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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 77 di lunedì 27 novembre 2006
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
La seduta comincia alle 10,30.
RINO PISCITELLO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 novembre 2006.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bafile, Bersani, Bindi, Bocchino, Boco, Bonino, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Piccoli, Duilio, Fioroni, Folena, Galante, Gentiloni Silveri, Lanzillotta, Letta, Levi, Melandri, Minniti, Parisi, Pecoraro Scanio, Pollastrini, Ranieri, Realacci, Rutelli, Santagata e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono trentadue come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.
PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 24 novembre 2006, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del regolamento, in sede referente, alla XII Commissione permanente (Affari sociali):
«Conversione in legge del decreto-legge 23 novembre 2006, n. 283, recante interventi per il risanamento economico della Fondazione Ordine Mauriziano di Torino» (1980) - Parere delle Commissioni I, II, V, VII, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
Annunzio della nomina dei componenti della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse e della sua convocazione.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse i deputati Romolo Benvenuto, Bruno Cesario, Giacomo De Angelis, Francesco De Luca, Lello Di Gioia, Luigi Fedele, Grazia Francescato, Pietro Franzoso, Pasqualino Giuditta, Ugo Maria Gianfranco Grimaldi, Salvatore Iacomino, Tino Iannuzzi, Angelo Maria Rosario Lomaglio, Marco Martinelli, Aurelio Salvatore Misiti, Giuliano Pedulli, Antonio Rugghia, Paolo Russo, Stefano Saglia e Michele Tucci. Pag. 2
Il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della stessa Commissione i senatori Salvatore Adduce, Franco Asciutti, Egidio Banti, Roberto Barbieri, Mauro Bulgarelli, Giuseppe Caforio, Antonio Franco Girfatti, Mauro Libè, Santo Liotta, Altero Matteoli, Vidmer Mercatali, Carmelo Morra, Magda Negri, Lorenzo Piccioni, Donato Piglionica, Ettore Pietro Pirovano, Giancarlo Pittelli, Giuseppe Scalera, Pasquale Viespoli e Valerio Zanone.
Il Presidente della Camera comunica, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Commissione è convocata per mercoledì 29 novembre 2006, alle ore 14,30, presso la sede di palazzo San Macuto, per procedere alla propria costituzione.
Su un lutto del deputato Ida D'Ippolito Vitale.
PRESIDENTE. Comunico che la collega Ida D'Ippolito Vitale è stata colpita da un grave lutto: la perdita della madre.
Alla collega la Presidenza della Camera ha già fatto pervenire le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.
Discussione del disegno di legge: S. 1069 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania (Approvato dal Senato) (A.C. 1922) (ore 10,38).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1922)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Margiotta, ha facoltà di svolgere la relazione.
SALVATORE MARGIOTTA, Relatore. Signor Presidente, colleghi deputati, siamo chiamati all'esame di un provvedimento complesso, la conversione in legge del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263 (A.C. 1922). Tale provvedimento è stato approvato dal Senato, con profonde modifiche, in data 9 novembre, trasmesso alla Camera il 10 novembre, ed esaminato, con le modalità che più avanti preciserò, dalla VIII Commissione.
Il provvedimento in esame scade l'8 dicembre prossimo. Tale termine di decadenza, connesso alla difficoltà di un ulteriore passaggio al Senato, considerato che tale ramo del Parlamento è impegnato nell'esame del disegno di legge finanziaria, determina, sul piano politico, una serie di considerazioni che costituiranno le conclusioni della mia relazione.
Innanzitutto, occorre descrivere la situazione di emergenza che ha reso necessario tale decreto e che può essere ben fotografata richiamando due circostanze. In primo luogo, vi è stata l'audizione che il capo del dipartimento della protezione civile, il prefetto Bertolaso, ha tenuto il 10 ottobre presso la 13a Commissione del Senato in cui si legge testualmente: «Alla data del 10 ottobre risultavano in strada 12 mila tonnellate di spazzatura non raccolta in provincia di Napoli, diecimila in provincia di Salerno e 5 mila rispettivamente nelle province di Avellino, Benevento e Caserta». Si tratta, quindi, di circa 38 mila tonnellate di spazzatura.
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In secondo luogo, vi sono state le dimissioni del prefetto Catenacci, rassegnate il 27 settembre 2006. Egli era stato nominato il 27 febbraio 2004, in sostituzione del presidente della regione Campania, a sua volta dimissionario.
Tale situazione di emergenza ha imposto l'adozione del decreto-legge in esame. Vorrei inoltre premettere alcune valutazioni all'esame del provvedimento. Per la particolarità della situazione nella regione Campania, l'emergenza non riguarda solo i rifiuti, ma anche l'ordine pubblico e i due aspetti, con l'aggiunta di problematiche di tipo igienico-sanitario, sono evidentemente connessi.
Nel dibattito in Commissione vi è stata unanime convergenza sul principio, affermato innanzitutto dal presidente della Commissione, onorevole Realacci, e sul quale tutti hanno convenuto (tra cui gli onorevoli Francescato, Mariani, Mereu, De Angelis, Dussin, Fasolino), secondo il quale bisogna cercare di tornare all'ordinario affinché l'emergenza, che dura dal 1994, non debba durare all'infinito. Il commissariamento è ovviamente sintomo di una patologia. Bisogna tornare alla fisiologia.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 10,40)
SALVATORE MARGIOTTA, Relatore. Da questo punto di vista, però, alcuni aspetti positivi, come dirò, si rinvengono nel testo modificato dal Senato. Innanzitutto, è previsto un limite temporale ben chiaro, fissato al 31 dicembre 2007.
In Commissione vi è stata condivisione unanime anche sulla valutazione, da tutti ritenuta gravissima, della situazione in Campania. Va detto ancora una volta, come il presidente Realacci ha precisato nel corso del dibattito in Commissione, che gli effetti della decadenza del decreto-legge sarebbero assolutamente disastrosi perché determinerebbero l'impossibilità, da parte del prefetto Bertolaso, di avvalersi dei poteri previsti dal provvedimento e, di conseguenza, di fare fronte all'emergenza.
Voglio subito dire che il primo aspetto su cui, a mio parere, bisogna assolutamente riflettere e porre attenzione è rappresentato dai risultati che Bertolaso, dal momento in cui il decreto-legge è stato adattato ad oggi, è riuscito a raggiungere. Ne cito alcuni. È stata riaperta la discarica di Villaricca; i rifiuti non sono più in strada (tale circostanza è stata attestata da tutti, anche da coloro che, politicamente, hanno avuto motivi di opposizione al decreto-legge); sono stati attivati rapporti con alcune regioni che consentono di destinare fuori dalla Campania 27.200 tonnellate di rifiuti; sono state individuate cave per la destinazione finale delle cosiddette ecoballe.
L'11 novembre è stato siglato un protocollo di intesa tra il commissario, la provincia e la città di Caserta per l'apertura di una discarica in località Lo Uttaro. Sono state conferite, tra il 9 ottobre 2006 e il 13 novembre 2006, 221 mila tonnellate di rifiuti presso gli impianti di selezione e vagliatura.
Voglio precisarlo perché dagli ottimi risultati già conseguiti discende la valutazione politica sull'importanza che il decreto-legge, così come modificato dal Senato, venga approvato rapidamente.
L'altro aspetto che voglio sottolineare riguarda il lavoro che ha svolto il Senato, ottimo e approfondito. Il testo è stato ampiamente modificato ed integrato con l'apporto positivo dell'opposizione, anzi, diverse proposte emendative presentate dal centrodestra sono state accolte.
L'opposizione si è poi astenuta sull'intero provvedimento. Degli otto articoli, tutti sono stati modificati eccetto l'ottavo, che fissa soltanto i termini di entrata in vigore.
Alcune volte gli articoli sono stati profondamente modificati ed integrati - ad esempio, l'articolo 5 - ma in altri casi, addirittura, come nel caso delle modifiche dell'articolo 4 (quello in materia di raccolta differenziata), hanno determinato il cambiamento dello stesso titolo del decreto, proprio a voler segnalare la portata delle modifiche apportate in Senato.Pag. 4
Vengo ora ad un rapido esame del testo, così come approvato dal Senato, su cui la Commissione mi ha dato mandato a riferire favorevolmente oggi in Assemblea. L'articolato è costituito da otto articoli. All'articolo 1, comma 1, viene individuato il nuovo commissario, nella persona del capo del dipartimento della Protezione civile, fin quando necessario e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2007 (della necessità di nomina del nuovo commissario, scaturente dalle dimissioni del prefetto Catenacci, ho già detto in premessa).
Al comma 1-bis si stabilisce che un'ulteriore successiva ordinanza definisca poteri ulteriori rispetto a quelli già previsti. Al comma 2 vengono individuate le finalità dei provvedimenti, in particolare, quello di assicurare la tutela degli interessi pubblici primari delle popolazioni e il concorso immediato delle amministrazioni. Il comma 3 precisa la facoltà di avvalersi di tre subcommissari. Uno è già stato nominato nella persona del prefetto Alfiero, con funzioni vicarie, un altro avrà compiti precipui in materia di raccolta differenziata, un altro per ulteriori specifici compiti. Inoltre, si fissa, nel comma 3, la possibilità di nominare una Commissione di cinque esperti in materia.
Al comma 4, di conseguenza, si prevede la riduzione dell'attuale organico della struttura commissariale, ciò anche al fine di garantire l'invarianza della spesa. Qui va detto che, attualmente, in organico risultano 117 unità e che per compensare i tre commissari ed i cinque esperti bisognerebbe diminuirli di 20 (tra l'altro, lo stesso Bertolaso, nel corso dell'audizione presso la Commissione del Senato ha evidenziato la sproporzione del numero di addetti rispetto ai 500 dell'intera Protezione civile).
Sempre al fine dell'invarianza della spesa, il prefetto Bertolaso si è impegnato a reperire uffici presso strutture pubbliche al fine di evitare l'ingente spesa per affitti che, prima della nomina di Bertolaso, era di circa 500 mila euro annui per quattro sedi. Questo è un altro risultato che già può essere ascritto al lavoro del prefetto, considerato che, effettivamente, in questo mese, sono stati reperiti locali a titolo gratuito in cui svolgere tali attività.
All'articolo 2, comma 1, si prevede che una successiva ordinanza stabilisca metodi e criteri per l'informazione e partecipazione dei cittadini in conformità della Carta di Aalborg. È stato evidenziato anche in taluni emendamenti che, forse più correttamente, andrebbe previsto: «in conformità con le direttive dell'Unione europea del 2003 - in particolare la n. 4 - e della normativa nazionale di recepimento». Tuttavia, è evidente che a ciò si può far fronte anche mediante atti di indirizzo.
Al comma 1-bis vengono precisate le modifiche per la composizione e le funzioni della consulta regionale. Al comma 1-ter si prevede il pieno coinvolgimento degli enti locali.
Con l'articolo 3, comma 1, di grande rilievo, si autorizza il commissario a ridefinire le condizioni di affidamento del servizio smaltimento rifiuti sulla base delle migliori tecnologie disponibili. Tale comma ha determinato il conseguente annullamento della procedura di gara indetta con ordinanza commissariale n. 281 del 2 agosto 2006. In ogni caso, a tale gara aveva partecipato un'unica ATI e anche da questo punto di vista è evidente che l'annullamento renderà possibile una valutazione comparata di più offerte.
Al comma 1-bis sono stabiliti i criteri per il passaggio di consegne di beni mobili ed immobili ai nuovi affidatari, in particolare, tenendo conto di vetustà e stato di manutenzione.
Naturalmente, viene adeguato al 31 dicembre 2007 il termine entro il quale gli attuali affidatari devono comunque assicurare la prosecuzione del servizio nel caso in cui non fosse stato possibile individuare nuovi affidatari.
Il comma 1-ter concerne un aspetto delicato poiché prevede la procedura per l'aggiornamento del piano regionale dei rifiuti. Si stabilisce che essa debba avvenire d'intesa con il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il presidente della regione, sentite le Pag. 5province e i comuni interessati. Si capisce che è importantissimo addivenire ad una riformulazione del piano regionale dei rifiuti e, a mio parere, è giusto anche prevedere un'intesa tra i diversi soggetti. È chiaro che tale previsione può rallentare il processo; ma non si capisce come si possa giungere ad una riformulazione del piano regionale dei rifiuti in mancanza di un'intesa: esso risulterebbe immediatamente inapplicabile.
In base al comma 2, il commissario delegato è tenuto ad individuare le soluzioni ottimali per le cosiddette ecoballe. Più precisamente, utilizzando la terminologia adottata dal Senato che ha modificato il testo originario, si tratta di balle di rifiuti trattati dagli impianti di selezione della regione nelle cave dismesse o abbandonate. A tal proposito, nell'ultimo mese di lavoro, il commissario ha svolto un'attività molto intensa tesa all'individuazione di alcune cave rispetto alle quali l'utilizzo di tali rifiuti può dar vita ad un ripristino ambientale con tecniche di ingegneria naturalistica tali da consentire un doppio vantaggio: da un lato, lo smaltimento dei rifiuti, dall'altro, il recupero di zone di paesaggio obiettivamente deteriorato.
All'articolo 4 si prevedono misure per la raccolta differenziata. Come dicevo, proprio le ampie modifiche apportate all'articolo 4 da parte del Senato, ha determinato il cambiamento dello stesso titolo del decreto-legge, che ha visto l'inserimento delle parole «Misure per la raccolta differenziata». Vorrei, a tal proposito, richiamare l'indagine conoscitiva che la Commissione ambiente sta svolgendo in questi giorni in materia di industria del riciclo: uno degli aspetti più importanti per arrivare alla fisiologia del ciclo integrato dei rifiuti cui facevamo riferimento.
Peraltro, in sede di indagine conoscitiva, il CONAI ha prodotto una cartina geografica che evidenzia come in Italia, al sud e, in qualche misura, anche al centro, in materia di raccolta differenziata siamo molto indietro rispetto alle altre zone del paese. Tuttavia, proprio l'articolo 4 mostra la volontà di uscire dall'emergenza. Lavorare sulla raccolta differenziata non è una misura emergenziale, bensì una misura di carattere fisiologico, che dovrebbe consentire di uscire dall'emergenza stessa. Quindi, anche se sono condivisibili alcune osservazioni sugli obiettivi forse troppo ambiziosi stabiliti al comma 1 (verifica da parte del commissario del raggiungimento dell'obiettivo minimo di raccolta differenziata pari al 35 per cento dei rifiuti prodotti e definizione di un programma teso a raggiungere il 50 per cento, anche mediante la nomina di commissari ad acta nelle amministrazioni inadempienti), a mio parere, è stato un bene che il legislatore li abbia posti, perché solo attraverso il raggiungimento di tali obiettivi si potrà uscire dall'emergenza.
Al comma 2 si stabilisce che, con ulteriore ordinanza commissariale, saranno individuati gli incentivi tariffari o le eventuali penalizzazioni in relazione al punto precedente.
Al comma 3 si determina l'obiettivo del recupero del 60 per cento degli imballaggi mediante un accordo di programma con il CONAI.
Nei commi 4 e 5 si precisano le misure per il coinvolgimento, a tal fine, dei consorzi operanti nelle diverse filiere del settore della raccolta differenziata.
Al comma 6 si precisa che tutto ciò deve avvenire con invarianza della spesa.
L'articolo 5 è stato profondamente integrato e modificato dal Senato. Intanto, al comma 1 si prevede l'utilizzo, fino alla fine dello stato d'emergenza, di discariche già autorizzate o realizzate dal commissario delegato-prefetto di Napoli, nonché di ulteriori discariche individuate dal nuovo commissario. Si prevede anche la possibilità, in via eccezionale, di trasferire fuori dalla regione una parte dei rifiuti: facoltà che, come ho detto in precedenza, è stata già esperita.
Al comma 2 si affidano ulteriori poteri al commissario per la sistemazione delle discariche, la messa in sicurezza e la bonifica dei territori interessati, anche con procedure di somma urgenza, al fine di aumentare le volumetrie disponibili. Si prevede, peraltro, la possibilità di utilizzare a tal fine i fondi del cosiddetto Pag. 6Programma operativo regionale (POR) per la Campania, capitolo «gestione rifiuti». Questa è obiettivamente un'altra previsione di grande rilevanza, perché il conferimento in discariche in Campania è molto più economico del trasporto fuori regione e rappresenta anche l'ipotesi più realistica. Per dare un ordine di grandezza, l'utilizzo di discariche in Campania ha un costo per lo smaltimento di 50 euro a tonnellata, mentre fuori regione ha un costo medio di 140 euro a tonnellata. Lo stesso prefetto Bertolaso, nell'audizione di cui dirò, ha affermato che in alcune regioni vi era stata una richiesta addirittura di 300 euro a tonnellata.
Ai commi 2-bis e 2-ter si prevede un contributo compensativo per i comuni sedi di impianti, discariche, siti di stoccaggio.
Il comma 2-quater contiene un'altra importante previsione: se le discariche, pur rimanendo in Campania, vengono ubicate in centri abitati limitrofi ad altre regioni, i presidenti delle stesse devono essere sentiti.
Ai commi 3 e 3-bis si precisano le modalità per il trasferimento dei rifiuti fuori regione, in seguito ad intese con le regioni interessate e ovviamente nella massima sicurezza ambientale e sanitaria.
Al comma 4 sono individuate disposizioni sul monitoraggio delle attività di cui al decreto.
Il comma 5 disciplina i poteri del commissario in materia di emergenza sanitaria, igiene, ordine e pubblica sicurezza.
Al comma 5-bis si prevede la facoltà di sospendere, d'intesa con le regioni interessate, il conferimento di rifiuti speciali provenienti da fuori regione.
Al comma 5-ter, si attribuisce al commissario la facoltà di proporre al presidente della regione modifiche al «piano cave», per i motivi detti in precedenza.
Al comma 6 - molto importante e delicato -, ci si occupa delle risorse per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione degli interventi previsti dal decreto-legge. Va detto che tale comma è stato completamente riscritto dalla Commissione bilancio del Senato e prevede di fare fronte a tali oneri mediante TARSU ed ulteriori dotazioni finanziarie disponibili su contabilità speciali intestate al commissario delegato e attraverso un contributo speciale per interventi in conto capitale di 20 milioni di euro per l'anno 2006, dunque per i pochi mesi che restano dell'anno in corso.
All'articolo 6 vi sono norme di interpretazione autentica, a proposito di esecuzione forzata e di impignorabilità di risorse destinate a finanziare le contabilità speciali intestate al commissario - in virtù di una situazione debitoria che il medesimo commissario ha trovato -, e di limitazioni di applicabilità del beneficio di sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.
L'articolo 7... Ho ancora qualche minuto, signor Presidente?
PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione sta per esaurirsi.
SALVATORE MARGIOTTA, Relatore. Allora vado velocemente alla parte più importante della relazione, nella quale si dà conto del dibattito in Commissione, che è stato molto sereno ed approfondito, pur nei termini ristretti a noi consentiti. Vi è stato il coinvolgimento di tutte le forze politiche, per ben quattro giornate, e si è riscontrata un'ampia convergenza sulle valutazioni politiche di prospettiva, oltre che sul giudizio critico relativo alla gestione dei vari problemi dei rifiuti in Campania.
Si è registrata poi una divergenza finale, invece, sul metodo: giovedì 16 ultimo scorso, su richiesta della minoranza e, in particolare, del deputato Paolo Russo, accolta prontamente dal presidente Realacci e dall'ufficio di presidenza, si è svolta l'audizione del dottor Bertolaso. Sono emersi i risultati sin qui ottenuti, già riportati in precedenza, e soprattutto il giudizio positivo del prefetto che, a precisa domanda del sottoscritto, ha affermato di ritenere adeguato il decreto rispetto ai compiti affidatigli.
Sono stati presentati numerosi emendamenti in Commissione (126), a firma di Misiti, Russo, Fasolino, Adolfo, Mereu, Mazzoni e Dussin. I corrispondenti emendamenti Pag. 7sono stati tutti respinti dalla Commissione, per le motivazioni che dirò tra breve.
Per quanto riguarda i pareri, il Comitato per la legislazione ha formulato alcune osservazioni. Le Commissioni I, VI e XI hanno espresso parere favorevole, mentre la XIV ha espresso parere favorevole con una osservazione, relativa alla questione della Carta di Aalborg. La Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere favorevole con osservazioni. La V Commissione, invece, ha espresso parere favorevole con condizione. Si tratta, però, di una condizione di carattere prevalentemente formale - direi lessicale - e, in ogni caso, non interviene su profili incidenti sull'osservanza dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione; pertanto, non aveva natura vincolante per la Commissione di merito, al pari dei rilievi espressi dalle altre Commissioni.
In definitiva, il giudizio sul decreto-legge in esame, nel testo approvato dal Senato, è largamente positivo; il provvedimento rappresenta un punto di equilibrio, come dimostrano molte proposte emendative, alcune tese a sminuire, altre a rafforzare i poteri del commissario. Lo stesso commissario lo ritiene efficace.
Considerata la acclarata situazione emergenziale, non appare percorribile un rinvio al Senato, con ulteriori modifiche, ai fini di una approvazione, entro l'8 dicembre prossimo, del disegno di legge di conversione. Il danno, per la Campania e per lo stesso Parlamento, che deriverebbe dalla decadenza del decreto-legge in esame sarebbe enorme e le conseguenze sarebbero disastrose. Molte delle proposte emendative presentate, ragionevoli, più che a contenuto normativo risultano come prescrizioni comportamentali rivolte al commissario e sono riconducibili ad atti di indirizzo. Il Governo, attraverso il sottosegretario D'Andrea, si è dichiarato disponibile a valutare, nei primi mesi del prossimo anno, a seguito di audizione del prefetto Bertolaso in sede di Commissione, i risultati ottenuti e ad adottare eventuali provvedimenti correttivi.
La Commissione, a maggioranza, ritiene che l'A.C. 1922 debba essere approvato nel testo risultante dalle modifiche apportate dal Senato al decreto-legge n. 263 del 9 ottobre 2006.
Mi scuso, signor Presidente, per essermi dilungato oltre il tempo a mia disposizione (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Popolari-Udeur e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Giuditta. Ne ha facoltà.
PASQUALINO GIUDITTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'approvazione di questo disegno di legge di conversione e l'imminente avvio dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse rappresentano un momento di forte assunzione di responsabilità da parte del Governo e del Parlamento nei confronti della grave emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, che in Campania è giunto ormai a livelli insopportabili. Non si può più attendere, si deve immediatamente intervenire anche con decisioni coraggiose. La conversione in legge di questo decreto-legge deve segnare l'inizio di una nuova strategia e dovrà necessariamente condurci alla fine dell'emergenza che, ormai, perdura da circa 13 anni.
Non sfugge ad alcuno che il settore dei rifiuti in Campania è giunto ad uno stato di forte degenerazione, sia sul piano operativo, sia sul piano squisitamente politico, al punto tale che la situazione è ritenuta da tutti quasi patologica. Voglio ricordare che la gestione commissariale in Campania iniziò nel febbraio 1994, come conseguenza dell'insufficiente sistema di smaltimento dei rifiuti costituito esclusivamente dalle discariche gestite dai privati. Tale gestione ha individuato come obiettivo la realizzazione di un nuovo piano regionale basato sulla costruzione di impianti di compostaggio e sulla produzione di combustibile derivato dai rifiuti che, Pag. 8però, non ha mai trovato una piena realizzazione, portando la situazione campana sull'orlo del collasso. Il piano regionale, inoltre, fu introdotto anche allo scopo di proteggere il settore dei rifiuti dalla ingerenza della criminalità organizzata.
La grave emergenza che la Campania vive è confermata anche da cifre estremamente preoccupanti che riguardano i rifiuti giacenti a terra fino a qualche settimana fa: 12 mila tonnellate di spazzatura invadevano le strade della provincia di Napoli, 11 mila tonnellate nelle strade della provincia di Salerno, 8 mila nella provincia di Caserta e 5 mila tonnellate di rifiuti si trovavano nelle strade delle province di Avellino e Benevento. Cifre drammatiche, tali da rendere impossibile ai cittadini di questa regione anche lo svolgimento delle normali attività del vivere civile.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dei Popolari-Udeur è favorevole all'approvazione del provvedimento in esame. A nostro avviso, infatti, la scelta del capo della protezione civile quale commissario delegato, con la possibilità di coinvolgere anche le strutture della protezione civile, lo snellimento dell'attuale struttura commissariale, la fissazione del termine massimo entro il quale uscire dall'emergenza al 31 dicembre 2007 e l'indicazione di un percorso per giungere al superamento dell'emergenza sono obiettivi che dobbiamo assolutamente raggiungere.
Era necessario dare un segnale di discontinuità rispetto alle precedenti gestioni commissariali che, in molti casi, hanno prodotto notevoli storture in quanto, agendo senza un'adeguata programmazione, senza precisi obiettivi e in deroga a qualsiasi normativa, hanno consentito atti che spesso, in mancanza di regole certe, non hanno contribuito ad arginare la cultura del malaffare e della corruzione.
Noi, come gruppo dell'Udeur, consideriamo il provvedimento soddisfacente e non presenteremo ulteriori emendamenti. Certo, nonostante l'apprezzabile ratio del decreto-legge, il testo è sicuramente migliorabile con l'attuazione di interventi correttivi. Tuttavia, questo potrà accadere solo dopo la verifica del lavoro svolto dal commissario delegato, prevedendo audizioni periodiche da parte del Parlamento affinché si possa valutare concretamente l'efficacia dell'azione svolta nel corso della sua gestione. Il commissario non può più rappresentare un alibi. La regione Campania deve assumersi le proprie responsabilità ed intraprendere tutte le azioni necessarie per attivare tutti gli strumenti di propria competenza ed arrivare, nel più breve tempo possibile, alla messa a regime del ciclo integrato dei rifiuti, evitando, così, di trovarci tra un anno a fronteggiare di nuovo l'emergenza, che rappresenterebbe un fatto gravissimo ed inaccettabile.
Non basta solo il commissario per uscire dalla crisi: per la messa a regime del ciclo integrato dei rifiuti c'è bisogno che la regione Campania, con il contributo diretto dei comuni e delle province, approvi nel più breve tempo possibile la legge regionale che prevede la costituzione degli ATO provinciali, un provvedimento ormai non più differibile. La provincializzazione dei rifiuti significa anche che ogni provincia deve raccogliere e smaltire i rifiuti che produce, con un coinvolgimento degli enti locali e dei cittadini. Questi ultimi devono riacquistare la fiducia nelle istituzioni e, al tempo stesso, cooperare alla soluzione della problematica.
Con l'emendamento approvato al Senato si evidenzia anche che non possono essere utilizzate le discariche di Ariano - Difesa Grande, Tufino e Villaricca perché ritenute ormai sature. Le responsabilità sono tantissime, ma è necessario guardare al futuro. Per anni tutta la classe politica ed amministrativa non è stata capace di realizzare un piano di rifiuti che prevedesse anche la costruzione di termovalorizzatori per bruciare il combustibile da rifiuto e produrre energia. Su questo punto è necessario fare chiarezza: realizzare finalmente impianti per smaltire i rifiuti all'interno del territorio regionale è una condizione fondamentale ed imprescindibile. Anche per questo, è necessario combattere e sradicare gli interessi della criminalità organizzata che nel settore dei Pag. 9rifiuti hanno ostacolato in tutti i modi la realizzazione dei termovalorizzatori impedendo, di fatto, la messa a regime del ciclo integrato dei rifiuti. Basti pensare che il business dell'ecomafia ammonta a quasi 180 miliardi di euro e che i clan criminali coinvolti nell'illegalità ambientale sono diverse centinaia.
Accogliamo anche con favore, e riteniamo che sia un altro punto centrale della nostra azione politica per combattere la criminalità organizzata, la recente iniziativa dei ministri della giustizia, Mastella, e dell'ambiente, Pecoraro Scanio, i quali hanno proposto di inserire gli ecoreati nel codice penale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'approvazione di questo provvedimento rappresenta per noi dell'Udeur una significativa svolta, sia perché per la prima volta si stabiliscono tempi certi, sia perché si indica un percorso chiaro per porre definitivamente termine alla gestione dell'emergenza nel settore dei rifiuti in Campania. Auspico, pertanto, l'approvazione del testo con la più ampia convergenza da parte delle forze politiche, in quanto per tutti potrà rappresentare l'avvio di un proficuo lavoro che potrà portare alla soluzione definitiva di questo annoso problema.
Signor Presidente, il gruppo dell'Udeur annuncia quindi il voto favorevole sul provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Germontani. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, seguendo l'esame del disegno di legge di conversione ai fini dell'espressione del parere da parte della VI Commissione, di cui sono componente in rappresentanza del mio gruppo, sono intervenuta non esprimendo una posizione favorevole. Sono abituata a ritenere che l'emergenza sia una situazione critica circoscritta ad un breve periodo di tempo: a giudicare dal disegno di legge che stiamo analizzando, pare invece che non sia così. Sono anni che, puntualmente, ritorna alla ribalta della cronaca il problema dei rifiuti in Campania e, nonostante i risultati fallimentari prodotti dal sistema del commissariamento, si è deciso, attraverso questo provvedimento d'urgenza, di continuare su questa strada.
La situazione in Campania è gravissima, è vero, ma basterebbe che le amministrazioni locali e le province svolgessero adeguatamente il proprio lavoro. Sono anni che Alleanza Nazionale sottolinea gli sprechi della giunta Bassolino non solo per quanto riguarda i rifiuti, ma anche in tema di sanità e con riferimento a consulenze inutili e costosissime. E oggi, attraverso questo disegno di legge - bene ha detto il relatore definendolo complesso -, ci stiamo comportando con la regione Campania come una madre iperprotettiva, mentre si sa che se i figli sono troppi coccolati non crescono, non maturano e non imparano ad assumersi le proprie responsabilità.
Dobbiamo sradicarci da quell'idea di Stato assistenzialista che spreca i soldi dei cittadini in nome di risultati regolarmente disattesi. Bisogna riflettere sull'uso, anzi sull'abuso, del denaro pubblico per motivi falsamente sociali e solidaristici. Come esempio concreto richiamo la vicenda della FIAT, che certamente non è stata assistita durante il Governo di centrodestra: in varie occasioni il presidente del mio partito, Gianfranco Fini, ha sottolineato come oggi la FIAT abbia superato la crisi senza bisogno di intervento pubblico, e questo perché ha saputo mettere ordine nella sua gestione aziendale grazie ad un bravo amministratore delegato, quale è Marchionne.
La buona amministrazione è dunque il segreto dell'economia. Tale termine viene dal greco antico; infatti il vocabolo ??????µ?a significa, appunto, amministrare. Pertanto, se oggi la FIAT riconquista quote di mercato e rimette in ordine i propri conti, ciò è dovuto a due circostanze: la prima è legata al fatto che, non avendo ottenuto finanziamenti pubblici, si è liberata da quella sorta di droga rappresentata dall'assistenzialismo; la seconda consiste nell'aver puntato e rafforzato le proprie Pag. 10professionalità e il proprio management, che erano stati soffocati per anni dagli accordi demagogici tra sindacati e industria.
Tornando all'argomento all'ordine del giorno, riteniamo che la Campania, questa importante regione che tutti amiamo, non abbia più bisogno di amministratori come Bassolino: servono, piuttosto, amministratori come Marchionne, che risolvono i problemi senza attingere al denaro dei cittadini italiani.
Ricordiamo per inciso che, quando la Commissione ambiente del Senato si è impegnata per tentare di risolvere il problema dell'emergenza rifiuti in Campania, il presidente Bassolino non si è neppure degnato - pur ripetutamente convocato - di partecipare alle audizioni. Questa è la chiara dimostrazione del totale disinteresse non solo per l'emergenza rifiuti, ma anche per ogni questione che riguardi i cittadini della sua regione.
La questione dei rifiuti in Campania è così intricata e composta che parrebbe di leggere un romanzo distopico alla Orwell, se non fosse terribilmente reale. In Campania sono stati istituiti 18 consorzi, proprietari i comuni, che dovrebbero occuparsi della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti; complessivamente, essi dispongono di 2.400 dipendenti che costano ai cittadini 4 milioni 800 mila euro al mese. Stiamo parlando di lavoratori che si recano sul posto di lavoro e che, in larga parte, rimangono con le mani in mano perché i mezzi a disposizione non ci sono o, cosa ancora più grave, non funzionano; nessuno, però, li ripara! E il materiale necessario per la raccolta differenziata (bidoni, cassonetti, raccoglitori per il vetro, eccetera) giace spesso inutilizzato nei depositi.
Anche a Napoli i dipendenti del consorzio non lavorano perché non dispongono dei mezzi necessari e il comune, invece di dotarli di attrezzature adatte, assegna all'ASIA - per il 51 per cento comunale e per il 49 per cento privata - l'igiene ambientale. Quest'ultima, a sua volta, affida in appalto a ditte private i servizi di raccolta differenziata, con conseguente spreco di ingenti quantità di denaro.
Poi è vi è la questione della FIBE, una società privata che gestisce il trasporto e lo stoccaggio di ecoballe, di cui diviene proprietaria.
Di conseguenza, il combustibile derivato dai rifiuti, che potrebbe fruttare circa 600 milioni di euro, rimane in mano ai privati; se gli enti locali gestissero direttamente il processo di smaltimento, tali risorse affluirebbero invece nelle casse comunali.
Sono solo due esempi di un carrozzone che, di fatto, è servito a «riciclare» - questa volta, sì - tutti quei privati che, per anni, hanno gestito il settore tra polemiche, denunce e arresti per situazioni compromettenti (in alcuni casi, veri e propri sodalizi per gestire il business dei rifiuti). Si tratta di una situazione ormai fuori da ogni controllo giacché, appunto, in nome dell'emergenza, si chiudono gli occhi sull'effettiva natura di alcune società che stanno gestendo la situazione, soprattutto nel settore dei trasporti e nella gestione dei siti di stoccaggio dei rifiuti. Il commissariato di Governo, rafforzato dall'ennesimo provvedimento - che istituisce, appunto, la consulta regionale per la gestione dei rifiuti, con subcommissari e consulenti -, alla fine protegge tutti. Tutto ciò, ovviamente, fa lievitare i costi a dismisura, tanto che già si sono moltiplicati fino a sei volte, con una spesa ormai assolutamente fuori controllo.
A mio avviso, peraltro, la crucialità del problema rifiuti pone anzitutto una sfida di carattere culturale; è fondamentale informare in modo scientificamente corretto sui pro e sui contro di ogni soluzione tecnica e gestionale, al fine di cancellare dubbi e paure, senza indulgere all'emotività, senza fomentare, come fanno sedicenti ecologisti, folle male informate. Infatti, la scarsa informazione e le poche competenze, unite a sicuri e perversi interessi economici e politici, finiscono indubbiamente con il palesare e l'accrescere l'emergenza.Pag. 11
Scioglimento delle resistenze locali e riforma del progetto complessivo appaiono, dunque, strettamente collegate; due elementi indispensabili per bloccare la spirale perversa che ha creato il caso Campania. Per anni, le discariche disponibili sono state riempite di rifiuti in gran parte illegali ed importati dalle regioni più industrializzate; quando la magistratura è dovuta intervenire per chiudere gli impianti che avevano prodotto i danni maggiori, non si sono trovate alternative, sicché, alla fine, i camion con i rifiuti sono tornati presso gli stessi luoghi dove avevano già seminato veleni.
La chiusura del ciclo dei rifiuti è una meta che ogni comunità deve riuscire a raggiungere all'interno del proprio territorio; ridurre i rifiuti nei processi industriali come nelle attività commerciali (e finanche, infine, nei comportamenti individuali) è presupposto obbligato per ogni politica che voglia affrontare seriamente il problema.
Differenziare il più possibile ciò che non si può più utilizzare è il secondo fondamentale passaggio che comporta anch'esso una connessione con le attività industriali e commerciali. La raccolta differenziata è tanto più agevole a farsi quanto più è diffuso l'utilizzo delle materie seconde, dalla carta riciclata alla plastica, dal vetro ai metalli, dai calcinacci provenienti dalle demolizioni in edilizia agli scarti industriali, e via dicendo.
Infine, vi è la necessità di un dialogo, franco e serrato, sugli indispensabili impianti di smaltimento finale, compresi gli inceneritori con il recupero di energia e calore. Sulla base di considerazioni di carattere sia energetico sia ambientale, ritengo che la strada maestra sia quella di promuovere anzitutto campagne di sensibilizzazione per incentivare la raccolta differenziata; poi, chiudere le discariche, ormai al collasso, e, quindi, provvedere alla bonifica del territorio aprendo nuove discariche secondo moderni metodi che permettano di produrre energia elettrica attraverso il biogas. Ancora, bisogna individuare impianti di termovalorizzazione a servizio di significativi bacini di produzione inseriti organicamente in un sistema di gestione nel quale si realizzano le raccolte differenziate di quelle frazioni per le quali risulti conveniente il recupero. In Italia, abbiamo ottimi esempi che dimostrano come tale sistema possa funzionare, primo tra tutti il termovalorizzatore di Brescia, sito nella mia zona, che è stato dichiarato il migliore impianto del mondo. A certificarlo è il Waste to energy research and tecnology council, un organismo, indipendente e formato da scienziati e tecnici di tutto il mondo, promosso dalla Columbia university di New York. Il termovalorizzatore di Brescia produce 1.100 chilovattora l'anno che soddisfano un terzo del fabbisogno di calore della città. Manca un vero e proprio sistema integrato di gestione in cui la riduzione dei rifiuti, il riciclaggio ed il recupero energetico siano tra loro complementari e sviluppati contestualmente come alternativa alle discariche, senza privilegiare schemi rigidi di gestione ma proponendo sul territorio soluzioni operative e tecnologiche sulla base delle esigenze presenti e future e dei vincoli dello stesso territorio.
Concludo rilevando che, per estirpare le «mele marce», a volte servono non grandi interventi, ma grande responsabilità collettiva. La criminalità fiorisce ed opera laddove le istituzioni sono carenti. Uno Stato efficiente e capace non ha bisogno di interventi d'urgenza, ma previene e controlla. Pertanto, ritengo che il provvedimento sull'emergenza rifiuti farà solo ricadere sui cittadini campani, attraverso la Tarsu, le colpe degli amministratori locali.
Chiudiamo l'era commissariale, ancora protagonista di questo provvedimento - era che non ha finora prodotto risultati - e passiamo alla gestione ordinaria affidata a buoni amministratori, che abbiano realmente a cuore il bene dei cittadini napoletani: questo, sì, è a cuore di tutti noi italiani (Applausi)!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Dussin, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.Pag. 12
È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,20)
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, ancora una volta torna all'attenzione dell'Assemblea il tema dell'emergenza rifiuti nella regione Campania. Il senatore Sodano, relatore per la maggioranza, nell'illustrare nell'aula del Senato i temi contenuti nel decreto-legge n. 263 del 2006, con la propria relazione ha definito di inaudita gravità la situazione in cui versa il settore dei rifiuti in Campania, evidenziando, inoltre, come non siano immuni da responsabilità le politiche adottate dagli amministratori campani, contraddistinte da scelte fallimentari e dall'incapacità mostrata nell'affrontare l'emergenza. Ma la situazione, oltre che grave, si è dimostrata anche drammatica, se si considera che sulle strade si è arrivati a contare 40 mila tonnellate di rifiuti, cui si aggiunge la produzione giornaliera, stimata in oltre 7 mila tonnellate, che rende le aree urbane invivibili e persino impraticabili, a causa della totale assenza sul territorio di impianti di smaltimento.
Dopo dodici anni di emergenza rifiuti, ci troviamo a discutere l'ennesimo provvedimento legislativo d'urgenza, che prova a porre rimedio all'incapacità amministrativa locale. La catastrofica situazione emerge a chiare lettere dalle conclusioni alle quali pervenne, nella legislatura conclusasi nell'anno 2001, la Commissione bicamerale sull'emergenza rifiuti, che stimò necessario un arco di tempo dai 35 ai 50 anni per poter smaltire il carico di rifiuti accumulati nella regione Campania. Tale dato dimostra la grave responsabilità della regione ed, in primis, del suo attuale «governatore», che ha avuto la responsabilità della gestione del settore per circa 6 anni. L'ex commissario Bassolino ha avuto la capacità di sperperare ingenti risorse finanziarie, senza segnare alcun miglioramento, senza dare alcuna apprezzabile soluzione al problema, consegnando così alla gestione commissariale a lui subentrata una situazione incancrenita ed in pieno collasso. Dagli atti dei procedimenti penali celebrati a carico di imputati eccellenti coinvolti nell'affare rifiuti, si ricava testualmente che la camorra napoletana e casertana controlla uno tra i più grandi business dell'economia nazionale, qual è il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti. In tale settore, tutto avviene in dispregio e contro le regole. Tutto è controllato dalla camorra e da uno scellerato patto tra malavita, imprenditori e politici.
Oggi dobbiamo constatare che il decreto-legge in esame è un provvedimento di incerta copertura finanziaria e a mio avviso il Presidente della Repubblica, in ottemperanza a quanto prescritto dall'articolo 81 della Carta costituzionale, non dovrebbe apporre la propria firma per la promulgazione della legge, attesa non solo la carenza di ogni riferimento ai mezzi finanziari necessari per far fronte agli oneri connessi alla sua applicazione, ma persino la mancanza di ogni ipotesi di quantificazione della spesa da affrontare per l'applicazione del provvedimento.
Nel merito dei contenuti del decreto-legge, si riscontra un'articolazione del tutto anomala, che affida il meccanismo dell'individuazione delle risorse ad aumenti tariffari, oppure all'introduzione di nuovi strumenti di fiscalità locale, ribaltando a carico dei cittadini e dei contribuenti campani le onerosissime conseguenze del malgoverno della regione Campania.
L'adozione di tale meccanismo di finanziamento della spesa, di incerta quantificazione, e la conferma dell'attribuzione dei poteri alla prevista gestione commissariale porteranno inevitabilmente alla conseguenza che l'irresponsabile condotta della giunta Bassolino sarà scaricata sui cittadini campani. Essi saranno i soggetti passivi di un perverso impianto finanziario che li vedrà costretti a corrispondere importi, a copertura degli interventi, per iniziative che il commissario e i subcommissari Pag. 13da questo designati decideranno di realizzare per tentare di superare l'emergenza.
Inoltre, si tratta di importi di impossibile quantificazione, perlomeno sotto il profilo previsionale, sicché il contribuente campano è costretto ad accollarsi gli oneri della malagestione dei rifiuti non essendo in grado di conoscere neppure l'entità della sua esposizione per la gestione del comparto, affidato alla gestione commissariale straordinaria. Di questo i cittadini, in quanto elettori, terranno certamente conto quando saranno chiamati a giudicare i risultati di una gestione regionale a dir poco fallimentare.
In conclusione, atteso che, sul piano politico, le colpe e le responsabilità sono state ormai acclarate da ogni parte politica e indiscutibilmente attribuite alla giunta regionale della Campania oggi in carica, auspico che si faccia chiarezza anche attraverso lo strumento di controllo finanziario operato dalla Corte dei conti, in modo da accertare, in maniera approfondita, l'entità del denaro pubblico sperperato, individuando, così, i responsabili a cui addebitare l'oneroso carico fiscale, che non ha portato alcuna soluzione seria al problema dell'emergenza rifiuti (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, questa è la storia di un disastro annunciato. È una storia di ordinaria follia ai limiti del paradosso. Infatti, quando si ha a che fare con l'argomento rifiuti, sconfinare nel surreale è facile. Nella nostra società iperconsumista, basata sul criterio dell'usa e getta, è surreale il fatto che un bene di consumo diventi un rifiuto in un batter di ciglia. Per esempio, quel bicchiere di plastica che qui utilizzo per bere è un bene di consumo mentre lo reggo, ma quando, dopo aver bevuto, lo butto, esso diventa, in un batter di ciglia, un rifiuto; se ci pensate, questo è un gesto assolutamente irrazionale e assurdo. Noi stessi qui produciamo tonnellate di rifiuti e non sarebbe male se ogni deputato avesse la sua tazza da appendere sotto al banco e usasse solo quella.
Naturalmente, a questa dissennata produzione dei rifiuti corrisponde, come in ogni vicenda umana, una nemesi, un contrappasso: il rifiuto si rifiuta di essere tale, mostra una seccante tendenza a non scomparire e a non togliersi di mezzo, tende testardamente a ripresentarsi e a ritornare tra i piedi (pensate al sacchetto di plastica buttato dalla casalinga che ci ritroviamo, come un festone, lungo il fiume o al barattolo di conserva che, magari, si ripresenta sulla spiaggia, mentre facciamo il bagno), o forse si trasforma, come accade ai fanghi e alle polveri che rimangono dopo un ciclo di smaltimento dei rifiuti. Comunque, alla fine, dobbiamo mettere questo rifiuto da qualche altra parte.
Questa nemesi, che è un'autentica metafora della nostra società, basata sui consumi e sui rifiuti, è, dunque, sempre presente nei cicli di gestione dei medesimi ovunque nel mondo, e nel nostro paese, dove questa gestione ha tutte le pecche che conosciamo, tende a raggiungere vette desolanti. Non è un caso se su 244 procedure di infrazione avviate dall'Unione europea contro l'Italia, ben 69 riguardano la materia ambientale. E cosa troviamo in testa all'hit parade? Naturalmente, i rifiuti, con 19 procedure di infrazione!
Ma se la gestione dei rifiuti lascia, quindi, molto a desiderare in tutto il paese (e ci ritroveremo puntualmente il problema tra poco, con la revisione del decreto legislativo n. 152 del 2006), è in Campania che il paradosso esplode nelle sue forme più desolanti. Si tratta di una sorta di «econovela horror», in cui nessuna puntata è andata per il verso giusto, a cominciare dalla falsa partenza, o meglio, proprio a causa dell'impostazione iniziale, che riteniamo profondamente errata.Pag. 14
Infatti, il cosiddetto piano regionale Rastrelli (ricordo che era stato firmato da Antonio Rastrelli, di Alleanza Nazionale) poteva essere riassunto nello slogan «bruciamo subito, bruciamo tutto!» e prevedeva, addirittura, la costruzione di termovalorizzatori talmente capienti che avrebbero potuto incenerire la spazzatura non solo della Campania, ma di tutto il sud!
Sia pure con qualche correzione, tale piano è stato fatto proprio - errore fatale! - dalla gestione Bassolino. Noi Verdi, che abbiamo avversato detto piano sia quando portava la griffe di Rastrelli, sia quando recava la firma di Bassolino, ne abbiamo subito denunciato il vizio iniziale, cioè il mancato rispetto della famosa regola delle tre «r» (vale a dire riduzione dei rifiuti all'origine, raccolta differenziata e riciclo), la quale fa la differenza tra un ciclo di smaltimento dei rifiuti che funziona ed uno che fallisce.
Non sarà un caso se proprio questa è la filosofia ispiratrice delle direttive europee in materia - mi riferisco alla necessità di seguire il rifiuto «dalla culla alla tomba» -, a cominciare dalla direttiva quadro 75/442/CEE e dalla strategia per la prevenzione ed il riciclo dei rifiuti presentata dalla Commissione europea il 21 dicembre 2005. Ricordo, a tale riguardo, che la proposta di direttiva per aggiornare la citata normativa quadro sarà esaminata, in prima lettura, dal Parlamento europeo nel febbraio 2007.
Come dicevo, non sarà un caso se quello menzionato è il principio ispiratore della normativa dell'Unione europea in materia e, naturalmente, del cosiddetto decreto Ronchi, che ha recepito le direttive in tale ambito.
Da questa errata impostazione iniziale, dunque, sono derivati gli errori successivi, a cominciare dal bassissimo tasso di raccolta differenziata, in media l'11 per cento (così rivelano le statistiche) rispetto al 35 per cento richiesto dalla normativa vigente. Si tratta, in realtà, di un dato assai disomogeneo. Chi conosce la Campania, infatti, sa bene che la raccolta differenziata è quasi inesistente in alcune aree di Napoli e dell'hinterland napoletano, mentre magari nel salernitano raggiunge percentuali dignitose e, in alcuni casi, decisamente virtuose: penso, ad esempio, a piccoli comuni, come Mercato San Severino, o a città medio-piccole, dove la percentuale di raccolta differenziata raggiungere anche il 65 per cento.
A tale carenza in materia di raccolta differenziata si aggiunge, ovviamente, una lacuna notevole nel campo del riciclo, persino in settori dove esso è virtuoso a livello nazionale. Vorrei portare un esempio in tal senso: la raccolta degli oli usati, che in Italia si colloca all'84,2 per cento, punta quest'anno a raggiungere un nuovo record. Tutte le regioni mostrano un trend di crescita o perlomeno stazionario; in decrescita risultano soltanto la Sicilia, l'Abruzzo e, naturalmente, la Campania, la quale ha la «maglia nera», con un decremento da 9.576 a 7.721 dal primo trimestre 2005 al primo trimestre 2006!
Ma non basta. Come sapete, in questa tragica «econovela», in Campania c'è un ingrediente in più: le famigerate ecoballe, l'unico combustibile da rifiuti che non brucia, a meno che non sia additivato con benzina. Si tratta di ecoballe prodotte da sette impianti di combustibile da rifiuti e «provvisoriamente» - si tratta di uno stoccaggio definitivo, visto che nessuno sa cosa farsene - stoccate in 500 siti: parliamo di cinque milioni di tonnellate di ecoballe!
Non voglio tuttavia ripercorrere, tappa su tappa, le tragiche puntate di questa storia, come la tragedia delle 5 mila discariche abusive, dei sequestri e delle riaperture e delle ribellioni popolari contro la costruzione dei due termovalorizzatori. Ricordo soltanto che il primo termovalorizzatore è previsto in un'area già disastrata come Acerra, dove, a causa dell'inquinamento del territorio, l'indice di mortalità per tumori al fegato sfiora il 36 per cento, contro una media nazionale del 14 per cento; il secondo, quello di Santa Maria La Fossa, è in attesa di VIA da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Insomma, per riassumere, in questo caso non vi sono le tre «r» (l'unica Pag. 15garanzia di un sano ciclo di smaltimento), non vi è un CDR degno di questo nome, non vi sono termovalorizzatori (ricordo che siamo contro l'installazione di termovalorizzatori, a meno che non siano usati secondo le direttive indicate dal cosiddetto decreto Ronchi) o impianti di smaltimento che utilizzino tecnologie il più possibile avanzate!
In compenso, vi sono 5 mila discariche abusive, 7.500 tonnellate di rifiuti al giorno e 5 milioni di ecoballe. Vi è inoltre - ed arrivo al punto che collega il tema dello smaltimento dei rifiuti alla legalità -, come sapete, un clamoroso giro d'affari per la camorra, che prospera sulla speculazione per i siti di stoccaggio, nonché sul controllo delle discariche abusive e dei trasporti illegali dei rifiuti.
Ricordo che in Italia vengono commessi tre reati ambientali all'ora, che più di 200 sono i clan coinvolti e che il giro d'affari dei traffici illegali ammonta a 27 miliardi di euro in dieci anni. A tale riguardo, desidero rinviare anche all'immensa mole di lavoro realizzata dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse per la completa radiografia del fenomeno criminoso che si nutre di questo ciclo patologico e che lo alimenta, in un circuito vizioso da cui sembra assai difficile (e, a volte, francamente impossibile) uscire.
Qui arriviamo alla domanda chiave: come se ne esce? In tutto il paese, ma in particolare in Campania (che rappresenta un po' la summa di tutte queste patologie), ci hanno provato con un commissariamento, lungo tredici anni, che non ha dato frutti e che non ha potuto impedire che la situazione precipitasse, dando origine a quell'emergenza infinita che oggi ci troviamo ad affrontare.
Come se ne esce? Sarebbe bello poter rispondere con questo decreto o con la decisione, peraltro sensata, presa dal Ministero dell'ambiente di mettere un ex generale dei carabinieri, Roberto Iucci, un uomo tutto di un pezzo, a fare la guerra alla «monnezza» al comando di una task force che dovrebbe rimettere in sesto questa disgraziata gestione dei rifiuti, a cominciare dalla negletta raccolta differenziata. Tuttavia, non saremmo onesti e non faremmo un servizio al Paese, se non dicessimo - credo che su questo siamo tutti d'accordo, in particolare noi Verdi, da sempre contrari ai commissariamenti prolungati ed al ritorno alle procedure ordinarie - che un ulteriore commissariamento, anzi un «supercommissariamento», è in primis una dichiarazione di fallimento ed una sconfitta.
Certo, ci sono le attenuanti del caso. Il decreto che stiamo per convertire in legge è un vestito fatto su misura per una persona, il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, che gode della nostra totale stima e fiducia e che sicuramente avrà la capacità, se gli daremo pieni poteri e metteremo la sua struttura in grado di funzionare, di arginare, almeno parzialmente, l'emergenza. Il secondo punto che attenua la nostra opposizione al prolungamento del commissariamento è la previsione di una precisa data, il 31 dicembre 2007, per superare il commissariamento stesso. In terzo luogo - ed è questo il fatto più importante che ci convince ad esprimere un voto favorevole alla conversione in legge del decreto - grazie ad un lavoro capillare e sostanziale svolto al Senato e a modifiche importanti nella direzione da noi ritenuta positiva, possiamo guardare a tale normativa non come all'ennesimo capitolo di un'«econovela horror», ma come ad un reale punto di svolta, ad una exit strategy che permetterà l'avvio di un percorso di ritorno alla tanto sospirata normalità e alla produzione di un ciclo finalmente corretto dello smaltimento dei rifiuti in Campania.
È in questo spirito e solo a queste condizioni che noi Verdi accettiamo questo decreto, per dare alla Campania quel segnale positivo da parte del Parlamento che tutti i cittadini onesti di questa disgraziata regione attendono da tempo.
Tuttavia - non nascondiamocelo - la conversione in legge di questo decreto-legge non basta, anzi esiste il pericolo che tra un anno ci si possa trovare di nuovo impantanati in una palude ancor più maleodorante, Pag. 16se non avvieremo fin d'ora, con atti di indirizzo adeguati, la soluzione dei problemi ancora irrisolti. Ciò a cominciare dalla remissione, direi dal ribaltamento, del piano regionale dei rifiuti, con la redazione di un nuovo piano che metta al centro le tre «r» e nuove tecnologie di smaltimento, facendola finita con situazioni rigide tipo quella adottata con l'affidamento alla FIBE e privilegiando invece impianti che siano possibilmente di piccole dimensioni, diffusi sul territorio e che producano meno emissioni possibili, anche per tagliare le gambe all'attività dei trasporti, su cui prospera la camorra. Quindi, dovrà essere prevista anche una difesa forte contro le infiltrazioni del sistema camorristico.
Il punto chiave è naturalmente quello di decidere chi redige il piano e quando. Noi siamo d'accordo che occorra in proposito una larga intesa ed una condivisione tra Ministero, regione, enti locali e struttura del commissariato e che si debba anche indicare una scadenza, un termine preciso per evitare che la situazione si trascini e torni a degenerare dopo che Bertolaso avrà terminato il suo compito.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 11,38).
GRAZIA FRANCESCATO. Last, but not least, vanno considerati i costi. Non ricorrerò in questa sede al grottesco balletto delle cifre che tante volte ci ha stupefatto ed indignato. Mi riferisco ai mille miliardi di lire allegramente gestiti dal 1994 al 2004, agli stipendi esagerati, alle consulenze da un miliardo non di rado mai consegnate, ai debiti vertiginosi. Bertolaso ci ha parlato di un debito di 520 milioni di euro e di una perdita secca di 5 milioni di euro al mese. È evidente che non basterà il ricorso previsto da questo decreto alle risorse derivanti dalla TARSU e dalle ulteriori dotazioni finanziarie rintracciabili nella contabilità speciale intestata al commissario delegato. Bisogna calcolare quali risorse aggiuntive saranno necessarie e a chi spetterà spostare le medesime. Noi siamo a favore di soluzioni trasparenti e taglienti che permettano finalmente di voltare pagina, grazie ad un'azione di corresponsabilizzazione delle autonomie locali, regioni e comuni, incluso il commissariamento dei comuni che non si impegneranno sulla strada virtuosa della raccolta differenziata.
In conclusione, è assolutamente essenziale ricostituire un rapporto di fiducia tra i cittadini onesti della Campania e le istituzioni, perché sono essi le prime vittime di questa situazione. Richiamando la valanga di articoli scritti su Napoli nel corso di queste settimane, lasciatemi dire che chi tra noi ha lavorato in questa città - ed io mi includo in tale elenco perchè vi ho lavorato per quattro anni e mezzo non solo come ambientalista, ma anche come vicepresidente di Bagnoli Futura, società che ha avuto l'incarico di bonificare Bagnoli, - ritiene opportuno mettere finalmente l'accento anche sui tanti lati positivi della vicenda napoletana. Esiste un «oro di Napoli» su cui i media raramente pongono l'attenzione ed accendono i riflettori. Esistono esperienze di eccellenza e risorse umane di competenza che dobbiamo assolutamente valorizzare in questa vicenda e che permetteranno finalmente alla regione Campania di uscire dall'emergenza infinita. È nostro dovere dare un contributo in questa direzione e per questo noi Verdi siamo d'accordo sul decreto e voteremo in senso favorevole alla sua conversione in legge (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Saluto gli studenti ed i docenti della scuola media statale Daniele Manin di Roma.
È iscritto a parlare l'onorevole Fasolino. Ne ha facoltà.
GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, onorevoli deputati, in tutti i cittadini residenti in Campania è ancora vivo il ricordo dell'estate appena trascorsa. Un'estate da incubo che nessuno dimenticherà facilmente, con strade invase dai rifiuti, cassonetti incendiati, aria irrespirabile Pag. 17e maleolente. Dappertutto, a Napoli come a Salerno, in Irpinia e nel beneventano come a Caserta, nei piccoli paesi dell'interno, sulle coste di fama internazionale, nelle cittadine dei siti archeologici invidiatici da tutto il mondo, come Paestum, Velia e Pompei.
L'impatto sull'economia è stato spaventoso; è risultata colpita in modo devastante l'immagine del sistema Campania, faticosamente costruita nel corso di questi anni da migliaia e migliaia di operatori e lavoratori dell'agricoltura, dell'artigianato, del commercio, dell'industria, dei servizi e delle professioni. Per il turismo è stata una Caporetto, moltissimi stranieri e italiani in vacanza hanno immediatamente disdetto le prenotazioni, fuggendo letteralmente da un territorio considerato alla stregua di un paese del terzo mondo, con la differenza significativa, però, che mentre un paese del terzo mondo vive una storia di povertà secolare e cerca faticosamente e disperatamente di uscirne, Napoli e la Campania fanno parte di una nazione ricca, tra le otto più avanzate e industrializzate del mondo intero. Di più, Napoli e la Campania sono state beneficiate da massicci interventi finanziari da parte dello Stato, sistematicamente dilapidati, nel settore specifico dello smaltimento rifiuti, da una regione e da una classe politica inadempienti, sostanzialmente inadeguate alla grande partita economica e di legalità che si è giocata e si gioca tuttora sul territorio campano.
Forse qualche cifra sarà utile ad indicare le dimensioni del disastro. Finora, per l'emergenza rifiuti sono state spese cifre da capogiro, nell'ordine delle migliaia di miliardi di vecchie lire, senza mai, si badi bene, uno straccio di bilancio di previsione. Sono stati tenuti e sono tenuti tuttora sul libro paga 2314 lavoratori socialmente utili a tempo indeterminato per una inesistente raccolta differenziata, con la spesa annua di circa 110 miliardi delle vecchie lire. La raccolta differenziata è rimasta praticamente al palo su tutto il territorio regionale; basta scorrere, signor Presidente, l'elenco delle città capoluogo di provincia e delle municipalità minori. Le poche mosche bianche dei comuni che praticano la raccolta differenziata sono l'eccezione che conferma la regola.
Potrei citare i predetti comuni - sarebbe facile, tanto sono pochi -, ma voglio evitare una digressione che potrebbe rivelarsi inutile, dal momento che in Campania non c'è una sola provincia (è questo il dato fondamentale) che utilizzi il ciclo completo della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
I lavori per la costruzione dei termovalorizzatori di Acerra e Santa Maria La Fossa sono stati sistematicamente ostacolati da riunioni politiche dilatorie, scioperi, proteste varie, anche intimidazioni malavitose. Pertanto, le operazioni relative alla raccolta non sono mai state concluse con un ricavo energetico, mentre il trasporto dei rifiuti campani in Lombardia o all'estero si è risolto, alla fine, in una perdita finanziaria secca per i cittadini, di dimensioni che fanno gridare allo scandalo. D'altro canto, la piazza ed il malaffare - anche camorristico ma, soprattutto, diverso e più moderno e, di conseguenza, più subdolo e più pericoloso -, insieme con le connivenze politiche ed istituzionali, hanno consentito il proliferare delle discariche abusive ed il blocco sistematico delle discariche oggetto di autorizzazioni legali.
Il Governo ha adottato un decreto-legge che prolunga fino al 31 dicembre 2007, almeno nel testo licenziato dal Senato, i poteri commissariali ed individua anche una figura tecnicamente ineccepibile (qual è il dottor Bertolaso), ma ripropone, in modo inequivoco, gli stessi errori di impostazione che hanno determinato lo sfascio attuale, primo tra tutti la nomina di un commissario che non ha pieni poteri, perché chiamato a redigere il piano regionale dei rifiuti d'intesa con il Governo e con la regione: l'intesa non vi sarà mai, presidente Realacci, amico collega relatore, e costituirà l'alibi del commissario per le inevitabili inadempienze! Del resto, in Commissione ho ascoltato Bertolaso, il quale ha fatto capire chiaramente come stiano le cose: lui ce la metterà tutta ma, in definitiva, il provvedimento lo vincola Pag. 18ad un'intesa con la regione e con il Governo (sentiti anche i comuni, ma si tratta di un aspetto minore rispetto alla centralità del problema).
A questo punto, va ricordato il momento cruciale di tutta la vicenda dei rifiuti in Campania. Mi permetto di ripercorrerla e di analizzarla, altrimenti non si capirebbe appieno l'opposizione di Forza Italia ad un decreto-legge che ripete errori già commessi e che è tale da procrastinare indefinitamente la risoluzione del problema.
L'aspetto centrale della vicenda è costituito dalla nomina di Antonio Bassolino a commissario straordinario con la concentrazione nella stessa persona (a mio avviso, la soluzione era buona e positiva) anche dei poteri ordinari derivantigli dall'essere presidente della giunta regionale. Poteva essere la svolta: le due cariche riunite avrebbero potuto evitare quello che, verificatosi anche nel dopo Bassolino, si è immediatamente concretizzato, purtroppo in modo gravissimo, già nel corso del mandato con i doppi poteri coincidenti.
Mi riferisco al continuo ricorso della piazza, dei sindacati, dei poteri messi, di volta in volta, in discussione, delle associazioni ambientaliste e degli enti locali interessati nei confronti delle province e della regione per vanificare le scelte discendenti da una sia pur minima attività programmatoria in testa al potere commissariale.
In definitiva, caro sottosegretario, accadeva che se si doveva aprire una discarica in un qualsiasi comune del casertano, ognuno andava a «recitare» la propria parte. Tutti erano contro la discarica individuata dagli uffici del commissariato e giù il ricorso alla provincia, alla regione, ai poteri ordinari per vanificare la scelta commissariale!
Ciò che di grave vi è in tutta questa vicenda, è il fatto che Antonio Bassolino teneva concentrati i due poteri ed avrebbe potuto metterli insieme per portare avanti l'attività programmatoria. Egli, poi, ha avuto a portata di mano la grande occasione per liberare Napoli e la Campania dal grave problema dell'emergenza rifiuti e non ha saputo o non ha voluto sfruttarla. Dalla sua vi era un consenso illimitato: tutta la stampa che conta, da Il Mattino di Napoli al Corriere del Mezzogiorno, a la Repubblica, alle testate minori, al Tg3 Campania (che, purtroppo, con i contributi dei cittadini, si è sempre identificato come l'ufficio stampa di Bassolino allargato al mezzo televisivo), e poi i poteri forti e tanti altri poteri. Con il suo prestigio avrebbe potuto convincere gli amministratori a dar corso alla raccolta differenziata. Non l'ha fatto! Non costava niente, solo un minimo di buona volontà. Avrebbe potuto richiamare alla responsabilità sindacati ed associazioni ambientaliste, pronti ad opporsi a qualsiasi tentativo di aprire una discarica legalmente autorizzata, favorendo, poi, di fatto e di conseguenza, l'apertura di quelle illegali. Caro presidente Realacci, le discariche illegali si moltiplicavano e non vi era piazza, in quell'occasione, che protestasse o sindacato che innalzasse una qualsivoglia bandiera.
Bassolino avrebbe potuto zittire le voci scomposte che si levavano contro i termovalorizzatori. Non voglio entrare nel grande tema dell'attualità dei termovalorizzatori, ma certamente vi sono città importanti d'Italia e del mondo che, nel loro centro urbano, hanno i termovalorizzatori, che solo in Campania diventano una scelta scellerata nei confronti della vivibilità.
Invece, Bassolino purtroppo si è caratterizzato come il vero erede della tradizione peggiore delle pratiche della prima Repubblica. Ha elargito consulenze «a pioggia» in favore di istituti notoriamente legati al «carrozzone» politico del centrosinistra e suo personale. Non lo dico solo io; ciò viene sostenuto in relazioni istituzionali e in libri scritti da autorevoli rappresentanti della sinistra.
Del suo periodo è la nomina a subcommissario del presidente della provincia di Napoli, dottor Di Palma, con la costituzione di una società che nulla ha a che vedere con la raccolta dei rifiuti e con un compenso di 400 mila euro. Pare che non un solo atto sia stato prodotto, come Pag. 19rilevato dall'ispezione Monsurrò del 2004 (vedi Ministero delle finanze). Stesso copione per gli studi convenzionati, gratificati da queste elargizioni. A fronte di tanto impegno finanziario, non ricordo una sola relazione risolutiva per il problema dei rifiuti. Si è perseguito un disegno politico clientelare, di basso profilo, con i soldi dello Stato, per acquisire amicizie, del genere peggiore, senza apportare un benché minimo beneficio alla definizione della soluzione del problema.
Di questo periodo, cioè del periodo di Bassolino, sono gli eventi legati al passaggio di mano, anche per cinque o sei volte, di terreni locati alla Fibe, con prezzi decuplicati nel giro di pochi giorni e con atti preparati e perfezionati nello stesso studio notarile. Che cosa controllava il costoso staff del presidente Bassolino? Non si accorgeva di questi intrallazzi nei quali, a dir poco, la malavita organizzata l'ha fatta da padrona? Analogamente, la costituzione della società PAN è un evento che fa gridare allo scandalo; letteralmente, è stata varata come un call center per il monitoraggio del territorio e l'assunzione, mai avvenuta, di centinaia di persone.
Ricordo per inciso che i compensi elargiti ai subcommissari sono stati decuplicati in tre anni. Sarà anche giusto decurtare gli stipendi dei parlamentari, ma i compensi elargiti ai subcommissari non possono essere decuplicati in soli tre anni.
Qualcosa non torna nel conto generale delle istituzioni preposte al controllo degli atti amministrativi della struttura commissariale. Inquieta non poco che tutto quanto da me riferito in Aula abbia formato oggetto di una relazione della Corte dei conti presentata addirittura nel 2001 con la quale si era, tra l'altro, ribadita l'inutilità dei subcommissari. Però, fino a questo momento dalla Corte dei conti non abbiamo avuto altre notizie: silenzio assoluto. Un parlamentare ha diritto di sapere? Questa Assemblea ha il diritto, oltre che il dovere, di sapere nel rispetto istituzionale dovuto, anche di questi comportamenti. Noi parlamentari abbiamo il dovere di chiedere e di conoscere gli atti degli organi dello Stato preposti ai controlli di legittimità, contabili e di merito. Conseguentemente, signor Presidente, mi rivolgo a lei perchè questa procedura venga attivata.
Desidero, inoltre, raccontare un'altra «chicca». Sulla vicenda pendono presso le procure di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere ben 40 procedimenti penali, con 18 magistrati impegnati da quattro anni. Ebbene, di fronte a questo sfascio, che abbiamo avuto modo di apprendere anche dal libro del senatore Salvi e di ascoltare nelle trasmissioni televisive di Michele Santoro, attraverso la voce di vari giornalisti, di fronte a 40 procedimenti penali, con 18 magistrati impegnati da quattro anni, l'unico risultato ufficiale finora conseguito è stato il rinvio a giudizio di Facchi per fatti assolutamente marginali (la montagna ha partorito il topolino!). Ben magra soddisfazione, cara Grazia Francescato, rispetto a quanto era lecito attendersi.
In conclusione, ho voluto parlare di questi fatti perché Bassolino avrebbe potuto risolvere il problema, avendo concentrato nella sua persona le due cariche di commissario e di presidente della giunta regionale. Ripeto ancora che non lo ha fatto, non lo ha voluto fare o non lo ha saputo fare; ma a questo punto noi parlamentari come dobbiamo comportarci? Sono un campano e, perciò, sono venuto questa mattina a svolgere il mio intervento per un dovere precipuo nei confronti della mia gente.
Quando, in un comune qualsiasi, si individuava una discarica, senza la quale l'immondizia rimaneva per strada, sistematicamente tutti i partiti politici, sia al governo di quel comune, sia all'opposizione, manifestavano contrarietà alla scelta e ricorrevano per cancellare il provvedimento, alla provincia e alla regione.
Questa dicotomia tra il potere commissariale e il potere ordinario, che era stata superata con la nomina di Bassolino, in realtà era funzionante anche durante il periodo Bassolino. Peggio ancora: quando Bassolino, alla fine, gettò la spugna - badate bene! -, si dimise dalla carica di commissario che doveva attuare il piano Pag. 20dei rifiuti, ma non dalla carica che gli consentiva di stipulare altre convenzioni miliardarie! Ciò getta una luce ancora più oscura su questa vicenda.
Veniamo, quindi, al decreto-legge odierno. Ritengo che sia giunto il tempo per la Campania di indossare il vestito della responsabilità. Che nessun amministratore locale si trinceri più dietro l'ombra o il pilastro della complicità centrale! Ognuno, dal singolo ai partiti politici, ai sindacati, è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità.
Nominare un altro commissario significa tornare indietro e consentire ancora che, quando si sarà indicata una scelta per una discarica, gli amministratori protesteranno presso la provincia e la regione; poi protesteranno contro il Governo e noi in Campania non decolleremo mai.
Se, invece, avremo il coraggio di assumerci la responsabilità della gestione ordinaria, alla quale siano demandati poteri e indicate scadenze, credo che potremo veramente fare un salto di qualità e restituire serenità ai cittadini campani che lavorano, producono e vogliono semplicemente essere rispettati dalle istituzioni.
Cosa proponiamo allora? Proponiamo il ritorno alla gestione ordinaria. Voi mi direte che ciò non è possibile, ma almeno, onorevole Francescato, auspichiamo che sia possibile almeno un correttivo. Non si può vincolare il piano regionale dei rifiuti ad un'intesa tra commissario, regione e Governo. Bertolaso ce lo ha detto chiaramente: è questo il punctum dolens di tutta la vicenda! Bertolaso lavorerà, individuerà, ma poi dovrà redigere un piano e cercare un'intesa con Governo e Regione.
Domani dibatteremo ancora di questo decreto in sede di esame degli emendamenti. Si accolgano almeno alcuni nostri emendamenti secondo cui o il piano regionale deve essere realizzato dal solo commissario, sentiti tutti gli altri enti, compresi la regione e il Governo (con questa soluzione poniamo in capo ad una figura professionalmente e tecnicamente ineccepibile come Bertolaso una responsabilità precisa dalla quale non può sfuggire), oppure il piano lo fa la regione, senza intese con il Governo, perché anche la ricerca di un'intesa con il Governo può costituire un alibi estremamente pericoloso e una fuga dalle responsabilità. Su queste due soluzioni poniamo l'accento e speriamo di ottenere una risposta, posto che in Commissione abbiamo notato una volontà univoca volta a risolvere il problema. Tuttavia, la volontà politica non può che scontrarsi con ciò che è fattibile.
Queste due richieste (tali da farci guadagnare veramente i prossimi mesi, fino al 31 dicembre 2007), dovrebbero essere accolte dalla maggioranza.
Non proponeteci un ordine del giorno! Non ho mai visto un ordine del giorno accolto in aula e poi attuato dal Governo. Qualcuno ha detto in Commissione che non ci sarebbe il tempo per una modifica del testo in quanto il Senato, per 14 giorni, non si potrà riunire.
Tuttavia, sappiamo bene chi sta lavorando in questi giorni al Senato: la Commissione finanze, la Commissione bilancio e qualche senatore che si illude ancora di poter inserire qualche suo problema nel calendario della finanziaria e che, ingenuamente, ignora come ormai sia tutto già scritto. Infatti, il maxiemendamento ha fatto piazza pulita di ulteriori richieste ed eventuali manomissioni.
Allora, se domani riusciremo a licenziare un provvedimento che recepisca almeno gli emendamenti che come gruppo di Forza Italia abbiamo presentato, ritengo che nel giro di sette giorni il Senato potrebbe riunirsi - forse anche prima - e approvare il testo in maniera tale da evitare che il decreto-legge decada e consentendone invece la conversione in legge nel modo giusto per risolvere il problema grave, annoso della gestione dei rifiuti nella regione Campania.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, innanzitutto vorrei dire che l'aula vuota non deve impressionare i ragazzi delle scuole presenti in tribuna, Pag. 21perché i nostri interventi saranno pubblicati nel resoconto della seduta odierna che uscirà domani; dopodiché, il dibattito impegnerà tutti i colleghi della Camera. Quindi, gli studenti non ricevano un'impressione negativa dei nostri lavori.
In generale, personalmente sono sempre contrario ai commissariamenti delle regioni per quanto riguarda emergenze di questo tipo, che poi si rivelano non più tali, bensì situazioni che durano anni. Ciò è avvenuto per l'emergenza rifiuti in Campania e per le altre emergenze rifiuti in altre regioni. In Campania si sono battuti tutti i record; ma vi sono altre regioni commissariate da tanti anni. Ritengo che i commissariamenti siano negativi, poiché determinano certamente un disimpegno da parte delle amministrazioni regionali, provinciali o comunali, le quali sono portate a pensare che qualcun altro risolverà quei problemi che, invece, esse stesse dovrebbero portare a soluzione.
Nel caso della Campania siamo arrivati effettivamente ad un punto di non ritorno. È quindi pensabile fare un'eccezione per un breve periodo, per un tempo determinato, che avrebbe potuto anche essere più breve di quello previsto nel decreto-legge, il cui testo è stato modificato dal Senato con numerosi emendamenti.
Tuttavia, nonostante le modifiche e le integrazioni introdotte dal Senato, il testo giunto in Commissione non mi è parso soddisfacente per diversi motivi. In Commissione io stesso ho presentato numerosi emendamenti che - insieme agli altri dei colleghi della maggioranza e, soprattutto, dell'opposizione - non sono stati giudicati negativamente; anzi, quasi tutti sono stati ben considerati dall'intera Commissione. Tuttavia, il fatto oggettivo che ha determinato la necessità di respingere tali emendamenti è legato ai tempi a disposizione. Credo che la situazione sia tale da richiedere più attenzione in futuro, poiché ritengo che le leggi vadano esaminate, sia alla Camera sia al Senato, in piena libertà, senza essere condizionati dai tempi. Ciò anche se per l'approvazione dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge sono previsti tempi ristretti. Forse, è bene che tali provvedimenti passino prima al vaglio della Camera e poi del Senato.
Nel decreto-legge, come modificato attraverso alcuni emendamenti del Senato, a mio avviso sono comparse proposizioni che giudico insoddisfacenti. In particolare, mi riferisco alla definizione dei poteri ulteriori da assegnare al commissario con una disposizione della Presidenza del Consiglio che potrebbe addirittura travalicare le norme esistenti, come si evince chiaramente dal testo. Credo che ciò sia sbagliato.
Parimenti, mi riferisco alla costituzione di una consulta presieduta dal presidente della regione, con funzioni consultive nei confronti del commissario. In altri termini, ci troviamo di fronte a un presidente della regione che è consulente del commissario, mentre proprio il presidente della regione avrebbe dovuto avere pieni poteri al riguardo.
Un'altra questione fondamentale concerne il piano regionale dei rifiuti: quello attuale dovrebbe essere integrato.
È necessaria, a mio avviso, la figura di un decisore, quando si sceglie di integrare questi piani così complessi. Credo sarebbe stato più giusto che il decisore fosse stato rappresentato dalla regione Campania, dal presidente della regione e dagli organi della regione stessa.
Il piano sarebbe dovuto poi passare al commissario, che avrebbe avuto il compito di attuarne le disposizioni a livello regionale con riferimento ai rifiuti. Bisogna sapere, infatti, che senza il piano regionale dei rifiuti nemmeno il commissario può realizzare gli impianti; è quindi necessario predisporlo in anticipo. Se passa troppo tempo per l'intesa, è chiaro che questo danneggerà l'opera dello stesso commissario. A mio avviso, sarebbe stato dunque necessario intervenire con modifiche, con il tempo dovuto, su alcune delle questioni che sono emerse nel dibattito in Commissione qui alla Camera. Tuttavia, ciò non è stato possibile.
Oltre a questo, sarebbe stato necessario, a mio avviso, prevedere ulteriori modifiche. In primo luogo, visto che si tratta Pag. 22di rifiuti, l'approccio deve essere sempre integrato. La soluzione dello smaltimento deve essere realizzata con diversi metodi e tecnologie, collegate tutte insieme. È giusto che si faccia la raccolta differenziata, ma che vuol dire «differenziata al 50 per cento» in una regione che non raggiunge il 3 per cento di raccolta e arriva addirittura a non raccogliere del tutto i rifiuti? Secondo me, questo è velleitarismo, che evidentemente nasconde qualcos'altro che non so comprendere. Per la raccolta differenziata, come sappiamo, si spendono molti più soldi rispetto agli altri sistemi di smaltimento, di carattere complementare. Probabilmente, dunque, vi è la necessità di utilizzare un paio di migliaia di LSU o LPU, come ricordava un collega in precedenza. Credo che non sia questo l'obiettivo che si deve porre una norma: evidentemente, bastava accontentarsi del raggiungimento degli obiettivi di legge in relazione al decreto Ronchi, che solo negli anni sarebbe possibile portare a compimento.
Anche la scadenza dei tredici mesi, secondo me, è troppo lunga e bisognava, forse, prevedere una fase di emergenza più vicina per poi restituire la gestione alla regione. Su questi punti, io avevo presentato degli emendamenti che oggi non intendo ripresentare in Assemblea, a nome del mio gruppo, per tre buoni motivi: per prima cosa, come abbiamo già visto, un ulteriore passaggio al Senato farebbe avvicinare troppo la scadenza del decreto-legge, e quindi si rischierebbe di non avere alcuna legge e di lasciare la situazione campana nello stato attuale, senza nemmeno la nomina del commissario, visto che alla stessa si provvede proprio nel decreto-legge che andrebbe a scadere; un secondo motivo risiede nell'impegno assunto dal Governo in Commissione in maniera molto chiara, assieme al presidente della Commissione stessa, di avviare un monitoraggio ogni due o tre mesi, in Commissione, convocando il commissario, gli enti locali, la regione e il Governo (quest'ultimo verrebbe a riferire, in modo che sia possibile valutare l'andamento della situazione che nel frattempo si verifica nella regione, per poi prendere provvedimenti, se necessario, anche di carattere legislativo); un terzo motivo che possiamo verificare (e indicherei queste ragioni anche all'opposizione), risiede nel fatto che il relatore, d'accordo con la maggioranza e, spero, anche con l'opposizione, potrebbe presentare un documento che abbia valore pregnante per il Governo nel quale trovino spazio i concetti contenuti negli emendamenti, sia della maggioranza, sia dell'opposizione, che, di fatto, sono stati positivamente giudicati in Commissione. In tal modo, se si presenterà l'occasione - come io credo - di modificare, fra tre mesi, le stesse norme che stiamo per approvare, quelle indicazioni potrebbero essere di indirizzo per il legislatore, affinché approvi norme più realistiche e maggiormente rispondenti alle necessità.
Dico questo perché sono stato tra coloro che si sono mostrati maggiormente critici nei riguardi del testo in sede di Commissione; critici sono stati anche esponenti dell'opposizione. Tuttavia, osservo che al Senato si è svolto un lungo dibattito e c'è stato un approfondimento. L'approvazione è avvenuta, in quella sede, non soltanto con il voto favorevole della maggioranza, ma anche con l'astensione di molti esponenti dell'opposizione. Credo che si invierebbe un messaggio positivo alla Campania, a tutte le forze sane che operano in quella regione, ai suoi comuni e alle sue province, oltreché ai cittadini campani, se il Parlamento si interessasse del gravissimo problema nel modo il più possibile unitario, esprimendo un voto simile a quello espresso al Senato. Non mi sembra, infatti, che qualcosa sia cambiato dal giorno in cui si è votato al Senato e credo che nulla cambierà fino al momento in cui la Camera dei deputati esprimerà il proprio voto. Nulla è cambiato. Forse, qualche trasmissione televisiva ha riportato in modo più crudo le notizie, ma sono notizie che già conoscevamo, avendo ricevuto anche alcuni rapporti. Conoscevamo benissimo il dramma che la Campania vive. Ritengo che, proprio per questi motivi, bisognerebbe avere la possibilità di presentarsi, come Parlamento, il più unitariamente Pag. 23possibile ai cittadini campani. Perché in futuro non si ripetano i fatti del recente passato e si superi il commissariamento, tutto dipende da noi, ma anche e soprattutto dalla regione Campania, dai suoi cittadini e dai suoi amministratori. A partire dalla fine del 2007, si dovrà non ritornare al passato ma avere il coraggio di affrontare, anche a livello delle amministrazioni locali e della regione Campania, il problema dello smaltimento dei rifiuti in modo onesto e corretto. Ciò non soltanto faciliterebbe la vita in quella regione, ma consentirebbe allo Stato di risparmiare centinaia di milioni di euro. Nello stesso tempo, la regione Campania potrebbe apparire per quello che è, una delle più belle regioni d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bandoli. Ne ha facoltà.
FULVIA BANDOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, un ciclo dei rifiuti moderno e sostenibile ha alcune precise caratteristiche: quando anche solo una delle fasi del ciclo va in crisi salta, in genere, l'intero ciclo. Purtroppo, in molte regioni italiane, soprattutto nel sud, non possiamo dire ancora di avere un ciclo dei rifiuti a regime, moderno, europeo. Siamo in una situazione di arretramento anche di alcuni indici importanti, ma soprattutto incontriamo resistenze serie alla programmazione ed alla pianificazione del ciclo stesso.
Tra gli elementi importanti che definiscono un moderno ciclo dei rifiuti vi è, innanzitutto, la diminuzione sensibile della produzione dei rifiuti. Questo hanno fatto paesi europei, ma anche regioni del nord, diversamente governate: sono riusciti a diminuire sensibilmente la produzione e la mole di rifiuti. Il secondo elemento è il rafforzamento, fino ad un massimo del 40-50 per cento, della raccolta differenziata. Il terzo elemento consiste nel non partire dell'incenerimento, ma nel trattare negli impianti di incenerimento solo l'ultima parte restante dopo il riciclaggio. Non bisogna disperdere sostanze dannose nelle falde e nel terreno, perché sappiamo che sono moltissimi i danni da inquinamento a causa di impianti non costruiti come Dio comanda. Queste fasi sono quelle riassunte nella legge nazionale, il cosiddetto decreto Ronchi, che sicuramente ci ha fatto fare passi avanti in molte parti d'Italia, ma che in alcune aree, soprattutto in Campania e in generale nel Sud, non è stato applicato.
La Campania è sicuramente la più distante rispetto ad altre regioni e noi vorremmo dire all'opposizione, fuori da qualsiasi polemica retrospettiva, che ne siamo preoccupati ma, soprattutto, consapevoli. Le polemiche retrodatate non servono: peraltro, in un dibattito parlamentare si può sempre fare polemica, ed ognuno di noi avrebbe da dire sui precedenti commissari e sui precedenti presidenti della regione. Noi oggi, con questo decreto-legge, tentiamo di scrivere una pagina nuova. Può darsi che vi siano errori e limiti nel provvedimento, ma ci siamo resi conto comunemente - lo pensiamo noi, e lo pensate anche voi, colleghi dell'opposizione - che un'emergenza che dura troppi anni diventa normalità e non può risolvere le questioni, che un controllo del territorio così carente come in quella regione non consente di combattere in modo efficace i fenomeni di ecomafia, che una raccolta differenziata così bassa non aiuta la costruzione del ciclo, non consente alcun tipo di organizzazione di parametri che possano portare ad un ritorno alla normalità.
Inoltre, in Campania è evidente un altro elemento, che non riscontriamo, almeno con le stesse caratteristiche, in tutte le regioni del sud. Mi riferisco al ruolo della camorra nella gestione di alcune discariche abusive (almeno qualche centinaio) e, soprattutto, alla presenza in questa regione di traffici illeciti di rifiuti industriali provenienti dal nord. La Campania non solo esporta rifiuti urbani al nord, perché non ha gli impianti di trattamento, ma riceve spesso dal nord rifiuti tossico-nocivi pericolosi: anche questo è un controsenso. Infatti, non si capisce come una regione che ancora non è riuscita Pag. 24a chiudere il ciclo degli RSU in modo serio e moderno possa diventare un punto di riferimento per rifiuti di ancor più difficile trattamento perché più pericolosi.
Come dicevo, vorremmo iniziare una nuova strategia, anche se sono consapevole che non sarà facile. Infatti, con il decreto-legge in esame si nomina pur sempre un nuovo commissario, nonostante le nostre perplessità in ordine a commissariamenti consecutivi. Certo, nei mesi scorsi, quando è stato varato il decreto-legge, l'emergenza era forte, era scappata di mano, dunque ne capisco le ragioni. Tuttavia, il commissariamento non può essere la soluzione di tutti i problemi, non può costituire la misura dietro la quale ci si nasconde quando le problematiche diventano troppo gravi.
Insomma, nel testo in esame ritrovo alcuni elementi che lo distinguono da altri commissariamenti. In ogni caso, occorre che tornino in campo la politica, scelte amministrative chiare e rapide - vale a dire, una revisione attendibile e condivisa del piano regionale dei rifiuti, che si fondi, come prevede la legge nazionale, su un forte incremento della raccolta differenziata prima di tutto, ma anche sull'individuazione degli impianti necessari alla fine di un ciclo che si basi sulla raccolta differenziata -, il coinvolgimento delle comunità e degli enti locali, il ristabilimento della legalità nonché il contrasto sul territorio a tutte le forme di smaltimento abusivo di qualsiasi tipo di rifiuto. Detto ciò, le novità sono chiare. Il decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, contiene una nomina che dura poco più di un anno e su tale aspetto colgo l'esigenza (avanzata in Commissione da diversi esponenti dell'opposizione) di prevedere una verifica periodica - la cui cadenza possiamo decidere insieme attraverso un ordine del giorno -, della quale si deve far garante il Governo, essendo anche noi preoccupati di attribuire un mandato per un anno che non venga mai verificato. Inoltre, a fronte di tale verifica, occorre essere disponibili anche ad apportare i necessari correttivi e cambiamenti. Si tratta di un aspetto importante, che segna una discontinuità con altri commissariamenti nei quali venivano attribuiti molti poteri che non erano sottoposti a verifiche nel corso del tempo.
Anche la Consulta regionale per la gestione dei rifiuti, nonostante sollevi qualche perplessità, ritengo costituisca una sede importante di coordinamento. A tale proposito, voglio sottolineare che nel decreto-legge è ben scritto che i membri di tale consulta non riceveranno alcun compenso per l'opera prestata e che il commissario individuato - il capo del Dipartimento della protezione civile - è una persona di comprovata esperienza ed autorevolezza in settori difficili. Auspichiamo che tale scelta consenta una svolta verso la normalità e la gestione corrente di tale problematica.
Quindi, si tratta di un commissariamento più breve e sicuro, con la nomina di una persona di fiducia non solo del Governo ma anche delle opposizioni, come è stato riconosciuto in questa sede. Quindi, vi chiedo di cogliere tali elementi, anche se so che rimangono molti profili che non vi convincono.
A mio avviso, anche altre misure sono importanti; l'articolo 4, ad esempio, stabilisce la percentuale tendenziale per la raccolta differenziata. Al riguardo, il collega Misiti sosteneva che fosse velleitario tale tentativo che io, invece, riterrei utile. A volte, a nord, in alcuni comuni, parevano velleitarie percentuali di raccolta differenziata del 30 o del 35 per cento e invece siamo riusciti a raggiungere, in alcuni comuni della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia e della Toscana, anche oltre il 55 per cento. Non mettiamo limiti alla provvidenza; ritengo si debba, anzi, accordare fiducia a tale metodo, salvo verificare le strutture, il che è cruciale. A chi si affidano i lavori, questo è il punto vero sul quale, forse, il decreto-legge poteva fare qualcosa di più. Al contrario, avere previsto un ruolo per il consorzio nazionale imballaggi, il Conai, ed avere, altresì, coinvolto tutti gli altri consorzi nazionali per il recupero e la raccolta del differenziato - consorzi che dovrebbero stabilire contratti di programma con il commissario - rappresenta un punto di Pag. 25innovazione forte; per la prima volta, sul territorio campano cominciano ad operare anche i grandi consorzi di riciclaggio, con un ruolo ed un programma precisi che dovrebbe avviare non solo il superamento dell'emergenza, ma la messa in moto del ciclo normale dei rifiuti.
Talora si lamenta però che i poteri del commissario sarebbero eccessivi o troppo condizionati; al riguardo, osservo che non sarei d'accordo sulla previsione di un commissario che eserciti pieni poteri senza alcuna concertazione con la regione e con gli enti locali. Ciò sarebbe, infatti, in contraddizione con le nostre intenzioni di valorizzare le regioni, la Campania, le province ed i comuni. Mentre, infatti, lamentiamo la mancanza del loro ruolo di programmazione e di definizione di un piano regionale condiviso, poi invece pretendiamo che sia il commissario ad avere pieni poteri. Ritengo che, a tale riguardo, un mix, con un forte controllo da parte nostra - del Governo e delle Commissioni competenti, nonché della nuova Commissione per il controllo delle illiceità e delle irregolarità nel ciclo dei rifiuti - possa giovare.
In conclusione, vorrei affrontare un'ultima questione; noi abbiamo infatti un'esigenza politica di Governo: convertire il decreto-legge senza un ulteriore passaggio al Senato. Si pongono infatti limiti di tempo e di funzionalità. Ebbene, mi auguro che questo sia l'ultimo commissariamento che effettuiamo in Campania; anzi, mi spingo oltre e osservo che questo sia l'ultimo commissariamento che possiamo disporre in Campania. Altrimenti, anche la nostra credibilità sarebbe seriamente compromessa, ammesso che già un po' non lo sia ora.
Mi auguro che ciò apra la strada alla normale gestione del ciclo; dobbiamo aumentare la nostra credibilità, quella delle istituzioni e del Governo in quella regione: come sappiamo bene, un altro fallimento sarebbe gravissimo. Noi dell'Ulivo voteremo a favore della conversione in legge del decreto-legge in esame; chiediamo alle opposizioni di contribuire ad un dibattito che mi è parso essere stato serio e veramente prezioso in sede di Commissione. Chiediamo altresì di segnalarci con ordini del giorno eventuali punti critici e di essere disponibili con noi alla verifica consentendoci, però, di varare il provvedimento e di poter così verificare se esso possa veramente aprire una pagina nuova in una regione così complicata e complessa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, oggi ci occupiamo della conversione del decreto-legge n. 263 del 2006, che formalmente reca nel titolo l'indicazione di «misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti» in Campania, ma in realtà - ed è emerso anche dal dibattito al quale abbiamo partecipato - è un ennesimo provvedimento con il quale il Governo intende tamponare con strumenti eccezionali una situazione di crisi endemica e di natura strutturale.
Rendiamoci conto: non possiamo considerare emergenziale una situazione che si protrae da oltre 12 anni; non possiamo considerare straordinari ed eccezionali strumenti che proroghiamo da altrettanto tempo. Quindi, è una forma di ipocrisia. E penso che non si possa definire in maniera diversa tale ipocrisia. È una rinunzia della politica alla propria responsabilità di gestione del territorio. Non ho condiviso la proroga dei poteri commissariali, quando la dispose il precedente Governo. Non la condivido nemmeno oggi. Quindi, con coerenza - l'ho detto in Commissione e lo confermo in Assemblea - rappresento la mia contrarietà alla strada tracciata da questo provvedimento. Questa è una scelta che, come ho detto in precedenza, «cancella» la politica dal dibattito, pur indispensabile, e non si rende conto che, in questi anni, ciò che è veramente mancato ed ha causato la situazione disastrosa con la quale ci confrontiamo oggi è proprio l'assenza di responsabilità politica. Non è mancata, infatti, la competenza, non è mancata la forza lavoro, non sono mancate le professionalità, anzi, come ha rilevato Pag. 26lo stesso commissario Bertolaso, è stato anche eccedente il numero del personale nella struttura commissariale, ed è ancora sicuramente esagerato. Non sono mancate le risorse, in questi anni: parliamo di oltre un miliardo di euro spesi, e il risultato è una situazione di disastro, un'emergenza che non è più solo di criminalità, come al tempo in cui fu disposto il commissariamento per la gestione dei rifiuti nel 1994, ma è un'emergenza criminalità cui si è aggiunta un'emergenza ambientale, e non sono state assolutamente tenute in considerazione due emergenze di base, che perdurano, anzi si sono aggravate, ossia quella sociale e quella culturale di tale realtà del paese.
Abbiamo investito - o, meglio (è inesatto il termine investito), abbiamo speso inutilmente -, senza investire proficuamente, cospicui fondi pubblici, senza realizzare nulla. Ci troviamo a voler ratificare tale cattivo operato di molti anni ed a reiterare l'errore. Tra l'altro, considerando ciò con cui ci confrontiamo, dovremmo anche renderci conto che vi è la necessità fondamentale di procedere ad una attività di pianificazione, senza la quale non si risolve né l'emergenza né, tantomeno, il futuro. È necessario, dunque, programmare anche un'attività di rientro alla gestione ordinaria.
Per quanto riguarda il provvedimento, lo ricordava l'onorevole Misiti, al Senato, l'opposizione - quindi anche l'UDC - ha espresso un voto di astensione. Preannunzio ora il mio personale voto di contrarietà e credo di mantenere coerenza con la posizione espressa dall'UDC al Senato. Infatti, al Senato - lo dico al relatore - si è svolto un ampio dibattito, sono stati presentati e discussi molti emendamenti. Vi è stata una collaborazione proficua. Il testo che oggi si discute in quest'aula è emendato, non è quello originario del provvedimento approvato dal Governo. È un testo modificato grazie all'attività emendativa dei partiti dell'opposizione, ed anche dell'UDC. Mi sembra abbastanza coerente che il voto, in tale sede, fosse di non contrarietà e, quindi, l'astensione rappresentava l'apprezzamento per tale condivisione parziale che la maggioranza aveva avuto rispetto allo sforzo dell'opposizione, ma certo non rappresentava una soddisfazione piena. Oggi, in quest'aula, prendiamo atto di tale miglioramento, ma abbiamo presentato altri emendamenti, che tendono a migliorare ulteriormente questo testo. Infatti, riteniamo che il provvedimento, nella sua originaria stesura, fosse viziato da gravi storture.
Mi riferisco, in primo luogo, al termine di scadenza. Il decreto-legge, infatti, non prevedeva alcun termine di scadenza del commissariamento. Ho sentito il relatore e altri colleghi della maggioranza compiacersi per l'introduzione di questo termine, ma ricordo che esso è stato introdotto grazie ad alcuni emendamenti presentati dall'opposizione. La mancanza del termine di scadenza del commissariamento indicava la volontà politica, molto grave, di consegnare la nostra regione ad una straordinarietà a vita, ufficializzando il disimpegno totale. Noi abbiamo preteso questo termine, proprio perché vogliamo che la classe politica, che è l'unica vera protagonista responsabile di questo disastro, sia messa di fronte all'obbligatorietà di verificarsi. All'onorevole Bandoli, che, nel suo intervento, ha fatto riferimento alla presentazione di un ordine del giorno, nel quale inserire l'ipotesi di una verifica, faccio presente che un termine di scadenza è già una verifica e che il disagio, che le popolazioni manifestano periodicamente e in maniera forte, è già verifica della capacità o meno di chi gestisce il settore. Quindi, non c'è la necessità di aggiornare questo organismo per verificare se questi poteri vengono utilizzati nella maniera adeguata, ovvero, se quello che abbiamo immaginato, come quadro di interventi, sia positivo, efficace ed efficiente.
Inoltre, questo decreto-legge mancava di copertura finanziaria, che continua ad essere carente. Esso, inizialmente, non prevedeva la quantificazione degli oneri derivanti dalla gestione commissariale - e questo è un fatto, non solo, grave politicamente, ma anche non corretto sotto il profilo della tecnica normativa - e rinviava il carico di questo onere incerto alle Pag. 27tasche dei cittadini attraverso l'aumento della tariffa. Per tale motivo, al Senato, è stata condotta una battaglia, in parte vinta, in quanto è stato inserito un importo, a copertura delle spese in conto capitale. Rimane aperta, però, la questione del rinvio alla tariffa, che trovo sia giusto non perché, come ho sentito da molti colleghi, da cittadina della Campania credo che del disastro di questa regione si debbano far carico i cittadini delle altre regioni, continuando nella logica assistenzialista, ma perché ritengo che quello che oggi stiamo affrontando sia un problema di inefficienza del Governo e della classe dirigente, che non può essere scaricato sui cittadini.
Con l'emendamento, presentato al Senato e che ripresentiamo qui alla Camera, non chiediamo alle tasche dei cittadini italiani di farsi carico di questi oneri, ma vogliamo che chi non ha saputo gestire, in questi anni, ritrovi, nelle proprie casse, la copertura per le spese. Chiediamo ancora che si attinga al bilancio regionale, il quale deve essere rivisto in un'ottica di economia possibile, e che le coperture per questi gravosi oneri si ricavino proprio da questa economia e non dalle tasche di quei cittadini che, da sempre, pagano e che continueranno a pagare, ancora di più, per le inefficienze della classe dirigente.
Un fatto altrettanto grave era l'assenza nel decreto-legge di alcuna indicazione rispetto all'attività di pianificazione. La regione ha vissuto certamente grandi difficoltà. Come ricordava l'onorevole Fasolino, le procure sono intasate di vicende giudiziarie che riguardano il settore dei rifiuti, in particolare, l'affidamento della loro gestione. Ciò è avvenuto perché, a suo tempo, è stata compiuta una scelta assolutamente inaccettabile: l'affidamento ad un soggetto privato, non solo dell'attività di raccolta e di gestione, ma anche dell'attività di pianificazione. Il compito di pianificare l'attività di gestione dei rifiuti era, quindi, affidata ad un privato, assolutamente distante dalle necessità del territorio e assolutamente indifferente alle sue esigenze e vocazioni, che, invece, la politica deve tener sempre ben presente.
Si tratta della più volte menzionata Fibe, un soggetto che, tra l'altro, non nasce in Campania, poiché è una società nazionale che si è recata in tale regione ad operare in questo modo. Successivamente, comunque, sarà la procura della Repubblica a stabilire dove sono le responsabilità!
Segnalo che oggi il decreto-legge in esame, grazie all'approvazione delle nostre proposte emendative, prevede l'avvio della cosiddetta exit strategy. Si tratta di un percorso che, perlomeno, ci induce a ritenere che le frasi contenute nel testo dello stesso decreto - «fino alla fine dell'emergenza» - non siano una formula «vuota», tipica della politica, ma abbiano un valore sostanziale, poiché si immagina di porre fine allo stato di emergenza, attraverso la costruzione di un percorso che possa avvicinarci al ritorno alla gestione ordinaria.
Vorrei altresì rilevare che il decreto-legge, nella versione originaria, attribuiva al commissario straordinario pieni poteri e piena autonomia. Noi abbiamo ritenuto che, nell'ambito di questa singolare situazione di straordinarietà e di emergenza, vi fosse la necessità di prevedere un maggiore coinvolgimento del territorio e degli enti locali. Una delle maggiori e più evidenti difficoltà ravvisate nella gestione commissariale di questi anni, infatti, è stata rappresentata proprio dall'incapacità di attuare in maniera confacente al territorio le scelte di tale struttura commissariale.
Sussiste, infatti, la necessità di concertare gli interventi, come è peraltro previsto dalla normativa nazionale, la quale indica un percorso finalizzato a coinvolgere le realtà territoriali. È opportuno, allora, che tale coinvolgimento abbia luogo anche in questa fase di chiusura (come auspichiamo) dell'emergenza.
Oggi esiste un procedimento che contempla il coinvolgimento della regione ma, a nostro avviso, non è prevista un'efficace compartecipazione delle province. Ricordo che abbiamo presentato una proposta emendativa in tal senso, la quale dispone Pag. 28anche l'ascolto, da parte del commissario, dei comuni di volta in volta interessati.
Vorrei osservare, inoltre, che il decreto-legge in esame non prevede più, al suo interno, l'indicazione di tre discariche. Il collega Giuditta si compiaceva del fatto che tali discariche fossero state eliminate, ma vorrei ricordare che ciò è avvenuto perché il gruppo dell'UDC ha presentato una proposta emendativa finalizzata proprio alla soppressione di tale indicazione. Essa, infatti, rappresentava una forma di risoluzione del problema, proposta dal Governo, molto superficiale e molto poco dignitosa per la politica. Si trattava, infatti, dell'impiego delle «solite» tre discariche, indipendentemente dall'effettuazione di una valutazione reale, tecnica e scientifica di impatto ambientale!
Ricordo che abbiamo chiesto di eliminare il riferimento a queste discariche non per motivi elettoralistici, o perché siamo stati pressati dalla popolazione, ma semplicemente perché abbiamo ribadito quanto sostenuto, già nella scorsa legislatura, nei confronti del precedente Governo. Tali siti, infatti, come risulta dagli studi effettuati, non hanno la possibilità di ospitare ulteriori riversamenti dei rifiuti.
Oggi, tali indicazioni non sono più presenti all'interno del decreto-legge in esame, tuttavia esiste ancora un'indicazione che ritengo pericolosa, anche per la credibilità di questo ulteriore commissario. È prevista, infatti, la possibilità che il commissario delegato attribuisca alle discariche una volumetria maggiore rispetto a quella esistente. Vorrei portare un esempio a me vicino, vale a dire la discarica di Tre Ponti, in provincia di Benevento.
Ricordo che il commissario Catenacci aveva assunto l'impegno di non aumentare la volumetria esistente e di non oltrepassare un determinato valore. È chiaro che, nell'ambito di una logica di continuità istituzionale, con il decreto-legge in esame si vuole attribuire al nuovo commissario delegato per l'emergenza nel settore dei rifiuti il potere di calpestare gli impegni assunti dalla stessa struttura commissariale!
Non credo che ciò rappresenti un buon inizio per una gestione commissariale che, come diceva l'onorevole Bandoli, dovrebbe condurre alla conclusione definitiva della fase dell'emergenza (come confido e spero), poiché quello in esame dovrebbe essere l'ultimo decreto di proroga del commissariamento del settore nella regione Campania. A tale riguardo, ricordo che proprio su questo aspetto abbiamo ripresentato una proposta emendativa, già respinta in sede di esame presso il Senato della Repubblica, perché crediamo fortemente che non si possa accettare di attribuire una simile facoltà al commissario delegato.
Pertanto, lavoreremo in questa Assemblea (non me ne vogliano il relatore e il rappresentante del Governo) per cercare di far approvare le nostre proposte emendative e di migliorare il testo in esame, poiché siamo seriamente preoccupati rispetto a quanto il presente provvedimento potrà ancora provocare nel nostro territorio!
Come abbiamo detto in passato e come ripetiamo adesso, vogliamo fortemente che si torni alla gestione ordinaria. Lo affermo come cittadina campana e mi permetto di ricordare a questo ramo del Parlamento che non si chiedono misure assistenziali. Come una qualsiasi cittadina italiana, invece, chiedo più trasparenza, maggiore efficienza e responsabilità.
Nonostante i dieci anni di inchieste sulle «ecomafie» e sulle puntuali relazioni depositate, ancora oggi, quasi nell'indifferenza, ci confrontiamo con il risultato della relazione del dottor Natale Monsurrò, già citata dall'onorevole Fasolino. Da questa relazione risultano fatti assolutamente preoccupanti. Non è possibile pensare di proseguire nella gestione commissariale, lasciando aperte piaghe come gli incarichi e gli aumenti ingiustificati dei compensi per commissari e subcommissari, le partecipazioni a società private con fondi della gestione straordinaria, sottratti alle finalità per le quali erano stati previsti, ovvero la gestione dei rifiuti. E si potrebbe proseguire perché è risultato un elevato ammontare di crediti accumulatisi Pag. 29fino al 2005 nei confronti dei comuni per il conferimento dei rifiuti provenienti dagli impianti gestiti dalla FIBE senza che si sappia quale fine debbano fare. Si è verificata la corresponsione di competenze al personale, anche in deroga al principio dell'onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti della pubblica amministrazione.
In precedenza, un collega ha ricordato che nel decreto-legge vi è scritto che non vi saranno altri compensi. Tuttavia, a questo abbiamo assistito negli ultimi dieci anni, visto che la relazione arriva fino al 2004 ed esclude l'ultima gestione Catenacci. In proposito, mi permetto di fare un'ulteriore precisazione. Non facciamo polemica politica quando ricordiamo quanto accaduto. Tuttavia, è un fatto - e non si può prescindere dai fatti - che questa gestione è iniziata nel 1994 ed stata affidata ad un prefetto fino al 1996. In seguito, essa è stata affidata ad un commissario, nella fattispecie il presidente della regione, per la prima volta all'inizio del 1996, quando era presente Rastrelli che ha «governato» - e lo dico tra virgolette - fino al febbraio del 1998. Lo dico tra virgolette perché fino al febbraio del 1998 si è consumata la crisi politica che ha portato al cosiddetto ribaltone. Quindi, vi è stata l'assai limitata nel tempo possibilità di gestione politica efficiente.
Dal 1998 fino al 2005 - anno in cui Bassolino, nel pieno della tragedia, si è dimesso - la gestione è stata affidata ad un governo di centrosinistra. Questo non significa fare polemica, ma ricostruire la storia per dare una risposta ai cittadini della Campania che chiedono di averla. La Campania - quella vera, quella onesta, quella che lavora - vuole avere questa risposta. La Campania vuole che qualcuno faccia assunzione di responsabilità, cosa che fino ad oggi non è avvenuta. Quindi, iniziamo a fare chiarezza fin da quest'Assemblea perché, se ce ne occupiamo in questa sede, non è sicuramente per pietismo o assistenzialismo. Invece, ci occupiamo di tale argomento a causa delle inadempienze che la classe politica in generale - e così confermo che non voglio fare polemica, perché anche chi ha fatto opposizione poteva operare per ovviare o almeno limitare i danni prodotti - ha prodotto in questi anni, riferendomi a tutti coloro che hanno avuto responsabilità di Governo senza averle sapute gestire adeguatamente. Preciso che, se abbiamo iniziato a parlare in quest'aula, a livello nazionale, della questione dei rifiuti in Campania e nel Mezzogiorno non lo si è fatto per realizzare una politica assistenziale. Come la collega in precedenza ha ricordato, il traffico di rifiuti dal nord verso il Mezzogiorno è un fatto antico, denunciato da più parti in maniera dettagliata e puntuale. Addirittura, in gran parte si è dovuto pagare regioni terze per lo sversamento di rifiuti magari spediti la sera prima grazie alle complicità di infiltrazioni camorristiche presenti nella nostra regione che avremmo dovuto avversare e combattere.
Allora, cominciamo a ragionare in termini seri.
Ricordiamoci che la Campania, quella vera, quella sulla quale bisognerebbe investire, non vuole essere assistita, ma vuole che si investa sui propri territori e sulle proprie energie. Ripartiamo da qui e incominciamo con questa operazione verità ad avvicinarci all'auspicio fatto dal Presidente Napolitano di un rilancio sociale e culturale della nostra regione, presupposto senza il quale non si può parlare di risoluzione di nessuno dei problemi con i quali ci confrontiamo, men che meno dell'emergenza rifiuti e del problema della criminalità organizzata (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e dei deputati Realacci e Margiotta).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Angelis. Ne ha facoltà.
GIACOMO DE ANGELIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi quest'Assemblea è chiamata a discutere e successivamente a convertire in legge il decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore rifiuti nella regione Pag. 30Campania e anche misure per la raccolta differenziata. Si tratta di un'emergenza che sta strangolando la vita economica e civile di una regione. Le immagini trasmesse e i servizi giornalistici hanno reso ancora più visibile la situazione allarmante anche sotto il profilo sanitario, con interi territori e tante città assediate da ogni tipo di rifiuto. Lo stesso dottor Bertolaso, a cui va tutto il nostro sostegno e la nostra ammirazione, si è reso subito conto che non era possibile mantenere gli impegni presi rispetto ad un'uscita rapida dell'emergenza, dopo avere constatato il livello raggiunto da questa ennesima emergenza.
A distanza di un mese di lavoro, ci sono ancora oggi strade, periferie di grandi e medie città, sommerse di rifiuti, con tutti i gravi e potenziali conseguenti pericoli sanitari. Si calcola che a tutt'oggi vi siano ancora per le strade campane circa 30 mila tonnellate di rifiuti, che vanno sommate alle 7 mila e 200 tonnellate che si producono ogni giorno in presenza - è questo un punto su cui tornare - di impianti saturi e di un ciclo dei rifiuti mai completato. Credo che basterebbe elencare solo questi dati per convenire sulla necessità di convertire rapidamente in legge questo decreto-legge.
In Commissione si è svolta una pacata e fruttuosa discussione di merito. Tutti i colleghi hanno evidenziato la necessità di emendare il testo approvato dal Senato, come hanno fatto anche molti colleghi questa mattina in Assemblea, un testo - è bene ricordarlo - che i colleghi del Senato hanno completamente modificato rispetto a quello presentato dal Governo. Al Senato ci siamo trovati di fronte - a mio avviso positivamente - ad una discussione lunghissima e fruttuosa che ha visto concordi su molti emendamenti sia il centrosinistra che il centrodestra, perché, ovviamente, il tema è talmente delicato che non vi è una questione di parte. Infatti, penso che sicuramente alcuni punti andrebbero rivisti e migliorati, ma la tempistica del provvedimento non ci consente di apportare nuove modifiche, poiché la scadenza dell'8 dicembre è troppo vicina per poter ipotizzare il ritorno al Senato in terza lettura. Credo che il rischio che lo stesso possa decadere è troppo forte e sostengo, appellandomi alla sensibilità di questa Assemblea, che sia inimmaginabile pensare allo scenario che si aprirebbe in Campania in presenza della decadenza di questo decreto-legge.
Lo stesso dottor Bertolaso ci ha sollecitati, in audizione, ad approvare rapidamente il provvedimento ed ha sottolineato che la mancata conversione determinerebbe una situazione ancora più drammatica, soprattutto sotto il profilo igienico-sanitario: è un lusso che non possiamo permetterci, perché la popolazione sicuramente non capirebbe. Credo, invece, che la credibilità e la professionalità dimostrate in questi anni dal dottor Bertolaso, accompagnate, ovviamente, da una vigile attenzione e dalla collaborazione delle istituzioni nazionali e locali possano essere una garanzia di successo.
La discussione in corso, che avrà un seguito domani, può e deve, da un lato, servire a mettere il Parlamento, in modo chiaro e lineare, in condizione di conoscere la gravità della situazione e, dall'altro, contribuire a dare indicazioni più puntuali al Governo relativamente alle ordinanze successive ed ai dispositivi che dovranno accompagnare l'uscita dall'emergenza (ove li si ritenga necessari, ma è stato dato anche questo suggerimento).
Tengo a dire ai colleghi, al Governo e al Presidente che questa discussione potrà proseguire proficuamente ad una condizione (e mi spiace che alcuni colleghi siano già andati via): che la smettiamo di caricare di eccessiva strumentalità la vicenda dei rifiuti in Campania, perché le responsabilità, ormai, sono chiare. Il problema che stiamo affrontando stamani (e spero che l'esame si possa concludere domani, con l'approvazione del disegno di legge di conversione) è quello di dare risposta, attraverso un decreto-legge, all'emergenza determinatasi in Campania.
Scusatemi se apro una parentesi (lo faccio perché fa male sentire sollevare certe questioni). Guardate che nella regione Campania il mio partito ha sempre Pag. 31fatto notare, in maniera coerente - i colleghi che sono intervenuti lo sanno benissimo -, che il piano regionale era sbagliato e che anche la gestione commissariale stava diventando pericolosa: non c'era un obiettivo da realizzare, ma regnava la cultura del «vivere alla giornata», la quale comportava uno spreco immane di risorse pubbliche.
Senza intenti provocatori, ma - come dire? - sottovoce, desidero porre ai colleghi campani che sono intervenuti nella discussione la seguente domanda: quando noi dicevamo queste cose in consiglio regionale, voi che cosa avete detto? Quando, in quel consiglio, abbiamo posto il problema politico, quando abbiamo detto che bisognava smetterla prima che la situazione diventasse ingovernabile, cosa avete detto? È facile, oggi, dare addosso all'untore! È facile, quando cade un impero, dire di non appartenervi! È facile, oggi, comportarsi in questo modo; credo, però, che non sia onesto.
Sono fermamente convinto che nella regione Campania si ponga un problema di gestione politica: c'è bisogno di un nuovo gruppo dirigente, di una nuova classe politica capace di trarre la regione fuori dal pantano e di governarla.
Per queste considerazioni - ed era quello che volevo tentare di dire stamani -, sono portato a distinguere, all'interno dell'intera problematica, due fasi.
La prima fase dovrà essere quella in cui si affronti subito l'emergenza con tutti i mezzi necessari, mentre la seconda fase dovrà affrontare, con rigore e severità, le cause, gli errori, le responsabilità che vi sono state ed individuare le scelte funzionali per consentire il ritorno alla normalità, stabilendo (cosa che tutti diciamo e su cui tutti dovremmo impegnarci, chiedendolo al Governo) di ritornare ai poteri ordinari. È necessario che siano le comunità locali a risolvere i propri problemi e che siano le comunità elette democraticamente ad affrontare le questioni del proprio territorio.
Tutti, a partire dalle comunità locali, in Campania, sono consapevoli del fallimento dell'opera di dodici anni di commissariamento, che non ha prodotto alcun risultato, se non quello di uno spreco enorme di risorse pubbliche, un arricchimento smisurato di tante imprese legate, direttamente e indirettamente, alla criminalità organizzata.
La questione che più provoca rabbia è la constatazione di aver perso dodici anni e di essere tornati al punto di partenza, cioè la riapertura delle discariche come unica condizione, non più rinviabile, per uscire dall'emergenza. Ecco la polemica che si sviluppò agli inizi dell'approvazione del piano regionale, quando si diceva che chi era contro quel piano era per mantenere l'apertura e la presenza delle discariche in Campania. Vorrei chiedere: e adesso? Come si giustifica il ritorno all'apertura necessaria ed obbligatoria di diverse discariche?
Parlavo di due fasi perché una cosa è discutere dell'emergenza, ed altro è affrontare con calma e scientificità le cause del fallimento. È giusto ribadire che il mio partito si è sempre battuto - come ho già detto - contro questo piano (anche in questo caso, ecco l'avidità), elaborato ed approvato dalla coalizione di centrodestra, e, successivamente, gestito da una coalizione di centrosinistra. Era un piano sbagliato nella filosofia di fondo, cioè la distruzione attraverso l'incenerimento dei rifiuti senza alcun trattamento. Ecco la ragione della prevista costruzione, nel piano originale, di ben cinque termodistruttori, con una capacità distruttiva (qualche collega lo ha già affermato e mi conforta in questa dichiarazione) molto al di sopra della quantità di rifiuti che la stessa regione Campania produceva.
Il centrosinistra, con poche eccezioni, fra cui il nostro partito, ritenne una buona mediazione ridurre a due i «mostri» da costruire con tecniche che, al vaglio di esperti, si sono dimostrate vecchie e pericolose. Non lo diciamo noi, per scelta ideologica, ma la stessa commissione tecnica, che venne chiamata a valutare la capacità impiantistica del termodistruttore di Acerra, indicò alla società costruttrice ventisette condizioni fondamentali per Pag. 32consentire l'apertura di quell'impianto e, soprattutto, per rispettare le norme di impatto ambientale.
Anche in quel caso, furono spesi altri soldi della comunità e dello Stato per porre riparo ad un errore compiuto in partenza. Ecco il motivo per il quale nel piano non era prevista, se non annunciata, una seria ed articolata progettazione della raccolta differenziata.
Ma credo che l'errore più grave - lo dico in modo autocritico, proprio perché spero di poter fare una discussione franca domani, senza condizionamenti, e lo chiedo anche ai colleghi del centrodestra - sia stato quello di indire una gara di appalto che si è dimostrata lacunosa e molto discutibile, che fu formalizzata dal governatore Rastrelli, come tutti ricordiamo, che fu espletata dal governatore Losco, nella fase del famoso ribaltone della regione Campania, e fu assegnata dal governatore Bassolino.
Questa è stata la più grave responsabilità politica del centrosinistra campano, sicuramente dettata da una nobile necessità, quella di uscire dall'emergenza e di sottrarre il settore al controllo completo della camorra, cosa - dispiace dirlo - che non si è verificata.
Invece, si sono prodotti guasti ancora più gravi. Infatti, cosa è successo? È successo che le organizzazioni criminali si sono riorganizzate, hanno trasformato la loro attività illecita, passando dal controllo delle discariche che venivano chiuse a quello, quasi totale - dico «quasi» per pudore -, attraverso ditte compiacenti, della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio dei rifiuti.
Noi siamo convinti che sia mancato il coraggio di fermarsi, sia mancata l'umiltà di ammettere un grave errore, che ha condizionato la vita di un'intera regione, e che sia mancato il coraggio di invertire la marcia e di chiamare tutte le forze politiche e sociali a discutere insieme per individuare nuove strade meno pericolose e, sicuramente, più idonee alla soluzione del problema.
Invece, si è voluto assegnare l'appalto - ecco il secondo errore - alla FIBE, delegando alla stessa scelte importanti e strategiche, che hanno segnato negativamente e definitivamente la vita economica e produttiva di vaste zone del territorio campano.
Mi chiedo e chiedo a voi come sia possibile delegare, come diceva prima la collega, ad un privato, che legittimamente cura i propri interessi, la scelta dei terreni dove ubicare la costruzione degli impianti. Qual è stato il criterio che questo privato ha seguito? A noi è oscuro ancora oggi.
Faccio un esempio, per individuare, se c'è, una gradualità di responsabilità, di pericoli e di tragedia su questo caso, ossia la scelta, con la relativa motivazione, della sede dei due termodistruttori: il comune di Acerra e il comune di Santa Maria La Fossa.
Acerra: anche qui un po' di giustizia per quei cittadini!
Ho sentito dire cose non molto belle da parte dei colleghi. Forse, loro avranno pure la residenza in Campania, ma non conoscono questa regione, né conoscono il suo territorio.
Come saprà chi si è informato, la comunità di Acerra basa la gran parte della propria economia sull'attività agricola. Qui ci troviamo di fronte ad un fenomeno denunciato da anni. Una parte di questo territorio ha subito di tutto: inquinamento di ogni natura, discariche abusive, ritrovamenti di rifiuti tossici sotterrati provenienti da industrie del nord, come è stato accertato da tante indagini avviate da procuratori coraggiosi.
Vorrei svolgere, a tal proposito, un'altra puntualizzazione. Nel 1994 l'allora Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti della Camera visitò quel territorio. All'epoca ero parlamentare e vedemmo con i nostri occhi centinaia - e sottolineo: centinaia - di fusti contenenti ogni tipo di rifiuti nocivi.
Lo dico al Governo e ai colleghi parlamentari: quei rifiuti sono ancora lì! Voi conoscete meglio di me gli effetti della presenza di quel materiale nocivo sul terreno e sulle falde acquifere!
Inoltre, in quella zona è stata riscontrata - ed i tecnici lo hanno evidenziato, Pag. 33come diceva anche la collega Francescato - una massiccia presenza di diossina, che condiziona non solo le attività agricole, ma anche quelle legate alla pastorizia.
La classe politica dovrebbe fare un'autocritica: nonostante l'impegno sottoscritto a tutti i livelli istituzionali di bonificare quei territori (ciò è stato detto per anni) si è consentito alla FIBE di fare l'ennesimo «regalo» a quella popolazione: costruire lì il termodistruttore. La stessa cosa si è deciso di fare a Santa Maria La Fossa, una cittadina agricola e, soprattutto, un territorio in cui si produce, in grandi quantità, ciò che molti di voi mangiano con piacere: la mozzarella DOC. Noi costruiremo il termodistruttore in quell'area.
Per non parlare degli impianti per la produzione del CDR, impianti che trattano rifiuti tal quali (perché non vi è raccolta differenziata) e confezionano le ormai famose ecoballe che, a detta di esperti indicati da diverse procure che si sono interessate al caso, non hanno niente di ecologico. Infatti, l'unica funzione di tali impianti è quella di imballare i rifiuti non trattati.
Ricordo a me stesso e anche a voi che, diversi mesi fa, una di queste ecoballe si è aperta ed è uscito di tutto, comprese batterie da macchina, contenente degli oli. Tali balle, in teoria, dovrebbero essere bruciate nell'inceneritore. Esse, al momento della messa in funzione del termodistruttore di Acerra - sul quale conservo fortissime riserve (ed è giusto che lo sottolinei, visto che tutti ne parlano e si dà per scontato che, alla fine, si realizzerà comunque) sia sulla funzionalità sia sulla sicurezza ambientale e sanitaria - dovrebbero essere prima trattate e poi immesse nell'impianto.
Si parla del rapporto fiduciario con i cittadini e con quelle comunità; ma la cosa più grave è che nessuno dice dove verranno allocate le ceneri dei rifiuti bruciati. Nessuno lo dice! Nel momento in cui il termodistruttore comincerà a funzionare, bisognerà collocare nelle sue vicinanze una discarica di ceneri, ossia di rifiuti speciali.
Nessuno lo dice - la FIBE non parla di questo - e s'ingannano i cittadini. Nel frattempo, disseminate su vaste aree del territorio campano con affari d'oro sugli affitti, crescono montagne di balle che qualcuno, ogni tanto, si diverte a bruciare. Questo è un classico segnale della camorra che in questo modo ribadisce la sua presenza ed il suo interesse nell'affare.
Una prima conclusione è che ci troviamo di fronte ad un appalto sbagliato, una responsabilità gravissima della FIBE che non paga e non dà conto delle sue responsabilità nei confronti dei cittadini campani. Infatti, solo dopo tante segnalazioni ed accertamenti gravi, oltre che ad inadempienze dimostrate, è stato rescisso il contratto. Questa è un'altra burla: la tragedia, è vero, qui in Campania diventa farsa. Dopo la rescissione del contratto, la FIBE continua ad erogare servizi al commissariato straordinario e, a differenza di prima, fa un regalo, vale a dire sancisce un accordo con il commissario o con la struttura commissariale che stabilisce che sia pagata a prestazione, direttamente, una volta erogato il servizio. Si dice che, in dieci mesi, abbia già incassato 85 milioni di euro.
Credo che tutto ciò non sia più tollerabile. Questa è sicuramente solo una parte dei fatti reali e riscontrabili in tante relazioni che in questi anni sono state prodotte. In particolare, ed è stata già molte volte citata, la stessa relazione finale della Commissione bicamerale presieduta dal collega Russo. In questa relazione, dopo una dettagliata analisi del fenomeno e del ruolo asfissiante della criminalità organizzata, si individuano anche possibili soluzioni, proposte, suggerimenti che questo Parlamento dovrebbe far propri, tramutandoli in leggi dello Stato.
Questo dovrebbe essere un impegno da assumerci in questa situazione, in cui senza dubbio bisogna intervenire. La domanda che dobbiamo porci, tornando al primo punto, è se questo decreto-legge possa contribuire a far uscire dall'emergenza. A questa domanda dobbiamo rispondere fortemente, con convinzione. Noi crediamo di sì: alcune scelte previste consentono Pag. 34al commissario di affrontare con serenità, anche da un punto di vista legislativo, l'intera problematica. Nel dettaglio, sarebbe utile valorizzare alcuni punti non sempre in negativo, ma anche in positivo, come alcuni passaggi fondamentali previsti nel decreto-legge. Ad esempio, la puntualizzazione dei poteri commissariali legati all'emergenza e, soprattutto - questo è un buon segnale - l'aver deciso un tempo limite. Il 31 dicembre 2007 bisogna chiudere questa pagina delle emergenze e dei commissari straordinari.
L'istituzione della consulta regionale per la gestione dei rifiuti, entro il 31 dicembre 2006, verrà presieduta dal presidente della regione Campania e di cui fanno parte i presidenti...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIACOMO DE ANGELIS. ... della provincia e quindi anche il commissario delegato. Potrei continuare ancora, ma arrivo al dunque.
La stessa questione della raccolta differenziata credo costituisca un punto rilevante e la scelta è quella di inviare un segnale forte in questa direzione.
La scarsità del tempo a mia disposizione non mi consente di andare oltre. In conclusione, ritengo che l'esame di questo provvedimento - mi rivolgo anche al relatore - avrebbe necessitato di più tempo, come abbiamo detto anche in Commissione, perché fosse discusso e migliorato e fossero puntualizzate ulteriormente alcune questioni che nel decreto-legge sono considerate. Anch'io ritengo - mi associo a quanto affermato in tal senso - che non possiamo rinviare il disegno di legge al Senato, per una ragione di credibilità. Tuttavia, ritengo altresì che alcuni elementi, dalla stessa Commissione ritenuti utili e opportuni, debbano essere inseriti non soltanto in un ordine del giorno finale, che potrebbe accomunare tutti, ma, ancora più fortemente, in risoluzioni e in atti di indirizzo vincolanti per il Governo. A mio avviso, è importante la discussione di merito che stiamo svolgendo, ma è soprattutto importante che i cittadini campani da questo Parlamento ricevano un segnale chiaro. Questi cittadini vogliono che si esca dall'emergenza, che le strade siano pulite e che sia possibile tornare alla normalità (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mereu. Ne ha facoltà.
ANTONIO MEREU. Signor Presidente, con il mio intervento intendo effettuare un esame del provvedimento partendo dalla realtà, che evidenzia in maniera inequivocabile l'impossibilità di realizzare, sino ad oggi, nella regione Campania, un serio programma di smaltimento dei rifiuti. Dopo ben 13 anni, durante i quali si sono succeduti diversi interventi straordinari, anche dal punto di vista finanziario, da parte dello Stato, nella regione i rifiuti hanno finito per occupare persino luoghi pubblici, creando conseguenze di alta tensione sociale. Parlare ancora di emergenza, dopo 13 anni, significa prendere atto del fallimento delle istituzioni e della politica locale in questo contesto: mi riferisco, soprattutto, alla regione Campania, alla giunta e al presidente Bassolino, che la rappresenta. Non affermare questo, non tenerne conto significa allontanarsi dalla soluzione del problema. Lo dico perché, sul tema, molti colleghi hanno preferito sorvolare in Commissione, ritenendo maggiormente conveniente entrare nel merito del provvedimento, come è stato fatto quest'oggi. Vorrei ricordare, invece, che l'emergenza che abbiamo di fronte è, soprattutto, di tipo operativo. Se facessimo parte di una impresa un poco attenta, il problema sarebbe affrontato in maniera completamente diversa, dovendo, noi per primi, provvedere allo smaltimento dei rifiuti e, in una fase successiva, alla normalizzazione. Chi, come tanti, abbia lavorato, ad esempio, nell'industria, sa che affrontare un'emergenza significa, innanzitutto, prenderne atto, individuarne le responsabilità, trovare una soluzione e individuare il soggetto cui affidare il compito del superamento della stessa emergenza. Evidentemente, non può essere il Pag. 35soggetto che ha determinato l'emergenza a dover continuare ad intervenire. Questo è il primo elemento importante. Ciò non avviene nel settore privato. Nel settore pubblico, invece, altre sono le valutazioni e, conseguentemente, altre sono le soluzioni. Oggi, in questa Assemblea, dobbiamo sforzarci tutti per superare questa differenza, se vogliamo raggiungere i risultati che tutti diciamo di volere ottenere. Bisogna prendere atto del fatto che, nel tempo, si sono succeduti ben tre decreti-legge, adottati da Governi diversi, che hanno previsto significativi contributi nazionali. Nonostante questo, la situazione non è cambiata. Se ciò è accaduto, ci sarà pure un motivo.
Infatti, a Governi di estrazione diversa, che hanno comunque individuato un'azione simile (ma non nel finanziamento, dato che i decreti Berlusconi coprivano abbondantemente il decreto stesso), non è corrisposta oggi un'eguale soluzione nella regione Campania dove il centrosinistra, nonostante il protrarsi dell'emergenza rifiuti, continua a governare. Diversi governi, stessi tipi di intervento, con finanziamenti acclusi, ma purtroppo stessa giunta regionale, con il presidente Bassolino anche commissario per diversi anni: subito si capisce quale sia l'elemento debole della catena. Se per un attimo torniamo indietro nel nostro ragionamento e ci riallacciamo al comportamento che avrebbe usato una società privata constateremmo che mai e poi mai avrebbe dato l'incarico di superare l'emergenza a chi l'emergenza l'ha creata: da qui la prima contraddizione per la maggior parte di noi.
Dunque, diciamo no al commissariamento, perché è giusto superare la crisi con le vie ordinarie, attraverso l'attività delle amministrazioni locali, che il commissariamento di fatto deresponsabilizza. Così facendo diamo il timone in mano a chi ci ha portato nelle secche per provata imperizia, perché di imperizia si tratta, sia che la regione Campania non abbia avuto la capacità o la forza di dare vita ad un piano regionale dei rifiuti, sia che a questo si sia opposta, in maniera più o meno consapevole, la stessa popolazione. Nell'uno e nell'altro caso ci saremmo aspettati, in materia di elezioni, un risultato diverso che avrebbe permesso di sperare in una nuova classe dirigente: questo non è avvenuto e non possiamo farci nulla. Purtuttavia, riteniamo, nonostante i dubbi e le differenze, che le amministrazioni locali, in primis quella regionale, debbano essere coinvolte e responsabilizzate.
Per questo il decreto-legge deve essere ulteriormente modificato. Molto è stato fatto al Senato, ed il nostro gruppo ha partecipato attivamente a tali modifiche. L'aver stabilito che il commissariamento non va oltre il 31 dicembre 2007 va nel senso che dicevo prima: verso la piena autonomia di regioni e comuni in tale ambito. Chiediamo, quindi, che vengano presi in considerazione gli emendamenti al decreto-legge presentati in aula non solo dall'UDC, ma anche dai colleghi dell'opposizione.
Un'altra considerazione va svolta sul finanziamento del provvedimento: i 20 miliardi di euro ci sembrano insufficienti anche a fronte di quanto già speso (si parla di mille miliardi). Il commissario Bertolaso ci ha rassicurato in questo senso. Ci permettiamo, però, di dissentire: seppure riteniamo che il problema sia diventato nazionale, ciò non significa che la regione non debba compartecipare alle spese, tenendo ben presente che nel contesto generale sia necessario valutare che ci sono cittadini, e sono molti, che non vanno penalizzati per colpe non loro. Quindi, siamo preoccupati quando sentiamo che i fondi dei finanziamenti previsti saranno realizzati attraverso il recupero della TARSU; siamo preoccupati che i 20 miliardi già menzionati da parte dello Stato non siano sufficienti; siamo, altresì, preoccupati quando veniamo a sapere che il presidente Bassolino non si è mai presentato alle sedute di una Commissione parlamentare che lo aveva convocato in audizione a Roma.
Sono anche preoccupato che il commissario Bertolaso, cui facciamo tutti gli auguri di buon lavoro, possa essere lasciato solo di fronte ad un problema così Pag. 36difficile ed arduo. Raggiungere l'obiettivo minimo di raccolta differenziata, infatti, come dice il comma 1 dell'articolo 4, pari al 35 per cento dei rifiuti, mi sembra un traguardo impossibile se si viene lasciati soli. In passato la parte politica che governa la Campania non ha certamente collaborato per raggiungere risultati più modesti e, poiché la Campania è governata dalla stessa classe politica, il dubbio persiste. Onde evitare che questo avvenga occorre che il Parlamento possa verificare periodicamente lo stato di attuazione del presente decreto-legge per avere la possibilità di eventuali modifiche da proporre in corso d'opera. Occorre valutare la possibilità di inserire una gestione dei rifiuti ponte tra la fine del commissariamento e la gestione cosiddetta normale che tutti noi speriamo avvenga presto e che in questo decreto-legge non vedo descritta.
Concludendo, vorrei invitare il relatore, la Commissione ed il Governo a tener presente gli emendamenti da noi presentati in aula perché li riteniamo determinanti per ottenere risultati concreti.
Non vorremmo che, in mancanza di ciò, ci si dovesse trovare in futuro a riconsiderare lo stato delle cose attraverso un nuovo decreto. Non credo che perdere un po' di tempo, visto che sono passati 12 anni dal primo intervento, sia contrario alla soluzione del problema. Ritengo che ripensarci e far esaminare le eventuali modifiche al Senato sia possibile, anzi crediamo sia necessario ed utile se vogliamo effettivamente risolvere tale problema (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iacomino. Ne ha facoltà.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, il disegno di legge approvato al Senato e trasmesso alla Camera, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania, impone una discussione seria ed approfondita, non ideologica e senza atteggiamenti pregiudiziali.
Quando un'emergenza, come quella dei rifiuti in Campania, dura da circa 12 anni senza che si profili un ritorno alla normalità, non vi possono essere giustificazioni o argomentazioni tese a scagionare la politica dalle proprie responsabilità amministrative.
Dal 1994 si sono succeduti ben due prefetti e tre presidenti della regione con poteri commissariali, che in 12 anni non solo non hanno risolto la drammatica emergenza rifiuti, ma per certi versi l'hanno evidentemente peggiorata.
È emblematico che il Governo scelga il capo del dipartimento della Protezione civile dando grande attenzione e risalto alla particolare drammaticità che sta vivendo quella regione, attraverso poteri speciali che di fatto ritardano il ripristino dell'ordinaria gestione affidata alle legittime amministrazioni locali.
Il capo del dipartimento della Protezione civile, all'indomani del suo incarico, aveva annunciato il ripristino delle condizioni di normalità nell'arco di dieci giorni. Siamo già al cinquantesimo giorno e registriamo pesanti ritardi.
In Campania, attualmente, vi sono circa 40 mila tonnellate di rifiuti lungo le strade a cui si aggiungono 7.200 tonnellate giornaliere prodotte, rispetto alle quali non esistono al momento soluzioni, in quanto non vi sono gli impianti che completano l'intero ciclo. Purtroppo, oggi, dobbiamo constatare con amarezza l'esigenza della riapertura delle discariche.
Esistono 4 milioni 200 mila ecoballe, equivalenti a 5 milioni di tonnellate di rifiuti, che per essere smaltite necessiterebbero di tempi biblici, dai 35 ai 50 anni, così come rilevato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta nella scorsa legislatura.
Vi sono pesanti responsabilità che si sono trascinate per 12 anni, che testimoniano una incapacità gestionale di programmazione e di elaborazione di un piano capace di segnare una svolta ed un'uscita definitiva dall'emergenza.Pag. 37
Nel 1996, attraverso una gara, si stabilì che la decisione di costruire gli impianti doveva essere adottata da un soggetto privato e non pubblico, contro qualsiasi esigenza di pianificazione territoriale e delle linee di sviluppo e di vocazione dei territori della regione. Allora, perché costruire un termovalorizzatore ad Acerra (il secondo, quello di Santa Maria La Fossa, non è ancora avviato) nell'area della mozzarella DOC dell'Aversano e del San Marzano DOC? Perché imporlo con la forza alle popolazioni locali e ai suoi rappresentanti istituzionali, già penalizzate per il più alto tasso di inquinamento regionale e di avanzamento di malattie, quali le leucemie, per la presenza di quantità eccessive di diossina nella catena alimentare, oltre all'inquinamento del suolo e delle acque derivante dalla presenza di discariche abusive?
Invero, all'epoca dell'individuazione dei suoli, la Fibe (che non è una società né napoletana né campana né meridionale, ma è l'unione di grandi gruppi italiani e stranieri legati alla società Impregilo) aveva già acquistato i suoli ed ottenuto le concessioni; era il gestore unico e aveva un contratto esclusivo. Ma, nonostante la rescissione contrattuale dal novembre 2005 - sembrerebbe per frode contrattuale, con la presa d'atto del disastro provocato per la pessima qualità del prodotto CDR, per gli impianti vetusti ed obsoleti, per la qualità delle produzioni -, la Fibe ha continuato ad incassare guadagni anche nei primi dieci mesi del 2006, come osservava poc'anzi il collega. Si è trattato di circa 85 milioni di euro per impianti e siti di stoccaggio, cui è seguita la lievitazione dei costi dei suoli.
Si può ricordare quanto scritto negli atti della Commissione bicamerale e delle varie procure: lo stesso giorno, nello stesso studio notarile, avvenivano transazioni e atti di compravendita che determinavano una lievitazione dei prezzi. Infatti, lo stesso suolo, lo stesso giorno, tramite un prestanome che acquistava e rivendeva poi al commissariato o alla Fibe, lievitava da uno a trenta volte.
Se si mettono insieme tutte le innumerevoli indagini svolte dalle varie procure di Napoli, Nola, Santa Maria Capua Vetere negli ultimi quindici anni, si conclude che la Campania è diventata la pattumiera d'Italia. La continua emergenza nel settore dei rifiuti, che tiene la Campania nella morsa di un dannoso commissario straordinario da dodici anni, ci ha in qualche modo abituato ai rifiuti per strada, a non far caso ai cumuli di scorie abbandonate lungo le provinciali, lungo l'asse mediano e nelle campagne al di fuori della città. Tanti i casi famosi, dalla discarica di Pianura, alla discarica Tre Ponti di Giuliano, al ritrovamento di una megadiscarica abusiva nel nolano piena di rifiuti altamente tossici, ai 120 fusti aperti, pieni di materiale chimico, a Santa Maria La Fossa (Caserta) sui quali vi era una scritta in tedesco. Venire a smaltire in Campania è conveniente perché costa meno; per fare qualche esempio, lo smaltimento di morchie di verniciatura e di solventi normalmente costa dalle 600 alle 800 vecchie lire al chilo, mentre clan criminali campani lo fanno per molto meno, per 280 lire al chilo. Un'industria, in genere, ha bisogno di smaltire molte tonnellate all'anno di simili rifiuti.
Fin dai primi anni Novanta, una vera e propria holding, composta da imprenditori, clan criminali, politici corrotti, ha gestito il trasporto dal centro-nord verso il Mezzogiorno di rifiuti industriali ed urbani; dalla Lombardia e dal Piemonte - ma anche dalla Toscana - verso la Campania, ma anche verso la Calabria, la Basilicata e la Puglia. TIR carichi di rifiuti finivano presso discariche non autorizzate a riceverli e soprattutto presso cave abusive, terreni scavati per l'occasione, riempiti di immondizie e ricoperti.
Da ormai quindici anni la Campania è il crocevia dello smaltimento di rifiuti provenienti da ogni regione; un affare che ha fruttato e frutta enormi guadagni alla camorra, ma anche alle altre organizzazioni criminali e ad altri soggetti. Ci si riferisce, in particolare, ai cosiddetti criminali dal colletto bianco, amministratori, chimici, analisti, impiegati, e via dicendo; Pag. 38per anni hanno escogitato un trucco definito in gergo «giro bolla» consistente nel falsificare il modulo di identificazione rifiuti. Formalmente sversano in discariche lecite mentre in realtà gettano i rifiuti in cave, fiumi e laghi; soltanto nel casertano sono state sequestrate circa mille discariche abusive, ma vi è chi in modo illegale e criminale si è sbarazzato di autentiche bombe gettandole nelle discariche autorizzate per lo stoccaggio di rifiuti solidi urbani.
È proprio in quest'area, tra le province di Napoli e Caserta, che si saldano gli interessi e le collusioni, tant'è che la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti l'ha più volte definita la terra dell'ecomafia. Dinanzi a tutto ciò, nessuna argomentazione può essere tesa a scagionare la politica.
Già nel 2004 i servizi ispettivi del dipartimento della protezione civile hanno riscontrato irregolarità e carenze, quali la costruzione di una società mista, la SPAN, società per azioni, con acquisizione da parte del commissario del pacchetto azionario pari al 51 per cento del capitale sociale, successivamente ceduto a titolo gratuito ad altri enti - operazione non contemplata da alcuna norma di legge - che ha comportato la destituzione ad altre finalità delle risorse finanziarie assegnate espressamente per il superamento dell'emergenza dello smaltimento dei rifiuti in Campania; l'ingiustificato aumento dei compensi ai membri della commissione aggiudicatrice della gara relativa al progetto Sirenetta; l'assunzione di risorse esorbitanti rispetto alle necessità del consorzio Salerno 2; l'ingiustificato aumento dell'indennità corrisposta alle varie figure commissariali; la corresponsione di competenze al personale in deroga al principio dell'onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti della pubblica amministrazione; l'elevato ammontare dei crediti accumulati fino al 2005 nei confronti dei comuni per il conferimento dei rifiuti agli impianti e gestiti da Fibe; conferimenti di incarichi di consulenza, spesso senza tracce dei relativi atti peritali e delle relazioni conclusive; la gestione del rapporto di lavoro, attualmente a tempo indeterminato, degli oltre 2 mila lavoratori assunti nel 1999 per lo sviluppo delle attività di raccolta differenziata, cui si aggiungono oltre 200 unità presso i consorzi.
È quest'ultimo aspetto, quello della raccolta differenziata, mancata o insufficiente, che costituisce lo snodo primario delle problematiche fin qui citate. I vari commissari che si sono succeduti in questo decennio non hanno capito che la soluzione esiste: è quella scritta nelle direttive europee e nel decreto Ronchi che le ha recepite, dalla riduzione della produzione di rifiuti attraverso l'incentivazione del compostaggio domestico, alla raccolta differenziata mediante un lavoro capillare basato sul sistema «porta a porta» secco-umido che permette di intercettare grandi quantità di rifiuti prima del loro conferimento agli impianti di produzione di CDR.
Oggi in Campania le emergenze si sommano tra loro e forniscono di questa terra un'immagine degradata, che la Campania non merita, e che indica responsabilità politiche trasversali, riconducibili ad una grande questione irrisolta, comune a molte regioni del Mezzogiorno. Se non si aggrediscono le questioni sociali, le questioni del lavoro, della salute e dello sviluppo, le emergenze rifiuti, sicurezza ed altre saranno sempre le maschere grottesche con le quali tali terre verranno viste da una politica miope e non lungimirante. Occorre un disegno, un progetto complessivo credibile, che ridia alla nostra gente del sud la speranza di poter dispiegare le proprie potenzialità produttive, sociali e culturali. L'emergenza, tuttavia, impone un altro approccio, di tipo parziale e spesso non risolutivo delle problematiche affrontate, suscitando perplessità, dubbi ed ostacoli che appartengono, appunto, all'assenza di una visione complessiva delle tematiche che le emergenze determinano.
Se vi è, dunque, una lezione che giunge al Governo da questa emergenza, che il Governo stesso farà bene a trasformare in azione politica concreta, è che occorre un progetto complessivo, che occorre, ora, Pag. 39guardare oltre l'emergenza, in una prospettiva di sviluppo del meridione che sappia sottrarre tali terre al governo delle mafie, riconsegnandole ai cittadini ed alle loro scelte. Oggi, tuttavia, siamo chiamati a dare una risposta urgente ad un'emergenza, quella dei rifiuti in Campania, ed il Governo lo fa, con tutti i limiti che l'urgenza stessa comporta, con il decreto-legge n. 263 del 2006.
Vi sono, indubbiamente, alcune novità. In primo luogo, vi è l'annullamento di una procedura di gara ambigua e la delega al commissario delegato, nella figura del capo dipartimento della protezione civile, di individuare soluzioni idonee per lo smaltimento dei rifiuti e delle ecoballe, anche eventualmente con affidamenti diretti a società diverse da quelle oggi attive e che gestiscono il servizio. Una seconda novità è rappresentata dalla grande attenzione alla raccolta differenziata che, come forza politica, riteniamo essere l'obiettivo primario. La terza novità è il riconoscimento dell'informazione e della partecipazione dei cittadini, con riferimento rilevante alla Carta di Aalborg. Si afferma, in sostanza, che non possono realizzarsi opere contro la volontà delle comunità degli enti locali, ma che si deve agire in concerto con esse, in un processo partecipato su scelte condivise, evitando la determinazione di tensioni e conflitti.
Un aspetto importante, su cui non si può tacere, è la nomina di tre subcommissari e di una commissione di esperti, ad invarianza di spesa, contestualmente alla riduzione dell'organico della struttura commissariale, che deve agire sul personale distaccato da altri enti e non sui precari, così come si è impegnato il Governo in Commissione bilancio.
Altro aspetto importante è il principio in base al quale i comuni, attraverso le tariffe, pagano la gestione del servizio, contribuendo così, tramite la responsabilizzazione, alla necessaria riduzione dei costi.
Il decreto in esame è emergenziale e, con tutte le difficoltà del caso e i limiti di questo intervento d'urgenza, esprimiamo su di esso il nostro assenso, nell'auspicio che il 31 dicembre 2007 sia il termine ultimo delle fasi commissariali e che la regione Campania esprima un'adeguata classe dirigente capace di riportare nella gestione ordinaria l'emergenza rifiuti (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, signor rappresentante del Governo, la drammatica emergenza rifiuti in Campania, che rischia di seppellire sotto un cumulo di macerie le più oleografiche rappresentazioni di quello che è stato definito il «Rinascimento bassoliniano» e le più ottimistiche letture del governo del territorio, necessita di considerazioni meditate, perché troppi e pesanti sono gli intrecci di natura amministrativa e politica, ma, soprattutto, merita risposte responsabili e progetti organici di ripensamento globale, per superare la fase fallimentare dei commissariamenti ad hoc. Non basta, per intenderci, la politica degli spot, ai quali purtroppo le istituzioni, in questi decenni, hanno abituato gli italiani.
Dopo i dodici anni di poteri speciali in un comparto tanto lucroso - e perciò di fatale attrazione per le ecomafie - quanto strategico per la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, la situazione, per dirla con il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, è da sala rianimazione. Il meccanismo di smaltimento - ha riferito - è ancora più farraginoso e lento rispetto alle previsioni, dal momento che esiste un'unica discarica. Senza entrare nella penosa questione degli illeciti, sui quali sta indagando la magistratura, vale la pena di ricordare che ritardi, inadempienze e il totale fallimento della raccolta differenziata vedono la Campania, insieme alla Puglia, al primo posto nel bottino delle infrazioni contestate dalla Commissione europea all'Italia. I quattro giorni di lavoro forsennato, a fine ottobre, per ripulire Napoli dall'immondizia, che superava il primo piano delle abitazioni (2.100 tonnellate raccolte in un giorno), non bastano Pag. 40a far tirare un sospiro di sollievo. La messa a norma del ciclo di smaltimento è un carico enorme per un settore, come quello dei rifiuti campani, che in dodici anni di gestione commissariale è costato all'erario pubblico 2 mila miliardi di vecchie lire.
Conoscendo il pregresso di una situazione incandescente, frutto di oltre un decennio di miopia e di emergenza e scelte non dettate da criteri di efficienza e di compatibilità ambientale, non si può guardare certo con soddisfazione a questo decreto-legge che tradisce contraddizioni di merito e di metodo.
Il primo aspetto che balza agli occhi di questo provvedimento-tampone è l'assenza di una copertura finanziaria, che viene, di fatto, bilanciata con un'ennesima vessazione per i cittadini. Il meccanismo individuato, infatti, rinvia a successivi aumenti tariffari, o meglio, ad una presunta tassa regionale sui rifiuti solidi urbani.
Si tratta di una filosofia politica, prima ancora che contabile, che scarica l'incapacità del Governo (e, quindi, della politica) sulle tasche dei cittadini della Campania, attraverso quello che potremmo definire un ulteriore inasprimento fiscale; peraltro, esso non sarebbe nemmeno quantificabile in via preventiva, ma verrebbe definito soltanto a seguito delle risorse che il commissario delegato spenderà nel corso della sua attività.
Mi riferisco ad un commissario che ha già fatto comprendere la sua intenzione di «fare le valigie» se non verrà posto nelle condizioni di operare con la piena disponibilità di tutti gli strumenti del caso. Una volta individuato Guido Bertolaso quale commissario straordinario per l'emergenza nel settore dei rifiuti, il minimo che si possa richiedere al provvedimento in esame è l'individuazione di una somma da spendere per intervenire concretamente.
Chiediamo, quindi, che il Governo metta a disposizione le risorse finanziarie necessarie per effettuare veramente lo smaltimento dei rifiuti in Campania, senza ricorrere al soccorso di altre regioni oppure inviando i rifiuti verso la Germania, come è accaduto più volte.
Osservo che a tutt'oggi, nel momento in cui parliamo, questa garanzia non esiste; come se non bastasse, mentre si prevede l'inasprimento della tassa a piè di lista, al contempo si dimentica che ancora oggi è in vigore l'articolo 59 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, in base al quale i cittadini che oggi non utilizzano il servizio di nettezza urbana hanno la possibilità di attivare meccanismi tali da consentire la detrazione della tassa relativa ad un servizio che non ricevono!
Vi sono certamente responsabilità nazionali, ma penso debba essere adeguatamente sottolineato che, in larga parte, le responsabilità sono del presidente Bassolino e della regione Campania; esse sono aggravate dal fatto che Bassolino, oltre ad essere presidente della regione, per anni ha potuto sommare a tale potere quello di commissario straordinario.
Vorrei evidenziare che centinaia sono stati i miliardi messi a disposizione per smaltire i rifiuti: in cambio, abbiamo avuto cumuli di spazzatura, i quali, come abbiamo ascoltato anche nel dibattito odierno, talvolta hanno superato persino i primi piani delle case napoletane!
Se qualcosa deve essere rimproverato ai politici nazionali, forse possiamo prendercela di più con l'incapacità di superare gli ostacoli che hanno impedito la realizzazione dei due termovalorizzatori previsti. Tali termovalorizzatori non sono stati costruiti perché lo smaltimento dei rifiuti in Campania - è bene ricordarlo - è gestito, in larga parte, direttamente o indirettamente dalla criminalità organizzata, la quale vuole mantenere lo status quo poiché, così facendo, può continuare ad arricchirsi.
Dopo tanti clamori e polemiche, il decreto-legge in esame, così come si prospetta, rischia di essere quasi una «camicia di forza» messa intorno al commissario Bertolaso. Da un lato, infatti, vi sono attestati di stima, ma dall'altro vi sono anche intralci burocratici e «gabbie» costruite, evidentemente, con la collaborazione determinante del presidente Bassolino.Pag. 41
I rapporti che devono intercorrere con il governo del territorio destano in noi altrettante preoccupazioni. Delle due, l'una: il presidente della regione Campania o si assume la responsabilità globale e torna a fare il commissario straordinario di Governo per i rifiuti, oppure prende atto del fallimento complessivo e mette il neocommissario nelle condizioni di procedere rispetto alle colpevoli omissioni della regione anche per quanto riguarda il piano cave.
Sono anche altri gli aspetti che non ci convincono, come, ad esempio, le funzioni attribuite al commissario delegato ed i ruoli ripartiti tra i subcommissari. L'attenzione che il gruppo di Alleanza Nazionale ha sempre riservato ai problemi del Mezzogiorno ci ha condotto ad esprimere un'astensione dal voto nel corso dell'esame presso il Senato. Si è trattato di qualcosa di più di un voto dubitativo, il quale, tuttavia, era legato ad un auspicio che, al tempo stesso, è un preciso monito lanciato dall'aula di palazzo Madama al Governo. Evidentemente, esso non è stato ancora raccolto dal ministro competente e dal Presidente del Consiglio, ma attendiamo comunque delle risposte in tal senso.
Entro la fine dell'anno l'Esecutivo deve trovare fondi adeguati per fornire una risposta concreta - e non uno spot - ad un'autentica e drammatica emergenza che riguarda non soltanto i campani ma tutti noi. Se verrà percorsa questa strada, si troverà la nostra collaborazione; se invece le cose resteranno come l'attuale decreto lascia presagire, graverà su questo Governo e sulla maggioranza la responsabilità di un altro fallimento, così pesante da rimanere seppelliti sotto un cumulo di insipienza ben più alto di quello dei rifiuti che drammaticamente soffocano Napoli e la Campania. Valuteremo quindi se confermare il voto di astensione, già espresso al Senato, o votare in senso contrario, in base a quanto dichiarerà il Governo in quest'aula.
In conclusione, penso che la questione sia stata comunque posta ed affrontata in modo sbagliato. Sul problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti abbiamo ascoltato anche in quest'aula, nel corso del dibattito sulla conversione in legge di questo decreto, al massimo riferimenti al mancato raggiungimento delle soglie minime di raccolta differenziata in Campania, in particolare in alcune province, con rarissime eccezioni. Ci si comporta come se non esistesse un problema di filosofia generale in ordine a questa problematica. Effettivamente esiste una sorta di condizionamento da parte dei poteri economici che facciamo fatica a digerire. Infatti, si può immaginare un condizionamento delle «sette sorelle» sull'estrazione e sulla commercializzazione del greggio o quello esercitato dai principali vettori di telefonia; si può capire il condizionamento presente sul complesso rapporto tra i network televisivi o nel settore del gas, del nucleare o dell'energia in genere. Tuttavia, il fatto che si subisca il ricatto delle lobby in materia di trattamento dei rifiuti, ben sapendo che tra i soci di maggioranza di questo business vi è la criminalità organizzata (camorra, mafia), scredita la politica e ne mortifica le prerogative.
Dunque, bisogna intanto arrivare ad una riduzione a monte dei rifiuti. Finché essi verranno prodotti in misura eccessiva rispetto alle possibilità di smaltimento, dovremo sempre più frequentemente affrontare questo tipo di degenerazione. Non possiamo essere schiavi, da un lato, della logica delle discariche e, dall'altro, di quella di coloro che vogliono contrastare le discariche senza però accedere ai termovalorizzatori.
Vi è una spinta, talvolta accolta persino dai ministri o comunque dalle associazioni ambientaliste, per l'avvio dei termocombustori, avvio che però in alcune regioni non si è ancora verificato. Non ci si ricorda di aver firmato il Protocollo di Kyoto, da noi sottoscritto ma poi disatteso. Nell'ambito del Protocollo di Kyoto si è tenuta la Conferenza di Nairobi da cui è emersa, con attenzione e forza, la preoccupazione internazionale in merito all'approvvigionamento energetico e all'incremento delle emissioni di gas serra da parte Pag. 42dei paesi in via di sviluppo ed emergenti, quali Cina ed India, e da parte di altre nazioni del terzo e quarto mondo.
Non dobbiamo lasciarci condizionare dalle emergenze. Oggi stiamo a discutere per l'ennesima volta di un'emergenza senza esserci resi conto che essa non è più tale, perché siamo nella più totale ed assoluta ordinarietà. Forse abbiamo guadagnato un altro anno di tempo, ma ho qualche dubbio che in questo periodo di tempo si possa mettere a regime una problematica così complessa. Inoltre, dovremmo cominciare ad immaginare che, se in una regione si procede al commissariamento dei rifiuti, a quello per le risorse idrogeologiche, a quello della sanità, dei bilanci o di alcuni comparti legati ad altrettante deleghe, forse vale la pena di sciogliere il consiglio regionale ed andare alle urne.
Non è possibile procedere al commissariamento di tali comparti: una volta sancita la necessità da parte dello Stato di intervenire sulle regioni, ciò di fatto sentenzia il fallimento della politica nel suo rapporto con i cittadini, perché, a fronte del problema della localizzazione dei termovalorizzatori piuttosto che delle discariche, non vi è altrettanto evidente la volontà, la serietà e la forza di assumere delle decisioni ritenute impopolari e resta indefinito il dramma di come raccogliere e smaltire i rifiuti. Da questo punto di vista ogni piano regionale riguardante questo settore lascia il tempo che trova.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1922)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Margiotta.
SALVATORE MARGIOTTA, Relatore. Sarò rapidissimo, in considerazione dell'ora e della lunghezza del dibattito, perché se dovessi rispondere argomento per argomento alle osservazioni espresse rischierei di sottrarre troppo tempo ai colleghi. Mi soffermerò quindi soltanto su due aspetti di carattere generale.
Innanzitutto, è stato evidenziato dal dibattito sereno ed approfondito, nei toni distesi e positivi con il quale si è svolto, che non esiste una divisione tra chi è contento del commissariamento e chi non lo è. È evidente che un decreto-legge in cui si individua un commissario è di per sé - come è stato detto in particolare dalla collega Mazzoni - una sconfitta della politica, in particolar modo di quella locale, che avrebbe dovuto provvedere da sola alla soluzione di alcuni problemi. Tuttavia, se ciò non è accaduto è altrettanto evidente che si ha il dovere di intervenire e l'unico strumento di intervento possibile in questo momento è quello della decretazione e della nomina del commissario, tra l'altro individuato in persona di alto profilo e, inoltre, tale da aver prodotto - come ho provato a far rilevare nella relazione iniziale - frutti immediati rispetto alla situazione emergenziale che vi era inizialmente.
Non vi è, dunque, divisione su questo. Il punto è: se i risultati vi sono e se non si potevano ottenere in altro modo, in che maniera si dà un segnale forte alla Campania che le istituzioni, complessivamente intese, hanno a cuore il suo problema? In questo momento il segnale è caratterizzato unicamente dall'approvazione immediata del decreto-legge. Ecco perché, esattamente per le tre ragioni esposte dal collega Misiti (che ringrazio per aver ritirato i suoi emendamenti), spero che di qui a domani, anche sulla scorta di quanto detto opportunamente dal collega Rampelli (a cui do ovviamente atto - come ho già fatto nella relazione iniziale - del contributo costruttivo offerto dal centrodestra al Senato alla nuova formulazione del testo), possano maturare, anche attraverso un lavoro sugli ordini del giorno, al quale mi sono già dedicato e a cui continuerò a dedicarmi nelle prossime ore, le condizioni per il ritiro degli emendamenti da parte della minoranza, in modo da poter assicurare Pag. 43che immediatamente il decreto diventi legge (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Onorevole Presidente, onorevoli deputati, svolgerò qualche breve considerazione, utile, spero, anche ai fini dell'iter successivo, partendo da una sottolineatura. Siamo oggi in sede di esame del disegno di legge di conversione di un decreto-legge del 9 ottobre scorso, reso necessario dal sopraggiungere di un'emergenza nell'emergenza, cioè le dimissioni del commissario prefetto Catenacci, e dal contestuale verificarsi di un insieme di elementi che rendeva ancora più complicata la gestione di una materia di per sé già molto complessa, elementi riassunti dal commissario Bertolaso nel corso dell'audizione svoltasi presso la Commissione ambiente del Senato il 10 ottobre 2006, ove lo stesso sottolineò che vi erano ormai 38 mila tonnellate di immondizia non raccolte a rendere la situazione particolarmente grave e tale da richiedere l'intervento d'urgenza da parte del Governo.
Va detto subito che non era possibile «reagire» alle dimissioni del commissario Catenacci se non attraverso un provvedimento di emergenza non era possibile tornare alla normalità, per il semplice fatto che, dopo le dimissioni del commissario Catenacci, la normalità non esisteva.
Bisogna considerare, inoltre, che, com'è stato ricordato, in Campania la situazione di emergenza si trascina da dodici anni. In particolare, ad alimentare una situazione che ha attraversato tutti i cicli politici e governativi della cosiddetta seconda Repubblica vi sono sicuramente ragioni e responsabilità molteplici.
Proprio le caratteristiche del fenomeno non consentono quindi - devo dirlo con estrema franchezza - di scindere le responsabilità «ora per allora», ovvero «allora per ora». Perciò, sarebbe stato irresponsabile se il Governo, insediatosi a maggio, non avesse adottato, tra i suoi primi atti, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prorogava lo stato di emergenza nella regione Campania, per quel che riguarda i rifiuti, fino al 31 gennaio 2007 e, subito dopo (lo dico anche con riferimento alle questioni sollevate in Commissione ed in questa sede circa l'esistenza di troppe situazioni di commissariamento e la necessità di ritornare ad un regime ordinario nella materia de qua), un'ordinanza, che non ho sentito citare in quest'aula (la n. 3529 del 30 giugno 2006), la quale ha consentito al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di dare vita, presso il ministero, ad una struttura volta ad «accompagnare» fuori dall'emergenza tutte le realtà commissariate. Da sola, tale struttura non basta; tuttavia, se essa sarà in grado di operare efficacemente, anche in collegamento con i lavori della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti e con le attività conoscitive che la stessa Commissione ambiente ha programmato, sarà possibile chiudere questa parentesi rapidamente e verificare se ed in quale modo sia possibile tornare all'ordinario.
Credo che di fronte alla sfida di un'emergenza così grave abbiamo fatto quanto era possibile per rispondere nella maniera più alta ed efficace. Com'è stato rilevato anche dal relatore (che ringrazio per la puntuale relazione, nella quale ha dato conto di tutte le problematiche connesse all'adozione del decreto-legge ed al successivo iter al Senato), ci siamo sforzati di dare una risposta alta, più alta che in passato, attraverso la nomina a commissario per l'emergenza rifiuti in Campania del capo del Dipartimento della protezione civile. Si tratta di persona sulla cui nomina non sono stati mossi rilievi critici: la designazione è stata salutata con favore da tutto l'arco delle forze politiche, soprattutto per la funzione che Bertolaso svolge.
Non sfugge all'Assemblea che aver scelto come commissario il capo del Dipartimento della protezione civile significa aver messo il commissario per l'emergenza rifiuti della Campania nella condizione di Pag. 44avvalersi degli strumenti, delle strutture, delle procedure proprie della protezione civile. Gli strumenti e le strutture sono amplissimi (vanno dai Vigili del fuoco alle Forze armate, alle Forze di polizia, al Corpo forestale dello Stato, alla Croce rossa, al volontariato, eccetera), riguardando un insieme di organismi che potrebbero consentirgli di ridurre il ricorso ad uffici e risorse organizzative proprie del commissariato che, tra l'altro, in alcuni casi, risulterebbero addirittura sovrabbondanti persino in confronto alle competenze ordinarie della protezione civile.
È evidente la consapevolezza, nel Governo, di dover nominare un commissario che rappresenti un momento di svolta ed accompagni la Campania con una strategia di uscita, un'exit strategy (rubo l'espressione all'onorevole Francescato che, per prima, l'ha usata in Commissione, l'altro giorno), in maniera da preparare, già oggi, nella fase di emergenza, le condizioni per il ritorno all'ordinarietà.
Il relatore, con acutezza, ha collegato l'ipotesi di ritorno all'ordinarietà al successo dell'operazione «raccolta differenziata», che è fondamentale e strategica. Infatti, abbiamo un problema immediato di emergenza, di raccolta dei rifiuti giacenti per le strade, dove si trovano, tranne quelli che già, fortunatamente, sono stati raccolti, di sistemazione e di smaltimento. Abbiamo, però, anche il problema di operare a monte, sul ciclo di produzione dei rifiuti, sin dall'origine, e sotto questo profilo il tema della raccolta differenziata è fondamentale.
Attraverso il successo della raccolta differenziata si potrà uscire dalla condizione di emergenza.
Se si leggono gli atti della discussione svoltasi nell'altro ramo del Parlamento, tutti gli intervenuti si sono preoccupati di porre le condizioni di uscita dall'emergenza ed hanno allargato la sfera di competenza del decreto-legge e del commissario all'impostazione di una strategia di uscita dall'emergenza, fino a prevedere che fuori regione si debbano non solo trasferire rifiuti, ma anche provvedere allo smaltimento ed al recupero, ove ve ne ricorrano le condizioni; fino a prevedere che si possano utilizzare le risorse della misura 1.7 del POR 2000-2006 della regione Campania, anche per il principio della corresponsabilizzazione finanziaria della regione in un'operazione di uscita dall'emergenza e di preparazione dell'ordinarietà; fino a prevedere, ancora, che si debba puntare su una campagna di mobilitazione e di informazione dei cittadini, tanto da consentirci di andare oltre i limiti del 35 per cento previsti dai decreti Ronchi e portarci al 50 per cento, indicato come limite positivo, al quale il commissario potrà spingere il sistema della Campania con la sua azione di stimolo e di coordinamento dell'iniziativa pubblica nel campo dello smaltimento dei rifiuti; fino a prevedere, infine, un accordo di programma, ad esempio, per quel che riguarda gli imballaggi, che ci porterebbe al 60 per cento: un obiettivo ambizioso, ma che, fissato in questi termini, consentirà di stimolare tutto l'insieme a darsi un ritmo adeguato all'uscita dall'emergenza ed al sollecito ritorno all'ordinarietà.
Anche noi siamo convinti - e concludo, signor Presidente - che il decreto-legge, così come definito durante l'esame al Senato con l'ampia partecipazione di tutte le forze della maggioranza e dell'opposizione, abbia in sé alcuni elementi che consentono di cambiare strategia e forse di aprire una nuova pagina nella gestione dell'emergenza rifiuti. È importante ora non determinare una nuova condizione di precarietà o di incertezza normativa: lo dico con estrema sincerità.
Il relatore ha giudicato positivamente il lavoro svolto al Senato ed ha espresso un parere favorevole sul testo licenziato dal quel consesso. Ho potuto verificare che i gruppi della maggioranza sono d'accordo con lui, mentre dai gruppi dell'opposizione è arrivato l'invito a correggere e a migliorare ulteriormente il testo del Senato, certamente perfettibile.
Ho detto però in Commissione - e lo ripeto qui in aula - che l'opinione del Governo, che rappresento, è quella di verificare da qui a qualche mese il risultato delle azioni che il dottor Bertolaso Pag. 45avrà potuto porre in essere sulla scorta del decreto-legge e delle norme contenute nel disegno di legge di conversione, per decidere se dovessero ricorrere le condizioni per ulteriori interventi anche normativi, stimolati da un'analisi che si potrà fare d'accordo con le Commissioni parlamentari competenti, dedicando una approfondita riflessione alle connessioni tra le norme adottate e gli obiettivi nel frattempo conseguiti.
Credo che, ove necessario, sarà quella la sede per apportare ulteriori modifiche al decreto-legge. Ad oggi, il testo del Senato ci sembra soddisfacente in relazione agli obiettivi da raggiungere, mentre ulteriori modifiche in corso d'opera non ne migliorerebbero l'efficacia, bensì ne aumenterebbero l'incertezza, essendo su tale punto la materia molto delicata. Noi operiamo in una situazione nella quale le leggi primarie interferiscono con il potere legato alle ordinanze di protezione civile e dobbiamo fare sempre molta attenzione - già noi con il decreto-legge siamo ai limiti di questo rapporto - a non intrecciare ulteriormente i due momenti, quello dell'ordinanza e quello della normazione primaria altrimenti correremmo il rischio di alimentare un'immagine incerta, se non anche contradditoria, dell'esercizio del potere in una condizione di eccezionalità, quale quella della Campania.
Anch'io mi associo all'appello del relatore finalizzato alla più rapida approvazione da parte della Camera del disegno di legge di conversione del decreto-legge, come modificato dal Senato, confermando in anticipo la disponibilità all'accoglimento di atti di indirizzo che possano ulteriormente precisare il nostro percorso. Ricordo di avere già accolto al Senato un atto di indirizzo riguardante la parte delle risorse finanziarie di cui occorrerà dare esecuzione nella legge finanziaria, considerato che, per ragioni anche contabili, finora non abbiamo potuto costruire una copertura, se non indiretta, per l'esercizio 2007.
A tale proposito, ritengo opportuno che le risorse provenienti dalla TARSU - e concludo su questo -, possano essere utilizzate dal commissario delegato. Sarebbe, infatti, assurdo che i comuni che non hanno provveduto alle proprie funzioni non debbano versare tali risorse a chi vi abbia provveduto, o debba provvedere, a svolgere quelle funzioni per loro conto.
Ricordo ai parlamentari dei gruppi dell'opposizione, peraltro, che questa attività di recupero delle risorse TARSU presso i comuni era prevista dal precedente decreto-legge, al quale ci siamo semplicemente agganciati per assicurare la continuità operativa degli uffici del commissariato e la continuità nell'attività di riscossione da parte degli stessi delle risorse versate ai comuni.
Ciò non basta, come non basteranno i tanti altri interventi che stiamo preparando, ma sicuramente cominciare dal lì è molto importante, anche per eliminare l'impressione, rappresentata in un intervento di un parlamentare dell'opposizione, che ci si rivolga alla Campania con la mentalità di una madre iperprotettiva, come è stato detto con un'espressione che giudico molto efficace, cioè con troppa comprensione. Credo che dobbiamo fare uso di comprensione, ma non di eccessiva comprensione, perché il ritorno alla normalità passa anche da una diversa assunzione di responsabilità complessiva.
Con questo spirito, cioè con lo spirito di chi intende ricercare una conclusione operativa efficace dell'emergenza in Campania, facilitata dal provvedimento che è in essere, ma disponibili ad adottare ogni altro provvedimento che dovesse essere necessario in un prossimo futuro, ringrazio i parlamentari intervenuti, il relatore e il presidente della Commissione per l'ottimo lavoro che è stato svolto in quella sede e che sarà svolto in quest'aula. Spero che si possano trovare ulteriori momenti di convergenza, proprio a partire dalla consapevolezza che distinguere tra responsabilità storiche e politiche rispetto a questa vicenda è assai difficile e che, forse, conviene guardare avanti senza farsi condizionare troppo da ciò che abbiamo dietro le spalle (Applausi).
PRESIDENTE. La ringrazio. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,15.
La seduta, sospesa alle 14,30, è ripresa alle 15,20.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Bimbi, Chiti, Di Pietro, Donadi, Meta e Prodi sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono trentotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00043 e Airaghi ed altri n. 1-00047 sulle iniziative volte a prevedere il trasferimento della compagnia aerea Alitalia a Milano e sul ruolo dell'aeroporto di Malpensa.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00043 e Airaghi ed altri n. 1-00047 sulle iniziative volte a prevedere il trasferimento della compagnia aerea Alitalia a Milano e sul ruolo dell'aeroporto di Malpensa (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Volontè ed altri n. 1-00051, Pedrini ed altri n. 1-00023
(Nuova formulazione), Attili ed altri n. 1-00055, Mario Ricci ed altri n. 1-00056, Bonelli ed altri n. 1-00058 e Picano ed altri n. 1-00060 - i cui testi sono in distribuzione - che vertono sullo stesso argomento di quelle all'ordine del giorno (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1). La discussione si svolgerà, pertanto, anche su tali atti.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservata alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Dussin, che illustrerà anche la mozione Maroni ed altri n. 1-00043, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GUIDO DUSSIN. Signor Presidente, con la mozione in discussione vogliamo impegnare il Governo ad adottare le iniziative necessarie affinché il piano industriale, in accordo con l'azionista pubblico (Ministero dell'economia e delle finanze), preveda il trasferimento della compagnia aerea Alitalia a Milano, garantendo, di conseguenza, il mantenimento di un solo hub aeroportuale nazionale a Malpensa, condizione indispensabile per restituire efficienza e competitività ad Alitalia, garantendo così lo sviluppo economico non solo del nord d'Italia, ma anche dell'intero paese.
È ovvio che la nostra preoccupazione è anche la preoccupazione delle categorie produttive (parliamo di grandi numeri) e di un sistema che è prevalentemente rappresentato al nord: mi riferisco al sistema dell'imprenditoria. Essa riguarda i cosiddetti biglietti business.
Per quanto concerne l'hub di Roma, confermiamo che i numeri possono sostenere solamente una politica riguardante i biglietti turistici o parte di essi. Sappiamo, infatti, che Venezia sta diventando il terzo aeroporto d'Italia.
Il recente tentativo del Governo - in particolare mi riferisco all'iniziativa rutelliana - va nella direzione di puntare allo sviluppo del solo hub aeroportuale di Fiumicino, nel quale concentrare tutti i voli intercontinentali a discapito dell'hub di Malpensa. Per l'attuale maggioranza di Governo questa è una delle vie percorribili per risollevare le sorti della compagnia Pag. 47aerea Alitalia. Nulla di più sbagliato, dal momento che l'apertura dell'aeroporto di Malpensa risale al 1998 e la crisi di Alitalia affonda le sue radici in tempi ancora più lontani. La vicenda Alitalia, infatti, è il risultato di circa vent'anni di strategie aziendali errate, che hanno portato una delle più prestigiose compagnie aeree del mondo all'attuale declino. È ovvio che ciò va imputato molto probabilmente anche alle iniziative che la dirigenza Alitalia ha favorito nell'ultimo periodo e a cui bisognerà porre mano. Chi ci dice che non vi sia interesse a portare questi vantaggi aeroportuali altrove, fuori dall'Italia?
Nella nostra mozione abbiamo sottolineato tali preoccupazioni, così come abbiamo menzionato le strategie adottate fino ad oggi per rilanciare la compagnie aeree di riferimento. Esse si sono concretizzate in pressanti interventi, sotto forma di aiuti di Stato, da parte di diversi governi che dal 1993 ad oggi si sono via via susseguiti, rivelandosi un vero e proprio fallimento.
Il gruppo della Lega Nord ha avuto pertanto ragione di ciò che ha sempre sostenuto, cioè che l'Italia non è in grado di competere in un mercato aperto alla concorrenza. Ricordo a tutti l'impegno della Lega Nord in relazione allo sviluppo dell'aeroporto di Malpensa, confortato poi anche dal trend favorevole di sviluppo che registra una variazione del 400 per cento in più, a fronte del 26 per cento registrato nello stesso periodo a Roma Fiumicino e nei primi sei mesi dell'anno ha rasentato l'11-12 per cento, contro una media europea del 5 per cento.
Quando è stata al Governo, la Lega Nord si è impegnata anche territorialmente per dare una giusta risposta, ma ancora mancano diverse infrastrutture necessarie e obbligatorie per lo sviluppo di Malpensa, che è direttamente collegata con Linate per i voli interni. Sicuramente è necessario che le infrastrutture - e parlo di viabilità su ferro e su ruota - vadano completate. L'Alitalia è ancora oggi l'unica compagnia ad aver distribuito su due hub la propria flotta: su Roma Fiumicino e su Milano. Si consideri che British Airways ha come unico hub di riferimento London Heathrow, Lufthansa ha Francoforte, Air France ha l'aeroporto Charles de Gaulle. Pertanto, risulta assolutamente antindustriale l'opzione del doppio hub, anche in ragione del fatto che il 70 per cento dei biglietti aerei è venduto nel nostro paese e lo scalo tecnico dell'Alitalia è a Roma Fiumicino.
È evidente quindi che, ragionando secondo logiche di mercato, il rilancio di Alitalia deve necessariamente passare per l'hub aeroportuale di Milano Malpensa. In questo aeroporto, la compagnia di riferimento ha concentrato il 50 per cento del proprio traffico. La scelta di rinunciare a Malpensa, e quindi ad uno dei centri di distribuzione più importanti d'Europa e del mondo, significa creare non solo profonde incertezze sul futuro dell'Italia, ma anche ostacoli alla crescita economica del nostro paese, in un contesto in cui le esigenze di mercato spingono alla diversificazione dei traffici indirizzando proprio su Malpensa tutto il traffico business, a vantaggio delle piccole e medie imprese del nord. Questo tentativo di voler spostare su Roma e su Fiumicino in particolare l'unico hub non farà altro che deviare il mercato dei voli su altri hub del nord Europa, con il rischio di svuotare completamente il nostro paese. Dunque, questo impegno su Malpensa deve favorire la giusta realtà, che favorisce a sua volta l'intero nostro paese.
L'abbandono di Malpensa emarginerebbe il nostro paese dai grandi traffici europei ed il vantaggio ricadrebbe sui grandi hub dell'Europa, in particolare su Francoforte e, forse, anche su Parigi, relegando la compagnia aerea Alitalia a vettore regionale, strutturalmente e strategicamente subalterno alle altre compagnie aeree europee. Queste nostre preoccupazioni derivano anche da recenti discussioni avvenute sia all'interno del Governo sia direttamente nelle « stanze dei bottoni » di Alitalia o dagli accordi tra Alitalia e il Governo attuale. È proprio da qui che deriva, forse, la preoccupazione di tanti politici che stanno comprendendo Pag. 48che questa è una strategia portata avanti al di fuori del Parlamento. Confidiamo in un atteggiamento da parte del Governo che vada a sostenere questa nostra denuncia, ma che soddisfi anche una richiesta forte che proviene dall'intero paese.
Dal Governo pretendiamo ed esigiamo una risposta chiara, senza alcun tentennamento, in modo da dare certezza ai mercati, sia a quello dei voli, sia a quello delle imprese, che hanno bisogno di strumenti fondamentali per uno sviluppo che è stato avviato e che va confermato. Quindi, rivolgiamo al Governo una richiesta forte perché si esprima sulla necessità di confermare, come avviene in Europa, un unico hub, quello di Malpensa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Airaghi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00047. Ne ha facoltà.
MARCO AIRAGHI. Signor Presidente, la mozione da noi presentata prende spunto dalla constatazione della situazione di grave crisi in cui versa la nostra compagnia di bandiera. Alitalia, infatti, ha perso, negli ultimi anni, importanti quote di mercato sia sulle tratte nazionali, sia sulle tratte internazionali e intercontinentali. La constatazione, già espressa dal collega Dussin, che l'attuale sistema aeroportuale nazionale si basa su due grandi hub intercontinentali, Malpensa e Fiumicino, unitamente alle voci, che si sono diffuse in quest'ultimo periodo, secondo le quali potrebbe essere una strategia industriale di Alitalia la sconsiderata scelta di abbandonare la politica di sviluppo di Malpensa per concentrare le politiche su Fiumicino, ha fatto nascere l'esigenza, da parte nostra, di presentare questa mozione. Vogliamo ricordare che la crescita di Malpensa degli ultimi anni appare inarrestabile. Dal 1997, il traffico su questo aeroporto è cresciuto dai 3,9 milioni ai ben 19,5 milioni di passeggeri. Attualmente, è il quinto maggiore hub del nostro continente, serve ben 38 destinazioni e registra il più alto tasso di crescita, tra quelli europei. Nei primi sei mesi del 2006, infatti, il traffico è aumentato addirittura dell'11 per cento, dato che deve essere confrontato con quello del 5,6 per cento, che costituisce la media di crescita degli altri hub europei.
Vogliamo ribadire e sottolineare che la nostra mozione muove non certo da una visione campanilistica ma dalla necessità obiettiva di rafforzare il sistema Alitalia, puntando sull'unica struttura veramente in grado di competere con gli altri hub europei, vale a dire, evidentemente, Malpensa. È importante incentivare lo sviluppo di questo scalo e tale esigenza deve essere avvertita da tutto il paese, non essendo certamente una esigenza campanilistica. Infatti, non possiamo prescindere dal suo ruolo di hub internazionale in competizione con i grandi hub continentali. Non potremo mai accettare che Malpensa sia in competizione con Fiumicino, essendo rivali dello scalo lombardo i grandi aeroporti europei, primi dei quali, sicuramente, quelli tedeschi e francesi. Con la nostra mozione non stiamo certamente chiedendo di ridimensionare o eliminare Fiumicino. Ne riconosciamo, ovviamente, la grandissima importanza: è l'aeroporto della capitale dello Stato, con un grande traffico e un indotto relativo all'amministrazione statale. Inoltre, alla città eterna, con i suoi monumenti, è connesso un grande traffico turistico e non dimentichiamo neppure il grande indotto derivante dal turismo religioso diretto verso la Città del Vaticano. Però, è altrettanto importante ricordare che la redditività di una compagnia come Alitalia si può basare solamente sul traffico commerciale, sul grande traffico generato dalle necessità di spostamento derivanti dalla presenza delle grandi industrie, prevalentemente concentrata nelle regioni del nord d'Italia, maggiormente industrializzate. Evidentemente, l'idea di concentrare i voli intercontinentali sull'hub Fiumicino, in modo particolare quelli diretti verso il continente asiatico e il Nord America, comporterebbe una notevole perdita nel volume del traffico commerciale di cui sopra per la forte e concreta probabilità che le imprese del nord Italia scelgano gli aeroporti di Francoforte, di Monaco o di Pag. 49Parigi in luogo di quello di Fiumicino, a discapito, quindi, della stessa compagnia di bandiera Alitalia.
Voglio ricordare anche le caratteristiche della regione Lombardia, dove ha sede l'aeroporto di Malpensa. Tale regione è un consistente bacino di produzione e consumo che concentra nel proprio territorio ben il 36 per cento dell'import ed il 28 per cento dell'export nazionale. Inoltre, il 51 per cento degli investimenti esteri in Italia è concentrato in Lombardia, regione che ha una capacità di investimento all'estero pari al 40 per cento del totale degli investimenti italiani e concentra la presenza del 36 per cento del totale delle imprese italiane. Si aggiunga che la partecipazione delle imprese straniere è pari a circa 900 unità, con 206 mila addetti e che la presenza delle imprese italiane a partecipazione straniera è pari al 35 per cento del totale, pari a oltre 800 imprese con 250 mila addetti. Non deve essere dimenticata neppure la attrattività turistica della regione Lombardia, che comporta 9,4 milioni di arrivi turistici all'anno. La considerazione concreta è che la compagnia di bandiera Alitalia vende ben il 75 per cento dei propri biglietti nelle regioni settentrionali del paese.
Abbiamo anche sentito dire che i problemi di Alitalia devono essere ricondotti alla nascita ed alla crescita di Malpensa, ma si tratta di un'affermazione assolutamente falsa ed insensata. Sono ben altri i fattori che pesano sull'attuale situazione di Alitalia: il cristallizzarsi di privilegi e corporativismi durante gli anni; l'assenza di un piano industriale efficace ed efficiente e, quindi, l'assenza dei necessari investimenti per il rinnovamento della flotta, ormai obsoleta e non all'altezza di competere e dare redditività alla compagnia; l'eccessiva sindacalizzazione della compagnia e, in conseguenza anche di questo, i numerosi disservizi causati spesso dal mancato arrivo dei piloti e degli equipaggi presso l'aeroporto di Milano Malpensa. Ricordo che un accordo sindacale del 2005, peraltro disatteso, prevedeva che ben 1.500 dipendenti di Alitalia avrebbero dovuto trasferirsi da Roma a Milano: solo pochi l'hanno fatto, e questo continua a creare enormi disagi e costi. I pochi voli operativi sulla tratta Malpensa-Fiumicino imbarcano, a volte, fino al 50 per cento di dipendenti Alitalia, anziché passeggeri paganti, creando una perdita clamorosa di fatturato per la compagnia, penuria di posti per i passeggeri ed overbooking. Inoltre, per i suddetti dipendenti rimane aperto il problema dell'alloggio e dello spostamento costoso: ciò obbliga la compagnia a riservare continuamente negli alberghi della zona camere per equipaggi che devono fermarsi a Malpensa perché non riescono a trasferirsi su Fiumicino.
È del tutto evidente che l'Italia ha bisogno di un hub perché un grande aeroporto intercontinentale è necessario in Italia se si vuole avere la possibilità di accedere direttamente dal nostro paese alle grandi rotte a lungo raggio, soprattutto Nord America ed Estremo Oriente, evitando di passare per gli altri aeroporti europei. Un grande aeroporto intercontinentale non può che essere un hub, come è dimostrato dall'esperienza mondiale (vediamo Londra, Parigi, Francoforte, Madrid, Amsterdam e gli aeroporti degli Stati Uniti). Infatti, per i voli intercontinentali si utilizzano aeromobili di grandi dimensioni per offrire prezzi adeguati alle aspettative del mercato (tra poco Airbus presenterà il gigantesco A380 da ben 550 passeggeri). I voli intercontinentali, per soddisfare le esigenze di un segmento di mercato fondamentale qual è la clientela business, devono avere frequenze almeno giornaliere e per avere un adeguato fattore di carico non è sufficiente un bacino commerciale locale da cui può derivare, in media, solo il 50 per cento dei passeggeri necessari a riempire gli aerei, per cui il restante 50 per cento di passeggeri deve arrivare dal traffico di interconnessione di breve e medio raggio.
Dunque, l'Italia ha bisogno di un hub e l'hub non può che essere Malpensa, sostanzialmente per due ragioni. La prima è geografica e dipende dal fatto che le grandi rotte intercontinentali per il Nord America ed il far-east passano per il nord Atlantico e la Siberia. L'altra ragione, Pag. 50altrettanto importante, è di natura economica: il 70 per cento di biglietti internazionali si vendono da Bologna in su, dunque è chiara l'indicazione dell'area geografica nella quale si concentra il mercato essenziale per il settore del trasporto aereo.
Per questo chiediamo al Governo di adottare tutti i provvedimenti necessari affinché il piano industriale di Alitalia preveda un rilancio della compagnia di bandiera basato sulla concentrazione delle proprie attività su Malpensa e sulla crescita dell'aeroporto di Malpensa quale primario hub nazionale, riconoscendo il suo insostituibile ruolo nello sviluppo economico dell'intero paese. Non si tratta di un'esigenza lombarda o di una parte del paese, ma di un'esigenza del benessere dell'intera nazione e della sopravvivenza della compagnia di bandiera (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbieri, che illustrerà anche la mozione Volontè ed altri n. 1-00051, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, vorrei approfittare, come hanno fatto in modo egregio i colleghi Dussin ed Airaghi, della presenza del sottosegretario Annunziata in modo che il Governo abbia chiare le idee sulle quali è chiamato a confrontarsi con i gruppi di opposizione (non so cosa poi diranno i gruppi di maggioranza).
Distinguerei - e mi pare che, da questo punto di vista, ciò sarebbe utile per tutti - i fatti dalle opinioni.
Per quanto riguarda i fatti, sono sette anni - dal 1998 - che, nei diversi piani industriali che l'Alitalia ha adottato, viene contemplata la costruzione di un sistema multi hub che individuava proprio nell'aeroporto di Malpensa il punto di svolta. In otto anni, l'aeroporto di Malpensa ha registrato, per quanto riguarda il traffico passeggeri, un più 400 per cento, a fronte, nello stesso periodo, di un più 26,6 per cento di Fiumicino. Inoltre, l'Alitalia registra su Malpensa il 50 per cento del proprio traffico.
Alla luce di tali fatti, trovo un po' originale che il Vicepresidente del Consiglio, nonché presidente della Margherita, Francesco Rutelli, abbia recentemente dichiarato - con una presa di coscienza, a mio giudizio, degna di miglior causa - che il tallone d'Achille di Alitalia sarebbe l'aeroporto di Malpensa e che dopo il 1998, anno di lancio della «grande Malpensa», la compagnia Alitalia avrebbe iniziato a perdere quote di mercato e valore delle proprie azioni.
Aggiungo che, secondo la recente relazione della società di revisione Deloitte & Touche, la crisi della compagnia di bandiera, già reduce da un primo semestre con una perdita netta di 221,5 milioni di euro, si è aggravata ulteriormente con un indebitamento finanziario netto del gruppo aumentato di 91 milioni di euro in settembre (più il 10 per cento), fino a raggiungere i 1.023 milioni di euro al 30 settembre 2006.
In questi anni si sono succeduti, con scarsi risultati, diversi piani industriali volti al rilancio dell'Alitalia e in queste ultime settimane si sono ventilate alcune soluzioni legate all'ingresso di partner stranieri. Anche in questo caso, vedere il Vicepresidente del Consiglio che tifa per una soluzione in Asia è francamente originale. Sarebbe bene che il Vicepresidente del Consiglio, già oberato da tanti compiti, oltre a svolgere le funzioni di ministro dei beni culturali non svolgesse anche quelle di ministro dei trasporti! Sottosegretario Annunziata, siete così in tanti al Governo che sarebbe opportuno che ciascuno si specializzasse in una materia di competenza!
ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Non siamo tanti!
EMERENZIO BARBIERI. Mi sembra, invece, che l'onorevole Rutelli spazi anche in campi che non sono esattamente di sua competenza.
Le cifre che i colleghi Dussin e Airaghi hanno testè ricordato dimostrano, al contrario, che Malpensa è tra gli aeroporti Pag. 51con il maggior tasso di sviluppo in Europa e che la fetta più importante del mercato italiano del trasporto aereo si trova al nord.
Signor rappresentante del Governo, le vorrei ricordare che nel commercio estero il fatturato del nord-ovest è pari a 120 miliardi di euro e che il fatturato delle regioni che dovrebbero teoricamente gravare attorno all'aeroporto di Fiumicino è solo di 44 miliardi di euro.
Già oggi milioni di utenti e di imprese settentrionali, in assenza di un hub intercontinentale e di una compagnia che offra collegamenti diretti con il resto del mondo, sono costretti a fare scalo a Parigi, Londra, Amsterdam o Francoforte per raggiungere le destinazioni più lontane, che spesso coincidono con i mercati a maggior tasso di crescita economica del mondo.
Molto discutibile, al riguardo, è stata la decisione di Alitalia, adottata seguendo un'incomprensibile logica - a meno che non sia intervenuto un suggerimento del Governo, considerato che Alitalia è sempre stata molto sensibile ai suggerimenti del potere politico -, di cancellare i voli diretti da Malpensa a Shanghai e Washington; è davvero una vicenda incomprensibile. Segnalo che su queste due rotte l'indice di riempimento era superiore al 90 per 100.
Inoltre, perché il Governo, per bocca del Vicepresidente del Consiglio, deve creare un dualismo Fiumicino-Malpensa? È veramente strana tale circostanza. I due aeroporti sono diversi rispetto al tipo di clientela: infatti, il 70 per cento dei passeggeri stranieri che giungono in Italia atterrano a Roma, mentre il 70 per cento dei passeggeri italiani che vanno all'estero partono da Milano-Malpensa. Questi sono i dati.
Nelle proposte di Rutelli non si reca alcuna indicazione per fronteggiare la situazione; a Rutelli fa molto bene la circostanza di essere stato sindaco di Roma ma, avendo adesso raggiunto una dimensione nazionale, è bene che si preoccupi di Sondrio esattamente come di Lampedusa. Il problema vero è che Fiumicino è soggetta ad una fortissima stagionalità; a Fiumicino si atterra prevalentemente d'estate rispetto a Malpensa che invece copre tutto l'anno.
Vorrei poi ricordarle, signor sottosegretario, che, come lei sa, in un recente incontro con il Governo, il presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso, il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, il presidente della Liguria, l'ex ministro dei trasporti, e presidente del Veneto Galan, il presidente dell'Emilia-Romagna, nonché presidente della Conferenza Stato-regioni, Errani, il governatore del Friuli-Venezia Giulia Illy, il governatore della Valle d'Aosta, i presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano - quindi, il gotha del centrosinistra al nord; il gotha! - hanno presentato al Governo di cui lei fa parte un documento congiunto nel quale, oltre a fissare le opere infrastrutturali prioritarie, hanno confermato la centralità di Malpensa rispetto all'intera rete aeroportuale italiana. Nel documento, si parla esattamente di «sistema aeroportuale-territoriale del Nord fondato principalmente sull'hub di Malpensa». Tale obiettivo andrebbe perseguito anche con il trasferimento della principale base operativa di Alitalia a Malpensa, in pratica la base di armamento; al riguardo, l'onorevole Airaghi ha chiarito la situazione, a tutti nota da anni, ma rispetto alla quale non si interviene. È possibile che, pur con i dati dianzi ricordati, la gran parte dei dipendenti di Alitalia abitino e vivano ancora a Roma? In nessuna parte del mondo esiste una situazione del genere!
Il Vicepresidente del Consiglio ha teorizzato una serie di alleanze con compagnie aeree dell'Estremo Oriente; ebbene, dovrebbe verificare, Rutelli, se le compagnie aeree cinesi consentono ai dipendenti di abitare a Shanghai lavorando a Pechino. Sicuramente no. Infatti, è una vicenda che è frutto di clientele ed è altresì frutto di un condizionamento della burocrazia sindacale francamente non accettabile, soprattutto da parte di un Vicepresidente del Consiglio che ha diffuso in tutta Italia la fase 2 dell'azione di Governo, ovvero le liberalizzazioni.Pag. 52
Dunque, cosa chiediamo al Governo? Prodi ha dichiarato che entro gennaio - ma non vorremmo, sottosegretario, che si trattasse di una promessa del tipo di quella fatta durante la campagna elettorale, ovvero «non aumenteremo le tasse». Ricorderà lei la promessa di non aumentare le tasse...
ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. L'abbiamo mantenuta!
EMERENZIO BARBIERI. Non le avete aumentate, salvo rapinare le tasche degli italiani...
Noi tuttavia vogliamo impegnare il Governo a prevedere un piano di rilancio della compagnia di bandiera operando la distinzione funzionale tra gli aeroporti di Fiumicino e Malpensa e confermando l'accordo del 2002.
Quindi, l'aeroporto di Malpensa deve essere l'hub internazionale italiano ed il nucleo portante del trasporto aereo. Da questo punto di vista, come certamente a lei non sarà sfuggito, signor sottosegretario, la mozione avente come primo firmatario l'onorevole Maroni, e sottoscritta anche dal vicepresidente del nostro gruppo, onorevole D'Agrò, e da me, quella avente come primo firmatario l'onorevole Airaghi e quella che sto illustrando affermano cose sostanzialmente analoghe. Vorremmo capire, ora, cosa pensa il Governo e cosa ritiene di fare la maggioranza parlamentare, perché non so chi interverrà per la maggioranza, ma è un po' originale che dalla «linea gotica» in su si ascoltino esponenti dei gruppi parlamentari che sostengono il Governo dire che la pensano esattamente come noi; lo ribadisco, lo fanno gli appartenenti a tutti gli schieramenti politici che appoggiano il Governo. Sono, dunque, ansioso di sapere se tale idea sarà confermata anche in quest'aula. Bisogna, signor Presidente - e concludo - che da questo punto di vista finiscano ipocrisie e doppie verità, perché la verità, signor sottosegretario, in politica come in tutti i campi della vita, è una sola!
MARCO AIRAGHI. Bravo Barbieri!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pedrini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00023 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.
EGIDIO ENRICO PEDRINI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per illustrare questa mozione, dicendo che - purtroppo - bisogna soffermarsi, a causa della limitatezza del tempo a nostra disposizione, alle espressioni per grandi linee dei temi contenuti in ben sei mozioni. Bisogna fare alcune precisazioni, per affrontare concretamente il problema, cercando di capire quali siano i tecnicismi e le cognizioni fondamentali dei temi che stiamo trattando. Il primo è non confondere la causa con gli effetti. Lasciatemi pertanto dedicare parte del tempo a mia disposizione per soffermarmi sul problema di Alitalia.
Ogni paese ed ogni grande aeroporto, per crescere, hanno bisogno di un vettore di riferimento. Succede per Parigi, Nizza e Marsiglia, con Air France; succede per il sistema degli aeroporti di Madrid e Barcellona, con Iberia; succede per Monaco e Francoforte con Lufthansa; succede per Gatwick, Heathrow ed altri aeroporti, con British Airways. Se non vi è un vettore di riferimento, tutti i discorsi sul problema di Fiumicino e di Malpensa vengono a cadere immediatamente, per cui, la prima reazione è lanciare un grido di allarme sulle possibili sorti di Alitalia. Il Governo, signor sottosegretario, deve dire cosa c'è dietro il mancato ricambio dei vertici di Alitalia, ripeto, vettore di riferimento, senza il quale sarebbe impossibile nel paese, perlomeno nell'immediato, dare attuazione al dettato costituzionale contenuto nell'articolo 16 che garantisce la mobilità del cittadino. Ci si può spostare da Parigi a Nizza con un altro sistema di trasporto, ma diviene difficile capire come ci si possa spostare da Varese a Palermo con un altro sistema di trasporto. Temo che, rispetto alla situazione di Alitalia, si stia consumando qualcosa alle spalle del Parlamento: non è possibile, in tempi brevi, procedere ad un sistema di privatizzazione di Alitalia. Infatti, se ci si riferisce Pag. 53ad un sistema di alleanze basato sul rapporto Alitalia-Air France, vorrei dirvi che i vertici di Air France, per usare un'espressione storica a me cara, per i miei studi, hanno la concezione dell'Italia che aveva Metternich, quale «espressione geografica», avendo già affermato più volte, i medesimi vertici di Air France, che il ruolo dei grandi sistemi di concorrenza in Europa avviene tra Parigi, Londra, Monaco di Baviera e Francoforte, dove l'Italia ha una posizione di marginalità.
Permettetemi, allora, di chiedere: quale è il motivo per cui, ancora, non si procede al cambio dei vertici e del management di questa compagnia, che vede una perdita di 1 milione di euro al giorno! Basti pensare che da quando abbiamo iniziato questa discussione abbiamo perso 40 mila euro, a fronte dei 400 di emolumenti assegnati ai vertici per lo stesso periodo. Ritengo, quindi, che non si possono chiedere sacrifici alle categorie degli italiani, se non si comincia a razionalizzare una serie di situazioni con tutti i danni che ne deriverebbero. Se non si mantiene una possibilità per il Governo di indirizzare la compagnia di riferimento, l'Alitalia, come leva di politica economica ed industriale, che continui ad assicurare la mobilità, diventa completamente privo di senso anche il discorso relativo al dualismo Fiumicino-Malpensa. Occorre considerare, peraltro, che, nel nostro paese, non esiste solo l'Alitalia e che vi sono altri imprenditori privati, che hanno investito i loro soldi e che riescono a mantenere un equilibrio economico. Non si possono ricercare scuse esterne: il sindacato, i lavoratori, il caro petrolio hanno fatto la loro parte, ma tutti i vettori d'Europa, se non del mondo, stanno producendo ricchezza a fronte, invece, di una perdita davvero eccessiva, che procura danni e che è una delle cause del problema Fiumicino-Malpensa.
Ritengo che il dualismo Fiumicino-Malpensa sia un falso problema, così come non esistono dualismi in altri paesi. Vi sono bipolarismi aeroportuali tra aeroporti di grande importanza, ove ognuno svolge il proprio ruolo in un contesto, sia nazionale e di medio raggio, sia internazionale. Uno spostamento semplicistico su Milano delle varie operazioni di volo spaccherebbe, fra l'altro, l'assetto di molte compagnie aeree ed anche di Alitalia, vanificando l'obiettivo di effettiva operatività necessaria. Mi rivolgo al collega Barbieri, facendo riferimento alle giuste e allarmanti preoccupazioni del vice Primo ministro, Onorevole Rutelli, che, di certo, non ha bisogno del sottoscritto come avvocato, rilevando che la riduzione del traffico su Fiumicino comporterebbe una perdita diretta complessiva di quasi 5 milioni di passeggeri sullo scalo di Fiumicino. Per quanto ho appreso, il trasferimento del personale navigante interesserebbe 1.500 unità; il personale di terra dovrebbe diminuire a Fiumicino di oltre 5 mila unità; oltre gli effetti diretti, sarebbero poi in crisi 12 mila posti di lavoro. Ne deriverebbe una perdita potenziale dei posti di lavoro nell'area romana di quasi 20 mila unità. Da un punto di vista di impatto economico sul settore del turismo, la perdita derivante dal solo spostamento del traffico incoming internazionale genererebbe perdite nel settore turistico nell'area romana fino a circa 800 milioni di euro l'anno.
Veniamo alle caratteristiche dei due aeroporti. Nel 2006, l'aeroporto di Fiumicino movimenterà circa 30 milioni di passeggeri; ha già una capacità breve di 35 milioni di passeggeri, può, nel medio termine, arrivare a 50 milioni di passeggeri e, con un piano potenziale di espansione e con la realizzazione di nuove infrastrutture, potrebbe arrivare a 90 milioni di passeggeri.
Andiamo a vedere l'aeroporto di Malpensa. Alla fine di quest'anno, Malpensa movimenterà circa 22 milioni di passeggeri. L'attuale capacità è valutabile in 24 milioni di passeggeri; le aerostazioni, con la costruzione del terzo molo (attualmente non disponibile), sono espandibili fino a 28 milioni di passeggeri.
Il maggiore limite allo sviluppo di Malpensa - non voglio dire che intendo bloccare tale aeroporto, e successivamente darò delle indicazioni, poiché mi limito a Pag. 54fare una fotografia della situazione esistente - è rappresentato, tuttavia, dall'attuale sistema di piste.
Si tratta, infatti, di un aeroporto concepito negli anni Sessanta e realizzato, purtroppo, trent'anni dopo, risultando quindi superato quando è entrato in funzione. Esso ha due piste non indipendenti tra di loro e ciò limita i movimenti a 70 chilometri orari.
L'attuale sistema delle due piste, quindi, è il vero problema di Malpensa, poiché l'operatività della pista esterna blocca le operazioni sulla pista interna. Purtroppo - lo affermo in questa sede, ma desidero rivolgermi al Governo, alle regioni ed agli enti locali -, in genovese si dice «Sciuscià e sciurbì, nu se peu»! Dunque, decidano che cosa vogliono fare, poiché non si può soffiare ed assorbire contemporaneamente!
La costruzione della terza pista - così tutti mi capirete! - al momento non sembra programmata. Dicano pertanto gli enti locali ed il Governo cosa intendono fare riguardo all'aeroporto di Malpensa; altrimenti, anche se vi fosse, come richiesto, uno spostamento su Malpensa di una maggiore componente di traffico Alitalia - suppongo che tutti siamo d'accordo, in quanto non capirei perché non si debba esercitare tale disponibilità -, ciò comporterebbe problematiche importanti e di difficile, se non impossibile, soluzione.
Non occorre, quindi, aprire una guerra tra Fiumicino e Malpensa. Bisogna, invece, procedere immediatamente agli investimenti su Malpensa, perché siamo in ritardo almeno di 30 anni! Non è possibile che, in questo paese, per realizzare un aeroporto ci si impieghino trent'anni! Vorrei rilevare che si tratta della stessa concezione progettuale di altri grandi aeroporti d'Europa che ci si è resi conto non essere funzionali. Mi riferisco, ad esempio, alla Francia, la quale ha realizzato il secondo aeroporto Charles De Gaulle, rendendo il sistema maggiormente funzionale!
Occorre procedere, dunque, agli investimenti sia su Malpensa, sia su Fiumicino, al fine di assegnare ad ognuno di questi due aeroporti un ruolo ben definito. Bisogna altresì sviluppare anche altri aeroporti, con particolare riferimento ad alcuni aeroscali del sud d'Italia, i quali possono privilegiare, per quanto di loro competenza, il territorio meridionale con voli coterminalizzati per punti oltre.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16,04)
EGIDIO ENRICO PEDRINI. Credo che, rispetto a questa situazione, ciascuno degli aeroporti abbia una propria dimensione ed una propria capacità. Essi non vanno messi in concorrenza fra loro, non va scatenata una lotta tra poveri e la coperta non deve essere tirata per coprire un piede e scoprire l'altro; occorre, invece, dare una dimensione progettuale al sistema del trasporto aereo di questo paese.
Ciò perché, purtroppo, dobbiamo constatare che non abbiamo ancora un sistema tale in termini di efficienza, capacità e dimensioni!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Attili, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00055. Ne ha facoltà.
ANTONIO ATTILI. Signor Presidente, l'onorevole Barbieri ci ha sollecitato ad esprimere meglio la nostra posizione, poiché a lui è sembrata (ne ignoro il motivo) ambigua o reticente. Noi lo faremo, e cercheremo di non deluderlo.
Per la verità, se volessi polemizzare (ma intendo utilizzare il tempo a mia disposizione per illustrare i contenuti della mozione da noi presentata sulle questioni oggetto di dibattito), potrei rilevare che l'assunzione di una differente posizione politica, soprattutto in ordine alle questioni legate ai rapporti tra gli aeroporti di Malpensa e Fiumicino, è un po' trasversale.
Onestamente, non so quanto alcuni deputati eletti nel centrosud o molto attenti all'area di Roma condivideranno la posizione testè espressa dall'onorevole Airaghi, il quale, tra Fiumicino e Malpensa, sceglie in maniera netta quest'ultimo aeroporto. Pag. 55Francamente, non credo che l'onorevole Alemanno sarà molto felice di questa posizione così netta e decisa!
MARCO AIRAGHI. Fatti gli affari tuoi!
ANTONIO ATTILI. Certo che sono affari dell'onorevole Alemanno! Si tratta di problemi del centrodestra, più che dell'onorevole Alemanno, e del paese! Non vi è dubbio, infatti, che si tratti di un errore nei confronti del paese.
In questa nostra mozione ci siamo sforzati - perché crediamo sia un modo metodologicamente corretto - di legare le questioni riguardanti il vettore Alitalia, (sula crisi della quale l'onorevole Pedrini ha svolto considerazioni egregie, molto serie e condivisibili), alla questione generale del sistema aeroportuale nazionale e, in particolare, con riguardo ai rapporti del vettore con i due principali aeroporti italiani, Fiumicino e Malpensa, che - lo voglio dire subito - non sono degli hub.
Ho letto tutte le mozioni e a mio avviso vi è un equivoco teorico di fondo che va sciolto subito, perché altrimenti è chiaro che, se l'analisi parte da premesse errate, si conclude in modo erroneo ed inaccettabile. Un aeroporto hub non ha bisogno di un traffico generato dal proprio bacino. Non è assolutamente così. Vi sono grandi aeroporti hub, con 70 milioni di passeggeri, programmati per diventare nel giro di otto anni aeroporti di 120 milioni di passeggeri, che sono in mezzo al deserto, mi riferisco a Dubai, e che non hanno alcun traffico generato. Non è il bacino che spiega l'aeroporto hub. Questo tipo di aeroporto riceve, restituisce e collega - hub and spoke - e in Italia oggi non vi è alcun aeroporto hub. Questa è la prima questione che dobbiamo chiarire, altrimenti è ovvio che si generino confusioni. Lo dicono i numeri, oltre che la tipologia di traffico. Se gli aeroporti di Fiumicino e Malpensa messi insieme arrivano a 40 milioni di passeggeri, mentre il più piccolo hub europeo, Madrid, supera i 45 milioni, per non parlare di Schiphol, di Francoforte, di Parigi o dei giganteschi hub americani e dell'est asiatico (anche Pechino tra tre anni arriverà a 120 milioni di passeggeri), come si fa a sostenere una tesi che dà per scontato che in Italia esista un hub?
In Italia non esiste un hub e per come si è sviluppato il sistema aeroportuale nazionale aggiungo anche che, probabilmente non lo avremo neanche nell'immediato futuro, perché per raggiungere quei numeri e quelle tipologie di traffico occorrono incrementi annui consistenti, che porterebbero Fiumicino a dover raddoppiare il traffico in meno di dieci anni, con un incremento annuo del 10 per cento almeno, mentre Malpensa impiegherebbe anche quindici anni. Non credo che vi sia qualcuno oggi in grado di dire cosa sarà il trasporto aereo mondiale fra dieci o quindici anni, so però che chi è un po' più avanti programma e fa investimenti giganteschi. Come diceva prima il collega Pedrini, avere due piste che si incrociano rappresenta un limite strutturale invalicabile. A Dubai si progettano otto piste, ognuna indipendente dall'altra!
Malpensa non ha ancora i collegamenti stradali e ferroviari e sia chiaro che noi crediamo che vi debbano essere. Gli investimenti su Malpensa sembrano avvenire nelle legislature dispari, nella XIII legislatura e ora nella XV con la legge finanziaria, mentre nella XIV stranamente tutto si è fermato.
EMERENZIO BARBIERI. Volevamo danneggiare Formigoni!
ANTONIO ATTILI. Sicuramente Formigoni ha danneggiato Malpensa, perché nel 1998 una delle cause che frenò la crescita di Malpensa fu la lotta spietata che il presidente Formigoni e l'allora sindaco di Milano fecero a difesa di Linate come city airport.
Si arrivò con molta fatica (il collega Pedrini lo sa perfettamente) all'adozione di un decreto (il cosiddetto decreto Bersani) che distribuiva il traffico tra Malpensa e Linate, perché si volevano, come si suol dire, le mele e le pere: si voleva sviluppare l'hub, il grande aeroporto di Malpensa, e non si intendeva rinunciare, Pag. 56contemporaneamente, ad un city airport, che addirittura era previsto per un incremento fino a 12 milioni di passeggeri l'anno. Questo fu sicuramente un elemento frenante. Non vi fu il coraggio di fare una scelta di programmazione generale.
Tornando alla mozione, noi crediamo - e mi rivolgo al Governo - che il problema vada inquadrato in un contesto più ampio. Considerato che c'è una sensibilità in tal senso, e prendendo spunto proprio dalle discussioni e dai dibattiti di questi giorni, pensiamo sia giunto il momento di affrontare in modo serio ed approfondito la questione generale del trasporto aereo nazionale, che abbisogna di politiche attive e di interventi seri. Diversamente, il dibattito, onestamente, si svilisce e diventa quasi da tifo calcistico, caratterizzato da analisi molto superficiali e da soluzioni non soltanto sbagliate, ma addirittura pericolose ove si prescinda dal quadro di riferimento generale. Questo criterio, però, è un po' trascurato. Nella legislatura precedente non se n'è parlato mai, se non quando è stata approvata la legge sui requisiti di sistema (ricordo che il Parlamento ne fu espropriato, perché fu approvato un maxiemendamento al disegno di legge finanziaria, che tanti danni ha fatto, onorevoli colleghi), che va comunque rivisitata. Poi, nulla più.
Invece, si tratta di un comparto del trasporto avanzato decisamente importante, per i contenuti che incorpora, per le sue enormi potenzialità, perché fa muovere, nel nostro paese, 110 milioni di passeggeri l'anno, perché da esso dipende un movimento di merci e di persone, perché è fondamentale per la stessa qualità della vita, per la ricerca scientifica e per le applicazioni tecnologiche. Si tratta di un settore importante al quale bisogna dedicare maggiore attenzione - è uno degli impegni che noi chiediamo al Governo di assumersi -, elaborando provvedimenti organici ed approvando apposite leggi, se necessario, per rilanciarlo complessivamente.
Posto il quadro di riferimento, possiamo fare un ragionamento, possiamo confrontarci sul futuro del nostro vettore fondamentale, che però, come diceva bene l'onorevole Egidio Pedrini, non è solo, perché esistono anche altri attori - per fortuna! - nel panorama del trasporto aereo nazionale. Riguardo ad Alitalia la nostra posizione è stata sempre chiara e netta. Il vettore è in crisi da troppi anni: nel 1997, fu risanato con 500 miliardi di vecchie lire e, in seguito, vi sono stati altri interventi. Bisogna prendere atto - è inutile che ci giriamo intorno - che il management non ce l'ha fatta: se Alitalia è l'unico vettore europeo che, aumentando il numero dei passeggeri trasportati, perde circa un miliardo l'anno, vuol dire che c'è qualcosa che non funziona. C'è un cuneo (non è il famoso cuneo fiscale) tra quello che il vettore riesce a fare ed il risultato finale. Insomma, a nostro parere, il management non può essere più difeso. Si prenda, quindi, una decisione rapida.
Ovviamente, non è soltanto un problema di management. Occorre chiarezza su quello che Alitalia farà, chiunque vi sia al suo timone. Si parla di Milano e di Roma, ma della flotta di Alitalia quando parliamo (Commenti del deputato Airaghi)? Sì, l'onorevole Airaghi l'ha detto. Dovremo pure cominciare ad ordinare i grandi aerei (Airbus o Boeing) se vogliamo fare un minimo di concorrenza a chi è molto più avanti di noi! Non mi interesso di queste problematiche, ma il problema esiste. È la flotta più disomogenea, segmentata e vecchia d'Europa, ed anche quella che consuma di più; ecco perché i costi del carburante incidono in modo impressionante sui conti della compagnia. Questa flotta va immediatamente semplificata, per questioni di manutenzione e addestramento, con notevoli risparmi.
Inoltre, bisogna avere con nettezza la coscienza che il problema di Alitalia non è soltanto quello di un'importante e seria alleanza internazionale per recuperare il lungo raggio, che è comunque necessaria. Non spetta a me stabilire la questione nel dettaglio, ma il Governo si starà sicuramente muovendo; vi sono altri livelli di decisione e vorremmo saperne qualcosa in più. Alcune cancellazioni di voli - diciamo così - gridano vendetta. Si è parlato di Pag. 57Shanghai e di voli per il Nord America. Un'alleanza internazionale va ricercata rapidamente, anche se mi rendo conto che non è semplice. Ci si provò nel 1998. I rapporti con la KLM erano arrivati ad un punto molto avanzato, ma in KLM, quando capirono come funzionava l'Alitalia, scapparono e preferirono pagare una penale formidabile, piuttosto che continuare a perseguire l'alleanza con Alitalia. Mi rendo conto che il problema non è semplice, ma va affrontato.
Inoltre (questa è la nostra proposta), Alitalia deve sforzarsi di arrivare ad una alleanza con i vettori nazionali, con i partner nazionali. Solo così si potranno presidiare entrambi i grandi aeroporti, Malpensa e Fiumicino - è la nostra tesi -, che si devono specializzare. Il Governo ha fatto bene, nell'accordo - il documento d'intenti - firmato a Milano, a sostenere questa tesi e su tale strada bisogna proseguire. Ma occorre stimolare il management dell'Alitalia, l'attuale o quello che verrà (preferirei che fossero altri, come ho già esplicitamente detto), a perseguire questa strada.
Alitalia deve recuperare anche nel medio raggio, perché ormai una parte dei voli nel nostro paese sono i cosiddetti collegamenti punto-punto, ai quali non interessa nulla degli hub, essendo aeroporti che si collegano direttamente con altri aeroporti. È questa la dinamica mondiale del trasporto aereo. Il periodo degli hub come centro esclusivo di movimentazione dei passeggeri è finito. Il modello è più articolato. Continuano ad esistere i grandi hub internazionali delle dimensioni che dicevo, veri e propri giganti, veri city airport, aeroporti città, dove si trova tutto, ma vi sono anche i collegamenti punto-punto, medio raggio, e poi vi è il fenomeno nuovo, sviluppatosi negli ultimi dieci anni, delle low cost. Se considerate che nel mercato interno il 55 per cento dei passeggeri riguarda il medio e piccolo raggio, capirete che la nostra compagnia è fuori gioco e, quindi, si deve attrezzare anche per fare concorrenza alle low cost. Dirò qualcosa, poi, anche su ciò.
L'idea che si giunga, oggi, ad un hub è sbagliata, e sbagliata è l'idea che si spostino o chiudano voli; non ho capito bene quale sarebbe la tesi. L'onorevole Pedrini faceva notare quali sarebbero le conseguenze di una scelta di questa natura, molto complessa e delicata. È irrealistico proporre oggi un hub con una base esclusiva.
I problemi sono altri e più complessi; il vettore deve fare quanto necessario per tornare competitivo, altrimenti tutte le nostre proposte rischiano di restare puro flatus vocis, senza concrete possibilità di essere realizzate.
Anche se questo fosse vero, non significa che il trasporto aereo in Italia non abbia prospettive. Esse invece esistono e sono estremamente interessanti. Tuttavia, bisogna fare lo sforzo di collegarle ad un ragionamento più complessivo sul trasporto nazionale. Innanzitutto tutti gli aeroporti, ove possibile, vanno collegati all'intera rete. È vero che esistono i problemi relativi alle infrastrutture dell'aeroporto di Malpensa; è giusto sottolinearli ed affrontarli. Tuttavia, anche l'aeroporto di Ciampino, che negli ultimi tre anni ha vissuto un vero e proprio boom, ha la ferrovia lontana 800 metri. Si tratta di un problema altrettanto serio che va affrontato. Anche l'aeroporto di Fiumicino aspetta ormai da dieci anni che si concretizzi e finanzi il molo C, che consentirebbe un'operatività decisamente superiore. Potrei aggiungere i casi degli aeroporti di Bologna, Palermo, Catania e così via. Rivolgendomi al rappresentante del Governo, dico che è questa l'ottica con cui bisogna affrontare tali problemi. Il ragionamento deve essere più ampio, perché solo così possiamo comprendere appieno e scegliere in maniera più opportuna le strade da seguire e le proposte da avanzare.
Vorrei aggiungere qualche elemento di riflessione per il Governo sulla direzione che a nostro parere bisogna percorrere per rilanciare complessivamente il trasporto aereo nazionale. Vi è il problema del sostegno all'industria aeronautica e spaziale, settori di per sé forti che presidiano Pag. 58segmenti importanti, ma che vanno aiutati affinché consolidino e amplino la loro presenza. Vi è il problema del controllo del traffico aereo; l'ENAV sta operando bene, ma con una politica di sostegno potrebbe diventare uno strumento di penetrazione in tutti i paesi del Mediterraneo, in sinergia con l'industria aeronautica e spaziale per la vendita di apparecchiature di manutenzione e di formazione del personale ed il conseguente aumento complessivo della sicurezza. Quindi, si tratta di un settore di grande interesse e di un mercato estremamente promettente.
Deve essere svolto un ragionamento sul comparto della logistica, che finalmente inizia a trovare spazio anche in Italia. Questo significa tirar fuori gli aeroporti dall'isolamento, connettendoli all'intera rete. Quando verranno completati i lavori - ci auguriamo presto - dell'alta capacità ferroviaria, vi sarà una notevole trasformazione nel campo del trasporto aereo a medio raggio all'interno del paese. Quindi, il collegamento tra aeroporti, ferrovie e porti - ovunque esso sia possibile - deve essere uno degli obiettivi di fondo della politica del Governo. Gli stessi aeroporti vanno valorizzati perché possono diventare centri moltiplicatori di ricerca, di servizi a valore aggiunto e di creazione di posti di lavoro.
Inoltre, va considerato il comparto della manutenzione, in cui l'Italia è sempre stata all'avanguardia e che ha rappresentato un fiore all'occhiello del paese, anche se nell'ultimo periodo pare che sia sorto qualche problema al suo interno.
A tutto ciò vanno aggiunte questioni apparentemente più semplici da risolvere, che purtuttavia vanno risolte: gli investimenti sulla sicurezza, prerequisito di qualsiasi ragionamento sul trasporto aereo e rispetto ai quali la legge finanziaria di quest'anno dà finalmente qualche risposta e segnale in tale direzione, e un'attenzione maggiore sul trasporto merci e sulle problematiche del lavoro.
A tale proposito vorrei svolgere alcune osservazioni. Uno dei problemi che creano difficoltà all'Alitalia è quello del costo del lavoro. Importanti accordi sono stati stipulati con i sindacati e intese sono state raggiunte, ma non vi è dubbio che il costo del lavoro per alcuni settori in Alitalia è decisamente superiore a quello di molti vettori ad essa concorrenti: soprattutto, si pone il problema del low cost. Si tratta di problemi che vanno affrontati a livello europeo e secondo una dimensione europea.
Concludendo, siamo convinti che oggi un'analisi realistica della situazione italiana del trasporto aereo comporti un impegno molto forte per il Governo attuale, che una serie di problemi, come il dibattito sta dimostrando, siano tutto sommato falsi e che le vere questioni di fondo riguardino un intervento a tutto campo in grado di incidere sull'intero sistema. Solo in questo contesto si dovranno collocare quelle politiche, a proposito delle quali abbiamo già detto, riguardanti i rapporti tra il vettore ed il sistema aeroportuale nazionale, in particolare i rapporti tra il vettore e i due grandi aeroporti di Fiumicino e Malpensa, che possono convivere. In Europa esistono tanti esempi di vettori che alimentano due grandi aeroporti: in Spagna, in Germania, in Inghilterra e in Francia; e ciò sarebbe teoricamente possibile anche in Italia, a patto che il vettore esca dalla crisi che ormai si trascina da troppi anni, faccia le scelte giuste e i giusti investimenti.
Su questo il Governo deve prendere decisioni impegnative: questa maggioranza si rende conto della complessità dei problemi e della sfida che ha davanti; però, siccome è una maggioranza che vuol fare le riforme, senza nascondersi dietro un dito e senza scorciatoie, faremo fino in fondo la nostra parte, ritenendo che il rilancio di questo settore sia indispensabile per lo sviluppo del paese (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Locatelli, che illustrerà anche la mozione Mario Ricci ed altri n. 1-00056, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
EZIO LOCATELLI. Signor Presidente, teniamo subito a dire che, riguardo a Pag. 59quanto abbiamo letto e sentito ancora oggi, non siamo minimamente interessati ad una disputa che riteniamo insensata tra aeroporti diversamente allocati, e cioè all'idea, qui riproposta in alcuni interventi, se debba prevalere Malpensa 2000 o, al contrario, Fiumicino. Con quali risultati? Con il risultato ancora una volta di mettere due aeroporti hub di grandi dimensioni in concorrenza tra di loro.
Ciò che va registrato è che il nostro paese ha due hub, a differenza di altri paesi europei che ne hanno uno solo, pure in presenza di volumi di traffico superiori ai nostri. È proprio questa situazione, come è risaputo, ad aver accresciuto le difficoltà di tenuta gestionale in termini di economicità, risorse, mezzi per la compagnia di bandiera Alitalia.
In tutta evidenza, noi ci troviamo a fare i conti con una situazione abnorme, frutto di scelte che hanno fatto della «competizione a prescindere» il parametro di riferimento, con uno spreco inconcepibile di risorse.
Bisogna mettere la parola «fine» a questa modalità di scelta, in base alla quale hanno prevalso interessi di cordata, contrabbandati come indispensabili allo sviluppo del nostro paese. Per fare cosa? Mi si permetta una schematizzazione: per tornare ad una politica di programmazione. Questo è quello che noi chiediamo: un piano integrato del sistema aeroportuale e, insieme ad esso, una ripartizione del traffico aereo in termini razionali. Ciò significa cogliere una domanda che, anche per quanto riguarda il nostro paese, è sempre più diversificata.
Abbiamo quindi di fronte un problema di equilibrio e di complementarità, un problema di sinergie, che dobbiamo affrontare unitamente alla predisposizione di un piano industriale e alla costruzione di una rete di alleanze, con Alitalia protagonista. È un problema, anche, di rinnovo del gruppo dirigente, che è mancato nella costruzione di risultati, per un'operazione di rilancio, non solo di salvataggio, della nostra compagnia di bandiera.
Ciò significa che la soluzione ai problemi non è nell'esasperazione del concetto di competitività, che, alla prova dei fatti, si è dimostrato distruttivo delle molte potenzialità del trasporto aereo nel nostro paese.
Infine, lasciatemi dire che trovo sintomatico che in questa nostra discussione si parli di grandi opere, di grandi aeroporti e, nella fattispecie, del potenziamento del traffico aereo, ma che nessun riferimento e nessuna allusione siano riservati alle tematiche del lavoro, della sicurezza e dell'ambiente. Il fatto è che tutta una serie di decisioni adottate nel corso di questi anni in materia di grandi opere, ma anche in materia di trasporto aereo, sono avvenute sotto l'egida di una deregulation schiacciante, marginalizzando gli interessi e i diritti dei lavoratori e delle popolazioni locali. Ciò vale anche per Malpensa 2000.
Deve essere chiaro che parlare di rilancio del trasporto aereo e di sviluppo per noi significa parlare di scelte che devono essere previste e governate nel pieno riconoscimento e rispetto dei diritti dei lavoratori e delle popolazioni, in assenza dei quali il rischio è di costruire bacini di degrado.
La mozione che abbiamo presentato è molto dettagliata per quanto riguarda le proposte. Il nostro auspicio è che tali proposte siano valutate attentamente ed accolte da questo consesso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bonelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00058. Ne ha facoltà.
ANGELO BONELLI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, il gruppo parlamentare dei Verdi ha ritenuto opportuno presentare una mozione perché, ovviamente, guarda con grande attenzione a ciò che sta avvenendo alla nostra compagnia di bandiera, ma anche al sistema del trasporto aereo nella sua complessità.
Innanzitutto, è evidente a tutti che, con grande modestia, non possiamo sostituirci a chi deve elaborare i piani industriali per rilanciare la compagnia di bandiera Alitalia e, con essa, tutto l'indotto del trasporto aereo.
Le radici e le ragioni di una crisi vengono da molto lontano, vale a dire da Pag. 60scelte strategiche, dal punto di vista industriale, che hanno visto la compagnia di bandiera ridurre scali e tratte aeree e non acquistare aeromobili, venendo meno a una vocazione industriale che ne era la ragione sociale, ossia volare: prendere i cittadini per trasportarli in più scali europei.
Questa strategia, totalmente fallimentare, a cui non si riesce ancora a dare un'inversione di tendenza, ha anche delle responsabilità nei vari management che si sono succeduti nel corso degli anni. Essa rischia di portare l'Alitalia al fallimento, se non vi sarà un'inversione di tendenza e un'assunzione di responsabilità, nella consapevolezza, a partire anche dal Parlamento, della necessità che il sistema Italia, dal punto di vista delle relazioni non solo economiche e sociali, ma anche culturali, sia dotato di una compagnia di bandiera competitiva, sicura e con prezzi, dal punto di vista del rapporto con la qualità, che possano affrontare la grande sfida dei cieli.
Questo è uno dei nodi strategici. Infatti, le altre compagnie di bandiera (Air France, Lufthansa, British Airways) hanno fatto l'esatto contrario: si sono ristrutturate ed hanno acquisito nuovi scali. Ciò non è accaduto in Italia.
La seconda questione rischia di spaccare dal punto di vista politico: o a favore di Malpensa e contrari a Fiumicino o viceversa. Ma dobbiamo essere lucidi: se prendiamo, come esempio, anche dal punto di vista industriale della pianificazione, le altre realtà europee (Francia, Germania e Inghilterra), constatiamo che questi paesi hanno un volume in termini di trasporto passeggeri e merci molto al di sopra di quello dei nostri aeroporti (non che i nostri aeroporti non abbiano le potenzialità). L'aeroporto di Francoforte, Heathrow di Londra e Charles De Gaulle di Parigi hanno un grande hub. Nessuno si sarebbe mai sognato di poter realizzare due hub e di portare la concorrenza all'interno del nostro sistema paese e, quindi, di depotenziare la scelta strategica. Tale scelta sta rivelando punti di crisi evidenti. Innanzitutto, si è indebolita la nostra compagnia di bandiera, Alitalia, creando, tra l'altro, non pochi problemi ai nostri utenti, che per recarsi in un determinato posto devono intraprendere lunghi viaggi.
Si tratta, quindi, di non prendere le parti, ma la proposta che avanziamo nella nostra mozione è che, all'interno di un nuovo piano generale del sistema del trasporto aereo, si possano consegnare a Milano Malpensa e a Fiumicino quelle funzioni precipue necessarie per recuperare quegli spazi che sono stati loro sottratti e che essi stessi si sono fatti sottrarre. Questo è un aspetto fondamentale.
All'interno di questo ragionamento, è necessario spiegare il quadro delle alleanze. Ormai il trasporto aereo si svolge all'interno di un sistema di alleanze mondiali. Abbiamo constatato l'interesse di una compagnia molto importante, Air France-KLM, nei confronti di una eventuale alleanza con Alitalia. Ebbene, le proposte dell'amministratore delegato di Air France, Spinetta, rischiano di determinare un vero e proprio atto di colonialismo economico; non si tratterebbe di una procedura di integrazione che consentirebbe di crescere; per i nostri cittadini che volessero recarsi in qualche scalo intercontinentale significherebbe prendere l'aereo, andare a Parigi o a Amsterdam, e prendere un altro vettore verso chissà quale destinazione intercontinentale. Questo non può essere.
L'Italia deve recuperare la sua capacità e dal nostro punto di vista lo può fare attraverso un'alleanza necessaria ed urgente, che consenta di riempire il vuoto attualmente esistente. Qualcuno ha suggerito, anche da parte del Governo, un'alleanza con il settore orientale al quale, devo dire, guardiamo con grande attenzione, perché tale soluzione consentirebbe non di entrare in competizione con la realtà europea, ma di rilanciare la compagnia sul piano industriale. Si parla molto, nell'ambito dei piani industriali, di lavoratori e di lavoratrici, ma solo come numeri. A giudizio dei Verdi, il piano industriale, già in parte fortemente disatteso Pag. 61dall'attuale management di Alitalia, non può che garantire e rilanciare i livelli occupazionali di Alitalia.
Noi non possiamo permetterci di perdere il know-how in termini di professionalità, ad esempio, attraverso l'esternalizzazione del settore dell'informatica; non mi riferisco solo al call center, ma a quei soggetti che rappresentano la memoria storica, la capacità e la professionalità di rilanciare l'azienda.
È chiaro che i processi di esternalizzazione all'interno di un piano industriale, specialmente per questi settori strategici, devono essere assolutamente fermati, ma nell'ambito di quel piano generale del trasporto aereo occorre anche considerare le questioni ambientali.
Pochi aeroporti, anzi la quasi totalità degli aeroporti non dispone della VAS, vale a dire della valutazione ambientale strategica. Vi sono molti conflitti tra le comunità locali e le direzioni aeroportuali, ma non si ricorda un elemento - è molto grave! - che abbia rappresentato un punto di svolta.
Secondo la legge n. 165 del 1990, articolo 10, comma 4, se si tratta di un volo nazionale la tassa di imbarco è di un certo livello, mentre se si tratta di un volo intercontinentale tale tassa aumenta. Ebbene, la percentuale delle tasse di imbarco per legge dovrebbe essere destinata alle opere di compensazione ambientale a favore dei comuni.
Alcuni anni fa, il 21 novembre 2000, è stata emanata la legge n. 342 (articoli 90, 91 e 92) che ha previsto l'istituzione dell'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili dovuta ad ogni regione che avrebbe dovuto gestire queste risorse. Oggi, però, non vi è un regolamento che consenta alle regioni di utilizzare queste risorse importanti e, pertanto, sollecito il Governo in tal senso.
Ad esempio, solo per l'aeroporto di Ciampino, un piccolissimo aeroporto, vi sono 20 milioni di euro accantonati e gestiti dalla società Aeroporti di Roma. Questa cifra supera tranquillamente i 300 milioni di euro in termini di risorse che sono sottratte alle comunità locali, le quali non possono beneficiare di interventi di compensazione ambientale relativamente all'inquinamento acustico, ma anche a quello dell'aria. Sono risorse che devono tornare alle comunità. È stato previsto che il 40 per cento della tassa di imbarco fosse giustamente destinata a quelle opere e, pertanto, chiediamo formalmente al rappresentante del Governo - è uno scandalo! - di avviare subito le procedure per liberare queste risorse attualmente gestite dagli aeroporti.
Per concludere, chiediamo al Governo di affrontare la problematica della compagnia di bandiera. Non ci piacciono e non ci piacerebbero atti di vero colonialismo economico nei confronti della nostra compagnia di bandiera, che deve essere messa nella condizione di avviare il proprio rilancio sui cieli, di sviluppare la propria capacità; ma non si può prescindere dalle responsabilità di chi ha governato Alitalia in questi anni anche attraverso liquidazioni più che milionarie, senza raggiungere gli obiettivi prefissati. Non è demagogia dire che mentre vengono chiesti sacrifici ai lavoratori e alle lavoratrici di Alitalia, permangono sacche di impunità nei confronti di chi ha gestito la situazione.
Noi non siamo tra coloro i quali dicono che non è necessaria una compagnia di bandiera. L'Italia ha bisogno di una compagnia di bandiera, perché ciò significa veicolare cultura, relazioni economiche, sociali, il nostro prodotto made in Italy di cui tanto si parla e che sosteniamo, perché è fondamentale ed importante per il futuro del paese (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Picano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00060. Ne ha facoltà.
ANGELO PICANO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, colleghi deputati, l'aumento di mobilità generato dai settori turistico e business stanno condizionando le dinamiche del traffico aereo indipendentemente dalle scelte strategiche e gestionali degli aeroporti. All'aumento del traffico passeggeri si somma la consistente crescita del traffico merci.Pag. 62
Il progredire del processo d'integrazione europea, tuttavia, è destinato ad alimentare un intenso traffico intraeuropeo - specie di tipo point to point -, con caratteristiche nuove in termini di domanda di qualità e di flessibilità dei servizi.
Quanto alle prospettive di sviluppo del trasporto merci, le tendenze del commercio internazionale, per volumi e per tipologie, fanno ritenere che tale modalità di trasporto sconterà in minore misura fenomeni di maturità rilevati per quello passeggeri. In termini di tonnellate/chilometro trasportate il totale mondiale tenderà a triplicarsi entro il 2017.
Il trasporto aereo è uno dei fattori che contribuisce alle variazioni economiche dei paesi; le valutazioni prevalenti convergono nello stimare in due il moltiplicatore medio del PIL nella domanda di trasporto aereo. Questo elemento, se da un lato amplifica le prospettive di crescita del settore, dall'altro lo espone ad una marcata variabilità congiunturale.
Quanto alle tipologie del trasporto, i tassi di crescita dei traffici internazionali sono superiori a quelli del trasporto domestico; il traffico di linea tende ad assumere importanza crescente rispetto a quello charteristico, mentre il trasporto merci si rivela, in linea di massima, assai più dinamico di quello passeggeri, più sensibile ai fattori congiunturali.
Come risponde l'Italia a questi problemi, che non sono solo quelli di Alitalia? Noi abbiamo due compiti: da una parte salvare la compagnia di bandiera e dall'altra rilanciare la politica aeroportuale strettamente connessa alla politica generale dei trasporti.
Nel piano definito a livello comunitario si prevedeva per Fiumicino la conferma del ruolo intercontinentale; ora, invece, si prospetta una sorta di declassamento di tale aeroporto. Si pone in discussione l'equilibrio del sistema aeroportuale italiano fondato sugli scali di Roma e Milano. Si tratta perciò di valutare in quale modo sviluppare Malpensa senza declassare Fiumicino. Infatti, nel 2005 lo scalo romano ha avuto 28,7 milioni di passeggeri con un aumento del 9 per cento dal 2000, mentre quello milanese ne ha totalizzati 19,5, con un calo del 5 per cento rispetto al 2000.
Fiumicino è uno scalo internazionale che per la sua posizione geografica e per gli interessi religiosi, culturali ed economici che gravitano attorno ad esso può attirare passeggeri dal Medio ed Estremo Oriente. Il traffico dall'Estremo Oriente è destinato ad una crescita portentosa con l'affacciarsi sempre più forte di Cina ed India sui mercati internazionali.
Dobbiamo tener presente che l'affluenza turistica a Roma è aumentata del 25 per cento in tre anni e del 10 per cento nell'ultimo anno, e si prevede un ulteriore incremento di visitatori a cui bisogna dare una risposta in termini di collegamenti aerei rapidi ed efficaci.
Milano, d'altra parte, esprime principalmente flussi di domanda in uscita ed una maggiore incidenza di passeggeri business (40 per cento delle prenotazioni business da e per l'Italia). Roma esprime per la maggior parte flussi di domanda entrante ed una maggiore incidenza di passeggeri leisure (28 per cento delle prenotazioni business da e per l'Italia).
Alitalia e partner detengono uno share sul mercato domestico pari al 50 per cento, mentre la maggior parte degli altri vettori europei, di tipo full service, nel proprio mercato hanno quote significativamente superiori. Ciò, avviene perché i principali gestori aeroportuali italiani non concorrono allo sforzo produttivo ed economico del network carrier; qualche volta sembra che marcino su due binari paralleli.
I sistemi aeroportuali di Roma e Milano non hanno alcuna specializzazione degli aeroporti e presentano una regolamentazione inefficace. Infatti, i due principali aeroporti manifestano una situazione di criticità compromessa; l'aeroporto di Roma Fiumicino è in ritardo con gli investimenti e con i suoi settanta movimenti l'ora al massimo non è in grado di assicurare ulteriore espansione, come sarebbe necessario, e non lo sarà ancora per molti anni. Esso deve contemporaneamente servire i collegamenti nazionali e si Pag. 63trova limitato nello svolgimento della sua attività di generatore di traffico (hub). L'aeroporto di Milano Malpensa a causa di carenza infrastrutturale non è in grado di competere con i grandi hub europei.
I due grandi aeroporti di Malpensa e Fiumicino, però, hanno bisogno di rafforzare le relazioni di rete con gli aeroporti regionali; molto vasta è la rete attorno a Malpensa, in costruzione quella attorno all'aeroporto della capitale.
D'altronde, l'obiettivo dei sistemi regionali dovrebbe essere di valorizzare le specializzazioni - di linea, charter, cargo, courier, postali - e per questa via sfruttare al tempo stesso le economie di scala, derivanti dalla focalizzazione su un determinato segmento di traffico, e le sinergie derivanti dall'operare in un sistema che richiede una adeguata rete di infrastrutture di collegamento tra i rispettivi sottobacini del traffico, puntando all'ottimizzazione dei servizi tramite la creazione di piattaforme logistiche integrate.
I dati di traffico passeggeri mostrano come negli ultimi anni gli aeroporti regionali del nord Italia siano cresciuti con percentuali superiori alla media nazionale. Questo fenomeno non mette in discussione la centralità degli hub, ma apre interessanti prospettive riguardo all'utilizzazione da parte del paese di tali scali come volano delle economie locali.
Gli aeroporti regionali del nord Italia hanno saputo creare condizioni favorevoli per possibili accordi con compagnie e partner europei, ritagliandosi spazi di mercato alternativi a Malpensa. Ci auguriamo che le stesse condizioni favorevoli si creino per gli aeroporti di Latina e Frosinone, che sono in fase di decollo.
Per questo, noi vogliamo impegnare il Governo ad adottare misure di rilancio del ruolo di Alitalia, ma anche di riduzione dei costi, che è il presupposto per rendere appetibile la compagnia a nuove alleanze. Tuttavia, contemporaneamente, pensiamo che una politica di rilancio del ruolo della nostra compagnia di bandiera possa salvaguardare i posti di lavoro, tenendo presenti i sacrifici fatti dai dipendenti per contenere i costi.
Inoltre, occorre affrettarsi a cercare un partner, che però non penalizzi Alitalia, portando avanti contemporaneamente una politica di allocazione delle risorse in funzione dell'effettivo rafforzamento del sistema di trasporto aereo sui due mercati di Roma e di Milano. Bisogna pensare anche a rendere più efficiente il sistema di assistenza al volo, in linea con i principali provider europei, ed a recepire la normativa antitrust, in coerenza con gli altri paesi europei, considerando il mercato di riferimento più che quello della significatività per i consumatori, come avviene attualmente. Inoltre, occorre favorire un'integrazione dei due aeroporti di Malpensa e Fiumicino con gli aeroporti regionali.
Credo che con queste scelte possiamo pensare ad un rilancio significativo della nostra compagnia di bandiera, rafforzando anche il ruolo dei due aeroporti hub italiani, quelli di Fiumicino e di Malpensa (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Beltrandi. Ne ha facoltà.
MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, non sono sorpreso che la Camera si trovi oggi a discutere, anzitutto e prima di tutto grazie alle due mozioni a prima firma Maroni e Airaghi, nuovamente di Alitalia. Proprio qualche giorno fa il Corriere della Sera scriveva che nei primi nove mesi dell'anno il bilancio di Alitalia ha accusato un passivo di 275 milioni; ancora non molte settimane fa il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, annunciava la necessità di una svolta radicale per Alitalia tramite strategie nazionali ed internazionali di lungo periodo da decidere entro gennaio 2007, pena il suo fallimento. In un documento presentato da Alitalia in Commissione trasporti della Camera è scritto addirittura che la compagnia più vola più perde. Questo è il quadro in cui ci troviamo e oggi discutiamo proprio sui documenti presentati in proposito.
Ho molto apprezzato l'intervento del Presidente del Consiglio e l'assunzione di Pag. 64responsabilità propria e, per suo tramite - devo ritenere -, dell'azionista di riferimento di Alitalia, vale a dire del Ministero dell'economia e delle finanze, nel determinare, anche attraverso la ricerca di un partner straniero e non escludendo alcun tipo di soluzione, una cesura netta rispetto ad un andazzo che si trascina da molti anni (direi da decenni). Un presente ed un passato fatto di ingenti risorse pubbliche regolarmente bruciate senza prospettiva, sotto il pretesto della necessità e volontà di mantenere una compagnia di bandiera, dietro il quale in realtà si celano l'anacronistica pretesa di mantenere un carrozzone pubblico al servizio delle lottizzazioni partitiche e pretese sindacal-corporative, in un mercato, quello aereo, altissimamente competitivo.
In un mercato fortemente competitivo, solo aziende gestite come tali, con logiche di mercato e di profitto, hanno la possibilità di vivere e di prosperare e, quindi, anche di difendere i propri lavoratori. Il non aver voluto ciò e l'aver voluto assecondare uno scambio tra clientelismo partitico da una parte e difesa di privilegi corporativi di settori della compagnia dall'altra, ha condotto Alitalia a perdere quote sul mercato interno e quasi a scomparire sulle rotte internazionali.
Anche Air France, qualche anno fa, aveva problemi non del tutto dissimili, ma in quel caso la politica ha deciso di adeguare la realtà dell'impresa transalpina alla realtà del mercato e, insieme ai sindacati che hanno accettato sacrifici, la compagnia di bandiera si è rilanciata alla grande sul libero mercato.
Avverto che in Italia esiste un'altra azienda pubblica - la RAI - che, se non adeguatamente riformata, si troverà tra qualche anno in una condizione non dissimile da quella di Alitalia. Certo, il mercato radiotelevisivo in Italia con il duopolio non ha il grado di liberalizzazione e di competitività di quello del trasporto aereo, ma necessariamente si sta aprendo e si aprirà sempre di più alla concorrenza e, a fronte di tale prospettiva, l'azienda o si adegua o muore. Illusioni di essere al riparo dal mercato se si traducono in gestione dell'azienda portano al baratro.
È scandaloso quanto preoccupante che Alitalia non abbia intrapreso il percorso di altre compagnie straniere, appunto con il concorso attivo delle rappresentanze di tutti i lavoratori, ed è evidente che i destini di Alitalia e dell'hub di Malpensa sono legati fra loro, dato il progetto che ha portato alla costruzione dell'aeroporto lombardo.
Allora, se trovo normale ed ovvio che si discuta di Alitalia, non posso condividere il modo con cui i presentatori delle mozioni riaprono in quest'aula tale dibattito, ad eccezione della mozione Attili n. 1-00055.
Soprattutto alcune mozioni presentate da colleghi del centrodestra ci vorrebbero far credere che la via per il risanamento di Alitalia sia quella di puntare unicamente o prevalentemente allo sviluppo di Malpensa a scapito di Fiumicino. Non ho elementi per contestare quanto sostenuto nelle premesse di tali mozioni, anzi ho la sensazione che i dati riportati siano corretti, e non ho nemmeno elementi per sostenere la tesi contraria, cioè che sia necessario sviluppare Fiumicino a scapito di Malpensa, come sostiene Francesco Rutelli. Sono invece certo, per quanto ho già affermato, che non sia tale questione a costituire priorità per il futuro di Alitalia e che, al contrario, qualora fossero corrette le argomentazioni delle suddette mozioni, soltanto un'azienda gestita secondo canoni aziendali e di mercato e non politico-partitici o sindacali corporativi potrebbe scegliere senza indugio di favorire come hub Malpensa e non Fiumicino.
Le proposte contenute in tali mozioni - ad eccezione di quella a prima firma Attili - mi allarmano, proprio perché le ritengo frutto di quelle logiche partitiche o sindacali corporative che non possono tramutarsi ancora una volta in indirizzi gestionali per Alitalia se vogliamo pensare ad Pag. 65un futuro e ad un presente per la nostra compagnia di bandiera.
In questo quadro, non ritengo neppure utile che il Parlamento esprima un indirizzo così puntuale - come richiesto dalle mozioni in esame, ad eccezione di quella a prima firma Attili - sulla gestione della società, anche a prescindere dal merito e dalle logiche politiche ad esso sottese.
Alitalia, per la sua radicale riforma, ha bisogno innanzitutto di inequivoche funzioni di responsabilità, nette e senza confusioni, da parte dell'azionista di riferimento e, quindi, eventualmente anche da parte dell'esecutivo. Anche per tale motivo non siamo favorevoli alle mozioni proposte, ad eccezione della mozione Attili n. 1-00055, che mi sembra rappresenti un ragionevole compromesso anche tra le diverse sfumature che emergono all'interno del centrosinistra e che auspico non venga mutata.
Oggi - lo ribadisco - non spetta ai partiti ed ai gruppi politici decidere secondo logiche di rappresentanza territoriale e politiche, per quanto legittime e in sé nobili. Se sono vere le ragioni esposte nelle premesse delle mozioni che sostengono Malpensa, solo una nuova Alitalia non dipendente da logiche partitiche e politico-sindacal-corporative farà crescere Malpensa stessa e l'economia del paese (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per i trasporti, Andrea Annunziata.
ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Sta bene.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027 e Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina (ore 17,03).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027 e Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Volontè ed altri n. 1-00052, D'Elia ed altri n. 1-00053, Bonelli ed altri n. 1-00054, Venier ed altri n. 1-00057 e Maroni ed altri n. 1-00059
(Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1) - i cui testi sono in distribuzione - che vertono sullo stesso argomento. La discussione, pertanto, si svolgerà anche su tali mozioni.
Avverto altresì che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Rampelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00026. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, le iniziative parlamentari sul caso cinese sono innumerevoli; rispetto al fermento culturale esistente sul tema, le mozioni in discussione oggi sono solo la parte più evidente perché legate ad eventi di grande attualità resi ancor più visibili dalla recente visita del Governo italiano a Pechino. I contorni di quella missione risultano a nostro giudizio poco chiari, e non soltanto perché ancora non si è capito Pag. 66il numero esatto dei partecipanti ed i costi effettivi per i cittadini italiani di quell'imponente delegazione - si è parlato di oltre mille persone -; soprattutto non è chiara, infatti, la strategia che si intende perseguire nell'evoluzione delle relazioni politiche, diplomatiche e commerciali con la Cina. La sensazione che si è percepita - si tratterà forse di una suggestione - è che il nostro Governo è impegnato a sostenere ed a promuovere, con i relativi accordi internazionali, il trasferimento delle nostre aziende in quelle terre e vorrebbe puntare sull'ammodernamento delle infrastrutture portuali del Mezzogiorno per stimolare le aziende asiatiche a preferire le nostre coste rispetto alle mete fin qui preferite per esportare in Europa.
So di non essere in maggioranza nell'esternare tutte le mie titubanze in ordine a tale approccio ma poco male se ciò potrà metterci nelle condizioni di misurare il concreto beneficio e la reale tenuta nel tempo di questa politica che raccoglie perplessità, a destra come a sinistra, e pare incapace di interpretare al meglio gli scenari futuri.
La bilancia commerciale italiana con la Cina ha un saldo negativo di quasi 4 miliardi di euro; il quesito che dovremmo porci dovrebbe pertanto vertere su come aumentare le nostre esportazioni anziché su come favorire le loro ovvero su come incrementare il PIL cinese con le produzioni di imprese italiane che si recano a Shanghai e nel Guangdong. Di fronte ad una dinamica economica e sociale così rilevante come quella che sta prepotentemente affermandosi nel continente asiatico, ci sembra che la risposta italiana sia banale, priva di profondità e lungimiranza ovvero «dopata» dal solito provincialismo nostrano.
Faccio fatica a capire perché tutti i partiti e tutti i sindacati svolgano la loro opera, solerte e ricorrente, per migliorare in Italia la condizione di chi lavora, salvo poi disinteressarsi dello schiavismo vigente nella Cina comunista, dove, come è noto, il costo del lavoro è bassissimo perché non sono riconosciuti i diritti sociali e sindacali più elementari e vengono sfruttati bambini e donne con orari di lavoro infernali ed in fabbriche insalubri. Queste primitive ed inaccettabili condizioni di sfruttamento sono la causa del risparmio sui costi della produzione ed inducono le imprese ed il Governo italiano a delocalizzare in tale paese le loro attività, ossia a trasferirle in un paese in cui ci sono quelle stesse aberrazioni combattute a casa nostra, con veemenza e convinzione, per decenni.
A ciò vi è da aggiungere il lavoro forzato cui vengono costretti milioni di dissidenti perseguitati dal regime, manodopera gratuita che accentua ulteriormente la concorrenza sleale. Finché non esistevano particolari propensioni da parte dell'Italia ad entrare nel sistema economico cinese, poco male; al massimo, si sarebbe potuta denunziare una scarsa sensibilità verso popolazioni di altre nazioni, ma oggi che sembriamo affetti dalla «sindrome cinese», il problema ci riguarda da vicino e dobbiamo chiederci se sia eticamente giusto partecipare, per una presunta convenienza economica, al gioco infame dello sfruttamento dei lavoratori. Vi è, forse, una vena di razzismo laddove si ritiene sfruttabile il genere che produce ricchezza per se stessi, oppure vi è quella forma di opportunismo economicista che animava le peggiori forme di capitalismo all'inizio dello scorso secolo.
È poi nota l'esistenza di un secondo elemento capace di abbattere notevolmente i costi di esercizio, ossia l'assoluta insensibilità verso l'ambiente: nessuna legge per ostacolare l'emissione di gas CFC, banditi dai paesi occidentali e colpevoli della riapertura del «buco dell'ozono» proprio in corrispondenza del Tibet, quando la comunità internazionale era riuscita a rimarginare tale ferita. Vi sono, inoltre, la mancata firma del protocollo di Kyoto, con un incremento esponenziale delle emissioni di anidride carbonica, la deforestazione, la densificazione edilizia nelle grandi città, con conseguente bradisismo, l'inurbamento e l'abbandono delle campagne, la realizzazione di centinaia di dighe, corrispondenti a devastanti inondazioni che compromettono migliaia di siti archeologici, l'inquinamento idrico, che ha Pag. 67finora totalizzato 2 milioni di morti per assunzione di arsenico! La Cina brucia, da sola, più carbone di Stati Uniti, Giappone ed Europa messi insieme e produce più del doppio di anidride solforosa degli Stati Uniti.
Mi piacerebbe sapere dal ministro Pecoraro Scanio, ad esempio, come si pensa di porre rimedio a tale criticità, che rischia di travolgerci. È infatti evidente che non si può essere ambientalisti in Italia e, poi, non mettere paletti sul piano dell'inquinamento alla Cina comunista quando si stipulano accordi internazionali e, anzi, si giunge all'ipocrisia di utilizzare quel paese come «pattumiera del mondo», grande inquinatore planetario congeniale ai nostri bisogni, perché distante dai nostri occhi quanto basta per non avere problemi interni, a casa nostra. L'aria e le acque sono patrimonio dell'umanità, i venti e le correnti le spingono verso di noi, anche se non le vediamo e, quindi, non producono immediato allarme sociale, né consenso elettorale per qualche partito. Se sono mefitiche e sudice ne pagheremo le conseguenze tanto quanto i cittadini con gli occhi a mandorla.
La Cina è governata da una dittatura, una dittatura comunista. Non sono riconosciuti i diritti più elementari dell'uomo. Non esistono diritti civili e politici. Non c'è libertà religiosa. Fonti del dissenso ci testimoniano che dal 1949 ad oggi sono state uccisi tra i 65 e gli 80 milioni di persone. Mentre i lager nazisti finirono nel 1945 ed i gulag sovietici negli anni Novanta, in Cina i laogai sono tuttora operanti e rinchiudono gli oppositori al regime, siano essi religiosi o politici. Si tratta di veri e propri campi di lavoro forzato dove si stima che siano presenti circa cinque milioni di persone, ne siano passati almeno cinquanta milioni e ne siano morti venti milioni. È una detenzione che non prevede capi d'imputazione, né processo, tantomeno l'esame o il riesame giudiziario o la possibilità di confrontarsi con un avvocato o con un giudice. Le autorità considerano i laogai fonte inesauribile di manodopera gratuita ed utilizzano continuamente il lavoro forzato per accrescere la produttività e i profitti. Il dumping si arricchisce anche di questo aspetto, mortificante e liberticida. Si lavora 16 ore al giorno, in assenza totale di sicurezza e di igiene.
In Cina è illegale avere un fratello o una sorella. Per sposarsi ed avere un figlio è obbligatorio avere una licenza speciale. Questa pianificazione familiare, imposta per legge, è causa di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate. Alcune immagini spettrali, consultabili su Internet, fanno vedere feti e bambini, formati ed abortiti, gettati sui marciapiedi, come fossero rifiuti di cui liberarsi, anche per sottrarsi alle punizioni del regime comunista.
Altro capitolo triste, che Romano Prodi ed Emma Bonino si sono dimenticati di trattare nel loro viaggio a Pechino, Nanchino e Shanghai, è quello relativo alla pena di morte. I reati punibili con la pena capitale sono oltre 60, ovviamente comprensivi di quelli politici, e le modalità dell'esecuzione mediante fucilazione sono terribili, perché si costringono familiari e scolaresche ad assistere all'evento criminale.
Infine, occorre precisare che le pallottole usate sono a carico del condannato e che sul numero di esecuzioni c'è incertezza, perché esiste, in materia, il segreto di Stato, ma ricordo che alcune componenti del partito comunista cinese avrebbero confessato numeri impressionanti (10 mila persone uccise ogni anno). A questa pratica si aggiunge quella dell'espianto degli organi e della loro vendita sul mercato internazionale, per il 95 per cento provenienti proprio dai condannati a morte. Anche su questo c'è il segreto di Stato, però, il 3 dicembre 2005, il ministro della salute ne avrebbe ammesso l'esistenza sul Times. In queste condizioni di assenza totale di democrazia e di libertà, il Presidente del Consiglio ha dichiarato inopinatamente che il Governo italiano sarebbe favorevole a togliere l'embargo sul commercio delle armi, introdotto dall'Europa dopo la sanguinosa repressione di piazza Tienanmen del giugno del 1989.
Nella risoluzione adottata nel dicembre 2003, il Parlamento europeo riteneva che la Cina dovesse dimostrare di aver compiuto Pag. 68progressi significativi nel campo dei diritti umani prima che l'Unione europea potesse riprendere in considerazione una revoca dell'embargo sul commercio delle armi. Negli anni seguenti, sono state approvate numerose altre risoluzioni sulla Cina: sulla violazione dei diritti umani di libertà e di religione (8 settembre 2005), sui rapporti con Taiwan (28 aprile 2005), sulla relazione annuale per i diritti dell'uomo nel mondo (fine 2005), sul Tibet, eccetera. Anche quest'anno, il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (351 voti favorevoli e 160 astenuti) una risoluzione nella quale si afferma che l'Unione europea non deve revocare l'embargo (7 settembre 2006, poche settimane prima che Prodi dichiarasse l'esatto opposto), recependo anche le preoccupazioni espresse dai paesi confinanti con la Cina, i quali dichiarano che, da metà degli anni Ottanta, la potenza asiatica incrementa ogni anno per cifre a due numeri le spese militari.
Al riguardo, occorre ricordare oltretutto che in Italia, comunque, è in vigore una legge, la legge n. 185 del 1990, che stabilisce il divieto di forniture belliche verso i paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo. Quindi siamo nel paradosso e, casomai l'Unione europea dovesse decidere di accogliere l'appello del Presidente del Consiglio italiano, comunque le nostre industrie non potrebbero legalmente procedere all'esportazione di armi verso la Cina, in forza della citata legge n. 185.
Quindi, la proposta è davvero stravagante, perché, oltre a non essere condivisibile (visto che non credo sia interesse dell'Italia e del mondo occidentale dotare un paese dove vige una dittatura sanguinaria di armamenti e di altre tecnologie militari) se fosse accolta, favorirebbe le industrie belliche inglesi, francesi e tedesche, libere da vincoli normativi nazionali.
Queste sono le molteplici ragioni per le quali, con la mia mozione n. 1-00026, si chiede al Governo italiano di non intraprendere azioni presso l'Unione europea per giungere alla revoca dell'embargo sul commercio delle armi con la Cina. Ci sembra davvero paradossale che si possa rifornire di armi, provenienti dall'Italia e dall'Europa, un paese dalle grandi tradizioni ma, comunque, attanagliato dalla morsa del comunismo, dove non esiste libertà di informazione, dove l'accesso ad Internet è censurato, dove non esiste la libera circolazione delle persone, che si macchia, ogni giorno, di crimini efferati, che si è anche di recente distinto per l'omicidio a freddo di un civile, eseguito dai soldati cinesi di stanza in Tibet. Parliamo di un paese che è il principale inquinatore del pianeta, che esegue migliaia di condanne a morte l'anno, comminate, oltretutto, attraverso processi sommari, che interna 5 milioni di cittadini nei campi di lavoro forzato (i laogai), che non riconosce i più elementari diritti umani, civili, religiosi e politici, che sfrutta i bambini e le donne nelle fabbriche e nel lavoro nero, che è il più grande contraffattore di marche occidentali, che ha ferocemente costruito una alleanza dagli esiti micidiali tra comunismo e liberismo, le cui conseguenze vengono pagate dall'uomo, in quanto tale.
Sinceramente ci è bastata l'inedia, fin qui testimoniata dalla comunità internazionale, dopo la repressione della protesta culminata con gli episodi di piazza Tienanmen, e, se di qualcosa l'Italia deve parlare nei rapporti diplomatici con la Cina, non è certo di come far giungere le armi a Pechino, che Pechino userà fatalmente contro il dissenso e contro i paesi confinanti, amici dell'Occidente, ma dell'inaccettabile condotta antidemocratica, violenta e spregevole, con la quale il regime comunista calpesta sistematicamente i diritti dell'uomo. Spero che il Parlamento italiano, ripudiando le dittature e i regimi totalitari, sappia riparare, attraverso l'approvazione di questa mozione, alle colpevoli distrazioni del suo Governo provvisorio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pedrizzi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00027. Ne ha facoltà.
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RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, la Cina è indubbiamente il primo partner strategico dell'Unione europea; sicuramente, è il suo primo partner commerciale, ed è anche un interlocutore importante per l'Italia. Ricordo che, nel 2005, le sue riserve valutarie valevano circa 819 miliardi di dollari, e per la fine di quest'anno potrebbero arrivare a mille miliardi di dollari. Si tratta, pertanto, di un paese importante non solo per l'immenso potenziale economico e finanziario, ma anche per le grandi progettazioni e per investimenti da capogiro.
Sul tema strettamente economico, con particolare riferimento al lavoro, si è già intrattenuto diffusamente, e con grande competenza e passione, il collega Rampelli. Io mi limiterò, Presidente, a puntare i riflettori sul tema della libertà religiosa in quel paese, nonché sulla violazione e sugli abusi dei diritti umani.
La Cina, infatti, è un immenso lager, dove la censura e l'abuso dei diritti sociali e religiosi si sposano, oggi, con l'ambizione di conquista del commercio internazionale a dispetto, come è stato già affermato, di ogni regola.
È questo, in parole povere e molto semplicemente e succintamente, il senso della risoluzione dell'Unione europea approvata, nel corso dell'ultima sessione parlamentare di Strasburgo, a grandissima maggioranza, e votata perfino dall'onorevole Occhetto! In tale risoluzione si denuncia che il numero delle esecuzioni capitali in Cina, pur essendo coperto dal segreto di Stato, si aggira intorno alle 8 mila all'anno.
Il Parlamento europeo, inoltre, ha espresso la sua preoccupazione per la spaventosa discriminazione socio-economica di cui sono vittime, in Cina, centinaia di milioni - ripeto: centinaia di milioni! - di lavoratori migranti, provenienti dalle campagne: si tratta dei nuovi schiavi del terzo millennio!
Alla luce di detta risoluzione dell'Unione europea, abbiamo presentato la mozione che sto illustrando, la quale riassume la situazione attuale della Cina e intende invitare il Governo ad assumere alcuni impegni precisi. Tale situazione è ben descritta dal rapporto 2006 sulla libertà religiosa nel mondo, curato dall'organizzazione «Aiuto alla chiesa che soffre». Da tale rapporto emerge che, nella Repubblica popolare cinese, arresti, torture e pene di morte vengono inflitti a cristiani, cattolici e protestanti e che queste condanne sono all'ordine del giorno.
Vi sono, sempre nella Repubblica popolare cinese, leggi che limitano del tutto la libertà religiosa ed obbligano i fedeli ad iscriversi ad apposite associazioni controllate dal Governo. Si tratta di norme che prevedono la comminazione di arresti e torture, la pena di morte e la distruzione e la vendita di edifici sacri!
Uno degli ultimi esempi in tal senso è l'incarcerazione di monsignor Giulio Jia Zhiguo, uno degli ultimi vescovi cinesi; per di più, due nuovi vescovi sono stati recentemente obbligati a compiere ordinazioni episcopali illegittime, perché non previste dal codice canonico e non riconosciute dalla Santa Sede.
A partire dal 29 luglio 2006, inoltre, molti cattolici cinesi hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l'arresto di migliaia di altri fedeli.
Ricordo che anche Amnesty International ha riferito che sono violate tutte le libertà religiose e civili. Come si apprende sempre da un rapporto di Amnesty International, recentemente il noto avvocato Gao Zhisheng, cristiano ed attivista per i diritti umani, è stato obbligato a chiudere il suo studio legale per essersi solamente rifiutato di ritirare una lettera aperta, indirizzata al Presidente ed al Premier della Repubblica popolare cinese, con la quale chiedeva alle autorità soltanto di rispettare la libertà di religione.
L'11 settembre 2006 è stato arrestato l'arcivescovo di Zhouzhi, monsignor Martino Wu Qinjing, per aver solamente celebrato una messa. Come si può constatare, le autorità cinesi continuano ad applicare politiche di persecuzione religiosa, nonostante l'impegno assunto nel summit Cina-Unione europea di proteggere e promuovere i diritti umani. Amnesty International durante il summit tra Cina ed Pag. 70Unione europea svoltosi sabato 9 settembre 2006 ha dovuto rilevare l'indifferenza di Pechino nei confronti dei propri impegni, diventata una sorta di sfida nei confronti dell'opinione pubblica internazionale.
Il 13 settembre 2006 - è stato già ricordato - con 351 voti favorevoli, 48 contrari e 160 astensioni, il Parlamento europeo ha adottato la relazione dell'eurodeputato Bastiaan Belder, nella quale vengono deplorate le costanti ingerenze dello Stato nella vita interna delle comunità religiose, specialmente per quanto riguarda formazione, selezione, nomina e indottrinamento politico dei monisti del culto. Nella relazione Belder si invita il governo cinese a porre fine alle persecuzioni e alla detenzione di tali gruppi di cristiani e si afferma il diritto per i cristiani che non si riconoscono nelle chiese patriottiche di praticare liberamente la propria fede.
Proprio nello stesso periodo di tempo in cui si votava la risoluzione del Parlamento europeo e in cui Prodi e le sue centinaia di accompagnatori svolgevano il loro viaggio di promozione propagandistica in Cina, a Pechino si restringeva ulteriormente la libertà di stampa.
Per quanto riguarda Internet, la rete è tenuta sotto stretta sorveglianza dai poliziotti informatici, che compiono arresti se si imbattono in argomenti vietati. I grandi siti come Google, Yahoo e MSN si autocensurano per poter operare in Cina. Nessuna critica al Governo è ammessa sulla stampa. Il reporter Zhao Yan è stato condannato a tre anni di reclusione per aver rivelato una notizia al New York Times. Tutti i corrispondenti stranieri che chiedono di lavorare in Cina sono obbligati a sottoscrivere una carta delle regole. Tra le imposizioni devono comunicare al Ministero degli affari esteri ogni spostamento fuori dal perimetro della capitale. L'agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha diramato una serie di norme, che sono entrate subito in vigore, rivolte alle agenzie straniere in Cina, imponendo loro vincoli severissimi. In 22 articoli si impone alle agenzie di fornire servizi ai clienti in Cina solo attraverso l'agenzia di stampa ufficiale ed operatori legalmente autorizzati. La lista di contenuti sensibili è abbastanza ampia da includere praticamente tutto. Le notizie delle agenzie straniere non conterranno nulla che violi i principi costituzionali, minacci l'unità, la sovranità e l'integrità territoriale, metta in pericolo la sicurezza nazionale, la reputazione e gli interessi, contrasti le politiche religiose ed etniche, diffonda informazioni false, getti nel caos l'ordine economico o minacci la stabilità sociale. Ai mezzi di informazione cinesi è vietato qualsiasi testo di agenzie straniere.
Proprio recentemente la limitazione della libertà di pensiero ha comportato il divieto per le grandi agenzie Internet di pronunciare (solamente pronunciare!) alcune parole. È vietato pronunciare le seguenti parole: «Taiwan»; «indipendenza»; «Tibet» o «Tienanmen». Un vero e proprio lager, quindi, anche per quanto riguarda l'informazione.
La nostra mozione, alla luce del tragico racconto di una situazione reale, vuole impegnare il Governo, innanzitutto, a riferire se ed in quale modo si sia adoperato, nel corso del recente viaggio in Cina, per far presente alle autorità della Repubblica popolare cinese tutto quanto abbiamo tentato, sia pure succintamente, di esporre.
Inoltre, vogliamo impegnare il Governo: a fornire chiarimenti in ordine agli interventi - vogliamo sapere se e come interverrà - a difesa dei diritti umani, tra cui quello fondamentale alla libertà di religione; ad assumere - e, se le assumerà, vogliamo sapere come le assumerà - iniziative per promuovere ed ottenere il rispetto dei diritti umani e di religione in Cina; a sostenere la condanna dei duri trattamenti e delle persecuzioni perpetrate dalle autorità cinesi sia nei confronti dei cristiani sia nei confronti dei singoli cittadini; ad adottare - e, se vorrà adottarli, come pensi di agire - ogni mezzo politico, diplomatico e commerciale volto ad ottenere la scarcerazione di tutti i detenuti per Pag. 71motivi politici e religiosi, se del caso rivolgendosi ai competenti organismi e tribunali internazionali. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei.
È iscritto a parlare il deputato Della Vedova, che illustrerà anche la mozione Paoletti Tangheroni n. 1-00033, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, sulla questione dei rapporti tra Italia e Cina e, di necessaria conseguenza, sulla questione dei diritti umani in Cina (tema di cui si occupano le mozioni e di cui si sono occupati, con puntualità, i colleghi che mi hanno preceduto) si sono espressi, in questa manciata di settimane che abbiamo alle spalle, un po' tutti gli analisti e i commentatori politici ed anche il Governo, mentre non si è ancora espresso il Parlamento. Ebbene, credo che non avere tempestivamente sollevato la questione in vista della visita del Presidente Prodi e della delegazione governativa (e non solo) che si è recata in visita a Pechino nel mese di settembre sia da ascrivere alla responsabilità del Parlamento, della maggioranza e, forse, anche dell'opposizione (complici, probabilmente, anche l'avvio della legislatura e l'estate). Oggi, abbiamo finalmente l'occasione per dare le linee guida o, comunque, le indicazioni del Parlamento al Governo in merito ad una questione che è sicuramente centrale (non c'è bisogno di spiegare perché) per la politica internazionale del Governo.
Peraltro, il nostro Governo si è molto espresso e molto esposto riguardo alla questione cinese, segnatamente in relazione a due temi fondamentali delle relazioni politico-diplomatiche con la Cina: il primo è quello dell'embargo sulla vendita di armi alla Repubblica popolare cinese; il secondo è quello dell'unificazione cinese, a cui il regime di Pechino tiene tanto (si tratta della strategia One China, per «una sola Cina», legata al desiderio, peraltro esplicitato dal regime di Pechino, di annettersi la democrazia di Taiwan).
Credo che vada denunciato in quest'aula, tardivamente, che sui predetti temi, in assenza di una discussione in Parlamento, il Governo italiano si è già espresso, innanzitutto, per bocca del Presidente del Consiglio Prodi e, poi, anche del ministro degli esteri D'Alema, il quale ha fatto una strana visita, come ha dichiarato, per «quagliare» (non si capisce bene a cosa volesse alludere, ma immagino che si riferisse ai rapporti economici e commerciali con la Cina), a poche settimane dalla visita (molto robusta, almeno in termini quantitativi) guidata dal Presidente del Consiglio. Credo che il Parlamento debba prendere atto, innanzitutto, di un punto fondamentale ed ineludibile (su questo aspetto tornerò). Del resto, sulla questione dell'embargo sulla vendita di armi alla Cina non è stata presentata alcuna mozione da parte della maggioranza (le tre che sono state presentate dicono, sostanzialmente, tre cose diverse, come dirò meglio più avanti).
Il nostro punto di partenza è che il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, è andato a Pechino a dire ufficialmente, nel discorso conclusivo a fianco delle autorità cinesi, che l'Italia è a favore della fine dell'embargo sul commercio di armi con la Cina. Questa è la posizione ufficiale del Governo italiano.
Le mozioni presentate servono anche, ancorché tardivamente, per affermare che questa non è la posizione del Parlamento italiano. Peraltro, nella sua visita, Romano Prodi, avendo esplicitamente sostenuto che la posizione italiana è quella della revoca dell'embargo sul commercio di armi, Prodi l'europeista, l'ex Presidente della Commissione europea, è stato smentito, a stretto giro di posta, dal portavoce della Commissione europea, che ha ribadito a Prodi, che forse non se ne era accorto, che l'Unione europea mantiene le proprie riserve (sto parlando della Commissione e non del Parlamento europeo, che non ha mai minimamente pensato di rimuovere tali riserve), «perché dal 2004,» leggo testualmente il comunicato arrivato da Bruxelles in risposta a Prodi, «quando la questione fu presa in considerazione, non vi sono ancora stati i necessari «progressi» Pag. 72in materia di diritti umani», mentre probabilmente Prodi ha stabilito che tali progressi vi fossero.
Sia chiaro un aspetto: per quanto mi riguarda, sono lungi dall'evocare embarghi economico-commerciali nei confronti della Cina che, peraltro, sarebbero del tutto velleitari. Anzi, ho salutato con favore il fatto che si riesca, forse, a stringere maggiori legami economici e commerciali con la Cina. È nell'interesse delle nostre aziende e, a mio avviso, anche dei consumatori italiani.
Ma Prodi non è stato soltanto smentito dalla Commissione europea, oltre che dal Parlamento europeo e, naturalmente, dal Congresso americano che, su tale aspetto, ha posizioni molto nette. Prodi ha voluto andare molto oltre quanto ha fatto nei mesi, nelle settimane e nei giorni immediatamente precedenti alla sua visita a Pechino, il Cancelliere tedesco, Merkel (ricordo che la Germania assumerà tra poche settimane la Presidenza di turno dell'Unione europea).
Il Cancelliere tedesco, una settimana prima che Prodi, con entusiasmo - ritengo - degno di miglior causa, andasse a dire alle autorità di Pechino che l'Italia è a favore della fine dell'embargo sul commercio di armi con la Cina, aveva detto, in una circostanza analoga, che non avrebbe seguito il cammino su cui si era avviato il suo predecessore, Schroeder, favorevole ad un percorso che portasse alla fine dell'embargo stesso. Il Cancelliere tedesco, Merkel, prossima ad assumere la Presidenza di turno dell'Unione europea, ha fatto nettamente marcia indietro, non ha fatto questa «fuga in avanti», eppure non mi sembra che la Germania abbia rallentato l'intensificarsi del rapporto economico e commerciale con la Cina o, men che meno, che abbia rallentato la presenza delle aziende tedesche in Cina, da Siemens a Volkswagen.
Dirò di più: Prodi non ha fatto cenno alla questione dei diritti umani in Cina. La Merkel ha avuto la forza, nel maggio 2006, nel caso di una visita analoga, alla cui base vi erano le questioni economiche, di non dimenticarsi che non era il capo della confindustria tedesca (come Prodi è parso dimenticare, mentre guidava una delegazione nella quale, giustamente, vi erano esponenti della Confindustria italiana), ed ha scelto di compiere un atto dimostrativo di quelli che pesano, in termini politici, perché hanno riflesso sui media molto di più di qualsiasi evocazione generica rispetto ai diritti umani.
Il Cancelliere tedesco si è recato in visita al vescovo, Monsignor Jin Luxian, uno di quelli appartenenti alla Chiesa cattolica romana e non a quella patriottica, controllata dal regime. Si tratta quindi di uno dei tre prelati cui il Governo cinese aveva vietato di partecipare, su invito di Benedetto XVI, al sinodo sull'Eucarestia tenuto a Roma. La Merkel ha compiuto un gesto dimostrativo radicale per testimoniare alle autorità cinesi, e possibilmente anche all'opinione pubblica, la sua vicinanza a chi in quel paese subisce una durissima repressione politica. A differenza di quanto ha affermato recentemente D'Alema, tale repressione non sta diminuendo, ma si sta inasprendo. In proposito il collega Pedrizzi ha citato poc'anzi la censura su Internet. Si tratta soltanto di una dichiarazione; tuttavia recentemente lo stesso Bill Gates ha affermato che, se non dovesse modificarsi la situazione, penserebbe di ritirare la sua azienda dal mercato cinese. Ebbene, Prodi di tutto questo non ha parlato; non si è sentito in dovere o in diritto di farlo e non ha avuto lo stesso riflesso, deciso e reiterato, della sua collega Angela Merkel.
Signor Presidente, passerò ad illustrare la mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 dopo aver sottolineato quanto segue. Non ho avuto modo di consultare tutti gli atti sopraggiunti in corso d'opera. Tuttavia sul rispetto dei diritti umani in Cina, argomento da me ritenuto così centrale, sui documenti della Camera e sul sito Internet (almeno fino a questo pomeriggio) ho trovato tre atti di sindacato ispettivo a firma di esponenti della maggioranza. Essi sono diversi tra di loro nella parte dispositiva, affermando concetti differenti. Vi è la mozione a prima firma D'Elia che impegna il Governo a sostenere, Pag. 73nella discussione in corso in sede europea, la posizione per la quale un'eventuale revoca dell'embargo da parte dell'Unione europea deve essere legata a progressi verificabili e tangibili della Cina nel campo dei diritti umani e delle riforme democratiche. Sicuramente si tratta di un passo avanti rispetto a quanto Prodi non ha neppure ritenuto opportuno evocare, passando direttamente al sostegno della fine dell'embargo.
Vi è la mozione a prima firma Bonelli, esponente dei Verdi, che invece pone in modo netto e a mio avviso condivisibile - in proposito credo di parlare a nome di tutti coloro che hanno firmato le mozioni -, la posizione secondo la quale il Governo debba sostenere il mantenimento dell'embargo. Si tratta quindi di una posizione piuttosto netta.
Vi è infine la mozione a prima firma Venier - sottoscritta anche dagli onorevoli Diliberto, Sgobio e Bellillo - che risulta un po' più «cinese» e che impegna genericamente il Governo a continuare un'azione di pressione volta ad ottenere un sostanziale miglioramento del rispetto dei diritti umani in Cina, miglioramento che tutte le persone, non dico di buona volontà, ma anche di media intelligenza, ritengono auspicabile.
Se non sono stati presentati altri atti a firma di autorevoli esponenti della maggioranza a nome dei rispettivi gruppi, così come avvenuto per la Rosa nel Pugno, i Verdi o i Comunisti italiani, vi è l'assenza di colleghi della Margherita o dei DS, che compongono il gruppo dell'Ulivo. Credo che si tratti di un dato politico significativo, da sottolineare in questa sede, tanto più che il Governo ha invece proseguito nella sua strada con un treno «cinese».
La mozione Paoletti Tangheroni n. 1-00033 è stata firmata anche da altri esponenti di Forza Italia.
Apro una parentesi: anche dai banchi dell'opposizione sono state presentate diverse mozioni (vi è quella a prima firma del collega Maroni, quelle già illustrate, a firma dei deputati di Alleanza Nazionale, e un'altra a firma degli altri presidenti di gruppo Vito, Volonté, La Russa), che hanno l'obiettivo convergente di chiedere al Governo l'impegno a non operare per la revoca dell'embargo, ma sic stantibus rebus - e noi a questo dobbiamo rifarci - di insistere sul mantenimento dell'embargo e sostanzialmente di disconoscere quanto fatto da Prodi, che peraltro viene disconosciuto anche da due delle mozioni presentate, se pur con accenti diversi, dai colleghi della maggioranza.
Nessuno di noi pensa che le politiche sulla Cina non possano che vedere al centro innanzitutto le relazioni economiche e che quello sia un punto ineludibile. Proprio per queste ragioni è nostro interesse che in Cina si viaggi verso la costruzione di istituzioni civili e di mercato che facciano della Cina stessa un interlocutore affidabile e compatibile dal punto di vista economico. Da ciò deriva che la questione dei diritti umani in Cina non può essere ridotta ad un problema che non abbia nulla a che fare con la natura complessa e problematica delle relazioni economico-commerciali con il mercato cinese.
La violazione delle libertà fondamentali non è una fisima umanitaria, ma attiene alla sostanza anche economica del modello cinese. Il legame fra la repressione politica e l'espansione economica è ancora oggi purtroppo il tratto caratteristico del capitalismo di Stato cinese; e questa caratteristica per il bene di tutti, anche dei produttori italiani ed europei, dovrebbe essere superata e non consolidata con l'avallo plaudente di alcune cancellerie occidentali.
Nessuno di quanti come me credono anche nella forza creativa del mercato e della competizione - e io lo credo, confortato in questo anche dal Dalai Lama, così come credo che comunque sia positivo che sul versante economico e commerciale la Cina venga inglobata nella più ampia realtà internazionale e che sia entrata nel WTO - è così cinico o ingenuo da ritenere che le persecuzioni personali, la repressione della libertà di stampa (sappiamo benissimo che in vista delle Olimpiadi il regime cinese ha messo la museruola anche alle agenzie internazionali che potranno dare notizie - non quelle sportive Pag. 74- riguardanti la politica, l'economia e la società cinese solo dopo che esse, prima ancora di essere messe in rete dalle loro agenzie, siano passate al vaglio della censura cinese), le repressioni della libertà in generale, quella sindacale, quella religiosa (su cui tornerò sopra) siano strumenti adatti e proporzionati all'obiettivo di assicurare la stabilità del regime cinese e l'espansione del mercato globale.
Più in generale, credo che il silenzio dimostrato dal Governo italiano sulla questione dei diritti umani e sui casi più evidenti e conosciuti di persecuzione civile e politica sia clamoroso, e che lo sia anche non rispetto alla nostra volontà. Ho citato la Merkel: non sono fissato con lei, ma è un punto di confronto. Ciò che il Governo italiano ha fatto o che il Presidente Prodi ha detto, se confrontato, non con il Premier canadese per intenderci, che sappiamo avere altra tradizione e altri margini di manovra (lo cito relativamente alla recente riunione dell'APEC), ma con ciò che ha fatto negli stessi mesi e quasi negli stessi giorni la Merkel è un punto di confronto ineludibile, a mio e nostro avviso, colleghi, anche per questo Parlamento.
Nella mozione da noi presentata abbiamo cercato di usare parole prudenti ma nette sulle due questioni, dell'embargo (su cui non tornerò) e della cooperazione in tema di diritti umani e di libertà personali, evocata, questa sì, da Prodi, ma non si comprende con quale contenuto.
Ci riferiamo nella mozione al cosiddetto «rapporto Belder», approvato dal Parlamento europeo. Pertanto, o nella cooperazione sui diritti umani ci sono alcuni aspetti cogenti, e dunque c'è un impegno reciproco, oppure credo che non si faccia molta strada se si tratta solo di un tavolo in cui le autorità italiane e pechinesi discutono di diritti umani, esponendo reciprocamente la propria visione al riguardo, a prescindere però dall'assunzione di qualsiasi vincolo od obiettivo.
La mozione inoltre denuncia due casi emblematici, riguardo alla realtà dei diritti umani in Cina: il caso dell'avvocato Gao Zhisheng, citato dal collega Pedrizzi poco fa, e quello del vescovo Martino Wu Qinjing. L'avvocato Zhisheng è noto in tutto il mondo per le sue iniziative in difesa delle libertà politiche - di lui si è occupato il Congresso americano, ma anche il Parlamento europeo -, religiose e civili e negli ultimi anni è stato il riferimento più autorevole della dissidenza cinese non violenta. Ha sfidato il regime di Pechino, è in galera, non si sa dove - non dico a che titolo - né quale sia il suo destino.
Monsignor Martino Wu Qinjing è stato arrestato proprio mentre iniziava la visita della delegazione italiana nella Repubblica popolare cinese, per non essersi voluto piegare alle minacce della cosiddetta Chiesa cattolica patriottica e per aver invece liberamente riaffermato la propria fedeltà al Papa e alla Chiesa di Roma. Nella nostra mozione chiediamo ai rappresentanti italiani anche due impegni precisi. Sappiamo che riferirsi a situazioni specifiche e precise è ciò che più urtica la sensibilità delle autorità cinesi, molto più delle vocazioni generali e dei grandi principi. Li costringe a prendere atto e possibilmente a dare risposte su questioni concrete, su casi di persone. Potremmo parlare di tante altre questioni, per esempio dei Falun Gong; recentemente abbiamo avuto in Italia un avvocato canadese, non praticante Falun Gong, che è venuto a spiegare quello che sta succedendo ai Falun Gong con gli espianti di organi, naturalmente forzati, per i trapianti in Cina.
Dunque insistere sui casi personali, com'è tradizione per esempio del Governo degli Stati Uniti, è forse un modo per essere urticanti nei confronti delle autorità cinesi, ma è anche un modo per testimoniare che i paesi liberi dell'Occidente, e mi auguro in futuro anche l'Italia - che non lo ha fatto in passato -, sono vicini non ai regimi, bensì alle persone e alle organizzazioni che lottano all'interno della Cina per la quinta modernizzazione (quella politica) cinese, che lottano per i diritti e le libertà. Questo è interesse anche di chi crede - come io credo, come noi crediamo - che il fatto che la Cina diventi una Pag. 75protagonista dell'economia mondiale non solo sia ineluttabile ma anche utile e che in prospettiva possa essere utile anche per i cinesi stessi. Noi però semplicemente ci rifiutiamo di credere, come qualcuno ritiene, che tanto, comunque, fra 30, 40 o 50 anni le cose si assesteranno da sole: primo, perché c'è il rischio che se noi non facciamo la nostra parte le cose non si assesteranno da sole nella direzione della prima potenza militare mondiale, quale sarà la Cina, aperta e possibilmente libera e democratica; secondo, perché nel frattempo ci sono milioni di persone che soffrono la repressione e che spesso muoiono in carcere (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbieri, che illustrerà anche la mozione Volontè ed altri n. 1-00052, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
EMERENZIO BARBIERI. A me fa molto piacere che per il Governo sia presente il sottosegretario Crucianelli, perché immagino che la sua formazione politico-culturale non sia molto distante, per quanto riguarda i sacri testi, dalla formazione politico-culturale dei dirigenti comunisti cinesi!
Da questo punto di vista, credo vi sia, almeno nelle memorie, un dato di omogeneità, di comunanza. Quindi, l'onorevole Crucianelli meglio di altri potrà comprendere le osservazioni che abbiamo inserito, come gruppo dell'UDC, nella nostra mozione.
Neanche un mese fa, il 29 ottobre, per la seconda volta in una settimana, il Governo comunista cinese (la cui legittimità è tutta da discutere, visto e considerato che non è mai stato eletto con elezioni libere e democratiche, così come le concepiamo noi) ha inviato centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa presso un'università privata della provincia meridionale dello Jiangxi, per fermare una manifestazione di massa organizzata dagli studenti.
La polizia ha obbligato gli universitari a non lasciare il campus (non commento; una decisione del genere, in un qualunque paese dell'Occidente, sarebbe stata definita come un atto autoritario e repressivo, ma, al riguardo, non vi sono stati commenti); inoltre, ha bloccato i telefoni (una cosa che noi, in Italia, abbiamo conosciuto durante il regime fascista; senza fare analogie, mi pare di capire che Mussolini sia stato studiato anche dai dirigenti comunisti cinesi) e le connessioni Internet dell'Istituto di tecnologia di Ganjiang.
L'invio di poliziotti è stato deciso per fermare la protesta di massa organizzata dagli studenti di Ganjiang, che avrebbe dovuto riunire circa sessantamila universitari provenienti da dieci istituti privati della provincia, per protestare contro una legge introdotta dal Parlamento cinese (ovviamente, anche quello è un Parlamento nominato, non eletto, della cui legittimità democratica è assolutamente corretto dubitare), una legge che, nonostante le promesse dei funzionari statali, non equipara i titoli di studio conseguiti presso istituti privati a quelli rilasciati dalle università pubbliche.
Il 5 novembre (tre settimane fa), il Governo della provincia orientale dello Shandong ha inviato oltre 1.400 poliziotti in tenuta antisommossa per fermare circa 1.000 abitanti di un villaggio alla periferia di Jinan che manifestavano contro la requisizione delle loro terre. Mi interessa sottolineare, onorevole Crucianelli, la presenza di 1,4 poliziotti per ogni manifestante. Si immagini lei, se una cosa del genere fosse accaduta alla manifestazione contro il lavoro precario fatta da alcuni sottosegretari, da alcuni partiti, Diliberto & company: avremmo avuto in piazza 23 mila poliziotti!
Il 12 novembre scorso, la polizia della provincia centrale del Sichuan si è scontrata con circa duemila persone che manifestavano contro un ospedale di Guangang, colpevole di aver lasciato morire un bambino perché la sua famiglia non poteva pagare subito il ricovero, anche se aveva promesso di pagare in seguito quanto dovuto (lo dico perché quando sento criticare la sanità americana mi scappa da ridere: credo che la sanità Pag. 76comunista cinese, sia, per alcuni versi, peggiore della sanità pubblica americana); gli scontri si sono conclusi con tre morti. Le autorità sono state costrette ad aprire un'inchiesta sulla vicenda.
Il 17 novembre, dieci giorni fa, la polizia, sempre in tenuta anti-sommossa (si vede che anche in Cina i poliziotti sono addestrati per questa funzione), ha circondato il villaggio di Dongzhou, nei pressi del porto meridionale di Shanwei (Guangdong), per liberare otto rappresentanti del Governo locale trattenuti dagli abitanti che protestavano contro l'arresto di un attivista del posto, colpevole di appendere dei manifesti anticorruzione nelle strade del villaggio.
Onorevole Crucianelli, pensi lei se una cosa del genere fosse esistita nel 1992 in Italia quando si appendevano i manifesti contro la Democrazia cristiana, perché composta da corrotti! Avremmo avuto le galere piene di manifestanti!
Il blocco ad oggi non è stato ancora tolto.
Alla fine del 2005, si è diffusa la notizia che monsignor Han Dingxian, vescovo non ufficiale di Yongnian (Hebei), è scomparso. Dal 1999 era stato arrestato e tenuto in isolamento in un hotel di proprietà del Governo comunista. Non poteva avere nessun contatto con i suoi fedeli ( la vicenda di Mindszenty in Ungheria è esattamente la stessa cosa), neanche con i parenti, ma ogni tanto - il sommo della perversione culturale non ha nulla da invidiare a quella sperimentata da Hitler in Germania - alcuni di loro potevano osservarlo dalla finestra. Il massimo della concessione! Ora da diverso tempo non si hanno notizie di lui, né si riesce più ad intravederlo neanche da parte dei parenti attraverso i vetri delle finestre. Tenga conto che parliamo di un vescovo che ha 66 anni ed in passato era già stato in prigione per vent'anni (fascismo e comunismo cinese).
Il vescovo di Zhengding (Hebei), monsignor Giulio Jia Zhiguo, è tutt'ora sotto estremo controllo ed isolamento (non può incontrare i suoi fedeli), periodicamente arrestato dalla polizia per essere sottoposto a sessioni di studio (ciò che ha inculcato Mao è rimasto in alcuni di questi dirigenti comunisti), dove viene sottoposto a lavaggio del cervello perché aderisca all'Associazione patriottica, lo strumento che l'onorevole Crucianelli ben conosce (nel senso che lo legge come lo leggo io, non perché partecipi a questo strumento), che ha come ideale la nascita di una Chiesa nazionale senza legame con la Santa sede. Monsignor Jia è stato arrestato in gennaio, in luglio, e novembre. Al momento si trova nella sua diocesi sorvegliato a vista.
Attualmente sono circa 30 i sacerdoti della chiesa non ufficiale in galera (la Chiesa cattolica è una, quella cattolica non ufficiale è una farsa, come chiunque cattolico sa).
Il 29 luglio scorso migliaia di poliziotti in tenuta antisommossa, oltre a centinaia di militari operai pagati dal Governo, una cosa che ricorda molto le manifestazioni di massa in favore dei regimi comunisti nei paesi dell'Europa dell'est, sono arrivati alla chiesa di Cheluwan (distretto di Xiaoshan, Hanzhou e Zhejiang) alle 13,30 e hanno cominciato ad usare la forza per cacciare via i fedeli protestanti (non sto parlando dei cattolici), radunati per fermare la distruzione dell'edificio, perché lo stesso non aveva ricevuto alcuna approvazione.
Subito dopo hanno distrutto la chiesa in modo completo, tanto per non sapere né leggere né scrivere.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,02)
EMERENZIO BARBIERI. Hanno fatto quello che fece Lenin in Russia nel 1919-1920.
Testimoni oculari affermano che la polizia ha usato manganelli elettrici e scudi antisommossa per disperdere i cristiani... Scusate, colleghi, segnalo che parlare alle spalle è un po' fastidioso!
Il Centro di formazione sui diritti umani e la democrazia afferma che la chiesa era già stata costruita anni addietro, ma era stata ristrutturata quest'anno Pag. 77a causa di un tifone che, nel 2005, l'aveva danneggiata. Non è la prima volta che edifici religiosi vengono requisiti in modo illegale per essere utilizzati in progetti di costruzione e di sviluppo edilizio. D'altra parte, sottosegretario Crucianelli, basterebbe mandare i nostri urbanisti di sinistra in Cina per riuscire a comprendere cosa vuol dire il sacco di Napoli, attuato nel 2005.
Lo scorso anno alcune suore cattoliche di Xian sono state picchiate per aver difeso una scuola di loro proprietà, venduta dal Governo a fini commerciali; infatti, come lei ben sa, il Governo si occupa anche di attività commerciali in Cina: ciò, sempre a proposito di corruzione.
In dicembre un gruppo di sacerdoti di Taiyuan sono stati picchiati a Tianjin per voler salvare le proprietà della diocesi requisite da ditte locali per sviluppi edilizi.
Secondo la China Aid Association, un'organizzazione non governativa con base negli Stati Uniti che opera per la libertà religiosa in Cina, il regime comunista cinese ha arrestato, nel corso dell'ultimo anno, 1958 fra pastori e fedeli delle chiese protestanti non ufficiali. L'organizzazione di cui sopra ha pubblicato, insieme alla denuncia, un rapporto dettagliato che spiega la persecuzione anticristiana portata avanti dalle autorità di quindici province cinesi.
Particolare oggetto della persecuzione governativa sarebbero gli incontri fra pastori ed insegnanti cristiani, visti con particolare ostilità dal Governo, che mira ad indottrinare le nuove generazioni: nulla di nuovo sotto il sole! Vi sono innumerevoli prove dei maltrattamenti e delle torture subiti dai leader delle comunità da parte della polizia e dei membri dell'Ufficio affari religiosi.
Nel corso della splendida missione italiana in Cina del mese di settembre 2006 - debbo dire che lo hanno sostenuto tutti i colleghi intervenuti fino ad ora: gli onorevoli Rampelli, Pedrizzi e Della Vedova - hanno destato sconcerto le dichiarazioni rilasciate dal vostro Presidente del Consiglio. Prodi ha detto «basta» all'embargo delle armi nei confronti della Cina; in quell'occasione non ho visto le piazze riempirsi di pacifisti. Addirittura, egli si è impegnato in sede europea affinché questo embargo venga rimosso.
Secondo il ministro degli affari esteri D'Alema, l'Italia è favorevole al superamento dell'embargo delle armi nei confronti della Cina «sulla base delle condizioni poste dall'Unione europea». Il ministro del commercio internazionale Bonino ha affermato che l'incremento delle relazioni commerciali ed economiche con la Cina deve comportare progressi sostanziali in materia di democrazia, diritti umani, Stato di diritto, diritti religiosi e individuali, che sono componenti basilari del dialogo politico.
Sottosegretario Crucianelli, all'indomani del colpo di Stato di Pinochet in Cile i comunisti italiani riempirono le piazze affermando che non si poteva neanche pensare di avere rapporti con un regime cileno autoritario e fascista, al punto da mettere in discussione la finale di coppa Davis con il Cile. In ogni caso, che differenza vi è in rapporto al regime cinese? Quest'ultimo si chiama comunista, ma la sostanza non cambia.
Noi con la nostra mozione impegniamo il Governo, alla luce dei fatti suesposti, ad indirizzare l'azione diplomatica, sia nei rapporti bilaterali sia a livello europeo, in modo tale da assicurare sia il rispetto dei diritti umani e civili sia la libertà religiosa e di espressione in Cina. Chiediamo che il Governo italiano si muova in modo concreto, non attraverso le solite ed inutili dichiarazioni, affinché in Cina vi sia libertà religiosa. Inoltre, impegniamo il Governo a subordinare la chiusura di accordi commerciali alla previa verifica di reali concessioni sul piano della democrazia e della libertà di religione in Cina e a desistere dall'impegno, preso in più di un'occasione, di perorare in sede UE la fine dell'embargo sul commercio di armi, decretato dopo i fatti di Tienanmen del 1989 (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00053. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, capisco tutto, la polemica politica, la scelta di campo, le contrapposizioni, lo scontro, ma non accetto che ci siano falsificazioni o mistificazioni riguardo a comportamenti di persone che non hanno nulla da imparare, per storia e per impegno politico di oltre un quarto di secolo, su come si difendono i diritti umani e su cosa si è fatto o si fa per promuoverli in parti del mondo come la Cina. Mi riferisco al collega Rampelli, che poco fa ha criticato Emma Bonino perché nel suo recente viaggio in Cina non avrebbe sollevato la questione dei diritti umani, mentre ho ascoltato e apprezzato, nell'intervento del collega Barbieri, parole vere riguardo alle dichiarazioni rese dalla stessa Emma Bonino prima del suo viaggio in Cina.
Collega Rampelli, da che pulpito viene la predica! Chiedo al collega Rampelli che cosa abbia fatto in occasione delle scorse missioni in Cina; mi riferisco alle visite in Cina, precedenti a quella di questo Governo, dell'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (nel novembre del 2003), e a quella successiva del 2004 del Vicepresidente del Consiglio di allora, Gianfranco Fini. Che cosa ha fatto? Ha presentato una mozione parlamentare? Io so che allora esponenti del suo partito, tra cui anche la Presidente, che in questo momento presiede la seduta, nell'ambito di Azione Giovani, ha preso posizione, ma non mi risulta che vi siano state mozioni parlamentari che criticassero il silenzio assoluto sui diritti umani che vi è stato nelle precedenti visite di Stato in Cina.
RICCARDO PEDRIZZI. Io l'ho presentata al Senato!
SERGIO D'ELIA. Ricordo che Emma Bonino, prima di partire per la Cina, con un'intervista, non su una radio privata o su un giornale locale, ma sul principale quotidiano italiano, il Corriere della sera, ha fatto l'elenco puntuale e preciso di tutte le violazioni che si compiono nella Cina. I cinesi di questo hanno paura: non che ci sia non un generico richiamo al rispetto dei diritti umani, ma la denuncia puntuale e precisa di tutte le violazioni dei diritti umani che avvengono in quel paese.
Non è vero che il Presidente Prodi non abbia parlato dei diritti umani; egli ha sollevato questioni relative alla pena di morte, ai diritti umani, alla libertà religiosa soprattutto; lo stesso hanno fatto il sottosegretario Vernetti, in visita in Cina, e la stessa Emma Bonino, che hanno chiesto una moratoria delle esecuzioni capitali.
Colleghe e colleghi, la situazione dei diritti umani in Cina è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo ascoltato un elenco molto eloquente nel dibattito in quest'aula; ciò non è più solo oggetto delle nostre denunce o di quelle delle organizzazioni non governative, ma di puntuali inchieste e rapporti delle organizzazioni internazionali. Citerò solo alcuni punti, proprio per completare il quadro che già alcuni colleghi hanno ben rappresentato riguardo a quello che accade in Cina.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite sulla tortura, presentato il 10 marzo 2006, dal 2000 lo special rapporteur e i suoi predecessori hanno contestato al Governo cinese 314 casi di presunta tortura, i quali riguardano ben oltre 1.160 persone, e che, oltre a questa cifra, occorre considerare un caso presentato nel 2003, che riportava in dettaglio presunti maltrattamenti o torture di migliaia di praticanti del Falun Gong, molti dei quali avvenuti nei campi di rieducazione attraverso il lavoro, i famigerati laogai, e negli ospedali psichiatrici.
A proposito di Falun Gong - lo ha richiamato il collega Della Vedova poco fa -, il 6 luglio 2006 è stato pubblicato il rapporto sulle denunce di espianto di organi ai praticanti del Falun Gong in Cina, risultato di una indagine indipendente condotta in Canada dall'avvocato David Matas e dall'ex parlamentare David Kilgour, che recentemente ha visitato il nostro paese (io l'ho incontrato e l'ha incontrato anche il collega Della Vedova). Pag. 79Secondo tali soggetti, da alcuni anni è stata attuata una raccolta su larga scala d'organi a praticanti del Falun Gong e questa pratica criminale continua tutt'oggi.
È stato lo stesso viceministro della sanità cinese, Huang Jiefu, ad ammettere, lo scorso 17 novembre, in occasione di un meeting di medici specializzati in trapianti svoltosi in Cina, che la maggior parte degli organi prelevati da cadaveri provengono da prigionieri giustiziati. Ci sono poi casi di carcerazione politica, in particolare di appartenenti a minoranze religiose ed etniche - tibetani, in primis -, di ricorso diffuso al lavoro forzato, di repressione sistematica delle libertà di culto e di espressione nonché delle libertà dei media a partire da Internet.
La regione del Tibet subisce da quasi mezzo secolo una forzosa campagna di sinizzazione, che ha distrutto il patrimonio culturale, religioso ed artistico di una delle più antiche civiltà dell'Asia. La legge cinese antisecessione del 14 marzo 2005 prevede espressamente il ricorso a «mezzi non pacifici» per risolvere l'eventuale dichiarazione di indipendenza da parte di Taiwan.
È evidente che il boom economico della Cina, lo status di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU nonché l'adesione all'Organizzazione mondiale del commercio impongono alla Cina una maggiore responsabilità nei confronti della comunità internazionale rispetto al passato, ma anche una maggiore credibilità nel campo delle riforme democratiche, del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto in quel paese. D'altro canto, lo sviluppo di relazioni commerciali sempre più intense e di relazioni politiche positive tra l'Unione europea e la Cina non può non fondarsi sul rispetto di principi fondamentali comuni che trovino un minimo comune denominatore in materia di diritti umani e di regole democratiche.
In passato si è scelto di essere compiacenti con una dittatura nella speranza di realizzare da subito buoni affari, invece di investire nel medio periodo in una maggiore libertà per i cinesi ed anche in una maggiore credibilità del nostro paese e dell'Europa sul piano delle relazioni internazionali. I cinesi hanno dimostrato di saper rispettare chi ha il coraggio delle proprie convinzioni e di saper concludere con coloro che riescono a dimostrare tali convinzioni gli affari migliori. Presentarsi in Cina e alla Cina solo con delle convenienze, lasciando a casa le proprie convinzioni, può farci guadagnare qualche contratto in più, ma allo stesso tempo può farci perdere molta credibilità.
Per quanto riguarda la questione dell'embargo, il dispositivo della mozione che ho presentato insieme a molti altri colleghi del centrosinistra è molto chiaro. La posizione che il Presidente Prodi ha dichiarato in Cina non è nuova; infatti già in qualità di Presidente della Commissione europea aveva manifestato la necessità di superare l'embargo alla Cina, mentre la posizione del ministro degli esteri è stata resa nota nei giorni scorsi.
Ma devo osservare, colleghi dell'opposizione, che tali due posizioni sono in piena continuità con quella espressa dall'allora Presidente Berlusconi il quale, durante il semestre del 2003 nel quale l'Italia ha guidato l'Unione europea, si è adoperato molto per togliere l'embargo sulle armi alla Cina; embargo che egli considerava - diceva testualmente - anacronistico. Come pure, in piena continuità con la posizione di Prodi e di D'Alema sulla questione dell'embargo, è la posizione favorevole ad una sua revoca sostenuta peraltro anche in un'intervista al Quotidiano del popolo dall'allora Vicepresidente Fini durante la sua visita di Stato in Cina nel dicembre del 2004. Prendo atto, ora, leggendo i dispositivi delle mozioni firmate da alcuni deputati di Alleanza Nazionale e di Forza Italia, della svolta nella posizione di questi gruppi, oggi assolutamente contrari alla revoca dell'embargo, almeno fin quando non saranno registrati - dichiarano alcuni di questi dispositivi - progressi nel campo dei diritti umani.
Anche la mozione di cui sono firmatario, come osservavo dianzi, pone la questione dell'embargo sulle armi alla Cina in relazione a quella dei diritti umani; ma la pone in una maniera diversa, in positivo, Pag. 80in un modo volto a favorire progressi tangibili della Cina nel campo dei diritti umani e delle riforme democratiche. Non possiamo accontentarci di contemplare il disastro cinese sul fronte dei diritti umani; credo che dobbiamo operare perché da quel disastro se ne venga fuori con dei progressi e con dei passi forse brevi nel primo e medio periodo, ma comunque tali da procedere nella direzione giusta.
Anziché dare per scontati lo status quo di oggi e la immutabilità della situazione in Cina, e anziché attendere prima le riforme per poi decidere in ordine alla revoca dell'embargo, ritengo più produttivo impegnarci oggi negoziando sulla revoca dell'embargo per ottenere progressi concreti che vadano nella direzione giusta. Un «no» assoluto e di principio alla revoca dell'embargo ci farebbe sentire più buoni e con la coscienza a posto, ma non ci farebbe esperire il tentativo di ottenere cambiamenti, progressi e riforme che pure in Cina si sono avuti nell'ultimo periodo. Dal 1o gennaio, infatti, entrerà in vigore una riforma importantissima del codice penale cinese che riguarda la pena di morte e che consiste nel trasferimento al giudice ultimo ed esclusivo della convalida delle condanne a morte, la Corte suprema del popolo. Ora, invece, le condanne a morte possono essere ratificate - per essere quindi eseguite - dalle corti provinciali. Ebbene, gli osservatori stimano che questo passaggio dalle corti provinciali alla Corte suprema cinese produrrà una diminuzione di almeno il 20 per cento delle esecuzioni, che sappiamo essere tantissime in quel paese e che saranno sempre troppe anche dopo questa riforma.
Sarebbe velleitario e, ritengo, anche alquanto ridicolo pensare di isolare la Cina con il sistema degli embarghi e dei boicottaggi, seppure attuati sul piano del commercio delle armi e, in ipotesi, su quello della partecipazione alle Olimpiadi. Semmai è la Cina, questo grande colosso, che ci accerchia e ci isola, considerato che non ha bisogno delle nostre armi e che le Olimpiadi si terranno comunque e potranno offrire invece (e va colta tale occasione) un'ulteriore possibilità di apertura al mondo e di ulteriori progressi sul versante dei diritti umani. D'altra parte, gli Stati Uniti, che non hanno imposto un'embargo statunitense sulle armi alla Cina, riescono tuttavia ad ottenere risultati con la loro politica che consiste nell'abbinare due strategie, quella del contenimento da un lato, ma anche quella del coinvolgimento dall'altro. Non possiamo pensare di ricostruire noi la grande muraglia cinese, che è stata infranta dal tumultuoso sviluppo economico di quel paese e dall'entrata della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio.
Ciò che possiamo fare, come dicevo in precedenza, è porre condizioni, negoziare la revoca dell'embargo, ovviamente importantissima per la Cina dal punto di vista simbolico, politico ed anche militare, considerando l'alta tecnologia di cui quel paese difetta ancora e per cui ha bisogno di importazione. A maggior ragione credo, proprio per i motivi ricordati, che occorra ottenere, in cambio di una revoca dell'embargo, ciò che è importante per noi, ossia più libertà, più democrazia, più diritti civili, religiosi e sindacali, si potrebbe dire genericamente «umani», per i cinesi. Credo anche che, in tal modo, si affermerebbe una maggiore libertà e credibilità del nostro paese e dell'Unione europea nelle relazioni internazionali.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta, che illustrerà anche la mozione Bonelli n. 1-00054, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, la Cina, come i colleghi hanno ricordato, è un immenso paese, che sta occupando, con sempre maggiore sicurezza, il proprio spazio sulla scena mondiale. Le scelte politiche, economiche, ed anche in materia di diritti umani del maggiore paese dell'Asia hanno un impatto diretto e percepito sul mondo intero. Una nazione di oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti, con una crescita economica esponenziale e mire commerciali globali non può che incutere rispetto.
I rapporti con la Cina costituiscono, dunque, un capitolo importante dei rapporti Pag. 81internazionali di ogni paese, ed il nostro non fa eccezione. Salutiamo, pertanto, con soddisfazione le due recenti missioni in Cina del Presidente del Consiglio e del ministro degli esteri. Il problema, tuttavia - per noi, al pari di tutti i nostri partner europei - è che la necessaria attenzione diplomatica e commerciale che prestiamo alla Cina rischi di vedere la questione del rispetto dei diritti umani in quel paese quale timida appendice all'agenda politica dei Governi. Ritengo sia prerogativa del Parlamento affrontare con maggiore libertà il tema, sempre delicato, dei diritti umani.
Per tale motivo, le diverse mozioni sui diritti umani in Cina, che discutiamo oggi e che voteremo domani, costituiscono un'importante opportunità. Anch'io sono colpita dalla maggiore radicalità dei colleghi Rampelli e Pedrizzi, che non fecero rampogne altrettanto ferme nei confronti dei propri rappresentanti, ossia del Presidente del Consiglio Berlusconi e del Vicepresidente del Consiglio Fini, quando questi ultimi parlarono della necessità di allentare l'embargo. Saluto la loro «conversione» e ritengo che il primato dei diritti umani, nella corretta gestione dei nostri rapporti internazionali, sia un aspetto che deve condividere l'intero Parlamento.
I problemi aperti sono stati, in larga misura, elencati dai colleghi. Oltre ai rapporti delle organizzazioni non governative più note, quali Amnesty International e Human Rights Watch, un'analisi abbastanza critica dello stato dei diritti umani in Cina è stata presentata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, nel marzo di quest'anno. Tali rapporti dimostrano la profonda contraddizione tra l'impetuoso sviluppo economico, sociale e tecnologico della Cina ed una situazione di stallo sul piano dei diritti e delle libertà civili; anzi, lo scorso anno vi sarebbe stato addirittura un aumento della repressione di attività percepite come disturbo o minaccia nei confronti dell'autorità governativa, una repressione che ha colpito, in particolare, la libertà di espressione e la stampa, con la chiusura di testate giornalistiche, la messa al bando di libri ed una attività di censura via Internet, che non ha paragoni nel mondo.
La Cina è membro fondante delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza della stessa organizzazione, ma credo che sia uno tra i pochi paesi al mondo dove si può finire in prigione per il mero possesso della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, come è successo, secondo Amnesty International, a due monaci tibetani. In Cina, sempre secondo Amnesty International, è tuttora in vigore l'uso di campi di detenzione per la rieducazione dei dissidenti, che ospiterebbero tra i 4 e i 6 milioni di prigionieri, costretti al lavoro forzato. Noi, come hanno ricordato i colleghi, non possiamo non tener conto di tale drammatica realtà. Altro motivo di grande preoccupazione è il ricorso massiccio alla pena di morte. Il numero delle sentenze capitali eseguite rimane segreto, ma la stima di Amnesty International è di 1.770 esecuzioni lo scorso anno ed è probabilmente in difetto.
Sono felice che il Parlamento e i colleghi convergano tutti sull'importanza di una richiesta di moratoria. La cortina di silenzio che avvolge le esecuzioni, e i processi che le precedono, copre e, in qualche misura, forse genera anche un fenomeno di enorme gravità, che coinvolge i cittadini di altri paesi, compresi quelli europei: la vendita e il trapianto di organi dei condannati a morte.
Ad aprile di quest'anno, in una dichiarazione pubblica senza precedenti, i vertici della British Transplantation Society, che presiede al controllo etico dell'attività dei trapianti in Gran Bretagna, denunciarono la raccolta e la vendita di migliaia di organi prelevati dai condannati a morte in Cina senza il loro consenso. Le prove di tali pratiche comprendevano le testimonianze dei numerosi pazienti, anche britannici, che erano andati in Cina.
Secondo la testimonianza di un giornalista britannico, che si è presentato come potenziale paziente in un grande ospedale cinese, tale pratica era ancora in vigore il mese scorso, nonostante la nuova legge, che avrebbe dovuto vietare la vendita Pag. 82di organi dal marzo di quest'anno. Al giornalista fu proposto un fegato, proveniente, secondo i medici dell'ospedale, da un condannato a morte, per il prezzo di 98 mila dollari. La scadenza di sole tre settimane per la disponibilità dell'organo era dovuta, sempre secondo i medici, al numero particolarmente alto di esecuzioni in corso, prima della festa nazionale del 1o ottobre di quest'anno.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, queste notizie mettono in luce quanto sia potenzialmente devastante per la Cina, ma anche per noi, il combinato disposto di quello che il rapporto di Amnesty definisce un controllo pressoché totale delle libertà individuali in quel paese, con un liberismo sfrenato e un mercato senza regole. Se, come confermano molte autorevoli inchieste giornalistiche, si sta consolidando il fenomeno del turismo dei trapianti in Cina, dobbiamo essere consapevoli che, in mancanza di regole condivise, questo vuol dire creare un reale incentivo, proprio per il meccanismo perverso della vendita di organi, al moltiplicarsi delle esecuzioni capitali. Queste nostre denunce non sono gratuite e dovrebbero contribuire a cambiare le cose. Infatti, atti di indirizzo, come quelli che spero quest'aula approverà, possono contribuire ad un miglioramento, per quanto parziale, della situazione in Cina. Questa è anche l'opinione di quei dissidenti cinesi che riescono a far pervenire al resto del mondo la propria voce.
Nella nostra mozione, prestiamo particolare attenzione alla questione della vendita delle armi. Ricordo all'aula che la legge vigente, la n. 185 del 1990, sull'esportazione dei materiali di armamento, vieta la vendita di armi verso paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo dalle Nazioni Unite o dall'Unione europea. La stessa legge vieta la vendita verso i paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle Convenzioni internazionali in materia di diritti umani e anche quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali. Questi per noi sono punti fermi.
L'Unione europea, dopo la sanguinosa repressione di piazza Tienanmen del 1989, ha sottoposto la Cina ad embargo, posizione ribadita più volte, anche recentemente, con la risoluzione del Parlamento europeo, citata dai colleghi e approvata a larga maggioranza il 7 settembre, che recita, tra l'altro, che l'Unione europea non dovrebbe revocare l'embargo, fintanto che non sia in vigore un codice di condotta giuridicamente vincolante sull'esportazione di armi e non sarà stata affrontata adeguatamente la situazione dei diritti umani e delle libertà civili o politiche, inclusa la questione di piazza Tienanmen.
L'Unione europea mantiene attualmente in vigore solo otto embarghi internazionali: nei confronti dei talebani, della Bosnia-Erzegovina, del regime di Myanmar, dei ribelli della Sierra Leone e del Congo, del Sudan, della dittatura di Mugabe e, infine, della Cina, alla quale, naturalmente, pesa enormemente stare in questo elenco.
La fine dell'embargo alle armi per la Cina ha una valenza altamente politica non solo per il ruolo internazionale che vuole rivestire, ma anche per motivi strategico-militari, in quanto fatica a reperire, sul mercato internazionale, sistemi d'arma tecnologicamente avanzati.
Faccio tuttavia presente al Governo e all'Assemblea che non si può ignorare la possibilità che la vendita di armi da parte dell'Europa alla Cina faccia aumentare, come già avvenuto in passato, il rischio di escalation nella regione, in particolare da parte di Taiwan.
Secondo un recente rapporto di Amnesty International, la Cina sta rapidamente emergendo come uno dei più grandi ed irresponsabili esportatori di armi, con un export che si aggira intorno al miliardo di dollari all'anno, contribuendo ad alimentare conflitti e gravi violazioni dei diritti umani in paesi quali Sudan, Nepal e Myanmar.
La Cina, infine, è l'unico paese, tra i grandi esportatori di armi, a non aver sottoscritto neanche uno degli accordi multilaterali che vietano il trasferimento di armamenti verso paesi che potrebbero Pag. 83commettere gravi violazioni dei diritti umani; inoltre, tale commercio è avvolto da segreto, in quanto da ben otto anni il Governo di Pechino non fornisce dati al registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali.
Alla luce di tutti questi fatti, signor Presidente e onorevoli colleghi, noi pensiamo che occorra procedere in primo luogo coordinandoci assolutamente in sede europea, senza intraprendere mosse unilaterali e tenendo ferma la risoluzione, approvata dal Parlamento europeo, che chiede tangibili e verificabili progressi nel campo dei diritti umani.
Chiediamo, altresì, che l'Italia si faccia promotrice dell'adozione di un codice etico di responsabilizzazione delle imprese italiane all'estero e che proponga, in sede di WTO, un nuovo sistema di regole internazionali per il rispetto dei diritti umani, nonché nuovi e più elevati standard ambientali (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Venier, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00057. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, signor sottosegretario, potremmo limitarci ad affermare che il nostro gruppo è molto soddisfatto e contento dell'azione del Governo, nonché del successo delle missioni compiute dall'Esecutivo italiano (prima con la presenza del Presidente Prodi, poi con quella del ministro D'Alema) in Cina.
Potremmo ritenerci altrettanto soddisfatti per quanto è stato fatto sia sul piano della ricostruzione della nostra politica estera, che anche in tale ambito non esisteva (si è trattato di una delle eredità più pesanti lasciate dal precedente Governo), sia sul terreno della pressione esercitata nei confronti della Repubblica popolare cinese rispetto alla questione che oggi siamo chiamati ad affrontare, vale a dire il rispetto dei diritti umani e civili in quel paese.
Ciò che ci ha indotto a presentare la nostra mozione, di cui illustrerò brevemente le differenze rispetto agli altri documenti all'attenzione dell'Assemblea, è l'assoluta ipocrisia con cui la destra ha voluto sollevare tali problemi in quest'aula.
Il collega D'Elia ha già ricostruito le profonde contraddizioni che si sono manifestate. Se i colleghi fossero conseguenti alle parole che hanno usato nel descrivere la situazione, che sono coerenti anche con quanto aveva affermato l'allora Presidente del Consiglio Berlusconi - ricordo i «bambini bolliti», nonché un truculento susseguirsi di descrizioni -, dovrebbero sostanzialmente chiedere al nostro paese di fare una dichiarazione di guerra nei confronti della Cina!
Ricordo che in realtà, fino a pochi mesi fa, al Governo di questo paese c'era una compagine che non ha fatto nulla per affrontare il tema del rispetto dei diritti umani sia in Cina, sia nel resto del mondo. Quanta ipocrisia ravviso in questo modo di porre le questioni, oggi che si è all'opposizione! Non credo assolutamente vi sia stato alcun ravvedimento da parte di questi colleghi!
Vedo solo il tentativo di una piccola speculazione di politica interna collegata ad un processo internazionale di grande respiro, che è quello dello scontro tra Stati Uniti e Cina che sta sullo sfondo drammatico di questo secolo e che vede delle piccole comparse italiane cercare un loro ruolo in questa grande rappresentazione che dobbiamo evitare. Lo scontro tra Stati Uniti e Cina può portare il mondo alla catastrofe e sicuramente porterà l'Europa all'inutilità, alla fine.
Vediamo esponenti del centrodestra, che hanno modificato la legge n. 185 del 1990 allargando la possibilità del commercio delle armi, e che oggi ci vengono a fare la lezione sulla questione dell'embargo. Esponenti del centrodestra che non si vedono mai in quest'aula vengono a ricordare come la violazione dei diritti umani non abbia un doppio standard, perché viene applicata sempre nei confronti di alcune nazioni e giustamente quando queste violano le convenzioni e gli standard internazionali; ma quando vedremo una mozione di Forza Italia su Abu Ghraib, su Pag. 84Guantanamo, sulla violazione del diritto internazionale e dei diritti umani? Questa coerenza sui diritti umani è la questione che dobbiamo porre quando affrontiamo anche un problema importante come la situazione di transizione, di cambiamento tumultuoso di un paese enorme, che rappresenta una parte fondamentale dell'umanità.
La Cina è cambiata profondamente; quanto provincialismo nelle affermazioni dei colleghi! La Cina non è più il paese di 10 o 15 anni fa, è un paese che oggi ha fatto uscire dall'arretratezza centinaia di milioni di persone, portandole da una condizione terrificante ad una condizione di sviluppo all'interno di un processo economico e sociale. Certo, anche se solo il 10 per cento di tutto ciò che è stato detto in quest'aula corrispondesse a ciò che accade, rappresenterebbe un fatto di una gravità enorme. È giusto, quindi, operare su questo terreno ed esercitare una pressione costante.
Dobbiamo parlare ancora di embarghi, di isolamenti dopo quello che è accaduto nella storia politica e nelle guerre che si sono succedute in questi ultimi anni? In realtà, dobbiamo prendere atto che siamo di fronte ad un mondo che sta cambiando. I protagonisti di questo mondo sono le grandi aggregazioni regionali. Uno dei grandi protagonisti del futuro dell'umanità è sicuramente la Cina, che deve seguire il proprio percorso verso un vero Stato di diritto. È questo che non è stato ancora raggiunto. La Cina non ha mai avuto nei suoi millenni di storia l'idea del primato della legge, di un diritto individuale nei confronti dello Stato. La Cina deve guadagnarsi culturalmente questo salto in avanti; è un fatto che impegnerà generazioni nella costruzione di un'idea di Stato di diritto, quella che è stata la conquista dell'Europa che ha diffuso anche nel resto del mondo; ma la Cina, nei processi di riforma che ha avviato, ha comunque posto questo obiettivo.
Noi dobbiamo lavorare tra la contraddizione di questo obiettivo proposto e lo stato di attuazione di tale prospettiva. La strutturazione di uno Stato di diritto non può essere un fatto abbandonato a se stesso, ma va seguito anche attraverso un dialogo continuo. Sappiamo, ad esempio, che vi è stata una grande collaborazione tra gli istituti universitari di diritto italiani e gli istituti cinesi sulla questione dello Stato di diritto e su come si possa costruire una cultura dello Stato di diritto in Cina nel rispetto del proprio modello sociale e politico. Questo abbiamo scritto nella nostra mozione, perché la questione dell'esportazione dei modelli solo in una direzione - a mio avviso - ha terminato il suo cammino. Non c'è un modello unico o una sola possibilità. Ogni paese, ogni popolo, tanto più uno composto da un miliardo e 300 milioni di abitanti, ha il diritto di poter definire le proprie prospettive. Noi dobbiamo aiutarlo, in un dialogo continuo, per far sì che quelle prospettive, anche di autonomia nella definizione del proprio modello sociale e politico, corrispondano ad una vera libertà, ad un possibilità di difendere i propri diritti politici, i propri diritti sindacali e civili.
Si sta parlando della Cina, ma quando vedremo i colleghi del centrodestra impegnati, con la stessa determinazione di alcuni colleghi della maggioranza, sulla questione dei diritti umani, sulla questione del diritto alla libertà religiosa in paesi come l'Arabia Saudita, tra i principali alleati degli Stati Uniti? Quando li vedremo condannare, con la stessa determinazione con la quale condannano la terribile pratica della pena di morte, applicata in modo massiccio e gravissimo in Cina, ciò che succede nelle carceri americane, dove le persone vengono «fritte» sulla sedia elettrica? Quando sapremo di questa vostra coerenza, colleghi del centrodestra? Quando lo farete, potrete anche presentarvi in quest'aula per dire che vi battete per i diritti umani!
In realtà, ancora una volta, voi strumentalizzate la questione dei diritti umani senza averne assolutamente i titoli.
FABIO GARAGNANI. Ma come ti permetti!
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IACOPO VENIER. Voi fate un'operazione che ha come unico scopo quello di tentare di screditare l'azione del nostro Governo.
Noi riteniamo, al contrario, che proprio il nostro Governo si stia impegnando in un'azione che combina l'apertura e la massima collaborazione del nostro paese nel processo di sviluppo cinese con la consapevolezza che tale sviluppo può essere aiutato e indirizzato, fino a portare alla definizione di un livello giuridico fondamentale dei diritti. Questa è l'azione che dobbiamo compiere! Dobbiamo lavorare per costruire la consapevolezza, nel gruppo dirigente cinese, che non c'è, da parte dell'Europa, nei confronti della Repubblica popolare cinese, alcun atteggiamento di aggressione o di possibile scontro sul piano internazionale e che, anzi, c'è l'idea della costruzione di un multipolarismo, di una collaborazione tra le varie aree del pianeta per un nuovo ordine internazionale, per un nuovo diritto internazionale, all'interno del quale ogni continente, ogni area geografica sceglierà il proprio modello e la propria prospettiva politica. Questo abbiamo voluto ribadire presentando la nostra mozione. Per questo crediamo che la maggioranza debba rivendicare, anche con grande orgoglio, l'azione di politica estera del nostro Governo. Si tratta, infatti, di una politica estera che, finalmente, conferisce un ruolo all'Italia sul piano europeo e sul piano internazionale.
Dal 1o gennaio avremo la responsabilità di sedere nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In quella sede, avremo la responsabilità anche di sovrintendere, di dare un indirizzo alla nuova politica delle Nazioni Unite. Credo che, in quella sede, dovremo intensificare le relazioni ed anche la capacità di pressione affinché i diritti umani siano davvero una conquista da diffondere e per la quale ci si batta, a prescindere dalla forma statuale, dalla collocazione internazionale o dalle relazioni geopolitiche definite. I diritti umani non vanno strumentalizzati: sono la base della nostra prospettiva e del nostro lavoro sul piano della politica estera e devono essere difesi nello stesso modo rispetto a tutte le violazioni, da qualunque parte esse vengano, mai utilizzati strumentalmente sul piano politico.
Per questi motivi, noi abbiamo presentato una mozione che riassume un giudizio sul percorso che, avviato dalla Repubblica popolare cinese alcuni decenni or sono, ha portato quel paese ad una crescita davvero impressionante ed importante. Ribadisco che lo sviluppo cinese, la sua qualità ed anche la sua stabilità condizionano lo sviluppo dell'intero pianeta (e stiamo parlando di un pezzo fondamentale dell'umanità).
Nel contempo, ribadiamo con grande determinazione sia il nostro impegno affinché i diritti umani siano terreno di iniziativa seria, non di strumentalizzazione, sia la condanna dell'atteggiamento di coloro i quali si attivano soltanto a corrente alternata: quando sono all'opposizione, quando qualcuno suona loro il campanello per intraprendere iniziative parlamentari o per compiere un tentativo, poco dignitoso, di strumentalizzare questioni che non hanno nulla a che fare con le grandi ed alte battaglie volte ad affermare i diritti dell'uomo. Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, il solo fatto che oggi, in Assemblea, siano state presentate molte mozioni sul rispetto dei diritti umani in Cina ha un doppio significato. Esso dimostra l'attenzione del Parlamento per il rispetto dei diritti umani, come più volte è stato dimostrato e, mi auguro, sempre senza alcuna strumentalizzazione, ed anche l'interesse del Parlamento per la Cina, che rappresenta, ormai, non solo per le dimensioni geografiche, ma anche per numero di abitanti e tasso di crescita economica, un punto di riferimento importante nella geopolitica mondiale ed è destinato a diventarlo sempre più. Oggi, bisogna fare i conti con la Cina Pag. 86ed aiutarla a diventare un paese sempre più adeguato agli standard internazionali per il rispetto dei diritti umani.
Peraltro, un paese di tali dimensioni ed in forte fase di sviluppo, che da qualche anno, ancorché con numerosi limiti e contraddizioni, ha iniziato ad aprirsi al mercato internazionale, è inevitabilmente soggetto a pressioni sia interne sia esterne, tendenti a far coincidere il maggior grado di libertà economica con un generale miglioramento della qualità della vita, intendendo quest'ultima non tanto e non solo come maggiore benessere economico, ma soprattutto come un'effettiva possibilità per l'individuo di esplicare, al meglio, la propria personalità sia come singolo sia come membro della comunità di appartenenza, con il rispetto di tutti i diritti personali.
Da questo punto di vista, il rispetto dei diritti umani assume un rilievo fondamentale. La comunità internazionale, e l'Europa in particolare, con la sua radicata tradizione democratica, non può permettersi, quindi, di assumere un atteggiamento di indifferenza, né tanto meno di tolleranza, ma, al contrario, deve attivarsi con tutti i mezzi, pacifici e democratici, a sua disposizione, affinché i più elementari diritti dell'uomo vengano rispettati in tutti i paesi, non solo in Cina, quando ciò non avviene.
In effetti, in Cina restano ancora aperte questioni particolarmente preoccupanti per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. Tutti conosciamo il ricorso alla pena di morte, che purtroppo viene utilizzata di frequente per un elevato numero di reati, il ricorso alla tortura, alla detenzione arbitraria, per non parlare della restrizione della libertà di espressione, di religione, di associazione. Vorrei ricordare i vescovi cattolici, cui è stato impossibile testimoniare la propria fede cattolica.
Però, bisogna dire che alcuni progressi negli ultimi anni sono stati compiuti e ciò anche grazie alle pressioni operate in tal senso dall'Unione europea, al cui interno l'Italia sta svolgendo un ruolo sempre più importante, anche per sostenere i diritti umani dell'individuo. Ci sembra che vi sia un impegno da parte della Cina a perseverare sulla ratifica del patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché è significativa la decisione di attribuire alla sola Corte suprema del popolo il potere di ratifica delle condanne capitali. Sono segnali importanti che questo paese sta dando alla comunità internazionale. Proprio per questo, bisogna favorire il dialogo continuo del nostro paese e dell'Unione europea con la Cina.
Certamente, ciò non significa rimanere indifferenti di fronte agli indiscutibili e preoccupanti dati che giungono ogni anno, relativi ai calpestati diritti religiosi e culturali in Tibet e nello Xiaoshan. Al contrario, riteniamo che un atteggiamento propositivo da parte dell'Europa e dell'Italia potrebbe agevolare, se non accelerare, il processo di democratizzazione cui la Cina non può sottrarsi.
Tra poco in Cina si terranno i giochi olimpici del 2008 ed oltre al prestigio che ne deriverà arriveranno anche le responsabilità. Se non vi sarà il rispetto dei diritti umani, la Cina non potrà dare nel corso di questi giochi l'immagine da lei desiderata. Per tale motivo, con i riflettori mediatici puntati sulle Olimpiadi del 2008, vi potranno essere maggiori opportunità per lavorare con la Cina e migliorare la sua posizione nella comunità internazionale, aiutandola ad inserirsi sempre di più nel processo di democratizzazione interna.
Dalle considerazioni da me svolte risulta evidente che il problema dei diritti umani è strettamente legato al completo inserimento di un paese nell'ambito delle relazioni internazionali. Esse vanno sempre maggiormente favorite, non solo con rapporti economici e commerciali, ma anche e soprattutto con rapporti politici, come accaduto negli ultimi mesi grazie al nostro Governo. Si tratta di stringere rapporti culturali con le università e con la società civile e scambi politici con il Parlamento. L'intensificazione di tali rapporti non potrà che avere effetti positivi sul fronte del rispetto dei diritti umani fondamentali.
Prima di concludere, vorrei aggiungere che parlare di eliminazione dell'embargo Pag. 87significa lavorare tutti insieme, Italia e Unione europea, per aiutare la Cina a diventare un paese sempre più democratico e rispettoso dei diritti umani (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paoletti Tangheroni. Ne ha facoltà.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, vorrei intervenire molto brevemente perché il collega Della Vedova ha parlato a nome del mio gruppo in modo esaustivo. Tuttavia, mi permetto di inserirmi nel dibattito per riprendere alcune cose che sono state dette e sottolinearne altre che invece non sono state dette, ma che a mio avviso è significativo richiamare per portare un contributo alla discussione, anche se purtroppo il collega Venier non è più presente e potrà leggere soltanto sul resoconto quello che dirò.
La mozione che abbiamo presentato contiene semplicemente la richiesta di impegnare il Governo a riflettere sull'iniziativa indubbiamente portata avanti da Prodi relativa alla sospensione dell'embargo. Ha detto questo ed in proposito non vi è alcun equivoco. Crediamo che non vi siano gli estremi per il ritiro dell'embargo. In proposito ricordiamo che esso fu introdotto in occasione di un fatto gravissimo, come quello verificatosi a Piazza Tienanmen, su cui ancora oggi la Cina non ha ritenuto opportuno fare chiarezza. Tuttavia, non vorrei riprendere quanto già affermato ampiamente dall'onorevole Della Vedova, quanto esprimere stupore per l'atteggiamento di alcuni colleghi (non mi riferisco soltanto all'onorevole Venier, ma anche ad altri) che con il solito atteggiamento della sinistra bacchettano, condannano, assolvono, promuovono o bocciano. Non è questo il sistema di porsi di fronte ad una situazione così grave. Mi chiedo infatti chi in questo caso stia effettivamente facendo strumentalizzazione.
Il collega Venier ha parlato di ipocrisia. Ma come si permette di dire questo? È ora di cominciare a capire che, se qualcuno afferma qualcosa da cui si dissente, non per questo deve essere giudicato e quasi sempre «bocciato». Tra l'essere ipocrita, o in cattiva fede, o «deficiente», esiste una quarta possibilità, come quella di pensarla in modo nettamente diverso. Al di là dell'ipocrisia, la differenza tra voi e noi è proprio questa. Noi riusciamo ad ipotizzare che qualcuno possa avere un'idea diversa dalla nostra. Signor Presidente, loro non ci riescono. Allora non ci sorprende che abbiano tanta condiscendenza verso sistemi sociali che prevedono i famigerati laogai presenti in Cina, aspetto che nessuno ha ricordato e che sicuramente è sfuggito all'onorevole Benedetto Della Vedova. Essi vanno chiamati con il loro nome.
Si è parlato molto di gulag addirittura in un modo volgarizzante. Diciamolo, allora: adesso ci sono i laogai, i gulag non ci sono più, ora si può parlare di laogai. I gulag però non sono stati sostituiti dai laogai perché questi ultimi esistevano contemporaneamente e forse ancora prima dei gulag stessi: nessuno ne parla, anzi! Il ministro D'Alema era stato da me personalmente sollecitato con un'interpellanza, a tempo debito, affinché impiegasse un po' del suo tempo nel viaggio in Cina non solo per andare a stabilire grandi patti economici, ma anche per visitare uno o due di questi campi di lavoro, su cui forse si fonda quella bellissima economia che noi vediamo, visto che i prigionieri lavorano diciotto ore al giorno e a cottimo e, se non producono ciò che è stabilito dal programma, non viene dato loro da mangiare: lo dicono la Laogai Research Foundation o anche Amnesty International. Il Presidente D'Alema, però, non è andato a visitare il laogai. Tuttavia, con la sensibilità che lo contraddistingue, ha colto dei «punti di sofferenza» in Cina. Punti di sofferenza! Sei milioni di prigionieri: punti di sofferenza! Mille e 600 esecuzioni - l'ha detto la collega della maggioranza - avvenute nello scorso anno: punti di sofferenza!
D'Alema dice che «vi sono limitazioni tuttora assai significative alla libertà di espressione»: infatti gli individui vengono Pag. 88condannati a morte, spariscono nei vortici, nelle gole profonde di quel grande paese! E potrei continuare.
Quindi, in realtà D'Alema non ha fatto niente per i diritti civili e per quelli umani, anzi, come abbiamo sentito dalla collega, bisogna essere comprensivi perché solo così si riuscirà forse a fare un piccolo passo verso la democrazia.
Credo che non possiamo sottrarci dal condannare sempre, ogni volta che ne capita l'occasione, tutto quello che va contro i diritti umani: noi l'abbiamo fatto! Io non accetto e respingo al mittente l'accusa che ha rivolto l'onorevole Venier al Governo precedente. Noi abbiamo sottoscritto - e guarda caso il primo firmatario era il vostro sottosegretario Vernetti - una mozione contro la Cina a favore del Tibet: non ci siamo vergognati di farlo! Era il vostro sottosegretario, che adesso accompagna D'Alema perché si renda conto insieme a lui dei «punti di sofferenza»!
Il nostro collega Venier - e concludo - ci accusa (non pensandola come lui, dobbiamo essere almeno «provinciali», non semplicemente di idee discordanti) di provincialismo. Ebbene, io rimando a lui, al mittente, anche questa accusa. «Provincialismo» è non capire che la Cina - come ha fatto lui - sia diventata quello che è e che i piccoli passi che ha fatto li ha fatti proprio in virtù della globabilizzazione che essi attaccano, poiché se un passo è stato fatto è perché vi è stata la globalizzazione: allora si metta d'accordo con se stesso, il collega Venier. Cerchi di non indurre tutti noi a renderci conto di una cosa, e cioè che, se condiscendenza vi è, è forse perché vi è condivisione della volontà di non accettare chiunque la pensi in modo diverso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'Italia dei Valori ritiene fatto degno di nota il poter discutere oggi, nell'aula di Montecitorio, del tema dei diritti umani in Cile... chiedo scusa: in Cina. Le mozioni oggi all'ordine del giorno infatti, al di là di qualche tono esasperato che si è udito, possono rappresentare un utile strumento per il confronto e per offrire al Governo un indirizzo condiviso sulle politiche verso la Cina, specie dopo i recenti viaggi del Presidente Prodi e poi del ministro D'Alema, rispetto a cui mi scuso in anticipo se non riuscirò ad essere equilibrato ed adeguatamente distaccato, e spiegherò appunto anche il motivo del lapsus iniziale sul Cile, proprio per le cose che ho sentito oggi in quest'aula.
Vorrei prima di tutto sottolineare una volta di più il senso di gratitudine e la soddisfazione del gruppo che rappresento per quelle visite, che hanno messo un sigillo istituzionale ad una necessità del sistema produttivo italiano, quella di dialogare intensamente con la Cina, con il suo popolo, con il suo mercato, sottolineando appunto che nessun Governo prima d'ora aveva compreso a questo livello il significato della sfida. È vero, anche in passato vi erano state visite di esponenti del Governo italiano. Voglio ricordare che nel 2004 è stato addirittura istituito un comitato governativo Italia-Cina, con compiti di promozione strategica dei rapporti bilaterali. Ricordo inoltre che il 6 novembre 2002 l'onorevole Adolfo Urso, allora viceministro delle attività produttive, aveva addirittura dichiarato ad Emporion, un periodico on line di geoeconomia, quanto segue: la Cina è oggi la nuova frontiera economica, è il paese che cresce ormai da 22 anni, da quando Deng Xiaoping decise di creare le prime zone libere, esattamente sulla costa di fronte ad Hong Kong; è l'unico caso fra i grandi paesi di sviluppo che cresce continuamente ad un ritmo accelerato; negli ultimi dieci anni è cresciuto con una media dell'8 per cento. Ricordo - sono ancora parole dell'onorevole Urso - che i cinesi registrati ufficialmente sono 1 miliardo e 370 milioni, il 22 per cento della popolazione mondiale. Tutto ciò dimostra - a parere dell'onorevole Urso - quanto sia importante per l'Italia essere presente in questo mercato. Pag. 89Noi - continua l'onorevole Urso - oggi siamo diventati il secondo partner commerciale europeo dopo la Germania. Abbiamo scavalcato sia la Francia sia la Gran Bretagna. L'anno scorso le nostre esportazioni verso Pechino sono aumentate quasi del 40 per cento rispetto all'anno precedente, nonostante la riduzione del commercio mondiale, e nei primi sei mesi di quest'anno - stiamo parlando appunto del 2002 - già del 20 per cento. Per noi - concludeva l'onorevole Urso - la Cina è, come crescita, il secondo paese dopo la Russia; l'Oriente ci sta riservando grandi e positive sorprese e l'Oriente per antonomasia si chiama Cina.
La Cina - lo voglio dire anche all'onorevole Pedrizzi - dunque era per il Governo di centrodestra un luogo importante, fino a valere un viaggio dello stesso Presidente Berlusconi. Tuttavia, il collega Urso non sollevò il tema dei diritti umani; anzi, nel maggio del 2003 e nel marzo del 2004 tornò egli stesso in Cina, a capo di una delegazione commerciale. Ma ancora, cari colleghi e care colleghe, per tentare di spegnere il sapore di forzata strumentalità degli atti di indirizzo che muovono questa nostra discussione, vorrei tanto dare atto all'onorevole Fini, già ministro degli affari esteri, di aver scritto all'omologo cinese, Li Zhaoxing, il 6 novembre del 2005, ovvero l'anno scorso, quel che segue: «caro collega - scriveva il ministro Fini -, in occasione della ricorrenza del trentacinquesimo anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche bilaterali, mi è gradito rivolgerle un particolare saluto a nome del Governo italiano. In questi 35 anni, i nostri due paesi, accomunati dall'obiettivo condiviso del potenziamento del sistema multilaterale e della promozione della pace, hanno stabilito salde ed amichevoli relazioni, sempre basate sulla comprensione ed il rispetto reciproci. L'Italia apprezza il ruolo crescente che il suo paese svolge sulla scena internazionale e guarda con fiducia all'ulteriore rafforzamento dei già eccellenti rapporti sino-italiani, sulla base del desiderio di reciproca conoscenza e dello spirito di mutuo beneficio che, da secoli, alimentano i contatti tra i nostri due popoli. Auspico (conclude l'onorevole Fini) che si possano rafforzare le proficue sinergie che i nostri due paesi sono già riusciti a stabilire nelle organizzazioni internazionali, in primo luogo nell'ambito delle Nazioni Unite. Aggiungo a ciò (scrive ancora) l'impegno dell'Italia per il successo del dialogo, sempre più articolato ed approfondito, tra la Cina e l'Unione europea, in vista della realizzazione di un costruttivo partenariato strategico. In tempi di crescente integrazione tra gli Stati, l'Italia intende promuovere sempre più i rapporti commerciali, culturali e tecnologici tra i nostri due paesi, certa che la prosperità di entrambi i popoli possa beneficiare considerevolmente dell'ulteriore intensificazione delle occasioni di scambio. La decisione, presa in occasione della visita di Stato del dicembre 2004 da parte del Presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, di fare del 2006 (ovvero quest'anno) l'anno dell'Italia in Cina testimonia della volontà di imprimere in tutti i settori crescente vitalità e dinamismo delle nostre relazioni. Con l'auspicio di poterla presto rivedere, desidero rinnovarle i miei sinceri auguri di personale benessere. Firmato Gianfranco Fini».
Quindi, Prodi e D'Alema non hanno fatto altro che proseguire con intelligenza e più marcato vigore su questa strada, intensificando gli sforzi per il bene di tutti. Certo, in Cina non sono rispettati i diritti umani e non lo sono non da oggi. Per esempio, per riprendere un passaggio della mozione del collega Rampelli, il mio personale ricordo del giugno del 1989 e della repressione di Piazza Tienanmen è anche un sit in di fronte all'ambasciata cinese di via Bruxelles a Roma, in cui venne a parlare l'onorevole Achille Occhetto, che condannò la dittatura e la mancanza di libertà.
Vede, caro collega Rampelli, nel giugno del 1989, la sinistra sapeva già manifestare contro le dittature comuniste - già, per modo di dire -; salutò con gioia il crollo del muro di Berlino pochi mesi dopo e seppe trarne la lezione. A destra, quanti di voi avevano manifestato contro la dittatura Pag. 90cilena, ancora in piedi, nonostante il referendum del 1988? O di quella paraguaiana o uruguaiana? E quanti di voi manifestavano contro le operazioni degli squadroni della morte in Salvador e in Honduras? Non sembra di vedere nei vostri partiti e nelle organizzazioni giovanili di destra il patrimonio consolidato del rifiuto non delle dittature comuniste, che sono una tragedia del Novecento, ma di ogni dittatura. Tra le vostre icone di libertà rientrano forse anche Allende, le madri di Plaza de mayo, il cardinale Romero?
I diritti umani, quindi, non sono un problema una tantum, sono un problema di sempre, cari colleghi, e lo sono anche in Cina, non c'è dubbio, come evidenziano beni gli scritti di Human Rights Watch e Amnesty International. Lo sono però anche in Birmania, per esempio, in cui dopo il golpe militare del 1962 è oppressa qualsiasi libertà ed il premio Nobel Aung San Suu Kyi è ancora agli arresti domiciliari. I diritti umani erano un problema e lo sono purtroppo ancora oggi in vaste parti dell'America centrale e meridionale (penso alle popolazioni indigene della Colombia e dell'Ecuador, sterminate e private delle risorse agricole e ambientali; penso ai «sem terra» del Brasile e alle famiglie argentine dei desaparecidos che solo faticosamente, negli ultimi anni, riescono ad ottenere una qualche giustizia.
E l'Africa? Intere generazioni di giovani e bambini divorati dalle cento guerre civili della Somalia, del Sudan, della Nigeria, della Repubblica del Congo, dall'AIDS in Kenya, in Zimbabwe, in Mozambico e altrove.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Dai governi comunisti!
FABIO EVANGELISTI. Il diritto alla salute, all'informazione sulle malattie, sono pur sempre diritti della persona e finalmente qualcosa sembra muoversi anche di là dal Tevere, in termini di nuova consapevolezza su questi temi. Il tutto, però, nell'indifferenza delle politiche internazionali delle grandi potenze, in cima a tutte quella unilateralista degli Stati Uniti che proprio in queste ultime settimane sta battendo i denti in una difficilissima crisi in cui si è infilato persino il Governo Berlusconi in maniera del tutto atipica.
Senza dire dei migranti! Non è, forse, un diritto umano quello di lasciare la propria terra, sia pure a malincuore, come fecero molti nostri nonni e bisnonni, i cui discendenti, gli italiani nel mondo, dobbiamo sempre e comunque salutare con calore, per andare a cercare la sopravvivenza in altri paesi? L'accoglienza e l'asilo sono diritti riconosciuti, anche se, purtroppo, ancora negati dalla legislazione italiana che presto dovremo cambiare, anche nel contesto di politiche europee tese ad abbracciare il concetto di diritto umano universale in modo più consapevole.
Presidente, il fatto di non potere prendere lezioni sui temi dei diritti umani dai firmatari delle mozioni oggi in discussione naturalmente non ci esime da un certo ragionamento sulla Cina. La Costituzione cinese, agli articoli da 33 a 41, prevede i diritti fondamentali della persona. Li elenca similmente alle Costituzioni delle democrazie evolute, ma, di fatto, quelle disposizioni sono e rimangono inapplicate, anche perché scritte senza i dovuti accorgimenti costituzionali.
La riserva di legge e la riserva di giurisdizione non assistono le limitazioni a quei diritti. Di fatto, provvedimenti restrittivi delle libertà sono rimessi alla discrezionale decisione della procura del popolo, sicché accadono fatti non conformi alla dignità umana.
La vita si svolge secondo una singolare commistione di socialismo reale e capitalismo selvaggio, non immune da una diffusa corruttela. È oppressa la libertà di espressione, quella di associazione e riunione e quella religiosa. L'ordinamento penale conosce e sperimenta tutti i giorni la pena di morte, senza le garanzie di un giusto processo.
Le minoranze, quella tibetana in testa, sono oggetto di persecuzione. Pertanto, nei rapporti bilaterali la nostra diplomazia Pag. 91dovrebbe spingere di più sul tasto dell'esperienza costituzionale, il principale veicolo di progresso e la convinta adesione al costituzionalismo contemporaneo, a un diritto mite che riconosca la persona come fine e non come mezzo.
Nel costituzionalismo contemporaneo i diritti non possono essere funzione di scopi statali prefissati. Per esempio, il diritto di associazione è fine a sé medesimo; è l'associazione, politica, sindacale e culturale, che si dà i propri scopi. Questi non possono essere imposti dall'alto e lo stesso vale per la libertà religiosa. È la coscienza di ognuno che spinge ad un culto ed alle sue celebrazioni.
L'esperienza e la sensibilità religiosa non possono essere marginalizzate solo perché inutili per i fini dello Stato. Anche in quest'aula, purtroppo, talvolta si odono espressioni che fanno immaginare o temere, ancor meglio, che vi sia qualcuno che non conosce o riconosce il valore della Costituzione.
Pertanto, «basta pena di morte» in Cina, negli Stati Uniti e in ogni parte del mondo! «Basta persecuzioni etniche e religiose», «basta libertà conculcate»! Da questo punto di vista, guai se sprecassimo l'occasione, come si fece in Cina con la Coppa Davis del 1976 o in Argentina con i mondiali di calcio del 1978, circostanze in cui, paradossalmente, i regimi militari trassero legittimazione internazionale.
Cogliamo l'occasione delle Olimpiadi in Cina del 2008 per farne leva democratica. Concludo, signor Presidente, preannuziando il voto contrario del mio gruppo sulle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Pedrizzi ed altri n. 1-00027, ove fosse posta ai voti per parti separate, tranne che per il terzo ed il quarto impegno della parte dispositiva. Sosterremo la mozione D'Elia ed altri n. 1-00053 (tra i presentatori figura anche l'onorevole Leoluca Orlando). Valuteremo, al termine, le mozioni Volontè ed altri n. 1-00052 e Venier ed altri n. 1-00057.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, in primo luogo, vorrei dire al collega Evangelisti che ho trovato assolutamente fuori luogo, oltre che infondata, l'accusa ai movimenti giovanili della destra. Non so, in particolare, a cosa si riferisse, ma io ho guidato un movimento giovanile del centrodestra e so benissimo che non vi è alcuna attinenza o contiguità dei movimenti giovanili italiani del centrodestra con le dittature sudamericane, mentre vi è molta più contiguità di certi partiti che sostengono la maggioranza con regimi di ispirazione comunista.
Al di là di questo, signor Presidente, oggi discutiamo di un tema importante. Vi è una comune convergenza sulla necessità di ribadire un serio percorso di diritti civili e politici in Cina. Cito alcuni fatti: a Dongzhou, nel dicembre 2005, alcuni cittadini, che chiedono un legittimo risarcimento per un esproprio di terre, vengono aggrediti dalla polizia che apre il fuoco contro i manifestanti. Si parla della repressione più dura dopo piazza Tienanmen. Nell'agosto del 2006, l'avvocato Gao Zhisheng, che si batte per i diritti civili e religiosi, viene arrestato. Nel settembre 2006, Monsignor Martino Wu Qinjing viene arrestato con la colpa di professare e di praticare il suo culto cattolico. Di questi ultimi due personaggi non si ha né notizia né traccia da tempo. Si tratta di tre esempi molto chiari e lampanti riferiti ad una situazione molto difficile. È evidente che se la Cina è il primo partner commerciale dell'Europa - il valore delle riserve di valuta per il 2006 è stimato in mille miliardi di dollari -, è altrettanto evidente il dovere della comunità internazionale, delle Nazioni Unite, del Parlamento europeo e del Governo italiano di muoversi nella direzione giusta. E la direzione giusta non è certo rappresentata dalla revoca dell'embargo sulle armi, peraltro limitato dalla legge n. 185 del 1990; quindi, sarebbe anche contro la legge italiana andare in questa direzione.
Bisogna, invece, procedere nelle sedi internazionali per fare pressioni allo scopo di affermare i Pag. 92diritti civili, la libertà religiosa e politica in un paese che li nega in maniera costante e sistematica.
Non ha logica, non ha luogo il paragone con gli Stati Uniti circa la pena di morte, visto che in Cina - da ciò che ci dicono appositi studi, anche se i dati non possono dirsi certi a causa delle secretazioni (nel paese vige il segreto di Stato sulle esecuzioni capitali) - si compiono circa 8 mila esecuzioni capitali all'anno. In Cina si processano dissidenti politici in modo sommario e si agisce indiscriminatamente contro chiunque dia fastidio al sistema, al meccanismo di potere monopartitico, mentre negli Stati Uniti vi sono diritti, regole e processi. C'è la necessità di agire in tema di affermazioni della libertà religiosa e di lotta alle censure: in Cina persino su Google non si possono digitare parole come piazza Tienanmen o Taiwan. Vi sono 150 milioni di lavoratori migranti che vivono sostanzialmente senza diritti, una percentuale di sfruttamento infantile inquietante, aborti e sterilizzazioni forzose, e l'AIDS sta diventando sempre di più una piaga sociale. Bisogna fare qualcosa e questo qualcosa non è la sospensione dell'embargo sulle armi. Per questo noi crediamo che se un ragazzo, da solo, è riuscito a fermare un carro armato, un paese come l'Italia e la comunità internazionale debbono e possono fare molto di più (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, colleghi, è solo di ieri la notizia dell'ennesima tragedia in una miniera cinese, nella quale sono morti decine e decine di lavoratori in seguito al crollo provocato da un'esplosione.
La questione del lavoro, del suo sfruttamento, dell'assenza di diritti è una delle tante questioni che segnano una crisi drammatica per quanto riguarda la presenza di diritti umani in un paese come la Cina.
Alla fine di questa lunga ed interessante discussione non ripeterò cose che già sono state dette; ricordo soltanto - questo è indubbio - che qualsiasi capitolo, qualsiasi tema affrontiamo, dei tanti nei quali la questione dei diritti umani si concretizza, noi troviamo un punto di grave sofferenza e di grave violazione sia che parliamo del pluralismo politico, della pena di morte, del Tibet, sia che parliamo della politica demografica e delle sue conseguenze, della libertà religiosa, di opinione, dei campi di cosiddetta rieducazione attraverso il lavoro. Quale che sia il grande tema al quale noi ci avviciniamo, troviamo un quadro che possiamo definire, senza alcuna esitazione, inaccettabile per la nostra coscienza, per l'idea che abbiamo di una democrazia e di una società fondata sul riconoscimento dei diritti umani come base della libera convivenza.
Detto questo, spero con sufficiente chiarezza, vorrei ricordare alcuni altri fatti, che sono già stati ricordati.
C'è qualche segnale di una tendenza diversa. Come è stato ricordato, il 31 ottobre è stata approvata in Cina una legge che limita alla sola Corte suprema la ratifica della pena capitale. Il 1o novembre è stata revocata una condanna contro un attivista, Chen Guangcheng, che era stato condannato nell'agosto; sono piccoli segni. Così come è un segno apparentemente paradossale - e non so quanti di voi ne siano a conoscenza - il fatto che proprio ieri si sia conclusa a Pechino una grande esibizione, durata 11 giorni, la più grande che si sia mai svolta, sulla questione dei diritti umani. Sono piccoli segni che ci dicono che c'è qualcosa che si sta muovendo.
Questo movimento deriva solo in piccola parte dalla nostra iniziativa, dalla iniziativa delle democrazie occidentali; questi piccoli movimenti nascono dalle dimensioni colossali di una contraddizione che si è aperta tra uno sviluppo così prodigioso e forte e le condizioni sociali e umane delle persone, una contraddizione che qualsiasi gruppo dirigente avveduto - e tutto si può dire del gruppo dirigente Pag. 93cinese meno che non sia un gruppo dirigente avveduto - ha tutto l'interesse ad affrontare.
Credo che l'apertura di questi piccoli spazi non possa essere per noi una ragione per indebolire l'azione, la pressione, la richiesta di un cambiamento, nella possibilità che c'è di contribuire ad un cambiamento. Penso che su questo, se riuscissimo per una volta ad avere fra di noi un confronto realistico che accantoni i toni propagandistici e cerchi di impegnare il Parlamento italiano, la Camera dei deputati - e poi, partendo da qui, le autorità di Governo -, su una linea condivisa, ci sarebbero le condizioni in questo momento per fare qualcosa di più. Naturalmente, occorre elaborare insieme una posizione politica che unisca la chiarezza nella visione della situazione, la consapevolezza e la forza non solo politica, ma morale, nell'affrontare questi problemi con il realismo, che non rappresenta un elemento di cinismo, ma rappresenta una delle condizioni perché la nostra politica non si limiti ad una pura declamazione, ma cerchi di ottenere dei risultati; il realismo di chi sa - non è stato ricordato, ma io vorrei farlo - che la Cina non è solo un interlocutore importante per quanto riguarda le relazioni economiche, non è solo un partner importante per il sistema delle imprese italiane.
La Cina è un interlocutore indispensabile, un paese necessario per costruire oggi una risposta ai grandi problemi della pace, una risposta per la definizione di una nuova stabilità internazionale, per promuovere quei passi concreti verso una nuova legalità istituzionale. Ciò non solo perché la Cina è membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma perché costituisce una delle grandi potenze che contribuiscono a definire gli assetti.
Per tale motivo ritengo che anche noi dobbiamo essere altrettanto chiari e determinati nel vedere la gravità del problema dei diritti umani e gli altri aspetti necessari per costruire una politica equilibrata. La responsabilità dei Governi è esattamente questa!
Non vorrei si dimenticassero le vie fondamentali di relazione decise dalla comunità internazionale. Infatti, se non si fosse tenuto conto di ciò, perché la comunità internazionale avrebbe deciso di assegnare alla Cina, in particolare alla città di Pechino, un appuntamento di grande rilievo come le Olimpiadi del 2008? Lo ha fatto immaginando che questo è anche un possibile terreno sul quale i problemi di cui stiamo discutendo possono trovare un punto di avanzamento.
Oggi, abbiamo di fronte due grandi appuntamenti rispetto ai quali dovremmo costruire la nostra iniziativa politica per i diritti umani, per realizzare concreti passi in avanti. Quando nelle mozioni si sostiene l'idea di un negoziato nel quale i paesi a democrazia consolidata facciano valere nei confronti della Cina la necessità di progressi sostanziali nel campo dei diritti umani, ritengo che tale discorso debba essere collocato anche nel tempo. Infatti, se collocassimo tale obiettivo, ad esempio, rispetto ad un appuntamento come le Olimpiadi del 2008 o l'Expo universale del 2010 - momenti nei quali sarà massima la visibilità di tale paese e in cui le autorità cinesi sapranno di avere su di loro gli occhi del mondo e dovranno tenerne conto - credo vi sarebbero le condizioni per costruire un'azione politicamente realistica per individuare gli interventi che possano consentire un passo in avanti.
Ringrazio l'onorevole Paoletti Tangheroni per il suo intervento nel quale ha evidenziato la necessità di ascoltarsi e di imparare.
Nella nostra storia che, su questo punto, è segnata da un'appartenenza a schieramenti predefiniti, vi è sempre stata un'incapacità di pesare con un'unica bilancia i fatti. Tutti, negli scorsi anni, siamo stati portati ad usare due pesi e due misure, ma questo è esattamente il problema che oggi abbiamo di fronte e che dobbiamo costruire nel quadro dei rapporti internazionali.
Ciò, però, significa sapere che sulla scena internazionale va posta con fermezza la questione della costruzione di un'iniziativa di diversi paesi - a partire Pag. 94dal nostro - che acquisti la forza di un impegno universale. Al riguardo, sarebbe un bene se il Governo italiano ed il Ministero degli affari esteri decidessero che gli uffici di ogni rappresentanza diplomatica italiana all'estero fossero organizzati in modo da prevedere dovunque la cura della tutela dei diritti umani; ciò darebbe il segno di un paese che non decide di intervenire di volta in volta su tali questioni ma che, invece, esprime un impegno di carattere istituzionale. Un impegno che naturalmente poi si atteggerebbe in maniera diversa a seconda delle differenti situazioni, ma collocandosi sempre nell'ambito di una linea molto efficace.
Esistono diverse mozioni; a tale riguardo, inviterei tutti i gruppi a valutare se non sussistano le condizioni in queste ore, prima che si proceda alla votazione degli atti, per raggiungere un consenso il più ampio possibile sulla questione all'esame. Dovremmo mostrare con chiarezza di avere su tale punto un impegno generale; un impegno che, anche per ragioni morali, si eleva al di sopra di qualsiasi velleità propagandistica. Non dobbiamo fare di tale questione uno strumento di polemica interna; al contrario, dobbiamo provare a definire alcune linee guida in una fase che è di forte ricerca. I diritti umani oggi non sono solo, come è ovvio, un modo per tutelare i tanti oppressi; sono anche un elemento essenziale della costruzione di una nuova linea di politica internazionale e di nuovi assetti generali. A tale riguardo, attraversiamo una fase di ricerca nella quale non esistono ancora le risposte o esse non sono, forse, ancora mature nella comunità internazionale; tuttavia, i problemi emergono invece con chiarezza e con prepotenza con domande che nessuno può più mettere da parte.
Se l'odierna discussione servisse, oltre che ad orientare le posizioni del nostro Governo, a proseguire con forza nella definizione dell'impegno nella difesa dei diritti umani, in Cina ma anche più in generale nell'ambito di un'attiva politica italiana sulla questione, e per fare passi avanti in tale direzione, ritengo che questa discussione potrebbe essere considerata molto utile ed importante (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli.
FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi consenta, a titolo di premessa generale, di illustrare le linee della politica dell'Italia e dell'Unione nei confronti della Cina sulla delicata materia dei diritti umani. Volutamente lo farò in modo ordinato, quasi burocratico, evitando di raccogliere sollecitazioni alla polemica quali quelle venute da alcuni interventi; ritengo infatti, come osservava giustamente ora l'onorevole Marcenaro, che sulla materia dei diritti umani sarebbe auspicabile una discussione il più possibile libera anche dalle proprie collocazioni e vocazioni politiche. Sarebbe auspicabile che si potesse registrare su questo terreno fondativo della nostra comune civiltà la convergenza più ampia possibile.
Questo dibattito, che pure è stato molto interessante, ricco e appassionato, in realtà, da tale punto di vista, lascia aperti molti interrogativi.
Non mi riferisco, ovviamente, all'onorevole Barbieri, che, con provocazione benevola, evocava le «biografie». Sarebbe interessante (vorrei dirlo allo stesso onorevole Barbieri) che il medesimo andasse a vedere chi, ad esempio proprio in Cina, più si oppone, oltre ai cinesi, ai diritti del mondo del lavoro, e farebbe scoperte interessanti, proprio a proposito di «biografie»; ma non essendo presente l'onorevole Barbieri, e volendo io restare fedele all'impegno di un intervento ordinato ed il Pag. 95più possibile tranquillo (ripeto: quasi burocratico), non entrerò in tali terreni di polemica.
L'Italia, lo voglio dire con grande chiarezza, con grande nettezza, persegue, anche in ambito europeo, un dialogo chiaro, franco e costruttivo con Pechino nelle materie relative alla protezione e promozione dei diritti umani. Siamo pienamente consapevoli del fatto che la dimensione europea, solo la dimensione europea, assicura quella massa critica necessaria a dare efficacia a chi vuole ingaggiare la Cina su un argomento delicato quale quello dei diritti umani. Siamo altresì consapevoli che la strada del dialogo, scelta dall'Unione europea, è da ritenersi politicamente più efficace rispetto ad azioni di confronto che potrebbero irrigidire l'interlocutore, senza conseguire risultati sul campo.
Sul piano europeo, sin dal 1997, esiste un dialogo strutturato Unione europea-Cina che, su base semestrale, si svolge alternativamente nella capitale europea che esercita la presidenza di turno dell'Unione ed a Pechino. Tali consultazioni forniscono anche occasione all'Unione europea di segnalare alle autorità cinesi casi individuali di detenuti per reati d'opinione, di vittime di trattamenti inumani e degradanti e di condanne a morte. La ventiduesima sessione del dialogo si è svolta a Pechino il 19 ottobre 2006, secondo un'agenda concordata che comprendeva le questioni del rispetto della libertà di espressione, la lotta alla discriminazione razziale, la riforma del sistema di giustizia penale e la cooperazione con i meccanismi «onlusiani» competenti per i diritti umani. In sede di valutazione dell'ultima sessione del dialogo, i partner dell'Unione europea hanno convenuto che i cinesi hanno certo compiuto alcuni progressi dall'inizio del dialogo, soprattutto in termini di procedure e di approvazioni di leggi, ma che ancora molto resta da fare. Pur con tutte le difficoltà incontrate, l'Italia ritiene che lo strumento del dialogo Unione europea-Cina rappresenti uno strumento fondamentale per assecondare un'evoluzione della politica cinese in materia di diritti umani.
Passo al tema delle violazione dei diritti umani, in particolare della libertà religiosa, al centro di tutte le mozioni presentate e, in particolare, di quelle aventi come primi firmatari rispettivamente gli onorevoli Pedrizzi, Paoletti Tangheroni e Volontè. Vorrei anzitutto precisare che, per l'importanza che riveste quale diritto fondamentale ed inalienabile, la libertà religiosa è uno tra i temi su cui si concentra maggiormente l'attenzione dell'Italia e dell'Unione europea nei confronti della Cina. In occasione dell'ultima sessione del dialogo Unione europea-Cina sui diritti umani, l'Unione europea ha nuovamente sollecitato la Cina ad uniformarsi al patto sui diritti civili e politici che la Cina stessa ha firmato ma non ha ancora ratificato e alle altre convenzioni internazionali. Per far ciò, la Cina dovrebbe ampliare la definizione di religione ufficiale ed eliminare l'obbligo di registrazione e approvazione per i gruppi e per le pratiche religiose che al momento non sono riconosciuti dalle autorità cinesi.
Su precisa iniziativa italiana - lo sottolineo, su precisa iniziativa italiana, anche in relazione a diverse polemiche che sono state fatte all'interno di quest'aula nei confronti della politica del Governo italiano - ripeto ancora, su precisa iniziativa italiana, sono stati inoltre esplicitamente menzionati gli atti di repressione verificatisi negli ultimi tempi nei confronti di gruppi religiosi protestanti e cattolici non ufficiali, sollecitando la Cina anche ad acconsentire al più presto alla visita dello special rapporteur delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa. In occasione dei viaggi in Cina del Presidente del Consiglio, onorevole Prodi, e del ministro degli affari esteri, onorevole D'Alema, la libertà religiosa ha occupato un posto di rilievo, insieme a tutta la tematica della tutela dei diritti umani.
In particolare, il Presidente del Consiglio non solo ha espresso le preoccupazioni italiane per le violazioni che si registrano in Cina del diritto alla libertà Pag. 96religiosa, ma è anche intervenuto esplicitamente in merito all'arresto, avvenuto l'11 settembre scorso, del vescovo cattolico.
Il ministro degli affari esteri Massimo D'Alema, per parte sua, nella sua recente visita in Cina del 13-15 novembre scorso, ha avuto modo di ribadire la posizione europea del Governo italiano sulla questione dei diritti umani, ricordando, negli incontri avuti con le massime autorità cinesi, la necessità che vengano compiuti da parte della Cina passi in avanti sul fronte della libertà di espressione, della libertà religiosa e della tutela dei diritti delle minoranze, citando, nello specifico, i casi del Tibet e dello Xinjiang. Il ministro D'Alema non ha mancato, inoltre, di evocare con la controparte cinese anche alcuni casi individuali di giornalisti e avvocati ingiustamente imprigionati perché sostenitori delle cause delle fasce più povere della popolazione. Da parte di entrambi è stato inoltre fatto osservare alla parte cinese il forte impegno dell'Italia nella campagna mondiale per l'abolizione della pena di morte. È stata reiterata la posizione italiana, che considera la pena di morte priva di ogni effetto di deterrenza, inumana, crudele e degradante.
Le mozioni attualmente all'esame, in particolare quelle degli onorevoli Rampelli e Paoletti Tangheroni, si soffermano poi sulla questione dell'embargo sulla vendita di armi alla Cina, deciso, come è stato ricordato in questo dibattito più volte, dalla Comunità europea il 27 giugno 1989, all'indomani del massacro di piazza Tienanmen. Il tema sarà esaminato dal Consiglio affari generali dell'11 dicembre prossimo, nel contesto più generale del dibattito sulle relazioni Unione europea-Cina. I ministri prenderanno le mosse anche dalle recenti raccomandazioni della Commissione, che suggerisce di lavorare assieme, nell'intento di migliorare l'atmosfera e le relazioni Unione europea-Cina, per affrontare la questione dell'embargo e i temi ad esso correlati.
Se questo orientamento fosse mantenuto, i ministri potrebbero confermare la disponibilità a continuare a lavorare in direzione della revoca dell'embargo, sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2004. Va ricordato che, già in quella occasione, i Capi di Stato e di Governo, nel ribadire la volontà politica dell'Unione europea di operare per un miglioramento della situazione dei diritti umani in Cina, avevano fatto stato della disponibilità dei paesi membri a prendere in considerazione l'ipotesi di una revisione dell'embargo e, comunque, un'eventuale revoca avrebbe dovuto essere affiancata sia da un apprezzamento del codice di condotta dell'Unione europea per l'esportazione di armi, sia dall'adozione della cosiddetta tool box.
Un primo accordo politico su questo codice di condotta rafforzato è stato raggiunto tra i partner comunitari nel giugno 2005. Tuttavia, l'adozione formale di una posizione comune da parte del Consiglio è stata sospesa, anche a causa degli effetti concomitanti dei due fattori: in primo luogo, l'approvazione da parte cinese, il 14 maggio 2005, della cosiddetta legge antisecessione; questa, pur ribadendo che la Cina farà ogni sforzo per la riunificazione pacifica dell'isola alla madrepatria, statuisce al tempo stesso la risolutezza di Pechino a fare ricorso a tutti i mezzi necessari per stroncare ogni tentativo delle forze indipendentiste di Taiwan; in secondo luogo, i progressi, ancora distanti dagli standard auspicati, che si erano potuti registrare nel dialogo Unione europea-Cina in materia di diritti umani.
Nei colloqui avuti dal Presidente del Consiglio Prodi e dal ministro degli esteri D'Alema, è stato ribadito che la decisione sull'embargo è una decisione europea e che l'Italia è pronta a dare un contributo positivo, una volta che si realizzino le condizioni necessarie alla rimozione dell'embargo, secondo quanto stabilito dal Consiglio europeo del dicembre 2004. La posizione italiana, espressa dal Presidente del Consiglio e dal ministro degli esteri, è in linea con quella europea, essendosi peraltro ispirata al comunicato congiunto emesso al termine del IX summit Unione europea-Cina, che si è tenuto il 9 settembre scorso ad Helsinki. Nel punto n. 6 del comunicato, l'Unione europea riconosce, Pag. 97infatti, l'importanza di tale questione e conferma la sua disponibilità a lavorare nella direzione di un superamento dell'embargo, sulla base del comunicato congiunto del summit Unione europea-Cina del 2004 e delle successive conclusioni del Consiglio europeo.
Come vedete, la posizione che ho voluto ribadire in questa sede è molto chiara. La posizione dell'Italia, infatti, è strettamente legata alle decisioni che saranno assunte in sede di Unione europea e, quindi, non ha nulla di unilaterale. Si tratta di un atteggiamento che, come ho già ribadito e ripetuto più volte, si collega strettamente al rispetto delle conclusioni approvate dal Consiglio europeo.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 19,50, è ripresa alle 20.
Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati professionistici e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale (A.C. 1496); e delle abbinate proposte di legge: Ciocchetti ed altri; Giancarlo Giorgetti e Caparini; Ronchi ed altri; Pescante ed altri; Del Bue (A.C. 587-711-1195-1803-1840). (ore 20)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati professionistici e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale; e delle abbinate proposte di legge di iniziativa dei deputati Ciocchetti ed altri; Giancarlo Giorgetti e Caparini; Ronchi ed altri; Pescante ed altri; Del Bue.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1496 ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dell'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Folena, ha facoltà di svolgere la relazione.
PIETRO FOLENA, Relatore. Signor Presidente, giunge in aula il disegno di legge delega presentato dal Governo in materia di trasmissione dei campionati sportivi professionistici, a cui sono abbinate proposte di legge di iniziativa parlamentare del collega Ciocchetti dell'UDC, del collega Ronchi di Alleanza Nazionale, del collega Giorgetti della Lega Nord, del collega Del Bue della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e del collega Pescante di Forza Italia.
Voglio ricordare che la VII Commissione sta svolgendo un'indagine conoscitiva sullo scandalo di «calciopoli» nel corso della quale si è inserito l'esame di questo disegno di legge. L'indagine riprende le conclusioni di una indagine molto positiva svolta nella precedente legislatura, le cui conclusioni rimasero tuttavia inascoltate, tanto dalle autorità di Governo del paese quanto da quelle di governo dello sport. Durante questa indagine conoscitiva intendiamo Pag. 98intervenire su due punti. Non intendiamo certamente intervenire sulle sentenze, in quanto la giustizia sportiva ha fatto il suo corso, magari in modo un po' barocco, con una quantità di gradi di giudizio che non dovrebbe fare scuola, ma che purtroppo fa parte delle stranezze del nostro paese.
Il punto che interessa noi legislatori è, da un lato, come il calcio si deve organizzare affinché non si ripetano più fenomeni come quelli che abbiamo osservato - del resto il settore del calcio in questo momento, prima con il commissariamento da parte del professor Rossi e poi con quello da parte del dottor Luca Pancalli, sta procedendo ad una sua forte riorganizzazione - e dall'altro, come il legislatore ed il Governo debbono intervenire per rimuovere le ragioni che hanno determinato la vicenda di «calciopoli».
Ebbene, nelle due indagini conoscitive, tanto quella conclusa quanto quella in corso, la questione di fondo che è emersa, devo dire in modo molto trasversale, è che la ragione delle malattie che colpiscono il calcio, ma potremmo dire anche altri sport professionistici, è lo squilibrio crescente fra alcune realtà di squadre sempre più forti e un gran numero di altre squadre, piccole realtà, sempre più deboli. Questo problema, sollevato trasversalmente, trae - secondo un'opinione molto diffusa, che io condivido - la sua origine nella decisione presa dieci anni fa di passare per le società sportive dal vecchio regime societario a società di lucro, alcune di esse poi quotate anche in borsa. A quella decisione qualche anno dopo, recependo una indicazione proveniente dalla sede comunitaria, seguì la decisione di procedere alla vendita soggettiva dei diritti del calcio, facendo venire meno una forma di riequilibrio attraverso i diritti televisivi.
Il problema che dobbiamo affrontare, quindi, non ha caratterizzato soltanto l'una o l'altra parte politica. Sia nella scorsa legislatura, quando governava il centrodestra, sia in quella precedente, quando governava il centrosinistra, è prevalsa, in modo abbastanza trasversale, un'idea semplificata in base alla quale il calcio e lo sport potevano essere governati semplicemente secondo le regole del mercato. Questa tesi è stata parzialmente contraddetta, poi, o da provvedimenti molto discutibili, come il cosiddetto «spalma debiti» della scorsa legislatura, assolutamente non liberale e non rispondente ad una situazione nella quale le società sono quotate in borsa, o da interventi assai discutibili e parziali sulla violenza negli stadi, che, a mio avviso, non hanno rimosso né le ragioni né le responsabilità che molte società hanno in vicende di questa natura.
Rimanendo al cuore della questione, l'idea che lo sport sia un mercato, che ha bisogno semplicemente di regole di mercato, cozza contro quel principio, molto antico nel nostro paese, teso ad affermare l'autonomia dello sport - bene preziosissimo -, che si è vista minacciata, nel corso di questi anni (il problema non è soltanto italiano, ma internazionale), non tanto dalla politica, dall'invadenza, dall'invasione della politica, quanto piuttosto da una logica affaristica, di mercato, di profitto, che è andata al di là di ciò che si può ragionevolmente accettare di fronte ad un bene che, come lo sport, dovrebbe essere, in quanto bene comune, meritevole di una tutela sociale, di un'attenzione sociale. Voglio dire che l'articolo 41 della Costituzione, che difende in modo sacro la libera iniziativa economica privata, incontra, nella seconda parte, un suo limite (o, meglio, un fattore di equilibrio), a fronte del fatto che esistono beni sociali, contenuti sociali da tutelare: in questi casi si giustifica, com'è scritto nella Costituzione, un intervento di tipo legislativo.
Così non è stato: tutto è stato lasciato ad una sorta di moderna legge della giungla, di legge del più forte che ha visto crescere anche fenomeni abbastanza esasperati. Ricordo il progetto del supercampionato europeo, per fortuna fallito; ricordo le vicende delle plusvalenze - scandalose - con cui molte società hanno aggiustato i loro conti, con veri e propri trucchi contabili; ricordo il progetto di quotazione dei marchi delle società con apposite società scorporate. Soprattutto, Pag. 99voglio ricordare (e credo di interpretare un sentimento non soltanto mio, espresso in modo abbastanza trasversale, in queste settimane, in Commissione) che le società quotate in borsa, in Italia, a differenza di ciò che accade in Spagna o in Gran Bretagna, hanno quotato in borsa esclusivamente il valore dei loro giocatori. Così siamo giunti al paradosso che un infortunio, o la notizia data da un medico circa le effettive caratteristiche di gravità dell'infortunio, è capace di incidere sulla quotazione in borsa di una società. Ricordo che, in altri paesi, sono quotate in borsa società che hanno grandi patrimoni immobiliari (ad esempio, la proprietà degli stadi) o tutta la gestione dei gadget e del merchandising delle società.
In questa logica, si sono formate vere e proprie società trasversali e si sono prodotti fenomeni che hanno assunto rilevanza penale (vi sono procedimenti in corso). Società di procuratori mettono insieme giocatori ed allenatori (appartenenti a squadre che, in teoria, dovrebbero essere l'una contro l'altra, affinché prevalga la migliore) i quali sentono un'appartenenza più forte di quella alla società, ai colori sociali, alla bandiera: quella alla tale o alla tal'altra società di procuratori.
Insomma, la logica del profitto, dell'affare, dell'interesse ha schiacciato la competizione, il gioco, il valore dello sport. Ciò ha a che fare anche con il doping, perché il corpo di un giocatore, alla fine, diviene una macchina che, nella logica del profitto, deve produrre al massimo e ciò conduce alla degenerazione del doping ai livelli alti, ma ha una ricaduta di esempio negativo nella società con una degenerazione del doping che si rintraccia, purtroppo, in tante palestre private. È un problema molto serio, su cui ha messo le mani la criminalità organizzata, come è stato recentemente denunciato negli stati generali della lotta alla mafia, a Roma.
I diritti televisivi incidono su tutto ciò per il 60, 65, 70 per cento nel bilancio delle società e, quindi, è evidente che una vendita soggettiva dei diritti televisivi sia in grado di accentuare lo squilibrio tra alcune società, le più forti, ed altre, più deboli.
Qualcuno, in questi giorni, ha commentato che la vendita collettiva faccia pensare al socialismo reale o al collettivismo. Non è così, non solo perché il gruppo che ha presentato per primo, nella passata legislatura, la proposta, è stato il gruppo di Alleanza Nazionale, che non può essere sospettato di simpatie per visioni di tale natura, ma vorrei aggiungere che vi sono regimi sportivi di natura privatistica, come la Lega basket americana, che hanno regole talmente rigide, al proprio interno, da costringere le società che hanno troppi giocatori bravi a venderli alle società minori.
Avevamo squadre italiane assolutamente competitive a livello internazionale anche quando la vendita non era soggettiva. Quando in questi giorni qualcuno dice che, se passerà la norma, le squadre italiane non conteranno più nulla in Europa e nel mondo, dice qualcosa di completamente privo di fondamento.
Signor Presidente, nel chiedere fin d'ora che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento, una relazione scritta con alcuni dati più precisi, vorrei ora citare i dati di Germania, Francia ed Inghilterra.
In Germania, la vendita dei diritti della Bundesliga è centralizzata in capo alla Lega e le risorse sono così ripartite: il 3 per cento alla Federazione, il 77,5 per cento ai club della I Divisione, il 22,5 per cento a quelli della II Divisione. Per la I Divisione, la serie A, i proventi vengono divisi al 50 per cento in parti uguali ed il restante in base ai risultati sportivi; per la II Divisione il rapporto è di 75 a 25.
In Francia, la vendita è centralizzata, operata dalla Lega. L'87,5 per cento ai club, il 5 per cento allo Stato (cosa che, giustamente, in Italia non ci sogniamo di fare), l'1 per cento all'Associazione calciatori, il 2,5 per cento al calcio dilettantistico ed il 4 per cento al funzionamento della Lega. Per la serie A, le risorse vengono Pag. 100ripartite per metà in parti uguali e per l'altra metà in base ai risultati sportivi; per la serie B, il 91 per cento in parti uguali ed il restante 9 per cento in base alla classifica.
In Inghilterra, la vendita centralizzata porta ad una suddivisione per il 50 per cento in parti uguali, il 25 per cento in base ai passaggi televisivi ed un altro 25 per cento in base ai risultati sportivi. Questi sono i dati ufficiali dei principali altri paesi europei.
Bisogna giungere alla convinzione, che è fatta propria nel disegno di legge delega del Governo, su cui abbiamo lavorato in Commissione per inserire alcune modifiche significative, che i diritti televisivi presentano una situazione di contitolarità. Dei diritti televisivi sono titolari le singole squadre in quanto tali e quindi imprese che, giustamente, vogliono avere un introito legato alla prestazione della propria squadra, ma anche del soggetto organizzatore del campionato di calcio, senza il quale la singola squadra avrebbe un'esibizione «simpatica», ma certamente non retribuibile come quella all'interno di un campionato aperto.
Quindi, il principio della contitolarità richiama esplicitamente le conclusioni del rapporto indipendente sullo sport, coordinato dall'onorevole Arnaut, esponente portoghese audito in sede di Commissione qualche settimana fa, che spingono in maniera evidente verso ipotesi di questo tipo.
In sede di Commissione abbiamo cercato di fare un lavoro importante (nel corso del dibattito sentiremo anche gli altri colleghi) per venire incontro ad alcune esigenze presentate dall'opposizione. Si assegna alle società una quota prevalente, un'altra è attribuita in base al bacino di utenza e al merito, mentre una ulteriore va alla mutualità sportiva.
La preoccupazione che nel testo originario presentato dal Governo fossero contenuti aspetti dirigistici nei confronti del mondo dello sport aveva a mio avviso effettivamente qualche fondamento. Quindi, dopo avere ascoltato tutte le parti, abbiamo raccolto un emendamento presentato dall'onorevole Costantini, del gruppo dell'Italia dei Valori (che ringrazio), che ha raccolto in realtà un'opinione ampiamente rappresentata da tutte le opposizioni. Tale emendamento ha introdotto una norma secondo cui, sulla base di questi princìpi, le leghe ed i soggetti organizzatori dei campionati di calcio e di basket - di questi ci stiamo occupando - decideranno autonomamente la ripartizione. Se non si dovesse giungere ad una decisione definitiva, il Governo interverrà con un decreto legislativo. Credo che si tratti di una norma molto opportuna, così come l'altra che rende più flessibile la possibilità di fare offerte su piattaforme diverse, senza che vi sia un'unica acquisizione con successive compravendite di subappalti che creano obiettivamente grandissimi squilibri dal punto di vista televisivo. Abbiamo corretto tale impostazione, tenendo conto che esistono piattaforme emergenti e modificazioni tecnologiche che richiedono capacità di accompagnamento.
Nello spirito della norma e del lavoro svolto in sede di Commissione, spero che nel corso del confronto, grazie anche ad ulteriori miglioramenti che possono essere apportati dall'Assemblea, si possa offrire al paese e al mondo del calcio una prima riforma, cui dovranno seguire la revisione delle società di lucro ed altre riletture normative nell'ambito del mondo dello sport che impediscano il riprodursi di fenomeni degenerativi come quelli avvenuti con «calciopoli» (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Presidente Folena, la Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo di considerazioni integrative della sua relazione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, ministro Gentiloni Silveri.
PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
Pag. 101PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.
NICOLA BONO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dall'intervento del relatore di maggioranza, che ha illustrato nel merito una serie di aspetti rilevanti della normativa, potrei esprimere a nome del gruppo di Alleanza Nazionale una sostanziale condivisione dell'impostazione, perfino riguardo all'enfasi posta su alcuni aspetti particolari. Mi riferisco soprattutto alla questione del fine di lucro, che ha visto il gruppo di Alleanza Nazionale in sede di Commissione (e credo che tale atteggiamento si ripeterà in aula) protagonista di una battaglia, purtroppo finora solitaria. Essa infatti non è risultata condivisa neppure da chi, come il presidente Folena, si è «snodato» in maniera intelligente e condivisibile sul tema della non compatibilità, per ragioni di correttezza del sistema, del mantenimento di norme che assicurano il fine di lucro alle società sportive.
Finalmente si potrebbe dire che il Parlamento riesce ad affrontare una normativa in maniera unitaria. Finalmente si potrebbe dire che esiste un argomento su cui centrodestra e centrosinistra si trovano d'accordo in larga misura per individuare le soluzioni del problema.
Credo che su questo abbia influito l'indagine conoscitiva avviata dalla VII Commissione all'inizio della legislatura che, come veniva ricordato dal relatore di maggioranza, ha visto approfondire e analizzare tutta una serie di problematiche attinenti al motivo per cui tali vicende di diffuso scandalo e corruzione nel mondo del calcio abbiano potuto allignare e i correttivi da introdurre nella normativa nazionale.
Purtroppo, però, così non è: l'intesa che nel merito si poteva delineare, e che su alcuni aspetti potrete riscontrare essersi verificata, si è a tutti i costi voluta frenare con un atteggiamento arrogante, che non ho alcuna difficoltà a definire di «prepotenza pura», da parte del Governo nel volere introdurre un elemento perturbatore all'interno di questa vicenda che vede l'elaborazione di una nuova normativa volta a disciplinare il mercato dei diritti delle società sportive da commercializzare negli strumenti audiovisivi: mi riferisco alla delega in una materia che ci divide sul tema del metodo. Non è un fatto neutrale procedere con una normativa voluta, proposta e votata dal Parlamento rispetto ad un'altra imposta con una logica diversa e di pura prepotenza da parte dell'esecutivo.
Ci siamo opposti in Commissione e ribadiamo in Assemblea la nostra ferma opposizione alla delega richiesta dal Governo, ritenendola ingiustificata per almeno tre motivi: innanzi tutto perché si tratta - in questo più che in altri casi (la delega è sempre traumatica, ma lo è ancora di più in questa vicenda) - di un esproprio del diritto del Parlamento di proporre iniziative in una materia su cui, fino al momento in cui il Governo ha richiesto la delega, erano state assunte solo iniziative di natura parlamentare.
Chi ha impedito al Governo di adottare un disegno di legge sulla materia che disciplinasse la questione? Nessuno. Nella passata legislatura - stavo per dire l'anno scorso, per una coincidenza anche temporale - Alleanza Nazionale aveva proposto di intervenire con una modifica sostanziale, ancora prima dello scandalo e della vicenda che hanno poi interessato anche l'autorità giudiziaria, oltre alla nostra indagine conoscitiva, relativamente al modo in cui si gestiscono i diritti televisivi delle società sportive, e cioè con una proposta di legge avente come primo firmatario l'onorevole Andrea Ronchi, che aveva posto la questione in termini precisi e puntuali.
Vi era stato addirittura da parte della Camera un interessamento, si era parlato di dare una corsia preferenziale in sede legislativa a tale norma: i fatti della politica e l'esaurimento della legislatura non lo consentirono.
Quindi, ci troviamo all'interno di una materia che ha registrato una iniziativa - a seguire quella di Alleanza Nazionale ovviamente riproposta in questa legislatura - di tutti i gruppi parlamentari che hanno avanzato proposte in tal senso.Pag. 102
Dov'è quindi l'esigenza della delega, che il Governo ha avvertito, se non quella di voler mettere il «cappello», se non quella di volersi attribuire il merito, se non quella di voler determinare una condizione, appunto, di prevaricazione e di arrogante volontà di imporre una propria linea, su una materia condivisa nel merito e che era già matura sul piano dell'impostazione legislativa? Non voglio qui sottolineare tale aspetto, ma non posso non dire che questo atteggiamento del Governo è stato vissuto con difficoltà anche da ampi settori della maggioranza.
In Commissione all'inizio mi era parso di vedere la volontà, da parte dei rappresentanti della maggioranza, di non assecondare l'iniziativa del Governo. Purtroppo, saranno prevalse ragioni diverse e così ci ritroviamo oggi con una norma che segue la logica della delega, logica che io ritengo offensiva nei confronti di chi in questo Parlamento aveva individuato per tempo un obiettivo e un'esigenza e ne aveva proposto correttamente una soluzione e che oggi viene mortificato, perché non è la stessa cosa discutere di una legge delega oppure di una legge vera e propria da votare in Parlamento.
Il secondo motivo per il quale ci siamo opposti a questo disegno di legge è che esso allunga enormemente i tempi di approvazione della normativa. Qui infatti siamo all'assurdo! La delega si chiede normalmente nelle materie che presuppongono una «gestazione» del provvedimento legislativo che rischia di creare nocumento all'obiettivo che si vuole raggiungere. Nel caso di specie, noi siamo all'assurdo perché, nonostante ci fosse un argomento largamente condiviso da tutti i gruppi parlamentari, si è deciso di ricorrere ad una delega, che poi allungherà i tempi di approvazione di questa normativa di almeno otto mesi-un anno. Il tempo per approvare una legge delega è uguale a quello che avremmo impiegato per approvare una legge normale. Invece, approvando una legge delega, non avremo una legge operativa, bensì una legge che dovrà poi essere attuata attraverso i decreti legislativi. Dunque saranno necessari i canonici sei mesi per l'elaborazione da parte del Governo dei decreti legislativi, che verranno esaminati dagli organi istituzionali che devono esprimere i relativi pareri e che poi torneranno in Parlamento per l'espressione del previsto parere; si badi, non per gli emendamenti, ma per il previsto parere. Poi finalmente avremo la promulgazione dei decreti legislativi. Che bisogno c'era di allungare di un anno i termini di approvazione di una normativa condivisa? Ecco perché riteniamo assolutamente gratuito il comportamento adottato sinora.
Il terzo motivo della nostra opposizione - ne ho accennato mentre parlavo del primo - è che con questo provvedimento si introduce un elemento di forzatura all'interno di una normativa che era sostanzialmente condivisa.
Noi di Alleanza Nazionale ci siamo mossi sin dall'inizio con l'obiettivo di destrutturare la delega, cercando di convincere le forze di maggioranza e il Parlamento che questa delega non è assolutamente necessaria, ma che anzi costituisce un impedimento, un tappo, che viene posto nella norma per quanto riguarda la sua corretta applicazione. Destrutturare la delega significa fare come ha fatto Alleanza Nazionale, avanzare cioè una serie di proposte emendative, ma essenzialmente e fondamentalmente una, che sostituisce integralmente l'articolo 1 e che pone in termini di gestione immediata le norme di legge che con la proposta del Governo invece vengono rinviate a momenti successivi, cioè all'approvazione di decreti legislativi successivi.
Quali sono state le linee guida che Alleanza Nazionale ha adottato per questo emendamento interamente sostitutivo e poi per una serie di emendamenti, che comunque entrano nel merito dell'articolo unico proposto dal Governo? Innanzitutto il principio, da affermare con forza nella legge, dell'alto valore educativo e dell'insostituibile funzione sociale dello sport.
Spesso, dimentichiamo ciò, anche se è argomento di interventi, convegni e comizi. Abbiamo quindi voluto introdurre nel Pag. 103provvedimento, perché rimanga un riferimento forte, il senso del valore che occorre attribuire allo sport.
Condividiamo - e su ciò siamo d'accordo con il relatore - il principio della vendita centralizzata dei diritti televisivi delle società sportive. Lo condividiamo anche perché, come ha ricordato correttamente l'onorevole Folena, per primi lo abbiamo proposto nella passata legislatura. Si tratta di un problema non di primato, ma di sostanza. Perché riteniamo fondamentale intervenire nella materia della vendita centralizzata dei diritti? Dall'indagine conoscitiva si comprende (ma è chiaro anche a chi conosce, anche in maniera superficiale, le vicende antiche e recenti del calcio italiano, soprattutto quelle che hanno interessato la cronaca nera) che la questione della permeabilità alle azioni illecite è fondata su due pilastri fondamentali.
Il primo pilastro riguarda la vendita soggettiva dei diritti, che ha consentito la creazione di un crescente divario tra la gestione economica delle grandi società e quella delle piccole società e ha determinato l'obbligo per le grandi società di essere costantemente all'altezza dei risultati precedenti, della propria storia e del proprio ruolo. Quindi, il risultato da conseguire ad ogni costo è alla base della permeabilità rispetto al compimento di illeciti diffusi.
Il secondo pilastro che ha determinato la permeabilità all'illegalità riguarda la finalità di lucro. Le società, essendo diventate strumenti economici e, quindi, produttori di lucro e di profitto (ciò ha permesso ad alcune di esse di essere quotate in borsa), hanno legato inevitabilmente la condizione di tenuta finanziaria, la condizione di valore delle azioni, alla condizione di mantenimento dello standard operativo attraverso il quale sono arrivate ad essere iscritte nel listino di borsa; ciò ha determinato l'esigenza che quelle condizioni si mantenessero nel tempo. Anche questo è stato causa della permeabilità agli illeciti.
Allora, se davvero vogliamo approvare una norma che si ponga l'obiettivo di creare le condizioni per una diversa gestione dei rapporti nel mondo del calcio rispetto alla sua vera natura, ai suoi veri obiettivi alti e nobili che dovrebbero essere perseguiti, quale altro strumento esiste, se non quello di intervenire, da un lato, sulla soppressione della vendita dei diritti soggettivi, trasformando questo diritto in centralizzazione della cessione dei diritti stessi, e, dall'altro lato, attraverso l'eliminazione del fine di lucro? Sono le due gambe sulle quali si muove l'unica possibilità di intervenire per sanare e creare condizioni di trasparenza all'interno del sistema.
Sostenere questo e non essere conseguenti è la grande contraddizione di questo disegno di legge. Anche la relazione svolta dal relatore pochi minuti fa è imperniata sull'attacco al principio di lucro, senza che poi si concluda in questa legge con l'abrogazione della norma che ha consentito che il fine di lucro diventasse argomento e strumento di operatività per le società.
Incidentalmente - credo non guasti conoscere questo aspetto -, vorrei ricordare che ambedue le norme, sia quella che ha introdotto il fine di lucro, sia quella che ha previsto il diritto soggettivo alla gestione da parte delle società sportive dei diritti televisivi, sono state introdotte durante il Governo del centrosinistra. Infatti, la legge che ha introdotto il principio di lucro è la n. 586 del 18 novembre 1996, mentre ad aver disciplinato il principio della vendita soggettiva dei diritti televisivi è stato il decreto-legge n. 15, del 20 gennaio 1999, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 1999, n. 78.
Si tratta, pertanto, di normative emanate nel corso della legislatura governata dal centrosinistra, prima della sconfitta del 2001. Sono due regali fatti al mondo del calcio dal centrosinistra per riparare (non voglio usare l'espressione «per farsi perdonare») ad un guasto notevole e profondo che aveva determinato.
Così non è! Si oscilla da posizioni demagogiche a situazioni di difficile gestione. Non condividiamo un aspetto in ordine alla modalità di utilizzazione di Pag. 104queste risorse. Sulla vendita centralizzata nulla osta. Abbiamo anticipato di essere non solo d'accordo, perché siamo stati antesignani. Cosa accade quando la vendita centralizzata viene eseguita? Come si utilizzano queste risorse? Non condividiamo l'impostazione contenuta nella delega.
Occorre più equilibrio nella distribuzione delle risorse stesse, avendo occhio a due aspetti fondamentali: mi riferisco, in primo luogo, alla tutela della mutualità del sistema calcistico, con particolare riferimento al sostegno alle attività dilettantistiche ed ai vivai giovanili, spesso dimenticati (tali settori hanno bisogno di grande appoggio; costituiscono la grande risposta che lo Stato e comunque il sistema deve fornire all'aspettativa di sostegno che viene chiesto nel settore). Occorre, inoltre, stabilire una misura corretta e ragionevole per riequilibrare le distanze tra piccole e grandi società.
Il riequilibrio non si fa con le affermazioni di principio, come quelle che leggiamo nella delega relativamente alla parte prevalente, perché non si può accettare la logica della prevalenza. Bisogna stabilire regole e misure che abbiano equilibrio, che trovino consenso, che trovino ragionevole accettazione da parte di chi poi deve erogare queste risorse.
Nei nostri emendamenti abbiamo stabilito delle percentuali minime al di sotto delle quali riteniamo addirittura inutile varare la legge. Non ci «impicchiamo» sulle cifre! Siamo pronti a discutere sulla base di questi parametri: non meno del 5 per cento da assegnare a scopi di mutualità generale del sistema e non meno del 40 per cento da gestire in misura uguale per tutte le società. Il resto deve essere distribuito in base al bacino di utenza, ai risultati di campionato, alle capacità dei singoli club di raggiungere o meno determinati obiettivi.
Ma non vi è dubbio che ci troviamo di fronte all'esigenza di disciplinare questi aspetti in maniera puntuale.
Siamo convinti, altresì, dell'esigenza di stabilire anche delle regole importanti. Poco fa il relatore parlava della contitolarità dei diritti; essa rappresenta un aspetto e mi chiedo cosa accadrà quando, essendo contitolari, non si dovesse essere d'accordo, poiché, anche su questo, la legge è troppo vaga. Noi abbiamo fornito una soluzione che può non essere condivisa, ma almeno abbiamo avuto il coraggio di dire cosa si dovrebbe fare in tal caso, oppure cosa dovrebbe accadere qualora, una volta venduti i diritti, la Lega calcio dovesse trovarsi nella difficoltà di ripartirli e, magari, ritardasse oltre il consentito.
Noi abbiamo stabilito che decorsi 60 giorni il CONI si deve sostituire all'organo che ha commercializzato i diritti e procedere sulla base dei criteri indicati dalla norma che stiamo per approvare.
Abbiamo poi l'esigenza di chiarire giuridicamente, in maniera inoppugnabile, la decorrenza della legge.
Vi è un grosso problema, un grande «convitato di pietra» in questa nostra discussione: l'esistenza dei contratti in essere. Mi riferisco ai contratti per la cessione dei diritti soggettivi che sono stati stipulati prima o dopo una certa data. Ebbene, al di là delle date, vi è un problema fondamentale; se dobbiamo assolutamente trovare una misura che dia una risposta giuridica corretta al tema dei diritti contenuti all'interno della contrattazione, dobbiamo altresì stabilire quando questa legge, che stiamo per approvare, dovrà cominciare ad operare. Mi rifiuto di approvare norme aventi lo stesso valore delle gride manzoniane. Non siamo in grado - credo non lo sia nessuno per onestà intellettuale e per dovere di mandato - di approvare una norma e di non fissarne l'esecutività, lasciando quest'ultima alla conclusione dei rapporti contrattuali. Infatti, non si capisce da quando dovrebbe decorrere la vendita dei diritti centralizzati, se la conclusione dei contratti dovesse avvenire nei tempi diversificati che sappiamo.
PRESIDENTE. Onorevole Bono, si avvii a concludere.
NICOLA BONO. Signor Presidente, le faccio notare che l'onorevole Rampelli si è Pag. 105ritirato, quindi il gruppo di Alleanza Nazionale avrebbe diritto ad utilizzare anche quei minuti; io non li utilizzerò poiché sto concludendo, ma mi consenta di farlo compiutamente.
Credo vi sia da fare un'ultima puntualizzazione. Una grossa, fondamentale questione, su cui finora in Commissione non abbiano avuto le risposte che ci aspettavamo, riguarda l'abrogazione del fine di lucro. Noi abbiamo presentato - siamo gli unici ad averlo fatto - un emendamento che, in tal senso, chiude la questione e definisce un quadro complessivo d'intervento che elimina le cause che hanno determinato la permeabilità del sistema in ordine agli illeciti diffusi. Ebbene, su questo abbiamo ricevuto risposte inaccettabili; tutti quanti ci hanno detto che avevamo ragione e che eravamo stati bravi a porre un problema serio, ma che non era il caso, il momento, il luogo. Vorrei capire quando dovrebbe essere il caso, quale il momento e dove il luogo se non in Parlamento. Ci troviamo di fronte ad una grande e storica occasione: dare una risposta unitaria e complessiva all'esigenza del mondo del calcio. Certo, mi rendo conto che quando fu introdotta la norma sul fine di lucro l'esempio era quello europeo. Il problema è che le società di calcio italiane non somigliano neanche da lontano alle società di calcio degli altri paesi europei. Non ci somigliano perché sono sottocapitalizzate, perché hanno una gamma di introiti estremamente limitata, relativa unicamente alla cessione dei diritti televisivi.
Le società sportive inglesi, danesi e spagnole posseggono gli stadi, hanno immensi capitali a disposizione e una quantità di attività commerciali nel campo del merchandising che determina grossi introiti, a volte superiori a quelli dei diritti televisivi. Siamo su livelli completamente diversi. Allora, se vogliamo dare una corretta soluzione al problema, dobbiamo intanto porre la questione del fine di lucro, affinché non rientri più fra le finalità delle società sportive. È una questione che non possiamo più rimandare! Oggi è il momento di discutere dei problemi del calcio e di approvare questa normativa. Occorre stabilire - noi abbiamo in questo senso riformulato l'emendamento - anche un periodo necessario per l'uscita dal listino di borsa, per la tutela degli azionisti. La questione è stabilire che non vi sia più il fine di lucro, che non possano più entrare nel listino di borsa altre società e che comunque le società non ancora quotate e non ancora trasformate adeguino i loro bilanci a tale principio, affinché non si trasformino e non si facciano quotare; per chi è quotato e per le altre realtà azionarie, anche non quotate, occorre andare a definire un percorso temporale sufficientemente ampio, all'interno del quale trovare tutte le forme di garanzia per coloro che hanno creduto e investito e che evidentemente, in questi anni, hanno anche trovato una difficoltà oggettiva a gestire il proprio investimento.
In ogni caso, l'interrogativo è il seguente - ecco la risposta che il Parlamento italiano deve dare - : vogliamo dare una soluzione definitiva al tema della trasparenza, della correttezza, della chiarezza della gestione del calcio italiano oppure vogliamo continuare in una situazione di governo apparente, con il mantenimento di tutte le condizioni che hanno portato nel passato agli scandali e ad una difficoltà di gestione complessiva del sistema, che va ben oltre gli scandali? Questi ultimi sono stati la punta dell'iceberg di un malessere che noi dobbiamo aggredire alla radice. Oggi possiamo farlo con una norma, a condizione che sui punti fondamentali, che sono stati oggetto del confronto, non ci sia più questo atteggiamento pregiudiziale da parte di chi ritiene che le proposte che abbiamo avanzato possano essere o rinviate o non considerate.
Invito il Governo - e concludo - a rivedere il suo intendimento sulla delega, che sarebbe opportuno evitare; destrutturiamo questa norma ed andiamo poi nel merito ad affrontare uno per uno i nodi che oggi incidono sulla possibilità di creare un futuro più corretto per il mondo del calcio italiano.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghe e colleghi, intervengo sul disegno di legge n. 1496 dopo aver già presentato quale cofirmatario, assieme agli onorevoli Cassola e Poletti, un emendamento riguardante detta materia che ha trovato accoglimento in sede di Commissione. L'emendamento ha prodotto l'inserimento, al comma 2, lettera h), dell'articolo 1, dell'espressione: «tutela degli utenti dei prodotti audiovisivi, in Italia e all'estero, relativi agli eventi sportivi di cui al comma 1» ovvero gli eventi sportivi dei campionati professionistici e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale.
Ciò determina, come sancito alla lettera d) del comma 3 dell'articolo 1, che nella disciplina della commercializzazione dei diritti televisivi sul mercato internazionale si tenga conto dei principi di cui al comma 2 e che quindi si tenga conto che quando parliamo di pubblico parliamo di utenti e non di consumatori in Italia ed all'estero. La definizione «utenti» ci restituisce dignità, in quanto restituisce funzione sociale allo sport e al calcio, che si riporta al di fuori del consumo.
Noi non consumiamo lo sport come se fosse una merce, non lo assumiamo come prodotto da supermercato, non vogliamo comprare la nazionale con la tessera a punti! Lo sport noi lo utilizziamo come valore che ci permette di far crescere nei nostri figli il senso della competizione, ma anche il valore sociale dello stare insieme, il senso del confronto, ma anche quello dell'appartenenza, la determinazione, la tenacia, ma anche la creatività, l'imprevedibilità tutta italiana così apprezzata nel mondo.
Essere considerati utenti e non consumatori, per noi italiani che viviamo all'estero, è una conquista non indifferente. Essere posti all'attenzione della tutela del Governo in quanto pubblico di utenti all'estero rappresenta un riconoscimento fondamentale della nostra italianità e rappresenta anche un atto dovuto ai nostri figli. Ricordo i nostri giovani che, quest'estate, con una semplicità meravigliosa indossavano le maglie della nazionale, i capellini con la scritta «Italia» per le strade d'Europa, costruendo una tendenza che ha contaminato anche gli altri giovani non italiani che, per imitazione, indossavano le maglie con i nomi dei nostri calciatori. E cosa ha significato per noi girare a Zurigo piuttosto che a Londra con le nostre auto munite di bandierine dell'Italia o degli adesivi tricolore? Vi erano sorrisi, volti compiacenti, mani che ci salutavano e sguardi che si complimentavano con noi semplicemente perché eravamo italiani.
Questo ci spiega perché lo sport, il calcio e tutta la dimensione sportiva in genere è fondamentale per noi in Italia, ma vitale per chi risiede all'estero. Lo sport è il mezzo che trasporta il meglio di noi, quanto a creatività, correttezza e talento. È un valore importante per la crescita dei nostri giovani.
Dopo l'entrata in vigore del provvedimento in esame, non si potrà più incorrere in quella cosa strana che è rappresentata dall'interruzione della trasmissione o dal criptaggio perché, come recita la scritta che scorre sullo sfondo nero, «non vi sono le condizioni contrattuali per la messa in onda del programma».
Noi ormai ci siamo abituati. Sono 41 anni che vivo in Svizzera e comunque non mi sono mai rassegnato ma, a pensarci un attimo, provate ad immaginare cosa si prova quando sullo schermo scorrono le immagini delle squadre ma poi improvvisamente lo schermo si oscura e si è costretti a vedere la partita sul canale tedesco o francese e magari la partita è Italia-Germania o Italia-Francia! Come spiegare ciò ai nostri ragazzi e come convincerli che è il mercato, che siamo consumatori immersi in una logica di mercato? Ci rispondono: siamo o non siamo italiani? Perché il nostro paese non pensa a noi? Ci hanno forse dimenticati? Non si ricordano più di voi, dei vostri volti in bianco e nero sugli spalti di quella Italia-Germania di tanti anni fa? Vi assicuro Pag. 107che è stato difficile ed è difficile spiegare loro che uno schermo nero o criptato è un segno di vivacità commerciale. È un segno di inciviltà! È stato e sarà difficile se questo Governo non vi porrà rimedio!
I diritti, la concorrenza e le nuove tecnologie sono inspiegabili ai nostri giovani. Siamo un grande paese che comprende l'importanza dello sport e non possiamo tollerare che in alcuni luoghi lo schermo della nostra vita si oscuri. Sì, perché quando vivi all'estero la tua vita diventa anche la nazionale che gioca ogni tanto o la tua squadra che gioca nel campionato. Il calcio e il confronto tra le nazionali educano; la guerra no!
Vorrei vivere in un mondo, all'estero o in Italia, dove lo schermo si oscuri o venga criptato - e appaia la scritta «questo programma non può andare in onda» -, quando ci sono le immagini che ci mostrano le guerre di cui è pieno il nostro mondo.
Allora sì che sarebbe giusto, forse, impedire ai nostri giovani, ai nostri figli, di guardare; ma purtroppo no: lo schermo pullula delle immagini di guerra e stranamente la commercializzazione di quelle immagini non conosce mai alcuna regola. Non ci hanno mai impedito o criptato la visione della guerra, in televisione - questo ci dicono i nostri figli -; la partita dell'Italia, invece, la oscurano sempre. Rispondiamogli una volta: accendiamo lo schermo del buonsenso. Saremo forse più uomini e meno consumatori!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, anche il gruppo di Forza Italia, come i colleghi che ci hanno preceduto, soprattutto il collega di Alleanza Nazionale - ma anche altri della Casa delle libertà -, affronta questo dibattito con un certo disappunto. Non tanto sui contenuti del provvedimento, nel merito dei quali, pure, entrerò nel corso del mio intervento, quanto, soprattutto, sulle procedure seguite.
Intanto, siamo anche noi ovviamente consapevoli che il calcio è entrato in una crisi che lo travolge. Il calcio è lo sport più popolare in Italia; si potrebbe disquisire lungamente su altri tipi di attività sportive meno seguite. Lo stesso spirito propulsore di questo dibattito, di questo disegno di legge e delle altre proposte di legge è stato la crisi del calcio italiano; una crisi senza precedenti, che però riguarda, in un certo senso, i palazzi del calcio, mentre bisogna ricordare che, sui campi sportivi, giocatori ed atleti ci hanno regolato giornate indimenticabili. Ritengo opportuno ricordarlo nel momento in cui ci soffermiamo su alcuni fatti particolarmente gravi che ci chiamano tutti ad un'assunzione di responsabilità.
Ovviamente, gli sportivi sono stati colti da sgomento e da rabbia per gli scandali che li hanno traditi nei valori dello sport, nella loro fiducia, in ciò che l'attività sportiva significa, qualunque attività sportiva. Ed il calcio è l'emblema, in Italia come in buona parte d'Europa, dell'attività sportiva, anche se l'attività sportiva - scusate il bisticcio di parole - non si esaurisce solo nel calcio.
Le istituzioni sportive, con molto ritardo, si stanno adoperando per apportare dei correttivi; giustamente anche la politica deve farsi carico di onorare i propri e ben precisi compiti al riguardo; sappiamo che in questo ramo del Parlamento è stata svolta un'indagine che già nella precedente legislatura aveva monitorato il fenomeno delle devianze in campo sportivo. Tale indagine dovrà individuare i possibili rimedi al termine di un ciclo piuttosto lungo di significative audizioni.
Ebbene, ritengo che per ragioni di equità e di maggiore competitività, ma anche per entrare nel merito dei problemi di fondo, si debba procedere ad una più equa distribuzione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti collettivi. Su ciò siamo tutti d'accordo, come pure concordiamo sul fatto che tale obiettivo possa conseguirsi con una certa contrattualizzazione centralizzata.
Ma siamo in totale disaccordo - come abbiamo già dichiarato - quando si intende Pag. 108procedere attraverso il conferimento di una delega al Governo; una vera e propria forzatura, che assolutamente denunciamo in questa sede. Si poteva varare il provvedimento con una maggiore collaborazione se non si fosse ricorso a questa delega, che è stata uno strappo, un vulnus in una materia tanto delicata che richiede, a nostro modo di vedere, un'attenzione particolare per evitare inframettenze ed interventi indebiti da parte del Governo. Ciò, proprio alla luce dei gravi scandali verificatisi, che hanno delegittimato una parte così significativa del calcio.
Noi avremmo preferito - anche se qualcuno osserva che saremmo così giunti alle calende greche - un provvedimento totalmente definito e discusso in Parlamento (ma così non è stato), privo di orientamenti particolari, che avrebbe consentito ad ognuno di noi di schierarsi, di definire le competenze degli organi, ad esempio, della Federcalcio, della Lega e della Federazione.
In questo senso, credo che il provvedimento su cui stiamo discutendo debba misurarsi con altre proposte analoghe, proprio sulle percentuali da adottare nella divisione dei proventi, soprattutto della commercializzazione. Occorre avere ben chiaro, su tale aspetto, un fatto fondamentale, a nostro modo di vedere, essenziale, dirimente: non stiamo parlando di denaro pubblico, di contributi statali, ma di proventi prodotti dalle stesse società sportive che partecipano al campionato. Non si è sufficientemente meditato, a nostro avviso, su tale punto essenziale e qui, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad una vera interferenza da parte del Governo, ovviamente con la «sponsorizzazione», uso questo termine di matrice calcistica, delle forze di maggioranza. Si vuole accentuare l'autonomia, invece, in questo caso, si accentua una conduzione verticistica di un settore come questo, che dovrebbe essere esente da ogni sospetto di interferenza. A questo punto, l'autonomia di ogni forma di attività sportiva viene meno o rischia di essere percepita come irrilevante da una significativa parte dell'opinione pubblica, di quell'opinione pubblica che è stata così scandalizzata dalle ultime vicende. In tale contesto, credo che non possiamo fare a meno di porre in rilievo alcuni aspetti essenziali, che non sono definiti chiaramente nella proposta della maggioranza, oppure che presentano lacune evidenti.
Noi riteniamo che debba essere precisato e definito il diritto esclusivo delle società professionistiche di calcio - - uno sport, così popolare e seguito in Italia - di sfruttare qualsiasi forma dell'evento sportivo che esse organizzano e di cui si assumono la responsabilità. Noi prevediamo, infatti, la commercializzazione dei diritti di trasmissione, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento che ne consenta la ricezione audiovisiva. Riteniamo che tutto ciò debba avvenire, l'ho detto in precedenza, in forma centralizzata, ma su ciò credo siamo d'accordo tutti, sotto il controllo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, da parte della Lega nazionale professionisti, quale mandataria delle singole società sportive titolari dei suddetti diritti. Nel rispetto, inoltre, dei diritti delle società sportive professionistiche e dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, riteniamo - e in ciò ci sentiamo confortati dall'opinione di gran parte degli sportivi - che i criteri di ripartizione dei proventi derivanti dalle attività di commercializzazione poste in essere dalla Lega nazionale professionisti debbano essere determinati dalla stessa Lega, ma nel rispetto, ovvio, di alcuni criteri che, lungi dallo scendere nel dettaglio delle modalità di trattazione e di ripartizione - ciò sarebbe in contrasto con il diritto dei singoli e con l'autonomia dello sport -, siano finalizzati a ristabilire l'equità e la maggiore competitività tra le società sportive partecipanti ai campionati di calcio di serie A e B ed alla Coppa Italia, tenendo però conto dei bacini di utenza, della valenza sportiva dei singoli club e della necessità per le squadre italiane di reggere la concorrenza a livello internazionale. Queste proposte le abbiamo anche formalizzate in una proposta di legge, che riteniamo debba meritare una particolare attenzione del mondo dello Pag. 109sport, e non solo, ed anche da parte del Governo. Come Forza Italia, ci permettiamo di rilevarne l'importanza e la valenza e, conseguentemente, proponiamo anche l'abrogazione dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, convertito, con modificazioni, nella legge 29 marzo 1999, n. 78, in ragione della necessità, per noi inderogabile, di rispettare i contratti attualmente in essere.
Su questi punti si sono già soffermati i colleghi del mio gruppo, in particolare l'onorevole Pescante, che si è distinto, soprattutto in Commissione, definendo alcune priorità e chiarendo le ragioni di fondo della nostra contrarietà alla delega. Siamo fermamente convinti che il comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento in esame debba essere drasticamente modificato ed abbiamo proposto una serie di emendamenti, che anticipo in sede di discussione generale per l'importanza che attribuiamo ai medesimi, che fanno riferimento a quanto ho, prima, espresso, che trova, peraltro, ampio consenso anche in molti settori del mondo dello sport e della società civile.
Condividendo quasi tutte le osservazioni formulate dal collega Bono sul primo comma dell'articolo 1 mi permetto di aggiungere che l'intero comma deve essere sostituito, in quanto riteniamo che ciascuna società, in ambito professionistico, denominata «società sportiva», abbia il diritto esclusivo di sfruttare, in qualsiasi forma, l'evento sportivo che essa organizza e di cui si assume la responsabilità. Il diritto esclusivo riguarda, tra l'altro, i diritti conseguenti alla vendita dei titoli di accesso agli impianti, quelli di carattere pubblicitario, le sponsorizzazioni e le riprese, nonché le trasmissioni, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento che ne consenta la ricezione audiovisiva delle gare, definite «casalinghe» dai regolamenti sportivi.
Intendiamo anche definire le modalità di commercializzazione dei diritti di trasmissione, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento che ne consenta la ricezione audiovisiva, come pure di tutte le gare disputate nell'ambito dei campionati professionistici, comunque denominati, in diretta e nelle forme highlights, intese, queste ultime, quali parti salienti di ciascuna gara, di durata unitaria non superiore a quattro minuti primi.
Ovviamente, la commercializzazione dei diritti di cui al comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge ha luogo in forma centralizzata, mediante procedure separatamente organizzate per ciascuno dei campionati, caratterizzate da trasparenza e finalizzate a garantire la libera concorrenza tra gli operatori della comunicazione e a tutelare gli utenti.
Le procedure di commercializzazione di cui al comma 3 sono poste in essere, a nostro modo di vedere, sulla base degli emendamenti che abbiamo presentato, dall'associazione o dalle associazioni, di seguito denominate leghe professionistiche, di cui fanno parte, in qualità di associate di diritto privato, le società sportive. I contratti stipulati all'esito di tali procedure hanno durata non superiore a tre stagioni sportive, per intuitiva evidenza. Questo, ad esempio, è un emendamento radicalmente soppressivo del primo comma. Ve ne sono altri: uno che sopprime il comma 3, in relazione ai criteri di ripartizione delle somme risultanti dalle attività di commercializzazione, ed un altro, che sostituisce, nell'autonomia dell'ordinamento sportivo, il comma 3, lettera h), e fa riferimento alla ripartizione da parte della Lega Calcio delle risorse economiche e finanziarie assicurate dal mercato dei diritti. Non mi soffermo su questi e su altri emendamenti, che saranno illustrati nel corso del dibattito sul provvedimento in esame, per definire ancora alcuni punti che ci premono in modo particolare.
Ho già parlato della titolarità dei diritti, sui quali mi sono soffermato anche con riferimento ai precedenti giurisprudenziali ed amministrativi, che sono univoci nell'ottica prima individuata. Sarebbe interessante fare un rapido excursus sulla commercializzazione dei diritti televisivi dagli anni Cinquanta fino al 1999, in riferimento al ruolo svolto dalla Lega Nazionale, quale mandataria delle singole Pag. 110società sportive, come l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha accertato in esito ad approfondite indagini.
Vorrei svolgere un'altra considerazione attinente all'esperienza europea, che ci pare molto significativa.
Tra l'altro, ricordo che proprio sull'esperienza europea si è svolto un importante dibattito in sede di Commissione. Il sottosegretario Lolli ed altri colleghi del centrosinistra, infatti, hanno rilevato la consonanza tra la proposta avanzata dal Governo (e che, ovviamente, l'Esecutivo sostiene) e l'esperienza registrata nei principali paesi europei.
Noi crediamo, al contrario, che sussista una certa differenza tra quanto è presente nel panorama internazionale - e, più specificatamente, europeo - e ciò che, invece, è contenuto nell'ambito del disegno di legge in esame.
Infatti, la disponibilità dei diritti di cui stiamo parlando fa capo, nel panorama europeo, alle società sportive e costituisce il presupposto giuridico che ispira, tra l'altro, anche la decisione della Commissione europea del 23 luglio 2003, pur essendo essa costruita su presupposti di fatto del tutto difformi da quelli oggetto del presente disegno di legge. Anche questo è un appunto che ci sentiamo di muovere all'orientamento maggioritario emerso in sede di VII Commissione.
In effetti, il format creato ex novo dall'UEFA in relazione alla Champions league può, in qualche modo, giustificare la tesi, espressa nella decisione citata, della contitolarità del diritto di disporre dei diritti televisivi. Ciò, tuttavia, non trova riscontro nell'ambito nazionale, attesa la natura di format «a maglie larghe» del campionato italiano.
A riprova di quanto fin qui esposto, desidero precisare che, prima dell'ideazione della Champions league nella sua attuale configurazione, le singole società sportive licenziavano i diritti delle loro gare casalinghe, fatta eccezione per la finale, a titolo esclusivamente individuale (così come tuttora avviene per la coppa UEFA).
È altresì indicativo elencare, in brevissima sintesi, i sistemi adottati dalle Leghe professionistiche dei principali paesi europei. In Spagna, i diritti in esame fanno capo ai singoli club; nel sistema tedesco, pur non essendo esplicitato il profilo relativo alla titolarità dei diritti, va rilevato che la federazione calcistica tedesca prevede che i club le conferiscano mandato alla commercializzazione dei diritti televisivi. Ciò, per implicito, comporta l'identificazione della loro titolarità in capo agli stessi club.
Nel sistema francese, i club sono proprietari dei diritti, che vengono, per legge, commercializzati collettivamente dalle Leghe. Nel sistema inglese, i diritti sono di proprietà delle società, pur essendo negoziati collettivamente, sulla base di un mandato esclusivo, dalla English premier league.
Nel sistema olandese, infine, l'Alta Corte di Amsterdam ha statuito che la titolarità originaria dei diritti televisivi in materia calcistica spetta, per ogni singola partita, al club che gioca in casa (sentenza dell'Alta Corte di Amsterdam del novembre 1996).
Tutto questo per ribadire quanto precedentemente affermato: anche l'esperienza europea, infatti, conferma l'impostazione seguita dal gruppo di Forza Italia in sede referente e, a maggior ragione, nell'ambito della discussione parlamentare. Ciò soprattutto con riferimento a tali principi, che a noi appaiono essenziali, ma che non mi sembra siano stati percepiti nella loro chiarezza, dal Governo e dal centrosinistra, nel corso dell'esame del provvedimento in sede di Commissione cultura.
Per quanto attiene, infine, al ruolo della squadra ospitata (altro punto rilevante), è evidente che si tratta di una questione neutra dal punto di vista dell'identificazione della titolarità. Quando, infatti, una gara si disputa all'interno di un campionato, le squadre si incontreranno necessariamente due volte (all'andata ed al ritorno), ed ognuna sarà titolare del diritto di sfruttare l'evento sportivo che organizza.Pag. 111
L'ultima considerazione che intendo svolgere conferma le nostre opzioni, soprattutto in merito ai criteri di distribuzione. Noi riteniamo, infatti, che essi debbano essere rimessi alle Leghe professionistiche, sulla base di criteri di ripartizione tra le singole società sportive in esito alla commercializzazione dei diritti. Anche in tal caso, riteniamo si debba riflettere sul fatto che si tratta di una pratica comune a tutti i paesi europei nei quali ha luogo il conferimento delle licenze in forma centralizzata. Non esiste in Europa, in effetti, alcun caso nel quale i criteri siano determinati con legge dello Stato.
Anche in questo caso, quindi, si tratta di un principio che consideriamo fondamentale, il quale è smentito a parole dal Governo o dai colleghi appartenenti al centrosinistra, ma che, nei fatti, si sta delineando sempre più.
Il principio della delega ha in sé questo rischio di intuitiva evidenza di una pesante interferenza e di un condizionamento da parte dello Stato. I mali dello sport e, in particolare, del calcio non possono essere curati con questa forma di penalizzazione e di sostituzione dello Stato alle società sportive, alla Lega Calcio e, in altro contesto, al CONI stesso. Non dobbiamo dimenticarci che non si tratta di denaro pubblico, ma si tratta di denaro privato, lo dicevo all'inizio, frutto di negoziazioni tra privati, quali sono le leghe e le società sportive che ne fanno parte.
Un altro punto fondamentale è quello della salvaguardia delle scelte negoziali liberamente fatte dalle singole società sportive in un quadro di perfetta legalità, nonché la necessità, sulla quale noi insistiamo, di dare al sistema il tempo necessario per adeguarsi alle nuove regole. Queste considerazioni fanno riferimento alla nostra impostazione, contenuta in una proposta di legge, che si discosta notevolmente dall'impostazione del Governo e che fa esplicito riferimento al calcio, senza trascurare, però, altre attività sportive, apparentemente minoritarie nel paese; basti citare la pallacanestro. Di fatto anche il disegno di legge della maggioranza, come altre proposte di legge, pur definendo un impianto riferibile alle autorità sportive, prende come punto di riferimento il calcio, perché è a partire dal calcio che lo sport italiano è entrato sostanzialmente in crisi, a causa dei fatti devastanti che abbiamo visto, che non devono però condizionare l'intero mondo sportivo e, soprattutto, lo stesso calcio. In questo senso io credo che un'attenzione molto particolare debba essere rivolta alle società dilettantistiche, che debba essere definito un rapporto nuovo con le società di promozione sportiva, che debba essere definito un nuovo rapporto - e qui ampio il mio discorso, non limitandomi strettamente all'impianto della proposta di legge - con gli enti locali, sempre alla luce di quel principio che intende favorire l'autonomia dello sport. Ci deve essere l'interesse del pubblico per un'autentica manifestazione sportiva, ma non ci può essere un'interferenza pesante che ne condizioni l'evoluzione e lo sviluppo, come purtroppo sta accadendo in molte realtà del nostro paese e come questo disegno di legge, più per ciò che non dice che per ciò che dice, sta facendo.
Questa è la ragione per cui noi ribadiamo le nostre considerazioni critiche contenute nei nostri emendamenti che abbiamo già presentato e che intendiamo illustrare, che vogliamo sottoporre all'attenzione della maggioranza e del Governo, cercando di convincerlo a meditare ulteriormente sul significato di questo provvedimento, soprattutto sulle modalità con cui noi siamo giunti alla delega e sulle osservazioni fatte, che sembrano più osservazioni punitive per rimediare a mali indubbi che non osservazioni costruttive che si facciano carico di un disagio reale, risolvendolo in positivo, evitando di ricorrere a metodi e strumenti che non hanno più riscontro nel paese e che non risolvono il male rischiando invece di aggravarlo. Questa è la ragione della nostra presa di posizione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carra. Ne ha facoltà.
ENZO CARRA. Il gruppo dell'Ulivo sostiene con convinzione la delega al Governo per una nuova disciplina dei diritti sportivi e la loro centralizzazione. Questa è una prima tappa del processo di modernizzazione del settore e la delega è giustificata dall'urgenza. I fatti di questa estate, la conduzione del settore negli ultimi anni, da entrambi i lati, da quello dello sport e da quello della comunicazione hanno fatto il resto.
Ho sentito i colleghi dell'opposizione sostenere che sarebbe stato preferibile e, forse, addirittura più rapido approvare una legge, ma proprio i loro interventi dimostrano che avremmo operato in maniera più lenta e meno bene.
Durante i lavori preparatori, un conflitto di interessi... scusatemi, volevo dire un conflitto di competenza (in realtà, i conflitti di interessi ci sono in questo campo e, pertanto, il mio lapsus è più che giustificato) tra le Commissioni VII e IX hanno impedito a quest'ultima, della quale faccio parte, di occuparsi compiutamente del disegno di legge delega in esame (credo che questo problema vada risolto in qualche modo in futuro). Comunque, nel corso dei lavori preparatori, è stato più volte ripetuto che la nuova disciplina è una condizione essenziale per restituire fiducia ai tifosi, alla «macchina» del calcio ed ai tornei che la riguardano. Certo, il provvedimento deve fare molto di più: deve incidere nel tessuto stesso della «macchina» sportiva, rinnovando l'aria stantia che la stava uccidendo.
Vediamo, piuttosto, di dire qualcosa al Governo, che dovrà esercitare la delega. Se è vero che la gran parte delle entrate del calcio è legata ai diritti televisivi, allora l'obiettivo principale sta nell'innalzare il volume dei diritti medesimi e nel garantire la loro redistribuzione (mi sembra che il compito sia abbastanza semplice). Magari, si potrebbe fare un confronto con gli altri paesi, soprattutto europei, nei quali il calcio ha un'importanza analoga e, qualche volta, inferiore a quella che riveste da noi.
Per quanto riguarda la redistribuzione e la cosiddetta mutualità, il disegno di legge delega stabilisce principi e tecniche che dovrebbero bastare a capovolgere una situazione che era diventata molto più che insostenibile e che è stata anche una delle ragioni della grave crisi dei mesi scorsi. Prima si torna, dunque, alla centralizzazione, meglio è. Qualcuno obietta che la legge sui diritti soggettivi era stata approvata nel quinquennio del centrosinistra, ma un errore è un errore (d'altra parte, c'è anche la controprova, per fortuna: la vita è lunga da questo punto di vista). L'importante, ed anche questo è assicurato dalla legge, è che sotto il principio generale non restino immutati i comportamenti ed i cartelli.
Quanto all'innalzamento del valore dei diritti sportivi, ritengo incontestabile l'affermazione secondo la quale quanto più c'è libertà di mercato, tanto più quel valore aumenta. Tutte le piattaforme vogliono il calcio e tutte devono essere messe in condizione di contendersi i diritti, ma non di averli tutti insieme (questo mi sembra molto importante). In questo caso, perciò, credo che procedere verso uno spacchettamento sia quasi d'obbligo per rendere possibile la concorrenza. Naturalmente, allo spacchettamento dovrà procedere il venditore, non il Parlamento. I prodotti del calcio italiano sono tanti - Coppa Italia, Serie A di sabato, Serie A di domenica, Serie B - e non possono essere messi tutti nelle mani della stessa emittente, della stessa piattaforma. Credo che per innalzare il valore dei diritti non vi sia altra strada. D'altra parte, pensiamo a quello che accade in Spagna. Si dirà che in Spagna non vi sono diritti soggettivi (in realtà, vige un sistema misto fondato su diritti collettivi e soggettivi). Ebbene, è di pochi giorni fa la notizia relativa ai diritti che percepiranno Real Madrid e Barcellona per sette anni: oltre un miliardo e cento il Real ed oltre un miliardo il Barcellona, pari al doppio di quello che percepisce in Italia la squadra più ricca.
Stabilito, dunque, che la centralizzazione era l'unica strada da percorrere, e che per percorrerla era indispensabile la delega, dovremo guardarci, piuttosto, dai facili entusiasmi.
Gli accordi di cartello ci sono stati e potranno tornare. Per evitarlo, oltre alla vigilanza delle due autorità, antitrust e comunicazioni, si dovrà pensare a compiere qualche passo avanti, assicurando, innanzitutto, che le due autorità siano rapide nel gestire questa fase, nel dare l'assenso o il diniego alla cessione dei diritti. Non si può aspettare. Devono sapere di avere una responsabilità in più.
Poi bisognerà affrontare il «nanismo» di un calcio italiano che non merita questa struttura. Dovremo, quindi, pensare ad organizzazioni sportive (dovranno porsi la questione i presidenti delle società, ma noi dovremo parlarne) che siano effettivamente in grado di svolgere il proprio ruolo di garanzia per il mercato e la concorrenza. Sarà il venditore ad essere garante nella fase che si apre con questa legge delega.
Oggi, la Lega è presieduta da un uomo di esperienza e probo, come Matarrese, ma cosa accadrebbe se in Lega vi fosse nuovamente un conflitto di interessi? È una questione che il Governo dovrà affrontare. Almeno sotto questo aspetto, vorremmo stare tranquilli per non passare «dalla padella alla brace».
Quanto al calcio, la questione degli stadi è troppo importante per rinviarla ancora. Prima di assicurare altri introiti, facilitazioni ed agevolazioni, come ad esempio la cosiddetta norma spalmadebiti, vediamo come poter invogliare i presidenti delle società ad investire nella costruzione di stadi di loro proprietà. È una questione che interessa ed interpella anche il Parlamento e la politica. È una strada di modernizzazione.
Interessa, inoltre, il Parlamento fare il punto sul cosiddetto decreto Pisanu, che è stato un provvedimento dettato dalla necessità e dall'urgenza di non far scorrere altro sangue negli stadi e che, da questo punto di vista, ha avuto un immediato e benefico effetto. Tuttavia esso presenta anche i suoi limiti, se è vero che nella più recente partita della nazionale a Roma, contro l'Ucraina, al fine di riempire lo stadio è stato necessario aggirare il decreto. Il Governo anche in questo caso dovrà fare la propria parte, rivedendo ciò che non va e mantenendo ciò che è solido.
Infine, prima di affidare al mercato questo grande prodotto commerciale che è il calcio (non dobbiamo avere il pudore di definirlo in altro modo), dovremmo essere certi che il venditore non faccia come prima, che smontato un cartello non se ne alzi un altro. La lettera d) del comma 3 dell'articolo 1 specifica meglio, dopo il lavoro della Commissione, che «la disciplina della commercializzazione in forma centralizzata» si esplica «anche attraverso divieti di acquistare diritti relativi a piattaforme per le quali l'operatore delle comunicazioni non è in possesso del prescritto titolo abilitativo». Va bene anche così. Mi chiedo, però, se non sia possibile essere più chiari e dire precisamente che il venditore, cioè la Lega professionisti, debba essere privo di vincoli o averne pochissimi ed essenziali. Questa è l'autonomia del calcio e dello sport. Ciò obbligherà ad offrire diritti a tutte le piattaforme, mettendole in concorrenza tra loro, ad andare verso un'offerta di diritti esclusivi, il che significa che la piattaforma che vince la gara sarà in possesso di un prodotto in esclusiva con effettiva e seria disciplina delle eventuali sublicenze. Ma, non potrà esserci un compratore di tutti pacchetti e, almeno uno, come succede in Inghilterra, dovrà essere destinato ad altri, se vi sarà un solo acquirente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Li Causi. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il tema che oggi impegna l'Assemblea è particolarmente delicato in quanto induce il Parlamento ad intervenire in un rapporto tra soggetti privati che erogano lo sport ed il calcio.
Occorre qui rilevare che il calcio nel nostro paese non si pone esclusivamente come affare privato tra società, ma ha storicamente assunto valore socioculturale, arrivando ad essere uno sport nazionale e dimostrando, con la recente vittoria ai campionati mondiali di calcio, di rappresentare Pag. 114un momento di coesione per tutto il popolo italiano.
Il disegno di legge delega, presentato dal Governo in materia di diritti di trasmissione dei campionati di calcio, trova il suo obiettivo di fondo nel tentativo di riequilibrare e rendere trasparente il mercato dei diritti radiotelevisivi degli eventi sportivi calcistici. In sede di VII Commissione (Cultura, scienza ed istruzione), di cui sono membro, all'inizio di questa legislatura, spinti dalle recenti cronache provenienti dal mondo del calcio, abbiamo ritenuto opportuno avviare un'indagine conoscitiva, il cui scopo era quello di individuare le cause nonché i processi che hanno portato alla corruzione in questo sport e alla logica di un eccessivo profitto. Nell'audire diversi esponenti di questo mondo abbiamo potuto osservare che uno dei fattori che ha determinato tali vicende, poi accertate sia dalla magistratura ordinaria che da quella sportiva, è il forte squilibrio creatosi tra pochissime grandi squadre e tutte le altre dei campionati professionistici, di serie A e di serie B. Uno degli elementi che hanno creato questo forte squilibrio riguarda proprio la contrattazione individuale dei diritti televisivi. Infatti, poche squadre hanno incassato cifre addirittura dieci volte maggiori rispetto a quelle ottenute da altre compagini come il Palermo, il Chievo o il Cagliari, in un sistema dove i diritti televisivi rappresentano la maggior parte delle entrate.
Tale squilibrio ha avuto quindi ripercussioni anche sul campo di gioco, considerando che i maggiori introiti hanno comportato la possibilità di acquistare i giocatori più quotati ed ottenere solitamente risultati sportivi migliori. Tale meccanismo, a mio avviso, ha fatto sì che nel corso degli anni le squadre più forti dal punto di vista economico lo divenissero anche dal punto di vista calcistico, favorendo la scomparsa di società il cui unico lustro era quello della storia.
Mi viene difficile omettere che, secondo il mio punto di vista, la degenerazione nel mondo del calcio è avvenuta quando, anni addietro, alcune società sono state quotate in borsa. Onorevoli colleghi, come si può pensare che esistano società quotate in borsa che non possiedono beni strutturali? Forse esse possiedono beni strumentali, come il pallone da calcio, ma lì finisce. Queste società non hanno beni strutturali, perché in Italia le squadre di calcio non possiedono gli stadi né le strutture che possono metterle in condizione di commercializzare i loro prodotti, ovvero il calcio stesso.
Inoltre, non si deve dimenticare che ad aumentare tali storture sono intervenute negli scorsi anni misure, come la cosiddetta norma «spalmadebiti», che nel paese hanno rafforzato l'idea di un calcio come mero affare di profitto, aggravato da contabilità contenenti plusvalenze truccate.
Si contribuisce in tal modo a disperdere quel valore, di cui parlavo poc'anzi, di aggregazione sociale che da sempre viene riconosciuto al calcio, non solo dai tifosi ma dagli amatori, dagli appassionati, giovani, donne, uomini, anziani, in quanto riteniamo che lo sport in generale, e in particolare il calcio, sia da sempre un valore che non può non essere sottolineato. Ritengo anzi che essi siano sempre stati delle lenti di ingrandimento del mutamento sociale del nostro paese: ecco perché tutto quello che è avvenuto ha un notevole valore e significato.
Inoltre, l'autonomia dello sport è un bene che noi sicuramente riconosciamo, che è molto importante, ma quando si eccede, essa necessita di un'attenzione particolare da parte nostra, come è ovvio, per contribuire al bene di tutti.
È opportuno anche sottolineare il merito del provvedimento che ci accingiamo ad esaminare, che intende riportare il nostro sistema in linea con i recenti orientamenti europei in materia di sport, da ultimo espressi nel Rapporto indipendente sul calcio europeo 2006, realizzato con l'obiettivo di fornire alcune raccomandazioni alle autorità europee e nazionali affinché intervengano con norme trasparenti nell'ambito delle quali gli organi di autogoverno dello sport siano in grado di risolvere le questioni che interessano il settore. Tra le misure volte a garantire Pag. 115l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, necessario per assicurare l'attrattiva del calcio, il Rapporto individua la redistribuzione delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali, che viene definita, allo stesso tempo, necessaria e compatibile con il diritto comunitario. Il Rapporto propone poi l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza, in cui si precisino, tra l'altro, le misure che meritano deroghe al divieto di accordi tra imprese, nonché la disciplina giuridica di specifiche tematiche, quali la vendita collettiva dei diritti, la valorizzazione dei vivai, la partecipazione degli atleti alle rappresentative nazionali, le limitazioni agli stipendi, la concessione delle licenze ai club.
Attraverso questo intervento legislativo si vuole dunque procedere ad una radicale riforma della disciplina della titolarità e del mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione del pubblico degli eventi sportivi calcistici al fine di garantire la trasparenza e l'efficienza di tale mercato.
Onorevoli colleghi, si è scelto lo strumento della delega al Governo per rendere più rapida ed efficace l'approvazione della normativa in tempo utile per l'avvio del prossimo campionato calcistico. Ritengo giusta la scelta del Governo di utilizzare lo strumento della delega legislativa, considerata la natura tecnica di taluni profili della riforma e l'ampiezza dell'intervento in questione, che non si propone solo di limitare posizioni dominanti nel mercato televisivo, ma mira ad introdurre una disciplina organica della materia.
Attraverso l'indagine sul settore calcistico, la VII Commissione ha ritenuto altresì di fare buona esperienza, estendendo nel corso dell'esame in sede referente l'applicazione dei principi a tutti i campionati professionistici, includendo così gli sport nobili a squadre, come la pallacanestro e la pallavolo, finora troppo spesso dimenticati. Si tratta di una scelta lungimirante e di buonsenso operata dal relatore, onorevole Folena, che ci sentiamo di condividere e che abbiamo fortemente sostenuto. Infatti il gruppo dei Popolari-Udeur ha predisposto un ordine del giorno con il quale chiede al Governo di impegnarsi al fine di adottare iniziative, anche normative, miranti a promuovere la messa in comune di una parte degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi ai livelli appropriati, allo scopo di attuare il principio di solidarietà fra tutti i livelli e tutte le discipline dello sport.
Nel particolare, la delega legislativa prevede il ritorno alla negoziazione collettiva dei diritti sportivi televisivi e per singola piattaforma, stabilendo cioè che per ogni piattaforma, sia televisiva, sia satellitare, sia digitale terrestre, sia UMTS, sia Internet, ci sarà una procedura di assegnazione diversa e che ad ogni gara potranno partecipare solo gli operatori che effettivamente esercitano su quel tipo di piattaforma. Inoltre, i proventi saranno divisi per il 50 per cento in parti uguali fra tutte le società calcistiche, mentre il restante 50 per cento sarà diviso in relazione al bacino di utenza e ai risultati sportivi conseguiti da ciascuna società, da ciascuna squadra. Sarà poi prevista una quota residua, che sarà destinata alla mutualità generale del sistema sportivo.
Concludo dicendo che noi Popolari-Udeur siamo convinti che questo nuovo sistema incentrato sulla commercializzazione in forma centralizzata dei diritti di trasmissione renderà più trasparente e giusta la distribuzione delle risorse nel mondo del calcio, garantendo così pari opportunità a tutte le squadre, secondo lo spirito più genuino dello sport, e un ritorno della fiducia fra gli appassionati. È per questo che il calcio resta comunque e sempre lo sport più seguito e praticato in Italia.
PRESIDENTE. Prima di proseguire con i successivi interventi, ritengo opportuno prevedere una pausa tecnica di venti minuti.
Sospendo quindi la seduta.
La seduta, sospesa alle 21,45, è ripresa alle 22,05.
Pag. 116PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.
PAOLA GOISIS. Signor Presidente, dagli anni Novanta l'industria della televisione ha fondato gran parte dei propri successi commerciali sullo sfruttamento dei diritti televisivi degli eventi sportivi. In particolare, il calcio ha assunto un ruolo strategico per l'economia del settore, superando, nel fatturato, prodotti di intrattenimento e cinema.
Le televisioni a pagamento, a differenza delle TV generaliste che dipendono dalle inserzioni pubblicitarie, sono strettamente legate alle preferenze e ai consumi degli abbonati. La vendita dei diritti delle partite di calcio, oggi, ne costituisce i tre quarti del fatturato.
Nella maggior parte dei paesi, il calcio non solo è la forza trainante per lo sviluppo dei servizi televisivi a pagamento, ma gioca un ruolo determinante anche per le emittenti in chiaro. Ne consegue che la vendita dei diritti, combinata alla portata dell'esclusiva, ha effetti rilevanti sulla struttura dei mercati televisivi, in quanto può favorire la concentrazione dei media ed ostacolare la concorrenza fra le emittenti.
Senza tema di smentita, si può, quindi, affermare che il contenuto calcistico è un fattore determinante ai fini della definizione delle dinamiche concorrenziali nel settore televisivo. Dalla modifica della regolamentazione in materia nel 1999, la cosiddetta norma Veltroni, le società di calcio di serie A e B hanno potuto gestirsi economicamente secondo i principi della libera contrattazione e questo ha creato forte squilibrio tra le ricche società di A, con oltre il 75 per cento degli introiti, e quelle dei club minori, con il conseguente depotenziamento dei settori giovanili e del calcio dilettantistico.
L'indagine svolta nella XIV legislatura ha palesato i limiti di un sistema che non investe nella crescita del movimento sportivo di base. Lo sport si fonda su valori sociali, educativi e culturali. È un fattore d'inserimento, di partecipazione alla vita sociale e la sua pratica deve essere accessibile a tutti.
Le associazioni sportive hanno, sì, il diritto di organizzarsi autonomamente, ma non possono prescindere dalla loro missione di organizzare e promuovere le rispettive discipline. La formazione dei giovani sportivi è fondamentale per la vitalità dello sport e delle squadre nazionali e, pertanto, deve essere incoraggiata e sostenuta dalle federazioni sportive e dal pubblico.
È per questo motivo che si rende necessario un provvedimento teso a riequilibrare il sistema, che limiti il diritto soggettivo alla vendita dei diritti TV, che reintroduca la contrattazione congiunta da parte della Lega professionisti, che preveda diversi criteri di ripartizione e destini una quota fissa alla crescita del movimento di base.
La Lega Nord condivide, quindi, la necessità di un intervento legislativo, ma lamenta l'inadeguatezza dello strumento scelto dal Governo delle sinistre. Sin dalla prima ora, la Lega Nord ha rilevato che l'uso dello strumento della delega legislativa non consente un approfondito dibattito in sede parlamentare, esautorando il Parlamento del suo ruolo di legislatore. È stato più volte contestato dal nostro gruppo, sia nella Commissione in sede referente sia in sede consultiva, lo strumento della delega. Sono stati proposti vari emendamenti per apportare modifiche in questo senso. I fatti ci hanno dato ragione.
Il testo proposto dal relatore ha perso molti degli elementi innovativi, introducendo caratteri pregiudiziali al regolare sviluppo del mercato dei media e fallendo nella missione culturale dello sport.
In questo provvedimento non vi è alcuna misura a sostegno delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche che sono, invece, centrali per il loro fondamentale ruolo di crescita, di educazione, di integrazione sociale e di solidarietà, anche rispetto alla disabilità fisica o mentale, nonché per il loro forte legame con il territorio.Pag. 117
La Lega Nord ritiene una questione dirimente definire al 10 per cento la quota minima dei proventi della vendita dei diritti televisivi da destinare ai fini della mutualità generale del sistema; risorse che devono essere attribuite ad un soggetto che per scopo sociale ha quella vocazione: la Lega nazionale dilettanti.
Una buona legge sul riordino dei diritti televisivi, in analogia con quanto già previsto in altri paesi europei, deve prevedere misure per la valorizzazione dei vivai giovanili dello sport e per questo si chiede di tenere conto, per la definizione dei criteri di suddivisione dei proventi dei diritti operata dalla lega professionistica, del reale investimento nell'attività del vivaio, del numero dei giocatori schierati in prima squadra provenienti dal settore giovanile e di misure a vantaggio delle categorie inferiori e dello sport di base in generale.
Come sottolineato in premessa, una parte rilevante del provvedimento si discosta dagli aspetti puramente sportivi e va a toccare la disciplina della commercializzazione dei diritti televisivi. Abbiamo evidenziato come sia necessario introdurre specifici correttivi in un mercato rilevante come quello per l'acquisizione dei diritti di trasmissione delle competizioni calcistiche.
Le preferenze degli spettatori determinano il valore dei programmi delle emittenti. Le emittenti acquistano i programmi al fine di attivare un vasto pubblico, siano esse finanziate in tutto o in parte dai proventi pubblicitari, o per incentivare l'abbonamento ai loro servizi.
I diritti TV degli eventi calcistici determinano una particolare immagine di marchio per il canale che li trasmette e consentono alle emittenti di raggiungere un particolare pubblico non altrimenti raggiungibile con altri programmi.
Nei canali a pagamento il calcio è la principale forza trainante per la vendita di abbonamenti, mentre nella TV non a pagamento il calcio attrae una particolare fascia di pubblico e, di conseguenza, inserzionisti pubblicitari, che non sarebbero attirati da altri programmi.
In genere, il calcio fornisce elevati livelli di audience e produce eventi che hanno luogo regolarmente per la maggior parte dell'anno; garantisce un elevato seguito a lungo termine ed induce gli spettatori a guardare regolarmente un determinato canale. Quindi, diversamente da altri sport, il calcio consente alle emittenti che ne acquisiscono i diritti di ottenere cifre elevate di spettatori su base regolare, prolungata e continua, con i conseguenti benefici in termini di introiti pubblicitari o abbonati ai servizi a pagamento, al punto che il prezzo degli intermezzi pubblicitari durante la trasmissione del calcio è maggiore del 10, del 50 per cento rispetto al miglior prezzo praticato.
Sebbene vi siano eventi di campionati di altri sport e sebbene tali sport siano in grado di produrre audience maggiori, non raggiungono la stessa costanza del numero di spettatori del calcio al punto che alcune emittenti li hanno considerati un loss leader, essendo disposte ad investire più di quanto avrebbero ragionevolmente recuperato dai possibili introiti realizzati dalle singole trasmissioni a tale sport dedicate.
A conferma di ciò sta il fatto che l'indagine della Commissione europea per l'infrazione all'articolo 81, paragrafo 1, del trattato CE sulla libera concorrenza ha dimostrato che non vi è sostituibilità tra i diritti TV del calcio e qualsiasi altro tipo di diritto TV. In tale indagine è emerso che l'accordo di vendita congiunta dell'UEFA limita la concorrenza sui mercati a monte tra le società calcistiche ed ha un impatto sui mercati televisivi a valle, in quanto gli eventi calcistici sono un elemento importante della concorrenza tra televisioni e, potenzialmente, i nuovi media, per attrarre gli inserzionisti o gli abbonati ai servizi pay tv.
L'UEFA, tra le giustificazioni all'accordo, ha sottolineato che il suo modello di solidarietà finanziaria migliora la produzione e stimola lo sviluppo dello sport nei paesi più piccoli. Ciò dà quindi luogo ad una base più competitiva per il futuro del calcio europeo, permettendo anche ai Pag. 118club calcistici più piccoli, e finanziariamente deboli, di competere con i club più grandi e potenti.
La Commissione riconosce, quindi, la specificità dello sport come espresso nella dichiarazione del Consiglio europeo a Nizza nel 2000, dove si optò per la messa in comune di una parte degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti TV, che si ritenne vantaggiosa per il principio di solidarietà fra tutti i livelli e le discipline dello sport.
Gli interrogativi a cui l'Assemblea deve dare una risposta sono principalmente due. I contenuti della delega in materia di solidarietà, mutualità, crescita culturale, educativa e sociale sono sufficienti a giustificare una limitazione alla concorrenza? Quali saranno gli effetti di questa legge sui mercati dei media - sia tradizionali sia innovativi - e, in particolare, sulle piattaforme in cui è presente un solo operatore? Come saranno contrastate le posizioni monopolistiche e come sarà garantita la presenza di più operatori tutelando i diritti degli utenti? Le proposte emendative della Lega Nord sono tese a dare piena soluzione a questi due quesiti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beltrandi. Ne ha facoltà.
MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il provvedimento all'ordine del giorno certamente risponde ad alcune esigenze che dovrebbero essere avvertite da tutti gli schieramenti politici. In primo luogo, con la previsione della contitolarità dei diritti sportivi in capo alle squadre che disputano il campionato e al soggetto organizzatore del campionato stesso; inoltre, con la conseguente gestione centralizzata della vendita dei diritti e con la ripartizione dei proventi, o almeno di parte degli stessi, tra tutte le squadre, operata in modo più equo rispetto a quanto avviene oggi. Attraverso tutti questi elementi si consegue l'obiettivo di ristabilire una competitività tra squadre grandi e piccole che giocano nel medesimo campionato; competitività che si era fortemente ridotta a seguito della cessione individuale dei diritti introdotta da una legge del 1999.
La seconda finalità del provvedimento dovrebbe anch'essa essere condivisa dai diversi gruppi parlamentari. Si tratta di rendere più competitivo e trasparente il mercato radiotelevisivo, di cui il commercio dei diritti televisivi rappresenta una componente importante nel nostro paese.
Come spiegherò tra poco, mentre per quanto riguarda la prima finalità mi sembra che le misure previste, cioè la disciplina contenuta nella delega relativa alla commercializzazione centralizzata, siano idonee al suo conseguimento, per quanto riguarda il secondo obiettivo - quello relativo al mercato radiotelevisivo - alcune misure sono in grado di migliorare la situazione di oggi, ma molto potrebbe ancora essere fatto al riguardo; vi è qualche aspetto di criticità su cui il legislatore dovrà, credo, riflettere nell'esercizio della delega, in particolare con riferimento agli ampi ambiti di discrezionalità che gli vengono lasciati.
Prima di iniziare a trattare sommariamente gli aspetti critici di questo disegno di legge, proprio la considerazione della sua incidenza sul mercato radiotelevisivo, peraltro pienamente confermata dal dibattito svoltosi nella VII Commissione, mi porta a sollevare una questione già emersa in Commissione trasporti.
Questo disegno di legge è stato assegnato in sede referente alla sola VII Commissione, mentre alla Commissione trasporti è stato chiesto di esprimere un parere consultivo, di cui peraltro sono stato relatore. Ebbene, ho ragione di ritenere che vi sia stato in questa assegnazione un errore piuttosto grave, un'immotivata sottrazione di competenze alla Commissione trasporti. Almeno la previsione di un parere rafforzato, se non di un esame congiunto, sarebbe stata a mio avviso doverosa rispetto alle competenze della Commissione trasporti, così come sono state definite - non mi risulta siano mutate - all'inizio della scorsa legislatura.
Ritorno però al merito del provvedimento in esame. Positiva per la trasparenza e l'efficienza del mercato è la statuizione Pag. 119che prevede procedure e titoli distinti per ciascuna piattaforma e positivo è almeno uno dei tre divieti previsti tra i criteri della delega. Mi riferisco al divieto di partecipare a procedure relative a piattaforme per le quali non si dispone di titoli abilitativi alla diffusione diretta. Questa misura pare infatti idonea ad evitare che uno o più soggetti forti possano disporre di vere e proprie esclusive su più piattaforme, anche quelle su cui essi non possono diffondere i contenuti, come è accaduto in passato, dando così luogo a fenomeni di pura intermediazione.
Presentano aspetti di maggiore criticità il secondo e il terzo divieto posti dalla legge, vale a dire il divieto di sublicenziare e quello di vendere in tutto o in parte le licenze acquisite. Questi divieti, infatti, mi sembra non disincentivino, anzi forse addirittura, per certi aspetti, in parte incentivano possibili situazioni di monopolio all'interno di singole piattaforme su diritti che hanno grande valore per la raccolta pubblicitaria.
Ma vi sono ulteriori aspetti di criticità. Mi riferisco al fatto che ovviamente non è previsto un obbligo per i soggetti che acquisiscono i diritti nelle diverse piattaforme ad utilizzarli, cioè a diffondere effettivamente i contenuti. È successo così, ad esempio, in passato con i diritti relativi al calcio di serie B in capo alla RAI. Essa ha acquisito i diritti, ma molte partite non le ha mai trasmesse, bloccando al contempo le emittenti locali, che logicamente avrebbero potuto avere un diverso e superiore interesse a trasmetterle.
A questo riguardo, probabilmente sarebbe opportuno che il soggetto organizzatore della competizione provvedesse, all'interno di ogni piattaforma, a «spacchettare» il più possibile i diritti degli eventi sportivi, naturalmente entro certi limiti, perché ci rendiamo anche conto che per monetizzare e avere il maggior reddito dalla vendita dei diritti una certa parte di esclusiva è necessaria.
Si pone poi il problema di eventuali soggetti che, con riferimento allo stesso evento sportivo, acquisiscono diritti su più piattaforme, a cui siano abilitati. In questo caso la scelta eventuale di diffonderli su una piattaforma piuttosto che sull'altra può comportare una scelta distorsiva della concorrenza tra le diverse piattaforme nella conquista degli ascolti e questo, per lo sviluppo delle piattaforme emergenti, può essere un grave limite, posto magari da concorrenti che abbiano interesse a che una certa piattaforma non si sviluppi, si sviluppi meno o con ritardo.
Esiste infine la questione delle piattaforme, in particolare il digitale satellitare, su cui opera un solo operatore e in cui quindi, con la posizione dei divieti ricordati, si confronteranno prevedibilmente un unico venditore ed un unico possibile compratore, con effetti negativi forse anche per gli stessi contitolari dei diritti.
Vero è che la questione di come incentivare una pluralità di soggetti operatori su di una piattaforma non può essere demandata ad una legge sui diritti sportivi, così com'è vero che la società monopolista in questione ha forti limiti antitrust posti dalla Comunità europea. Ma certo un aspetto di criticità anche in questo si riscontra.
Infine, la Commissione cultura in sede referente ha da ultimo preposto la congiunzione coordinante «anche» alla posizione dei tre divieti da parte del Governo nell'esercizio della delega. Ciò ha introdotto una forte discrezionalità al soggetto delegato in ordine alla posizione di questi divieti e anche qualche incertezza interpretativa. Infatti, secondo la lingua italiana, l'articolo risultante potrebbe imporre al Governo la statuizione dei tre divieti come requisito minimo, non escludendo altre misure, oppure come eventualità lasciata alla discrezionalità del Governo. Francamente, questa incertezza interpretativa non mi sembra positiva in ordine ad una questione così delicata nell'ambito del disegno di legge.
Per tutte queste considerazioni il gruppo della Rosa nel Pugno, nel preannunciare il voto favorevole su questo disegno di legge, non può che raccomandare al Governo, in sede di esercizio della delega legislativa e nel pieno rispetto della stessa, di valutare con prudenza gli ambiti Pag. 120di discrezionalità che la legge lascia, magari in stretta consultazione con i diversi operatori del mercato, nonché con i contitolari dei diritti sportivi, cercando di privilegiare la competitività del mercato tra i diversi operatori e, naturalmente, nel supremo interesse dei cittadini consumatori e dei telespettatori, in questo caso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, a mio avviso il provvedimento in esame è di particolare importanza; pertanto mi vorrei soffermare su due punti specifici che mi hanno colpito.
Il primo aspetto è costituito dalla trattativa collettiva e non più individuale per quanto riguarda i diritti delle diverse squadre. Si tratta di un elemento positivo, in quanto dai profitti televisivi dovrebbero trarre beneficio tutte le squadre di calcio e non solamente i club più prestigiosi. Occorre, pertanto, che i proventi derivanti dalla vendita dei diritti sportivi siano reinvestiti nello sviluppo del calcio e dello sport giovanile. Non mi riferisco soltanto allo sport considerato come competizione; piuttosto penso all'educazione sportiva, che serve alla formazione dei giovani, alla diffusione dei valori etici nonché alla valorizzazione dei principi di tolleranza e di solidarietà.
Se oggi nelle scuole d'Italia si registrano episodi di bullismo, ciò è dovuto anche alla mancanza di investimento in strutture sportive e ricreative che tanto servono allo sviluppo del carattere. In tale contesto vorrei porgere un saluto ai giovani di Scampia, di Locri, di Napoli e via dicendo che, nonostante la mancanza nei loro territori di strutture sportive ed educative adeguate, stanno fornendo una lezione di rettitudine morale e di dignità a tutto il paese. Quindi, a mio avviso, il provvedimento in esame tende a riconoscere anche più mezzi positivi a chi vuole combattere la mafia, la 'ndrangheta e la camorra.
Il secondo aspetto è particolarmente importante in quanto sono un deputato eletto all'estero. In questo testo viene recepito un mio emendamento - presentato in Commissione cultura insieme ai colleghi Poletti e Razzi - in base al quale l'utente televisivo viene definito e specificato come quello residente in Italia e all'estero. Devo dire, con dispiacere, che vi sono ancora alcuni colleghi che non riescono a capire che i connazionali all'estero hanno pari diritti e pari doveri degli italiani residenti in Italia. L'ultima «sparata» è stata quella del senatore Tomassini che ha definito noi eletti all'estero - cito verbatim - come «soldati di ventura che vengono dall'estero e che si vendono per due o tre emendamenti». Quindi, dobbiamo stare anche attenti nella nostra attività emendativa, altrimenti diveniamo dei mercenari! È ovvio che questo luminare della politica non ha la minima idea di cosa significhi vivere all'estero e di quello che ciò comporta.
Tra le varie questioni vi è anche l'oscuramento, da parte della RAI, dei programmi sportivi e culturali. Evidentemente, non si tratta di un problema di vita o di morte, ma è un problema molto sentito dalla comunità italiana all'estero. Chi vive in Italia non ha la minima idea di cosa significhi ciò, in quanto nelle vostre città la RAI non vi oscura le parate di Buffon, i gol di Grosso o le testate di Zidane. Noi italiani all'estero, invece, siamo condannati da anni a vedere uno schermo grigio, magari anche per 13 ore di fila.
Visto che, come tanti italiani all'estero, vivo tale problematica sulla mia pelle, ripropongo l'emendamento già accolto dalla Commissione cultura anche all'articolo 1, comma 2, lettera e), del disegno di legge in esame.
Così facendo, si rafforzerà il concetto legale di utente televisivo inteso come utente sia in Italia sia all'estero; inoltre, darò anche un ulteriore motivo al senatore Tomassini per apostrofarmi come un soldato di ventura venduto venuto dall'estero. Una bella allitterazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guadagno. Ne ha facoltà.
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WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Signor Presidente, Governo, colleghe e colleghi deputati, il disegno di legge che rivede la disciplina sulla titolarità e sul mercato dei diritti televisivi nasce dall'esigenza di porci una domanda: qual è il modello di società in cui vogliamo vivere? Una società di baroni e privilegi, di ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, in un mondo diviso tra opulenza e miseria, la miseria dei tanti sud del mondo - anche quello italiano - ma anche delle periferie del nord? Una società composta da caste, dove solo qualcuno, in genere un'esigua minoranza, si arroga il diritto di avere più potere degli altri e, anzi, vuole che il suo potere si accresca? Dove solo qualcuno si arroga il diritto di concentrare risorse economiche a scapito degli altri, della maggioranza?
È evidente a tutti che la vendita individuale dei diritti TV consentita dai precedenti decreti-legge del 1999 ha creato uno squilibrio enorme con alcune, note, poche squadre che, facendo leva sul maggiore potere contrattuale, hanno di fatto relegato ad un ruolo di marginalità economica tutte le altre, quelle considerate provinciali. Tre grandi squadre del nord, due squadre della capitale e nessuna squadra del sud hanno potuto incassare introiti - lo ricordava il deputato Li Causi - superiori anche di dieci volte rispetto ai guadagni ottenuti dalle altre squadre che, per l'appunto, si sono dovute accontentare degli spiccioli. Certo, spiccioli non di Stato, non soldi pubblici, come ha ricordato il deputato Garagnani, ma pur sempre spiccioli.
Già con l'indagine conoscitiva svolta dal Parlamento nella scorsa legislatura, come è stato ribadito in occasione delle numerose audizioni degli operatori del settore in Commissione cultura, si è appurato che le entrate del calcio italiano, dal 50 all'80 per cento, derivano, per i grandi club, dai diritti TV mentre, purtroppo, solo per il 10-15 per cento risultano dalla vendita dei biglietti e per il resto da sponsorizzazioni e merchandising. Il sistema di oligopolio a favore solo di pochi club - quelli che, non a caso, dal 1999 ad oggi, hanno vinto i campionati - consente solo a questi ultimi un potere di acquisto sul mercato dei calciatori; infatti, nonostante vi sia una tendenza ad una lieve diminuzione dei compensi dei calciatori della serie A, come risulta da una recente inchiesta dell'ufficio studi della Lega calcio, oggi i calciatori più pagati appartengono alle squadre che si sono trovate in questa posizione avvantaggiata dalla contrattazione individuale. Kaka, che con il Milan guadagna più di cinque milioni di euro netti a stagione, Ibrahimovic, Crespo e Vieira che con l'Inter sfiorano i 6 (come Totti con la Roma). La Juve, che dalla serie A, per le note vicende di «calciopoli», è passata alla serie B, fa guadagnare a calciatori del calibro di Buffon e Del Piero cifre intorno ai 5 milioni di euro.
Questo mio indugiare sui compensi alti non è un giudizio morale sulla loro entità; è piuttosto la constatazione che solo chi si prende le fette più grandi della ripartizione della torta dei diritti TV può permettersi giocatori di questo calibro e di questa bravura e che in definitiva i cartelli economici dominanti strangolano, di fatto, la concorrenza.
La contrattazione individuale è l'oppio del calcio. Anche l'ex Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha definito i diritti vigenti TV «una droga». Nel luglio 2004 dichiarò che tutto lo sport «ha il dovere di guardare agli effetti dei propri comportamenti sui cittadini»; il calcio richiede una «rigenerazione morale» senza la quale i diritti TV «rischiano di essere una droga che uccide il calcio italiano». L'unica droga, potremmo aggiungere, per la quale la scorsa legislatura non ha previsto né sanzioni né carcere né modica quantità.
Il calcio, dunque, risulta inquinato nella sua capacità competitiva da uno squilibrio economico, che rende meno appetibile, più prevedibile, meno spettacolare e più scontato l'esito delle partite. È come se venisse invitato qualcuno a vedere un film di cui sa già il finale. L'incertezza del risultato delle partite è il vero batticuore dei tifosi, l'incentivo ad andare negli stadi. Infatti, il calcio - purtroppo - sta registrando Pag. 122un calo degli spettatori e credo che anche la prevedibilità sia una concausa del fatto che molti preferiscono poltrire davanti alla TV, anziché andare negli stadi. Il calcio ha, dunque, minori introiti negli stadi e registra un diffuso malessere da parte delle tifoserie delle squadre che si sentono «figli di un dio minore». A volte, questo malessere sfocia in episodi di violenza, che non si combattono solo con la repressione, con il biglietto nominale, con la criminalizzazione delle tifoserie, con la militarizzazione degli stadi, ma estirpando alla radice le cause del virus del sospetto, del sospetto che vi è qualcosa che non va, sospetto reso ancora più forte e pericoloso dallo scandalo di «calciopoli», che non può essere considerato amnistiato dalla bella vittoria dell'Italia ai mondiali.
La giustizia sportiva si occupa degli effetti, ma la politica deve occuparsi delle cause. La politica ha il compito di dare alla Lega calcio ed alla Federcalcio principi da seguire. Più soldi, è stato ricordato, vogliono dire risultati sportivi migliori e maggiori, risultati sportivi migliori vogliono dire più audience e più profitti, in un sistema calcio che, più che essere uno sport, diventa sempre più una macchina di profitto; dove vi sono più soldi è più facile il conflitto di interessi, la confusione tra controllati e controllori, in cui i presidenti dei club considerano la sconfitta in una partita più che come una delusione per i tifosi, come una perdita economica. In un sistema così concepito, la corruzione, il non far partire le partite «zero a zero», il non giocare sul campo, ma su un cellulare che ha campo trovano terreno fertile. Da questo punto di vista, vi è l'impegno della nostra Commissione, a livello anche trasversale, a mettere in discussione la quotazione sul mercato delle società calcistiche, ora Spa.
Il corto circuito «calcio uguale business» non è solo causa di doping amministrativi, di indebitamenti, ma anche di doping veri e propri, quando il calciatore, come è stato ricordato dal presidente della Commissione Folena, viene considerato un corpo da spremere per ottenere il massimo della rendita, anche al di là delle capacità fisiche, con l'assunzione di sostanze, come gli anabolizzanti, che certo danno ottimi risultati sul piano del profitto (non solo nel calcio, per la verità); ma nel momento in cui termina l'uso-abuso di tali sostanze, si ricade in un precipizio dove il fisico, ma soprattutto la mente, ne risentono, compromettendo irreparabilmente il ciclo di metabolismo di un normale sviluppo. L'unica regola che vale per il calcio «drogato» è solo l'interesse di mercato: è il machiavellico «il fine giustifica i mezzi». Il problema della tutela della salute del calciatore-lavoratore è un problema di forte attualità in un paese che registra troppe morti sul lavoro.
Quando parliamo di diritti TV lo facciamo solo per un'economia terminologica. In realtà, in questo provvedimento si comprendono anche i diritti derivanti da tutte le piattaforme attualmente esistenti e, considerata una velocissima innovazione tecnologica, da quelle future: il digitale satellitare, il digitale terrestre, il via cavo, il mobile broadcasting, il via UMTS, il via Internet o la banda larga. La delega riguarda anche i proventi derivanti dalla diretta integrale, dalla differita, dalla sintesi, dalla moviola e dai cosiddetti highlights.
Permettetemi di rivendicare alcuni segnali di discontinuità rispetto alla legislatura precedente, ovvero all'idea che vi era stata di non affrontare di petto le questioni, ma di farlo con provvedimenti una tantum, misure eccezionali - di favore, come è stato ricordato -, con il decreto «spalmadebiti», con un taglio di 450 milioni di euro al credito sportivo, mentre l'attuale disegno di legge finanziaria non solo non opera tagli nel settore sportivo, ma prevede un contributo di 33 milioni di euro, 18 dei quali destinati al CONI per preparare al meglio le Olimpiadi di Pechino.
Ma determinante fu la volontà di Forza Italia rispetto al tentativo ricordato, per iniziativa del deputato di Alleanza Nazionale Ronchi, di cambiare la contrattazione da individuale a collettiva. Esso avrebbe potuto avere buon fine, in quanto c'erano Pag. 123i numeri, così come il tempo, ma, se non è stato fatto, un motivo deve pur esserci: probabilmente il solito problema del conflitto di interessi da parte di un partito il cui leader, a cui rivolgiamo tutti i migliori auguri di pronta guarigione, in questa occasione, più che parlare da capo di un Governo, parlava da presidente di una delle squadre che più hanno guadagnato nella contrattazione individuale.
Ricordiamo il giudizio dato da Berlusconi subito dopo anche il solo paventare una legge sulla contrattazione dei diritti TV a livello centralizzato, che definì una «arroganza anticostituzionale»; e teniamo a mente anche alcune dichiarazioni di Galliani, espresse recentemente, in senso contrario a questo disegno di legge.
Stesso conflitto che, questa volta, da proprietario Mediaset, ha portato al regalo fatto dall'ex ministro delle comunicazioni, Gasparri, sul digitale terrestre, con oltre tre anni di contributi pubblici: assistenzialismo al privato per favorire Mediaset, che ha usato il digitale terrestre come una pay tv, con l'invenzione della carta prepagata. Contributi pubblici, nostri, per spingere gli italiani ad acquistare il decoder interattivo (150 euro per ogni esemplare, poi ridotti a 70). Con il caso limite dello stesso polo televisivo che, nel passato, ha acquistato i diritti del calcio, anche per il satellite, pur non disponendo di una propria piattaforma.
L'Unione europea, infatti, ha lanciato una procedura di infrazione per incompatibilità con la normativa comunitaria della legge Gasparri sul riassetto del sistema TV, a scapito di nuovi operatori. Anche da questo punto di vista, il disegno di legge in discussione disciplina le piattaforme per evitare che soggetti operanti in posizione dominante sul mercato acquisiscano diritti per i quali non hanno le necessarie abilitazioni, inquinando le regole del mercato e della concorrenza e ponendo il divieto di sublicenziare i diritti acquisiti. Anche la durata dei contratti dovrà essere tale da evitare posizioni dominanti, così come espresso dalla Commissione europea, dall'Agcom (Autorità per le garanzie delle comunicazioni) e dall'Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato), distinguendo tra i contratti stipulati prima del 31 maggio 2006, per i quali non vale la regola della retroattività, mentre, invece, varranno le regole per le competizioni sportive che partono dal 1o luglio 2007.
Nel comma 2, lettera e) del disegno di legge, c'è l'impegno a garantire la libera concorrenza anche per la salvaguardia delle esigenze delle emittenze locali, anche queste considerate finora delle squadre minori in un sistema dualistico Rai-Mediaset, nella distribuzione delle risorse pubblicitarie e nel diritto di cronaca, diritto costituzionale all'informazione.
In Commissione cultura, si sono svolte numerose audizioni con la partecipazione di rappresentanti dell'emittenza locale radiotelevisiva, che hanno lamentato, ad esempio, oltre ai problemi per entrare negli stadi, anche l'obbligo di aspettare quattro ore dalla fine delle partite per poter esercitare il diritto di cronaca, che, soprattutto quando le partite si svolgono di sera, costringono ad orari impossibili di trasmissione.
Questo disegno di legge è coerente anche con le dichiarazioni del Consiglio europeo di Nizza del 2000, che considera la solidarietà, la lealtà, l'equilibrio economico come capisaldi di una sana competizione sportiva. Lo sport non è solo un'industria e non è solo business: dovrebbe essere interesse di tutte le squadre avere altre squadre che partono dallo stesso nastro di partenza. È chiaro che, da sempre, nella storia, in un campionato ci sono state squadre più forti di altre, ma - qui riporto le parole di Antonio Catricalà, presidente dell'Agcm, rese nel corso dell'audizione - con l'ingresso della contrattazione individuale dei diritti televisivi, le differenze si sono acuite in modo sproporzionato, al punto da mettere in crisi l'intero sistema.
Nella logica dello sport come attività agonistica, e non di cieca logica del business, abbiamo accolto anche una proposta emendativa presentata dall'opposizione (più in particolare, dai deputati Barbieri e Ciocchetti, del gruppo dell'UDC) per cambiare Pag. 124la definizione di chi ama e segue lo sport da «consumatore» a «utente».
La ripartizione dei diritti televisivi assegna, in modo spontaneo o altrimenti obbligato, una quota uguale a tutte le squadre; le restanti risorse sono ripartite in base al bacino d'utenza ed ai risultati conseguiti, mentre una quota residua è destinata a fini di mutualità generale del sistema sportivo.
Credo che uno sport più bello sarebbe, però, anche quello in cui le risorse economiche non vengano spese dalle società solo per l'acquisto dei giocatori o, peggio ancora, solo per tenerli in panchina, congelandoli, pur di non farli giocare in altre squadre. Le risorse, infatti, dovrebbero essere usate anche, ad esempio, per il riscaldamento degli stadi, per la manutenzione degli impianti e per la valorizzazione dei vivai.
Si rende, dunque, necessario un controllo del bilancio delle squadre, per accertarsi della copertura delle somme elargite per il calcio mercato. Non bisogna usare, infatti, l'annuncio infondato dell'acquisto di un calciatore per vendere le azioni e, poi, lasciare con un palmo di naso gli azionisti ingannati!
Il partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea esprime un giudizio positivo sul disegno di legge in esame, per il quale la delega è, semplicemente, un mezzo necessario per rendere il calcio uno sport esemplare, un modello per i giovani ed uno strumento contro il disagio giovanile.
Il calcio italiano è un'immagine molto forte dell'Italia all'estero, e chi ama il paese in cui vive desidera che anche all'estero si parli più del gioco giocato che di quello trattato nelle aule giudiziarie. Il calcio non è solo affare privato: infatti, è emulato dai ragazzi, dai bambini che giocano nei campi e per le strade con un pallone e scarpe da ginnastica, per chi può permetterselo, o nelle bidonville africane con scarpe di plastica e palloni ottenuti con materiale povero.
Il calcio è la disciplina sportiva più seguita e partecipata, è il senso comune, anche se ciò deve spingerci non alla monocultura del calcio, ma a ricordare anche tutte le altre discipline, comprese quelle femminili, che ci hanno dato tanta soddisfazione. Occorre permettere che le televisioni possano avere la libertà di trasmettere, anche in contemporanea con le partite di calcio, le gare di altre discipline nei palinsesti televisivi.
Il calciatore Rino Gattuso, anche se gioca in una squadra colpita da «calciopoli», è una delle persone maggiormente impegnate nell'aiuto ai ragazzi disagiati, per offrire loro una chance con il calcio. Non dobbiamo permettere che anche l'oligopolio nel calcio faccia risolvere «a tarallucci e vino», come ha affermato lo stesso Gattuso, il problema della corruzione e dello squilibrio economico.
Concludo, signor Presidente. Quando si è eticamente e politicamente responsabili, si ha la faccia pulita per chiedere lealtà, solidarietà e spettacolarità alle partite di calcio, nonché per insegnare che l'avversario non è un nemico e che il colore della pelle di un calciatore non può essere motivo di insulto negli stadi.
Bisogna dimostrare che il calcio, come ha scritto Gianni Mura su la Repubblica, non deve essere fiero delle sue malattie, ma ha l'obbligo di estirpare il male vero: il mercatismo, la prepotenza ed il bullismo del profitto (Applausi)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, vi sono molte buone ragioni per sostenere il disegno di legge che delega al Governo la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti televisivi.
Non vi è dubbio, infatti, che le note e tristi vicende che, giornalisticamente, vengono chiamate «calciopoli» abbiano dato una spinta non indifferente alla definizione di nuove regole, anche se credo che, in ogni caso, vi sarebbe stato bisogno di varare una nuova disciplina in materia.
Viviamo, si sa, in una società che, spesso, fa del mercato il metro di misura Pag. 125delle attività; ma quando si entra nel campo dello sport - il quale, per antonomasia, dovrebbe fondarsi sulla libera competizione delle capacità, e non dei profitti -, si assiste ad uno snaturamento del valore sociale dello sport.
Ciò che è accaduto nel mondo del calcio non può essere cinicamente annoverato nella ben nota «questione morale», poiché è successo qualcosa di più e di diverso. Infatti, per numerosi cittadini si è trattato della rottura di un sogno (quello della pulizia dello sport); per molti giovani è stata la caduta dell'illusione di un tifo appassionato e senza interessi; per il nostro paese, si è trattato di un danno internazionale in termini di immagine e di prestigio, essendo stato umiliato, ancora una volta, da intercettazioni, mazzette, corruzioni ed accordi sottobanco di controllori e controllati.
Dunque, la prima domanda alla quale rispondere è se sia possibile, almeno nel calcio, un'autoriforma del sistema. La legge inizia a dare alcune risposte ricollocando la materia nel contesto europeo attraverso il riconoscimento del carattere sociale dell'attività sportiva e della specificità del fenomeno sportivo secondo quanto affermato nella dichiarazione del Consiglio europeo di Nizza del 2000. Si specifica la necessità di assicurare una tutela relativa agli eventi sportivi per gli utenti dei prodotti audiovisivi e ciò è significativo per due motivi: il primo è che si parla di utente e non più di consumatore, accentuando il carattere di servizio rispetto a quello di prodotto commerciale; il secondo attiene alla tutela dei minori e all'importanza che ha per i ragazzi lo sport come fenomeno formativo ed emulativo, volto ad educare alla non violenza, alla fatica della conquista, al riconoscimento delle proprie forze e dei propri limiti, all'idea che l'avversario non è un nemico, alla competizione pulita e all'onestà, all'importanza delle regole per convivere. Non è poco per una società come la nostra, in cui troppo spesso il messaggio che si veicola è quello del successo facile, delle regole come impaccio-impiccio per il raggiungimento per il proprio scopo, della furbizia come indice di potere, del denaro come misura di tutte le cose, della clientela che vince sul merito.
Sono obiettivi di civiltà sociale, che devono riguardare tutti gli attori del sistema, le istituzioni, le società, la Lega calcio, le altre discipline sportive e il mondo della comunicazione nel suo insieme. Lo dico perché sono convinta che questa funzione non possa essere solo del servizio pubblico radiotelevisivo, e perché credo che vi sia una funzione pubblica di tutta la comunicazione, ancora di più oggi nell'era della convergenza multimediale. È chiaro, perciò, che garantire l'equilibrio competitivo dei soggetti partecipanti alle competizioni sportive è un tutt'uno con l'obiettivo di realizzare un sistema idoneo a garantire trasparenza ed efficienza del mercato dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi. Entrambi gli obiettivi concorrono a restituire allo sport la sua vocazione sociale originaria. Da questo punto di vista ritengo importante la scelta, presente nel disegno di legge, di destinare una quota delle risorse alla mutualità generale del sistema, anche attraverso regole che potranno essere determinate dal soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva, favorendo così una possibilità di autorganizzazione del settore, e che la ripartizione delle risorse per la mutualità valorizzi ed incentivi le categorie inferiori e lo sviluppo del settore giovanile.
La seconda domanda a cui il disegno di legge risponde è relativa alla concorrenza e alle pari opportunità di gara per tutte le società sportive. Il rapporto indipendente sul calcio europeo, già citato dal relatore, segnala la necessità di approfondire i temi del governo del calcio ed il ruolo delle autorità indipendenti, il controllo sulle società calcistiche, la fissazione di un limite alle spese, la disciplina dell'attività degli agenti dei calciatori e dei trasferimenti, la distribuzione dei ricavi e lo sviluppo del movimento di base, gli investimenti per stadi sicuri. Tra le misure rivolte a garantire l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, il rapporto individua la redistribuzione Pag. 126delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali e propone l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza. La stessa Commissione europea, del resto, ha deliberato nel 2003, nel 2005 e nel corrente anno, riconoscendo che i club calcistici sono avvantaggiati dalla vendita dei diritti commerciali tramite un punto unico e che pertanto gli eventuali effetti negativi derivanti dall'accordo comune di vendita sono controbilanciati dalla maggiore quantità di contenuti resi disponibili per una più ampia distribuzione, promuovendo così il progresso tecnico ed economico dei contenuti mediatici stessi e dei nuovi vettori mediatici che li distribuiscono.
Il disegno di legge in esame, dunque, altro non fa che portare l'Italia in Europa. Il percorso non è semplice, poiché si tratta di mettere mano ad una materia che, per la parte relativa alle tecnologie e alle piattaforme, è in fase di veloce evoluzione e, dunque, si tratta di normare con la necessaria flessibilità rispetto al concetto di posizione dominante, di rispetto delle disciplina antitrust, di libera concorrenza, tenendo conto della fase di transizione dall'analogico al digitale e dell'avvento delle piattaforme emergenti, per le quali, correttamente, si prevede un successivo adeguamento normativo.
Sta di fatto, comunque, che la scelta di fondo - di ridefinire la vendita dei diritti televisivi non più sulla base della vendita individuale, ma centralizzata - rappresenta un'innovazione di sistema che tende a riequilibrare la distribuzione delle risorse e, nel contempo, pone rimedio alle disuguaglianze fra società prodotte dalla vendita individuale. Insomma, si è trattato di un'evidente disparità economica e, quindi, anche tecnica fra società, a cui si rimedia con una rinnovata idea di mutualità.
Ma la commercializzazione in forma centralizzata dei diritti porta con sé conseguenze importanti anche sul piano della definizione, nel nostro paese sempre assai difficile, della libera concorrenza tra gli operatori della comunicazione, della realizzazione di un sistema equilibrato dell'offerta televisiva in chiaro ed a pagamento e della salvaguardia delle emittenze locali.
I criteri mi appaiono chiari: garanzia di accesso e pari trattamento a tutti gli operatori in possesso dei titoli abilitativi; commercializzazione per singola piattaforma; divieto di acquisire diritti relativi a piattaforme per le quali non si possiede il titolo abilitativo; divieto di sublicenziare i diritti acquisiti; divieto di cedere i relativi contratti di licenza. Non è poco in un paese che ha, a tutt'oggi, una normativa assai incerta sulle concentrazioni e le posizioni dominanti. Certo, penso che la normativa andrà adeguata per le piattaforme emergenti e, credo, più in generale, alla luce della prossima riforma del sistema delle telecomunicazioni. Del resto, l'equilibrio tra riforma ed autoriforma del sistema è la migliore garanzia per una legislazione flessibile, non invadente, ma ferma nei sui principi di fondo.
La convergenza multimediale cambia in profondità il modo stesso di intendere il mezzo, e modifica la percezione del contenuto e le modalità della sua fruizione. Si aprono grandi possibilità, per gli operatori della comunicazione e per gli utenti (che poi, alla fine, sono cittadini), di produrre, accedere, personalizzare l'informazione. Il disegno di legge in esame va in questa direzione: è un primo passo per una maggiore democrazia dell'accesso e della fruizione; è un passo decisivo per far vivere nella contemporaneità del nostro tempo quel valore antico e attuale dello sport come passione di tanti, perché emozionante, bello, pulito (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, il disegno di legge che stiamo esaminando deve essere valutato, a mio parere, nel contesto in cui è stato pensato ed elaborato. Questo principio deve precedere ed accompagnare la formazione di giudizi e Pag. 127di valutazioni da parte di chi, come noi, è chiamato all'assunzione di responsabilità pubbliche. Ciò deve avvenire in tutti i casi e, a maggior ragione, nel caso oggi all'esame dell'Assemblea.
Ho fatto questa premessa perché se, come fanno alcuni colleghi di maggioranza, dovessi esaminare il disegno di legge senza considerare il contesto in cui esso è nato, dovrei dire anch'io che, per certi versi, è inopportuno, perché potrebbe incidere sull'autonomia di imprese (perché tali devono essere considerate le società calcistiche da quando hanno acquisito il fine di lucro); che è inopportuno, perché potrebbe ledere l'autonomia dello sport, là dove prevede che il Governo, nell'esercizio della delega, possa sostituirsi alla Lega e definire direttamente la ripartizione delle risorse economiche e finanziarie assicurate dal mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione del pubblico in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica; che trascura la vera origine dei mali del calcio, che molti, in sede di indagine conoscitiva, hanno fatto risalire al perseguimento del fine di lucro da parte delle società sportive e addirittura alla loro quotazione in borsa in un contesto radicalmente diverso da quello spagnolo e soprattutto inglese, nel quale il patrimonio delle società non coincide quasi esclusivamente con il parco giocatori, ma anche con la proprietà di immobili e, spesso, degli stessi stadi.
Conosciamo tutti, però, la condizione di grave difficoltà del sistema calcistico italiano, consapevole, in tutte le sue componenti, della necessità di adottare meccanismi attraverso i quali ripartire in modo più congruo ed equo le risorse tra tutti i partecipanti al campionato di calcio di serie A e tra la massima divisione e la categoria inferiore.
Al tempo stesso, il sistema è incapace di dotarsi di regole nuove, idonee a rivalutare il principio di mutualità. Sappiamo anche che questa incapacità si è protratta anche successivamente all'approvazione unanime, nella scorsa legislatura, dei risultati dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, che pure avevano offerto al mondo del calcio l'occasione di dotarsi di sistemi di ripartizione delle risorse più equi e più trasparenti.
Conosciamo, infine, le conseguenze prodotte dai recenti scandali che hanno colpito il mondo del calcio professionistico, scandali che tradiscono, in modo non equivoco, l'urgente necessità di interventi idonei a ripristinare l'equilibrio nel sistema, un equilibrio violato da meccanismi che, ancora oggi, considerano prevalenti gli interessi della singola società calcistica (molto spesso i grandi club soltanto) rispetto all'interesse dell'intero mondo del calcio professionistico e, più in generale, dello sport nazionale.
È in questo contesto, che non esiterei a definire emergenziale, che matura l'iniziativa del Governo, finalizzata ad introdurre nel sistema alcuni semplici principi, tra i quali considero più significativi quello del superamento della vendita soggettiva dei diritti televisivi, e di comunicazione in genere, con l'affermazione del principio della commercializzazione in forma centralizzata dei medesimi diritti, e quello della equa ripartizione tra i soggetti partecipanti alle competizioni sportive delle corrispondenti risorse economiche e finanziarie, in modo da assicurare l'equilibrio competitivo di tali soggetti, secondo i criteri definiti al comma 3, lettera h), dunque con l'attribuzione in parti uguali di una quota prevalente delle risorse e l'attribuzione delle restanti risorse al soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva.
È un disegno di legge che la Commissione ed il presidente Folena nella veste di relatore, con il consenso del Governo, hanno saputo profondamente modificare, soprattutto con l'intervento apportato al comma 3, lettera h), per effetto del quale, oggi, è il soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva, e non necessariamente il Governo con l'esercizio della delega, che può autonomamente intervenire per definire un sistema di regole applicative dei criteri di ripartizione dei proventi, stabiliti nella medesima lettera h).Pag. 128
Il senso di questa modifica risulterà ancora più chiaro e rafforzato con l'auspicata approvazione di un ordine del giorno che stiamo predisponendo e che risulterà particolarmente incisivo, proprio perché assunto nel contesto di una legge delega. L'ordine del giorno, se approvato, impegnerà formalmente il Governo a tenere conto, nell'esercizio della delega, delle decisioni che, nel frattempo, potranno essere assunte autonomamente dalla Lega nazionale professionisti in tema di distribuzione delle risorse economiche, sempre che detta decisione rispetti i principi ed i criteri determinati dalla legge delega medesima.
Non vi è, quindi (e questo è importante), la rinuncia da parte del centrosinistra ad intervenire, riconsiderando le disposizioni legislative che hanno introdotto il fine di lucro nelle società calcistiche o, addirittura, la loro quotazione in borsa, come sollecitato da alcuni emendamenti di colleghi del centrodestra. Non vi è neppure il rischio di intervento dirigista dello Stato, lesivo dell'autonomia dello sport, come concretamente dimostrato dal consenso espresso dal Governo sull'emendamento che restituisce, sia pure entro determinati limiti di tempo, alla Lega la prerogativa di definire le regole attraverso le quali attuare i criteri distributivi dei proventi dalla vendita di diritti televisivi. Vi è, semplicemente, l'urgenza e la necessità di operare un intervento che costituisca un punto di incontro tra l'esigenza di rispettare l'autonomia del mondo del calcio e l'esigenza di operare interventi condivisi da tutti ed ormai non più rinviabili (mi riferisco alla commercializzazione in forma centralizzata dei diritti televisivi e soprattutto all'introduzione di principi di mutualità) con la consapevolezza delle difficoltà di autoriformarsi, che il sistema fino ad oggi ha manifestato.
Personalmente, ritengo che il Parlamento sia sulla buona strada sia per il contenuto del disegno di legge in esame sia per le dichiarazioni impegnative che, in molti, abbiamo reso in Commissione, in ordine alla condivisione dei più significativi suggerimenti contenuti negli emendamenti presentati dai colleghi del centrodestra e dall'esigenza, però, che questi suggerimenti si trasformino in autonoma iniziativa legislativa di riforma del sistema.
Il successo del nostro lavoro sarà compiutamente valutabile nei prossimi mesi e sarà in parte legato, proprio per la natura degli argomenti trattati, all'approccio, rispetto all'intera riforma del sistema che dovremo completare, che avranno anche i colleghi della minoranza, approccio che, per quanto ovviamente critico e diverso dal nostro, mi è parso comunque, fino ad oggi, non strumentale, collaborativo e, a tratti, anche propositivo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciocchetti. Ne ha facoltà.
LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, relatore, un dibattito come questo meritava un orario diverso da quello in cui siamo stati confinati, ma avremo modo, spero, durante l'esame degli emendamenti e nelle dichiarazioni di voto, di discutere in un orario più decente. Speravo anche che si potesse arrivare a discutere un testo condiviso su un tema che, almeno per quanto riguarda il concetto della gestione dei diritti centralizzati, è sostenuto sia dal centrosinistra che dal centrodestra. La questione centrale era quella di superare la legge del 1999, più volte richiamata da chi mi ha preceduto, e tornare ad una gestione centralizzata dei diritti.
Non voglio fare dietrologia né ripercorrere la storia che nel 1999 portò l'allora Governo di centrosinistra ad approvare un decreto-legge, adottato nel corso di una notte, che cambiò un meccanismo fino a quel momento funzionale, prima nel rapporto diretto con la RAI e successivamente con gli altri soggetti e le altre piattaforme, anche in rapporto all'evoluzione tecnologica che nel settore della radiotelevisione si è avuta (e si avrà) nel corso del tempo. Voglio ricordare che nel dossier predisposto dagli uffici della Camera è contenuta in modo evidente la discussione sviluppatasi per circa cinque anni all'interno della Pag. 129Lega calcio e delle società, non solo di quelle grandi. Qui sta il punto di alcune contraddizioni emerse nel corso del dibattito di questa sera, soprattutto negli interventi di alcuni colleghi del centrosinistra. Essi infatti hanno affermato che il sistema attuale è stato voluto ed ha favorito soltanto le grandi società. Invece, se ricordiamo quanto avvenuto prima del 1999, si vedrà che le prime società a stipulare contratti soggettivi, prima della legge approvata dal governo D'Alema, dove il ministro Melandri all'epoca deteneva il dicastero dei beni culturali con delega ad affrontare le questioni relative allo sport, furono nel 1998 l'Empoli, il Bologna, il Cagliari, il Torino e il Bari. Certamente esse si mossero insieme al Milan, alla Juventus, all'Inter e al Napoli. Tuttavia, nella lista erano presenti anche società non considerate fra le grandi «tre sorelle», cui vanno aggiunte le due «sorelline», come possono essere considerate Roma e Lazio.
Insomma, si tratta di una questione complessa così come è complesso l'approdo che nel 1996 portò alla modifica sostanziale della natura giuridica delle società di calcio. Mi riferisco alla trasformazione da società senza scopo di lucro in società con scopo di lucro e poi in società per azioni con addirittura la possibilità di quotarsi in borsa. Si tratta di un tema centrale, a mio avviso più importante della gestione dei diritti televisivi perché ha stravolto la natura giuridica delle società di calcio nel nostro paese, innestandola in un meccanismo di impresa non propriamente riferibile a tali realtà per il tipo di attività e di patrimonio che esse hanno a disposizione in Italia. Dato che qualcuno ha parlato in modo semplicistico di stadi di proprietà, voglio ricordare che gli stadi delle società di calcio - con l'eccezione dello stadio Olimpico di Roma, di proprietà del CONI - appartengono tutti alle amministrazioni comunali che in qualche caso (vedi Terni) ne vietano la disponibilità alla squadra della città (nella fattispecie la Ternana). In proposito esiste un contenzioso innanzi al TAR e al Consiglio di Stato tra la società di calcio della Ternana ed il comune di Terni. Credo che sia opportuno ricordare tutto questo ai vostri sindaci e ai vostri amministratori che governano l'80 per cento dei comuni di questo paese.
A mio avviso la questione della legge n. 91 del 1981 va affrontata, ma non sono d'accordo con il collega Bono sul fatto che ciò avvenga all'interno di questo provvedimento. Infatti, serve un intervento legislativo che modifichi quella legge e che soprattutto intervenga su una situazione giuridica compromessa.
Va individuata quindi anche una soluzione in grado di ridefinire lo status giuridico delle società di calcio professionistiche, e di prevedere un meccanismo che consenta di fare un delisting della quotazione in borsa, sia pure con un provvedimento che c'entra poco con la questione al nostro esame.
Entrando nel merito del testo licenziato dalla Commissione, esprimo apprezzamento per il lavoro svolto dal relatore, che ha tenuto in considerazione il dibattito svoltosi in quella sede.
Rispetto al testo presentato dal Governo, in quello della Commissione vi è una maggiore attenzione all'autonomia dello sport che, a mio avviso, non è però sufficiente: vi è comunque una linea di tendenza che rafforza e riconosce quell'autonomia su cui il testo del Governo, totalmente dirigista e ideologico, andava ad incidere pesantemente. L'autonomia dello sport è stata richiamata nel dibattito di oggi, così come lo sono state alcune disposizioni internazionali, quali ad esempio i Trattati di Nizza e di Maastricht, nei quali l'autonomia dello sport è riconosciuta, appunto, a livello europeo e internazionale.
Nell'originaria formulazione del Governo si interveniva in maniera pesante, definendo le percentuali in maniera precisa e specifica, quasi come se il Governo dovesse destinare i fondi pubblici alle società di calcio. Stiamo parlando di soldi privati legati a trattative o all'esercizio di un'attività, che spettano a chi organizza il campionato di calcio e alle società che vi partecipano. Occorre quindi lasciare allo Pag. 130sport una forte autonomia, tale da consentirgli di determinare le condizioni di ripartizione delle risorse.
Ritengo che questa sia una delle questioni su cui si è fatto qualche passo in avanti, grazie al lavoro svolto dal relatore e all'emendamento presentato dal collega Costantini in Commissione. Se però alla lettera h) del comma 3 la parola «anche» fosse stata sostituita da «prioritariamente», ciò avrebbe consentito a noi di modificare la nostra posizione di voto sul disegno di legge in esame. La parola «anche» costituisce certamente un passo in avanti e mi riferisco al punto in cui, alla lettera h) del comma 3 dell'articolo unico, si dice: «anche attraverso regole che possono essere determinate dal soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva». Dal punto di vista giuridico, l'utilizzo della parola «anche» lascia chiaramente aperte varie interpretazioni e tempi diversi nella possibilità di esercitare la delega da parte del Governo.
Spero ancora che da parte del relatore, della maggioranza e del Governo possa esservi un intervento con piccole modifiche che consentirebbero di conservare l'assetto che avete costruito, fissando al contempo alcuni capisaldi, quali ad esempio il rispetto dell'autonomia dello sport, per lasciare alla Lega calcio (soggetto che organizza il campionato di calcio) la determinazione al proprio interno e al Governo la possibilità di intervenire nel caso in cui la Lega non dovesse svolgere quel ruolo e venisse meno a quell'adempimento.
L'altro punto su cui non siamo d'accordo è quello previsto al punto d) del comma 3, laddove, in maniera dirigistica, si specifica quali siano i modelli di gara che debbono essere predisposti dal soggetto organizzatore del campionato di calcio, anche attraverso la «disciplina della commercializzazione in forma centralizzata dei diritti di cui al comma 1 sul mercato nazionale anche attraverso divieti di acquistare diritti relativi a piattaforme...»
Noi abbiamo cercato di spiegare in Commissione, anche presentando degli emendamenti, che nel nostro modello dello Stato - credo che su questo ci dovrebbe essere un accordo condiviso, che va al di là degli schieramenti e delle coalizioni - vi sono una serie di autorità, che peraltro abbiamo anche audito in Commissione: parlo dell'Autorità per la concorrenza e dell'Autorità per le comunicazioni, che hanno una competenza nel regolare tali questioni. Quindi sinceramente non capisco perché una legge debba intervenire in maniera dirigistica, per definire quali sono le piattaforme, anche perché questo è un settore in continua evoluzione.
Noi dunque dobbiamo predisporre necessariamente una normativa flessibile, in modo tale che, se nei prossimi anni ci saranno delle nuove piattaforme tecnologiche, dei nuovi strumenti di supporto che la Lega calcio, che le società di calcio, che il mondo complessivo dello sport potranno utilizzare per commercializzare le proprie partite e la propria attività, sia possibile prenderle in considerazione non necessariamente attraverso una modifica della legge, bensì attraverso delle autorità di garanzia e controllo - d'altronde sono state create apposta - che possano nel tempo, in modo flessibile, garantire il rispetto sia delle autonomie sia della concorrenza, nonché impedire la creazione di posizioni dominanti ed al tempo stesso regolare il sistema.
Quello al nostro esame, invece, non è il modo per regolare il sistema. Questo è il modo per decidere per legge, o successivamente per decreto legislativo da parte del Governo, cosa si può fare e cosa invece non si può fare. Noi su questi due punti non siamo d'accordo ed essi ci porteranno, se non verranno affrontati nel dibattito, a votare contro. Spero ci siano ancora le condizioni per trovare una mediazione, perché non è piacevole votare contro una normativa rispetto alla quale nutriamo fiducia e con riferimento alla quale per primi abbiamo presentato in questa legislatura una proposta di legge, una normativa, peraltro, che ha visto il nostro gruppo impegnato anche nella passata legislatura per arrivare ad approvare - ma Pag. 131purtroppo non è stato possibile - un provvedimento specifico al riguardo. Spero quindi ci siano le condizioni per poter intervenire.
Credo inoltre sia giusto esprimere alcune considerazioni - avviandomi alla conclusione, vista l'ora - sull'attuale situazione degli strumenti e delle piattaforme esistenti. Oggi nel settore della gestione dei diritti televisivi, e cioè della possibilità per l'utente di assistere allo spettacolo del calcio e quindi di vedere le partite, c'è una posizione dominante evidente, perché sul satellite, se io voglio vedere una partita, devo avere l'abbonamento soltanto con Sky. Non ho, non abbiamo alternative, ma questo non viene detto nel dibattito e non è stato detto da nessuna parte. Vi è dunque una posizione dominante che non è quella di Mediaset, bensì quella di Sky, che mantiene il 100 per cento di quello che si vede sul satellite, anche se in realtà una disposizione dell'Autorità per la concorrenza prevede che non possa essere mantenuto più del 60 per cento del mercato per ogni singola piattaforma.
Invece, per quanto riguarda il digitale terrestre, di cui si è molto parlato sia in Commissione sia oggi in quest'aula, in qualche modo cercando di far passare la linea che ci sia una posizione dominante, si tratta di un settore ancora molto di nicchia: gli investimenti sono stati fatti soltanto da due soggetti, Mediaset e La7. La RAI non ha investito un euro, pur avendo la possibilità di farlo! Forse dobbiamo chiederci perché la RAI sul digitale terrestre non abbia investito nulla, non solo sul calcio, ma anche su altro. Al riguardo, basti vedere qual è la programmazione della RAI sul digitale terrestre. Forse dovremmo chiedere perché si sia lasciato investire solo a Mediaset e a La7, appunto non per loro decisione, ma per la decisione della RAI di non investire nulla. Addirittura sul digitale terrestre ha investito più la rete Sportitalia che non la RAI. Credo che questa sia una questione che il Parlamento, al di là degli schieramenti politici, dovrebbe porsi.
Quindi, almeno dal punto di vista del calcio, occorre fare un approfondimento più attento sulle eventuali posizioni dominanti che, in questo momento, esistono rispetto alle partite. Credo che ciò che ho dichiarato corrisponda esattamente alla realtà.
Auspico che vi siano ancora le condizioni per arrivare ad una definizione. Abbiamo condotto una battaglia per evitare la delega, non per motivi ideologici, né per fare opposizione. Assolutamente. Se effettivamente (lo chiarisco non per motivi ideologici; è una questione sulla quale si può tranquillamente discutere) il Governo e la maggioranza ritenevano che questo fosse un tema urgente, sarebbe stato meglio elaborare un provvedimento che stabilisse, in maniera specifica, cosa bisognava fare il giorno immediatamente successivo all'entrata in vigore. Se avessimo avuto un testo di legge senza la delega, sicuramente oggi avremmo discusso su un provvedimento definito; all'esito dell'approvazione da parte delle due Camere, avremmo avuto un testo che non avrebbe rimandato tutto per altri sei mesi. Quindi, dovete spiegarmi come si configura l'urgenza con la procedura di delega.
Dato che non si tratta di una questione ideologica, caro relatore, non poniamo problemi. I problemi sono i due che ho sollevato in precedenza. Sulla delega siamo disponibili a discutere; anzi, in una proposta emendativa che abbiamo presentato sia Commissione sia in aula prevediamo la delega per quanto riguarda il periodo transitorio, perché oggettivamente esiste un problema di corrispondenza con i contratti in essere, con i contratti che hanno una valenza che va oltre l'entrata in vigore della nuova condizione giuridica di trattamento dei diritti televisivi; quindi, tale questione necessita di un tavolo di approfondimento, al di là dell'approvazione di una legge ordinaria.
Queste sono le questioni che interessano al gruppo dell'UDC e che speravo potessero trovare maggiore corrispondenza nel lavoro di Commissione. Vi è stata l'apertura da una parte e la chiusura dall'altra da parte del Governo e della Pag. 132maggioranza; alcune posizioni anche di alcuni gruppi e colleghi dell'opposizione, probabilmente, non hanno consentito di arrivare ad un lavoro più approfondito in Commissione (bisogna riconoscerlo); per quanto ci riguarda, abbiamo dimostrato sempre una disponibilità a discutere nel merito, a trovare soluzioni con un unico scopo: quello di tornare alla gestione dei diritti televisivi in maniera centralizzata, pur mantenendo l'autonomia dello sport.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole relatore, colleghe, colleghi, vi sono valide e serie ragioni per sostenere questo disegno di legge.
In prima battuta, vorrei ringraziare il relatore per lo sforzo e l'impegno che ha dedicato nell'affrontare un tema così complesso e delicato. Sicuramente, è uno di quei nervi scoperti del nostro ordinamento sportivo che necessita, comunque, di una riforma seria, convinta e durevole.
Il sistema sportivo italiano e, in particolare, il settore del calcio professionistico non può che accogliere favorevolmente i principi e le innovazioni contenute nel disegno di legge delega n. 1496, presentato dal ministro per le politiche giovanili e le attività sportive e dal ministro delle comunicazioni, di concerto con i titolari dell'economia e delle finanze e delle politiche comunitarie.
Punto centrale del disegno di legge delega è l'attuazione della vendita collettiva e centralizzata dei diritti televisivi sugli eventi sportivi, con la conseguente ridistribuzione degli utili tra le varie società sportive secondo un articolato sistema che tenga conto dei meriti sportivi, del bacino di utenza di ciascun club e del contributo indifferenziato che tutte le squadre, anche le meno blasonate, apportano allo svolgimento dei campionati. L'intervento è senza dubbio il frutto di un'attenta analisi delle esigenze peculiari del mercato dello sport mirante a contemperare tali esigenze con il valore sociale e culturale del fenomeno sportivo, in ossequio - spesso dimentichiamo che siamo in Europa - ai principi enunciati in sede europea con la dichiarazione di Nizza del dicembre 2000.
Dunque, una riforma condivisibile per il suo obiettivo, che è quello di disciplinare il mercato dei diritti televisivi, degli eventi sportivi, senza soffocarlo, per attuare tra gli operatori una concorrenza vera, in grado di tutelare il prodotto sport e di realizzare anche l'interesse dei consumatori.
È noto che l'eccessiva onerosità dei costi di acquisizione dei contenuti calcistici influisce sulla scelta dei gruppi imprenditoriali di non investire nell'acquisto dei diritti stessi. Ma una riforma è condivisibile anche per le attente modalità di attuazione che prevedono il passaggio graduale alla nuova modalità di vendita dei diritti televisivi degli eventi sportivi, anche attraverso il coinvolgimento delle strutture di autogoverno dello sport, nel rispetto della loro vocazione autonomistica.
La sport professionistico, in particolare il calcio, che ne costituisce l'avanguardia economica ed imprenditoriale, rappresenta un prodotto assolutamente unico ed originale che va tutelato, tenendo ben presenti le sue caratteristiche specifiche.
La pesante crisi economica che ha colpito i club calcistici solo pochi anni fa ha insegnato che anche la domanda di eventi sportivi presenta una propria rigidità che va individuata nella qualità dell'evento sportivo. Il fruitore di sport è un consumatore esigente proprio per quello che lo sport rappresenta o dovrebbe rappresentare: spettacolarità del gesto atletico, agonismo, incertezza della competizione, lealtà e fair play.
Un sistema sportivo sarà, dunque, tanto più competitivo, attraendo il pubblico e gli sponsor quanto più le competizioni riusciranno ad essere incerte, appassionanti e trasparenti perché espressione di un agonismo effettivo. È proprio in questa direzione che si muove il disegno di legge posto alla nostra attenzione: garantire a tutti gli artefici del prodotto sport, anche i club più piccoli, la possibilità di partecipare Pag. 133in condizioni di competitività alla gara sia che si tratti di una vera e propria gara sportiva sia che si tratti di gara con le imprese concorrenti. Una competizione in cui a tutti sia data la possibilità di vincere, anche i più piccoli, nei limiti in cui riescano a dimostrarsi capaci e meritevoli.
Forse, questa scelta coraggiosa potrà gravare nell'immediato sul bilancio di due o tre grandi società sportive, ma potenzierà e garantirà nel medio e lungo periodo la competitività dell'intero settore sportivo italiano rispetto a quelli delle altre grandi nazioni europee - Inghilterra, Francia, Spagna - capaci di portare ai vertici del calcio europeo e mondiale un gran numero di squadre di club.
La regolamentazione proposta nel disegno di legge delega in questa prospettiva appare poi tanto più necessaria se si tiene conto della struttura oligopolistica del mercato degli acquirenti dei diritti sportivi televisivi.
È inutile soffermarsi sull'anomalia del sistema televisivo ed editoriale italiano che è nota a tutti, ma è importante cogliere, anche alla luce di tale anomalia, il valore cruciale che assume per il nostro sport la tutela garantita alle piccole società sportive dalla vendita collettiva dei diritti televisivi.
È infatti chiaro che solo i grandi club calcistici possono affrontare una contrattazione individuale in materia di vendita di diritti TV, una posizione contrattuale forte o quanto meno paragonabile a quella di due o tre gruppi di operatori televisivi che si propongono come possibili acquirenti del prodotto. Sempre che non accada, in virtù di un'anomalia tutta italiana, che il venditore, cioè il grande club calcistico del compratore, cioè il grande gruppo televisivo, siano la stessa persona o meglio appartengano alla stessa persona.
Il mercato dei diritti televisivi del solo calcio, secondo stime approssimative, vale almeno 800 milioni di euro l'anno; l'ultimo dato certo, relativo ai bilanci depositati dalle società il 30 giugno 2005, parla di 742,3 milioni.
Fino ad oggi solo poche, grandi società sportive si sono avvantaggiate di tale ricchezza; questa rendita di posizione ha spesso indotto i grandi club ad investire poco nella competitività, ad esempio nei vivai, se non addirittura a dilapidare i capitali in operazioni di puro marketing, mascherando poi i vuoti di bilancio con interventi di maquillage contabile.
La proposta oggi in discussione si fa dunque apprezzare non solo perché assicurerà introiti più equi e consistenti alle piccole e medie imprese sportive, ma anche per le maggiori risorse che garantirà allo sport minore e dilettantistico, nonché ai settori giovanili.
I Verdi, nell'anticipare il parere favorevole al disegno di legge delega, colgono anche l'occasione per invitare il ministro per le politiche giovanili e le attività sportive a proseguire sulla strada intelligentemente e coraggiosamente intrapresa.
Si presenta oggi un'occasione imperdibile per la modernizzazione del settore sport, ma ancora altri passi vanno compiuti in questa direzione, di concerto con le autorità dell'ordinamento sportivo: la semplificazione dei rimedi della giustizia sportiva - materia in ordine alla quale è già stata presentata da noi Verdi una proposta di legge che mi vede prima firmataria -; l'introduzione del salary cup per i compensi degli atleti professionisti; la previsione di un monte ingaggi per gli atleti dei singoli club, da concordare a livello europeo; l'attuazione di una maggiore indipendenza degli organismi di vigilanza economica del CONI e delle federazioni, realizzando una reale separazione tra controllori e controllati nell'ambito delle organizzazioni sportive.
Sono queste le domande di riforma poste dal mercato, ma anche, e soprattutto, dai singoli consumatori dello sport: i nostri cittadini (Applausi).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C 1496 ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Folena.
PIETRO FOLENA, Relatore. Signor Presidente, ringrazio le colleghe e i colleghi della maggioranza e dell'opposizione per le testimonianze del lavoro unitario che, malgrado le differenze rimaste, abbiamo cercato di portare avanti.
PRESIDENTE. Onorevole Folena, mi perdoni se la interrompo, ma per la verità lei avrebbe esaurito il tempo a sua disposizione. Ovviamente le ho dato la parola, però le chiedo di essere conciso.
PIETRO FOLENA, Relatore. Sì, certamente, Presidente.
Debbo rispondere alla questione posta dai colleghi Carra e Beltrandi, in rapporto ad un presunto conflitto di competenza per l'assegnazione di questo disegno di legge. Osservo che il provvedimento è stato presentato alla Camera il 27 luglio 2006 ed assegnato alla Commissione cultura il 1o agosto. La questione è stata sollevata solo per altre vie ed in tempi più recenti; del resto, la IX Commissione ha espresso un parere favorevole.
Al collega Bono, che ha polemizzato circa l'utilizzo dello strumento della delega, dico che continuo a considerarlo lo strumento più opportuno per le ragioni sostenute anche dai colleghi della maggioranza. Si tratta, infatti, di gestire una fase transitoria e di avere a che fare con la complessità delle tecnologie che debbono essere disciplinate, in rapporto alle piattaforme che concorrono ai diritti televisivi degli sport. Tuttavia, in questo tentativo di mediazione, come è stato correttamente ricordato dal collega Ciocchetti poco fa, il gruppo parlamentare di Forza Italia, come già successe nella scorsa legislatura, quando si discusse della proposta di legge Ronchi, ha affermato di non essere legittimamente disponibile a concedere la sede legislativa se non a delle condizioni pregiudiziali che evidentemente non potevano essere accettate.
Per queste ragioni, noi abbiamo proceduto con la delega, cercando di venire incontro, per esempio sul punto dell'autonomia dello sport, con questo «anche», di cui abbiamo parlato, che potrebbe essere anche un «prioritariamente»; non ho nulla in contrario ad ulteriori modifiche che vadano nel senso di sottolineare la forte autonomia dello sport. Spero che nel prosieguo dell'esame si possano introdurre delle modifiche che convincano anche i colleghi dell'opposizione, che hanno espresso parziali apprezzamenti, sul fatto che stiamo facendo un lavoro positivo ed utile.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIORGIO CALÒ, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione ed interesse tutti gli interventi, in particolare quelli critici. Questa sera non ritengo di intervenire nel merito, considerata anche l'ora. Avremo certamente altre occasioni per continuare questo confronto. Auguro buonasera, o meglio, vista l'ora, buonanotte a voi tutti.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Bandoli ed altri n. 1-00041 sulle iniziative volte a sostenere l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni (ore 23,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Bandoli ed altri n. 1-00041 sulle iniziative volte a sostenere l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).Pag. 135
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 19 novembre 2006.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritta a parlare l'onorevole Bandoli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00041. Ne ha facoltà.
FULVIA BANDOLI. Signor Presidente, considerata l'ora, mi limiterò agli aspetti essenziali e, quindi, non vi porterò via moltissimo tempo. Questa mozione parlamentare è stata presentata da tutti i capigruppo dell'Unione, ma ha già ricevuto in questi giorni - e mi fa piacere particolarmente segnalarlo - interesse anche da parte di vari gruppi della minoranza. Spero che nel prosieguo della discussione ed in sede di votazione si possa arrivare ad un testo condiviso, perché l'argomento che stiamo discutendo è rilevante.
Il 29 giugno di quest'anno il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato per la prima volta la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni. Parliamo di centinaia di popoli e parliamo soprattutto di 370 milioni di persone indigene, che in tutto il mondo sopportano quotidianamente ingiustizie e violazioni di diritti primari. Quindi, parliamo di un tema importante sul quale l'organizzazione delle Nazioni Unite arriva con ritardo.
La cosa più importante è che il Consiglio per i diritti umani ha adottato un testo che sarà sottoposto all'Assemblea generale delle Nazione Unite entro il 2006, quindi tra poche settimane; da qui deriva l'urgenza con la quale abbiamo insistito per mettere all'ordine del giorno questa mozione. Infatti, vorremmo che il Parlamento italiano e il Governo in questa sede si impegnassero rispetto all'adozione di questa Dichiarazione in modo preciso e chiaro, assicurando alle Nazioni Unite, come chiediamo nella mozione, il voto favorevole dell'Italia, nonché un impegno a sostenere l'approvazione della Dichiarazione e ad adoperarsi affinché la dichiarazione stessa sia approvata, rompendo anche qualche resistenza che qua e là ancora rimane, soprattutto sia approvata nel testo che è stato adottato dal Consiglio per i diritti umani.
Insisto su questo punto perché, essendo il testo frutto di lunghe e difficili mediazioni tra i vari Stati e le delegazioni dei popoli indigeni, è chiaro che qualsiasi cambiamento significherebbe rimettere in discussione lo stesso testo e, quindi, rinviarne a data da destinarsi l'approvazione definitiva. Ciò non lo vogliono i rappresentanti dei popoli indigeni e non lo vuole l'Organizzazione delle Nazioni Unite che così faticosamente è giunta a questo testo.
La Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni estende ai popoli indigeni tutti i diritti umani che finora non erano loro riconosciuti. In tale Dichiarazione, in particolare, si stabilisce che i popoli indigeni sono uguali a tutti gli altri popoli e, allo stesso tempo, si riconosce il diritto di tutti i popoli a considerarsi diversi e ad essere rispettati come tali.
I popoli indigeni hanno sofferto molte ingiustizie storiche - quale risultato della loro colonizzazione, dell'espropriazione delle loro terre e delle risorse - che hanno loro impedito di esercitare in particolare un diritto allo sviluppo in conformità con i propri bisogni ed interessi.
Un altro principio importante è quello della salvaguardia delle culture e delle pratiche tradizionali indigene, che contribuisce allo sviluppo equo e sostenibile nonché ad una corretta salvaguardia dell'ambiente. Un principio che purtroppo spesso si dimentica, in quanto, violando i diritti delle popolazioni indigene, spesso si attuano anche violazioni dirette alla sostenibilità ambientale e ai grandi patrimoni naturali.
In tale Dichiarazione viene anche riconosciuto il diritto delle famiglie a conservare una responsabilità condivisa per l'educazione, la formazione e l'istruzione Pag. 136dei figli, il diritto effettivo e pieno al godimento, sia come collettività sia come individui, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali contenute nella Carta delle Nazioni Unite, nonché il diritto a non essere mandati via dalle loro terre e, se vi fosse necessità di mobilità, che quest'ultima sia condivisa dalle popolazioni stesse. Ogni individuo indigeno ha, inoltre, diritto ad una cittadinanza, alla vita, all'integrità fisica e mentale, alla libertà e alla sicurezza personale.
Insomma, si tratta di principi che, a noi che ne usufruiamo da tempo, possono sembrare ovvi, ma che per i popoli indigeni significherebbero una conquista veramente importante.
Ritengo che con l'impegno del nostro Governo a sostenere l'approvazione della Dichiarazione, adoperandosi fattivamente affinché la Dichiarazione sia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, si possa fornire un segno di sensibilità rispetto a questi temi nonché un contributo per attenuare eventuali resistenze.
Dal momento che la discussione si svolge a tarda ora, che diversi colleghi, anche dell'opposizione, non si sono potuti trattenere in aula a causa di concomitanti impegni e che altri consegneranno un intervento scritto, voglio sottolineare che vi è piena disponibilità, da parte mia e di tutti i capigruppo dell'Unione che hanno sottoscritto questa mozione, ad esaminare eventuali osservazioni - sempre che non cambino la sostanza della mozione in esame - nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Paoletti Tangheroni, Evangelisti e Venier, iscritti a parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, data l'ora tarda - è un orario veramente infelice; argomenti di questa portata, estremamente importanti, non dovrebbero essere relegati in questi orari perché veramente moltissimi colleghi amerebbero intervenire sul tema -, e confermando il pieno sostegno dei Verdi alla mozione in esame, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Francescato, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli.
FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ben comprendo che l'ora è molto tarda; tuttavia, svolgerò un brevissimo e sintetico intervento per esprimere l'opinione del Governo sulla mozione.
L'Italia, di concerto con i partner dell'Unione europea, agisce sul piano internazionale per la promozione e la protezione dei diritti delle popolazioni indigene, riconoscendo l'importanza che queste attribuiscono al proprio sviluppo ed alla propria identità sociale, economica e culturale. Nel quadro di questa azione, il Governo ha sostenuto, fin dall'inizio dei suoi lavori, l'attività dell'apposito gruppo di lavoro creato in seno alla Commissione per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite. Il presidente del gruppo di lavoro ha presentato il risultato dell'attività durante la prima sessione del Consiglio dei diritti umani, che il 29 giugno 2006 ha adottato, con trenta voti a favore, due contrari e dodici astensioni, la risoluzione che contiene il progetto di Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene.
L'auspicio è che l'Assemblea generale ora accolga e quindi formalizzi il testo approvato dal Consiglio. L'adozione della Dichiarazione ha comportato un negoziato Pag. 137lungo undici anni, che è stato molto complesso, sia per la natura degli interessi coinvolti sia per le possibili conseguenze derivanti dal testo. L'Italia, insieme alla maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea, ha da subito accolto con entusiasmo l'adozione della Dichiarazione, consapevole che la sua approvazione definitiva permetterà di rafforzare ed estendere gli universali diritti civili e sociali nei confronti delle persone indigene. Prova ne è che le conclusioni del Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'Unione europea del settembre 2006 fanno stato dell'auspicio dei venticinque paesi membri affinché la Dichiarazione sui diritti delle popolazioni indigene venga adottata dall'Assemblea generale.
Alla luce di quanto sopra, risultano accettabili entrambi i paragrafi della parte dispositiva della mozione in oggetto, che impegna il Governo a votare a favore della risoluzione dell'Assemblea generale per l'adozione del testo della Dichiarazione, sostenendola e adoperandosi a questo fine.
PRESIDENTE. La ringrazio, sottosegretario Crucianelli.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 28 novembre 2006, alle 11:
1. - Svolgimento di interrogazioni.
(ore 12)
2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1069 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania (Approvato dal Senato) (1922).
- Relatore: Margiotta.
3. - Seguito della discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00043, Airaghi ed altri n. 1-00047, Volontè ed altri n. 1-00051, Pedrini ed altri n. 1-00023, Attili ed altri n. 1-00055, Mario Ricci ed altri n. 1-00056, Bonelli ed altri n. 1-00058 e Picano ed altri n. 1-00060 sulle iniziative volte a prevedere il trasferimento della compagnia aerea Alitalia a Milano e sul ruolo dell'aeroporto di Malpensa.
4. - Seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Volontè ed altri n. 1-00052, D'Elia ed altri n. 1-00053, Bonelli ed altri n. 1-00054, Venier ed altri n. 1-00057, Maroni ed altri n. 1-00059 e Sereni ed altri n. 1-00063 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina.
5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati professionistici e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale (1496-A)
e delle abbinate proposte di legge: CIOCCHETTI ed altri; GIANCARLO GIORGETTI e CAPARINI; RONCHI ed altri; PESCANTE ed altri; DEL BUE (587-711-1195-1803-1840).
- Relatore: Folena.
6. - Seguito della discussione della mozione Bandoli ed altri n. 1-00041 sulle iniziative volte a sostenere l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni.
La seduta termina alle 23,50.
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO PIETRO FOLENA SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1496 ED ABBINATE
PIETRO FOLENA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, il disegno di legge delega presentato dal Governo in materia di diritti di trasmissione dei campionati sportivi professionistici arriva oggi in aula dopo una discussione lunga e approfondita in Commissione, che ha modificato il provvedimento per certi aspetti in modo radicale.
Un lavoro che si è svolto parallelamente a quello dell'indagine conoscitiva sul cosiddetto scandalo di Calciopoli. La VII Commissione, infatti, prendendo atto dei fatti avvenuti nel mondo del calcio in questi mesi, ha avviato un'indagine conoscitiva, ancora in corso, il cui scopo non è - evidentemente - quello di costituire un ulteriore ed improprio grado di giudizio sportivo (non sarebbe nelle sue competenze, né tanto meno sarebbe opportuno violare l'autonomia dell'ordinamento sportivo), quanto quello di individuare le cause e i processi che hanno portato alla corruzione del campionato di calcio. Già nella scorsa legislatura, giova ricordarlo, la VII Commissione svolse nel 2004 un'indagine conoscitiva che conteneva nella relazione finale approvata all'unanimità indicazioni precise e cogenti, anche in materia di diritti televisivi e di ripartizione delle risorse economiche, purtroppo disattese dalle istituzioni sportive e dalle autorità competenti. Poi, dopo tanta inerzia, è arrivato il ciclone di «calciopoli».
La giustizia sportiva ha fatto il proprio compito. Si può o meno essere d'accordo con le sentenze emesse, con le loro revisioni, e con le pene inflitte. Tutti però possono concordare con il fatto che il sistema, questa volta, ha funzionato, individuando i responsabili e comminando loro delle punizioni. Spiace, tuttavia, che taluni protagonisti di quella vicenda oggi siano nuovamente in attività. Ma quello che la giustizia sportiva non può fare è rimuovere le cause all'origine dei fenomeni che stiamo in altra sede analizzando. Questo é invece un compito che spetta all'organizzazione del calcio, in primo luogo. Ed in secondo luogo al legislatore e al Governo.
Uno dei fattori che hanno determinato i fatti accertati dalla magistratura ordinaria e da quella sportiva (uno dei fatti, sottolineo) è lo squilibrio - enorme - tra le grandi squadre e quelle «minori». Uno squilibrio che ha posto alcuni club in una sorta di torre d'avorio alla quale nessuno poteva accedere. Le tre grandi squadre del Nord, alle quali possiamo aggiungere anche le due della Capitale, in sede di contrattazione individuale dei diritti televisivi, hanno potuto incassare cifre che superavano anche di 12 volte quelle ottenute da squadre come l'Empoli o il Cagliari. In un sistema calcistico in cui i «diritti tv» rappresentano il grosso delle entrate delle società, è evidente come tale squilibrio non poteva che ripercuotersi sul campo, attraverso l'acquisto di giocatori più quotati e quindi - solitamente - con risultati sportivi migliori. Un circolo vizioso per il quale le squadre più forti (economicamente e sportivamente) potevano diventare sempre più forti. Ma soprattutto questo ha indotto ad una stortura in una attività che dovrebbe essere segnata dalla competizione sportiva: più risultati significa più potenziale «audience» e più «audience» significa più profitti. Non solo: per le squadre quotate in borsa più risultati significa maggiori performance sui mercati azionari. Si è creata così una competizione parallela a quella sul campo, una competizione sull'etere e a Piazza Affari, che con il passar del tempo è divenuta la «vera» competizione, perché era quella che poteva in qualche modo dare maggiori risultati anche economici a società che - lo ricordiamo, ed è uno dei punti che la Commissione dovrà esaminare anche nell'indagine conoscitiva - sono società a fini di lucro (alcune, come si diceva, Spa con parte del capitale posizionato sul mercato).
Società per le quali, negli anni passati, si è persino arrivati a prevedere misure eccezionali e di favore (il decreto «spalmadebiti») che hanno trovato ostacoli in Europa, ma soprattutto che hanno trasmesso l'idea del calcio come business che, fondandosi sul tifo degli sportivi, chiede aiuti e provvidenze, in nessun altro settore economico pensabili in tale misura. Quest'idea, diciamolo con onestà intellettuale, è stata largamente trasversale alle forze politiche, a destra come a sinistra. Non si può quindi imputare solo o in particolare al precedente Governo. Si è infatti fatta strada negli anni Pag. 139Novanta, anche per l'insufficienza del vecchio ordinamento calcistico e sportivo, la convinzione che l'autonomia dello sport si fermasse di fronte al mercato, visto come bacchetta magica dei problemi del calcio, salvo poi chiedere gli aiuti. Risale, per esempio, all'azione del centrosinistra nella XIII legislatura la riforma che con la presente legge delega verrà rivista e la trasformazione delle squadre di calcio in società a fini di lucro. Va quindi condotta una critica complessiva all'equazione «sport uguale mercato», alla quale nessuno è stato immune. Una critica non basata su un'astrazione ideologica («il calcio è solo un gioco»), un'astrazione che ovviamente non trova riscontro nella realtà, ma una critica fondata sull'analisi di ciò che il «mercatismo» ha generato nel calcio (ma anche in altri sport, penso al ciclismo in primo luogo). Gran parte di quest'economia è stata di carta, di plusvalenze, di trucchi contabili - si è giunti a ipotizzare lo scorporo in apposite società dei marchi, sportivi senza effettive transazioni economiche, così da aumentare fittiziamente il loro capitale -, in borsa è stato quotato il valore dei giocatori, nel momento in cui gli stadi - per cui lo Stato scandalosamente e non senza ruberie aveva speso cifre importanti per i mondiali del Novanta - versavano in condizioni di crescente insicurezza. La violenza negli stadi, oltreché frutto di qualche sparuta minoranza spesso aizzata dalle società o da settori di esse, è prodotta anche dalla loro gestione e dalla mancanza di innovazione. E così può succedere che si percepisca una politica di due pesi e due misure, come in occasione dei decreti sulla violenza negli stadi che hanno colpito le tifoserie mentre ha nei fatti assolto le società, affrontando solo parzialmente il tema della loro responsabilità, limitata alla vendita nominativa dei biglietti.
A ciò si aggiunge la formazione di società trasversali, vere e proprie batterie di giocatori e allenatori, spesso più forti di singole società sportive, in grado di condizionare oggettivamente e soggettivamente i campionati, e la pressione che questo sistema di interessi economici esercita sugli arbitri.
Attraverso la critica all'impostazione «mercatista» passa la necessaria riforma del calcio che serve a salvare lo spirito sportivo e il valore sociale dello sport - certamente - ma anche una corretta ed equilibrata concorrenza tra soggetti che, almeno per ora, rimangono società che devono generare un profitto.
Un sistema del genere doveva - quasi ineluttabilmente - generare dei fenomeni degenerativi. È un dato acquisito il fatto che il calcio sia anche mercato. Ma se il premio del profitto sostituisce in tutto e per tutto quello del prestigio, allora non ci si può meravigliare se qualcuno viola le regole sportive per acquisire più profitto possibile. Mi riferisco anche alle vicende come quelle legate al doping, oltre, ovviamente, allo scandalo di «calciopoli». Vicende nelle quali l'imperativo della vittoria ha cancellato ogni idea di correttezza sportiva.
La redistribuzione dei profitti, quindi, diviene un passo obbligato verso un calcio più sano. La legge delega all'esame si muove, per l'appunto, in questa direzione.
Si tenga conto che la vendita centralizzata dei diritti, e la ridistribuzione delle risorse, è un orientamento presente nei più importanti campionati sportivi europei. Alcuni esempi, riguardanti il calcio.
In Germania la vendita dei diritti della Bundesliga è centralizzata ed è in capo alla stessa Lega; le risorse vengono così ripartite: 3 per cento alla federazione, il restante 97 per cento ai club (precisamente 77,5 ai club della prima divisione e il 22,5 a quelli della seconda); per la prima divisione i proventi vengono divisi al 50 per cento in parti uguali e per l'altro 50 per cento in base ai risultati sportivi, in particolare tenendo conto degli ultimi 3 anni; per la seconda divisione il rapporto è 75 a 25.
Anche in Francia la vendita è centralizzata e operata dalla Lega; gli introiti sono ripartiti in queste percentuali: 87,5 per cento ai club (di cui 81 per cento alla seria A e 19 per cento alla B), 5 per cento allo Stato, l per cento all'associazione calciatori, 2,5 per cento al calcio dilettantistico, 4 per cento per il funzionamento della Lega; per la serie A le risorse vengono ripartite per metà in parti uguali, l'altra metà in base ai risultati sportivi e ai passaggi televisivi; per la B, il 91 per cento va in parti uguali, il restante 9 per cento in base alla classifica.
In Inghilterra la vendita centralizzata porta ad una suddivisione per il 50 per cento in parti uguali, il 25 per cento in base ai passaggi televisivi e un altro 25 per cento in base ai risultati sportivi.Pag. 140
È chiaro quindi che la vendita centralizzata e la ripartizione dei proventi è un orientamento prevalente nei maggiori paesi europei e segnatamente per i paesi calcisticamente più importanti.
Preliminarmente occorre analizzare due questioni: la prima è il perché il legislatore deve intervenire in un rapporto tra soggetti privati quali sono i club sportivi; la seconda è se la delega al Governo sia lo strumento migliore per un eventuale intervento.
Alla prima questione occorre rispondere positivamente. Lo sport, e il calcio per l'Italia in modo particolare, non è solo «affare privato» tra società. Il suo valore sociale e culturale infatti è sotto gli occhi di tutti e ad ulteriore conferma basta constatare lo sgomento con il quale la società italiana ha accolto le inchieste della magistratura ordinaria e di quella sportiva. Il calcio è segnatamente lo «sport nazionale» del nostro paese. Quello che i bambini giocano nei campi e per le strade. Quello più seguito e più partecipato. Sul calcio si costruisce una parte consistente del «senso comune» del paese. Il legislatore, quindi, non può e non deve essere estraneo a quanto avviene nel calcio, neppure quando si tratti di «calcio virtualizzato» - quello cioè trasmesso attraverso i mezzi di comunicazione - che in ogni caso trova origine in competizioni reali, svolte sul campo e viste da decine di migliaia di spettatori negli stadi.
Così come il legislatore non può non intervenire quando - all'interno di un mercato - si determinino condizioni di oligopolio tali da escludere permanentemente - almeno a livello potenziale - altri concorrenti. Visione «sociale» e visione «liberale» in questo caso vanno a braccetto e si sostengono l'una con l'altra: un mercato falsato genera eventi sportivi falsati. Ed eventi sportivi falsati a loro volta perpetuano un mercato falsato. Questo sport bicefalo (il calcio dei mercati e quello dei campi sportivi), se non regolato in modo differente, genera una stortura anche nel tessuto della società. Basti pensare a cosa può significare per un ragazzo che si avvicina allo sport l'idea che occorra vincere a tutti i costi e che il proprio corpo altro non è che una macchina al servizio di un sistema più grande, nel quale la salute, il miglioramento fisico, la disciplina in campo, la solidarietà sportiva, non contano più ma conta solo e soltanto il risultato e il conseguente profitto. Ricordiamo a questo proposito l'esempio del campione Rino Gattuso, che ha il merito di essere promotore di una fondazione che aiuta i ragazzi in condizione disagiata ad avvicinarsi ai gioco del calcio. Gattuso ha sostenuto e sostiene il rinnovamento nel movimento calcistico, ivi compresa la necessità di punire i responsabili dei fenomeni corruttivi, nonostante militi in uno dei club colpiti dalle sanzioni sportive.
Quindi il legislatore ha il dovere, a questo punto, di fare ciò che è in suo potere per riequilibrare il sistema, poiché il valore sociale del calcio è, in ogni caso, superiore a quello del mercato ma anche, come si è detto, perché il mercato dei diritti tv va in ogni caso regolato al fine di riequilibrare le potenzialità dei vari competitori.
Nel corso dell'iter in Commissione, abbiamo però constatato come una regolazione sia necessaria anche agli altri sport professionistici. Su stessa segnalazione della Lega basket e della Federazione abbiamo quindi deciso di estendere la normativa a tutti gli sport professionistici i cui campionati sono organizzati da soggetti (le leghe) che associano diverse società di diversi team in competizione tra loro. Oltre al calcio, quindi, anche la pallacanestro verrà assoggettata alla nuova normativa. Altri sport professionistici, come il ciclismo, non solo non hanno organizzazioni simili alle leghe, ma non organizzano campionati o tornei in cui due squadre disputano in competizione tra loro un incontro sportivo. Mentre sport, i cui campionati, invece, sono organizzati da leghe, non sono considerati allo stato sport professionistici (vale a dire le squadre non sono società a fini di lucro).
La secondo questione è quella dell'opportunità della delega al Governo. Anche qui si ritiene che vi sia tale opportunità. Un provvedimento puntuale del Parlamento, infatti, difficilmente potrebbe tenere conto di tutte le esigenze in campo in una fase peraltro segnata da rapidissimi mutamenti tecnologici. Occorre invece un processo di concertazione tra i vari attori (i club, le leghe, gli operatori di comunicazione) che può essere svolto efficacemente solo dall'esecutivo, che già si è mosso in tal senso attraverso tavoli tecnici, come è facilmente desumibile dalle notizie di stampa. Alla fine di questa concertazione, il legislatore delegato potrà meglio rispondere alle esigenze Pag. 141presentate dai diversi soggetti. Sarebbe infatti un atto dirigistico - e quindi o inefficace o peggiorativo dello stato di cose - varare delle norme senza le necessarie mediazioni di interessi.
Signor Presidente, a questo punto sarebbe ipocrita da parte del relatore tacere sull'iter di questo provvedimento. La delega - come ho appena sostenuto - è una forma ottimale quando si tratti di regolare rapporti tra soggetti privati che debbono essere coinvolti per lo meno nella «concertazione» delle norme di dettaglio. Tuttavia l'opposizione ha protestato contro la decisione del Governo di richiedere una delega in materia con motivazioni che non sono apparse peregrine al relatore. Si è detto, ad esempio, che la VII Commissione stava svolgendo l'indagine conoscitiva di cui ho parlato. Una delega che «piomba» in un momento del genere può essere vissuta - si è detto - come un esproprio del Parlamento. Non condivido tale visione. Tuttavia, in quanto presidente della Commissione, ho preso seriamente in considerazione l'obiezione. Si è detto, ancora, che la delega avrebbe ulteriormente ritardato l'applicazione del nuovo regime. Che era necessario dare alla Commissione la sede legislativa. Il sottoscritto, come relatore e come presidente, ha esperito sino all'ultimo il tentativo di arrivare a trasformare la delega in una legge non delegante con l'intento esplicito di conciliare le richieste dell'opposizione con quelle del Governo, riuscendo anche a superare le legittime perplessità di quest'ultimo. Ma, inopinatamente, il relatore si è trovato poi di fronte al riproprorsi delle ragioni per cui nella scorsa legislatura la proposta del gruppo di Alleanza Nazionale, su cui si realizzò un'ampia convergenza, non andò avanti, e cioè il dissenso, per cui provo pieno rispetto, di un solo gruppo dell'opposizione, quello di Forza Italia, nel concedere la sede legislativa. Abbiamo allora mantenuto la delega, senza tuttavia rinunciare ad ascoltarci, e le modifiche fatte dalla Commissione sono state il frutto dell'ascolto di molti argomenti portati dai gruppi dell'opposizione.
Arrivando quindi al merito del provvedimento, che parte dalle constatazioni generali che sono state esposte in precedenza, esso reintroduce la contrattazione centralizzata dei diritti di trasmissione (non solo televisiva, ma su qualsiasi piattaforma tecnologica di trasmissione), stabilendo la contitolarità dei diritti da parte dei singoli club e delle leghe professionistiche che sono i soggetti delegati all'organizzazione dei suddetti campionati nonché associazioni private tra le stesse società sportive. Si viene così a sanare la stortura che il precedente quadro normativo - segnatamente il DL n. 15 del 1999 - ha introdotto per rispondere alle indicazioni comunitarie in materia di disciplina antitrust, peraltro successivamente riviste nel senso della possibilità della contrattazione centralizzata dei diritti di trasmissione. Il regime ancora vigente, infatti, prevedendo la titolarità esclusiva dei diritti da parte dei singoli club per ciascuna partita casalinga dagli stessi organizzata, non tiene conto dell'evidenza che le competizioni di campionato, oggetto principale della delega in esame, si svolgono per l'appunto all'interno di un torneo, senza il quale esse perderebbero tanto di significato sportivo quanto di rilevanza economica. Non tiene inoltre conto del fatto che esiste un soggetto terzo, per quanto formato dalle stesse società, che organizza il campionato, il quale è privato di ogni influenza sui prodotti derivati dall'insieme degli eventi sportivi (le singole partite) che essa organizza. Si viene quindi a creare un paradosso: le partite si svolgono perché esiste un campionato, ma esso sparisce nel momento in cui queste partite vanno nell'etere, sul satellite, su Internet, nei telefoni cellulari. Del resto, la stessa Restrictive Practices Court inglese, che con la sentenza del 2005 ha legittimato la commercializzazione centralizzata dei diritti televisivi della Premier League, ha stabilito che «il prodotto che presenta un valore economico è il campionato della Premier League nel suo complesso, piuttosto che le singole partite giocate nel corso di tale campionato. In altri termini, il valore dei diritti su una singola partita è amplificato dal fatto che essa fa parte di una competizione alla cui esistenza tutti i club necessariamente contribuiscono».
Il disegno di legge del Governo si pone così in linea con i recenti orientamenti europei in materia di sport, da ultimo espressi nel Rapporto indipendente sul calcio europeo 2006, realizzato con l'obiettivo di fornire alcune raccomandazioni alle autorità europee e nazionali affinché intervengano con norme trasparenti nell'ambito delle Pag. 142quali gli organi di autogoverno dello sport siano in grado di risolvere le questioni che interessano il settore.
Tra le misure volte a garantire l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, necessario per assicurare l'attrattiva del calcio, il Rapporto individua la redistribuzione delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali, che viene definita, nello stesso tempo, necessaria e compatibile con il diritto comunitario.
Il Rapporto propone poi l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza, in cui si precisino, tra l'altro, le regole sportive che non rientrano nell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, le misure che meritano deroghe al divieto di accordi tra imprese nonché la disciplina giuridica di specifiche tematiche quali la vendita collettiva dei diritti, la valorizzazione dei vivai, la partecipazione degli atleti alle rappresentative nazionali, le limitazioni agli stipendi, la concessione delle licenze ai club.
La contitolarità stabilita nel comma 2, lettera c), rende possibile la contrattazione centralizzata. Tale contrattazione, tuttavia, non è fine a se stessa ma propedeutica a quando stabilito nel comma 2, lettera f) e lettera g): vale a dire l'equa ripartizione delle risorse ottenute dalla commercializzazione dei diritti e la mutualità generale del sistema sportivo, come anche l'indicazione contenuta nella lettera e) tesa alla realizzazione di un sistema equilibrato di trasmissione che assicuri la concorrenza tra operatori e la salvaguardia dell'emittenza locale, indicazioni richiamate poi nella lettera c) del comma 3.
E qui, noi abbiamo introdotto una significativa modifica rispetto al testo originario. Abbiamo infatti previsto che le stesse leghe possano stabilire i criteri di ripartizione, sempre attenendosi ai principi della delega (e quindi almeno la metà degli introiti in parti uguali, il resto sulla base del bacino di utenza e del merito sportivo, nonché una quota parte riservata alla mutualità sportiva). Una modifica che riconosce l'autonomia dello sport. Ritengo che tale novità vada sottolineata e credo costituisca un significativo miglioramento del testo originariamente proposto.
Devo peraltro sottolineare che già il nuovo testo presentato dal relatore aveva individuato una formulazione più flessibile dei criteri di ripartizione delle risorse derivanti dalla vendita collettiva, non vincolata da limiti numerici, anche a seguito dell'orientamento espresso sul punto dal presidente dell'Antitrust.
Segnalo tuttavia che in questi ultimi anni, specie nel mondo del calcio, sono emerse da parte della Lega nazionale professionisti, cui le regole sportive attribuiscono un ruolo determinante nella distribuzione delle risorse dei diritti audiovisivi sportivi, profonde difficoltà nell'adottare adeguati meccanismi attraverso i quali ripartire, in modo più congruo ed equo, le risorse tra tutti i partecipanti al campionato di calcio di serie A e tra la massima divisione e la categoria inferiore. In particolare, come rilevato dal presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'audizione dell'11 ottobre 2006 preso la VII Commissione cultura, «la stessa Lega è parsa nella sostanza essere espressione, e in fondo strumento, delle squadre maggiori che hanno interpretato in modo assai riduttivo il concetto di mutualità».
Di ciò, s'era accorto, nella scorsa legislatura, il Parlamento che, sulla base dei risultati dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, approvati all'unanimità, della VII Commissione, aveva offerto al mondo del calcio l'occasione di dotarsi di strumenti di ripartizione delle risorse più equi e trasparenti.
Nonostante il parere favorevole dei più alti rappresentati del calcio professionistico, l'occasione sopra evidenziata non veniva accolta dalla lega nazionale professionisti e dalle società sportive ad essa affiliate.
Si spera invece che questa volta il mondo del calcio, in primis, ma anche quello del basket, riescano a trovare coesione al proprio interno e stabilire le regole attraverso cui, sulla base di principi espressi nella delega, si possa arrivare nei prossimi mesi a una ripartizione delle risorse più equa.
Riguardo la lettera h) del comma 2, è stata modificata la denominazione di «consumatori», riferita a coloro che fruiscono degli eventi sportivi trasmessi. Si ritiene infatti che lo sport non possa essere considerato - Pag. 143per i principi richiamati nella stessa legge delega - un «prodotto» che va «consumato». Si è quindi sostituita la parola «consumatori» con «utenti», meno connotata commercialmente.
Nel comma 3 si stabiliscono i criteri dell'esercizio della delega: la forma centralizzata di commercializzazione (lettera a), con l'indicazione della libertà di iniziativa individuale dei singoli club, derivante dalla contitolarità dei diritti di trasmissione; ai club è quindi garantita, attraverso i cosiddetti diritti minori (come accade in tutti i paesi europei) la salvaguardia di una propria autonomia commerciale proprio in relazione ai prodotti audiovisivi del campionato [comma 3, lettera a)] nonché la titolarità esclusiva dei diritti di archivio, che, di natura e destinazione diversa dai diritti primari di sfruttamento delle partite, fa parte del patrimonio culturale, storico e mediatico di ciascun club [comma 2, lettera d)]. Peraltro, come confermato nella relazione illustrativa, deve essere consentita ai club la possibilità di negoziare individualmente i diritti rimasti invenduti a seguito della commercializzazione in forma centralizzata.
Viene inoltre garantita la parità di accesso e di trattamento di tutti gli operatori di comunicazione in possesso del titolo abilitativo [lettera b)].
I divieti di acquisizione dei diritti su una determinata piattaforma se l'operatore non è in possesso dei titoli per la trasmissione e il divieto di sublicenziare i diritti [lettera c)], sono stati flessibilizzati dalla commissione. Anche questa è una modifica di fondamentale rilievo. Tali divieti, in determinati casi, contribuiscono ad assicurare una maggiore concorrenza sulle diverse piattaforme, impedendo che un network televisivo, ad esempio, acquisisca diritti che non può esercitare realmente per poi rivenderli o peggio per impedire alle nuove piattaforme di emergere, falsando così la concorrenza; ma proprio per meglio regolare il mercato, in particolare per le piattaforme emergenti, si è ritenuto di lasciare al Governo la possibilità di stabilire per quali piattaforme debbano valere certi divieti e per quali invece debbano valerne altri: si tratta infatti di realtà profondamente diverse tra loro. Non si può normare allo stesso modo il satellite, una piattaforma oramai consolidata, il digitale terrestre, in via di consolidamento, Internet e Umts, piattaforme allo stato ancora «emergenti». Un diritto uguale, in tal caso, produrrebbe materialmente forti disuguaglianze. Soggetti o situazioni diseguali, richiedono un diritto diseguale. Le piattaforme emergenti, inoltre, sono esplicitamente citate e oggetto di una specifica normazione in base alla lettera e); la lettera f) introduce il principio di «ragionevole durata dei contratti» , sempre allo scopo di garantire una effettiva concorrenza e evitare posizioni dominanti di lungo periodo da parte degli operatori.
Nell'ambito di tale flessibilizzazione è emersa la necessità di evidenziare il ruolo degli intermediari nella contrattazione dei diritti, consentendo loro, purchè indipendenti, di poter partecipare all'acquisizione dei diritti.
La lettera g) stabilisce i criteri per l'equa ripartizione delle risorse derivanti dalla commercializzazione dei diritti di trasmissione: almeno una metà in parti uguali tra le diverse squadre, l'altra metà divisa tra una quota residua destinata alla mutualità del sistema calcistico o del basket, ed un'altra che le leghe dovranno ripartire tenendo conto del bacino di utenza e dei risultati sportivi. Come ho detto, le quote saranno stabilite sperabilmente dalle leghe.
All'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'Autorità per le garanzie delle comunicazioni dovranno essere attribuiti, alla prima, funzioni di vigilanza e controllo sulla corretta applicazione della disciplina attuativa della legge [comma 3, lettera h)], alla seconda, attraverso una propria struttura a ciò organizzata, poteri regolatori al fine di rendere compatibile il mercato dei diritti audiovisivi sportivi con lo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione e del fenomeno della convergenza.
È da condividere la necessità di una applicazione rapida (luglio 2007) e di un periodo transitorio la cui normazione va evidentemente concordata tra le parti.
Infine mi preme sottolineare, non solo per l'importanza del loro merito, ma proprio per evidenziare come il nostro ha cercato di essere un atteggiamento libero e aperto alle modifiche provenienti anche dall'opposizione, alcune novità di particolare rilevanza rispetto al testo originario.
Particolarmente significativa è la norma, introdotta grazie ad un emendamento riformulato Pag. 144della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, affinché la ripartizione delle risorse sia destinata anche a favorire la valorizzazione e l'incentivazione delle categorie inferiori e lo sviluppo del settore giovanile. Come è emerso anche nel corso del dibattito e delle audizioni svolte, la questione della formazione dei giovani e dei vivai sta particolarmente a cuore alla Commissione tutta, ed in tal senso diversi sono stati gli emendamenti di tutte le parti politiche, proprio in considerazione del fatto che essa rappresenta una delle strade da intraprendere per risolvere la crisi del calcio ed imprimere a questo mondo una maggiore attenzione ai valori fondanti dello sport. Tale recupero può essere avviato, a mio avviso, solo attraverso la crescita della persona e la sua educazione alla competizione leale, al rispetto reciproco e al senso di responsabilità.
Quanto al carattere sociale dell'attività sportiva e la specificità del fenomeno sportivo, con una riformulazione di un emendamento di Forza Italia è stato soppresso l'inciso che specificava i principi della dichiarazione del Consiglio europeo di Nizza del 2000, ritenendo più opportuno un mero rinvio a tale importante documento europeo.
Ricordo inoltre che la disciplina, originariamente prevista per i soli campionati di calcio, è stata estesa a tutti gli sport professionistici (calcio, pallacanestro, pugilato, golf, ciclismo e motociclismo) anche se, sostanzialmente, oltre al calcio sarà coinvolta la sola pallacanestro, unico altro sport professionistico di squadra.
Recependo poi una condizione del Comitato per la legislazione, è stato chiarito che gli eventuali decreti integrativi e correttivi saranno emanati con le medesime procedure e gli stessi principi e criteri direttivi contenuti nella delega.
Con riferimento, infine, alla tutela degli utenti dei prodotti audiovisivi relativi agli eventi sportivi, la Commissione ha accolto un emendamento dell'UDC e di Forza Italia volto a recepire tale espressione - in vece della precedente espressione «consumatori» - ponendosi in linea con la formulazione utilizzata dalla normativa di settore; è stato inoltre accolto un emendamento dei Verdi, che ha definito il campo di applicazione di tale tutela in Italia e all'estero.
Al disegno di legge del Governo sono abbinate alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia di titolarità dei diritti di trasmissione televisiva dei campionati di calcio, il cui esame non è ancora stato avviato.
Si tratta, in particolare, della proposta di legge n. 587 (Ciocchetti ed altri) recante «Modifica all'articolo 2 del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 1999, n. 78, in materia di titolarità dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata dei campionati di calcio» e della proposta di legge n. 1195 (Ronchi ed altri) di analogo titolo e contenuto.
Le proposte, in sostanza, attribuiscono - mediante la sostituzione del primo periodo del comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15 - la titolarità dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata al soggetto organizzatore dei campionati nazionali di calcio di serie A e di serie B (vale a dire, la Lega calcio). Quest'ultima provvede a definire annualmente i criteri di ripartizione degli utili della cessione di tali diritti tra le società di calcio partecipanti ai campionati, subordinatamente all'approvazione dei criteri stessi da parte del consiglio nazionale del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).
Quanto alla proposta di legge n. 711 (Giancarlo Giorgetti e Caparini) recante «Modifica all'articolo 2 del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 1999, n. 78, in materia di titolarità dei diritti di trasmissione televisiva dei campionati di calcio e di destinazione dei relativi proventi», anch'essa muove dal principio della contrattazione centralizzata, così come la proposta Del Bue (proposta di legge n.1840) che assegna il compito di trattare i diritti alla alla FIGC e che reca anche una previsione risarcitoria per i club danneggiati dalle pay tv. La proposta di legge 1803 di Pescante ed altri, pur assegnando alla Lega la vendita centralizzata dei diritti, assegna questi ultimi alla titolarità del club ospitante la singola partita, ed è quindi viziata internamente, oltre a muoversi in una prospettiva già superata dai più recenti pronunciamenti in sede comunitaria.
INTERVENTO DEL DEPUTATO GRAZIA FRANCESCATO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE BANDOLI ED ALTRI N. 1-00041 SULLE INIZIATIVE VOLTE A SOSTENERE L'APPROVAZIONE, DA PARTE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU, DELLA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghi, i Verdi sostengono con forza e con convinzione l'approvazione definitiva della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni che sarà sottoposta al voto, speriamo favorevole, dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Sono 550 le etnie del pianeta che si definiscono indigene (50 milioni di persone, 350 milioni se si prendono in considerazione anche coloro che hanno origine indigena). Parliamo del 10 per cento della popolazione mondiale, del 40 per cento della popolazione rurale, del 25 per cento di coloro che vivono in stato di povertà. Un universo arcaico, che viene da lontano (le etnie indigene che ancora rivendicano la propria identità tribale hanno spesso vissuto per secoli e millenni sullo stesso territorio) ma a cui stiamo negando il futuro. Una variegata e preziosa biodiversità culturale messa sott'assedio dai meccanismi del mercato globale e dal confronto/scontro con il modello di società occidentale. Già stremati da genocidi epocali (un esempio per tutti: quello messo in atto dai conquistadores spagnoli e portoghesi dopo la «scoperta delle Indie»), i popoli indigeni continuano a subire un duplice attacco, fisico e culturale. Un attacco che mira soprattutto a prendere possesso di ciò che resta dei loro territori ancestrali, guardati con cupidigia dalle oligarchie locali, dalle grandi multinazionali o da forti gruppi d'interesse economici e politici a causa delle immense ricchezze che queste terre custodiscono (dal petrolio, all'oro, ai metalli preziosi all'acqua, al legname pregiato, alle piante officinali utilizzate nelle produzioni alimentari o farmaceutiche).
Ma non sono soltanto le terre a essere prese di mira: è in gioco anche il prezioso corpus dei «saperi» indigeni, accumulati nel corso dei millenni, che si configura coma una vera e propria enciclopedia di uno sviluppo davvero sostenibile (dalle tecniche agricole di rotazione e messa a riposo dei terreni coltivati, alle metodologie di conservazione degli ecosistemi, dalla conoscenza delle virtù terapeutiche di piante e sostanze vegetali o animali alla saggezza degli «sciamani).
Il legame tra le popolazioni indigene ancora fedeli (totalmente o in parte) alle proprie culture originarie è talmente cruciale, è un'esigenza talmente primaria che quasi sempre la cacciata delle etnie dai propri luoghi ancestrali, gli esodi coatti o il displacement (la ricollocazione forzata in altre aree) si traduce nel declino o nell'agonia di interi popoli, non di rado in una vera e propria estinzione.
Un esempio tra i più tragici - e che purtroppo posso citare con cognizione di causa, perché noi Verdi da tempo operiamo in Colombia, in Bolivia, in Ecuador, in Brasile con progetti autonomi di cooperazione - riguarda la tristissima condizione delle 86 etnie indigene della Colombia. Il lungo conflitto armato che contrappone esercito governativo e formazioni paramilitari da un lato, dall'altro i due schieramenti «storici» della guerriglia (FARC ed ELM) vede i popoli indigeni tra le vittime più colpite dagli effetti nefasti della guerra. A questo bisogna aggiungere le conseguenze devastanti della cosiddetta «lotta alla droga»: per estirpare le piantagioni di coca (la foglia di coca è materia prima, peraltro «sacra» nelle tradizioni indigene che ne fanno un uso terapeutico ed alimentare assolutamente lecito e giustificato, mentre il prodotto finale - la cocaina - è il risultato di un processo di trasformazione i cui principali responsabili sono le gang dei trafficanti di droga nonché le bande paramilitari a questi legate) - bene, per estirpare le coltivazioni di coca, il Plan Colombia (finanziato per il 30 per cento dalle amministrazioni USA come piano antidroga, in realtà mirato a stabilire un controllo militare sul territorio colombiano, per tenere in piedi il regime di Uribe, da sempre »amico« del governo nordamericano) prevede che vengano cosparsi con sostanze chimiche tossiche (tra cui un «fungo» micidiale) i terreni coltivati a coca. Naturalmente i veleni finiscono col piovere su interi ecosistemi (addirittura all'interno dei parchi Pag. 146nazionali), distruggendo la coca, ma anche tutte le altre colture (si calcola che per «far fuori» un ettaro di coca si debbano spazzare via ben 40 ettari di foresta o di altre coltivazioni).
Ridotti in miseria, i campesinos, spesso indigeni, sono costretti ad abbandonare i loro territori: fino a due milioni e mezzo di persone nell'ultimo decennio, molti dei quali vanno a ingrossare le desolanti «cinture di povertà», che circondano le megalopoli come Bogotà o Medellin.
Per non parlare delle violazioni continue dei diritti umani, delle torture, delle sistematiche violenze che il regime di Uribe o i paramilitari (e spesso le formazioni armate finanziate dalle grandi multinazionali) infliggono ai leaders indigeni o alle comunità indigene che hanno il «torto» di ribellarsi alle angherie e ai sopprusi. Nonostante tutto, però gli indigeni sono riusciti a difendere la propria cultura, a lottare per il proprio riscatto, a stabilire alleanze che spesso si estendono al di là dei confini nazionali e trovano sostegno e solidarità nei movimenti ecologisti, di difesa dei diritti umani, nelle ONG che operano nella cooperazione e negli organismi internazionali che lavorano a sostegno delle etnie indigene. Come l'Ifad, ad esempio, che con più di 954 milioni di dollari ha finora supportato centinaia di progetti per lo sviluppo sostenibile insieme alle comunità indigene, azione oggi rafforzata grazie al neocostituito gruppo di supporto tra le agenzie delle Nazioni Unite sulla questione indigena, presieduto appunto dall'Ifad (vi rimando a questo proposito agli atti del meeting svoltosi a Tivoli dal 15 al 18 settembre scorso).
Noi Verdi - che da anni portiamo avanti in America Latina progetti centrati su uno sviluppo davvero sostenibile, in sintonia con l'approccio olistico che contraddistingue la cultura indigena (da sempre capace di vivere in armonia con l'ambiente e con la Madre Terra e in grado di fare riscoprire quest'arcaica sapienza anche a chi, nella civiltà occidentale, ha orecchie per intendere) - noi Verdi non possiamo dunque che votare a favore di questa mozione, cogliendo quest'occasione per rinnovare il nostro impegno a favore dei popoli indigeni e soprattutto la volontà di recuperare e valorizzare la «visione del mondo» che questi popoli - i veri, autentici ecologisti del pianeta - sono in grado di insegnarci, per aiutarci ad affrontare le grandi sfide del Terzo Millennio.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico della seduta del 19 novembre 2006, a pagina 70, seconda colonna, le righe dalla ventiseiesima alla trentacinquesima (da «Vi è poi un altro aspetto» fino a «Donatella Poretti») sono sostituite dalle seguenti:
«Vi è poi un altro aspetto, che è stato giustamente ricordato: con la legge Fini-Giovanardi si è cancellato l'esito del referendum sulle tossicodipendenze del 1993. Del resto, per la maggioranza di centro-destra è ormai un costume cancellare per legge gli esiti referendari non graditi. Anche il referendum dello stesso 1993 in materia elettorale è stato cancellato attraverso una "porcata riuscita male": così è stata definita da Calderoli - il Presidente sa che io non uso questo linguaggio - la nuova legge elettorale».