ad un indulto; piuttosto, siamo contrari ad un provvedimento che, sotto il pretesto di venire incontro alle esigenze di tanti «poveracci», nella realtà si rivolge a tanti potenti i quali la fanno sempre franca; e tale indulto sarà un'occasione attraverso la quale essi, ancora una volta, la faranno franca.
Perciò, forse in maniera non del tutto rituale - ma nella speranza di trovare un punto di mediazione -, abbiamo proposto alla Commissione giustizia, attraverso il Comitato dei nove, di presentare un proprio emendamento volto ad introdurre, lasciando intatta la data del periodo di decorrenza dell'indulto, una modifica che sostituisse, al riferimento ai «reati commessi», quello ai reati per i quali fosse intervenuta una sentenza definitiva di condanna. In tal modo, a noi pareva di valorizzare un'esigenza di chiarezza facendo in modo che l'indulto fosse rivolto alle situazioni già conclamate e non avesse invece un effetto devastante e nefasto sulle tante inchieste che si stanno svolgendo, sui tanti scandali che hanno angosciato la società italiana, devastando le nostre istituzioni e gettando sul lastrico tante gente. Possiamo immaginare con quale entusiasmo gli inquirenti continueranno a fare le loro indagini, sapendo che dal Parlamento viene un messaggio di sostanziale disinteresse per il perseguimento di questo tipo di reati. Si sta verificando questo. All'esterno, quello che si sta per fare in quest'aula potrebbe essere percepito come un rumore sordo di straordinaria «lavanderia» parlamentare.
Abbiamo proposto agli alleati dell'Unione che si evitasse di mettere in discussione immediatamente l'indulto e che si accettasse il criterio previsto nel programma dell'Unione, per cui l'indulto doveva essere necessariamente accompagnato da una serie di interventi di carattere normativo, legislativo - a cominciare dalla riforma del codice -, che fossero capaci di incidere strutturalmente sulle ragioni del sovraffollamento penitenziario.
Abbiamo anche detto che stavamo elaborando una proposta di legge (oggi atto Camera 1392) che prevede l'abrogazione di alcune leggi che forniscono un gettito straordinario al carcere. Come valutiamo iPag. 7110 mila detenuti che entrano nelle carceri in conseguenza della cosiddetta legge Bossi-Fini sull'immigrazione? Quella è una legge iniqua, che manda in carcere persone nei confronti delle quali era prevista una pena minore dell'arresto e nei confronti delle quali si potrebbe intervenire con strumenti amministrativi. Come è valutabile in termini di deflazione carceraria il fatto che in carcere tante persone non entrino? Probabilmente, questi soli provvedimenti, insieme ad altri - come l'abrogazione della cosiddetta legge Fini-Giovanardi, che proponiamo, o dell'ex Cirielli, che prevede un meccanismo perverso di aumento della recidiva -, avrebbero avuto lo stesso effetto deflativo, perché avrebbero avuto immediata attuazione. Non solo, ma abbiamo proposto anche una serie di interventi alternativi alla pena detentiva. In ogni caso, pensavamo che una serie di interventi contestuali all'approvazione o alla presa in esame dell'indulto avrebbero potuto avere gli stessi effetti.
Questa nostra richiesta non è stata accolta; non ne capiamo la ragione, così come non capiamo la ragione per la quale, insieme ad altri partiti dell'Unione, nella scorsa legislatura abbiamo condotto una battaglia straordinaria contro alcune di quelle che noi consideravamo deviazioni rispetto alla legalità. Mi riferisco prima di tutto alle leggi ad personam, in secondo luogo all'approvazione di leggi inique che mandavano ingiustamente in carcere le persone. Abbiamo fatto delle battaglie contro chi non prevedeva rimedi per la situazione carceraria, e in conseguenza di queste battaglie, Presidente, noi dell'Unione ci siamo presentati all'elettorato e abbiamo chiesto i voti per sconfiggere questa cultura, per voltare finalmente pagina.
Ecco perché non comprendiamo il motivo per il quale i nostri amici alleati dell'Unione, invece di continuare lungo la strada della coerenza, della linearità, della legalità, che fino alle elezioni insieme a noi hanno percorso, oggi abbiano preferito trovare un'alleanza con quelle stesse forze che ieri hanno combattuto e che sono le maggiori responsabili di quelle leggi vergogna, di quelle leggi che hanno mandato in carcere tanta gente che non ci voleva andare. Ecco perché siamo contrari ad un indulto fatto in questo modo.
Presidente, non riusciamo a capire francamente la ragione di un provvedimento che, con il pretesto di pensare ai poveri disgraziati, in realtà pensa a condonare e ad avvantaggiare una serie di persone che si sono rese responsabili del malaffare in Italia o che comunque sono per questo indagate. Presidente, noi non abbiamo sentito - o non l'abbiamo letto - nelle parole di Giovanni Paolo II quali siano i reati da includere e quelli da escludere dal condono. Questo è un compito che spetta a noi; è una nostra responsabilità politica.
Non accettiamo l'idea secondo cui noi stiamo conducendo una battaglia contro qualcuno. Non l'accettiamo nella stessa misura in cui noi potremmo dire che questo provvedimento di indulto potrebbe rappresentare la continuazione delle leggi ad personam, cioè la continuazione di una cultura di produzione legislativa fatta per beneficare i soliti potenti, i quali non hanno mai scontato un giorno di carcere e, probabilmente, non lo sconteranno mai, grazie anche a questo provvedimento. È proprio per questo che noi siamo abbastanza sconvolti dal patto che è stato fatto. Ci viene detto che, senza questo patto, l'indulto non si fa. Ebbene, noi pensiamo che la coerenza valga molto di più di qualunque altra cosa. Pensiamo che altri interventi e altri provvedimenti normativi avrebbero potuto avere lo stesso risultato pratico dell'indulto. Non averli voluti è un fatto per noi abbastanza incomprensibile e ci fa capire che dobbiamo vigilare sull'attuazione del programma dell'Unione. Non è possibile, infatti, fare strappi come quelli che ci sono stati in questo caso.
Per tutti questi motivi, noi abbiamo condotto, senza alcuna volontà ostruzionistica, una limpida battaglia in Parlamento e nelle piazze, sia per annunciare all'opinione pubblica la nostra posizione favorevole alla scarcerazione di tanti poveri disgraziati, sia per dire con limpidezzaPag. 72che siamo coerenti ai programmi con i quali ci siamo presentati in campagna elettorale e, conseguentemente, non siamo disposti ad accettare un'ennesima legge ad personam che preveda l'inclusione, nel beneficio dell'indulto, di tante categorie di persone che riteniamo non ne debbano beneficiare (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Reina. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un'Assemblea ormai fin troppo stanca perché provata da tante ore di dibattito e con un grado di attenzione che raggiunge i livelli più bassi, ho ritenuto comunque di intervenire in quanto penso che sul tema che stiamo trattando sia obbligatorio svolgere alcune considerazioni.
Vi è, a mio avviso, innanzitutto un equivoco di fondo che ha guidato questo dibattito e che, quindi, andrebbe dissipato con forza. Mi riferisco al fatto che l'argomento che ci occupa possa essere oggetto, bandiera e riferimento di una parte politica in contrapposizione ad un'altra; come se la questione dell'indulto potesse appartenere ad una sorta di ben identificata maggioranza, tale per cui persino la stessa sorte del Governo, in particolare la sua capacità di coesione e di omogeneità, fosse legata all'esito che all'interno del Parlamento si avrà a seguito della deliberazione che l'Assemblea assumerà.
Credo che la materia che trattiamo sia precipuamente, se non esclusivamente, una competenza del Parlamento e non del Governo. E su questa materia, prima ancora che i partiti, sono le coscienze a doversi confrontare e manifestare.
Colleghi, sono sempre stato convinto che la nostra civiltà sia in realtà figlia di una storia plurimillenaria. Proprio per questa ragione, in questo momento e in questo luogo, voglio ricordare, a me stesso per primo ma anche a voi, che siamo figli della civiltà romana che ha dato fondamento ai principi della cultura giuridica, che a loro volta hanno informato di sé tutti gli ordinamenti degli Stati del mondo: una cultura giuridica antica che riconosceva come parte della sua essenza l'atto di clemenza. I romani governarono il mondo non solo perché lo conquistarono con le armi, ma anche perché riuscirono a metabolizzare le culture dei popoli che assoggettavano, trasferendo in quelle culture anche parte della propria essenza, della propria stessa cultura, e ritornando, subito dopo l'evento bellico, ad essere il popolo civile capace di esercitare la funzione di governo. È questo il punto, e cioé che uno Stato forte in un paese libero, autenticamente democratico, non può avere paura di compiere atti di clemenza, perché, qualora ciò si verifichi, tale Stato non è completamente libero, se non altro da quella stessa paura cui ho accennato.
La verità è che qui si fronteggiano essenzialmente due culture. Il collega Del Bue, in qualche modo, precedendomi con il suo intervento poc'anzi, ha cercato di farlo intendere. Sono la cultura di chi crede in una giustizia che possa essere amministrata solo con atti di assoluta severità e quella, più moderata, di chi crede che la giustizia possa anche contemplare il riconoscimento della capacità di redenzione dell'individuo. È, prima di tutto, un problema di cultura laica, ma, proprio perché qui qualcuno ha evocato il cattolicesimo e la propria appartenenza a tale fede religiosa, alla quale anch'io appartengo, è anche un fondamento al quale noi credenti cattolici non possiamo rinunciare, se non altro in virtù, non della visita del Santo Padre in quest'aula (che storicizzata come lo è stata ha il valore che ha), ma di quella preghiera che noi credenti recitiamo e nella quale ricordiamo di avere il dovere di rimettere i peccati nei confronti dei debitori. Questo modo di concepire la vita, di approcciarsi anche all'attività pubblica, non può essere disconosciuto dai credenti e dai cattolici: non vi sono mediazioni su questo! Nessun credente può fare mediazioni su questo!
L'ho detto in altre circostanze a proposito della violenza e della guerra, l'ho detto anche durante la discussione molto ampia che si è svolta riguardo alla presenzaPag. 73in quest'aula di alcuni parlamentari che avevano avuto problemi con la giustizia.
Il fronteggiarsi delle due culture si trascina ormai da molto tempo, pervade i due massimi schieramenti in campo nel nostro paese, ed in realtà pone questioni che non siamo capaci, ancora una volta, di risolvere.
In verità, il tema dell'indulto pone anche altre questioni, come ad esempio quella della giustizia ammalata, che non vogliamo, che non riusciamo a sanare. Ciò perché, straordinariamente, in un paese dove tutto è stato messo in discussione, nel quale molto spesso sento parlare di seconda Repubblica e dove non vi è organizzazione politica, sociale e culturale che non abbia pagato un prezzo all'esigenza della verità e del cambiamento, esiste una casta di soggetti che sta al di sopra ed al di fuori di ogni giudizio, e nessuno ha il potere di interferire con tale sfera senza temere di venire accusato di essere contro non tale casta, ma questa associazione di «giusti» che cercano di difendere lo Stato contro tutto e contro tutti.
Non è così. Lo Stato, infatti, è un complesso di elementi non solo positivi, ma anche negativi, e noi, in questa sede, rappresentiamo la realtà composita del paese, in ogni sua espressione. Non ci sono «puri»: se noi fossimo semplicemente una turris eburnea e credessimo seriamente che tutto ciò sia vero, allora saremmo al di fuori da ogni verità e da ogni realtà.
Noi dobbiamo compiere questo gesto di clemenza e dobbiamo farlo per una ragione laica, vera ed autentica. Dobbiamo realizzarlo non per la condizione «disumana» in cui si trovano le nostre carceri, bensì, sul piano del diritto, per la condizione ingiusta in cui esse versano. Non può essere esercitata giustizia, infatti, nelle condizioni in cui noi abbiamo mantenuto il nostro sistema carcerario.
Se vi è una vergogna che viene posta in capo non a questa, ma alle legislature che si sono succedute da quando è stato interrotto il fluire degli indulti o delle amnistie, essa è il non aver pensato, immaginato e costruito un sistema detentivo diverso. È questa l'onta che ci colpisce sia come civiltà, sia come legislatori, e non abbiamo il diritto di credere che chi, nel nostro paese, sconta la pena in tali condizioni debba continuare a farlo in virtù di una giustizia che, in verità, è una somma ingiuria, vale a dire una somma ingiustizia!
Abbiamo il diritto, invece, di credere, per certi reati, alla capacità di redenzione di alcuni cittadini che hanno commesso errori. Non possiamo supporre di avere la sfera di cristallo (la «palla dei maghi»), per cui possiamo sapere in anticipo che tali cittadini torneranno a delinquere: chi crede in ciò ha una visione della realtà distorta, pericolosa e fortemente arretrata!
Noi abbiamo il diritto di credere nell'uomo e di credere, altresì, che possano essere compiuti atti, anche successivi all'indulto, in grado di mettere coloro che hanno commesso errori in condizione di utilizzare validamente questo strumento per reintegrarsi all'interno della società, seguendo percorsi virtuosi e corretti in direzione del suo sviluppo. Tutto ciò deve avvenire nella salvaguardia e nel rispetto delle leggi dello Stato.
Un Parlamento autenticamente moderno e nuovo non ha paura di compiere questo gesto, sapendo - per carità! - che si corrono alcuni rischi. I rischi, infatti, sono insiti in ogni atto che compiamo, nonché in ogni provvedimento legislativo che contribuiamo tutti insieme ad approvare. Tali rischi, tuttavia, non possono compromettere il disegno di fondo.
Vorrei allora affermare, con molta sincerità e molta lealtà, che abbiamo il dovere di compiere tale passo e di credere nell'indulto. Abbiamo il dovere di farlo e, successivamente, di impegnarci, fino in fondo, per costruire ulteriori percorsi in grado di consentire la correzione dei possibili errori che potrebbero derivare non tanto dalla concessione dell'indulto in sé, quanto dagli effetti prodotti dall'azione di alcuni beneficiari.
In tal senso, nella consapevolezza di appartenere a questa civiltà plurimillenaria - e sapendo che, prima di noi, furonoPag. 74proprio coloro che costruirono le premesse del diritto a credere negli effetti degli atti di clemenza -, ci accingiamo non solo a votare a favore della concessione dell'indulto, ma a rivolgere a tutti gli altri parlamentari un appello.
Auspichiamo, infatti, che essi, non in rappresentanza di questo o quell'altro partito, ma come singole persone, possano svolgere una seria riflessione ed esprimere il loro consenso, nella convinzione di farlo nell'interesse del paese e dello sviluppo della nostra civiltà democratica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per l'Autonomia, dei Popolari-Udeur e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, non ripeterò le argomentazioni che, già ampiamente, i parlamentari del mio gruppo hanno svolto con riferimento al reingresso nella vita sociale di delinquenti. Intendo invece svolgere un ragionamento tranquillo e pacato su quali siano i meccanismi che servono a svuotare le carceri. Infatti, fin dall'inizio della discussione, ho sentito richiamare solo questo tipo di esigenza.
Evidentemente, le ipotesi teoriche sono quelle dell'amnistia e dell'indulto. Con l'indulto, a persone condannate - e delle quali, dunque, è stata accertata la reità -, viene eliminata o diminuita la pena di due o tre anni, a seconda di quale sarà l'ipotesi che verrà approvata dall'Assemblea. Nel primo caso (due anni), uscirebbero dalle carceri circa 10 mila soggetti; nel secondo caso (tre anni), si arriverebbe a 12 mila.
A fronte dell'indulto, vi è l'amnistia che, a mio avviso, sarebbe connotata da una maggiore logicità. Infatti, l'amnistia estingue il reato, quindi ne potrebbero usufruire non persone che certamente hanno commesso reati, ma coloro che forse hanno commesso reati; in tal modo, sarebbero avvantaggiate le persone sottoposte a un procedimento penale del quale non conosciamo l'esito.
Oggi, sono in carcere circa 38 mila soggetti italiani e 10 mila extracomunitari, a fronte di una popolazione carceraria di 61 mila persone. Tuttavia, i conti non tornano perché vi sono circa 22 mila detenuti in attesa di giudizio.
Siccome la statistica ci dice che i carcerati in attesa di giudizio vengono, per il 50 per cento, dichiarati innocenti, la strada maestra è quella di svolgere i processi, mandare in carcere i colpevoli in maniera definitiva e far uscire gli innocenti, risolvendo in tal modo la situazione per almeno 11 mila casi. A mio avviso, questa è la strada migliore da seguire: svolgere i processi significherebbe automaticamente svuotare le carceri nel numero esattamente corrispondente a quello che deriverebbe dall'applicazione dell'indulto o dell'amnistia per due o tre anni.
Si parla di una situazione carceraria infame, di una situazione illegale, in quanto vi sono 65 mila persone a fronte di 45 mila posti in carcere. Tuttavia, non abbiamo sentito parlare del motivo per il quale ci si trovi in questa situazione. Oggi, dobbiamo supplire ad un ordine dello Stato, la magistratura, che non fa il proprio lavoro, non svolge i processi, se non quelli che le convengono.
Pertanto, la nostra contrarietà al provvedimento in esame è dovuta al fatto che siamo di fronte ad un provvedimento di clemenza che non è fisiologico, ma patologico.
La patologia si chiama magistratura e, prima di arrivare alla soluzione del problema, dobbiamo andare alla sua causa, che deve essere risolta con dei provvedimenti che facciano sì che i magistrati lavorino.
Lo dico semplicemente perché, ad esempio, non ho mai visto il procuratore generale della mia regione in udienza una volta. So che una grossissima fetta del lavoro giudiziario viene svolta da giudici onorari, che evidentemente suppliscono ad una carenza di magistrati, i quali, tuttavia, certamente non sono sotto organico, perché vi sono circa 9 mila magistrati, ossia un numero di gran lunga superiore alla media europea.
Mi permetto, inoltre, di svolgere alcune considerazioni in riferimento al ministroPag. 75Di Pietro ed alla sua posizione politica. Innanzitutto, bisogna ringraziarlo perché ha fatto chiarezza, affermando che lui, come ministro, è offeso, perché in aula si discute di indulto, al punto da autosospendersi. Ciò significa che non ha alcuna considerazione per l'Assemblea, perché ricordo a tutti quanti che questo provvedimento non nasce dal Governo, ma dall'Assemblea e, quindi, farebbe forse meglio a portare rispetto a quest'aula, senza autosospendersi per un problema che nasce, cresce, si evolve e vive o muore secondo la volontà di quest'Assemblea.
La seconda questione è che, autosospendendosi, egli porta il dibattito sull'indulto dal livello parlamentare a quello governativo. Quindi, devo ringraziarlo perché i casi sono due: o il provvedimento sarà approvato da quest'aula e, quindi, il ministro Di Pietro si dimetterà, perché è un uomo d'onore; oppure, il provvedimento non sarà approvato da quest'aula e, quindi, il Governo si dimetterà, proprio perché il ministro, che in quanto tale si è autosospeso, ha coinvolto il Governo, che verrebbe clamorosamente battuto.
Capisco bene, inoltre, tutti i discorsi in riferimento ad alcune esclusioni soggettive. Ci stanno dicendo che alcuni imputati possono beneficiare di questo indulto ed altri no. Quelli che non possono beneficiarne non sono gli assassini, gli stupratori, coloro che hanno compiuto rapine od omicidi o che hanno commesso i reati da «colletti bianchi».
Il parlamentare che mi ha preceduto, parlava di reati dei «colletti bianchi». Capisco bene questo discorso, perché il ministro Di Pietro - lo ricordo - quando era pubblico ministero diceva una serie di cose sui politici, sul suo ingresso in politica e sui reati dei «colletti bianchi» (causando sette morti, ossia sette persone che si sono suicidate in carcere, senza che la magistratura potesse decidere se erano innocenti o colpevoli) che lo hanno portato a quella fama e a quella notorietà che, pur non avendo nessun precedente di carattere politico, hanno determinato per lui, come primo incarico, quello di ministro dei lavori pubblici.
Capisco bene il fatto di escludere questo tipo di reati. Ovviamente, quando parlo di magistratura mi riferisco ad una sua ala specifica, non a tutta la magistratura, che, in una sua gran parte e nella maggioranza dei soggetti, è composta da persone perbene e che lavorano. Mi riferisco, quindi, solo ad una sua parte, quella che costituisce il pugno armato di talune forze politiche e che su questi reati fa la sua carriera politica.
Io faccio l'avvocato, quando non faccio il parlamentare. E, rivolgendomi all'onorevole Fitto, gli consiglierei semplicemente di cambiare avvocato. Infatti, quest'ultimo avrebbe dovuto dire: male ha fatto Fitto a prendere soldi ed a registrarli, come la legge prevede. Avrebbe dovuto prendere i soldi e, laddove la magistratura ne avesse chiesto la provenienza, sarebbe bastato dire che gli erano stati prestati e un giorno sarebbero stati restituiti. Magari, l'onorevole Fitto, avrebbe potuto farsi prestare una macchina, una Mercedes, per poi dire: non c'è problema, non sono corrotto, mi stanno prestando la macchina perché ne ho bisogno, nient'altro!
C'è ancora un altro piccolo particolare, onorevole Fitto: lei avrebbe dovuto sostenere il concorso in magistratura e superarlo. Ciò l'avrebbe resa realmente immune da alcuni tipi di reati e le avrebbe consentito di fare una brillante carriera politica, senza che la stessa fosse interrotta da procedimenti privi di fondamento.
Io, al suo posto, non sarei molto tranquillo, affermando di non aver fatto niente. Questa è una causa necessaria, ma non certo sufficiente alla sua assoluzione.
Per questi motivi, credo che, finché non ci sarà questo tipo di onestà nel riconoscere l'origine dei meccanismi che producono il sovraffollamento delle carceri e le disfunzioni del sistema giudiziario, finché non si dirà in maniera chiara che la colpa sta nel manico e non nella lama, nella causa e non negli effetti, saranno adottati i peggiori provvedimenti che si possa pensare.
Lo ripeto: la soluzione maestra è quella di fare processi che porterebbero a 11 mila assoluzioni e a risolvere questo problema.Pag. 76Quindi, bene gli innocenti fuori delle carceri; meno bene far uscire dalle carceri coloro la cui colpevolezza è dubbia; certamente, non siamo assolutamente d'accordo con l'ipotesi che persone riconosciute colpevoli escano dalle carceri per far piacere a una categoria di persone, ossia i magistrati, che non lavorano (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Silvana Mura. Ne ha facoltà.
SILVANA MURA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'Italia dei Valori ha presentato numerosi emendamenti alla proposta di legge all'ordine del giorno per rimarcare la profonda contrarietà ad un provvedimento di indulto così concepito, che implica un colpo di spugna rispetto a reati che offendono il sentire comune dei cittadini.
Oggi ci confrontiamo sulla capacità del Parlamento di rappresentare effettivamente le esigenze, le richieste e i sentimenti dei nostri concittadini.
Onorevoli colleghi, la convivenza civile è intimamente legata al grado di giustizia percepito dai cittadini: non possiamo - noi per primi - abbassarne il livello. Non possiamo far passare l'idea che il nostro sia un paese in cui può essere conveniente ed utile non rispettare le leggi e commettere reati, sapendo di non incorrere nelle giuste e doverose sanzioni, magari con pratiche processuali che tendono ad evitare il giudizio dei tribunali.
Il nostro non può essere il paese dei «furbetti del quartierino». Abbiamo il dovere di difendere quel senso di giustizia che lega ed unisce la collettività. Abbiamo il dovere di mantenere alto il senso di giustizia che passa attraverso il rispetto delle leggi. Lo dobbiamo a quella maggioranza di cittadini onesti che le rispettano e lavorano ogni giorno con sacrificio per costruire il loro futuro. Dobbiamo rispettare la loro aspettativa di giustizia. Il rispetto della legge è un dovere per tutti, nessuno escluso, nemmeno i più potenti!
Un altro aspetto da porre in rilievo è relativo alle proposte emendative presentate dal nostro gruppo e, più in generale, al confronto che si è sviluppato sul provvedimento in esame.
Come in passato, una delle motivazioni principali, anzi di gran lunga la più importante, a sostegno del provvedimento oggi in discussione è lo stato di necessità, vale a dire la necessità di ridurre il numero dei detenuti, troppo numerosi rispetto alla capacità di accoglienza delle nostre carceri. Si tratta di una motivazione che noi sinceramente condividiamo: è nota a tutti la situazione di sovraffollamento e di precarietà delle carceri italiane, così come sono a tutti noti il disagio e, in alcuni casi, la sofferenza dei carcerati, i quali, anziché vivere la pena come rieducazione ai fini del loro reinserimento sociale, trovano nel carcere ispirazione per delinquere ulteriormente una volta scontata la condanna.
Tutti conoscono la composizione della popolazione carceraria italiana. Essa è rappresentata, per quasi il 34 per cento, da cittadini extracomunitari, mentre la quota degli italiani è costituita, in gran parte, da persone con titolo di studio basso o senza titolo di studio, tanto è vero che i laureati rappresentano soltanto lo 0,9 per cento di tutti i detenuti: 565 unità su 59.523! In altri termini, quasi sempre finiscono in carcere, oggi come ieri, i rappresentanti delle classi sociali più deboli e meno acculturate.
Occorre concludere che, se queste persone hanno infranto la legge penale e rappresentano un pericolo sociale, anche la società nel suo complesso ha qualche debito nei loro confronti, quanto meno in termini di opportunità di vita e di condizione sociale. Anche soltanto per questi motivi, oltre che per i raggiunti limiti di sopportabilità della vita carceraria dovuti al sovraffollamento, il provvedimento di indulto, volto a ridurre le sofferenze dei reclusi, non può che trovarmi favorevole; e, insieme a me, è favorevole l'intero gruppo dell'Italia dei Valori.
A tale proposito, ricordo l'intervento in Parlamento di Papa Giovanni Paolo II, il quale, già nel novembre del 2002, chiedeva al Parlamento in seduta comune, dall'altoPag. 77del suo magistero e della sua umanità, l'adozione di un provvedimento di clemenza.
Proprio secondo questo spirito, e per evitare che le stesse persone rientrino in quelle stesse celle in tempi più o meno brevi (vanificando, di fatto, l'effetto dell'indulto, così com'è avvenuto nei precedenti casi), occorre, contemporaneamente, prevedere sul territorio, a sostegno della loro integrazione sociale, interventi senza i quali è più facile che esse ricadano nella spirale carcere-reato-carcere.
Onorevoli colleghi, se vogliono essere vere, credibili e condivise dai normali cittadini, proprio da quei cittadini che sono le vittime dei reati troppo spesso impuniti, occorre che tutte queste considerazioni trovino una giusta collocazione e specificazione.
Con l'indulto proposto da parte della maggioranza, le persone responsabili di reati contro la pubblica amministrazione che godranno del beneficio saranno in tutto 67, un numero tanto esiguo da non avere alcuna relazione con l'obiettivo dichiarato di ridurre l'affollamento nelle carceri. Inoltre, è bene ricordare che tutti i provvedimenti di amnistia e indulto approvati nel dopoguerra hanno sempre escluso dall'ambito di applicazione delle misure di clemenza i reati di corruzione e concussione contro la pubblica amministrazione.
Come spiegare che l'indulto arriverà a graziare quei «colletti bianchi» che non hanno alcuna attenuante sociale, culturale e economica per delinquere se non - cosa ancora più odiosa - quella di sfruttare la loro posizione di potere per infrangere le leggi e per creare un danno sociale ben più pesante di quello provocato dai «ladri di polli» che affollano le carceri italiane? Questi signori che hanno fatto parte della classe dirigente politica, economica e finanziaria del paese dovevano essere di esempio e guida per i cittadini nel rispetto scrupoloso delle leggi. Al contrario, hanno abusato delle funzioni per un loro interesse personale, chiamandosi fuori dalla legge e cercando in tutti i modi di sottrarsi al giudizio dei tribunali. Ora, se costoro, dietro la massa dei carcerati comuni, si sottraessero, grazie all'indulto, alle fin troppo miti condanne ricevute, credo che nessun cittadino onesto crederebbe più nella giustizia del nostro paese né nella classe politica responsabile di un tale insulto al senso di giustizia della nazione.
Il paese in cui il Parlamento democraticamente eletto calpestasse il sentire comune dei suoi cittadini su una questione essenziale per la convivenza civile, qual è la giustizia, sarebbe un paese senza un futuro di sviluppo civile.
Tanto più ciò è vero se riferito all'Italia, dove una quota importante degli appalti pubblici e dell'economia di intere regioni è nelle mani della criminalità organizzata; dove per cinque anni il Governo del paese ha scritto leggi ad personam, nell'interesse esclusivo di grandi affaristi, circostanza che ha rappresentato una tra le più umilianti stagioni politiche del Parlamento italiano; dove sono prodotti alcuni tra gli scandali e le truffe più gravi a livello internazionale, che hanno coinvolto persino la Banca d'Italia, l'unica istituzione del paese che avesse mantenuto nel tempo stima e credibilità internazionali. Mi riferisco allo scandalo Parmalat: 10 miliardi di euro persi e circa 135 mila risparmiatori coinvolti; allo scandalo Cirio (un miliardo e 250 milioni di euro persi e 35 mila risparmiatori coinvolti), allo scandalo Banca Popolare Italiana, con l'arresto del suo amministratore delegato - che nel corso del suo interrogatorio, ha ammesso persino di aver accumulato un tesoro di 70 milioni di euro a spese dei propri clienti! -; allo scandalo Unipol, per arrivare - ma, temo, per non finire - allo scandalo del calcio, di gran lunga più il grave nell'ambito dello sport a livello mondiale.
Che il tema della legalità in Italia sia fondamentale è scritto anche nel programma dell'Unione, sottoscritto da tutti i partiti dell'attuale maggioranza e che dovrebbe rappresentare il patto inderogabile con i cittadini che ci hanno dato la loro fiducia, votandoci. Il programma afferma testualmente: «Obiettivo primario della prossima legislatura è l'approvazione di un nuovo codice penale. A questo deve associarsiPag. 78un provvedimento di clemenza e la contestuale modifica della norma costituzionale relativa al quorum necessario per la concessione di amnistia e di indulto. Bisogna innanzitutto combattere la corruzione, fenomeno ancora vivo, come prova il quarantaduesimo posto che l'Italia ha ottenuto nel 2004 nella classifica di un'autorevole ONG indipendente, che si batte contro i fenomeni di corruzione. Daremo maggiore attenzione sia ai reati connessi con l'attività amministrativa, come la corruzione, sia alla criminalità economica, che falsa le condizioni di concorrenza e di mercato (...)». Si tratta de Per il Bene dell'Italia. Programma di Governo 2006-2011, sottoscritto da tutti i segretari dei partiti del centrosinistra nell'aprile 2006.
Questo alto impegno morale fu assunto prima delle elezioni. A tre mesi da tale data, registriamo le dichiarazioni dell'onorevole Pierluigi Mantini, capogruppo dell'Ulivo in Commissione giustizia, che afferma: «Se non lasciamo, nel testo, la possibilità di far beneficiare dell'indulto Cesare Previti, Forza Italia non voterà con noi questo provvedimento (...). Vorrei ricordare a tutti che il quorum è dei due terzi (...)». Notizia Ansa del 20 luglio 2006.
La riforma del codice penale e l'approvazione di provvedimenti urgenti sono le misure fondamentali per diminuire la popolazione carceraria in maniera duratura. Si doveva presentare, contestualmente all'indulto, un testo che abrogasse le leggi che maggiormente producono inflazione carceraria come, ad esempio, la Bossi-Fini che solo nel 2005 ha prodotto quasi diecimila nuovi detenuti, la ex-Cirielli e la legge sugli stupefacenti, e, al tempo stesso, promuovere quelle misure di controllo sociale che possono sostituire la sanzione detentiva. Questi provvedimenti, affiancati all'indulto, avrebbero prodotto un effetto duraturo sulla diminuzione della popolazione carceraria, in attesa di un intervento sostanziale di riforma del codice penale, che richiederà naturalmente tempi più lunghi.
Appare evidente dalle argomentazioni addotte che i principi di un provvedimento come l'indulto non possono essere riconducibili solo allo stato di necessità. Il vero indulto da approvare nel paese dovrebbe riguardare i casi drammatici dei 56 bambini detenuti assieme alle loro madri, bambini da zero a tre anni, innocenti, che vivono in carcere subendo traumi permanenti, bambini che dovrebbero crescere in ambienti umani, secondo quanto previsto dalla legge 8 marzo 2001, n. 40, che consente la detenzione domiciliare per le madri con figli di età inferiore ai dieci anni e che nella realtà italiana si trovano reclusi e costretti a crescere in situazioni drammatiche. Per questi bambini vogliamo l'indulto, non per i grandi truffatori di cui si preoccupa in particolare il testo in esame!
Abbiamo espresso la nostra contrarietà all'approvazione della proposta di indulto presentata: lo abbiamo detto chiaramente in Commissione e lo ribadiamo, con coerenza, in quest'aula.
La Costituzione italiana prevede per l'approvazione del provvedimento di indulto la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera; quindi, oltre al consenso dei gruppi di centrosinistra, occorre il consenso anche di una parte dell'opposizione. Proprio la necessità di questa larga condivisione impone alle forze politiche la responsabilità ulteriore di rappresentare la parte migliore del paese, cioè l'Italia degli onesti, che per troppo tempo, per troppi anni, è stata umiliata e calpestata. Questa è l'occasione per tutti per restituire credibilità e dignità al nostro paese anche a livello internazionale, mantenendo il giusto rigore verso alcune tipologie di reati particolarmente gravi.
La discussione e il compromesso non possono avvenire a livello più basso e nell'interesse esclusivo di pochi grandi potenti cui vengono abbonati preventivamente tre anni di pena e, anche se condannati, in carcere non torneranno mai. La rinascita morale, civile ed economica del paese può nascere da un patto tra le maggiori forze politiche che voltino pagina realmente rispetto alla corruzione, al malaffare e alla criminalità organizzata; quindi, se non vi dovessero essere lePag. 79condizioni per un tale patto di rinascita morale, sarà meglio procedere con una riforma della legislazione che depenalizzi alcuni reati, piuttosto che deludere per l'ennesima volta la fiducia dei cittadini con una norma che finisce con il premiare anche alcuni tra i maggiori artefici della corruzione, degli arricchimenti illeciti in Italia.
Non si possono chiedere sacrifici senza offrire esempio e coerenza morale; quindi, in mancanza di un serio impegno riformatore e morale l'Italia dei Valori esprime la sua contrarietà a questo tipo di provvedimento così com'è presentato dalla maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Italia dei Valori e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, in questa sede l'UDC riconferma una posizione di favore ad un provvedimento di clemenza che ha già espresso negli anni passati; infatti, tra le proposte abbinate a quella in discussione c'è anche una proposta a firma dell'onorevole Forlani.
Potrei dire che questo è il primo provvedimento che si muove in una logica di doverosa continuità istituzionale, perché il tema della clemenza è un argomento che stiamo affrontando da oltre quattro anni in quest'aula. Ricordo ai colleghi che, nella precedente legislatura, non più tardi di un anno fa, l'allora Presidente della Camera, onorevole Casini, convocò questa Camera in seduta straordinaria proprio per verificare la sussistenza delle condizioni necessarie all'approvazione di quell'atto del quale si era tanto parlato; ma in quell'occasione non trovammo la convergenza necessaria, anzi riscontrammo una situazione di disomogeneità all'interno del centrosinistra. Disomogeneità non ufficialmente dichiarata, mentre nel centrodestra c'erano e ci sono posizioni chiare e nette di favore e di contrarietà.
Nel centrosinistra, invece - purtroppo devo verificare che accade ancora oggi -, ci sono delle posizioni di incertezza rispetto alla gestione complessiva di questa maggioranza (che mi permetterete di definire un po' traballante) che ci portano oggi a caricarci di un supplemento di responsabilità. Noi avremmo voluto un provvedimento che comprendesse anche l'amnistia, avremmo voluto un provvedimento di clemenza che fosse collegato organicamente a riforme strutturali; oggi, però, l'incertezza sui tempi futuri ci spinge ad accettare questo provvedimento e ad esprimere una posizione di favore nei confronti del solo indulto perché siamo convinti di avere il dovere di farci carico di una gravissima ferita che ormai colpisce il nostro Stato di diritto.
Certo ci affidiamo fiduciariamente agli impegni che questa maggioranza ha annunciato rispetto all'azione di riforma che vorrà mettere in campo. L'onorevole Silvana Mura ha appena terminato di fare un elenco dettagliato di impegni riformatori, molti dei quali sono stati già avviati dal centrodestra; quindi, siamo convinti di poter dare una mano a realizzare questi impegni di riforma. Noi riteniamo come UDC che un atto di clemenza non confligga con l'esigenza di sicurezza che viene dalla società.
Da troppo tempo ci confrontiamo con una crisi profonda del sistema della giustizia che ha prodotto una condizione di grave emergenza sociale dentro le strutture penitenziarie, ma, quel che è più grave, anche fuori delle stesse.
In questa sede, abbiamo il dovere di farci carico di un atto di responsabilità, ben sapendo che questa non è la soluzione ai problemi, ma è un modo necessario per rendere possibile un'azione di riforma strutturale efficace che risponda alla situazione patologica cui faceva riferimento l'onorevole Brigandì.
Il testo sul quale ci confrontiamo impone comportamenti diversi che fanno appello, o dovrebbero fare appello, ad una sensibilità diversa. Nei comportamenti dell'Italia dei Valori non riscontro questa sensibilità. A mio avviso, non si può fare propaganda su simili temi. Come ha detto l'onorevole Casini - voglio ripeterlo -, suPag. 80questi temi bisogna agire, non parlare, non fare annunci. Non si può piegare questo argomento alle esigenze della maggioranza e, mi perdoni, signor Presidente - mi perdoni anche il presidente della mia Commissione -, la sospensione dei lavori di prima rientra in questa logica di asservimento ad un rapporto di coalizione.
L'Italia dei Valori in tutti i suoi interventi ha fatto riferimento all'aspirazione alla legalità. Credo che questa aspirazione a garantire la legalità nel paese appartenga a tutti noi. Il problema è quale sia il concetto di legalità che abbiamo. Forse, le cifre aggiungono qualcosa in più delle parole. Ma, al di là delle cifre riguardanti le persone che affollano le carceri (i circa 60 mila ristretti, a fronte di una capienza di circa 45 mila unità; le 50 mila persone in misura alternativa alla detenzione; le 70-80 mila già condannate a pene inferiori ai tre anni, in attesa della decisione del giudice sulla possibilità di scontare la condanna con misura alternativa), vorrei citare un altro dato che ancora non è stato ricordato e che si riferisce al numero dei reati prescritti: dal 2000 al 2004, sono circa un milione i reati prescritti. Molti di più sono quelli neanche perseguiti. Nel 2003, le persone denunciate sono state circa 537 mila. I delitti denunciati, per i quali non è iniziata neanche l'azione penale, sono stati circa 2 milioni e 800 mila; nell'80 per cento dei casi, non si conosceva e non si conosce ancora l'autore del reato.
Sono dati allarmanti che ho ricavato dall'ultima relazione del Procuratore generale e che dimostrano che nei prossimi anni il problema della sicurezza andrà ad ingigantirsi e richiede un atto di responsabilità. Questi numeri dimostrano che, molto spesso, la giustizia ha un corso casuale, a volte addirittura censuario. Questo sistema non può garantire la sicurezza e non può garantire la legalità. Non pensiamo, come ho già detto, di risolvere il problema, ma sicuramente questo è un passaggio stretto, necessario per riuscire a realizzare riforme efficienti.
In Commissione, noi dell'UDC abbiamo presentato degli emendamenti per includere i reati finanziari, i reati contro la pubblica amministrazione, alcuni reati ambientali. Queste proposte emendative sono state tutte respinte dalla maggioranza. Non ne abbiamo fatto una bandiera. Abbiamo presentato, anche a fronte di questo voto contrario, un emendamento per ampliare il termine della condizione risolutiva da cinque a sette anni, un termine che è uno strumento di prevenzione importante per garantire la sicurezza dei cittadini e forse per offrire quel supplemento di legalità del quale abbiamo bisogno. Su questo emendamento andremo avanti (lo abbiamo ripresentato). Rispetto alle esclusioni dei reati che ho menzionato, invece, facciamo un passo indietro, perché quello di cui ci stiamo facendo carico oggi è un atto di alta, altissima responsabilità politica, che non può lasciare spazio a diatribe tra reati di un colore e reati di un altro colore, né tanto meno ad iniziative persecutorie. Non è questa la sede e non è l'indulto lo strumento per celebrare un processo di moralizzazione!
Mi rivolgo al ministro, onorevole Di Pietro: se è questo il suo obiettivo, se è questo il suo intento, faccia chiarezza, affronti la questione morale nelle sedi opportune e con i modi opportuni e confacenti a questi luoghi e sicuramente, in quel caso, troverà l'UDC al suo fianco (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, resto stupito dal silenzio dei deputati dell'Ulivo: di essi, ha chiesto di parlare soltanto un deputato e, finora, non è intervenuto nessuno. Del resto, non ha preso la parola neppure un solo deputato di Rifondazione Comunista; non ha preso la parola neanche un solo deputato dei Comunisti Italiani; nemmeno ha chiesto di parlare, sul complesso delle proposte emendative presentate, alcun deputato del gruppo dei Verdi.
Ritengo tutto questo inquietante e rivolgo un primo appello ai colleghi deputati:Pag. 81coloro che sono contrari a questo provvedimento facciano il possibile per rompere il torpore che aleggia in questa Assemblea in cui, sottobanco, già è stato programmato il voto ed il relativo orario! Noi facciamo finta che ci sia un reale confronto e un reale dibattito! Proprio per l'importanza e la delicatezza della materia, sarebbe stato necessario svolgere questo dibattito con molta maggiore profondità e con molta maggiore serietà. Coloro che sono contrari a questo provvedimento facciano il possibile per impedirne l'approvazione e non soltanto per affermare che sono contrari!
Ci vuole più determinazione perché, onorevoli colleghi, la cosa più raccapricciante di questo provvedimento è il fatto che dalle carceri, che sono sovraffollate, come tutti affermiamo, nelle quali si vive in promiscuità, nelle quali non ci può essere recupero e nelle quali si umilia la dignità del detenuto, dopo l'approvazione di questo provvedimento non usciranno 10 o 12 mila detenuti, come si dice. L'indulto nella misura di tre anni avrà effetto anche sulle condanne maggiori ed usciranno dal carcere coloro che sono stati condannati mentre, in quelle fetide carceri, resteranno i detenuti in attesa di giudizio. Vergognamoci!
Da tutte le statistiche risulta che, alla fine del percorso, tra il 36 ed il 40 per cento dei detenuti in attesa di giudizio sono dichiarati innocenti. Pensate, allora, come si possano sentire quelle persone che si trovano in carcere e che, nel 40 per cento dei casi, saranno dichiarate innocenti da sentenze dei tribunali, che assistono alla scarcerazione di coloro che sono stati condannati ed hanno leso la vita o la libertà altrui. Questi ultimi escono ed essi restano, in promiscuità, in quelle carceri sovraffollate nelle quali non si tutela la dignità della persona, non ci sono gli asili, nonostante una legge per l'allattamento dei minori, non c'è recupero e non c'è assolutamente alcunché di quanto dovrebbe essere a monte di un atto di clemenza! È possibile, onorevoli colleghi, che chi è in attesa di giudizio debba rimanere in carcere mentre chi è stato condannato sia liberato? A me pare una cosa fuori dal mondo, incredibile!
Ecco perché sarebbe occorso un dibattito serio. Vedete, onorevoli colleghi, non vi ringrazieranno coloro che voteranno a favore e neppure le famiglie dei detenuti perché, salvo casi eccezionali, tutte le statistiche dimostrano che chi è uscito dal carcere, almeno nel 65 per cento dei casi, vi ritorna. Neppure vi ringrazieranno le famiglie che si sono liberate di una persona che non rispetta la dignità umana e le regole della convivenza civile.
Quando queste persone usciranno dal carcere e non troveranno una struttura a cui rivolgersi per chiedere un lavoro, che pensate che faranno dopo sei mesi, se non delinquere ancora, per riempire poi nuovamente le carceri, com'è sempre avvenuto nel corso degli ultimi venti anni, dopo ogni atto di clemenza?
Raccogliere l'appello del Pontefice al senso dell'umanità non significa in maniera esclusiva tirare fuori dalle carceri i delinquenti! Significa costruire carceri a dimensione umana, creare le strutture per il recupero di colui che ha compiuto delitti. Significa impegnarlo anche mentalmente e manualmente all'interno delle carceri, affinché egli si senta un uomo che ha ancora capacità di farcela nella vita. Nelle carceri invece non si fa assolutamente nulla.
Presenterò poi un ordine del giorno, con il quale illustrerò quante sono le carceri in Italia finite, ma lasciate abbandonate. Vi sono almeno una decina di strutture carcerarie che sono lì - le stanno smontando - e non si fa nulla per completarle. Qual è l'affare perverso che c'è dietro l'edilizia carceraria? È incredibile pensare che in quattro anni - il Pontifice è venuto qui in Parlamento nel novembre del 2002 - non si sia fatto assolutamente nulla! Neppure per aprire le carceri che erano già state costruite! Onorevole Di Pietro, lei che fa parte del Governo, dica all'onorevole Mastella di venirci a raccontare cosa occorre per aprire quelle carceri!Pag. 82Il Parlamento è a disposizione se si tratta di fare cose che servono sul serio ad alleviare la condizione del carcerato.
Onorevoli colleghi, colgo l'occasione per dire che è bene che si voti a scrutinio palese, perché si veda come hanno votato sull'indulto qui in aula tutti coloro che sono andati in giro per l'Italia - amici dei DS - a dire: certezza della pena! Si veda che hanno la lingua biforcuta: una cosa si dice ai cittadini in piazza, un'altra cosa si dice qui in Assemblea! Salvo la libertà di coscienza e la libertà di pensiero.
E poi anche voi, colleghi di Forza Italia! Forza Italia è un partito che deve assicurare il cambiamento in questo paese e che ha fatto la campagna elettorale sulla certezza della pena. Allora non si può legiferare per fare uscire dalle carceri non 12 mila detenuti ma molti di più, perché questo sarà l'effetto dello sconto di tre anni! Infatti, a chi ha avuto cinque anni di condanna, tolti i tre anni, ne restano due; e così, potendo essere dato in affidamento ai servizi sociali, esce dal carcere. Chi ha avuto sei anni esce dal carcere. Quindi anche uno che ha avuto una condanna per omicidio preterintenzionale, che si aggira intorno ai nove anni di carcere, tra condoni, sconti di pena e questo indulto, esce dal carcere!
Allora, onorevoli colleghi, vedo che in quest'aula c'è tanta attenzione verso chi ha compiuto i delitti. Ma un po' di attenzione la vogliamo mettere anche verso quelle famiglie che hanno subito la violenza degli usurai che adesso usciranno dalle carceri? Quelle famiglie non hanno volto? Non hanno diritti? Non hanno la Camera attenta ai loro problemi? Che risposta diamo a quei commercianti che hanno dovuto subire il racket e l'usura e quando non hanno pagato si sono visti violentare le loro donne e picchiare i loro figli, come le cronache dimostrano ogni giorno? Guardate che le cronache riportano solo una bassa percentuale dei delitti legati all'usura: infatti, se lo Stato dà la risposta che chi ha compiuto un delitto esce dalle carceri, non si può pretendere che il cittadino comune che vive in un quartiere ad alta intensità mafiosa o camorristica faccia l'eroe e abbia il coraggio di sporgere denuncia, chiedendo protezione ad uno Stato che gli riporta sotto casa il delinquente che ha tentato di togliergli la vita!
Nel nord-est non ci sono solo gli imprenditori, ma cittadini (anche imprenditori) che ormai non vivono più una notte serena nelle loro case. Ebbene, questi dovrebbero forse ringraziare chi fa uscire il delinquente, la bestia entrata a casa loro alle due o alle tre di notte con la pistola in pugno?
Abbiamo esaltato - e giustamente -, signori del centrodestra, la legge sulla legittima difesa, che noi della Casa delle libertà abbiamo approvato sostenendo che chi entra in una casa privata o in un negozio, non può partire alla pari con la sua vittima, se si giunge ad un processo. Dopo avere approvato la legge sulla legittima difesa - che ritengo essere una buona legge -, ora invece facciamo uscire dal carcere colui che merita di essere duramente condannato nel caso in cui violenti il cittadino nella sua intimità, nella sua privacy, nella sua casa? Come possiamo spiegare che persone per le quali abbiamo chiesto severità di pena ora escono dal carcere?
Vedete, io non sono contrario al fatto che ci sia attenzione verso la popolazione carceraria, ma questo significa portare umanità, solidarietà, dare la possibilità di un impegno psicofisico e possibilmente un posto di lavoro, assistere le famiglie, liberare da una bieca condizione colui che si trova nelle carceri costretto a piegarsi in ginocchio davanti a chi è più delinquente di lui. Se si approva una legge che dice solo «è' concesso indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive», ci domandiamo quanti sono coloro che usciranno dal carcere per la diminuzione dei tre anni di pena. Il Governo avrebbe dovuto dirlo! Quando si presenta un provvedimento del genere, signori relatori della maggioranza e signori della Commissione, dovete fornire all'Assemblea i dati relativi a quanti sono coloro che usciranno dal carcere: tali dati non sono stati forniti da nessuno.Pag. 83
Allora, qui si continuerà a ripetere che questo provvedimento si vuole approvare in quanto atto di clemenza, affinché le carceri si alleggeriscano. Se la mia memoria non m'inganna, l'ultimo atto di clemenza risale al 1992: andando a leggere i dati, non si riscontra che a seguito di tale provvedimento i reati siano effettivamente diminuiti.
Colleghi, se dal 2002 ad oggi, dopo il nobile messaggio dato in Parlamento dal Sommo Pontefice, fossero diminuiti i delitti nel nostro paese e così anche la delinquenza, oggi potremmo dire che effettivamente il Parlamento ha raccolto questa novità e questa sensibilità perché vi possa essere una nuova pagina per la convivenza civile.
Nel momento in cui, dal 2004 al 2006, sono aumentati tutti i tipi di delitti, sono, altresì, aumentati - aspetto più grave ancora - i reati compiuti dai minori, dai giovani e dalle donne: oggi, nelle carceri, vi sono più giovani, più donne e più minori che devono subire i processi. Quindi, si è registrato un segnale di segno opposto.
Nel 1990, è intervenuto l'ultimo provvedimento di clemenza; ebbene, nel 1990 - anno dell'atto di clemenza -, i delitti sono diminuiti rispetto al 1989: si passa dai 2 milioni 274 mila del 1989 ad un milione 980 mila nel 1990. Però, se immediatamente a ridosso del provvedimento si registra un calo delle azioni delittuose, nell'anno successivo si è assistito - registrateli, tali dati! - ad una crescita del numero dei delitti che non ha avuto, forse, altri precedenti. L'idea dell'impunità e dell'immunità - e il fatto che, usciti dal carcere, non avevano alternativa di vita - ha portato, nel 1991, ad un incredibile aumento dei delitti compiuti nel nostro paese; una flessione cui è dunque seguito un aumento di non poco conto. Perciò, ogni atto di clemenza ha portato ad un successivo aumento dei reati commessi; dopo l'atto di clemenza del 1990, vi è stato un incremento del 41 per cento degli atti delittuosi nel nostro paese.
Ma vengo anche ai precedenti relativi agli anni Ottanta. Si è passati da 1 milione 912 mila delitti nel 1975 ad oltre due milioni nel 1977; da 2 milioni 101 mila nel 1978 ad un incremento del 7,3 per cento dei delitti compiuti nel nostro paese dopo l'amnistia nello stesso anno. Anche i quozienti di criminalità di quegli anni riflettono tale tendenza: si è passati da 3 mila 413 del 1977 a 3 mila 615.
Ma voglio concludere; è inutile intervenire in un'aula «cloroformizzata», dove l'«inciucio» prevale sul merito della discussione e dove non si ha il coraggio di parlare e si è tuttavia d'accordo nel «giocare» su quale reato ricomprendere e quale no nell'ambito di applicazione dell'indulto. Ma, se il principio è quello del ravvedimento, esso può valere per qualunque persona, qualunque delitto abbia commesso; questo mercato, quindi, di chi è incluso e di chi è escluso è assolutamente indecoroso.
Cari colleghi, non lamentiamoci della disaffezione dei cittadini alla politica: quando verrà approvato questo provvedimento, non avremo aiutato la popolazione carceraria, né le famiglie dei carcerati, né avremo dato maggiore fiducia verso le istituzioni e lo Stato a quelle famiglie che hanno subito gli atti delittuosi.
Tenete conto che la criminalità, negli ultimi anni, sta diventando più crudele, più cattiva, più sadica e più violenta; quindi, a tale crescita del livello di criminalità, con lo spessore di una maggiore crudeltà, si darebbe il nulla osta, generando la convinzione che in Italia, prima o poi, arriva un momento nel quale il delinquente esce ed il cittadino perbene, il cittadino comune, che paga le tasse e rispetta le leggi, viene messo in ginocchio; anzi, deve nascondersi perché coloro che sono finiti in carcere escono. E ciò, inoltre, a rischio della vita dei tanti agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie di finanza, vigili urbani! Quanti sono gli uomini delle forze dell'ordine che hanno rischiato la loro incolumità e la loro vita? E quanti sono coloro che hanno perso la vita per assicurare alla giustizia i 15, 20, 25 mila detenuti che ora si vorrebbe far uscire dalle carceri? A quelle famiglie...
PRESIDENTE. La prego, ha abbondantemente superato il suo tempo...
TEODORO BUONTEMPO. Concludo, Presidente.
A quelle famiglie che hanno subito questa violenza oggi non si può dire che il Parlamento nei suoi primi cento giorni se n'è fregato dei contratti a tempo, se n'è fregato della delinquenza in un terzo d'Italia e invece ha rivolto tutta la sua attenzione a coloro che purtroppo sono in carcere e che, come le statistiche dimostrano, ci tornano.
Colleghi che avete promesso la certezza della pena...
PRESIDENTE. La prego...
TEODORO BUONTEMPO. ...oggi è il momento di dimostrarlo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. In considerazione dell'elevato numero di deputati che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti e al fine di dare ordine ai nostri lavori, avverto i colleghi che nella giornata di oggi non avranno luogo votazioni. Proseguiremo comunque fino all'esaurimento degli interventi sul complesso degli emendamenti e all'espressione del parere da parte del relatore e del Governo. Esauriti tali interventi, si passerà alla discussione sulle linee generali del disegno di legge comunitaria.
Domani, la Camera sarà convocata alle 9,30. Dopo l'esame della risoluzione sul DPEF e la votazione per l'elezione della delegazione del Consiglio d'Europa, riprenderà il seguito dell'esame della proposta di legge relativa all'indulto, cui faranno seguito, dopo la votazione delle dimissioni del deputato Cacciari, gli ulteriori argomenti previsti nel calendario dei lavori.
Ha chiesto di parlare il deputato Belisario. Ne ha facoltà.
FELICE BELISARIO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, intervengo in un momento poco propizio. Stiamo discutendo da qualche giorno e da un'intera giornata su una proposta di legge che sintetizza le molteplici proposte presentate da più parti politiche. È noto che il varo di un provvedimento legislativo di clemenza è necessario che venga votato dai due terzi di ciascuno dei due rami del Parlamento. Non meraviglia dunque che molti gruppi politici abbiano a cuore la particolare crisi del sistema penitenziario italiano: sovraffollamento inaudito, sieropositivi in aumento, condizioni igieniche tutt'altro che edificanti. Un sistema, quindi, che offende la dignità dell'uomo, un degrado delle condizioni di vita che portano ad un abbrutimento piuttosto che alla rieducazione.
A questo proposito, ricordando che in varie regioni italiane vi sono carceri costruite ma non inaugurate, probabilmente neppure collaudate, è utile precisare che il problema esiste e l'Italia dei valori non intende mettere la testa sotto la sabbia; tuttavia, è l'approccio al problema che non ci convince, che non ci vede concordi né sul piano del metodo né sotto il profilo del merito.
Per quanto riguarda il metodo, da più parti, anzi da tutte le parti compresa la nostra, si ricorda l'appello del Santo Padre, Giovanni Paolo II, ad un gesto di clemenza che secondo l'insegnamento evangelico dev'essere rivolto innanzitutto verso i derelitti, i diseredati, gli ultimi, quelli che spesso hanno infranto la legge per disperazione piuttosto che per inclinazione criminale o perché volessero truccare la politica, la giustizia, la finanza; sono i poveri cristi, quelli verso cui occorre rivolgere un gesto di clemenza ed il calore di una parola buona, della esortazione a non più ricadere. Ma questa clemenza, questo gesto che a mio parere ha in sé i caratteri della carità cristiana per non finire con l'essere un ipocrita rituale e per far salve le nostre coscienze, pretende che il sistema giustizia sia riformato e rifinanziato: riformato con la riforma dei codici e rifinanziato perché esso possa funzionare. Ma non basta.Pag. 85
Pensare di mettere fuori dalle carceri migliaia e migliaia di detenuti impone anche un sistema di solidarietà e di reinserimento sociale di cui il presente provvedimento non reca traccia. Una manovra sull'onda emotiva del sovraffollamento, onda emotiva che, signor Presidente della Camera, non ha risparmiato nemmeno lei, a cui diciamo, sommessamente e con grande rispetto, che il gruppo dell'Italia dei Valori non è insensibile a questo problema. Ma tutto il nostro gruppo chiede, con pari pacatezza e uguale fermezza, rispetto per le ragioni che rappresenta. Ragioni non ideologiche, Presidente, colleghe e colleghi, ma il rispetto della nostra storia personale e di partito, il rispetto per i nostri elettori, per i nostri aderenti e simpatizzanti ed anche, permettete che lo dica alla maggioranza a cui ho l'orgoglio di appartenere, per il famoso popolo delle primarie che, non dietro nostra sollecitazione, si rivolge ai mezzi di informazione per manifestare un dissenso tanto più clamoroso quanto più in contraddizione con i valori dell'umana sensibilità a dare indulgenze. No, dunque, ad un colpo da solleone! No ad un colpo di spugna! No ad un provvedimento raffazzonato, frettoloso ed estivo!
Il merito del provvedimento non ci convince. Noi oggi non abbiamo voluto protestare per mettere in pace i nostri buoni propositi, per essere fedeli a un cliché o per essere etichettati come i soliti brutti, sporchi e cattivi. No, signor Presidente, chiediamo all'intera Assemblea di adottare un provvedimento di clemenza, ma eliminando quei reati subdoli, quei reati che hanno fatto dire a qualcuno che l'indulto che sta per passare è come una patente a punti: chiunque fino al maggio 2006 ha concusso, ha corrotto o si è fatto corrompere, ha abusato dei suoi poteri per favorire qualcuno, ha derubato lo Stato col peculato o la sua società con la bancarotta, ha truffato il prossimo, ha truccato gare d'appalto, incassato fondi neri, frodato il fisco, falsato i bilanci, turbato il mercato finanziario con l'aggiotaggio, scalato le banche violando le leggi, speculando con l'insider trading, giocando con la salute dei dipendenti e con gli infortuni sul lavoro, avrà una patente a punti e un bonus di tre anni quando, se e come il suo reato verrà scoperto.
Tutti gli indulti approvati in precedenti occasioni hanno visto esclusi i reati di corruzione e concussione commessi contro la pubblica amministrazione. Per la prima volta nella nostra legislazione, questi beneficeranno della clemenza che il Parlamento sembra ineluttabilmente, senza discutere e senza parlare, andrà a votare. Ed allora la domanda che pongo ai colleghi è la seguente: perché, dietro all'estensione dell'indulto ai reati di concussione, corruzione, peculato, reati contro la giustizia, reati fiscali e finanziari, l'Unione, o gran parte di essa, vota su questa linea?
Probabilmente perché, senza questa estensione, una parte della minoranza farebbe venire a mancare il quorum. E allora, questo rospo evidentemente qualcuno intende inghiottirlo.
Rimaniamo fedeli al nostro programma elettorale, come anche alla richiesta di un indulto che escluda determinate violazioni. Vogliamo un indulto che non porti i cittadini, che verranno fatti uscire dalle carceri, a rientrarvi nel breve volgere di una o due stagioni.
Per questo motivo, chiediamo che il provvedimento in esame venga sostanzialmente modificato ed emendato, nel senso di andare incontro alle esigenze dei cittadini che stanno manifestando in tutte le sedi contro questa bruttura (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Borghesi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Sono sicuro di avere la parola, Presidente, perché vorrei protestare con lei in quanto non me l'ha data quando l'ho richiesta all'inizio della discussione sulle linee generali, prima che intervenisse il relatore, per un richiamo all'articolo 40 del regolamento, intendendo presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità.
Poiché neppure la scorsa settimana mi ha dato la parola quando l'ho chiesta aiPag. 86sensi dell'articolo 41 del regolamento, credo che ciò non sia giusto, tanto più che vi sono colleghi in quest'aula che in questi mesi hanno avuto la possibilità di intervenire, richiamandosi sempre all'articolo 41, e poi hanno parlato di questioni assolutamente non attinenti agli argomenti all'ordine del giorno (tanto per fare degli esempi, gli onorevoli La Malfa e, in più occasioni, l'onorevole Vito). Mi piacerebbe che le regole valessero per tutti. Tra l'altro, ho citato due colleghi che, forse, hanno qualche attinenza con la discussione di oggi e spero che non occorrano medaglie particolari perché sia possibile avere la parola quando la si richiede.
Proseguendo nel mio intervento, Presidente, vorrei dire che il tema di cui stiamo discutendo, in realtà, attiene alla certezza della pena, ed era proprio sotto questo profilo che intendevo presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità.
Voglio richiarmarmi al fatto che non può esservi certezza della pena se non vi è legalità e se le leggi non vengono rispettate. Voglio partire proprio per questo motivo dagli interventi svolti da alcuni colleghi in quest'aula, non più tardi dell'11 gennaio dell'anno in corso, per chiederne loro conto.
Non so se sia ancora presente in aula l'onorevole Gasparri, il quale ha criticato il ministro Di Pietro perché in contrasto con la maggioranza ed ha citato a tale proposito - secondo me sbagliando - il programma dell'Unione. Temo che non l'abbia letto perché, ove lo avesse fatto, avrebbe verificato che i provvedimenti di clemenza erano da collegarsi strettamente alla riforma della giustizia e alla capacità di punire realmente le persone che commettono i reati.
Non ci sentiamo perciò vincolati al programma dell'Unione nel nostro atteggiamento ed, anzi, mi sembrerebbe di dover chiedere ai colleghi dell'Unione di tenere anche conto di questo, citando semplicemente alcune loro affermazioni svolte nel corso del dibattito avvenuto in questa sede l'11 gennaio 2006, durante la scorsa legislatura.
Mi riferisco all'onorevole Bonito, che cito testualmente dal resoconto stenografico: «In altri termini, l'amnistia e l'indulto hanno necessità di vivere in un complesso di altre misure; misure di natura e di carattere strutturale che attengano all'organizzazione giudiziaria e, ancor di più, a mio avviso, attengano alle modalità del processo penale e alla platea e alla individuazione delle figure e dei comportamenti che per l'ordinamento debbono essere penalmente sanzionate». Questo affermava l'allora onorevole Bonito, che proseguiva dicendo che dovrebbe accompagnare un provvedimento di clemenza ad un provvedimento relativo alla individuazione dei reati per i quali deve risultare meritevole la maggiore delle sanzioni penali, quella carceraria.
«Ed allora» - proseguiva l'onorevole Bonito - «(...) non possiamo accettare un'amnistia che prescinda da interventi di natura strutturale che si inseriscono in un insieme di interventi riformatori (...)». Ma, onorevole Bonito, dove sono gli interventi sui quali si dichiarava d'accordo? Non sappiamo neppure quali sono le linee della riforma della giustizia, eppure discutiamo provvedimenti di clemenza!
Non si tratta solo dell'allora onorevole Bonito, ma anche di altri colleghi, che nella scorsa legislatura, si sono espressi in tal senso. Vorrei citare, ad esempio, l'allora deputato Pisapia, il quale dichiarava: «Non posso non ribadire che, tra le ragioni fondamentali che ci hanno portato a ritenere ragionevole, necessario ed urgente un provvedimento di clemenza, vi sia proprio quella di eliminare quel grande debito giudiziario relativo agli atti bagatellari (...)».
Onorevole Pisapia, ma le migliaia di piccoli risparmiatori che sono stati truffati nei crack della Parmalat e della Cirio sono forse delle bagattelle? Si vergogni per aver affermato ciò! In questo caso, infatti, ci troviamo in presenza di reati di natura finanziaria, nonché dei crimini di corruzione e di evasione fiscale. Non è ammissibile che tali delitti vengano ricompresi all'interno di un provvedimento di indulto!Pag. 87
Per concludere, vorrei ricordare che perfino l'allora deputata Finocchiaro chiese che l'esame dei provvedimenti di clemenza fosse riservato al nuovo Parlamento, poiché sarebbero stati accompagnati da misure strutturali. Oggi, invece, ci troviamo in queste condizioni, e di ciò chiedo conto agli amici che condividono assieme a noi il programma di governo: non era questo, infatti, ciò che vi era scritto!
Per tornare al tema della legalità, vorrei citare alcune considerazioni svolte da Elio Veltri, in un libro intitolato Il topino intrappolato. Legalità, questione morale e centrosinistra, per ricordare che viviamo in un paese dove vige la cultura dell'illegalità. È straordinario pensare a quanti inquisiti e condannati siedano, o siano stati seduti, anche in questo Parlamento. Vorrei comunque osservare che un Parlamento di inquisiti e condannati è non una deplorevole eccezione all'interno di un paese onesto, bensì l'espressione visibile e clamorosa di un malcostume che riguarda gli italiani in generale.
Non credo, dunque, che provvedimenti di clemenza, quali amnistie, indulti e condoni - che, negli ultimi cinque anni, con il Governo Berlusconi, sono stati una marea! -, riescano a cambiare gli italiani ed aiutino a portarli dalla cultura dell'illegalità a quella della legalità.
L'assenza della cultura delle regole si riscontra anche nelle piccole questioni, come persino il divieto di fumare, signor Presidente! Infatti, se lei avesse qualche volta la pazienza di oltrepassare le porte dell'aula, troverebbe una manifestazione di tale illegalità. Una legge dello Stato, approvata da questo stesso Parlamento, vieta di fumare nei luoghi pubblici; i deputati questori lo hanno ricordato, eppure dietro queste porte si fuma tranquillamente! Anche ciò, così come evitare di fare la fila, denota la cultura dell'illegalità, signor Presidente.
Molti sono convinti che l'illegalità e l'efficienza nell'economia e nei servizi non possano convivere, ed a rimetterci sono i cittadini che rispettano le leggi. È evidente, infatti, che mentre vi è un cittadino che commette un abuso edilizio, numerosi altri, invece, aspettano pazientemente il rilascio delle concessioni, pagando gli oneri di urbanizzazione, la tassa sulla depurazione e sulle acque, la tariffa sui rifiuti e via dicendo.
Lo stesso discorso vale per il fisco: chi evade aspetta il condono, mentre la maggioranza dei cittadini versa le imposte in base al reddito personale o di impresa. Ciò vale anche per quanto riguarda l'esportazione illecita di capitali: mentre i furbi ed i delinquenti hanno danneggiato l'economia del paese, il Governo precedente, attraverso il cosiddetto scudo fiscale, ha permesso loro di pagare un imposta pari al 2,5 per cento per riportare in Italia i capitali illecitamente esportati. Questo è concetto di illegalità che l'indulto in esame farà ulteriormente crescere!
Voglio altresì ricordare che la cultura dell'illegalità trova un riscontro puntuale negli indici di corruzione stilati periodicamente da organismi internazionali. In tali rapporti, infatti, l'Italia figura tra i paesi più corrotti al mondo, e sta solo un po' meglio rispetto alla Thailandia, all'India, alle Filippine, al Brasile, al Venezuela, al Pakistan, alla Cina ed all'Indonesia. Questa è la situazione attuale! Addirittura, nel 1998, Ray Kendall, segretario dell'Interpol - e non di un'associazione sconosciuta -, dichiarava che l'Italia è messa peggio della Colombia e, in un documento presentato in una conferenza stampa a Milano, evidenziava che in Italia vi erano larghe aree di corruzione inesplorate.
Anche la strategia del precedente Governo ha favorito questa illegalità; infatti, fino al crack Parmalat, l'obiettivo era chiaro: la diminuzione del controllo di legalità per tutte le categorie economiche e per i colletti bianchi e la negazione dei rapporti tra mafia e politica. Pertanto, si approvavano leggi che incidevano sull'economia, spostando i confini dell'economia legale verso l'economia criminale, bloccando i processi, delegittimando la magistratura, difendendo i politici inquisiti. Fra deputati e senatori vi sono circa 80 personePag. 88che potrebbero beneficiare di questo indulto o perché già condannate o perché condannabili, essendo indagate.
In base al nostro diritto societario, il consigliere di amministrazione di qualsiasi società di capitali ha il dovere, sanzionato penalmente, di astenersi dall'assumere decisioni nel caso di conflitto di interessi. Eppure, in questo consesso, non vi è nessuno che senta l'obbligo morale di astenersi dovendo votare una legge che potrebbe favorirlo.
Ritengo che l'intervento svolto dal collega Brigandì abbia rappresentato l'apoteosi della discussione svolta oggi in aula. L'onorevole Brigandì ha utilizzato cinque minuti del suo intervento per attaccare il ministro Di Pietro - rimarcando anche questioni datate - e ha preannunciato il suo voto contrario sul provvedimento in esame. Probabilmente, dovrà poi ringraziare la maggioranza che approverà il presente testo in quanto, quando nel 2003 era assessore regionale, fu arrestato ed è sotto processo per truffa con riferimento agli indennizzi per le alluvioni. Dunque, può darsi che in futuro potrà usufruire di tale provvedimento di clemenza (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori)!
PRESIDENTE. Mi scuso per la pignoleria, ma vorrei ricordare al deputato Borghesi che, per quanto riguarda le questioni pregiudiziali, ai sensi dell'articolo 40 del regolamento, è in facoltà di ciascun deputato presentarle prima che abbia inizio la discussione, ovvero possono farlo dieci deputati entro la conclusione della discussione sulle linee generali. Non essendosi gli aventi titolo avvalsi di tale facoltà, non si poteva in alcun modo procedere al relativo esame.
Per ciò che riguarda gli interventi incidentali, vorrei ricordare che mi sono riferito semplicemente ad un parere consolidato della Giunta per il regolamento, secondo il quale gli interventi incidentali, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del regolamento, sono in linea generale ammissibili soltanto quando i richiami al regolamento o per l'ordine dei lavori vertono in modo diretto e univoco sullo svolgimento e sulle modalità della discussione, della deliberazione o comunque del passaggio procedurale nel quale, nel momento in cui vengono proposti, sia impegnata l'Assemblea o la Commissione. Ogni altro richiamo o intervento andrà collocato, secondo la sua natura, al termine della seduta.
Ha chiesto di parlare il deputato Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, giunti a quest'ora tarda diventa anche stucchevole indugiare ancora sulle componenti strutturali, giuridiche e normative del provvedimento in esame. Tuttavia, siccome la confusione è grande - mi pare si sia giunti davvero a fare un polpettone, un rimescolio di carte tale da indurre dubbi anche ai più preparati sul piano del diritto -, ritengo sia opportuno fare un po' di chiarezza.
Intanto, siamo di fronte ad un provvedimento di natura squisitamente parlamentare. Il piano del Governo è un'altra cosa e nulla ha a che vedere con questo tipo di iniziativa che, per la maggioranza richiesta nonché per la sua genesi - ricordo che si tratta di un testo di iniziativa parlamentare e non governativa -, non può assolutamente riferirsi al piano del Governo.
Mi pare piuttosto grave, inoltre, che si continui a confondere il reato con la pena. Trattasi, in realtà, di due elementi ben distinti. Il reato è l'illecito penale, ossia la violazione della norma penale; la pena è la conseguenza di questa violazione. Quindi, trattare di indulto, vuol dire trattare esclusivamente di un provvedimento - lo ripeto - di natura parlamentare, che incide sulla pena e che nulla c'entra con l'accertamento del reato e con la condanna, ma sta esclusivamente sul piano dell'espiazione della pena.
Mi piace anche ricordare, come componente della Commissione giustizia, nonché del Comitato dei nove, che il novero dei reati che sono stati inclusi è strutturato sulla base del codice penale, in cui per ogni reato è prevista una sanzionePag. 89graduata in ragione dell'allarme sociale che esso genera. Pertanto, vengono considerati reati omogenei, in quanto diversamente ci si esporrebbe ad un marcato profilo di incostituzionalità.
Se ad un reato consegue una pena definita, non può essere trattato in modo diverso da un reato per il quale è prevista la stessa pena, perché il grado di allarme sociale è il medesimo. Ciò non perché lo dice il sottoscritto, ma semplicemente perché è stabilito dal codice Rocco, ancora in essere, che, secondo molti autorevoli pareri, è di carattere marcatamente poliziesco e repressivo. Quindi, penso che su tale piano si sia già fatta chiarezza.
Veniamo alle varie componenti di merito. Ho sentito parlare delle condanne definitive, si è affermato che bisognerebbe applicare questo provvedimento alle sentenze di condanna definitive. A parte il fatto che, così facendo, tratteremmo probabilmente i reati commessi alla fine degli anni Ottanta, ma si porrebbe anche un profilo di incostituzionalità marcata, perché, in ordine a condanne definitive, ci sono soggetti che hanno finito di espiare la pena, soggetti che la stanno espiando e altri che, invece, sono riusciti a prolungare gli accertamenti e i processi penali. Allora, è chiaro che, in questa situazione, diventa complicato ragionare di sentenze definitive di condanna.
Per quanto riguarda il rilievo sollevato in ordine al cattivo esempio che si darebbe ai magistrati, i quali potrebbero sentirsi indotti a non avviare l'azione penale, noi, che crediamo al principio di buona fede e che pensiamo che i magistrati siano onesti funzionari dello Stato, pensiamo che l'obbligo dell'azione penale in capo al pubblico ministero e il reato di omissione in atti di ufficio siano sufficienti a spingere i magistrati a lavorare seriamente. Non credo che un provvedimento di indulto possa in qualche modo incidere su questa volontà, perché, se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un reato.
Venendo poi alla questione battutissima degli extracomunitari, a me dispiace che non siano più presenti i tanti «attori» della Lega, che prima si sono esibiti. Vorrei chiarire un concetto: la legge Bossi-Fini mette in galera gli extracomunitari che non adempiano all'obbligo di via. La legge Bossi-Fini fa sì che questi extracomunitari, una volta espiato un periodo abbastanza indefinito di prigione, tornino ad essere extracomunitari, sprovvisti del permesso di soggiorno, in strada. Tale legge non si pone il problema del rimpatrio effettivo, o meglio, ipocritamente ignora che lo Stato non possiede i mezzi per procedere all'espatrio coattivo. Quindi, invece di risolvere il problema degli extracomunitari, lo fa diventare un doppio problema, perché incide sulla capienza delle carceri, così gravemente compromessa da evitare spesso, a chi si è macchiato di delitti gravi, di andare in carcere. Siamo arrivati a momenti di differimento dell'esecuzione della pena, ossia ad un sistema al collasso, fattore di cui non si può non tenere conto nell'analisi di questo provvedimento.
In ordine alle pene accessorie, infine, faccio presente che l'articolo 174 del codice penale stabilisce che l'indulto non si estende alle pene accessorie, salvo che si disponga diversamente. Pertanto, è pienamente legittima una qualsivoglia iniziativa che disponga in modo diverso, come oggi stiamo pensando di fare. Quindi, porre la questione sul piano della Costituzione, dei valori, della famiglia, della fecondazione artificiale o del racket (per cui se gli uomini non pagano, le loro donne sono violentate), mi sembra non c'entri assolutamente nulla. Si tratta di temi clamorosamente estranei alla materia, che non ci «azzeccano» nulla. Sarebbe opportuno che rimanessero fuori, onde evitare di fare confusione e, soprattutto, di perdere tanto tempo.
In buona sostanza, o si parla di un piano di confusione, che nel mio piccolo spero di avere contribuito a dissipare, ed allora dobbiamo pensare a un'ingenuità; oppure siamo sul piano della malizia, ossia andiamo verso un processo di deviazione dei processi democratici. Trattasi di demagogia, di giustizialismo, ossia di fenomeniPag. 90che negano la vita associata secondo le regole ordinarie e semplicemente strumentalizzano la questione.
Vorrei parlare alle coscienze di tutti i colleghi che mi stanno ascoltando: strumentalizzare la vita dei detenuti, delle loro famiglie, degli ambienti in qualche modo connessi a questo fenomeno, mi sembra un fatto veramente grave, se tutto ciò è giustificato da un mero principio di apparenza o da un fenomeno di protagonismo. In ordine al fenomeno del protagonismo mi sembra che noi del gruppo Popolari-Udeur abbiamo già fatto qualche distinguo consistente. Abbiamo detto più volte, marcatamente, che non ci sembra opportuno che ci sia un'invasione del piano istituzionale. Contesto che un ministro, che non ha la titolarità del dicastero competente, venga a ricoprire il ruolo di ministro di lotta e di governo.
Ringrazio il ministro Mastella, che non è venuto in aula, perché così facendo ha dimostrato di conoscere i piani istituzionali; ha dimostrato che il Governo è una cosa e il Parlamento un'altra e che c'è consapevolezza di questo fenomeno. Dimostrando di conoscere le regole basilari, egli dà un contributo affinché la democrazia parlamentare faccia il suo corso secondo le procedure esistenti. Non mi permetto assolutamente di esprimere giudizi. Tuttavia, come cristiano, non posso non richiamarmi al Vangelo, nel caso specifico a San Paolo, che scrive: «la stoltezza è un peccato». Poiché la stoltezza è un peccato, io faccio sempre un esame di coscienza.
Allora, credo non sia più il momento di indulgere a ingenuità, a malizie, a tentazioni demagogiche o a strumentalizzazioni. Oggi, come legislatori, siamo chiamati a pronunciarci con coscienza su un provvedimento che inciderà sulla vita di migliaia e migliaia di persone. In Commissione è stata compiuta un'analisi seria, si è arrivati ad un testo oggettivamente accettabile perché è equilibrato e tiene conto dei vari fattori connessi, quindi del piano della sicurezza, del rispetto della vita delle persone, della durata dei processi.
Ringrazio ancora il Governo che sta lavorando alacremente e che ha cominciato a ragionare sulla riforma del sistema della giustizia. Si è insediata la Commissione per la riforma del codice penale, si sta lavorando ad una serie di ipotesi che possano consentire di dar vita ad una riforma strutturale, ossia di giungere a una situazione che eviti le storture che fino ad oggi abbiamo vissuto.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 19,55)
GINO CAPOTOSTI. Più di questo credo che oggettivamente non ci sia nulla da dire. Francamente, penso che non sia indice di serietà tornare a svolgere un dibattito ampio, inserendo all'interno dello stesso di tutto e di più. Ritengo non sia indice di serietà nemmeno ignorare le procedure parlamentari ed i piani istituzionali. Se qualcuno è contro l'indulto come istituto in sé - posto che è un istituto esistente - bisogna presentare una proposta di legge per la sua abolizione o un progetto di legge per l'abolizione dell'amnistia, secondo le regole del caso. A me sembra che queste iniziative non siano state prese. Non vorremmo che molti lanciassero il sasso, per poi nascondere la mano!
Noi ci assumiamo la responsabilità che ci compete davanti all'Assemblea e anche davanti al paese, innanzi al Governo, liberamente, in coscienza, onestamente, sapendo di non aver nulla da nascondere e nessuno da difendere, consapevoli che ci toccano scelte che sono necessarie. Penso ed auspico che si possa arrivare ad un pronunciamento positivo sul provvedimento in esame.
Diversamente, avremmo sprecato tanto tempo; e ciò non sarebbe serio, non sarebbe rispettoso dell'intera popolazione nazionale. Ripeto che il testo in esame, in quanto di iniziativa parlamentare, è frutto dell'incontro di una serie di volontà e, quindi, non si pone sul piano del rapporto tra Governo ed opposizione, non è inserito in tale schema: il provvedimento è riferibilePag. 91al potere legislativo, che compete alle Camere - e basta - e, in quanto tale, va preso per quello che è.
Fatti i distinguo del caso, invito chi non ritenga di formulare ulteriori rilievi a chiedere l'abolizione degli istituti dell'indulto o dell'amnistia. Certo, ci rendiamo conto dei tanti interessi coinvolti e del fatto che ciò può ingenerare interpretazioni in malafede. Per questo motivo, vanno evitate le interpretazioni in malafede. Non ci sarà uno scenario da far west e non ci saranno assassini armati di pistole in giro ma, semplicemente, persone che avranno usufruito di uno sconto di pena, condannati che rimarranno tali e che esprimeranno un po' di pena in meno (e che perderanno il beneficio nel momento in cui si dovessero macchiare, nei cinque anni successivi, di ulteriori reati). Più di questo non esiste. Il meccanismo è condiviso da molte democrazie mature, da molte democrazie occidentali.
Spero che si possa arrivare ad una deliberazione in tempi brevi. Sottolineo negativamente, ancora una volta, l'ingerenza sul piano istituzionale, che non va assolutamente tollerata (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari-Udeur e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, amnistiare alcuni reati e condonare una parte delle pene già comminate attraverso l'indulto è sempre una forma di rinuncia, di lesione del diritto dei cittadini e delle vittime dei reati a vedere riconosciute le proprie ragioni, ma oggi il funzionamento della giustizia penale e del sistema delle pene carcerarie non risarcisce nessuno o risarcisce le vittime in modo casuale. Negli ultimi cinque anni, oltre 800 mila persone hanno beneficiato della prescrizione. Le cifre della detenzione sono ugualmente allarmanti: 60 mila detenuti; 50 mila persone sottoposte a misure alternative. E la mole dei processi penali pendenti raggiunge il numero di 5 milioni 580 mila unità.
Ecco che, allora, la questione dell'amnistia e dell'indulto si è trasformata da semplice provvedimento umanitario in risposta obbligata ad un'emergenza giudiziaria e sociale che deve essere per forza affrontata. Si potrebbe parlare addirittura di un cambiamento promesso e contraddetto, di una promessa mancata.
Nel secondo dopoguerra, l'istituto è diventato, come tutti sanno, strumento ordinario di controllo del funzionamento della giustizia e degli istituti di pena: ogni due o tre anni, si cancellavano, con l'amnistia, i reati puniti con la reclusione fino a tre anni e si condonavano, con l'indulto, uno o due anni di pena. In questo modo, lo scopo pratico di far funzionare la macchina giudiziaria e di gestire il carcere era, bene o male, raggiunto, ma in modo inaccettabile, perché una fascia di crimini minori risultava di fatto impunita ed un numero elevato di detenuti riceveva periodicamente una sorta di regalo. Da qui la necessità di cambiare rotta.
Nel 1992, allo scopo di circoscriverne l'utilizzazione, si è deciso di modificare la Costituzione, subordinando l'approvazione delle leggi di amnistia e di indulto al voto favorevole dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera e, dunque, di subordinarla ad una valutazione ampiamente condivisa da parte delle forze politiche.
Nel 1988 è stato approvato un nuovo processo penale che prevedeva patteggiamenti della pena e riti abbreviati che avrebbero dovuto garantire, secondo le intenzioni, un elevato sfoltimento dei processi. Contemporaneamente, sono state previste norme penitenziarie che assicuravano liberazioni anticipate dei detenuti e forme di esecuzioni penali alternative al carcere che avevano riguardo alla specifica personalità dei detenuti e che, pertanto, subordinavano il «premio» alla valutazione individualizzata dell'avvenuta risocializzazione.
In concreto, però, il nuovo sistema non è riuscito ad impedire, per molte ragioni, che gli uffici si ingolfassero e le carceri si affollassero ulteriormente. Da qui l'emergenza giudiziaria, penitenziaria e sociale denunciata da più parti. In particolare, siPag. 92tratta di un'emergenza penitenziaria ingigantita dagli effetti perversi di alcune leggi recenti (come la Bossi-Fini, in materia di immigrazione, o la Fini-Giovanardi).
È questo il contesto nel quale deve essere valutata la pressante richiesta di amnistia e di indulto. È questo il contesto della decisione dello stralcio, di procedere cioè immediatamente, prima della pausa estiva, alla concessione dell'indulto. Un provvedimento che le emergenze presenti e quelle che rischiano di verificarsi in caso di mancato tempestivo intervento, rendono ineludibile. E se il provvedimento sarà approvato, sarà assunto, quale che sia il suo contenuto specifico - sempre perfezionabile, su ciò torneremo -, dovrà esserlo - avvertiva qualche tempo fa, Carlo Federico Grosso - senza soddisfazione, piuttosto con la consapevolezza che non costituisce affatto una vittoria della giustizia, ma il riconoscimento del suo fallimento.
Ecco cosa c'è dietro al tentativo di giungere ad un'intesa sul provvedimento in discussione. Vi è l'esigenza, e sopratutto la necessità, di alleviare le condizioni drammatiche, di autentica emergenza in cui si trovano le nostre carceri. Nel programma dell'Unione, a pagina 65, abbiamo scritto, citando Dostoevskij, che il livello di civiltà di un paese si misura osservando le condizioni delle sue carceri ed abbiamo sostenuto che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Abbiamo aggiunto che nel nostro paese le condizioni attuali di vita carceraria sono lontane da ogni senso di umanità e di rispetto della dignità del detenuto e che il degrado è connesso sempre più pesantemente al sovraffollamento delle carceri.
Se così stanno le cose - e stanno davvero così, sono ben 60 mila, come dicevo, i detenuti letteralmente stipati, in condizioni disumane in un sistema carcerario dalle strutture e dal personale inadeguati - un provvedimento di clemenza non è rinviabile. E non vi è dubbio che sarebbe meglio trovare soluzioni stabili per i problemi della giustizia, ma tali soluzioni non sono pronte per essere usate. Ed allora, la legge di indulto cui stiamo lavorando interviene, come è noto, sul periodo finale delle pene. Esso non può applicarsi ai reati più gravi, di maggiore allarme sociale, dalla criminalità organizzata al terrorismo ed ai reati sessuali e di pedofilia, che sono esclusi. Le esclusioni sono le più estese della storia dell'istituto e non vi è alcun colpo di spugna. Mentre l'amnistia estingue il reato e preclude l'esercizio dell'azione penale nei confronti del reo o dell'imputato, l'indulto estingue la pena e presuppone, invece, l'accertamento della colpevolezza dell'imputato. Dunque, per i reati contro la pubblica amministrazione ed i reati finanziari, i fatti di corruzione di cui si è parlato, è necessario che le responsabilità e le complicità vengano accertate, che processi si svolgano e su ciò l'indulto non incide.
Ma io mi chiedo, e vi chiedo, uno sconto relativo alla pena detentiva per quei reati è in contrasto con le esigenze e i principi di giustizia? Credo di no. Abbreviare la reclusione, specie nelle condizioni che tutti abbiamo descritto, è un atto di umanità che non cancella la colpevolezza degli autori di tali reati, né può attenuare la riprovazione sociale nei loro confronti.
Non condivido, poi - è un giudizio personale - l'accanimento di chi vuole, a tutti i costi, negare uno sconto di pena per questo genere di reati: è la retorica vendicativa della galera. Senza contare che la disciplina delle pene accessorie non temporanee, tra cui l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, fissata dal codice penale resta ferma e non può essere modificata dall'indulto. Altrettanto proporremo e sosterremo per le pene temporanee. In altre parole, faccio un esempio su cui si è tornati in queste settimane, certo che Cesare Previti potrà giovarsi dello sconto di pena, ma ciò non incide sulle sue responsabilità, accertate processualmente, né sull'interdizione perpetua dai pubblici uffici, che l'indulto non cancella. Aggiungo che Cesare Previti non sta in carcere, sta a casa sua, da due mesi sta scontando laPag. 93pena detentiva agli arresti domiciliari, e non ce l'ha mandato il Parlamento, ma un magistrato.
Si è parlato, in queste settimane, di ricatto, di «inciucio». Ma come tutti sanno, le modifiche costituzionali del 1992 hanno reso più difficile, a causa della particolare maggioranza prescritta, giungere ad un provvedimento di clemenza. La legge deve essere deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale. La maggioranza di Governo non è, dunque, autosufficiente ed un compromesso con l'opposizione è pertanto indispensabile. Dunque se vi sono le condizioni per giungere entro l'estate ad un'intesa largamente maggioritaria, come prevede la Costituzione, per approvare una legge utile, umana, in nome dell'interesse generale, sottraendo per una volta la giustizia al terreno del conflitto politico aspro che ha segnato questi ultimi anni, che si fa? Rinunciamo a rendere meno disumane, meno sovraffollate, meno violente, meno patogene le carceri italiane? Rinunciamo al provvedimento di clemenza per il fatto che anche Previti e qualche altro potranno avvalersi dello sconto? Non credo che si possa considerare questa campagna qualificante dell'identità del centrosinistra, del suo programma e del suo sistema di valori.
Le leggi ad personam hanno rappresentato una delle più umilianti stagioni politiche del Parlamento italiano e, quindi, è tempo che il Parlamento, a differenza di quello che accadeva con il Governo Berlusconi, torni ad occuparsi dei tanti e non soltanto dei pochi, dei disgraziati e non soltanto di quelli ricchi e famosi.
La mia opinione è che l'indulto, la larga intesa che è condizione necessaria per l'esercizio del potere di clemenza, servano ai tanti e non ai pochi. Servono innanzitutto a porre fine all'inaccettabile violazione del principio costituzionale per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Per questa ragione, abbiamo presentato un unico emendamento - sul quale torneremo - e sosterremo il testo della Commissione; infatti, occuparsi non dei pochi ma dei tanti, dei tanti senza nome e senza tutela, rappresenta la vera discontinuità rispetto al quinquennio trascorso e di questo ci assumeremo l'onere e la responsabilità.
Va da sé che la concessione di misure di clemenza deve abbinarsi a misure di sistema per dare più efficienza alle istituzioni giudiziarie, perché ciò è essenziale per la legalità e la sicurezza dei cittadini. Questo è il compito che il Governo e la maggioranza che lo sostiene si sono proposti di realizzare nel corso della legislatura e su questo - lo dico al ministro della giustizia che non ha avuto timore di esprimersi sul problema dell'indulto e della amnistia e si è espresso con semplicità e chiarezza - varrebbe la pena ora concentrarsi, cioè su quel cambiamento molte volte promesso e molte volte rinviato e contraddetto (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Garavaglia. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema dell'indulto che affrontiamo oggi per la prima volta alla Camera merita qualche approfondimento, che va oltre il «teatrino» che si fa quando si sa che, in partenza e dietro un finto dibattito con finti toni accesi, si è già d'accordo su quello che è il compromesso e la via di uscita per trovare la maggioranza dei due terzi necessaria per approvare il provvedimento.
Per noi è difficile intervenire dando un contributo che vada oltre quelli che sono i termini scontati di una questione. Voi sapete che la Lega da sempre è contraria ai provvedimenti di clemenza, all'amnistia e all'indulto, per ovvi motivi che riguardano sostanzialmente la certezza della pena, la tutela del territorio e dei nostri cittadini; però, dal dibattito di oggi sono emersi molti spunti di riflessione e, quindi, è opportuno fare anche qualche ragionamento in più.Pag. 94
I dati che sono stati snocciolati dimostrano come sempre che, a seguito di un provvedimento di clemenza, c'è un forte incremento di criminalità e di reati; quindi, già questo dovrebbe, ovviamente, portare ad una prudenza nell'applicare un simile tipo di provvedimento. Questo è uno dei motivi per cui è stato elevato a due terzi il quorum per approvare questo tipo di provvedimento.
Non voglio dilungarmi su ciò, però, ci sono altri dati che è necessario ribadire e conoscere; quindi, a tale proposito citerò degli esempi concreti, perché è con le cose concrete che si approfondiscono i fatti.
Io vengo da un comune di 5 mila 500 abitanti, 2100 famiglie dell'est milanese, nella provincia di Milano - sono sindaco del comune di Marcallo Concasone -, dove l'anno scorso ci sono stati ben 180 furti dichiarati in appartamento. Ciò vuol dire che il 10 per cento della popolazione del mio comune ha subito un furto in appartamento e lo ha denunciato; quindi, probabilmente i furti sono molti di più. Fatta presente la situazione alla compagnia dei carabinieri del nostro territorio, ci è stato detto che, sostanzialmente, dobbiamo ritenerci fortunati perché siamo un' isola felice. Rispetto ad altre zone, abbiamo un tasso di furti negli appartamenti molto basso. Sarà anche molto basso, ma, se andiamo avanti così, nel giro di dieci anni, i furti riguarderanno le case di tutti i nostri cittadini. Quindi, non è poi così basso. Non è vero che si può continuare in questo modo.
Sono abbastanza giovane, ma ricordo che, non cento né venti anni fa, ma dieci anni fa, da noi, non c'era neanche un sistema di allarme, non era necessario. Dieci anni fa, non avevamo le spranghe alle finestre. Non era necessario. Si lasciava la chiave nella toppa. Cosa è cambiato dal 1990 ad oggi? Nel 1990, avevamo unicamente il fenomeno dei nomadi e qualche furto negli appartamenti: bastava chiudere e portarsi via la chiave. Adesso non è più così. Cosa è cambiato, dunque? Semplicemente, sono state approvate alcune leggi (le cosiddette leggi Martelli e Turco-Napolitano) che hanno fatto invadere il nostro territorio. Ora abbiamo una realtà di criminalità diffusa che prima non c'era: non c'era e non c'è mai stata.
Si sostiene che è necessario arrivare a questo provvedimento di indulto per vari motivi, uno più demagogico dell'altro. Il primo: il sovraffollamento delle carceri. Bene, ma se le carceri sono sovraffollate, perché non andiamo avanti sulla linea intrapresa giustamente dal ministro Castelli? Facciamo nuove carceri e soprattutto «esportiamo» nei paesi di provenienza i criminali che attualmente abbiamo nelle carceri. Avremmo enormi risparmi economici ed un consistente effetto deterrente. Infatti, un albanese sa benissimo cosa sono le carceri in Albania; altro che la situazione critica e pessima delle nostre carceri! Dunque, le cose da fare sono tante.
Un altro problema che il provvedimento di indulto in esame scarica sui cittadini riguarda gli effetti dell'uscita dei detenuti. Coloro che escono dalle carceri semplicemente perché gli viene abbonata una quota della pena cosa fanno? Non è stato fatto cenno ad un problema fondamentale: è già stato detto che, nel 60 per cento dei casi, tornano in carcere, perché non hanno un'alternativa. Attualmente, le carceri - questo è vero - non offrono una vera riabilitazione per cui chi vi esce, nel 60 per cento dei casi, torna a fare ciò per cui era in carcere.
La questione riguarda anche gli enti locali. Mi piace richiamare, anche in questo caso, esempi concreti, perché qui si deve parlare di cose concrete e non di massimi sistemi. Cito il caso di un nostro concittadino in carcere per rapina. Sapete che per arrivare in carcere bisogna accumulare almeno cinque anni di pena? Quindi, bisogna farne di rapine, non è sufficiente andare solo una volta in una villa. Bisogna farne un bel po'. Il nostro concittadino viene affidato al comune dai servizi sociali. Il comune deve sobbarcarsi l'onere di sistemare queste persone. Il problema è in che modo. In primo luogo, non ci sono le risorse. Se lo Stato pensa di scaricare, con l'indulto, 10 mila persone sugli enti locali, deve anche chiedersi dovePag. 95tali enti troveranno i quattrini per sistemare dette persone. Non è serio credere che queste persone arrivino al comune, suonino il campanello del sindaco o dell'assessore e dicano: va bene, ora sono fuori, devi trovarmi un posto di lavoro.
Abbiamo tentato, con riferimento al caso che ho citato precedentemente, di trovare il posto di lavoro alla persona a cui facevo riferimento prima: il risultato è stato che, dopo sei mesi, ha preferito tornare a fare rapine e adesso è di nuovo in carcere. Con l'approvazione dell'indulto, ce lo troveremo di nuovo fuori e dovremo trovargli nuovamente un posto di lavoro e ... avanti Savoia! E chi paga? Paga Pantalone!
Un altro problema specifico e concreto. Si tratta di un nostro concittadino che è in carcere ormai da 15 anni, sostanzialmente perché ha anche problemi di carattere psichiatrico. Tant'è che ha seguito un lungo percorso riabilitativo presso il carcere di Peschiera del Garda. È stato deciso che, adesso, questo signore è guarito, ma non ho capito bene come sia possibile. Dopo un periodo di sei mesi in carcere, il 25 agosto verrà a suonare il campanello del comune - come già ha fatto la sua famiglia - e ci dirà che gli dobbiamo dare una casa e un lavoro e lo dobbiamo aiutare. Un aiuto non si nega a nessuno, ma dobbiamo avere gli strumenti per farlo. Voi non vi rendete conto che con questo sistema riversate sui comuni un problema enorme e devastante.
C'è - dicevamo - una ipocrisia di fondo in questo provvedimento. Non si è avuto il coraggio di proporre, insieme, un'amnistia, perché sapevate che i numeri per approvarla non ci sono. Si sta tentando di portare a compimento questo piccolo provvedimento - perché, in fin della fiera, è cosa da poco - che crea più danni che guadagni e che servirà per poter dire, sotto l'ombrellone, e poter leggere, sui giornali estivi, che è stato risolto il problema delle carceri e che, finalmente, c'è una discontinuità (termine che adesso è di moda). Poi, ci troveremo a dover aprire un tavolo (altra espressione di moda) per risolvere i problemi che questo indulto inevitabilmente comporterà.
Dov'è l'ipocrisia? La Lega la individua, essenzialmente, in due aspetti. Innanzitutto, in ciò che si è detto. Se davvero vogliamo aiutare queste persone, perché non si è pensato a pene alternative, invece di buttarle fuori, per la strada, lasciando che i comuni risolvano il problema con la bacchetta magica? Perché non le impieghiamo in lavori socialmente utili, come accade in Germania o negli Stati Uniti, paesi più evoluti sotto questo aspetto? Non potete pensare che questi problemi li risolvano gli enti locali, non è compito dei comuni! Si può pensare a percorsi alternativi di pena e su questo siamo perfettamente d'accordo. Del resto, è assurdo rinchiudere le persone tra quattro mura, bisogna impegnarle in qualche attività. Allora, ci sarà davvero un percorso di riabilitazione e potremo pensare che, scontata la pena, questi signori si troveranno a poter affrontare una vita differente. Invece, si preferisce l'ipocrisia di pensare che con la bacchetta magica si risolve il problema e si liberano le carceri. Poi, si affidano queste persone ai comuni e chi vivrà, vedrà. Questa è la prima ipocrisia.
La seconda è quella consistente nell'«inciucio» che si sta perpetrando in questa Assemblea e che già altri deputati hanno giustamente evidenziato. Non è corretto far finta di non vedere, solo per arrivare alla maggioranza dei due terzi, che a fianco dell'indulto - che può anche essere condivisibile, nonostante tutti i dubbi che ho espresso in precedenza -, si depotenziano i cosiddetti reati finanziari, i reati di corruzione contro la pubblica amministrazione. In questo caso, l'ipocrisia c'è ed è molto grave. Mi spiego: non si tratta semplicemente di abbreviare la pena di tre anni ma si tratta anche di eliminare le pene cosiddette accessorie. Cari colleghi, non prendiamoci per i fondelli! Eliminare le pene accessorie a beneficio di chi ha commesso reati contro la pubblica amministrazione significa semplicemente dire che, da domani, queste persone tornerannoPag. 96a fare quel che hanno fatto fino ad adesso. Non sono i tre anni di pena ad incidere in questo tipo di reati. Sappiamo benissimo, infatti, che è difficile arrivare ad una condanna a tre anni per truffa aggravata. A me piace parlare di esempi concreti. L'ex assessore provinciale dei Verdi, Arzuffi, ha riempito di rifiuti un capannone che, poi, è casualmente bruciato. Ebbene, la sentenza, passata in giudicato, lo ha condannato a tre anni per truffa aggravata e, non arrivando la pena ai cinque anni, il carcere non lo ha neanche visto. In realtà, quella pena non c'è, non serve a niente. In più, noi dovremmo anche togliere le pene accessorie? Vuol dire che il signore di cui si è detto - il problema non è questo caso specifico, che riferisco come esempio -, beneficiando di questo tipo di provvedimento, potrebbe riprendere l'attività politica. Siamo veramente alla follia!
Qui l'«inciucio» c'è ed è molto pesante, perché da una parte la maggioranza accusa il centrodestra, Forza Italia in particolare, di volere introdurre questo tipo di reato, dall'altra parte dice: va bene, ma siete anche voi che avete gli stessi problemi. In effetti è vero, perché di scandali finanziari e di reati contro la pubblica amministrazione ne abbiamo tanti e questi coinvolgono un po' tutti. Abbiamo il caso Parmalat ed in questo caso sarebbe davvero uno scandalo se la gente che ha defraudato le nostre vecchiette finisse come se nulla fosse. Abbiamo il caso della Banca Popolare di Lodi, abbiamo i bond argentini, abbiamo il caso Unipol, del quale non si sente più parlare, come se nulla fosse.
Dunque, l'impressione forte è che vada bene per tutti. Si fa finta di parlare dei poveri cristi che escono dalle carceri, sapendo peraltro che li fate uscire dalle carceri lasciandoli peggio di prima, perché li mandate fuori senza una soluzione alternativa, ribaltando costi enormi sugli enti locali, che non sapranno come affrontare il problema. In più, risolvete il problema dei cosiddetti furbetti: furbetti del quartierino, furbetti di sinistra, di destra. Insomma: i furbetti! E questo sicuramente alla Lega non va e non potrà mai andare bene.
Dunque, per concludere, se davvero si voleva fare qualche cosa perché non si sono messe in pista davvero delle modifiche al codice di procedura penale? D'accordo, vogliamo alleggerire un po' le carceri? Potremmo anche ragionare di accorciare le pene. Perché no? Una pena corta? Basta che sia certa. Perché bisogna accumulare un bonus di cinque anni prima di andare in carcere? Perché abbiamo un sacco di benefici? Stabiliamo pene più brevi, certe, e in questo modo qualcuno ha anche paura di andare in carcere!
Inoltre, se mi consentono i colleghi dell'Italia dei Valori, che spesso si ergono a moralizzatori del tema della pubblica amministrazione, vorrei lanciare una piccola provocazione. Spesso si affronta il tema dei reati di corruzione verso la pubblica amministrazione pensando sempre e solo al lato della politica. Ricordiamoci che c'è stata la riforma Bassanini, che in un clima giustizialista ha tolto il potere di firma sostanzialmente a sindaci e assessori, lasciandolo a tutti i vari capi ufficio, soprattutto degli uffici tecnici. Ma quando mai si fa una verifica o un controllo che non ci sia corruzione anche da parte degli agenti della pubblica amministrazione? Noi pensiamo sempre e solo al settore politico, invece noi con la riforma Bassanini abbiamo aperto un fronte che è devastante e che è assolutamente fuori da ogni tipo di controllo. Perché non ragioniamo anche su questi aspetti?
Ci sarebbero tante altre cose da dire, però non voglio tediarvi oltre. Ribadisco il concetto espresso all'inizio di questo mio breve intervento. La Lega Nord è contro questo tipo di provvedimento, perché nel clima attuale - che non è di straordinarietà, bensì di ordinaria situazione di malessere di criminalità diffusa - non c'è una situazione tale da arrivare ad un gesto di clemenza. Quindi, noi - giustamente - voteremo contro questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.
GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, citerò subito una data, quella del 12 gennaio 2006. Proprio in quest'aula, eravamo qui a battagliare contro il primo tentativo di far passare l'amnistia e l'indulto. Fu una grande battaglia, fatta esclusivamente dalla Lega Nord e da Alleanza Nazionale. Poi c'è stato qualcuno che, nell'ambito del centrosinistra, ha voluto prendere le distanze dall'amnistia, votando «no» all'amnistia e «sì» all'indulto, però la faccenda si era chiusa lì, respingendo appunto sia l'amnistia sia l'indulto.
Dopo nemmeno sette mesi, ci ritroviamo sempre qui, in quest'aula, signor Presidente - guarda caso, con il primo provvedimento di iniziativa parlamentare -, a parlare di nuovo di clemenza, questa volta solamente di indulto.
Però, questa volta, purtroppo, con i voti che sia dal centrosinistra che dal centrodestra - e dico malauguratamente del centrodestra -, faranno passare per l'appunto questo provvedimento.
Debbo ricordare innanzitutto che la nostra posizione, quella della Lega, è stata contraria a gennaio ed è ancora contraria ora a luglio, per la coerenza che noi dobbiamo ai nostri elettori. Tale coerenza la chiediamo anche a chi, durante la campagna elettorale, è andato in giro a dire che occorre avere la certezza della pena e che ora invece si dichiara favorevole a questo provvedimento. Ora, abbiamo sentito in quest'aula, diversi interventi favorevoli e contrari, comunque nessuno - a parte pochi - ha detto di essere coerente con le proprie idee e con le promesse fatte ai propri elettori.
Vedete, si è parlato tanto delle attese dei detenuti e delle condizioni di essi. Giustamente, prima, il collega Garavaglia faceva menzione anche ad altri Stati civili: ha citato l'esempio della Germania e degli Stati Uniti, dove ai detenuti si fanno fare dei lavori socialmente utili, ma che sono nel contempo utili ai detenuti stessi. Allora non capiamo perché non si possa fare questo anche in Italia; perché, per esempio, con tutte le opere di ingegneria fluviale che possono essere fatte da noi, non si possano adoperare i detenuti.
Tuttavia, la maggior parte degli interventi favorevoli all'indulto suscitano delle attese nei detenuti: io vorrei invece esprimere le attese della maggior parte dei nostri cittadini, di coloro che hanno sempre pagato la tasse e fanno la fila, giorno per giorno, presso la nostre amministrazioni locali, coloro che, comunque, non hanno mai compiuto un atto delinquenziale. Cosa si aspettano da noi questi cittadini? Chi voterà «sì» a questa proposta di legge avrà la coscienza di guardare dritto in faccia, le migliaia, i milioni di cittadini onesti che, giorno dopo giorno, lavorano e di dire loro di aver scarcerato chi, magari poco tempo fa, è entrato nelle loro abitazioni per rubare o chi è favorevole all'indulto avrà il coraggio di guardare dritto in faccia l'anziano che ha subito violenza da chi ora viene rimesso in libertà? Entrare in casa e trovare l'appartamento distrutto è uno shock. È un reato odioso perché chi entra in una proprietà privata, lede in maniera molto cruenta la vita civile. Allora, cosa penseranno questi cittadini quando si ritroveranno per le strade delinquenti abituali?
Vorrei dire qualcosa anche sulle attese delle nostre forze di polizia, di chi, giorno per giorno, cerca di reprimere la delinquenza. Cosa diranno la polizia, i carabinieri, gli uomini preposti all'ordine pubblico, al controllo e alla repressione della delinquenza, quando vedranno di nuovo scarcerati queste migliaia di detenuti? Cosa penseranno di coloro che voteranno «sì» all'indulto?
Non so cosa penserà la magistratura; mi attendo vi sia una forte sollevazione: già qualche presidente di tribunale - ho letto sui giornali - si è dichiarato contrario all'indulto, ma mi sarei aspettato veramente, considerati anche gli scioperi di recente memoria, che buona parte dei magistrati si sollevassero contro questa proposta di legge. Invece, mi sembra che tutto taccia, fuorché qualche voce sparuta.
Vorrei inoltre ricordare che l'ultimo provvedimento di clemenza risale al 1990; su 25 mila 800 detenuti ne furono scarcerati 12 mila 500. Vorrei capire quanti effettivamente ne usciranno ora, con l'approvazione Pag. 98di questo nuovo indulto; infatti, se è vero che il ministro Mastella ha dichiarato che saranno circa 12 mila 500, è altresì vero che la commissione istituita presso il Ministero della giustizia ha quantificato un ammontare di 22 mila 500 detenuti. Come giustamente qualcuno dianzi faceva rilevare, dato il limite di tre anni, qualcuno comunque nei prossimi anni avrà questa riduzione ed uscirà prima di avere scontato per intero la propria pena.
Dunque, mi domando quanto grande sarà la frustrazione dei cittadini onesti e mi chiedo se esistano altre soluzioni per risolvere i problemi di sovraffollamento nelle carceri. A mio avviso, invero, esistono altre soluzioni; nei cinque anni trascorsi, il ministro Castelli ha dato attuazione al programma di edilizia carceraria: vi sono dunque strutture carcerarie che sono pronte per essere aperte; sarebbe la via giusta per dare migliori condizioni ai detenuti. Migliori condizioni che nessuno vuole loro negare.
Qualcuno favorevole all'indulto si è appellato alla visita del Santo Padre in quest'aula, ma io ricordo le parole pronunciate; il Santo Padre non ha citato né l'amnistia né l'indulto: ha solamente chiesto di far sì che vi fossero migliori condizioni per i detenuti. In questa sede, dunque, si stanno travisando le parole del Santo Padre, che non ha assolutamente parlato di amnistia o di indulto.
L'assenza, durante tutto il dibattito, del Ministro della giustizia, l'onorevole Mastella dimostra che all'interno della maggioranza non c'è una univoca posizione come invece si vorrebbe far credere. Forse, permettetemi questa battuta, il Ministro sarà ancora irritato per la mancata introduzione in questo provvedimento dell'indulto su calciopoli.
Veniamo così ad una questione di carattere politico; sono presenti i colleghi dell'Italia dei valori. Abbiamo sentito che sono fortemente contrari a questo provvedimento ed abbiamo altresì sentito che comunque si avranno delle conseguenze politiche all'interno della maggioranza, all'indomani del voto sul provvedimento - che sicuramente raggiungerà la maggioranza dei due terzi di questo Parlamento -. Mi aspetto dunque atti concreti da parte dei colleghi deputati dell'Italia dei Valori e anche da parte del ministro Di Pietro. Ho letto alcune interviste oggi apparse su vari quotidiani; il ministro ha detto: tirate la corda e questa corda si spezzerà. Vorrei dunque capire in questo momento se la corda si è spezzata o meno, quindi invito i colleghi dell'Italia dei Valori ad essere coerenti loro stessi, perché la coerenza paga sempre. Noi della Lega abbiamo presentato una serie di proposte emendative; prima fra tutte, quella tesa all'abrogazione di questo articolo unico. Ma abbiamo presentato anche altre proposte, ad esempio per far sì - secondo un'espressione di moda - che vi sia una riduzione del danno; tutti, nei vari interventi, parlano di tale famosa riduzione del danno e noi abbiamo presentato proposte emendative in tal senso. Però, Presidente, una decisione spero non si prenda: quella relativa alla votazione a scrutinio segreto: ognuno deve assumersi la propria responsabilità in una votazione che deve essere assolutamente a scrutinio palese. Spero che nessun presidente di gruppo richieda la votazione a scrutinio segreto.
Infatti, se è vero che qui in aula abbiamo tutti una posizione, è giusto che su quel tabellone appaiano i puntini verdi o quelli rossi, ma non una schermata blu. Vedete, è una questione di assoluta coerenza.
Vorrei ricordare - e concludo, signor Presidente - che qui abbiamo votato una legge, quella sulla legittima difesa, che veramente è una buona legge, che è stata votata da tutto il centrodestra (ha avuto pareri contrari naturalmente dall'ex minoranza) e che ha già avuto effetti positivi. Se è stato giusto votare quella legge sulla legittima difesa, non vedo perché parte della minoranza oggi insista nel voler votare questa legge sull'indulto. È una contraddizione politica ed etica, è una contraddizione che comunque occorre dirimere, anche perché - e non lo nego: l'ha detto Pag. 99ieri il nostro presidente, l'onorevole Maroni - ciò pone dei grossi problemi all'interno della Casa delle libertà. Non neghiamo infatti che questa sia una questione politica fondamentale. Mi auguro che nel prosieguo dell'esame e nella votazione finale qualcuno cambi parere.
Da ultimo, mi conceda una battuta, Presidente; non so se l'indulto cancelli anche il tradimento politico - non credo, non è contemplato -, ma questo comunque è un marchio che ti rimane per tutta la vita!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, certamente la Lega Nord è la forza politica che sui temi legati alla giustizia ha sempre avuto un atteggiamento coerente, senza lasciarsi prendere la mano da strumentalizzazioni politiche o da ondate emotive. Spesso, troppo spesso, a sostegno di provvedimenti di questa natura, di amnistia o di indulto - e voglio ribadirlo come hanno già fatto altri colleghi e da ultimo l'onorevole Dozzo - ci si è richiamati all'intervento di Papa Giovanni Paolo II - sono in questo caso ripetitivo - , che in quest'aula ha descritto la condizione dei detenuti e invocato provvedimenti di clemenza. Anche in quella occasione e anche oggi - e me ne sono dispiaciuto - si è tentato di piegare persino le intenzioni oltre le parole del Sommo Pontefice, quando doveva essere ben evidente l'afflato umanistico e lo spirito misericordioso che ispirava il Capo della Chiesa cattolica. Va da sé che, specie per chi crede, la compassione, cioè il soffrire insieme, è uno dei fondamenti delle proprie convinzioni religiose e della propria appartenenza ad un progetto trascendente. Voglio dire cioè - e non vorrei sembrare in questo momento troppo ecumenico - che per il cristiano la parola perdono assume un significato particolare e irrinunciabile, anche se occorre stare in guardia dal rischio di farla scadere in quella deriva perdonista che mette in discussione principi fondamentali della convivenza civile. Anche per il cristiano il «chi sbaglia paga» deve essere un principio informatore della coesistenza tra gli uomini, altrimenti siamo nella giungla e, peggio ancora, nella impunità. E proprio nell'alveo di queste osservazioni, voglio ricordare come ancora una volta si confondano l'aspetto umanitario con l'esigenza di risolvere la questione del sovraffollamento delle carceri. Conosciamo la situazione e sappiamo anche che non è svuotando le prigioni che si rende vivibile la giornata dei detenuti. Ben altre sono le esigenze rieducative e riabilitative. Certo, il recupero sociale, previsto nella nostra Costituzione, è un impegno che va sempre più perseguito con riforme strutturali all'interno delle carceri, dove sappiamo che spesso il delinquente occasionale viene a contatto con figure che si sono macchiate di delitti efferati e che cercano di avvolgere nella loro rete chi vive momenti di disperazione. Ma da qui a giustificare ipotesi di indulto o di amnistia, dell'uno o dell'altro istituto, ce ne corre. Ci corre soprattutto il buonsenso, che, tradotto in pillole, altro non significa se non che qualsivoglia provvedimento di clemenza svuoterebbe in parte le carceri ma riempirebbe le strade delle nostre città di migliaia e migliaia di persone che non sanno come procacciarsi da vivere - lo ha ricordato bene poc'anzi il collega Garavaglia - e che perciò sono predisposti a reiterare i loro errori mettendo così a repentaglio la sicurezza dei cittadini. E che esito avremmo poi? Che ricaduti in un reato di furto o di rapina - i più diffusi come risulta dai dati forniti dalle Forze dell'ordine - tornerebbero facilmente in carcere e riproporrebbero, in termini ancora più aggravati, i problemi che si vorrebbero risolvere. È, insomma, il cane che si morde la coda.
Allora diciamo che in questo paese di altissima tradizione giuridica vi è stato, ad esempio, accanimento verso i reati di opinione mentre si è assai più indulgenti verso delitti ben più gravi. Cito per tutti il caso dell'assassino del Circeo che, trovata la libertà, non ha esitato a ripetere con uguale ferocia il suo delitto dopo che iPag. 100giudizi sul suo comportamento carcerario erano improntati all'ottimismo e corroborati dalla buona condotta.
Occorre, a mio parere, intervenire ancora una volta sul processo, sui tempi della giustizia, sulla certezza della pena. Principi ripetuti fino alla nausea in questa sede. A Lecco, la mia città, negli ultimi sei mesi sono approdati al giudizio di primo grado sei casi che sono balzati alla ribalta della cronaca nazionale e che hanno dimostrato come un tribunale efficiente possa arrivare in tempi ragionevoli a svolgere le proprie funzioni. E si trattava di casi delicati come quello dell'infermiera killer e del giovane che ha ucciso un benzinaio a sangue freddo per pochi spiccioli. Quel benzinaio, Giuseppe Maver, era un amico della Lega Nord Padania, un militante al quale va il mio ricordo.
Certamente, amnistia e indulto non hanno a che vedere con questi reati, ma se non si capisce il meccanismo complessivo della giustizia così come è amministrata nel nostro paese si rischia di cogliere solo aspetti limitati e specifici di una vicenda della quale, come si sa, si continua a parlare con cadenza frequente e ripetitiva. La Lega Nord Padania ha provato sulla sua pelle la mano pesante della giustizia con le condanne per la vicenda del campanile di San Marco «assaltato» (lo dico tra virgolette) o le stesse condanne del nostro leader Umberto Bossi, quando invece c'è una tolleranza inammissibile verso l'ondata di crimini che pervadono le città, legati soprattutto - dico io - alle invasioni dei clandestini. È vero che non c'è colore di pelle o lingua parlata o etnia che sancisca una propensione a delinquere, ma di sicuro i dati parlano chiaro e confermano come, ad ogni massiccio ingresso di extracomunitari nel paese, corrisponda un'impennata dei crimini, un picco che si manifesta, come ha ricordato poc'anzi l'onorevole Dozzo, proprio in questi giorni. Si manifesta in questi giorni negli appartamenti vuoti per le legittime vacanze degli italiani, con incursioni che toccano i beni propri e più cari di ciascuno, che violano la «privatezza» e segnano quella casa che per tutti noi è la prima conquista ed il primo rifugio, l'approdo della nostra autonomia di abitare e di vivere.
Indulto per chi? Vi è chi ritiene che non debba essere approvato perché rivolto a favore dei potenti, ma tale ragionamento può tenere sul piano della qualità, non su quello della quantità. Provvedimenti per particolari e circoscritti reati non hanno ragione di essere approvati, sia perché ogni cittadino deve essere uguale davanti alla legge sia perché di certo non risolvono il problema delle nostre carceri, per le quali è bene dire una volta per tutte come sia necessario proseguire nelle ristrutturazioni previste nella riforma. Non è moltiplicando le carceri, però, che diminuiscono i crimini; occorre una politica severa, nella quale stia tutta la prevenzione di questo mondo, in cui abbia cittadinanza anche quella giusta pena che garantisce, in prima istanza, la convivenza dei cittadini dei ceti più deboli, dei più esposti alle truffe quotidiane, all'esercito di finti funzionari che bussano alla porta ed estorcono denaro ai nostri anziani.
Un'amnistia o un indulto - e concludo - applicati con i principi che li sorreggono aprirebbero le porte delle carceri, ma soprattutto - e di questo sarete responsabili - dischiuderebbero le porte delle nostre città ad un pericolosissimo rigurgito di delinquenza comune (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Grazie, Presidente, e grazie anche ai colleghi presenti che hanno sopportato tutta la giornata di dibattito, che purtroppo però non ha visto la partecipazione di coloro che hanno proposto il provvedimento in esame, che per la Lega Nord è un vero e proprio schiaffo morale al paese, a quello reale che, onestamente, non ne sentiva assolutamente il bisogno.
Oltreché per la gente comune, cioè i nostri elettori, l'indulto costituisce un imbarazzante esempio di debolezza istituzionale per il paese. È imbarazzante perchéPag. 101non è una risposta seria ad una problematica pratica, quale è sicuramente quella del sovraffollamento delle carceri, per la quale si poteva studiare una soluzione, anzi tante soluzioni alternative, ma non sicuramente quella di far crollare la certezza della pena, uno dei pochi istituti che ancora, in qualche modo, rimaneva nella percezione della gente comune come capacità dello Stato di punire i delinquenti.
Non si è voluto fare questo, bensì si è voluta cercare una soluzione molto all'italiana, cioè risolvere un problema creandone altri cento. Perché dico creandone altri cento? Perché alla fine, dalle carceri, con la scusa di diminuire un po' l'affollamento, si fanno uscire 10, 12, 15, 18, 20 mila persone: non si sa quante perché nessuno qui ci ha fornito cifre reali e precise né sul numero dei detenuti che potranno beneficiare dell'indulto, né sul tipo di reati specifici rispetto ai quali essi beneficieranno della misura, uscendo, sia pure gradatamente, dalle carceri.
Ciò che balza agli occhi, sia del legislatore che della gente comune, in questi giorni, è l'assoluta incongruenza fra l'obiettivo preposto - se è veramente quello di risolvere un problema pratico di sovraffollamento delle carceri - e lo strumento legislativo che si intende adottare.
Non è credibile, visto che in altri paesi vi sono ben altri e diversi strumenti per ridurre l'affollamento delle carceri, che per far questo si dia un colpo di spugna.
Qui vi sono questioni che vanno oltre l'aspetto pratico del sovraffollamento delle carceri: infatti, esistono problemi di natura sicuramente politica.
Oggi è stato affermato, nel corso del dibattito, che il sovraffollamento delle carceri è stato determinato dalla cosiddetta legge Bossi-Fini. Si tratta, se mi passate il termine, di una «stupidata» di dimensioni bibliche! Infatti, non è tale legge ad avere fatto finire in carcere 10 o 12 mila detenuti in più: è la tipologia di immigrati (soprattutto clandestini) giunti in questo paese a provocare questa situazione. La maggior parte di tali immigrati è sostanzialmente venuta nel nostro paese per delinquere, e questo lo sappiamo benissimo! I dati statistici relativi alla presenza degli immigrati negli istituti penitenziari lo dimostrano: siamo oltre il 40 per cento!
Il collega Bodega ha precedentemente affermato che non si tratta di una questione di pelle, di etnia o di religione; tuttavia, se sono questi i dati relativi alle carceri, non voglio assolutamente sostenere che chi proviene dal Maghreb, o da altri paesi extracomunitari, sia maggiormente propenso a delinquere, ma vorrei rilevare che da quelle aree sono arrivate nel nostro paese quasi esclusivamente persone con una propensione a delinquere sicuramente maggiore rispetto alla media. La questione, dunque, si sposta dal piano pratico a quello politico, e questo è un dato di fatto.
Bisogna altresì prendere atto che, quando si parla di situazioni abbastanza difficili all'interno delle carceri, nessuno parla mai - a parte la Lega, che lo ha già fatto, più di una volta, anche nel corso della scorsa legislatura - del fatto che, al nord, gli istituti di pena hanno una pianta organica costantemente sotto il limite minimo di personale che sarebbe necessario per gestire tali istituti.
Vorrei aggiungere, inoltre, che, preliminarmente al passaggio parlamentare di un provvedimento di indulto come quello in esame, alcuni esponenti del Governo, anziché venire in questa sede per relazionare sull'argomento, si sono recati nelle carceri per - passatemi il termine - «sobillare». Infatti, quando si propone ai detenuti una parvenza di riduzione della pena, o addirittura l'ipotesi di una amnistia, allora è logico che, quando tali provvedimenti non vengono varati, ci si trovi di fronte a gravi problemi di ordine pubblico all'interno delle carceri.
Pertanto, questo Governo gioca anche sulle aspettative dei reclusi, oltre che sulla pelle degli stessi cittadini. Vorrei ricordare che si discute molto non solo del tema della sicurezza, ma anche della necessità di tutelare tutti gli aspetti legati alle attività produttive del nostro paese. Per portare un esempio, si parla della tutela delle produzioni italiane contro la contraffazione. Ebbene, la contraffazione dei prodottiPag. 102made in Italy, di nicchia o di marca - vedo il ministro Bonino presente in aula, e potrà sicuramente confermare tali dati -, vale il 25 per cento del giro d'affari complessivo dei prodotti la cui origine è certificata; con il provvedimento di indulto in esame, invece, chi pratica la contraffazione delle merci nazionali uscirà dalle carceri. Da una parte, allora, cerchiamo di individuare strumenti legislativi idonei a difendere il made in Italy, ma dall'altra rimettiamo in libertà coloro che hanno commesso reati legati alla contraffazione degli stessi prodotti.
Vorrei proseguire il mio intervento ricordando anche i reati dell'usura e dell'estorsione. Infatti, prima conduciamo la lotta all'usura e all'estorsione e ci stracciamo le vesti in Parlamento ogni qualvolta un caso eclatante finisce sui giornali, ma poi, con il provvedimento in esame, tranquillamente e a cuor leggero facciamo beneficiare dello sconto di pena anche persone che hanno commesso reati che, se si pensa al modo con cui vengono perpetrati nei confronti della povera gente (vale a dire le classi meno abbienti), fanno veramente accapponare la pelle!
Possiamo continuare con l'elenco dei reati, poiché vi sono i truffatori, i rapinatori e gli evasori fiscali. Vorrei ricordare che, giustamente, è stato sollevato un clamore enorme, poiché centinaia di migliaia di famiglie italiane sono state truffate da chi ha posto in essere evasioni fiscali colossali. Adesso, tuttavia, ci accingiamo a varare un provvedimento che, in qualche modo, mitiga la pena o addirittura premia, lasciandoli completamente fuori dal carcere, questi personaggi dopo che, per mesi, in questa stessa Assemblea si è cercato di approvare una legge volta a tutelare i risparmiatori.
Ma che razza di tutela possiamo offrire nel momento in cui lanciamo un segnale esattamente contrario alla difesa dei risparmiatori? Così facendo, infatti, noi premieremo gente come Tanzi, Fiorani e Ricucci; andremo a premiare, in altri termini, persone che hanno letteralmente e dichiaratamente rubato centinaia, se non migliaia, miliardi di vecchie lire dalle tasche della povera «signora Maria» che aveva risparmiato 10 o 20 milioni di lire! Poi, magari, tra qualche mese, ci sentiremo dire che occorre emanare una legge sul risparmio per tutelare nuovamente i risparmiatori!
Questo procedere ondivago relativamente alla tutela dei cittadini a trecentosessanta gradi è veramente ipocrita da parte del centrosinistra. Purtroppo, quando si parla di reati fiscali, qualcuno cerca sempre di puntare il dito su qualche caso particolare ascrivibile al centrodestra, ma nessuno cita mai il caso Unipol che, probabilmente, è la vicenda più eclatante ascrivibile alla sinistra.
La Lega è visceralmente e convintamente contraria a questo provvedimento di clemenza - come a tutti i provvedimenti di clemenza in generale - perché, fornendo il segnale che chi delinque la può sempre far franca, il senso civico - che, in questo paese, è già molto basso - va completamente a farsi friggere! Poi non ci lamentiamo se lo sport nazionale diventerà non quello di rispettare la legge, ma quello di tirare a campare fregandosene altamente delle regole!
Concludo, sottolineando l'assenza del ministro della giustizia. Il collega Dozzo, in precedenza, lo ha detto con una battuta: evidentemente sperava in qualche provvedimento di clemenza anche per quanto riguarda il calcio! Comunque, tra la scarsa presenza dei componenti della sinistra, l'assenza di fatto del Governo e la posizione fortunatamente contraria al provvedimento in esame dell'Italia dei Valori, qualcuno ci deve chiarire se il provvedimento di indulto è veramente mirato a decongestionare le carceri o se, invece, vi sono ragioni politiche di altro tipo.
Ad esempio, visto che si è parlato molto della legge Bossi-Fini, posso immaginare che, facendo uscire dalle carceri 10 mila immigrati, si voglia dimostrare il fallimento di tale legge. Ma qualcuno dovrebbe fare un passo indietro e chiedersi chi ha portato in Italia gli immigrati che delinquono. Sicuramente non il Presidente del Governo di centrodestra. La politica posta in essere dal centrosinistra alla fine degliPag. 103anni Novanta è stata la causa dell'invasione di questi soggetti dediti a delinquere! Quindi, diciamo le cose come stanno!
Il provvedimento di indulto serve per coprire sia alcuni reati fiscali e finanziari commessi dalle cooperative di centrosinistra, sia qualche reato simile compiuto da pochissimi personaggi ascrivibili all'area di centrodestra. Tale provvedimento servirà a svilire il senso delle istituzioni dello Stato e il senso del dovere delle Forze dell'ordine.
In questi giorni, ho parlato con molti amici delle Forze dell'ordine che, se prima mi dicevano di sentirsi abbastanza frustrati nel dover sempre correre dietro a delinquenti che poco dopo erano nuovamente liberi, adesso saranno ancora più avviliti vedendo persone condannate anche a più anni di galera uscire per commettere gli stessi reati.
Non dimentichiamo che la maggior parte dei reati posti in essere dai detenuti che beneficeranno del provvedimento di indulto sono compiuti da delinquenti abituali, non da gente che ha sbagliato per qualche motivo e che si è trovato in una situazione di indigenza tale da indurla a compiere il reato. Anche questa è una favola che qualcuno ha cercato di vendere, ma che non attacca certo tra la gente comune: si tratta, infatti, di delinquenti abituali che sanno vivere esclusivamente di truffe, rapine, estorsioni ed usura.
Quindi, quando ci sarà un'impennata di quei reati, che ci sarà sicuramente se questo provvedimento sarà approvato dal Parlamento, mi auguro anch'io, come il mio collega Dozzo, che non si faccia ricorso al voto segreto, perché in quel caso noi faremo un elenco di nomi e cognomi di tutti coloro che voteranno a favore dell'indulto e, ad ogni futura vittima di qualsiasi tipo di reato, gli spediremo l'elenco di questi personaggi perché possano ringraziarli (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pedica. Ne ha facoltà.
STEFANO PEDICA. Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi - ne vedo molto pochi -, oggi continuiamo a parlare di un tema molto delicato ed importante, l'indulto, un istituto che andava sotto il nome di «clemenza sovrana», tipico della concezione assolutistico-teocratica del monarca, che può, a suo piacimento, punire, perdonare o dispensare dalla pena.
Si tratta di un istituto che, proprio perché non facilmente conciliabile con le funzioni fondamentali della pena, dovrebbe trovare la propria giustificazione in eccezionali e pressoché irripetibili ragioni di opportunità politica. Nel nostro paese, invece, si è fatto un grande abuso di tale provvedimento per ragioni più o meno demagogiche, celebrative ed elettoralistiche. Tale abuso ha nuociuto non poco alla serietà della nostra giustizia nel nostro paese.
Le pene solennemente inflitte dai giudici nelle sentenze di condanna vengono così vanificate. Sotto questo profilo, a poco è servita la reintroduzione, nel marzo 1992, dell'articolo 79 nella nostra Carta costituzionale, a seguito della quale la concessione dell'indulto spetta ora al Parlamento.
Proprio per la peculiarità e la delicatezza di un provvedimento come quello di cui oggi discutiamo, proprio per gli effetti che lo stesso produrrà nel nostro paese, per restare esenti da facili critiche, noi dell'Italia dei Valori abbiamo proposto alcuni emendamenti di fondamentale importanza, primo fra tutti quello che prevede l'inserimento, al terzo comma, di ulteriori fattispecie criminose alle quali l'indulto non dovrà applicarsi. Non è sufficiente, infatti, escludere dall'indulto i reati di natura mafiosa, quelli riguardanti la pedofilia ed i reati di terrorismo interno ed internazionale.
Vi sono altri reati di fortissimo allarme sociale, quali i reati contro la pubblica amministrazione, previsti dal Capo primo, titolo II, libro secondo, del codice penale, i reati contro l'amministrazione della giustizia, previsti dal Capo primo, titolo III, libro secondo, del codice penale, i reati di natura fiscale e finanziaria, puniti con la pena detentiva, e le fattispecie previstePag. 104dagli articoli 2621 e 2622 del codice civile e dagli articoli 416-ter, 439 e 440 del codice penale.
Può considerarsi un reato come il peculato una fattispecie criminosa di scarso allarme sociale? Può un paese coscienzioso decidere di lasciare impuniti coloro che se ne macchiano? Possono reati quali la malversazione ai danni dello Stato, prevista dall'articolo 316-bis del codice penale, l'indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato, prevista dall'articolo 316-ter del codice penale, reputarsi fattispecie prive di pericolosità sociale? In un paese serio questo non può e non deve avvenire!
Coloro che hanno commesso reati quali la concussione, la corruzione e l'istigazione alla corruzione non devono essere lasciati impuniti. I nostri cittadini non possono tollerare che l'ordinamento permetta che delinquenti di tal genere non scontino le pene che lo stesso ordinamento prevede. Non si può vanificare, in tali materie, un principio fondamentale del diritto penale, quale quello della certezza della pena.
Noi dell'Italia dei Valori diciamo che ciò non deve accadere.
Per non parlare, poi, della gravità e della pericolosità sociale dei reati contro l'amministrazione della giustizia. La giustizia deve essere tutelata e protetta. Non è coscienzioso ricomprendere in un provvedimento di clemenza coloro che non solo non la rispettano, ma addirittura l'aggrediscono: sarebbe un pessimo esempio per tutto il paese, una resa dell'ordinamento, un inaccettabile colpo di spugna.
Può considerarsi serio decidere di mandare esenti da pena soggetti colpevoli del grave reato di scambio elettorale politico-mafioso previsto dall'articolo 416-ter del codice penale, laddove tale fattispecie è stata inserita nel nostro codice dal legislatore nel 1992, proprio per ricomprendervi fatti sentiti dalla società come molto pericolosi, che altrimenti rischiavano di non essere sussumibili sotto l'egida di alcuna norma penale?
L'importanza e la gravità di tale fattispecie penale è, d'altronde, confermata dal recente intervento sul tema delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Noi dell'Italia dei Valori consideriamo una tale ipotesi vergognosa e inaccettabile. Possono considerarsi reati privi di allarme sociale fattispecie come l'avvelenamento di acque o di sostanze alimentari previsto dall'articolo 439 del codice penale e l'adulterazione e la contraffazione di sostanze alimentari previsto dal successivo articolo 440? Nessuno lo potrebbe scientemente sostenere!
Per non dire poi cosa comporterebbe, sotto il profilo più strettamente sociale, decidere di consentire l'impunità ai soggetti resisi colpevoli dei reati di false comunicazioni sociali e false comunicazioni in danno dei soci o dei creditori previsti dagli articoli 2.621 e 2.622 del codice civile. Quale esempio verrebbe così dato a tutti i consociati? Includere nell'indulto reati di tal genere non può esser giustificato dalla necessaria risoluzione del problema dell'affollamento delle carceri, che dovrebbe essere l'intento principale del provvedimento di clemenza.
Sono favorevole agli atti di clemenza previsti dal nostro ordinamento, qualora ne sussistano i presupposti e le condizioni. Ma non è credibile, non è serio, non è sostenibile che la vera ratio dell'estensione dell'indulto ai reati societari e finanziari e a quelli contro la pubblica amministrazione sia ravvisabile nell'esigenza di fronteggiare il problema del sovraffollamento delle carceri. Sappiamo tutti che non è attraverso queste tipologie di reati che si risolve questo grave problema. Sul totale dei detenuti, coloro che scontano una pena per tali fattispecie criminose sono veramente un numero esiguo. Nelle nostre carceri la maggioranza dei detenuti è rappresentato dai condannati per reati di minore gravità e da extracomunitari costretti a delinquere per sopravvivere. Non è ammissibile voler approvare un provvedimento tendente a favorire solo le cosiddette classi superiori.
Il sillogismo motivazionale di quelle parti politiche che sostengono la tesi contraria non è condiviso dall'Italia dei Valori, ma ancor più non è validabile in terminiPag. 105logico-giuridici. Mai nel nostro paese sono stati ricompresi nei provvedimenti di clemenza i reati di concussione e corruzione contro la pubblica amministrazione. In un paese civile, in un paese serio e responsabile, i corruttori e i corrotti devono essere puniti, e non meno importante è sapere che saranno puniti.
Rispetto a materie così importanti non è possibile vanificare la fondamentale funzione general-preventiva che assegna alla pena una funzione deterrente. I soggetti, in tal modo, non vengono distolti dall'assecondare i propri impulsi criminosi, ma al contrario spinti a delinquere di nuovo o per la prima volta, confidando in una non improbabile impunità.
Noi dell'Italia dei Valori non vogliamo tutto questo: non lo vogliamo per noi, ma soprattutto non lo vogliamo per tutti i cittadini, per la loro tutela, che resta e deve restare un bene primario da salvaguardare. Non si può, anzi non si deve estendere questo provvedimento a tali reati solo per ovviare al rischio del mancato raggiungimento del quorum necessario all'adozione del provvedimento: non è serio né coscienzioso!
Abbiamo criticato e lottato per anni contro leggi ad personam; ora è necessario un atto di onestà e di coerenza. Abbiamo chiesto, altresì, la modificazione, al primo comma dell'articolo 1, della data del 2 maggio 2006 con quella del 1o gennaio 2005 e la soppressione del secondo comma. L'applicazione dell'indulto ai reati commessi prima del 2 maggio 2006 sarebbe una vergogna nei confronti non solo della giustizia ma anche e soprattutto degli onesti cittadini. È necessario dimostrare senso di responsabilità nei confronti del nostro paese, e non solo. Sarebbe una vergognosa e disonorevole resa di fronte ai gravissimi fatti di mala amministrazione e mala attività imprenditoriale. Non dimentichiamo che si tratta di delinquenti colpevoli di reati che hanno dato vita a Tangentopoli, Bancopoli e Calciopoli: non sarebbe onesto né rispettoso nei confronti di milioni di elettori! Sarebbe un provvedimento che neppure il Governo Berlusconi è riuscito a fare. Bisogna evitare di cominciare la legislatura con un atto di clemenza ricco di contraddizioni e intollerabilmente comprendente persone colpevoli di reati gravissimi e dal forte allarme sociale, di reati per i quali sarebbe auspicabile, al contrario, un inasprimento delle pene.
In realtà, come noi dell'Italia dei Valori abbiamo più volte ribadito, sarebbe necessaria una riforma seria della giustizia, tendente a depenalizzare alcuni tipi di reati ed a migliorare le difficili e precarie condizioni dell'attuale sistema carcerario. Noi dell'Italia dei Valori ci dichiariamo contrari ad un tale provvedimento di clemenza e, quindi, contrari al voto (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Astore. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE ASTORE. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio anche il rappresentante del Governo che ha la pazienza di ascoltarmi, contrariamente a qualcuno che, oggi, ha disertato l'aula.
Mi spiace, signor Presidente, doverle dire della gestione degli interventi: mi ero prenotato tra i primi, eppure mi ritrovo a parlare tra gli ultimi. Credo che la volontà di cancellarsi sia individuale e, pertanto, faccio le mie rimostranze al riguardo; le faccio con serenità, ma penso che situazioni simili non dovrebbero ripetersi: i deputati sono tutti uguali, in occasione del voto, e via dicendo. Credo che la dimostrazione di essere tutti uguali in quest'aula sia la più civile che possiamo dare al paese.
Stamani, onorevoli colleghi, mentre salutavo alcuni amici dell'Italia dei Valori venuti a Roma, davanti a palazzo Montecitorio, per manifestare liberamente contro la proposta di legge in materia di indulto, un membro di questa Assemblea (che certamente voterà a favore del provvedimento in esame), con atteggiamento sprezzante, gridava: «Vergognatevi!», senza ottenere alcuna - forse, sperata - reazione scomposta.
Spero che tra noi - ognuno con le proprie opinioni - vi sia rispetto per lePag. 106posizioni altrui, rispetto che non c'è stato, almeno in parte, in questo dibattito. Allora, le accuse di giustizialismo, che stiamo ricevendo, in questi giorni, da diversi settori di questo Parlamento, sono da respingere decisamente al mittente: sono strumentali e si basano su luoghi comuni, sono liturgie conosciute che nascondono disprezzo per tutti coloro che richiamano la nostra società al rispetto delle regole - purtroppo, viviamo un periodo difficile sotto questo aspetto -, per una convivenza civile, serena e democratica.
Essere portatori di un principio di legalità e prendere atto che, ormai, l'uso personale delle istituzioni (ne abbiamo esempi anche in quest'aula) e la violazione continua della legge nella pubblica amministrazione non meravigliano più nessuno non generano, spesso, alcuna reazione nella pubblica opinione, che si distacca sempre più dalla politica e dai suoi rappresentanti. Quello al nostro esame è uno di quei provvedimenti che distaccano il paese dai suoi rappresentanti.
L'Italia dei Valori non è per il primato dei giudici sulla politica (questo è un altro dei luoghi comuni che dobbiamo respingere), perché i giudici non possono e non debbono dettare le regole alla politica. Tuttavia, siamo anche coscienti che più volte la politica ha cercato di invadere l'autonomia del potere giudiziario. Siamo meravigliati - indignati - perché, talvolta, anche quest'Assemblea ha voluto celebrare un processo ai giudici, ridicolizzando indagini che alcuni magistrati portano avanti nel rispetto delle leggi e della loro indipendenza, adempiendo il loro dovere. Bisogna fare ogni sforzo per riportare alla piena autonomia i poteri di uno Stato moderno e democratico.
Respingiamo, inoltre, le critiche e le accuse che indicano l'Italia dei Valori come il partito che «rompe» la maggioranza che sostiene il Governo. Ho ascoltato da diverse parti che dobbiamo dare giustificazioni, del fatto che il nostro ministro e noi votiamo in maniera diversa. Siamo consapevoli che questo provvedimento, che noi osteggiamo nell'attuale formulazione licenziata dalla Commissione, è frutto di un'iniziativa parlamentare e non governativa. Confermiamo la nostra fiducia a questo Governo, anche se avremmo desiderato una più forte iniziativa per comporre e dare ascolto alle nostre richieste.
Non ci scandalizziamo che su alcuni argomenti importanti, quali alcune grandi riforme di cui l'Italia ha bisogno, si ricerchi un auspicabile accordo trasversale tra le forze politiche. Siamo per un trasversalismo sano, per arrivare al bene comune. Ecco perché plaudo all'iniziativa di questi giorni di alcuni partiti che si pongono responsabilmente il problema legato alla considerazione che un bipolarismo solo «muscolare» non porta da alcuna parte. Ma questo trasversalismo di oggi, le convergenze di diverse forze politiche sul provvedimento di indulto che la Camera dei deputati sta per approvare, non si basano su alcuna volontà di raggiungere il bene comune, ma su interessi di parte o, peggio, su falsi conflitti di interessi. È - lo dichiariamo - un vero e proprio «inciucio».
Il Santo Padre ha chiesto a quest'aula un provvedimento di clemenza - lo hanno ricordato in tanti - per i deboli, per gli emarginati, per i peccatori pentiti, non per chi ha approfittato del suo ruolo di pubblico amministratore per togliere i diritti agli altri. Siamo per una clemenza giusta, soprattutto per i detenuti meno abbienti, che hanno anche bisogno di sostegno per favorire il proprio reinserimento sociale, aspetto che ha portato il nostro capogruppo in Commissione a presentare un opportuno emendamento in proposito.
L'Italia dei Valori non vuole inutili sofferenze delle persone detenute in carcere, spesso in condizioni disumane, dove la pena diventa particolarmente afflittiva, senza svolgere quel ruolo di rieducazione per il recupero pieno dei cittadini reclusi e per impedire la reiterazione dei reati e, quindi, il ritorno alle patrie galere. Dunque, lo gridiamo: siamo per la riduzione della pena, per l'indulto, ma non per questo tipo di provvedimento, che include i reati più odiosi e riprovati dall'opinione pubblica.Pag. 107
Un provvedimento di clemenza, proprio per rispettare la volontà del Santo Padre, nella scia dell'insegnamento di Beccaria e della dottrina giuridica italiana, deve avere come scopo anche quello di educare la società al rispetto delle leggi, non ad ottenere una reazione indignata come quella che si verifica in Italia in questi giorni, anche se il periodo scelto - ad arte - avrebbe potuto far pensare diversamente. La gente ha capito e reagisce, e questa non è demagogia. L'Italia ha bisogno, come sottolinea il programma dell'Unione, di un nuovo codice penale e, con esso, di un provvedimento di clemenza.
Questa accelerazione dubbia, questo anteporre l'indulto ad azioni concrete per una nuova politica giudiziaria in Italia mi sembra aver tradito coloro che in Italia vogliono la politica delle regole e non quella dei regali. Qualcuno si vuol lavare la coscienza per aver riempito le carceri negli anni passati, con leggi dal carcere facile. Sì, amici della Lega, la Bossi-Fini ha portato in carcere molte e molte persone che oggi non vi sarebbero, ed altrettanto può dirsi della legge ex Cirielli e della stessa legge che ha inasprito le pene sugli stupefacenti!
Siamo offesi per aver trovato un muro di fronte alle nostre proposte. La risposta, di contro, è stata quella di accelerare l'iter del provvedimento legislativo in esame, senza accettare una necessaria pausa di riflessione, che noi chiediamo ancora questa sera, con forza, soprattutto ai partiti amici ed alleati.
Ecco perché abbiamo riproposto alcuni emendamenti che escludono dall'indulto i reati finanziari e quelli contro la pubblica amministrazione; abbiamo fatto questo per chiedere alle coscienze libere di ognuno di voi parlamentari una risposta libera da condizionamenti di parte e da interessi di alcuni. Siamo offesi dal fatto che in quest'aula alcuni gruppi non abbiano nemmeno preso la parola, è chiaro qual è il loro intendimento: quello di fare presto, quello di accelerare e quello più grave di non spiegare alla pubblica opinione qual è la loro posizione.
Siamo stati e siamo contrari ad ogni forma di perdonismo, «condonismo», «indulgentismo», in ogni campo, sia esso fiscale, urbanistico, penale o altro, attività che ha rappresentato una costante della precedente legislatura ridicolizzando il nostro ordinamento giudiziario. Tutto ciò non ha ovviamente niente a che vedere con supposte esigenze di sicurezza, giacché pensiamo che la scarcerazione di un certo numero di soliti disgraziati non comporterà apprezzabili pericoli per la collettività; semmai ci preoccuperebbe di più rimandare sulla strada le persone scarcerate senza una concreta prospettiva di reinserimento sociale.
Abbiamo sempre detto di non essere per l'indulto purché contemporaneamente, anche in attesa della riforma del codice penale, si abroghino le pesanti leggi incriminatrici ereditate dalla precedente legislazione. Noi auspichiamo che vengano esclusi dall'indulto alcuni particolari reati, come quelli di natura fiscale, quelli contro la pubblica amministrazione e quelli finanziari punibili con una pena.
Apprendo stasera, amici - io sono nato e vivo nel paese dove successe una terribile disgrazia, il 31 ottobre 2002 -, che quei reati, anzi quegli eventuali reati (io spero che tutti siano assolti, che nessuno sia colpevole), quali la strage e il disastro colposo, sono compresi nell'indulto. Quando mi recherò nel mio paese, dove ho svolto la funzione di sindaco per quindici anni e dove la gente aspetta giustizia, credo di dover dare risposta alle mamme sulle spalle delle quali qualcuno piangeva (e spero piangesse sinceramente): sono le mamme di San Giuliano di Puglia, che attendono ancora giustizia.
La risposta negativa, l'accelerazione del provvedimento, ci hanno fatto capire il disagio che abbiamo generato in qualcuno. Non chiniamo la schiena anche se questa sera dovessimo rimanere soli, perché abbiamo il dovere di parlare ai cittadini; infatti, ci appelleremo ai cittadini per spiegare loro che, forse, oggi il Parlamento ha celebrato un grande «inciucio», rifiutando di iniziare a discutere la riforma della giustizia.Pag. 108
Signor Presidente, colleghi, avremmo potuto fare ostruzionismo su tutto, ma noi non abbiamo fatto ostruzionismo, anche se qualcuno ci ha accusati di ciò; infatti, se lo avessimo voluto fare, lo avremmo saputo fare come gli altri, anzi meglio degli altri: avremmo potuto parlare sul processo verbale, avremmo potuto continuare a parlare, sfruttando ogni piega del regolamento, e vi giuro che qualcuno di noi è veramente bravo in questo per aver svolto tale lavoro per tanto tempo. Abbiamo scelto un'opposizione dura - ecco perché abbiamo parlato tutti - e trasparente per parlare all'Assemblea e, attraverso di essa, al paese perché la gente deve sapere: questo non può essere un provvedimento nascosto, un provvedimento che il Parlamento porta avanti dietro l'angolo.
Decidere che la data del 2 maggio 2006 sia la data fino alla quale si applica l'indulto vuole significare il perdono dello Stato a tutti gli odiosi reati che sono stati ricordati, persino quelli di «calciopoli» di cui si parla stasera. È un altro attentato al senso comune e al buongoverno che la coalizione di centrosinistra aveva promesso al paese. Non vi è alcun vulnus politico nella nostra coalizione, nella maggioranza di Governo, per i motivi esposti precedentemente. Ai nostri alleati diciamo che non vogliamo essere sopportati (perché, questa sera, qualcuno ha dato anche segni di fastidio nei confronti dei nostri interventi), ma rivendichiamo la nostra autonomia, quando si tratta di affrontare temi che riguardano la persona, per ciò che ha fatto e per ciò che ha subito.
Questi provvedimenti riguardano i fatti dell'uomo, della persona umana; e su questi fatti si può passare un sostanziale colpo di spugna, per cui la nostra società si ritroverà a non comprendere più chi sia l'onesto e chi il disonesto, chi sia il furbo e chi la persona leale.
Con il nostro voto contrario, che ci sarà (qualcuno chiedeva come voteremo: se non saranno accettati i nostri emendamenti, voteremo contro in maniera netta e chiara), non vogliamo abbassare la guardia contro certi odiosi reati, ma indicare un percorso nuovo alla politica: la legge, che dobbiamo rispettare prima noi per poi chiedere agli altri di fare altrettanto. Nessuna stranezza. Dico all'onorevole Casini, che ha parlato questa mattina: preoccupiamoci del fatto che oggi alcuni membri di questa Assemblea non fanno gli interessi del paese, ma gli interessi propri, visto che allungando il termine fino al 2 maggio 2006, credo vengano ricompresi anche alcuni di noi (i sospettati, gli indiziati per alcuni dei reati che intendiamo escludere).
Ci rammarichiamo che il primo atto importante di questo Parlamento sia rivolto non agli interessi generali, ma ad avvantaggiare pochi eletti (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Onorevole Astore, in risposta alla sua segnalazione circa l'ordine degli interventi, lei sa che il regolamento prescrive che i deputati parlino nell'ordine di iscrizione. Tuttavia, è prassi assolutamente consolidata che, soprattutto in occasione di atteggiamenti ostruzionistici, la Presidenza riceva le iscrizioni a parlare e le relative cancellazioni dai rappresentanti dei gruppi.
Nel caso di specie, la sua iscrizione, originariamente collocata in una certa posizione, è stata ritirata dal rappresentante del suo gruppo e quando, in un momento successivo, ella ha rappresentato la sua volontà di intervenire, la Presidenza ha provveduto ad iscriverla nuovamente. Le assicuro quindi che la procedura seguita da questa Presidenza è del tutto conforme alla prassi.
Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
ENRICO BUEMI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate. Mi riservo di soffermarmi, in particolare, sull'emendamento Mantini 1.2, per motivare meglio il parere contrario.
PRESIDENTE. Il Governo?
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ilPag. 109Governo si rimette alla volontà dell'Assemblea su tutte le proposte emendative presentate (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Sta bene.
Come già comunicato dal Presidente della Camera, il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 21,30, è ripresa alle 21,45.
Discussione congiunta del disegno di legge e del documento: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006 (A.C. 1042); Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 1).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge e del documento: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006; Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 1042 e Doc. LXXXVII, n. 1)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare la relatrice sul disegno di legge comunitaria, onorevole Ottone.
ROSELLA OTTONE, Relatore sul disegno di legge n. 1042. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge comunitaria rappresenta il momento principale della partecipazione del nostro paese alla fase discendente del processo normativo comunitario. Si tratta di un provvedimento che ha permesso, dal 1989, anno in cui è stato introdotto questo strumento, ad oggi, di accelerare la fase di attuazione della normativa europea: l'Italia è passata da un tasso di recepimento delle direttive pari all'80 per cento nel 1990 ad una percentuale che si assesta attualmente attorno al 97 per cento.
Il disegno di legge in esame è il secondo dopo l'approvazione dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari». Come è noto, la legge n. 11 citata ha modificato in modo sostanziale la legge n. 86 del 1989, nota come legge La Pergola, che aveva introdotto la legge comunitaria annuale, finalizzata a consentire un costante e pieno adeguamento dell'Italia agli obblighi comunitari. Peraltro, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, realizzata nel 2001, è emersa la necessità di adeguare i contenuti della legge comunitaria alle nuove esigenze derivanti dal mutato assetto costituzionale. A tal fine, la legge n. 11 del 2005 ha provveduto ad ampliare i contenuti della legge comunitaria, ridefinendo altresì la disciplina relativa al recepimento delle direttive in via regolamentare nonché l'esercizio dei poteri statali sostitutivi in riferimento all'attuazione regionale degli obblighi comunitari.
Il provvedimento in esame, che dà seguito, in larga parte, alle innovazioni introdotte dalla legge n. 11 del 2005, contiene, all'articolo 1, la delega per l'attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B: nel testo proposto dalla Commissione, una sola direttiva nell'allegato A, ventidue direttive nell'allegato B e una nell'allegato C. L'allegato B si differenzia dal primo in quanto sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento è previstoPag. 110il parere dei competenti organi parlamentari. Il passaggio di numerose direttive dall'allegato A all'allegato B, risultante dall'approvazione di emendamenti proposti dalle Commissioni di merito o dal relatore, è volto, appunto, ad un rafforzamento delle prerogative parlamentari e ad un più forte coinvolgimento del Parlamento nel procedimento di emanazione dei decreti legislativi di attuazione; attuazione che segna, in Italia, gravi ritardi. Proprio per far fronte a tale problema, su proposta del Governo, oltre ad inserire nell'allegato B ulteriori direttive da recepire, sono stati ridotti i tempi di delega: il termine di diciotto mesi previsto nel testo del disegno di legge è stato portato a dodici mesi, che si riducono a sei nel caso che il termine di recepimento sia già scaduto o scada nei sei mesi successivi all'entrata in vigore della legge comunitaria in esame.
Il disegno di legge prevede, inoltre, il cosiddetto doppio parere parlamentare per due ipotesi specifiche, ossia allorché il Governo non intenda conformarsi alle condizioni relative all'osservanza dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione ovvero nel caso di norme concernenti sanzioni penali (comma 9). In tali casi, l'esecutivo è tenuto a trasmettere di nuovo i testi alle Camere, corredati dei necessari elementi integrativi, affinché le Commissioni competenti si esprimano, rispettivamente, entro venti e trenta giorni. In base ad un emendamento che recepisce il parere espresso dalla Commissione bilancio, tale procedura si applica in ogni caso ad una serie di direttive specificamente indicate, contenute nell'allegato B, per le quali la Commissione medesima ha rilevato profili finanziari particolarmente rilevanti.
Il comma 6 dell'articolo 1 reca una significativa novità rispetto ai contenuti consueti, autorizzando il Governo - entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi adottati per il recepimento di direttive per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare norme di attuazione - a recepire tali disposizioni attuative, allorché effettivamente adottate, con regolamenti governativi, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988. Al riguardo, si ricorda che il comma 6 dell'articolo 1 della legge comunitaria per il 2005 prevedeva la possibilità di adottare decreti legislativi integrativi e correttivi, al fine di tener conto delle eventuali disposizioni di attuazione di specifiche direttive, adottate dalla Commissione europea. La norma in esame, pertanto, risponde ad analoghe esigenze, fornendo però una risposta maggiormente completa, in quanto generalizza tale possibilità, svincolandola da riferimenti specifici a singole direttive, ed utilizza lo strumento del regolamento governativo al posto del decreto legislativo integrativo e correttivo.
Il comma 7 dell'articolo 1 richiama l'applicazione della consueta clausola di cedevolezza attraverso il rinvio alle disposizioni contenute nell'articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005, da applicare in relazione a quanto previsto dagli articoli 117, quinto comma, della Costituzione e 16, comma 3, della citata legge n. 11. Tale disposizione prevede, infatti, un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle regioni nell'attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei principi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.
Il comma 8, introdotto durante l'esame in Commissione, ripropone due disposizioni, peraltro già presenti nelle ultime leggi europee, con cui si prevede la trasmissione, da parte del ministro per le politiche europee, di una relazione al Parlamento, qualora una o più deleghe conferite dalla legge comunitaria non risulti esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, nonché un'informativa periodica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza. Anche in questo provvedimento, come nella legge comunitaria per il 2005, viene prevista l'attuazione di direttive attraverso lo strumento regolamentare. Infatti, il successivo articolo 6 autorizza ilPag. 111Governo a dare attuazione alle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato C con uno o più regolamenti di delegificazione, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli schemi di regolamento dovranno poi essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro quaranta giorni dall'assegnazione.
Si ricorda, infine, che nella relazione illustrativa del disegno di legge, come risulta dall'integrazione presentata dal ministro per le politiche europee durante l'esame in Commissione, sono indicate le direttive da recepire in via amministrativa.
L'articolo 2 del disegno di legge contiene, come di consueto, i principi e criteri direttivi delle deleghe, mentre l'articolo 3 reca la delega al Governo per la disciplina sanzionatoria della violazione di disposizioni comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa. L'articolo 4 riguarda gli oneri per prestazioni e controlli e l'articolo 5 dispone interventi di riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie.
Durante l'esame in Commissione, è stato introdotto il nuovo capo II, che introduce due articoli nella legge n. 11 del 2005. Sulla base del parere espresso dalla Commissione bilancio, sono state infatti introdotte due nuove previsioni dirette a garantire al Parlamento un'informativa completa e tempestiva, rispettivamente, sulle sentenze e sulle procedure di contenzioso riguardanti l'Italia e le relative conseguenze finanziarie, e sui flussi finanziari con l'Unione europea.
Nell'ambito del capo III, l'articolo 7 del disegno di legge (Individuazione di principi fondamentali in particolari materie di competenza concorrente) contiene un'ulteriore novità di indubbio rilievo. Esso, infatti, è volto ad individuare i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome esercitano l'attività legislativa in talune materie di competenza concorrente (tutela e sicurezza del lavoro e tutela della salute), limitatamente al recepimento degli atti comunitari contemplati dal disegno di legge in esame.
Durante l'esame in Commissione, recependo così il parere formulato dalla Commissione giustizia, è stato soppresso il comma 3, concernente le professioni, in quanto la definizione dei principi fondamentali in tale materia sono già individuati dal decreto legislativo n. 30 del 2006.
Nonostante le novità introdotte dal provvedimento in esame, si osserva che al suo interno non vengono ancora utilizzati alcuni degli strumenti predisposti dall'articolo 9 della legge n. 11 del 2005. Infatti, nell'ambito del provvedimento non si rinvengono, tra l'altro, le disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea, nonché quelle dirette a dare attuazione a decisioni o decisioni quadro adottate in base all'articolo 34 del Trattato sull'Unione europea, nell'ambito del terzo pilastro. A quest'ultimo riguardo si segnala che risultano adottate dall'Unione europea alcune decisioni quadro rilevanti, quali ad esempio le decisioni quadro 2005/212/GAI, in materia di confisca dei proventi di reato, e 2005/214/GAI, concernente il principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie.
Al capo IV, relativo a misure specifiche di adempimento, l'articolo 8 reca i principi e criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva 2005/14/CE, concernente l'assicurazione della responsabilità civile. Poiché, tuttavia, la delega per il recepimento, che scadrà il 23 agosto 2007, è stata già conferita con la legge comunitaria 2005, durante l'esame in Commissione la norma è stata riformulata nel senso di riferirla più correttamente alla legge n. 29 del 2006. Sempre durante l'esame in Commissione, sono stati introdotti due nuovi articoli che, recependo il parere della I Commissione, dettano criteri e misure specifiche per il recepimento delle direttive 2005/71/CE e 2005/85/CE relative, rispettivamente, alla procedura per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica (articolo 8-bis) prevedendo che la domanda di ammissione possa essere accettata anche quandoPag. 112il cittadino del paese terzo si trovi già in Italia, e alle procedure ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (articolo 8-ter).
È stato viceversa soppresso, con l'accoglimento di un emendamento del Governo, l'articolo 9 in tema di disciplina della titolarità delle farmacie. Oltre a destare alcune perplessità circa l'effettiva rispondenza della norma alle direttive comunitarie, l'articolo in esame insisteva infatti sulla medesima disciplina già oggetto dell'articolo 5 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, in corso di conversione.
Il capo reca, altresì, diverse disposizioni di attuazione diretta di direttive comunitarie, tra i quali l'articolo 10 in materia di diritti acquisiti per l'esercizio della professione di odontoiatra e l'articolo 13, comma 1, lettera a), in materia di prodotti fitosanitari; nonché vari articoli volti a dare esecuzione, ovvero a consentire l'effettiva attuazione nel nostro ordinamento di alcune disposizioni di regolamenti comunitari. In particolare, si ricorda l'articolo 14, modificato per recepire il parere della XIII Commissione, che contiene criteri direttivi per le modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, in materia di immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari; l'articolo 16, che reca disposizioni per la tutela dei consumatori, e l'articolo 17, anch'esso modificato per recepire il parere della XIII Commissione, che interviene nel settore delle comunicazioni periodiche all'AGEA in materia di produzione di olio di oliva.
È stata inoltre aggiunta la disposizione di cui al nuovo articolo 15-bis che, in applicazione della direttiva 2001/77/CE, relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, è diretta a risolvere una situazione che vede l'Italia colpita da una procedura di infrazione, anche se è emersa la necessità di un approfondimento sulle modalità del ripristino della norma comunitaria.
È stato, invece, soppresso l'articolo 15 del disegno di legge, recante disposizioni in materia di alimenti per animali, recependo il parere della Commissione giustizia, che ha rilevato l'assenza dei principi e criteri direttivi prescritti dall'articolo 76, comma 2, della Costituzione, essendo espressa in tale articolo una mera finalità.
Nell'ambito del capo in esame, peraltro, vi sono alcune norme che non sembrano direttamente finalizzate a dare attuazione ad atti ovvero ad obblighi comunitari. Tra questi, si segnalano l'articolo 11, finalizzato ad introdurre sanzioni per la violazione delle disposizioni in materia di tecniche di classificazione, e l'articolo 13, comma 1, lettera b), volto ad aumentare il numero degli esperti di cui può avvalersi la commissione consultiva di controllo per l'immissione in commercio di prodotti fitosanitari, disciplinata dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 194 del 1995. Tale disposizione non è stata peraltro modificata durante l'esame in Commissione. Desta, inoltre, qualche perplessità circa l'effettiva rispondenza alle direttive comunitarie la previsione di cui all'articolo 12, peraltro non modificato in Commissione, che modifica l'articolo 7 del decreto legislativo n. 174 del 2000, riguardante il rilascio dell'autorizzazione all'immissione sul mercato e l'utilizzazione dei biocidi. È pertanto opportuno un ulteriore approfondimento al riguardo.
È stato invece soppresso, durante l'esame in Commissione, accogliendo una proposta emendativa del Governo, l'articolo 18, riguardante la trasformazione del Centro nazionale di informazione e documentazione europea (CIDE)...
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere...
ROSELLA OTTONE, Relatore sul disegno di legge n. 1042. Concludo, Presidente, chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia relazione.
PRESIDENTE. Onorevole relatore, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il relatore sul Doc. LXXXVII, n. 1, onorevole Gozi.
SANDRO GOZI, Relatore sul Doc. LXXXVII, n. 1. Signor Presidente, onorevole ministro e onorevoli colleghi, l'esame della Relazione annuale costituisce uno dei principali strumenti a disposizione del Parlamento per avere un confronto ad ampio raggio di politica europea con il Governo e soprattutto per affrontare le grandi priorità di politica europea nell'anno in corso e a venire.
Ritengo che sia proprio sulle priorità da affrontare nei prossimi mesi che dobbiamo questa sera concentrarci, anche in vista della bozza di risoluzione che abbiamo predisposto a grande maggioranza. Un confronto infatti appare quanto mai necessario in questo momento in cui l'Europa sta attraversando un periodo di grandissime difficoltà. Stiamo infatti sperimentando una vera e propria crisi di coerenza del progetto europeo e ritengo che l'Italia, riprendendo la sua tradizionale politica europeista e forte della grande esperienza e credibilità europea di molti membri dell'attuale Governo, debba attivarsi per rafforzare la democrazia europea e promuovere iniziative ed alleanze con tutti i paesi più favorevoli ad un approfondimento dell'integrazione politica, a cominciare dalla Germania.
Quindi, nell'immediato, è chiaro che è l'adozione di una dichiarazione politica del Consiglio europeo, prevista per il 25 marzo 2007 a Berlino, che dovrà rappresentare l'avvio di una nuova fase di riforma costituzionale da concludersi prima delle elezioni europee del 2009; elezioni che dovranno essere l'occasione per sottoporre la nuova soluzione istituzionale al giudizio dei cittadini europei.
A mio avviso, occorre mantenere una dinamica positiva al fine di verificare la possibilità di salvare il progetto di Trattato costituzionale oppure, se venisse constatata l'impossibilità di procedere in tal senso, di utilizzare le parti più innovative del Trattato come base di partenza e punto di riferimento per i futuri negoziati. Non possiamo certo limitarci nei mesi a venire ad aspettare la futura riforma istituzionale; dobbiamo favorire tutte le iniziative volte a realizzare solidarietà concrete in settori strategici come la sicurezza, la politica energetica o la ricerca. Dobbiamo poi rafforzare la governance economica e sociale della zona euro: è attorno all'eurogruppo che possiamo già oggi approfondire l'integrazione politica.
L'unione economica va però rafforzata; la scarsità di posizioni comuni della zona euro e la mancanza di obiettivi chiari sui problemi strategici mettono in difficoltà l'Europa nel mostrare la sua globale leadership economica.
Nell'immediato, l'Italia dovrebbe dunque adoperarsi per sviluppare il coordinamento delle politiche economiche e finanziarie, lanciare nuove iniziative in campo sociale, fiscale e societario, anche attraverso cooperazioni rafforzate, proporre una rappresentanza unitaria della zona euro a livello internazionale. In parallelo, la strategia di Lisbona deve progressivamente diventare il vero quadro strategico entro cui realizzare - è già stato iniziato - il programma di modernizzazione del nostro paese.
A tal fine, è fondamentale verificare se il piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, il cosiddetto PICO, adottato dal Governo precedente, richieda interventi di adeguamento o di aggiornamento. In vista della presentazione da parte del Governo del primo rapporto sull'attuazione del piano alla Commissione europea, previsto per il 15 ottobre, credo che sarà importante un dialogo tra Parlamento e Governo.
Per quanto riguarda la dimensione esterna, dobbiamo certamente procedere con convinzione sulla via dell'unificazione continentale, sostenendo l'ingresso della Bulgaria e della Romania a partire dal 1o gennaio 2007 e insistendo per una progressiva adesione all'Unione di tutti i paesi dei Balcani. Più in generale, per quanto riguarda la politica estera e di sicurezza comune, è chiaro che ogni giorno paghiamo un costo sempre più elevato a causa della «non Europa» a livello internazionale. Bisogna attivarsi subito, innanzitutto, in attesa di una riforma più profonda delle istituzioni, per migliorare la coerenza tra i vari strumenti di politicaPag. 114esterna dell'Unione, anche tra Unione e Stati membri, e per sfruttare pienamente tutto il potenziale della dimensione esterna delle varie politiche comuni (mercato interno, trasporti, ambiente, eccetera). Ciò vale in particolare nella politica di vicinato, che riveste una grandissima importanza per l'Italia, soprattutto nel Mediterraneo.
Nell'immediato, occorre sostenere gli sforzi del Governo volti a creare una Banca euromediterranea. Più in generale, dobbiamo avviare nuove politiche di sviluppo condivise anche attraverso istituzioni comuni, in cui i paesi mediterranei possano lavorare con pari dignità e responsabilità. Per quanto concerne invece lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è opportuno nell'immediato concentrarsi sul cosiddetto «pacchetto Frattini» e in particolare su priorità come l'approccio comune all'immigrazione, la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Va poi sostenuta la proposta di passare al voto a maggioranza per la cooperazione di polizia giudiziaria penale e l'immigrazione legale. Mantenere il diritto di veto, infatti, significa condannare l'Unione allargata alla paralisi e in definitiva negarne l'esistenza. Vi sono poi altre priorità settoriali, su cui non mi soffermo in questa sede, rinviando alla relazione.
Vorrei invece concludere sottolineando la necessità sempre più pressante di assicurare una partecipazione più efficace del nostro paese ai processi decisionali europei. Il miglioramento di tale partecipazione deve infatti costituire una delle questioni prioritarie da affrontare in questa legislatura, per tutelare meglio i nostri interessi nazionali e per assicurare un più alto grado di conformità dell'ordinamento nazionale a quello europeo. Le indicazioni che il ministro Bonino ha dato in occasione della sua audizione in Commissione vanno decisamente nella buona direzione. Credo che la credibilità e l'influenza dell'Italia in Europa dipendano anche dalla nostra capacità di dare un seguito tempestivo agli impegni assunti a livello comunitario.
L'attività di recepimento della normativa comunitaria è stata notevolmente influenzata dalle importanti innovazioni legislative apportate nel 2005. Tuttavia, il numero delle procedure di infrazione pendenti nei confronti dell'Italia rimane elevatissimo sia in valori assoluti sia in comparazione ad altri Stati membri. A tal fine, il Governo e il Parlamento dovrebbero valutare alcune nuove piste per migliorare il grado di adempimento, ad esempio riducendo i tempi previsti per la preparazione e l'approvazione della legge comunitaria ed organizzando una sessione comunitaria dei lavori parlamentari. È fondamentale compiere ulteriori passi in avanti in questa materia. Essere a favore della «massima Europa possibile», infatti, significa senza dubbio riportare l'Italia sul solco della sua tradizione europeista e riprendere un ruolo politico propositivo per la realizzazione dell'unione politica. Ma significa anche portare più Europa in Italia, dando così una spinta decisiva ad un ampio processo di riforma e innovazione, sempre più urgente innanzi alle sfide che l'Italia deve affrontare in questa legislatura.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
EMMA BONINO, Ministro delle politiche europee e del commercio internazionale. Mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Li Causi. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Onorevole ministro, onorevoli colleghi, siamo questa sera a discutere di legge comunitaria; norma importante contenente le classiche disposizioni per gli adempimenti degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea.
La legge comunitaria per il 2006 è la seconda dopo l'intervenuta riforma della cosiddetta legge La Pergola del 2005, che ha molto ampliato i contenuti della legge comunitaria in modo da adeguarla allePag. 115esigenze emerse soprattutto in seguito alle modifiche del Titolo V della Carta costituzionale. La legge in questione per il 2006 è complessa; tuttavia, desidero in questo mio intervento passare in rassegna in maniera sintetica alcuni punti salienti della stessa.
Dopo l'indicazione, come di consueto prevista all'articolo 1, della delega per l'attuazione delle direttive comunitarie (contenute negli allegati A e B), nei commi successivi sono indicate rilevanti disposizioni relative a particolari innovazioni introdotte già con le due ultime leggi comunitarie, ovvero quelle per il 2004 e per il 2005. In particolare, è dato obbligo di redigere la relazione tecnica sugli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione di determinate direttive che comportino conseguenze finanziarie, con il particolare pregio di non indicare specifiche direttive come avveniva nelle precedenti leggi comunitarie, ma estendendo l'obbligo a tutte. Inoltre, è previsto, al comma 4 dell'articolo 1 di tale disegno di legge, un doppio parere parlamentare a carico delle Commissioni nel caso in cui il Governo non si conformi all'obbligo, previsto dall'articolo 81 della Costituzione, di indicare, nell'ipotesi di introduzione di nuove spese, i mezzi con cui farvi fronte. Noi parlamentari dobbiamo essere soddisfatti di ciò. Infatti, rammento che il doppio parere è stato introdotto per contenere - mi si passi questa espressione - il Governo quando lo stesso non intende conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi dei decreti legislativi, cui ho accennato prima. In questi casi, il Governo è tenuto a ritrasmettere tutto alle Camere per il parere definitivo.
Da ultimo, per ciò che consiste la forma, devo segnalare, così come convenuto dagli uffici della Camera in sede di istruttoria legislativa, una novità e due lacune. La novità, introdotta al comma 6 dell'articolo 1, a mio modesto parere, è particolarmente rilevante ed è data dalla possibilità per il Governo di recepire entro tre anni le disposizioni attuative, eventualmente adottate dalla Commissione europea, relative alle direttive di cui sopra tramite l'uso dei regolamenti governativi ai sensi della ben nota legge n. 400 del 1988. Ciò è particolarmente importante perché ritengo che solo il Governo, e in particolare il ministro delle politiche europee, può avere il polso della situazione, monitorando il lavoro della Commissione europea, ed essere, grazie a questa previsione, organo agile e pronto al recepimento di tali norme di attuazione. Tutto ciò avviene sicuramente in modo più celere e qualitativamente più elevato di quanto non possa fare un intero ramo del Parlamento, se non proprio tutti e due i rami. Tra l'altro, la possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso regolamenti governativi era già prevista da ben 17 anni, ma non aveva mai trovato attuazione, soprattutto in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, che aveva generato non pochi problemi applicativi in merito ai limiti da porre alle singole potestà legislative.
Sempre molto importanti appaiono i procedimenti di semplificazione previsti dall'articolo 6. Procedimenti, questi, in materia di regolamenti governativi, di delegificazione e conseguenti pareri delle Commissioni competenti delle Camere, che risultano essere reintrodotti dopo lungo tempo solo dalla legge comunitaria per il 2005.
Per quanto attiene alle lacune, non posso non segnalare che nella legge comunitaria in questione non sono previste né la relazione al Parlamento sull'omissione di esercizio delle deleghe conferite, né l'informativa periodica a carico del Ministero delle politiche europee sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.
Un'altra grave lacuna - e concludo - pare rinvenirsi all'articolo 7 del disegno di legge in questione, volto ad individuare i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome possono attuare il diritto comunitario relativamente ai settori della sicurezza sul lavoro, della tutela della salute ed, infine, in materia di professioni. Nonostante le numerose novità testè ricordate, infatti, il contenuto del disegno di legge in esamePag. 116non sembra ancora rispondere a quanto stabilito dall'articolo 9 della cosiddetta legge La Pergola.
Sempre come segnalato dagli attenti uffici della Camera, all'interno del provvedimento non sono contenute le disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo delle regioni, previsto al quinto comma dell'articolo 117 della Costituzione.
Vorrei richiamare l'attenzione del Governo sempre sull'articolo 7 del disegno di legge comunitaria in esame, con particolare riferimento al comma 3, riguardante i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome possono attuare il diritto comunitario in materia di professioni. Ebbene, colleghi, signor ministro, i Popolari-Udeur hanno già presentato un emendamento soppressivo di tale comma 3, perché esso non precisa, come invece viene fatto negli altri due commi, che i principi fondamentali enunciati sono volti a garantire l'attuazione degli atti comunitari, di cui agli allegati alla legge comunitaria in materia di professioni. Inoltre, vengono in esso richiamati principi già contenuti nel decreto legislativo n. 30 del 2006.
Conseguentemente, con tale tipo di disposto, così come sottolineato dagli uffici del Servizio studi della Camera, la portata della norma stessa risulta essere molto ampia, di dubbia utilità, in quanto già prevista dal decreto legislativo appena citato. Peraltro, all'interno degli allegati alla legge comunitaria pare non siano previste direttive relative alla materia delle professioni, non comprendendo quindi il principio ispiratore della volontà di inserire tale previsione all'interno di detto articolo.
Per quanto attiene alle direttive previste negli allegati, i Popolari-Udeur sono favorevoli al recepimento della direttiva 2003/71 della Comunità europea, che disciplina il progetto da pubblicare per l'offerta pubblica e gli strumenti finanziari, il cui termine di recepimento era previsto per il 1o luglio 2005 e il cui dettato normativo, nonostante una legge apposita sulla tutela del risparmio (legge n. 262 del 2005), non si è ancora provveduto a recepire.
Concludo, Presidente, ministro, dichiarando che i Popolari-Udeur voteranno a favore del suddetto disegno di legge.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, signor ministro, anche noi intendiamo dare un contributo a questa discussione, anche se la legge comunitaria che viene sottoposta al nostro esame doveva e poteva essere migliore. Se dovessimo esprimere un punteggio su di essa, dovremmo darle un cinque o un sei, con una votazione ai limiti della sufficienza.
Non dimentichiamo che il presente disegno di legge comunitaria va a cozzare subito con uno dei limiti delle leggi nazionali. Il peccato originale va ricercato nella modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione che prevede, la clausola di cedevolezza, con la quale molte competenze sono state assegnate alle regioni medesime. Essendo venti le regioni, difficilmente riusciremo a far loro comprendere cosa debbono fare e dove sbagliano, andando a cozzare contro le leggi comunitarie.
Quell'errore si manifesta soprattutto in fase di applicazione della legge comunitaria.
Data l'ora tarda, affronterò rapidamente alcune questioni, al fine di fornire al signor ministro alcuni spunti utili. Vorrei infatti ricevere, nella sua replica, alcune risposte proprio rispetto alle osservazioni puntuali che cercherò di formulare.
Vorrei ricordare che, in campo energetico, una disposizione del provvedimento in esame sopprime la concessione dei cosiddetti certificati verdi relativi all'energia ricavata dalla frazione non biodegradabile dei rifiuti. Ciò ai fini di una corretta applicazione della direttiva 2001/77/CE, recepita con il decreto legislativo n. 387 del 2003, a sua volta oggetto di una prima attuazione ad opera del decreto ministerialePag. 1175 maggio 2006. Ciò comporterebbe due gravi problemi. Il primo è costituito dalla soppressione dei rifiuti non biodegradabili dalle fonti energetiche rinnovabili, che invece era la condizione appositamente prevista, per l'Italia, proprio dalla direttiva testè menzionata.
Il secondo problema riguarderebbe la disincentivazione dell'utilizzo dei rifiuti non biodegradabili quali fonti energetiche rinnovabili, i quali, al contrario, consentirebbero di soddisfare gli impegni assunti con la ratifica del Protocollo di Kyoto.
Nell'allegato contenuto nella direttiva 2001/77/CE, infatti, era stata inserita una nota che rendeva esplicita, per l'Italia, la necessità di considerare anche la quota non biodegradabile dei rifiuti al fine di raggiungere l'obiettivo nazionale di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, fissato al 25 per cento nel 2010.
Credo fortemente, inoltre, che la legge n. 409 del 1985 non possa avere efficacia retroattiva: pertanto, il cittadino iscritto ad una facoltà precedentemente all'entrata in vigore di un provvedimento che riordina la materia odontoiatrica dovrebbe poter svolgere tutte le attività consentite da tale diploma o laurea prima dell'introduzione di tali modifiche legislative. Mi domando, inoltre, chi sia l'autorità competente in grado di attestare il compimento dei cicli di studio di almeno tre anni.
Per quanto riguarda i prodotti fitosanitari, sono favorevole a norme maggiormente restrittive.
Nel campo delle trasfusioni, invece, bisognerebbe disciplinare anche quelle a domicilio, poiché non sono contemplate e, a mio avviso, si tratta di una lacuna notevole. Per quanto concerne il budget, sarebbe meglio essere più prudenti fino ad eventuali eccedenze negative definitive; riguardo al mercurio ed al fluoro, invece, vorrei osservare che dovrebbero essere contenuti a bassi livelli nei mangimi per gli animali, anche se il mercurio è presente in forma inorganica.
Se dovesse essere convertito in legge il cosiddetto decreto Bersani, ritengo che la nostra competitività, nonché soprattutto la reciprocità, verrebbero meno per numerose nostre imprese. Inoltre, ragionando a voce alta, vorrei osservare che, se si volesse individuare un caso splendido di bisogno dei cittadini che matura in anticipo rispetto sia a quanto il legislatore riesca a regolare, sia a quanto le opportunità tecnologiche maggiormente di moda intendano offrire, troveremmo nella rintracciabilità dei prodotti il nostro esempio.
A tale riguardo, con il regolamento della Comunità europea n. 178 del 2002, il cosiddetto «pacchetto igiene» ed una miriade di normative sugli OGM, sull'agricoltura biologica, sulle frodi alimentari, sulle acque minerali, sull'etichettatura e sulla rintracciabilità dei prodotti, la Commissione europea ed il legislatore italiano cercano di dare risposta al bisogno di sicurezza alimentare espresso dai consumatori.
Si tratta, infatti, di una sicurezza che è oggettivamente messa a rischio da due macrodinamiche. La prima è costituita dalla sempre più pressante spinta all'industrializzazione della produzione di beni alimentari e delle loro materie prime, mentre la seconda è rappresentata dalla distribuzione sull'intera superficie terrestre delle filiere attraverso le quali si passa dalla produzione primaria alla tavola dei cittadini. Il settore automobilistico e quello aerospaziale militare hanno ormai esperienza consolidata nella registrazione dei dati riguardanti ogni singolo pezzo, ogni singola attività, per rendere possibile il richiamo di numeri di serie con componenti difettose, il monitoraggio sull'idoneità degli operatori che lavorano sui singoli pezzi o la localizzazione in tempo reale di uomini, materiali e mezzi.
Nella produzione primaria vegetale e animale tutto è ancora molto incerto e sicuramente meno controllato, soprattutto a causa della dispersione e frammentazione territoriale delle produzioni. Anche la trasformazione alimentare, farmaceutica, cosmetica e la distribuzione dei relativi semilavorati e prodotti finiti non ha ancora raggiunto il grado di documentazione ormai consolidato nel settore meccanico o elettronico.Pag. 118
L'Europa è ad oggi l'area economica più attrezzata dal punto di vista legislativo in relazione alla sicurezza alimentare, avendo introdotto standard elevati sulle produzioni. Tuttavia, l'economia di mercato - quindi la concorrenza con altri blocchi economici e la progressiva trasformazione verso la comunità dei consumatori e meno dei produttori - innesca processi di decentramento produttivo e di dismissione che spingono l'import a gravare sempre di più sulla bilancia commerciale dei paesi membri.
In tale quadro di riferimento, è necessario perseguire sia una politica di elevati standard qualitativi e di sicurezza, sia una politica di controlli stringenti sui prodotti e semilavorati che provengono dai paesi membri con normative diverse e da aree extracomunitarie meno soggette a restrizioni.
Contestualmente alla complessa discussione in corso in diversi ambiti politico-istituzionali sui regolamenti da adottare per l'uso e per il commercio di prodotti considerati a rischio (biocidi, fitosanitari, confezionamento, coloranti per cosmetici), risulta opportuno introdurre un dispositivo di registrazione dei dati relativi a: chi usa i prodotti regolamentati e da regolamentare; quali prodotti, ingredienti e materie prime vengono usate; dove vengono usati, in quali prodotti e in che quantità; da dove proviene il prodotto, l'ingrediente o la materia prima utilizzata; dov'è destinato il prodotto finale.
Questi dati non sono semplicemente quelli già registrati per obbligo di legge e relativi alla tracciabilità interna, ma collegano automaticamente i vari attori della filiera, a partire dal produttore di agrofarmaci fino al punto di immissione di un prodotto sul mercato.
L'approccio preventivo e il dispositivo di tracciabilità automatica aggiungono la capacità di intervenire, mettendo gli organi preposti in grado di attivare la reazione: ritiri, richiami, controlli di filiera.
Alcuni enti si sono già mossi - ad esempio, le province autonome di Trento e Bolzano e la Lombardia - nella direzione di coordinare la gestione operativa del sistema di allerta, ma la mancanza di armonizzazione rende tali proposte efficaci solo in ambiti locali e non risponde alla realtà globalizzata e più a rischio. Questo è il peccato originale che, come vi dicevo, deriva dalla modifica del Titolo V della Costituzione!
Se lo Stato, attraverso i ministeri, vuole rendersi responsabile della sicurezza alimentare dei suoi cittadini, deve proseguire nel percorso intrapreso negli ultimi anni, con l'obiettivo del riordino e della semplificazione della normativa, non fermandosi alla definizione degli standard, ma costruendo un dispositivo informativo armonizzato e condiviso con il decentramento amministrativo, che ponga gli organismi competenti in grado di sapere dove o con chi intervenire.
La piattaforma di interscambio dei dati di rintracciabilità - il Global traceability data exchange - sarà quindi il momento saliente del quale dovrà occuparsi questa legge comunitaria.
Il divieto di immissione sul mercato di prodotti nocivi per l'uomo e l'obbligo dell'autocontrollo sono da affiancare ad un sistema informativo che minimizzi i costi economici e sociali di eventi avversi, così da trasmettere al cittadino la realtà di una amministrazione pubblica consapevole, presente, organizzata ed efficace sul fronte della sicurezza alimentare dei propri cittadini.
Per concludere, vorrei svolgere altre due riflessioni. La prima riguarda la discussione che abbiamo già svolto sull'indulto: la Corte di Strasburgo ha risparmiato all'Italia, per un solo voto di scarto (9 a 8), l'onta della condanna per tortura, proprio perché non applichiamo nessuna delle leggi che l'Europa indica.
L'ultima considerazione riguarda le direttive 75/862/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, che prevedevano che le attività di formazione dei medici specialisti, a tempo pieno o ridotto, dovessero essere adeguatamente remunerate. Tutti gli Stati membri dovevano adeguarsi a tale disposizione entro il termine ultimo del 31 dicembre 1982. La nostra legislazione lo ha fattoPag. 119soltanto dall'anno accademico 1991-1992, lasciando fuori tutto il periodo dal 1981-1982.
Questo buco normativo, che riguarda il riconoscimento dell'equipollenza del titolo di specializzazione per l'assegnazione di borse di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione dal 1982 al 1991 deve essere per forza colmato, perché, altrimenti, è inutile che parliamo di Europa e di integrazione in Europa. Qualcuno dice che bisognerebbe estendere l'Europa anche ai paesi balcanici, quali la Bulgaria e la Romania. Non ci siamo ancora integrati ai primi 15 e poi 25 paesi, faremo ancora più fatica ad andare oltre! Mi sembra che il locomotore stia perdendo molti vagoni, se non cerchiamo di rendere concreta la nostra azione e se lasciamo che le leggi comunitarie non siano applicate.
Con queste considerazioni, che ho svolto in modo abbastanza disordinato, stringendo i tempi e saltando molte pagine del mio intervento, ho cercato di esprimere il concetto del gruppo che rappresento. Aspettiamo le considerazioni del ministro per decidere se votare a favore o contro o se ci asterremo rispetto a questa legge comunitaria. Ci auguriamo che le assicurazioni che ci fornirà il ministro saranno tali e tante da poterci permettere di votare favorevolmente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianni Farina. Ne ha facoltà.
GIANNI FARINA. Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il disegno di legge del Governo che fissa gli adempimenti e gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea mi sembra, come efficacemente affermato, d'altronde, dalla relatrice, onorevole Rosella Ottone, il momento principale della partecipazione dell'Italia alla fase attuativa della normativa europea.
Il recepimento delle direttive comunitarie, non solo per il nostro paese, è stato e rimane, in parte, una pagina dolorosa e incompiuta del lungo processo di crescita di un nuovo concetto di cittadinanza in cui si riconosce l'insieme dei cittadini dell'Unione, responsabilmente coscienti di dover porre in atto e rispettare regole condivise e comuni.
Va pure detto che, come è stato affermato dalla relatrice, l'Italia è passata da un recepimento dell'80 per cento nel 1990 all'attuale 97 per cento. Mi sembra un risultato che va sottolineato e che ci pone, se non in prima fila, fra i grandi paesi europei, ove non sono mancate, in settori importanti della vita sociale e politica, inadempienze anche gravi, che hanno penalizzato spesso drammaticamente milioni di nostri connazionali che vivono e operano nell'Unione europea. Sono infrazioni e inadempienze nel campo della tutela e dell'assistenza, dei diritti previdenziali e pensionistici, del libero esercizio delle professioni, del riconoscimento della pari dignità culturale e della libera circolazione degli uomini e delle idee. Infrazioni e inadempienze per cui è stato spesso necessario il ricorso - e non solo da parte dell'Italia - alla Corte di giustizia della Comunità europea del Lussemburgo.
Credo che la Carta dei diritti fondamentali, che fu approvata dal Consiglio dei ministri a Nizza, inserita poi nel Trattato costituzionale dell'Unione europea, abbia rappresentato, a mio modo di vedere, a suo tempo, un ulteriore passo in avanti nell'accidentato percorso di armonizzazione di leggi e normative comunitarie.
Alla luce di tali considerazioni e tenendo presente le enormi difficoltà che i cittadini comunitari incontrano nel loro vivere quotidiano, nell'interpretare norme, regolamenti e direttive dalla cui applicazione o meno dipendono spesso progetti e realizzazioni di vitale importanza per tanti cittadini comunitari, mi appare di straordinaria importanza l'articolo 18 del disegno di legge in discussione riguardante le forme giuridiche e le nuove modalità operative del Centro nazionale di informazione e documentazione europea (CIDE).
Il CIDE fu istituito con legge 23 giugno 2000, n. 178 e ad esso furono affidati compiti di peculiare importanza per tutti i cittadini europei: la realizzazione di programmi di diffusione dell'informazionePag. 120e della documentazione europea, anche attraverso sportelli decentrati per cittadini e per determinate categorie di utenti (come stabilisce l'articolato); la formazione del personale addetto; il coordinamento delle attività, anche stipulando convenzioni specifiche con altri centri nell'insieme dei paesi europei; un contratto concluso tra la Repubblica italiana e la Comunità europea nella forma detta, a suo tempo, Gruppo europeo di interesse economico (GEIE).
Analogamente, è avvenuto con altri paesi europei dotati di centri funzionanti. Ciò è accaduto a Parigi, a Lisbona e altrove. Il regolamento CEE 2137/85 intese, in tal modo, adottare un particolare strumento giuridico volto a incoraggiare e promuovere la cooperazione transfrontaliera, che preferisco definire modernamente transnazionale.
Lo scopo del GEIE, come afferma il testo di legge attualmente in vigore, è quello di facilitare e sviluppare le attività economiche dei suoi membri: penso alle piccole e medie imprese, alle nuove macroeconomie (questo mi sembra molto interessante) andate formandosi in precise grandi regioni transnazionali. Per quanto riguarda l'Italia del nord, penso a regioni come il Piemonte, la Liguria; penso alla Provence-C|$$|Axote d'Azur, al Rh|$$|Axone-Alp, un insieme di regioni ove lavorano 20 milioni di cittadini che ormai vivono anche coscientemente un destino ritenuto comune.
Ecco spiegata la peculiare importanza dei gruppi europei di interesse economico fino alla naturale scadenza del contratto e, in seguito, delle forme giuridiche e delle modalità che il Governo vorrà stabilire in rapporto all'intesa da stipulare con la Commissione europea. Penso alle migliaia di imprese italiane in Europa ed al supporto informativo e formativo di cui esse hanno bisogno per vincere la sfida della modernità.
Alla luce di tali elementi, l'articolo 18 attribuisce al Governo una forte responsabilità: si tratta di stipulare una nuova intesa con la Commissione europea, di definire la nuova forma giuridica e le modalità operative del CIDE. Al riguardo, si rileva che l'articolo in esame non si coordina con la citata legge n. 178 del 2000, non indica con quale atto il Governo dovrà successivamente provvedere a definire forme giuridiche e modalità operative del CIDE né prevede criteri al riguardo. Io penso che - com'è scritto, d'altronde, nel testo - andrebbe valutata l'opportunità di riformulare la norma, eventualmente in un provvedimento a sé stante (una novella alla legge n. 178 del 2000), individuando in modo più preciso gli elementi indicati in precedenza. In definitiva, si tratta di dare concreta attuazione alle indicazioni dell'articolo 18.
Per questo motivo, nel sottolineare la straordinaria importanza del testo, credo che il mio voto sul provvedimento in esame sarà favorevole.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castiello. Ne ha facoltà.
GIUSEPPINA CASTIELLO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, l'esame del disegno di legge comunitaria rappresenta sicuramente il momento più alto della partecipazione del Parlamento alla fase discendente della formazione della normativa comunitaria, lo strumento privilegiato per il sistematico recepimento delle direttive in scadenza e di quelle scadute. Sottolineo che siamo di fronte ad un atto che, negli ultimi anni, ha permesso di snellire le procedure ed i tempi di attuazione delle norme europee. Esso ha consentito, altresì, di accelerare i tempi di modifica di norme interne in contrasto con le disposizioni comunitarie.
Come abbiamo ascoltato già dai relatori, la struttura ed i meccanismi della legge comunitaria, originariamente previsti dalla legge La Pergola del 1989, sono stati modificati e razionalizzati dalla legge n. 11 del 2005. Si è trattato di una legge a cui hanno lavorato congiuntamente tutte le forze politiche, arrivando alla stesura di una nuova disciplina organica della partecipazione dell'Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria.
La modifica dell'impianto di partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitarioPag. 121si era resa necessaria, d'altro canto, non soltanto per la dinamicità dei cambiamenti determinatisi nel contesto europeo (allargamento degli Stati membri e nuova Costituzione europea), ma anche per le modifiche introdotte nel Titolo V della nostra Costituzione. Queste ultime, in particolare, hanno imposto la necessità di assicurare al Parlamento ed alle regioni un'informazione più tempestiva e qualificata relativamente ai progetti degli atti dell'Unione europea, in modo da potere intervenire in maniera tempestiva nell'ambito del processo decisionale comunitario.
Desidero sottolineare che i problemi e le vicende che hanno contraddistinto l'approvazione delle ultime leggi comunitarie hanno da tempo evidenziato la necessità di un perfezionamento. Tale perfezionamento si è avuto per merito di un provvedimento del Governo precedente, il Governo Berlusconi, che ha provveduto ad introdurre i necessari aggiustamenti ai meccanismi di trasposizione del diritto comunitario ed a meglio regolamentare i rapporti tra i diversi soggetti che partecipano alla definizione e all'attuazione del diritto comunitario.
Le modifiche introdotte hanno permesso una maggiore partecipazione parlamentare degli altri soggetti interessati alla parte ascendente di formazione del diritto comunitario. L'intervento normativo, quindi, si è reso necessario ed è stato circoscritto specificando che la legge comunitaria annuale deve recare ora esclusivamente disposizioni modificative o abrogative di disposizioni vigenti in contrasto con gli obblighi comunitari, disposizioni modificative o abrogative di vigenti norme statali oggetto di procedure di infrazione che possono essere avviate dalla Commissione europea contro l'Italia, nonché disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive.
Per quanto riguarda il merito del nuovo disegno di legge che stiamo esaminando, voglio sottolineare che il provvedimento è stato costituito ed organizzato secondo le linee portanti già sperimentate nelle precedenti leggi comunitarie. Nella relazione che accompagna il provvedimento, il Governo ci ha riferito dello stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario ed anche dello stato di eventuali procedure d'infrazione. Come, difatti, è emerso ed emerge dalla relazione che accompagna il provvedimento, purtroppo, il nostro paese, nonostante si attesti su una media di attuazione delle direttive pari al 97,4 per cento, si colloca attualmente all'ultimo posto nelle graduatorie dei 25 Stati membri. Infatti, nella relazione che accompagna il provvedimento il Governo ci riferisce che risultano aperte contro l'Italia ben 247 procedure d'infrazione, di cui 190 per violazione del diritto comunitario; e la maggior parte di tali infrazioni sono atti che riguardano materie importanti di cui abbiamo discusso anche in Commissione, quali l'ambiente, i trasporti, l'economia, le finanze e la sanità. È importante ricordare, al riguardo, come la Commissione europea, nella strategia per il mercato interno 2003-2006, chiedesse ai vari Stati membri una riduzione del numero di infrazioni e, quindi, delle procedure d'infrazione per ciò che riguardava il mercato interno di almeno il 50 per cento entro il 2006. Ebbene, dai dati che abbiamo in esame risulta che soltanto cinque Stati membri, tra i quali la Francia, il Belgio, l'Austria, l'Irlanda e i Paesi Bassi, sono riusciti a ridurre, negli ultimi tre anni, il numero di infrazioni. Se si considera il numero complessivo degli Stati membri, ci si rende conto che comunque è sicuramente aumentato il numero di infrazioni e degli Stati che non riescono a raggiungere tale obiettivo.
Vorrei rilevare come nella relazione che accompagna il provvedimento in esame si evidenzino alcuni elementi che riguardano l'attuazione delle direttive da parte delle regioni, in linea con quanto previsto della legge n. 11 del 2005. Sono dati che vengono comunicati normalmente al dipartimento per le politiche comunitarie. Vorrei, per quanto concerne il lavoro svolto anche in Commissione, evidenziare in quest'aula, come da sempre accade in Parlamento, che abbiamo lavoratoPag. 122su tale provvedimento in un quadro di condivisione e di reciproco ascolto. Ho trovato, sia nelle parole dei relatori sia in quelle del ministro, in sede di discussione del provvedimento, un'onestà nel descrivere la situazione del nostro paese rispetto ad un quadro di attenzione e di adeguamento alla normativa europea che presenta alcuni ritardi. Alcuni ritardi possono sicuramente essere recuperati dalla legge comunitaria, ma sempre con alcuni limiti, in ragione del carattere di tale legge.
L'ultima preoccupazione che voglio evidenziare riguarda un aspetto che è stato già registrato nel corso delle fasi di approvazione delle precedenti leggi comunitarie. Mi riferisco al fatto che non sono ancora disponibili gli elenchi e i dati degli atti normativi delle regioni e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie. Riteniamo che il Governo potrebbe richiedere tali dati in sede di Conferenza Stato-regioni. Sono dati essenziali al fine di evitare un'imputazione di responsabilità che ricadrebbe, poi, in capo allo Stato italiano in sede di valutazione e di eventuale esercizio del potere sostitutivo.
Per quanto concerne l'aspetto politico di questa legge, approfittando della presenza in aula del ministro, voglio ricordare - credo che non sia sfuggito a nessuno, né a chi fa politica, né ai nostri concittadini - come l'Europa stia attraversando una situazione che definire di difficoltà ci sembra limitativo, perché non dà il senso del quadro complessivo; infatti, basti ricordare, ascoltare o leggere dichiarazioni e articoli sulla stampa italiana ed estera per capire che esiste un elemento di disagio e di difficoltà.
Noi abbiamo ascoltato, anche negli ultimi mesi, le dichiarazioni da parte di esponenti di questa maggioranza e del Governo; però, non abbiamo ancora capito, non ci è ancora chiaro quale sia la posizione del Governo su questo tema. Forse ciò interessa poco dal punto di vista del dibattito, però riteniamo che l'esecutivo debba pronunciare delle parole chiare per quanto riguarda il contesto dell'Italia in ambito europeo. Ci rendiamo conto che ci sono sicuramente delle difficoltà, ma queste non possono giustificare l'attribuzione della questione a dichiarazioni sparigliate, contraddittorie e molto spesso spontanee che giungono dai banchi della maggioranza. Quindi, riteniamo che su questo tema il Governo, nella sua complessità e unità, ma anche nella sua divisione, debba rendere note le iniziative che intende assumere nel contesto europeo.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIUSEPPINA CASTIELLO. Per quanto riguarda il quadro finanziario 2007-2013, emerge una situazione di maggior condivisione anche da parte dei nostri parlamentari europei. Anche in questo caso, sarebbe opportuno che l'esecutivo evidenziasse le linee lungo le quali intende muoversi, sapendo che quando si parla del quadro finanziario dell'Unione europea si parla di numeri, e questi sono sicuramente frutto ed espressione di politiche ben precise e di scelte chiare.
Per quanto riguarda le grandi scelte sulle quali si è costruita l'Europa anche dal punto di vista del quadro finanziario, ricordiamo quelle della solidarietà, del riequilibrio, della coesione e della sussidiarietà; quindi, vorremmo sapere se...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Castiello!
GIUSEPPINA CASTIELLO. Signor Presidente, prendo qualche minuto del tempo che spetta al collega Migliori, che potrebbe rinunciare...
PRESIDENTE. Conferma, collega Migliori?
RICCARDO MIGLIORI. Confermo!
GIUSEPPINA CASTIELLO. Vorremmo sapere, dunque, se nell'azione dell'Italia in ordine alla costruzione del quadro finanziario persistono ancora queste linee fondanti.
Sulla strategia di Lisbona, di cui abbiamo discusso ampiamente in Commissione,Pag. 123e che possiamo condividere, dobbiamo tener presente un dato dal quale non possiamo sfuggire, cioè che c'è un fortissimo ritardo nell'azione della stessa.
Vorrei concludere, ponendo l'attenzione su quello che sta avvenendo in Europa e che riteniamo debba sicuramente destare la nostra preoccupazione ed attenzione. Per questo, vorremmo sapere - rivolgo un invito al ministro affinché lo faccia anche attraverso il Governo - che cosa rappresenta oggi l'Europa per l'Italia; infatti, è necessario sapere se si tratta di un pericolo, di una disgrazia, di un problema oppure se si tratta di una scelta. Noi di Alleanza Nazionale siamo qui per contribuire a migliorarla; quindi, se si tratta di un'opportunità - come noi riteniamo debba essere l'Europa -, vogliamo realizzarla insieme.
Riteniamo che la discussione sul disegno di legge comunitaria non possa ridursi al conteggio degli adeguamenti realizzati nel corso del 2006, ma debba rappresentare l'occasione per poter operare un rilancio o, al limite, per realizzare talune verifiche che, però, debbono tendere a migliorare e ad aggiornare un percorso che deve sicuramente portare a più Europa e non a meno Europa (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Falomi. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, colleghi, i due documenti al nostro esame - la legge comunitaria 2006 e la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea per l'anno 2005 - avrebbero dovuto essere approvati a conclusione della precedente legislatura dal Governo che allora ne dispose la redazione. Le elezioni politiche generali per il rinnovo delle Camere hanno ulteriormente aggravato il ritardo.
La nascita del Governo Prodi e di una nuova maggioranza, che intende politicamente e programmaticamente caratterizzarsi con una chiara discontinuità rispetto agli indirizzi e alle scelte del Governo di centrodestra, impone che non ci si limiti ad una semplice presa d'atto tecnica dei provvedimenti alla nostra attenzione. Credo che al nuovo Parlamento spetti, pur negli spazi ristretti che gli sono concessi, di introdurre quei mutamenti che diano chiaro il senso di una modificazione della direzione di marcia che occorre realizzare sulle politiche europee. Ciò nell'immediato è possibile, per quanto riguarda la legge comunitaria, attraverso l'approvazione degli emendamenti che il Governo, le Commissioni di merito e la XIV Commissione propongono a questo ramo del Parlamento.
Molti degli emendamenti approvati dalla XIV Commissione evidenziano un tema di grande rilievo politico, ossia il ruolo del nostro Parlamento nel meccanismo di recepimento delle decisioni assunte in sede europea. La questione è stata affrontata implicitamente da alcuni emendamenti che propongono di spostare nell'allegato B alcune direttive riguardanti materie particolarmente significative, in modo che i decreti legislativi che il Governo dovrà adottare passino prima della loro definitiva approvazione al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti.
Tuttavia, questa modalità di coinvolgimento del Parlamento non colma, a parere del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, quel gap di legittimazione democratica che caratterizza ancora il processo decisionale europeo.
La rilevanza crescente che le decisioni prese in sede europea assume per la vita degli uomini e delle donne che vivono in ognuno degli Stati membri impone di dare a queste decisioni una legittimità democratica che abbia perlomeno la stessa forza di quella conquistata nel secondo dopoguerra dagli Stati nazionali in Europa.
La sottrazione di competenze agli Stati nazionali senza che ad essa si accompagni un processo di democratizzazione crescente delle istituzioni europee può rischiare di dare al processo di costruzione dell'Europa una funzione di contenimento, o peggio di svuotamento di quella democrazia che ha consentito in molti Stati europei l'inclusione di grandi masse popolari,Pag. 124escluse non solo dai regimi autoritari della prima metà del Novecento, ma anche delle democrazie liberali di inizio secolo.
Non c'è dubbio che l'elezione diretta del Parlamento europeo ed il ruolo ad esso assegnato nel meccanismo di scelta del Presidente e dei singoli membri della Commissione europea costituiscono significativi passi in avanti verso l'Europa a forte legittimità democratica. Tuttavia, permangono nei meccanismi decisionali elementi di insufficienza democratica che, a nostro parere, debbono essere corretti.
Sotto questo profilo, la partecipazione di Parlamenti nazionali nella cosiddetta fase ascendente del processo decisionale comunitario costituisce una tappa importante della democratizzazione dell'Europa. Non si tratta di ratificare a livello nazionale decisioni prese a Bruxelles, ma di partecipare preventivamente alla definizione di quelle decisioni. Occorre, tuttavia, passare dal riconoscimento di un diritto, ormai sancito dalle normative comunitarie e italiane, all'esercizio di quel diritto. Il Parlamento italiano manca ancora di un'esperienza concreta su questo terreno.
Noi crediamo che, da parte del Governo, debba essere compiuto ogni sforzo perché il Parlamento sia messo nelle migliori condizioni per esercitare i suoi diritti. Ciò significa che deve essere garantita al Parlamento una costante e tempestiva informazione sulle iniziative adottate dal Governo nella fase a monte del processo decisionale, che il Parlamento deve poter intervenire in merito al programma legislativo della Commissione europea e agli strumenti di programmazione delle istituzioni europee, che deve essere sistematica l'informazione sulle procedure d'infrazione, sulle sentenze e sui precedenti giurisdizionali riguardanti l'Italia. Anche nella fase a valle, però, occorrono cambiamenti, almeno fino a che non andrà a regime la fase a monte del processo decisionale europeo.
Da questo punto di vista, la legge comunitaria in esame riproduce i limiti e l'inadeguatezza della riforma varata un anno e mezzo fa dal Governo di centrodestra. L'urgenza di recepire tempestivamente, attraverso leggi delega, le direttive europee nel nostro ordinamento non può farci ignorare che le materie da esse trattate hanno complessità politiche e tecniche molto diversificate.
Ci sono materie altamente tecniche che giustificano il recepimento nella legislazione italiana attraverso deleghe legislative, di attribuzione diretta al Governo o da attuare in via amministrativa, ma vi sono anche materie che, ferma restando la necessità di evitare ritardi che espongano il nostro paese a procedure di infrazione e alle relative sanzioni, hanno bisogno di un ruolo più forte e più stringente del Parlamento.
Su queste materie lo strumento della delega legislativa deve essere usato con parsimonia e, nel caso in cui lo si voglia usare, i criteri direttivi per l'esercizio della delega da parte del Governo non possono essere erga omnes, ma devono essere specificamente tarati sulla materia trattata, in modo da rendere più chiara la delega al Governo.
In questo senso, è del tutto condivisibile la decisione della XIV Commissione di accogliere e approvare l'emendamento proposto dalla Commissione affari costituzionali relativo alle procedure di richiesta del diritto d'asilo per i migranti. Ho seguito personalmente il caso dei profughi sbarcati in Italia dopo il respingimento illegale della nave tedesca Cap Anamur. Non so quanti di loro avessero formalmente il diritto di detenere dallo Stato italiano asilo politico e non so se il loro ricorso contro il decreto di espulsione fosse fondato. Quel che è certo è che si è impedito loro, in violazione della Costituzione e della normativa europea in materia, di poter esercitare quel diritto. Dal centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria, i migranti della Cap Anamur sono stati immediatamente buttati fuori dal nostro paese, prima ancora che i loro ricorsi potessero essere esaminati. Quando il magistrato ha riconosciuto fondate alcune delle loro richieste era ormai troppo tardi: un caso evidente di diritto negato.Pag. 125
Casi di questo genere si ripetono a migliaia e sono la manifestazione più clamorosa - io penso - di quella cultura dell'intolleranza, di quell'idea dell'Europa fortezza, di quella politica securitaria che ha dominato, nella legislatura trascorsa, la politica di immigrazione del centrodestra.
Credo che avere stabilito, con l'emendamento della XIV Commissione, tra i criteri direttivi per l'esercizio della delega relativa alle direttive europee in materia di rifugiati, che al richiedente asilo deve essere consentito di rimanere sul territorio nazionale in attesa di una decisione del giudice, costituisca un piccolo passo nella riconquista di quella civiltà giuridica che riconosce e tutela i diritti fondamentali di ogni essere umano. È del tutto evidente che un tale indirizzo politico non sopporta l'idea che rimanere sul territorio nazionale significhi richiedere i migranti nei CPT. Occorre separare le politiche dell'immigrazione e dell'asilo dalle questioni di sicurezza e giustizia penale. Nessuna persona può essere privata della libertà personale per fatti che costituiscono non reati penali ma, al massimo, violazioni amministrative.
Per quanto riguarda il secondo dei documenti all'esame di questa Assemblea, la Relazione annuale relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2005, l'intervento del Parlamento non può essere, ovviamente, di tipo emendativo. È vero che il Governo avrebbe potuto predisporre e presentare una nuova relazione. Tuttavia, ciò si sarebbe tradotto in un allungamento dei tempi ed in conseguenti ulteriori ritardi. Per questo, credo che si sia correttamente scelta la strada di una risoluzione parlamentare alla quale affidare il compito di fissare indirizzi e orientamenti su cui impegnare l'azione del Governo rispetto ai principali temi e alle proposte in discussione nelle sedi europee.
Il nuovo focolaio di guerra e la violenza accesasi lungo la frontiera tra Israele e Libano porta drammaticamente in primo piano il tema della politica estera e di sicurezza comune dell'Europa. È del tutto evidente che occorre uscire dalla inconsistenza dell'iniziativa europea sul conflitto israelo-palestinese lamentata dal Presidente della Repubblica, Napolitano, e dal Presidente della Camera, Bertinotti. La divisione prodottasi in Europa sull'appoggio politico e militare all'invasione americana dell'Iraq ha reso ancora più flebile di quanto già non fosse il ruolo europeo nel conflitto mediorientale. Per uscire da questa debolezza, occorre che l'Europa riconosca fino in fondo l'infondatezza di quella idea neoconservatrice che assegnava all'intervento in Iraq il ruolo di catalizzatore di un processo di pacificazione e democratizzazione di tutto il Medio Oriente.
I focolai di guerra si sono moltiplicati, la violenza del terrorismo fondamentalista ha trovato nuovi territori in cui manifestare la sua cupa politica di morte e cresce, ogni giorno che passa, il tragico elenco delle vittime civili, uomini, donne, anziani e bambini, che, a dispetto di quanto ci raccontano i grandi mezzi di informazione, l'intelligenza delle bombe non riesce a salvare.
L'Europa può e deve fermare quella strage, deve dire più alto e più forte quello che il Parlamento italiano ha già detto con la mozione parlamentare approvata, qualche giorno fa, dalla Camera dei deputati. L'Europa deve far vivere con più determinazione e con più iniziativa, anche mettendo in tensione le relazioni euroatlantiche, l'obiettivo dei due popoli-due Stati come fulcro fondamentale di una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese, sulla base di un rigoroso rispetto della legalità internazionale e di tutte le risoluzioni dell'ONU.
Perseguire seriamente questo obiettivo significa non dialogare con una sola parte. È del tutto evidente che, senza il contributo di tutte le parti coinvolte nel conflitto, non vi sarà soluzione alla crisi. Non può esistere un piano di pace imposto unilateralmente da una delle parti in causa. Per questo occorre, noi pensiamo, riconvocare una Conferenza internazionale sul Medio Oriente con tutte le parti coinvolte, in modo da evitare che si dia legittimità soltanto alle scelte unilaterali compiute attraverso la forza.Pag. 126
Il secondo grande tema su cui si occorre fissare l'attenzione del Governo e del Parlamento è quello del rilancio del processo costituzionale europeo, dopo la pesante battuta d'arresto provocata dalla vittoria del «no» nei referendum in Francia e in Olanda. Noi pensiamo che non si possa andare avanti facendo finta di niente. Occorre mettere in moto un vero processo di partecipazione popolare alla definizione del nuovo testo costituzionale. Non può bastare un «sì» distratto del Parlamento per risolvere il grave deficit di partecipazione, che ha contraddistinto il «sì» italiano e quello di altri Parlamenti europei. È necessario un nuovo spirito costituente. Le elezioni europee del 2009 possono costituire un'occasione importante per sottoporre a referendum popolare un nuovo testo di Costituzione europea, da costruire attraverso il coinvolgimento di tutte le istituzioni democratiche della società civile.
Quanto al processo di allargamento dell'Unione europea - il terzo grande tema in agenda - sosteniamo che esso debba avvenire in un quadro di garanzie e di standard sociali omogenei, di promozione dei diritti sociali, di lotta all'esclusione. Allargare l'Unione europea non può significare una concorrenza al ribasso che mette in discussione il livello dei diritti e delle tutele conquistate nel secondo dopoguerra. La vicenda della direttiva Bolkestein è al riguardo illuminante. All'interno di questo quadro l'ingresso di Romania e Bulgaria costituisce una tappa importante del processo di integrazione, che deve essere accelerato anche per quanto riguarda i Balcani occidentali, anche nella prospettiva di favorire processi che prevengano il risorgere di conflitti e rispondano all'esigenza ineludibile di pacificazione.
Anche l'adesione della Turchia, che noi sosteniamo, deve costituire l'occasione per affermare quelle riforme in campo politico, dei diritti umani e delle minoranze - di tutte le minoranze, compresa quella curda -, che rendano l'ingresso della Turchia nell'Unione europea pienamente coerente con i criteri di Copenaghen.
L'ultimo grande tema sul quale vorrei soffermarmi è quello del quadro finanziario europeo. Sappiamo tutti come si è conclusa l'ultima trattativa in materia. Si tratta di una conclusione insoddisfacente. La strategia di Lisbona come strategia della crescita e della coesione sociale in Europa non può essere affidata soltanto alle politiche nazionali o ad un loro semplice coordinamento. Un ruolo importante deve essere giocato dal bilancio europeo. La sua attuale configurazione è del tutto inadeguata, sia sotto il profilo quantitativo sia sotto il profilo della qualità nell'allocazione delle risorse finanziarie. Una politica economica su scala europea non può essere fatta soltanto di vincoli ai bilanci nazionali e di controllo della moneta in chiave antinflattiva.
Se si vuole sul serio sostenere un piano di investimenti pubblici e privati su scala europea, non ci si può affidare semplicemente al mercato o alle risorse scarse messe a disposizione dal bilancio europeo. Deve essere consentita su scala europea l'emissione di eurobond e si deve modificare profondamente l'assetto del bilancio europeo, incrementando significativamente i trasferimenti nazionali al bilancio europeo e ripartendo le risorse disponibili, in modo da renderle coerenti con le linee strategiche di Lisbona e con l'obiettivo di un'Europa sociale.
Sono convinto, e concludo Presidente, che se l'Assemblea coglierà l'occasione della discussione sulla legge comunitaria 2006 e sulla Relazione annuale per il 2005 per guardare in avanti secondo gli indirizzi che mi sono sforzato di illustrare, penso che questo ramo del Parlamento avrà dato un contributo importante ad una nuova idea dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Presidente, signor ministro e colleghi, io sarò molto più breve dei collechi che mi hanno preceduto, perché non entrerò nel dettaglio tecnicoPag. 127dell'articolato della legge comunitaria, vista anche l'ora, riservandomi di farlo in sede di discussione degli emendamenti presentati. La stessa valutazione riguarda la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Esprimerò quindi pochi concetti chiari, da rivolgere soprattutto al Governo.
Noi, come Lega Nord, esprimiamo apprezzamento in via generale nei confronti del disegno di legge comunitaria, anche perché, inizialmente, lo abbiamo redatto nel precedente Governo, dunque non potremmo fare altrimenti; ricordo che, nella struttura, il provvedimento deriva proprio dalla cosiddetta - chiamiamola col suo nome - legge Stucchi, la n. 11 del 2005, voluta d'allora presidente della XIV Commissione, nonché mio collega. Questa legge, come tutti hanno avuto modo di percepire direttamente in modo tangibile, ha permesso un recepimento molto più snello delle direttive, in modo da «limitare» - lo dico tra virgolette - i danni derivanti dalle infrazioni comunitarie. È anche vero, tuttavia, che necessita ancora di qualche aggiustamento, ma ricordiamoci che è la seconda volta che si applica questa legge e dunque, come tutte le cose nuove, va prima un po' rodata!
Il discorso del collega Falomi, incentrato sulla necessità di far fronte a determinate lacune, viene ben recepito dal mio gruppo, anche se - faccio notare onestamente - si è persa un'occasione nel momento in cui sono stati bocciati gli emendamenti presentati in Commissione riguardo alla riserva d'esame parlamentare su determinati temi ed anche alla possibilità di dare potestà al Parlamento, modificando la legge n. 11 del 2005, di chiedere la riserva d'esame parlamentare e al Governo di cedere questa prerogativa: sarebbe stato sicuramente un passo in avanti verso una maggiore democraticità nelle scelte nella fase ascendente delle leggi comunitarie.
Ho detto prima che non sarei entrato nel dettaglio tecnico, però una cosa vorrei farla notare: l'articolo 8-ter, se non sbaglio, nel testo definitivo introdotto dalla I Commissione, sul piano politico, non ci trova assolutamente d'accordo, tant'è che è stato decantato proprio dal collega Falomi, che è di tutt'altra idea politica rispetto alla questione dell'asilo politico dei rifugiati.
Tale articolo è stato redatto in maniera un po' fumosa, perché non viene posto alcun termine temporale e non si capisce quale riserva si vada ad adottare nel definire dove, come, quando e perchè una persona deve rimanere sul territorio in attesa non solo del giudizio, ma anche addirittura della sentenza definitiva. È stato lanciato un sasso, permettetemi di dire, di natura ideologica - lei stesso lo ha ammesso prima -, e tuttavia non avete fornito una normativa di riferimento chiara.
A prescindere da questa vostra politica, che cerca di aprire il più possibile le frontiere, inventando di tutto per far arrivare più immigrati possibili, vi faccio presente che, se il primo comma è di natura politica, il secondo comma dell'articolo in questione è palesemente in contrasto con la direttiva da recepire. Leggo testualmente il comma 4, lettera c), della direttiva 2005/85 CE, che recita: «La domanda di asilo è giudicata infondata, nel primo caso, poiché il richiedente proviene da un paese di origine sicuro (...) nel secondo caso, poiché il paese che non è uno Stato membro è considerato un paese terzo sicuro per il richiedente». Quindi; palesemente, forse per una svista o magari per rafforzare quelle stesse direttive, si rischia di andare contro la direttiva stessa.
Noi presenteremo, in sede di dibattito parlamentare, opportune proposte emendative - invero, già predisposte - volte ed a sopprimere non solo questo comma ma tutto l'articolo. Rendiamoci, tuttavia, conto che, certe volte, le «fughe in avanti» per cercare di sanare ferite di lontana memoria come quelle dianzi citate possono anche obiettivamente costituire delle forzature, in quanto si rischia di cadere nell'eccesso opposto di voler spingere troppo in direzione di una politica delle braccia aperte.
Ciò detto, considerata anche l'ora, rinvio alle fasi successive di discussione la valutazione sulla Relazione sulla partecipazionePag. 128italiana all'Unione europea nonché sulle questioni di carattere tecnico (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Intrieri. Ne ha facoltà.
MARILINA INTRIERI. Onorevole Presidente, onorevole ministro, onorevoli colleghi, la sensibilità europeista che fin dai primi giorni ha contraddistinto l'attività dell'attuale Governo, ed i cui segnali si colgono anche nelle modifiche migliorative apportate alla legge comunitaria ora in discussione, appare come un buon viatico per intraprendere in questo campo una decisa inversione di tendenza.
Per esempio, è da segnalare la norma che prevede, qualora la Commissione adotti norme di attuazione di una normativa comunitaria, la possibilità per il Governo di recepirle direttamente con proprio regolamento, anziché con l'adozione di un nuovo decreto legislativo, com'era previsto fino al 2005. Si tratta, ancora una volta su norme di attuazione e di dettaglio, di attribuire celerità ed efficacia all'attività del Governo nel recepimento del diritto comunitario.
Nonostante tutti i miglioramenti apportati dalla legge n. 11 del 2005, l'Italia, purtroppo, come rilevato di recente dal ministro Bonino, continua a registrare gravissimi ritardi nell'attuazione del diritto comunitario, con le conseguenti numerosissime procedure di infrazione avviate in sede europea. Potrebbe pertanto essere venuto il momento di valutare, se mai, per una fase transitoria, l'opportunità di adottare una legge comunitaria semestrale, al fine di tentare di recuperare almeno in parte il ritardo accumulatosi specie in coincidenza con il recente passaggio di legislatura.
Alcune tra le positive novità introdotte durante l'esame delle Commissioni meritano attenzione, come la riduzione dei tempi per l'esercizio da parte del Governo delle deleghe previste dalla legge comunitaria; l'articolo 1 del disegno di legge A.C. n. 1042 riduce infatti tale termine da 18 a 12 mesi, costringendo così il Governo a dare più rapida attuazione alle norme comunitarie. Il termine è ulteriormente ridotto a sei mesi nel caso in cui le direttive siano già scadute o stiano per scadere.
Il Capo II della legge si apre ora con un nuovo articolo 6-bis, che prevede l'obbligo, per il Governo, di informare il Parlamento ogni sei mesi circa le procedure di infrazione in corso a carico dell'Italia, valutando, altresì, il livello di esposizione finanziaria del paese in caso di eventuali sanzioni inflitte.
Meritevoli di rilievo sono anche gli emendamenti approvati in I Commissione, che hanno permesso anzitutto il passaggio dell'esame delle direttive 2005/85/CE (recante appunto norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) e 2005/71/CE (recante una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica) dall'allegato A all'allegato B, consentendo così un rafforzamento delle prerogative parlamentari nell'esame degli schemi di decreti legislativi relativi a materie così delicate.
Meritano altresì attenzione gli articoli aggiuntivi introdotti in questa materia finalizzati a prevedere specifici principi e criteri direttivi rivolti al Governo in sede di adozione del decreto legislativo di attuazione della direttive in materia di asilo. Del resto, vale la pena di notare che al termine dell'esame nelle varie Commissioni moltissime direttive sono state appunto spostate dall'allegato A all'allegato B, proprio a significare, come sottolineato dalla relatrice, onorevole Ottone, il ruolo sempre più determinante che il Parlamento italiano intende svolgere nella sensibile fase di attuazione del diritto comunitario.
Desidero pertanto sottolineare l'importanza di una rapida approvazione del provvedimento, essenziale per ridurre le procedure di infrazione pendenti e per prevenirne l'avvio di nuove.
Esprimo anche apprezzamento per l'iter in Commissione, che ha combinatoPag. 129celerità e approfondimento di questioni anche delicate, sia di natura ordinamentale che settoriale. Particolare apprezzamento va espresso anche per gli emendamenti alla legge n. 11 del 2005 relativi all'informazione al Parlamento sulle procedure di infrazione e sui flussi finanziari con l'Unione europea, e, sempre ai fini di un più rapido adeguamento all'ordinamento comunitario, per la previsione dei 12 mesi come termine generale per l'esercizio da parte del Governo della delega a recepire le direttive, invece dei 18 mesi previsti prima.
È opportuno richiamare una serie di ulteriori misure che potrebbero migliorare il grado e i tempi di adeguamento dell'ordinamento interno a quello europeo ed anticipare la preparazione dei decreti legislativi, iniziando il lavoro fin dal momento dell'inoltro del disegno di legge comunitaria alle Camere, senza aspettare, come avviene di regola, l'approvazione definitiva della legge. Sarebbe, in realtà, anche auspicabile che le prime attività di preparazione cominciassero dal momento successivo alla adozione dell'atto in sede comunitaria.
Sarebbe auspicabile arrivare ad una sessione comunitaria dei lavori parlamentari che garantisse tempi programmati e certi di approvazione della legge comunitaria, in vista anche di un eventuale futuro passaggio della stessa ad una periodicità semestrale nonché monitorare in modo costante e più attento l'attività di recepimento svolta dalle singole amministrazioni, in particolare con riferimento alle direttive da attuare in via amministrativa.
Per quanto riguarda le direttive, si potrebbe eventualmente in alcuni casi: legiferare direttamente e non con delega attraverso la legge comunitaria e poi valutare l'opportunità di avviare una sorte di due diligence da parte di ciascuna amministrazione sulle procedure di infrazione rientranti nella propria competenza, al fine di avere un quadro più chiaro sulle reali cause di difficoltà; individuare, come già richiesto dal ministro, un responsabile per gli affari europei in ciascun ministero; promuovere una attenta riflessione sull'opportunità di modifiche regolamentari intese a rafforzare il ruolo della XIV Commissione nell'esame del disegno di legge comunitaria, applicando le regole generali per l'esame in sede referente. Ciò renderebbe più chiara e celere la procedura.
In conclusione, nel 2007 saranno cinquant'anni dalla conclusione del Trattato di Roma, istitutivo della prima Comunità economica europea. Proprio il nostro paese ospiterà le celebrazioni per questa importante ricorrenza; appare pertanto indispensabile attrezzarci per presentare un'Italia non solo in prima linea nel rilancio del processo di integrazione europea, fermo a seguito del referendum francese e olandese sul nuovo progetto di Costituzione, ma con le credenziali a posto sia sul piano finanziario del rispetto dei parametri europei e di Maastricht, sia sul piano del tempestivo recepimento delle novità del diritto comunitario.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Migliori, iscritto a parlare; s'intende vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor presidente, non solo per l'ora ma soprattutto perché l'onorevole Falomi ha esposto molto ampiamente la posizione del mio gruppo sulla legge comunitaria e sulla Relazione del 2005 dell'attività svolta dal nostro paese in sede comunitaria, mi limiterò, onorevole ministro Bonino, semplicemente a due considerazioni. La prima è la seguente. Sappiamo, anche se la quantificazione non è sempre esatta, che ormai la maggior parte delle leggi o delle normative in generale è decisa a livello comunitario. In tale ambito le decisioni legislative che vanno sotto il nome di regolamenti sono norme immediatamente applicabili senza la mediazione dello Stato e senza la mediazione quindi di una recezione all'interno dell'ordinamento nazionale. Questo significa che quello comunitario è un ordinamento particolare, che ormai è sottratto alla disciplina del diritto internazionalistico.Pag. 130Esso è diventato un ordinamento che ha, per un verso, caratteristiche di un ordinamento costituzionale e, per l'altro, continua ad avere una delimitazione, in quanto ordinamento costituzionale, perché può agire semplicemente in determinati campi e con competenze determinate, le quali sono stabilite dai trattati. Come ha detto Sabino Cassese, si tratta di un imperium mistum, un qualcosa di misto che fa di quello europeo un ordinamento innovativo e particolare.
Onorevole ministro, conoscendo la sua sensibilità europeista e democratica, sottopongo alla sua attenzione alcune problematiche. Innanzitutto, noi non possiamo continuare ad avere un atteggiamento passivo e supino rispetto all'espropriazione subita dagli organi rappresentativi nazionali - ma sappiamo anche dei limiti in cui vive il Parlamento europeo - ad opera degli Esecutivi che a livello europeo stabiliscono fondamentalmente le leggi. Le stabiliscono perché in sede di Consiglio dei ministri sono gli Esecutivi, come sa benissimo il ministro, a definire i contenuti delle leggi. Inoltre, non possiamo continuare ad avere un atteggiamento supino rispetto al fatto che quando si tratta di applicare le direttive, come avviene in questo caso con la legge comunitaria, il Parlamento si limita fondamentalmente a concedere delle deleghe al Governo per stabilire, attraverso decreti legislativi, le norme di attuazione delle stesse.
In questa legge comunitaria noi siamo intervenuti con degli emendamenti, proposti dalle diverse Commissioni che hanno esaminato il provvedimento esprimendo sullo stesso un parere, che sono stati accolti dalla XIV Commissione. In particolare, si è operato uno spostamento dalla tabella A alla tabella B; quest'ultima tabella prevede che il Governo sottoponga i decreti legislativi alla discussione delle Commissioni competenti. In tal modo, si è recuperata in questo campo una capacità di intervento del Parlamento nazionale. La XIV Commissione ha, inoltre, accolto due emendamenti della I Commissione, proposti dal relatore Roberto Zaccaria, relativi ai problemi dei ricercatori già presenti sul territorio nazionale, e per la definizione dello status di rifugiato.
Onorevole ministro, non possiamo sfuggire dalla constatazione che ormai abbiamo una normativa che sfugge alle decisioni della rappresentanza politica e democratica sia dei Parlamenti nazionali sia del Parlamento europeo. Questo è il mio giudizio: poi, il ministro, in sede di replica, mi dirà se questa mia valutazione eventualmente non la convince.
Il Parlamento europeo, attraverso la procedura di codecisione in 53 campi, non ha un potere di iniziativa, ma ha semplicemente un potere di proposta alla Commissione. Insomma, io vedo un meccanismo in cui fondamentalmente sono gli Esecutivi a decidere le normative. Questo è, a mio avviso, un vulnus per la democrazia non più tollerabile. L'onorevole ministro è sicuramente consapevole di ciò. Questo problema era tanto sentito dai Governi che qualora il Consiglio dei ministri dovesse agire nella formazione deliberativa-legislativa, è previsto dal Trattato che dovrebbe farlo in maniera aperta. Pertanto, l'aspetto che io rilevo, cioè la sottrazione ai Parlamenti, alle rappresentanze, del potere di determinare i contenuti legislativi a livello europeo e, quindi, a livello nazionale, ormai è pressante. Credo che le iniziative intraprese attraverso la legge comunitaria, che però razionalizzano semplicemente il processo di accoglimento e di traduzione all'interno dell'ordinamento nazionale delle direttive europee, siano giunte ormai ad un punto di svolta.
Tale punto di svolta, onorevole Bonino, è sentito così tanto che il Governo ha costituito nel suo seno il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), al fine di preparare la posizione del Governo italiano nelle decisioni da assumere in sede comunitaria. Ciò non avviene a livello parlamentare, ove non è previsto un meccanismo che, nella fase cosiddetta ascendente, consenta al Parlamento italiano - mi augurerei anchePag. 131gli altri 24 Parlamenti europei - di intervenire nella determinazione delle decisioni a livello europeo.
Si tratta di un punto fondamentale da affrontare per consentire l'intervento nella fase ascendente attraverso le deliberazioni parlamentari, non solo per sanare il deficit di legittimità democratica ma per riportare soprattutto il potere decisionale all'interno della rappresentanza democratica, ovverosia nei Parlamenti.
La seconda questione - e mi avvio alla conclusione -, onorevole Bonino, è la seguente. Non possiamo accettare che siano i Governi a stabilire la Carta costituzionale fondamentale dell'Europa. La Corte di giustizia ha definito i trattati la «Costituzione europea». Siamo tutti consapevoli, però, che i trattati vengono definiti dai Governi, anche se ratificati dai Parlamenti, e non possiamo accettare che siano i Governi, attraverso le Conferenze intergovernative (sia pure preparate, come nelle due esperienze fatte, dalle Convenzioni), a stabilire i fondamenti della Costituzione europea. Ciò non solo per una mancanza di legittimità democratica, ma perché l'elaborazione di una Costituzione europea - lo diceva molto giustamente il mio collega Falomi - ha bisogno di una partecipazione quanto più larga possibile: senza popoli né partecipazione popolare non vi può essere Costituzione e non possono essere gli Esecutivi - per il meccanismo che prima descrivevo nelle procedure legislative - a determinare una Costituzione, rinnovando quella che sarebbe, secondo me, una tradizione poco democratica delle Carte octroyée.
Quali possono essere le vie da seguire? Ho letto - anche il relatore lo rilevava nella sua relazione - che nell'ultimo Consiglio europeo si è ridefinito un percorso finalizzato a rimettere in movimento il Trattato costituzionale. A tale proposito vorrei ricordarle, onorevole Bonino - ed ho concluso - che tutti noi, con il contributo anche della sua parte politica, nel 1989 votammo una proposta di referendum di indirizzo che sottoponemmo, insieme all'elezione dei membri italiani al Parlamento europeo del 1989, al popolo italiano, in cui si proponeva di affidare al Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione.
Non so se questa sia la vita giusta e più produttiva. Ritengo però che forse (e non solo per il vecchio mandato comunque ricevuto nel 1989), considerando la sperimentazione avvenuta in questi anni, come diceva l'onorevole Falomi, volta a coinvolgere - e ciò è previsto anche nel piano D della Commissione europea - la società civile nella discussione dei contenuti costituzionali della nuova Europa, effettivamente basata su una Carta costituzionale, potremmo sperimentare una procedura di coinvolgimento (che gli uffici della Commissione peraltro stanno tentando di fare anche nel nostro paese) al fine di proporre che il prossimo Parlamento europeo del 2009 diventi la sede per l'elaborazione di una Carta costituzionale da sottoporre successivamente ad un referendum popolare.
Eviteremo, in questo modo, sia le strane costruzioni delle Convenzioni, sia che i Governi decidano il contenuto della Carta costituzionale europea attraverso le Conferenze intergovernative. Sarà, invece, l'unico organo veramente rappresentativo a livello di Unione europea, vale a dire il Parlamento europeo, la sede in cui elaborare la futura Carta costituzionale.
Vorrei ricordarle, ministro Bonino, che sono stati già compiuti due tentativi in tal senso, poiché il Parlamento europeo approvò, nel 1994 e nel 1999, delle Carte costituzionali. Ritengo che potremmo esperire tale via anche per rispondere ai «no» francese ed olandese, nonché per sanare il tradizionale deficit democratico a livello europeo.
Non siamo ostili, ovviamente, nei confronti di altre proposte; tuttavia, riteniamo che, per rispondere a quella che ritengo essere una crisi di crescita dell'Unione europea, dobbiamo tentare di investire il Parlamento di Strasburgo di questo grande compito (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Buemi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor ministro, vorrei innanzitutto affermare che concordo pienamente con i colleghi che hanno affermato che il Parlamento italiano deve avere più voce nella cosiddetta fase ascendente della produzione normativa comunitaria. Ritengo, infatti, che si tratti di una lacuna molto grave da colmare.
Detto ciò, vorrei soffermarmi brevemente su tre punti, collegati alla risoluzione che dovremo votare in un'altra seduta. Il primo riguarda una tematica che è stata già sollevata da diversi colleghi intervenuti, vale a dire l'immigrazione irregolare. Ritengo molto importante, infatti, che l'Italia si attivi per l'adozione di una politica dell'immigrazione comune, attraverso il coinvolgimento di tutti i paesi aderenti all'Unione europea.
Tale politica, contrariamente a quanto affermato dal collega del gruppo della Lega Nord Padania, deve avere un approccio «umanitario» al problema, secondo il motto europeo «uniti nella diversità», e dunque deve essere condotta nel rispetto della diversità. D'altro canto, tuttavia, la politica dell'immigrazione dell'Unione europea deve essere spietata nei confronti delle varie mafie che organizzano la tratta degli immigrati.
Il secondo punto che intendo affrontare riguarda la politica estera e di sicurezza comune. Anche per prevenire proprio l'immigrazione clandestina, infatti, dobbiamo contribuire a creare possibilità di lavoro per queste persone nei loro paesi d'origine. Ritengo importante, inoltre, adoperarsi maggiormente per coinvolgere le organizzazioni non governative e la società civile in progetti people to people di cooperazione internazionale.
Far lavorare insieme gente di origine diversa, infatti, costituisce un ottimo strumento per creare fiducia reciproca (a confidence building), ed anche in questo modo si può giungere alla prevenzione civile dei conflitti. L'Italia fa bene ad assumere, come sta facendo, l'iniziativa per una politica estera comune europea che lavori per la pace, in particolare in ambito euromediterraneo.
Il terzo punto che intendo affrontare riguarda l'ambiente. La politica energetica italiana, infatti, deve essere centrata sulla promozione del risparmio, dell'efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e dell'innovazione tecnologica in tale settore. Solo così, infatti, potremmo attenerci agli obblighi stabiliti dal Protocollo di Kyoto.
Per quanto concerne la politica dei trasporti, infine, diventa fondamentale tenere sempre presente l'esigenza di tutelare il patrimonio ambientale del paese. Bene fa l'Italia e bene fa il Governo attuale, al contrario di quello precedente, a dare una forte impronta alla politica europea. Un'Italia senza una forte vocazione europea, infatti, non solo indebolisce il proprio ruolo in Europa, ma contribuisce anche ad indebolire il ruolo dell'Unione europea nel mondo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1042 e Doc. LXXXVII, n. 1)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore sul disegno di legge n. 1042, onorevole Ottone.
ROSELLA OTTONE, Relatore sul disegno di legge n. 1042. Signor Presidente, rinunzio alla replica per lasciare spazio all'intervento del ministro.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha facoltà di replicare il relatore sul Doc. LXXXVII, n. 1, onorevole Gozi.
SANDRO GOZI, Relatore sul Doc. LXXXVII, n. 1. Signor Presidente, anch'io rinunzio alla replica.
Pag. 133
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
EMMA BONINO, Ministro delle politiche europee e del commercio internazionale. Signor Presidente, in effetti l'ora tarda e il freddo polare di quest'aula consiglierebbero di essere breve e mi impegnerò in tal senso. Resta il fatto che gli stimoli e gli interventi sono stati molti e che, in tutto il dibattito, si sono intercalati a mio avviso due livelli: un livello di intervento più tecnico, relativo alla legge comunitaria, al recepimento delle direttive, alle lacune da colmare; un livello di dibattito più politico, sul rapporto tra l'Italia e l'Europa, su cosa accade in Europa, sui trattati, sul coinvolgimento democratico dei Parlamenti.
Tutto questo mi porta innanzitutto a svolgere due osservazioni. In primo luogo, il fatto che, intanto, si può assumere un impegno complessivo volto allo svolgimento di un dibattito che riesca a coinvolgere in modo più adeguato i colleghi, l'aula parlamentare e l'opinione pubblica.
Come sempre accade nell'imminenza della pausa estiva, si tende sempre ad attuare un modo di legiferare non po' trafelato; tuttavia, ritengo sia importante assumere l'impegno di trovare, alla ripresa dei lavori o dopo la legge finanziaria, un momento per fare il punto, attraverso un dibattito più adeguato, su tutti i grandi temi che coinvolgono e che caratterizzano - o dovrebbero caratterizzare - il nostro stare in Europa.
Quindi, anch'io nella replica passerò da un livello all'altro, così come avvenuto durante gli interventi dei colleghi, cercando tuttavia di separarli.
Non ripeto - lo ha già fatto in modo eccellente la relatrice - la genesi di questa legge comunitaria e la scelta del Governo di aggiornare la legge comunitaria presentata dal Governo precedente. Mi auguro che il Parlamento approvi davvero la prossima settimana questa legge, affinché alla ripresa dei lavori la stessa possa essere esaminata dall'altro ramo del Parlamento.
In secondo luogo, abbiamo dovuto aggiornare la legge comunitaria non solo in termini di nuove direttive da trasporre, ma anche con riferimento ad alcuni elementi innovativi, tra i quali una revisione dei tempi delle deleghe e una migliore attenzione per quanto riguarda tutta la procedura delle infrazioni. A tal proposito, ricordo che all'interno del ministero stiamo definendo una vera e propria struttura di missione per quanto concerne il monitoraggio di tali infrazioni, cercando di intervenire quando le stesse sono ancora al livello di reclamo.
Come sottolineato dalla relatrice, ancora non ci siamo sui trattati internazionali. Tuttavia, credo che alcuni elementi di applicazione della legge Buttiglione - o, come l'ha chiamata il nostro collega, la legge Stucchi - stiano producendo alcuni risultati; per tale motivo, l'impianto rimarrà più o meno quello.
Ci sono alcune parti che tratteremo più dettagliatamente in sede di esame degli emendamenti, in quanto ritengo che lo spostamento di direttive dall'allegato A all'allegato B e il significato politico dello stesso sia stato già sottolineato.
Il ministero è più che disponibile a fornire in ogni momento dati di trasparenza in ordine alle infrazioni. Tuttavia, dobbiamo trovare insieme una formulazione di quel famoso emendamento che consenta al ministero di attuare ciò che il Parlamento gli chiede. Infatti, rispetto a tale formulazione, o ogni ministero riesce a recuperare una trentina di funzionari, oppure non saremo in grado di fare quanto l'emendamento ci chiede, ossia trasferire ogni atto relativo alle infrazioni, corredato di note e sintetizzato, svolgendo anche un monitoraggio degli enti locali coinvolti. Francamente, non siamo in grado di farlo. Lo dico semplicemente per onestà di rapporto. Quindi, dobbiamo trovare insieme una formula.
Allo stesso modo, dobbiamo porre rimedio ad un errore che credo sia stato commesso per quanto riguarda l'infrazione sull'assistenza a terra negli aeroporti, come avevo annunciato in Commissione. Parimenti, dovremo trovare unaPag. 134soluzione per quanto riguarda le fonti energetiche rinnovabili. Al riguardo, il collega Piro ha presentato alcuni emendamenti sui quali dobbiamo discutere. Vi è, infatti, un problema di certezza del diritto per quanto riguarda alcuni operatori, che hanno ottenuto dei fondi in base ad un'interpretazione precedente e che in questo momento certamente non possono essere penalizzati.
Infine, prima di replicare agli interventi che sono stati svolti, vorrei sottolineare che il Governo approfondirà tali temi anche in sede di esame degli emendamenti.
Per quanto riguardo la tematica relativa agli articoli 8, 8-bis e 8-ter, ossia quella relativa all'immigrazione, in questa fase vorrei darvi solo un'interpretazione, per così dire, tutta giuridica per quanto riguarda l'applicazione delle normative. Questo tema è di grandissimo interesse per il Governo. Tuttavia, si ritiene che i due emendamenti presentati siano difficilmente accettabili, in quanto davvero incompatibili rispetto alle normative comunitarie.
Non entro nel merito del dibattito politico che si è avviato in quest'aula, anch'esso molto importante. Però, vi sono dubbi in ordine al recepimento delle direttive comunitarie, sia per quanto riguarda i ricercatori sia per quanto riguarda il diritto di asilo. Sicché, ad oggi, il Governo davvero chiederà probabilmente di trasfondere il contenuto di tali emendamenti in appositi ordini del giorno, al fine di una valutazione più approfondita. Spero che, da qui a martedì, troveremo il modo di chiarire di cosa stiamo parlando in termini meramente tecnici - lo ripeto - e senza entrare nel dibattito politico, che attiene ad altra sfera e non alla legge comunitaria.
Infine, il collega Barani ha elencato una serie di questioni tecniche, e mi dispiace che non sia presente in aula. È mia profonda convinzione che tutti i rilievi tecnici abbiano una loro sede più precipua all'interno delle Commissioni, piuttosto che nel dibattito in Assemblea. Se fosse stato presente, volentieri gli avrei risposto sulla tracciabilità, sulla sicurezza, sulle implicazioni della riforma del Titolo V per quanto riguarda le norme comunitarie.
Per quanto concerne il CIDE, rispondo al collega Gianni Farina dicendo che il Governo ritiene di condividere quello strumento, così come riformato, anche per una posizione ormai assunta dalla Commissione europea. Ciò perché anche gli strumenti devono evolversi in base alla necessità e alla funzionalità. Riteniamo che il CIDE, nella sua configurazione attuale, vada rivisto e stiamo semplicemente aspettando le varie ipotesi che la Commissione europea sta immaginando per cercare di capire quale possa essere la formula più adatta per un centro come questo, per poi individuare lo strumento normativo da adottare, una legge ordinaria, una legge ad hoc, e trovare, anche da questo punto di vista, una soluzione.
Alla collega Castiello vorrei dire due cose: in primo luogo, per quanto concerne le infrazioni, credo che coinvolgere in modo pressante la Conferenza Stato-regioni sia indispensabile. Infatti, una grandissima parte delle infrazioni attengono, ad esempio, alla materia ambientale: è, quindi, evidente che dobbiamo trovare soluzioni con questi enti. Lei, onorevole Castiello, ha fatto un riferimento pressante alla necessità di capire meglio il ruolo dell'Italia in Europa, ma anche su cosa si intenda fare per tutta la strategia di Lisbona. Per questo, ritengo sia utile darsi un appuntamento per discutere in maniera più ampia e per cercare di capire, per quanto riguarda Lisbona, ma non solo. Anche altri colleghi si sono chiesti come sia possibile coinvolgere i Parlamenti nella fase ascendente. Noi cerchiamo di far funzionare quello che la legge Buttiglione offre, cioè il CIACE: cercheremo di metterlo in moto, ma è chiaro che si tratta di un comitato intergovernativo. Il problema è di capire come sia possibile, con la XIV Commissione come luogo di raccordo, ma anche con le Commissioni competenti per materia, coinvolgere anche il Parlamento nella fase di formazione delle linee politiche del Governo.Pag. 135
L'ultima considerazione mi porta all'intervento del collega Falomi. Ho già detto quale sia l'opinione del Governo sul diritto di asilo, anzi, non sul diritto di asilo ma, in particolare, sui due emendamenti indicati in precedenza. Al collega Falomi desidero indicare due questioni, riprese anche dal collega Russo, che ritengo di grandissimo interesse. Sostanzialmente, si tratta del coinvolgimento dei Parlamenti nazionali, a partire, ad esempio, dal Trattato o dalla revisione del Trattato.
È chiaro che ci troviamo in una impasse. Siamo 25 paesi, di cui 16 hanno ratificato il Trattato (forse 17, con la Finlandia) e due l'hanno respinto per referendum, mentre gli altri non hanno preso posizione. È chiaro che è difficile rivedere interamente il Trattato: come spiegherebbero alle opinioni pubbliche che si sono sbagliati i 16 paesi che l'hanno ratificato? Anche la ripresentazione del Trattato ad una nuova scadenza referendaria in due paesi sembra una strada poco percorribile.
È chiaro che, da questo punto di vista, la scadenza del cinquantenario, l'azione della Presidenza tedesca, la dichiarazione dei 25 ed il coinvolgimento dei Parlamenti almeno su questa data dovrebbero svolgere un ruolo molto dinamico, anche se non voglio nascondere a nessuno che è veramente difficile trovare un bandolo relativamente ai Trattati, proprio per la situazione che si è venuta a creare.
L'Italia insiste a tenere viva la situazione dei Trattati, che, però, non risolvevano, ad esempio, la questione del coinvolgimento dei Parlamenti nazionali e neanche assicuravano un grande rafforzamento del coinvolgimento del Parlamento europeo. Quindi, di fatto, siamo in una costruzione europea che, da questo punto di vista, è sicuramente non in dirittura d'arrivo e che poco ha a che vedere - che so? - con il progetto Spinelli, che veniva ricordato come esempio di coinvolgimento del Parlamento europeo.
Da questo punto di vista, in quello che molti chiamano - e che a mio avviso è - il gap democratico, la costruzione anomala delle istituzioni europee lascia ancora, per me, evidentemente federalista, grandissimi margini di ambiguità, con un rafforzamento, a volte non voluto, ma che si crea di fatto, degli esecutivi. Quindi, non soltanto c'è il mancato coinvolgimento dei Parlamenti ma, spesso, anche un indebolimento della Commissione rispetto agli esecutivi.
Concludo con un riferimento importante alla risoluzione sulla Relazione annuale, in cui colgo tre spunti fondamentali. Il primo riguarda l'impegno a non farne - come dire? - un rendiconto burocratico anno per anno, ma a fare in modo che si tratti di un rendiconto politico di quanto è successo e, soprattutto, di quanto ci si propone di fare per ovviare a tutta una serie di problemi. Evidentemente, rimangono fuori dalla competenza europea le politica estera di difesa (piaccia o non piaccia), la politica dell'immigrazione (ancora) e persino la politica energetica (nella situazioni che tutti abbiamo di fronte). Quindi, è un po' un'Europa che rischia di fermarsi; e, nel momento in cui il mondo corre, fermarsi vuol dire cadere. In bicicletta - come a volte dice, per spiegarsi, Delors - o si pedala o si cade: stare in piedi senza fare nulla è impossibile! Ed è un rischio obiettivo che l'Europa sta correndo.
Ciò anche se una tra le politiche più dinamiche - e anche tra le più positive - è stata certamente quella dell'allargamento e lei ha ricordato i futuri allargamenti a Romania e Bulgaria. Vorrei solo invitare a non dimenticare il processo, difficile - ma, secondo me, molto importante -, della Turchia. Non mi soffermo proprio in questi giorni a ribadire l'importanza di avere nell'Unione un paese laico, a religione musulmana, con istituzioni in miglioramento molto evidente, come un dato di attrazione e ciò - a mio avviso - deve essere un impegno che il nostro paese deve sentire più di altri.
Credo che la situazione di questi giorni e la stessa Conferenza che si svolgerà domani proprio a Roma diano il senso ed il segno di una debolezza europea istituzionale, tanto che si tratta di un'iniziativa lodevole assunta da un Governo, che haPag. 136coinvolto altri Governi, ma non è un'iniziativa che abbia assunto l'Europa in quanto tale, e credo che ciò debba far riflettere sia sulla capacità di iniziativa sia su quella risoluzione, perché quest'ultimo è l'altro problema che si pone con grande evidenza.
Per quanto riguarda la politica interna, condivido quanto scritto nella relazione, che penso sarà parte anche della risoluzione finale, che dà indicazioni molto precise. Penso soprattutto che tutto ciò che possiamo fare per il PICO (Piano per l'occupazione, la crescita e l'innovazione), per il rapporto del 15 ottobre, sia un «mettersi in ordine». Credo inoltre che dobbiamo inventare insieme una capacità sia del Parlamento sia del Governo di essere più propositivi e più presenti nelle politiche, da costruire, di politica europea.
Lei, onorevole Falomi, faceva riferimento all'immigrazione. L'immigrazione non è una politica europea, come lei sa, con tutti i problemi che ciò comporta. Quindi, credo che dobbiamo dare un impulso molto forte ad un prosieguo non dell'«Europa delle patrie» - esattamente il contrario; in questa sede è stata ricordata l'Europa dei popoli -, e credo sia questo il dato fondamentale senza il quale non si può costruire qualcosa di solido.
Svolgo un'ultima notazione, riservando la trattazione di altri punti specifici alla discussione degli emendamenti ed al voto finale, su ciò che sta succedendo. Per quanto riguarda Israele e Palestina, la formula è: due paesi, due Stati. Penso sia veramente ora di dire: due paesi, due Stati, due democrazie. Vi ringrazio.
(Annunzio di una risoluzione - Doc. LXXXVII, n. 1)
PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 126-ter, comma 6, del regolamento, è stata presentata la risoluzione Gozi ed altri n. 6-00001 sulla Relazione in ordine alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Vedi l'allegato A - Risoluzione sezione 1).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 26 luglio 2006, alle 9,30:
(ore 9,30 e al termine dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata)
1. - Seguito della discussione del documento:
Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1).
- Relatori: Ventura, per la maggioranza; Alberto Giorgetti, di minoranza.
2. - Votazione per l'elnezione di nove membri effettivi e nove membri supplenti in rappresentanza della Camera alle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa e dell'UEO.
3. - Seguito della discussione della proposta di legge:
BUEMI ed altri: Concessione di indulto (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 1 e 3 della proposta di legge n. 525, deliberato dall'Assemblea il 18 luglio 2006) (525-bis-A);
e delle abbinate proposte di legge: JANNONE; BOATO; BOATO; FORLANI ed altri; GIORDANO ed altri; CAPOTOSTI ed altri; CRAPOLICCHIO ed altri; BALDUCCI e ZANELLA (372-662/bis-663/bis-665/bis-1122/bis-1266/bis-1323/bis-1333/bis).
- Relatore: Buemi.
4. - Dimissioni del deputato Cacciari.
5. - Discussione della proposta di legge:
BOATO; LUMIA; FORGIONE ed altri; ANGELA NAPOLI; LUCCHESE ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalitàPag. 137organizzata mafiosa o similare (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (40-326-571-688-890-C).
- Relatori: Amici e D'Alia.
6. - Discussione della proposta di legge:
REALACCI: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (17-C).
- Relatore: Lomaglio.
7. - Discussione della mozione D'Elia ed altri n. 1-00016 sulle iniziative per la moratoria universale delle esecuzioni capitali.
(ore 15)
8. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
La seduta termina alle 0,05 del 26 luglio 2006.
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GAETANO FASOLINO IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA
GAETANO FASOLINO. In materia di politiche di riduzione del costo del lavoro e degli incentivi all'occupazione, l'intervento sul «cuneo fiscale» ha rappresentato, come è noto, il fiore all'occhiello della campagna elettorale del centro-sinistra. Nel DPEF si parla di «criteri di selettività» nell'individuare le imprese beneficiarie, facendo intendere che non si procederà ad attuare una riforma «universale» della riduzione del costo del lavoro. Questo mi preoccupa non poco!
Rimanendo in tema di mercato del lavoro, il DPEF indica le principali linee di intervento sulla vigente legislazione. In precedenza, la legge n. 30 del 2003, nota come «legge Biagi», era stata aspramente osteggiata ed una parte dell'attuale maggioranza ne richiedeva una profonda revisione se non una totale abrogazione.
Nel Documento, pur riferendosi all'obiettivo di ridurre la cosiddetta precarietà come previsto dal programma elettorale, nell'affrontare il tema dei rapporti contrattuali di collaborazione coordinata o a progetto, si parla di innalzamento della contribuzione previdenziale relativamente a tali contratti, lasciando intendere che l'intenzione è quella di conservarli e consentirne l'utilizzo.
Ciò che il Governo intende modificare, a detta del DPEF, sono gli istituti del «lavoro a chiamata» e dello «staff leasing», tipologie contrattuali in realtà poco utilizzate dagli imprenditori.
Si fa riferimento, infine, alla «individuazione di strumenti utili a promuovere l'occupazione femminile», in realtà il contratto di inserimento, che ha sostituito il precedente contratto di formazione e lavoro, è già teso ad assicurare simile finalità.
In materia di pubblico impiego si fa accenno alla «moderazione salariale», volta a ridurre la spesa per il personale pubblico. Non si può non sottolineare che durante il precedente Governo, in occasione dei rinnovi dei contratti di lavoro del settore pubblico, vi sia stata una notevole conflittualità sindacale a cui l'allora opposizione ha prestato soccorso. Che ne dice il sindacato, che ne dice Diliberto?
Per quanto concerne il sistema pensionistico, nel DPEF si accenna all'intento di rivedere i coefficienti di trasformazione, relativamente ai dipendenti in regime contributivo o misto, il che causerebbe una riduzione delle future prestazioni previdenziali. Ne saranno contenti i giovani?
Inoltre l'abolizione del cosiddetto gradone del 2008, che prevede l'elevazione dei requisiti anagrafici per la pensione di anzianità, comporterebbe la necessità di reperire risorse finanziarie aggiuntive. Dove stanno i sindacati? Come mai non scioperano e non protestano?
In relazione alla spesa sanitaria ed a quella degli enti locali il Governo intendePag. 138attuare una politica di riduzione della stessa in materia di trasferimenti alle regioni. Anche per tale materia si deve evidenziare come l'attuale maggioranza risulti assumere una linea poco coerente con quella adottata durante il periodo del precedente Governo.
Per quanto concerne la politica fiscale nel DPEF, si parla di riduzione del gettito tributario durante il periodo 2001-2005, derivante sia dalle modifiche legislative apportate dal Governo Berlusconi, e ritenute a vantaggio delle fasce più ricche dei contribuenti, che dal sistematico ricorso a provvedimenti di condono fiscale che avrebbero incoraggiato l'evasione fiscale.
Per quanto riguarda la riduzione del gettito tributario, preme segnalare che, secondo i dati forniti dal Ministero dell'economia, nel periodo gennaio-maggio 2006, si è registrato, rispetto all'analogo periodo del precedente anno, un incremento delle entrate di competenza (ovvero accertate ma non necessariamente del tutto riscosse) per oltre 10,6 miliardi di euro (+8,7 per cento).
A tale incremento le imposte dirette (IRPEF e imposte sui redditi delle imprese) hanno contribuito per circa 6 miliardi (+10,2 per cento) mentre le imposte indirette vi hanno concorso per circa 4,7 miliardi (+7,4 per cento).
Nella considerazione che la vigente normativa fiscale non è opera dell'attuale Governo, non sembra sussistere un fenomeno di riduzione del gettito tributario, semmai il contrario. Certamente il ciclo economico più favorevole che il paese ha cominciato ad attraversare (dagli ultimi mesi del Governo precedente), come evidenziano i recenti dati statistici, contribuisce non poco all'aumento delle entrate tributarie, diversamente dal periodo 2001-2005 in cui la stagnazione economica, a livello internazionale, ha comportato una riduzione del gettito fiscale.
Infine, la riforma della tassazione dei proventi finanziari continua ad essere enunciata senza indicare i reali interventi che si intendono adottare.
In conclusione, gli angoli bui nel DPEF superano abbondantemente gli scarni spiragli di luce che, esaminati a fondo, sono sostanzialmente da ascriversi alle misure già approvate dal Governo Berlusconi.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARINO ZORZATO IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria risulta un utile momento di confronto fra maggioranza e opposizione sulle rispettive politiche economica e sociale ma soprattutto, ed in particolare in questo momento, utile a verificare le enormi contraddizioni in seno alla maggioranza già emerse con forza durante le audizioni e nel dibattito in Commissione.
È forse per rinviare il confronto-scontro interno alla maggioranza all'atto dell'esame della finanziaria che il DPEF risulta generico e lacunoso nelle proposte e indefinito nelle quantificazioni di risparmio e contenimento nei vari comparti di spesa.
Nel DPEF risultano quasi scontati gli obiettivi da raggiungere: crescita, risanamento ed equità; chiari anche i settori di intervento per il contenimento della spesa: sanità-sociale, pensioni, pubblica amministrazione e enti locali; indefinita e volutamente omertosa è la quantificazione e la tipologia del risparmio.
Riconosciamo al ministro onestà intellettuale quando nel corso delle audizioni ammette la bontà della ultima finanziaria Tremonti; così pure evidenziamo la necessità politica che ha fatto gridare «al lupo al lupo» sulla tenuta dei conti pubblici durante la campagna elettorale e dopo, salvo, poi clamorosamente contraddirsi proponendo un Documento con una correzione dei conti per il 2006 di solo lo 0,1Pag. 139per cento del PIL, il che la dice lunga sullo stato della finanza pubblica ereditato dal Governo Berlusconi.
Ancora onestà intellettuale va riconosciuta al ministro quando finalmente riporta nero su bianco che negli anni del Governo Berlusconi la spesa sociale è passata dal 22 per cento al 23,7 per cento del PIL, che la spesa sanitaria nello stesso periodo è aumentata dal 5,8 per cento al 6,7 per cento del PIL e che per il risanamento occorre adottare il modello delle regioni virtuose (Veneto e Lombardia), che la spesa per l'istruzione, università e ricerca è in media con quella europea, anzi che il rapporto alunni-docenti è il più alto in Europa e la qualità degli studenti fra le più basse, che il rapporto addetti-abitanti nella pubblica amministrazione è il più alto d'Europa, che nel comparto specifico della ricerca dopo anni di falsità si riconosce che l'investimento di risorse pubbliche è al pari dei nostri partner europei e che gli investimenti al sud sono cresciuti.
Certo è che se le proposte che leggiamo sono la compartecipazione nella spesa sociale e sanitaria (ticket), il ripiano del debito sanitario delle regioni non virtuose, l'accantonamento della riforma Moratti e quindi il mantenimento di un sistema scolastico che voi definite costoso e inefficiente, la cancellazione della riforma Biagi, la mancanza di fondi aggiuntivi nella ricerca dove scrivete «senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato» ed infine per il sud lo spostamento degli aiuti dalle imprese private al pubblico, allora si può anche condividere l'analisi, ma è obbligo dissentire dalla proposta.
Sconcertante è l'assenza di progettualità nel settore delle privatizzazioni ma ancor più devastante è quello che si intravede quando si tratta il tema dell'ANAS in riferimento al quale, con la scusa di evidenziare che il ruolo di controllore controllato da essa svolto non va bene (se coniugato al congelamento delle proroghe delle concessioni autostradali), emerge in modo chiaro la voglia di istituire un altro carrozzone pubblico (tipo IRI) che si occupi di strade, appalti, lavori pubblici, eccetera.
Tornando agli obiettivi del DPEF, come conciliare una previsione di crescita così bassa (probabilmente si intende agire solo sulla leva del contenimento della spesa e poco si farà per il rilancio dell'economia) con la presunta voglia di equità, come si può, senza far crescere l'economia in modo convincente, trovare risorse da distribuire alle fasce più deboli: l'impressione è che la parola equità sia stata introdotta nel Documento per necessità politica ma non per convinzione.
In attesa di trovare nella finanziaria alcune risposte che indichino quale linea politica interna alla maggioranza prevarrà, credo che qualche considerazione aggiuntiva si possa comunque fare ed in particolar modo evidenziare quanto questo Documento sia poco coraggioso, quanto sia caratterizzato dalla poca fiducia negli italiani e nella loro capacità, se non ostacolati, di cogliere la ripresa i cui segnali sullo scenario internazionale ormai si vedono da mesi, quanto si propenda ai tagli anche in settori particolarmente sensibili come sanità e previdenza sociale, quanto non si passi dalle parole ai fatti aumentando gli investimenti nella ricerca e nella innovazione e quindi limitando la competitività e lo sviluppo del nostro sistema di impresa, quanto si intende trovare risorse vessando le classi medie (commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, liberi professionisti) quasi a colpevolizzarli del fatto che si ritengono politicamente più vicini al centrodestra, quanto fingendo un federalismo fiscale che non è nel vostro DNA parlate di incremento di autonomia fiscale che per voi vuol dire aumentare le tasse a livello locale per non ridurle al centro.
Cari colleghi, non ci basta che il ministro nelle audizioni in parte riconosca il nostro buon lavoro, non ci basta che dai dati da voi inseriti nel DPEF risulti chiaro che in tutti i comparti della spesa socialePag. 140e sanitaria sono aumentati gli investimenti con il nostro Governo, vorremmo che gli italiani dopo anni difficili dovuti a fattori per lo più esterni al nostro sistema di controllo politico non perdessero l'occasione che la ripresa internazionale ci offre ed allora la speranza è che da oggi alla elaborazione della finanziaria prevalga la voglia di rendere possibile lo sviluppo del nostro paese e quindi anche l'approccio culturale e politico guardi più al futuro e meno alla conservazione, pensi più al cittadino e meno allo Stato; prevalga quindi all'interno delle vostre contraddizioni la linea più riformista e che la zavorra dell'ala radicale e antagonista che vi condiziona non inverta le lancette dell'orologio del tempo e ci faccia tornare indietro.
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ROSELLA OTTONE SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1042
ROSELLA OTTONE, Relatore sul disegno di legge n. 1042. È stato invece soppresso, durante l'esame in Commissione, accogliendo una proposta emendativa del Governo, l'articolo 18 riguardante la trasformazione del Centro nazionale di informazione e documentazione europea (CIDE) in relazione alla scadenza del contratto istitutivo del Gruppo europeo di interesse economico, in cui esso rientra. La Commissione europea ha ritenuto, infatti, di non rinnovare le convenzioni relative ai centri nazionali di informazione sull'Europa, offrendo ai Governi nuove forme di collaborazione, che prevedono accordi pluriennali con gli Stati membri per assicurare un contributo finanziario agli organi scelti e proposti dagli stessi. Il Governo ha, pertanto, ritenuto opportuno sopprimere la disposizione in esame e compiere ulteriori valutazioni al fine di individuare la soluzione migliore per l'adempimento di tale funzione informativa.
Durante l'esame in Commissione, sono stati, infine, aggiunti due ulteriori articoli. L'articolo 18-bis modifica il comma 2 dell'articolo 29 della legge n. 428 del 1990, concernente il rimborso di diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione e di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali indebitamente riscossi. La modifica in esame, che si rende necessaria a seguito della sentenza della Corte di giustizia del 9 dicembre 2003 e della successiva procedura di infrazione a carico dell'Italia, uniforma le modalità di rimborso, consentendolo nei casi in cui il tributo non è stato traslato su altri soggetti; prevede, inoltre, come richiesto dalla Corte di giustizia, che la prova di tale traslazione non possa essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni. Infine, il nuovo articolo 18-ter abroga l'articolo 4 della legge n. 183 del 1987, che istituisce un comitato consultivo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, presieduto dal Presidente del Consiglio o dal ministro delegato per il coordinamento delle politiche comunitarie, con compiti di studio e consulenza su questioni concernenti le attività comunitarie. L'abrogazione si rende opportuna in quanto le funzioni del comitato sono ora svolte dal Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei e dal Comitato tecnico permanente, istituiti dalla legge n. 11 del 2005. Sono inoltre soppressi i commi 2 e 3 dell'articolo 19 della medesima legge n. 183 che prevedono un compenso al personale chiamato a far parte della commissione per il recepimento delle normative comunitarie.
In conclusione, occorre sottolineare ancora una volta come la legge comunitaria per il 2006 abbia il merito di aver ridotto i tempi per l'adozione dei decreti legislativi attuativi delle direttive comunitarie, in particolare nei casi di direttive il cui termine sia già scaduto o sia in scadenza nei sei mesi successivi all'entrata in vigore
Pag. 141del provvedimento. Si tratta di importanti innovazioni, utili a velocizzare i tempi di attuazione della normativa europea e a ridurre il rischio, per il nostro paese, di incorrere in procedure di infrazione.
La legge comunitaria per il 2006 presenta come elemento di criticità il fatto di essere stata sottoposta all'attenzione del Parlamento con un certo ritardo dovuto all'ingorgo istituzionale che si è determi nato a causa delle elezioni per il rinnovo delle Camere e del Presidente della Repubblica, nonché per il referendum costituzionale. È importante che nel corso della legislatura si riesca ad approvare il provvedimento annuale in tempi più celeri.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto sommario e stenografico della seduta del 24 luglio 2006:
a pagina VIII, prima colonna, quinta riga, ed a pagina 57, prima colonna, ventinovesima riga, il nome «Santo Liotta» si intende sostituito dal seguente: «Raffaele Tecce».