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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 99 di lunedì 29 gennaio 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
La seduta comincia alle 12,30.
GIUSEPPE GALATI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 gennaio 2007.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Burgio, Chiti, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Piccoli, Delbono, Donadi, Fabbri, Fioroni, Folena, Forgione, Galante, Gentiloni Silveri, Gozi, Landolfi, Lanzillotta, Levi, Maroni, Melandri, Meta, Minniti, Morrone, Leoluca Orlando, Parisi, Pecoraro Scanio, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Ranieri, Rutelli, Santagata, Sgobio, Tremonti e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Annunzio di petizioni.
PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura del sunto delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.
GIUSEPPE GALATI, Segretario, legge:
GIUSEPPE BATTIATO, da Augusta (Siracusa), chiede:
interventi legislativi per la riforma del sistema creditizio, prevedendo in particolare agevolazioni per l'erogazione di prestiti bancari (235) - alla VI Commissione (Finanze);
misure in materia di compensi spettanti agli avvocati (236) - alla II Commissione (Giustizia);
misure volte a sopprimere le indennità corrisposte a titolari di incarichi politici (237) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ANTONIO PALESE, da Como, chiede provvedimenti per garantire il corretto esercizio delle pubbliche funzioni e la comprensibilità delle leggi (238) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
LANDO LENA, da Perugia, chiede la sollecita discussione della proposta di legge SPINI ed altri, A.C. 1523, recante: «Modifiche alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, recante indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati» (239) - alla XII Commissione (Affari sociali);
GIUSEPPE RIZZO, da Gela (Caltanissetta), chiede norme volte a potenziare il ruolo del difensore nel processo (240) - alla II Commissione (Giustizia);Pag. 2
PANTALEO CHEZZI, da Specchia (Lecce), chiede norme di revisione costituzionale volte ad eliminare il concorso nell'accesso ai pubblici uffici (241) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
CARLO GAROFALO, da Valguarnera Caropepe, e numerosi altri cittadini, chiedono provvedimenti concernenti la gestione degli ATO e la determinazione dei costi dei consumi (242) - alla VIII Commissione (Ambiente);
ANTONIA IPPOLITO, da Airasca (Torino), chiede modifiche all'articolo 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, concernenti la soppressione dei termini per ottenere l'indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie (243) - alla XII Commissione (Affari sociali).
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297, recante disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio (A.C. 2112) (ore 12,39).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297, recante disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2112)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che la VI Commissione (Finanze) s'intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, deputata Leddi Maiola, ha facoltà di svolgere la relazione.
MARIA LEDDI MAIOLA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la materia trattata nel presente provvedimento si caratterizza per una notevole tecnicità che rende estremamente difficile elaborare un'operazione di sintesi degli argomenti. Svolgerò, pertanto, un intervento che delineerà l'essenza del provvedimento e lascerò agli atti la relazione, che più dettagliatamente entra nello specifico della materia.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo oggi l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 297, emanato dal Governo alla fine del dicembre 2006, che reca disposizioni urgenti al fine di recepire le direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE in materia di accesso alle attività svolte dagli enti creditizi e disposizioni di adeguatezza patrimoniale per le imprese di investimento. Nel provvedimento sono, altresì, previsti interventi in materia di assistenza a terra negli aeroporti, di istituzione dell'Agenzia nazionale per i giovani e sul prelievo venatorio.
Come si evidenzia dallo stesso titolo del decreto-legge, il provvedimento ha carattere eterogeneo ma non disomogeneo. Infatti, si tratta di un provvedimento complesso, teso a recepire in parte direttive comunitarie o, per altro verso, a rispondere a disposizioni comunitarie, e, quindi, volto a riallineare complessivamente la normativa del nostro paese a disposizioni comunitarie. Quindi, il disegno di legge persegue l'obiettivo di rispettare, comunque, obblighi comunitari, in adempimento di sentenze o ordinanze, o in recepimento di direttive.Pag. 3
In particolare, gli articoli 1 e 2 sono volti al recepimento delle direttive comunitarie che ho citato e, quindi, ad apportare modifiche anche significative al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ed al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
L'articolo 1 del decreto-legge apporta modifiche al testo unico bancario del 1993, per dare attuazione alla direttiva 2006/48/CE, con particolare riguardo all'esercizio delle funzioni di vigilanza sulle banche, sugli istituti di moneta elettronica e sui gruppi bancari, nonché all'attuazione delle misure derivanti dall'Accordo di Basilea sulla convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei requisiti patrimoniali per la vigilanza bancaria (il cosiddetto Accordo di Basilea II). Tale Accordo stabilisce nuove modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito, basate anche sul metodo dei rating interni. L'applicazione di questa disciplina presuppone un elevato grado di convergenza dei criteri operativi e di cooperazione tra le autorità, posto che le regole sui requisiti minimi di capitale e sul processo di controllo prudenziale dovranno essere applicate sia su base consolidata, sia alle filiazioni presenti in ciascun paese; sarà inoltre necessario un più stretto coordinamento riguardo all'informazione al pubblico da richiedere alle banche.
Per quanto concerne, in particolare, i requisiti minimi di capitale, l'Accordo interviene sul metodo standardizzato per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito, sul metodo dei rating interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito, sul trattamento prudenziale delle tecniche per la riduzione del rischio di credito e delle cartolarizzazioni e sul calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio operativo.
La direttiva 2006/48/CE riproduce in gran parte la disciplina preesistente, ma contiene altresì delle innovazioni estremamente importanti che analizzerò nel prosieguo della relazione. Ricordo inoltre che il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 31 dicembre 2006, anche se è previsto che alcune disposizioni particolari di attuazione slittino poi al 1o gennaio 2008. Ricordo, ai fini dei nostri lavori, che la delega legislativa per il recepimento della predetta direttiva nell'ordinamento del nostro paese è contenuta nella legge comunitaria del 2006.
Passando al contenuto specifico dell'articolo 1 del decreto-legge, con lo stesso si modifica in modo anche sostanziale il testo unico bancario, laddove si disciplina lo scambio di informazioni tra la Banca d'Italia e le altre autorità e i soggetti esteri indicati dalle direttive comunitarie. Rispetto alla precedente formulazione - che prevedeva questo scambio come facoltà -, il nuovo testo prescrive tale scambio di informazioni (quindi, da facoltà diventa obbligo), fermo restando il rispetto delle condizioni stabilite dalle pertinenti norme comunitarie.
Si modifica, inoltre, la disciplina dei poteri di vigilanza regolamentare della Banca d'Italia. In particolare, all'autorità di vigilanza è conferito il potere di disciplinare, in conformità alle deliberazioni del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, l'informativa che le banche debbono rendere al pubblico sugli altri aspetti rilevanti per la vigilanza di stabilità (adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio, partecipazioni detenute, organizzazione amministrativa e contabile, controlli interni).
Per quanto attiene specificatamente la disciplina regolamentare in materia di adeguatezza patrimoniale, viene definito che le disposizioni emanate dalla Banca d'Italia debbano prevedere che, per la valutazione dei rischi, agli effetti del calcolo dei requisiti patrimoniali prescritti per l'esercizio dell'attività bancaria, le banche possano utilizzare sia le valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni - essendo ovviamente in possesso dei requisiti stabiliti dalla stessa Banca d'Italia, che disciplina anche le modalità di accertamento di questi requisiti - sia sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazionePag. 4dei requisiti patrimoniali. Si tratta di sistemi che devono essere preventivamente autorizzati dalla Banca d'Italia e, per le banche sottoposte alla vigilanza consolidata di un'autorità di un altro Stato comunitario, l'autorizzazione è rilasciata da quest'ultima autorità, congiuntamente alla Banca d'Italia, entro sei mesi dalla presentazione della domanda; decorso questo termine, la nuova disciplina prevede che vi provveda la sola autorità estera competente.
È anche modificata la disposizione del testo unico bancario relativamente alle misure che la Banca d'Italia può adottare nell'esercizio delle funzioni di vigilanza regolamentare ed è integrata, a questo fine, la formulazione attuale riguardante i provvedimenti specifici, che possono essere adottati nei confronti di singole banche, per assicurare l'osservanza degli obblighi di adeguatezza patrimoniale, di contenimento del rischio, di detenzione di partecipazione, di organizzazione interna.
Sono poi apportate modifiche anche alle definizioni che rilevano per la disciplina della vigilanza su base consolidata. Con la disposizione innovata, infatti, l'adozione viene estesa a comprendervi le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente, il servizio di gestione collettiva del risparmio, attraverso la promozione, l'istituzione, l'organizzazione di fondi comuni di investimento e l'amministrazione dei rapporti con i partecipanti, ovvero la gestione del patrimonio di organismi di investimento collettivo del risparmio, siano fondi comuni che società di investimento a capitale variabile, di propria od altrui istituzione, mediante l'investimento in strumenti finanziari, crediti o altri beni, mobili o immobili.
Viene anche integrata, con il recepimento di questa direttiva comunitaria, la definizione di «società strumentali». Si precisa che la gestione di immobili può riferirsi all'esercizio della proprietà e dell'amministrazione degli stessi e viene altresì stabilito che le disposizioni relative alle banche, che oggi sono contenute nel capo secondo, titolo III del testo unico bancario concernente la vigilanza su base consolidata, si applichino anche agli istituti di moneta elettronica; quindi, come è chiaro, sono apportate sostanziali modifiche.
Un'ulteriore modifica al testo unico bancario è apportata laddove si stabilisce - ed è estremamente importante - la composizione del gruppo bancario. La nuova disposizione, infatti, precisa, relativamente ai gruppi aventi come capogruppo una società finanziaria, che, agli effetti della vigilanza esercitabile dall'autorità nazionale, rileva il gruppo bancario composto dalla società finanziaria capogruppo italiana e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali che questa controlla. Inoltre, il gruppo si qualifica come bancario quando, nell'insieme delle società controllate dalla suddetta società finanziaria, vi sia almeno una banca e le società bancarie e finanziarie abbiano in essa una rilevanza dominante, secondo quanto stabilito dalla Banca d'Italia, in conformità alle delibere del Comitato per il credito e per il risparmio. Una ulteriore modifica è riferita all'articolo 65 del testo unico bancario, comma 1, il quale determina i soggetti inclusi nell'ambito della vigilanza consolidata.
Vi è una serie di variazioni rispetto alla disciplina precedente: vengono esclusi dal novero dei soggetti a questo titolo vigilato le società finanziarie che hanno sede legale in un altro Stato comunitario e che controllano una capogruppo o una singola banca italiana, le società bancarie, finanziarie e strumentali controllate da queste, nonché le società bancarie finanziarie e strumentali partecipate almeno per il 20 per cento, anche congiuntamente, dalle predette società finanziarie, ovvero anche congiuntamente dalle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate, le altre società finanziarie diverse dalla capogruppo e dalle società finanziarie che ho appena indicato, che controllano almeno una banca; sono dichiarate per conseguenza soggette a vigilanza consolidata tutte le società che controllano almeno una banca.
La nuova formulazione consente invece alla Banca d'Italia di disporre, nei confrontiPag. 5di determinati soggetti, l'applicazione delle norme sulla revisione contabile, previste oggi per le società con azioni quotate, come previsto dal testo unico sulla finanza.
Pertanto, a questi soggetti, ancorché non quotati, può essere prescritta la revisione contabile da parte di una società di revisione iscritta nell'albo speciale tenuto dalla CONSOB con l'espressione di un apposito giudizio sui bilanci.
Vengono, poi, introdotti rispettivamente gli obblighi di informativa nei riguardi del pubblico, la possibilità di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o da enti esterni, ovvero sistemi di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, approvati sempre dalla Banca d'Italia, in termini corrispondenti a quelli di cui parlavo prima, previsti con riferimento alla vigilanza sulle banche.
Un ulteriore intervento è previsto sull'articolo 68 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in relazione al potere di vigilanza ispettiva della Banca d'Italia nei riguardi dei gruppi bancari. È introdotta una nuova previsione per cui la Banca d'Italia può consentire che autorità competenti di altri Stati comunitari partecipino, ovviamente per i profili di loro interesse, alle ispezioni presso le capogruppo, nel caso in cui queste abbiano società controllate sottoposte alla vigilanza delle medesime autorità.
È poi modificata la norma vigente per quanto concerne la collaborazione della Banca d'Italia con le autorità di vigilanza degli altri Stati comunitari, agli effetti della vigilanza consolidata su gruppi transnazionali. Oggi, la Banca d'Italia ha facoltà di concordare con le autorità di vigilanza di altri Stati comunitari forme di collaborazione, nonché la ripartizione dei compiti specifici di ciascuna autorità per l'esercizio della vigilanza su base consolidata nei confronti di gruppi operanti in più paesi. Con la nuova formulazione, contenuta nel disegno di legge di conversione, si prescrive alla Banca d'Italia di definire, anche sulla base di accordi con le autorità di vigilanza di altri Stati comunitari, forme di collaborazione e di coordinamento, nonché la ripartizione dei compiti specifici di ciascuna autorità in ordine all'esercizio della vigilanza su base consolidata nei confronti di gruppi che operano in più paesi. Inoltre, si consente alla Banca d'Italia, sulla base di questi accordi, di ampliare l'esercizio della vigilanza consolidata.
Si innova, altresì, limitatamente all'esercizio della finanza consolidata, riguardo alle informazioni da rendersi, qualora venga riscontrata una situazione suscettibile di ledere la stabilità del sistema finanziario. Si tratta di un tema molto delicato. Con la disciplina innovata, si stabilisce che, qualora la Banca d'Italia, nell'esercizio della vigilanza consolidata, verifichi l'esistenza di una situazione di emergenza potenzialmente lesiva della stabilità del sistema finanziario italiano o di un altro Stato comunitario in cui opera il gruppo bancario, è tenuta ad informare tempestivamente il Ministero dell'economia e delle finanze, nonché, ove si tratti di gruppi operanti anche in altri Stati comunitari, com'è ovvio, le competenti autorità monetarie. Questa è una disposizione particolarmente delicata e si configura come una deroga all'attuale articolo 7, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, che prevede che le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia, in ragione della sua attività di vigilanza, siano coperti dal segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, fatta eccezione del ministro - non del Ministero - dell'economia e delle finanze, in quanto presidente del comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Questa nuova disposizione invece prescrive una comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze, non già al ministro, nella sua predetta qualità di presidente del CICR.
Inoltre, viene modificato l'articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, per quanto concerne gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale tenuto presso Banca d'Italia. Tra gli aspetti disciplinati in via regolamentare dalla Banca d'Italia, vengonoPag. 6introdotti gli obblighi di informativa nei riguardi del pubblico, la possibilità di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciato da società o enti esterni, ovvero sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali approvati dalla Banca d'Italia, in termini simili a quanto ho detto in precedenza riferendomi alla vigilanza consolidata sui gruppi bancari.
È poi conferita alla Banca d'Italia la facoltà di disporre che le banche e gli intermediari finanziari, che essa autorizza ad utilizzare sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei debiti patrimoniali, illustrino alle imprese, che domandano finanziamenti, i principali fattori posti a base dei rating interni che le riguardano. La comunicazione è resa su richiesta dell'impresa interessata e gli oneri, così è previsto nella formulazione attuale, a carico dell'impresa sono commisurati all'entità del finanziamento richiesto.
L'articolo 1, come si è visto, è teso a recepire in questi termini la direttiva 2006/48/CE, mentre il successivo articolo 2 - che apporta modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, e non già al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - recepisce in particolare le disposizioni di cui alla successiva direttiva 2006/49/CE. Anche in questo caso, il termine per il recepimento delle nuove disposizioni da parte degli Stati membri era fissato al 31 dicembre 2006 e le relative disposizioni di delega legislativa, come già per l'articolo 1 recante le dette modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, sono contenute nella legge comunitaria per il 2006.
Passando al contenuto specifico dell'articolo 2 del decreto-legge, si prevede una sostanziale modifica dell'articolo 6 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria in ordine alla vigilanza regolamentare sui soggetti abilitati (imprese d'investimento, società di gestione del risparmio, società di gestione armonizzate, società d'investimento a capitale variabile, intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale tenuto dalla Banca d'Italia e banche autorizzate all'esercizio dei servizi d'investimento).
Fra le materie soggette alla disciplina regolamentare emanata dalla Banca d'Italia, d'intesa con la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), viene aggiunta l'informativa da rendere al pubblico sull'adeguatezza patrimoniale dell'intermediario, sul contenimento del rischio, sulle partecipazioni da esso detenute e sulla sua organizzazione interna, quindi, una serie di indicazioni che rafforzano la tutela dell'utenza.
Viene altresì inserita una nuova disposizione, in forza della quale con le stesse disposizioni regolamentari dovrà essere prevista, per i soggetti abilitati, la possibilità di adottare sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, subordinati alla previa autorizzazione della Banca d'Italia, nonché di utilizzare valutazioni del rischio rilasciate da soggetti esterni.
Si modifica, inoltre, il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria nella parte in cui disciplina i poteri d'intervento delle autorità di vigilanza sui soggetti abilitati. Viene aggiunta a questo riguardo la previsione secondo cui la Banca d'Italia può adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti restrittivi o limitativi concernenti i servizi, le attività, le operazioni e la struttura territoriale, nonché vietare la distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio.
Sostanzialmente, le modifiche apportate sono coerenti e corrispondono a quelle recate alle disposizioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in materia di vigilanza sulle banche, sui gruppi bancari e sugli intermediari iscritti nell'elenco speciale.
Un'altra modifica alla norma vigente si ha rendendo obbligatorio l'esercizio della potestà regolamentare per l'individuazione dei soggetti da sottoporre a vigilanza (ora definita «vigilanza su base consolidata», invece che «vigilanza sul gruppo»). Quindi, il novero dei soggetti che possono essere a tal fine considerati si estende anche a quelli esercenti attività bancaria;Pag. 7si esclude la possibilità di comprendere nell'ambito dei soggetti da sottoporre a vigilanza quelli sottoposti a comune controllo o partecipati per almeno il 20 per cento, ma resta comunque, nei riguardi di questi ultimi soggetti, per Banca d'Italia, il potere di richiedere e di trasmettere, anche periodicamente, dati ed informazioni, nonché di compiere delle ispezioni.
PRESIDENTE. Deve concludere...
MARIA LEDDI MAIOLA, Relatore. Come avevo anticipato, signor Presidente, la tecnicalità è tale che ho dovuto cercare di riassumere le principali modifiche innovative e la finalità sottesa al recepimento delle direttive comunitaria. Al riguardo, rammento che la ratio della direttiva comunitaria risiede anche nell'assumere maggiori garanzie nei confronti dell'intero sistema, oltre che uniformare le regole su tutto il territorio di interesse della Comunità.
Ricordo, altresì, che il decreto-legge che stiamo esaminando contiene un ulteriore articolo 3 sul quale conviene porre attenzione.
L'articolo 3, così com'è, sostituisce l'articolo 14 del decreto legislativo n. 18 del 1999...
PRESIDENTE. Mi corre l'obbligo di segnalarle che deve concludere; il tempo a sua disposizione è infatti scaduto.
MARIA LEDDI MAIOLA, Relatore. Ricordo soltanto che su questo punto si è svolto un ampio lavoro in sede di Commissione. Quindi, procederemo poi, nell'esame dei singoli articoli, a trattare le questioni che in Commissione hanno cominciato ad essere affrontate, anche se il lavoro in quella sede si è concluso con il conferimento del mandato al relatore e non, ovviamente, con l'esame dettagliato dei singoli articoli.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.
PRESIDENTE. Sta bene: la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
PIER PAOLO CENTO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire, eventualmente, in una fase successiva della discussione, essendo stato l'intervento del relatore esaustivo anche nella spiegazione di alcuni argomenti di natura tecnica contenuti nel decreto-legge al nostro esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo apprezzato la esaustività dell'intervento della relatrice su questo decreto-legge molto tecnico, molto particolare e molto specifico nelle parti che riguardano i testi unici cosiddetti TUB e TUF. Certamente, però, non ci possiamo soffermare soltanto sugli aspetti tecnici di questo provvedimento e sulla relativa discussione prevista per oggi in Assemblea, ma dobbiamo richiamare le ultime parole della relatrice, la quale ha fatto presente che di questo disegno di legge è stato approvato solo qualche emendamento, in sede di Commissione, ed è stato dato mandato al relatore per l'Assemblea. Ciò è dovuto - penso che lo sappiamo tutti - ad una vera e propria imboscata del Governo.
Nell'ordine del giorno della seduta odierna, signor Presidente, è prevista la discussione di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge che riguarda le banche, gli istituti creditizi e tanti altri temi, ma non la materia dell'immigrazione. Tuttavia, noi dobbiamo essere chiari di fronte agli elettori e al paese. Qualora il Governo ripresenti - così sembra, purtroppo - gli emendamenti già presentati in Commissione, si consumerà quello che noi riteniamo un grave atto di fronte a questo Parlamento. È facile iscrivere all'ordine del giorno la conversione in legge di un decreto-legge per il recepimentoPag. 8delle direttive comunitarie in materia di banche, di istituti di credito e di strumenti finanziari e per l'adeguamento alle norme comunitarie relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'agenzia nazionale per i giovani ed al prelievo venatorio. È tutto vero, sotto un certo aspetto. Però, quanto si è consumato in sede di Commissione, nei giorni scorsi, è un fatto molto grave e chi dovesse seguire i lavori dell'Assemblea per televisione o per radio o si trovasse a passare davanti al Parlamento e a leggere l'ordine del giorno delle seduta odierna deve sapere che non siamo di fronte ad un provvedimento di questo tipo.
Se il Governo manterrà la ferma posizione che ha mantenuto in sede di Commissione, ci troveremo di fronte ad un vero e proprio inganno ai danni dei parlamentari di questa Assemblea, delle Commissioni competenti e dei cittadini tutti. Se ripercorriamo la storia di quanto è accaduto in Commissione e cerchiamo di comprendere il motivo per cui siamo arrivati al mandato al relatore ci accorgiamo che vi è stata, come ripeto, una imboscata del Governo il quale, con un emendamento, che nessuno si aspettava di dover discutere in Commissione finanze, ha proposto lo stravolgimento della legge sull'immigrazione, della legge Bossi-Fini.
Questo emendamento è stato presentato in sede di Commissione finanze, che non ha alcuna competenza in materia. In base alla circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996, n. 3, che riguarda le competenze per materia delle Commissioni permanenti, la VI Commissione si dovrebbe occupare di finanze e tributi, compresa la disciplina delle verifiche tributarie e dei controlli fiscali, si dovrebbe occupare di credito, compreso il settore delle banche pubbliche, e si dovrebbe occupare anche di borsa, di assicurazioni, di disciplina delle attività delle società commerciali e dei beni appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato o degli enti territoriali. Tutto questo leggo nella circolare del Presidente della Camera, e non lo sto inventando.
Invece, signor Presidente, ci siamo trovati a discutere di una legge che in nulla rientra nelle competenze di questa Commissione, che nulla ha a che vedere, cioè, con la Commissione finanze e con le competenze che dovrebbero appartenere ad ogni suo componente, nel momento in cui è chiamato a farne parte.
Sicuramente, lei mi dirà che quello che stiamo discutendo quest'oggi è un altro testo. Tuttavia, noi dobbiamo riferirci a quanto è accaduto in sede di Commissione e a quello che, purtroppo, presumiamo accadrà in quest'Assemblea, nel momento in cui il Governo presenterà gli emendamenti. In Commissione finanze ci possono essere moltissime persone brave e competenti in diverse materie, ma, se è stata istituita la Commissione finanze è perché, probabilmente, un'altra Commissione doveva essere investita della competenza in materia di politiche per l'immigrazione. Infatti, se leggiamo quali sono le competenze della I Commissione nella circolare del Presidente della Camera - non ce lo siamo inventato noi della Lega -, riguardante la sfera di competenza delle Commissioni, vediamo che è proprio la I Commissione che si occupa delle questioni relative all'immigrazione, non certo la VI.
Quindi, francamente, ci siamo trovati anche in una situazione di imbarazzo, perché ci siamo dovuti occupare di materie che non ci competono, rispetto ad un provvedimento che, facendo mie le parole della relatrice, è tecnico e riguarda la materia bancaria. Si poteva svolgere una discussione costruttiva in Commissione (e, magari, in quest'aula), e potevamo trovare dei momenti di reciproco confronto e di contributo al miglioramento del testo: questa era la nostra impostazione iniziale in Commissione, ma sappiamo com'è andata, perché abbiamo ricevuto questa vera e propria imboscata da parte del Governo.
Mi scuso, signor Presidente, se mi ripeto, ma ritengo che il Governo ripresenterà questo emendamento. È chiaro che, qualora non lo ripresentasse, il mio discorso varrebbe fino ad un certo punto. Però, sappiamo quali siano le politiche perseguite da questo Governo e, purtroppo,Pag. 9siamo portati a credere che quell'emendamento sarà riproposto. Se ciò non fosse, ci riterremo fortunati e la cosa ci farebbe molto piacere.
Tuttavia, qualora le cose andassero come riteniamo, dobbiamo rifarci all'articolo 96-bis del regolamento della Camera, il cui comma 7 stabilisce che «Il Presidente della Camera dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge». Noi crediamo che l'emendamento presentato in Commissione non sia attinente alla materia del decreto-legge e che non abbia nulla a che vedere con ciò che prevede il titolo di questo provvedimento.
Quindi, si tratta di un caso di inammissibilità, che già quest'aula, proprio durante l'esame dell'ultimo provvedimento, il «mille proroghe», ha dato segno di saper interpretare in modo molto restrittivo. Abbiamo conosciuto la mannaia del Presidente della Camera sugli emendamenti relativi al «mille proroghe». Ci auguriamo che, qualora il Governo ripresentasse questo emendamento, molto criticato dal gruppo della Lega Nord, la stessa mannaia che è caduta sul «mille proroghe» cada anche su questo provvedimento. Altrimenti, saremmo di fronte ad un modo di comportarsi dell'Assemblea e di chi valuta l'ammissibilità degli emendamenti davvero molto diverso rispetto a quanto è accaduto con il «mille proroghe».
Inoltre, questa imboscata è stata tesa con un emendamento all'articolo 5, che era accompagnato da una piccolissima motivazione da parte del Governo. Tale motivazione, per noi, può essere vera e possiamo attenerci ad essa, però, nulla, in termini di dossier legislativo, è stato presentato alla Commissione su questo tema.
Ci possiamo fidare di questa motivazione del Governo, secondo cui sembrerebbe che il paese debba mettersi in regola con la Commissione europea, altrimenti ci sarebbe una messa in mora dell'Italia, ma le bugie che il Governo ha detto in quest'aula sono troppe. Pertanto, non ci possiamo fidare solo di questa motivazione espressa in Commissione e riteniamo necessario anche un dossier più esaustivo sulle motivazioni, tecniche e legislative, per cui il Governo aveva proposto questo emendamento.
Il nostro gruppo, quindi, esprime una forte critica su quanto è stato fatto fino a questo momento. Rivolgiamo un richiamo al Presidente su quanto è accaduto e su quanto temiamo che accadrà qualora il Governo ripresenti questo emendamento. L'opposizione del gruppo della Lega nord su questo emendamento sarà molto dura, critica e forte, sia per una motivazione politica, perché, come spiegheremo, non possiamo essere d'accordo con quanto prevede questa posizione del Governo, sia per una motivazione regolamentare, perché non deve accadere che si venga a parlare di immigrazione in un decreto-legge sugli strumenti finanziari, sulle banche e sugli enti creditizi.
Questo non esiste, soprattutto con riferimento ad una proposta emendativa che modifica radicalmente la legge in vigore!
L'emendamento in oggetto interviene sulla legge Bossi-Fini, in particolar modo sull'articolo 5 del testo unico in materia, che stabilisce l'obbligo di richiedere il permesso di soggiorno anche qualora si rimanga nel paese per un periodo inferiore ai 90 giorni.
Se l'emendamento del Governo sarà ripresentato, chi entrerà nel nostro paese e vi rimarrà per un tempo inferiore ai 90 giorni, non dovrà chiedere il permesso di soggiorno; sarà sufficiente recarsi personalmente, entro otto giorni dall'arrivo, in questura, al fine di notificare la propria presenza.
Sostanzialmente, il reato di clandestinità previsto nella legge Bossi-Fini viene a cadere non perché non vi siano più clandestini, ma perché non è più previsto il reato di clandestinità! Se sarà approvato questo emendamento (pare che il Governo voglia ripresentarlo), chi entrerà in questo paese sarà semplicemente un immigrato extracomunitario e non più un clandestino, quindi cessa di esistere il reato di clandestinità!
Ha un bel dire il ministro Ferrero che occorre controllare la clandestinità e chePag. 10non ci devono più essere i clandestini! Tutti siamo d'accordo su questo, ma non è che non ci devono più essere clandestini perché gli cambiamo il nome! Non ci devono più essere, perché chi arriva in questo paese senza un lavoro non deve restare a bivaccare. Infatti, il nostro non è il «paese dei balocchi», dove tutti trovano un'occupazione (purtroppo; se così fosse, le cose andrebbero diversamente, ma non è così).
L'emendamento del Governo (ripeto: abbiamo motivo di ritenere che lo ripresenti), prevede che il permesso di soggiorno non serva a chi resta nel nostro paese non oltre 90 giorni. Basta una notifica alla questura! Praticamente, tutti potranno arrivare nel nostro paese! Nel momento in cui le forze di polizia domanderanno alla persona in questione cosa ci faccia nel nostro paese, la stessa risponderà che è appena arrivata (anche se, in realtà, sta in Italia da già due mesi) e che ha ancora otto giorni di tempo per presentarsi alla questura di persona e dire che è arrivato.
Saremo invasi per legge (legge docet)! Nella Bossi-Fini il permesso di soggiorno rappresenta il collegamento tra il lavoro e la persona e stabilisce che chi è presente nel nostro paese lo è perché ha qualcosa da fare e non per cercare di fare qualcosa, per essere disoccupato o per delinquere. La presenza fisica della persona è collegata alla sua attività lavorativa.
Sempre in conformità a ciò che il Governo ha presentato in Commissione (purtroppo, abbiamo motivo di pensare che lo ripresenterà anche in Assemblea), sarà abrogato l'articolo 7 del testo unico in materia di immigrazione, che prevedeva che chiunque, a qualsiasi titolo, offra alloggio o ospiti uno straniero, debba comunicarlo all'autorità di pubblica sicurezza entro 48 ore. Questa norma sarà abrogata; praticamente, sarà eliminato l'obbligo per i datori di lavoro, per gli ospitanti, di comunicare alle forze di polizia, alle autorità competenti, che, nella propria casa o nell'azienda, è presente un extracomunitario. Dunque, si perde una comunicazione che rappresentava, a nostro modo di vedere, un deterrente alla clandestinità.
Il Governo interviene, dunque, con un decreto-legge. Crediamo che esistano altri strumenti per realizzare ciò. Politicamente, saremo sempre contrari (e questo lo sappiamo). Ma, oltre alla contrarietà politica, vi è anche una contrarietà riguardante il metodo, il modo di agire di questo Governo. Come si può pretendere di modificare radicalmente una materia riguardante l'immigrazione, attraverso un disegno di legge di conversione di un decreto-legge che riguarda tutt'altra materia?
Fino a qualche settimana fa, lo si poteva fare all'interno della legge comunitaria. Potevate farlo lì! Ci sarà un'altra comunitaria: se lo volete fare per una questione politica, lo potete fare lì! Fate una legge sull'immigrazione (siete capaci di farlo!), mettetevi d'accordo e fatelo lì! Avrete la nostra contrarietà politica, ma non è questo il modo di agire! Altrimenti, sorge il dubbio che questo Governo, poiché non è in grado di mettersi d'accordo su alcunché, agisce con lo strumento del decreto-legge, con emendamenti di iniziativa governativa; arrivano emendamenti della Commissione finanze, che nulla sa in merito all'immigrazione; sono buttati lì, tanto per dire: diamo un contentino alla sinistra radicale ed aboliamo parte della legge Bossi-Fini!
Fate un provvedimento complessivo sull'immigrazione! Fatelo come piace a voi, come volete, come vogliono le vostre forze politiche sociali e dell'immigrazione, ma non fatelo in questo modo, perché è un modo di agire irresponsabile, irrispettoso delle Assemblee, delle Commissioni ed anche del paese!
Infatti, riteniamo che se siete in grado di avere una politica sull'immigrazione come pare l'abbiate sui PACS - e in realtà non lo crediamo, perché litigate su tutto - allora presentate un disegno di legge complessivo, portatelo in Assemblea, e ne discuteremo. Si tratta di un modo di agire più serio e maggiormente rispettoso delle prerogative di noi parlamentari e di quello che deve essere noto al Paese sulle politichePag. 11da voi portate avanti. Al contrario, fin dall'inizio, sull'immigrazione, passo dopo passo, tassello dopo tassello, ogni momento è stato utile per scardinare una legge «a spizzichi e bocconi», un po' di qua e un po' di là, senza la presentazione di un testo davvero organico.
In merito a questo provvedimento potremmo parlare di tanti argomenti: degli articoli 1 e 2, della vigilanza bancaria, del merito di credito, del controllo bancario, della sorveglianza. Ancora, potremmo parlare dell'articolo 3 - se riproposto - che verrebbe modificato nella parte che riguarda l'ENAC. Potremmo parlare della parte venatoria o delle modalità con cui è stata impostata dell'Agenzia per i giovani, su cui nutriamo alcune perplessità in merito. Lo avremmo fatto assumendo una posizione in qualche modo costruttiva, anche se non certamente di compromesso. Si sarebbe trattata di una posizione razionale, assunta da un partito che esamina un provvedimento non del tutto deprecabile e che porta il suo contributo a talune norme, come ad esempio quella sul merito di credito. In proposito, pare che vi fosse la disponibilità a ricercare un accordo ed una soluzione condivisa dalle varie parti politiche. È questa l'impostazione con cui la Lega Nord ha iniziato l'analisi di questo provvedimento. Dopodiché vi è stata l'imboscata.
Fate quello che credete, ma all'interno di questa aula sarà battaglia, e sarà battaglia dura per quanto viene a noi concesso dal regolamento. Se il Governo, allo scadere del termine previsto per la presentazione degli emendamenti, ovvero tra mezz'ora, non presenterà la proposta emendativa in questione, benissimo, perché questo ci farà piacere. In tal caso, valuteremo di conseguenza l'atteggiamento da tenere. Certo è che, se invece l'emendamento dovesse essere ripresentato, da parte della Lega Nord sarà fatta opposizione durissima (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.
GIOACCHINO ALFANO. Grazie, Presidente. Mi è sfuggita l'indicazione del termine per la presentazione in aula degli emendamenti: potrebbe ripeterla?
PRESIDENTE. Il termine è fissato alle 14 di oggi.
GIOACCHINO ALFANO. Grazie, signor Presidente. È fondamentale conoscere questa informazione, perché su di essa saranno basate le nostre riflessioni.
Colleghi, ho preso qualche appunto in merito alla relazione svolta dall'onorevole Maria Leddi Maiola e all'intervento del collega Fugatti, in quanto ci stiamo soffermando in misura prevalente sul metodo piuttosto che sul merito del provvedimento. Proprio per tale motivo, ho chiesto al Presidente di ricordare il termine per la presentazione degli emendamenti, in quanto stiamo ragionando su un testo provvisorio, non sapendo cosa esso diventerà.
Per non sprecare il tempo a disposizione, è utile avanzare qualche richiesta e formulare talune riflessioni, per poter svolgere un lavoro più efficace ed utile in merito agli argomenti trattati. In primo luogo, lo stesso titolo del provvedimento risulta piuttosto eterogeneo, caratteristica che connota anche il testo del decreto.
La prima polemica, già sollevata in sede di Commissione e che ora sta emergendo anche nel dibattito in aula, è relativa al metodo frequentemente utilizzato nel corso di questa legislatura: alcuni provvedimenti motivati da aspetti estranei alle volontà politiche nazionali vengono caricati di questioni che non rivestono carattere di urgenza. L'opposizione non può dare l'impressione di non comprendere l'urgenza che tali provvedimenti siano approvati, a maggior ragione quando essi sono imposti dall'Unione europea, addirittura a seguito di sentenze. In tali situazioni - ripeto - è imbarazzante dare l'impressione di non voler cogliere la necessità di questi provvedimenti.
Allora, nessuno impegnava il Governo e non vi era una forza politica - almeno io non l'ho intravista dalla lettura dei giornali -Pag. 12che poneva delle questioni che, coincidendo con il provvedimento, avrebbero potuto essere in esso inserite. Avrebbe potuto dunque essere effettuata una riflessione sul metodo sin dall'inizio, nella fase di predisposizione del provvedimento.
Pertanto, noi invitiamo ancora una volta il Governo a non continuare con questo atteggiamento. In questo modo, si creano difficoltà anche ai lavori ordinari nelle Commissioni. Come diceva anche il collega Fugatti, presso la Commissione finanze è stato necessario affrontare questioni che non attenevano propriamente alla competenza di tale Commissione, il che ha mortificato non tanto i deputati - i quali sono stati considerati anzi capaci di occuparsi di altre materie che non competevano loro - quanto le Commissioni di merito. Queste ultime hanno espresso pareri molto articolati alla nostra Commissione, che esaminava il provvedimento in sede referente.
Dunque, come i colleghi possono immaginare, la Commissione finanze si è trovata ad acquisire pareri di altre Commissioni, che avrebbero dovuto esaminare il provvedimento in sede referente, ma che invece lo hanno fatto in sede consultiva: in questa situazione esse si sono sforzate di leggere il provvedimento e di dare delle indicazioni, ma queste non sono state inserite puntualmente negli emendamenti e, davvero, non sappiamo come andrà a finire. A pensare male, necessariamente siamo costretti a dire che il Governo, avendo difficoltà nel porre le questioni in modo ordinario e nell'ottenere i tempi e la disponibilità al dibattito al suo interno, utilizza certi provvedimenti che per distrazione o per necessità debbono avere un iter più veloce e in questo modo tenta di risolvere diversamente determinate questioni.
Queste ultime possono essere risolte con una sorta di fiducia, ma la situazione peggiora se un provvedimento, che parte per fare proprie delle questioni europee, si arricchisce sin dall'inizio di altre questioni non urgenti. Inoltre, durante l'iter, all'improvviso si è costretti ad affrontare altre materie, che effettivamente non hanno niente a che vedere con quello di cui stiamo discutendo. Dunque, in base a questa seconda riflessione - e su questo siamo ancora più critici - aumenta il numero degli emendamenti.
Infatti, come prima conseguenza di questa contrapposizione abbastanza forte e decisa da parte della maggioranza e dell'opposizione si produce un incremento degli emendamenti. Mi chiedo infatti come sia possibile prevedere un numero limitato di emendamenti quando le questioni poste sono così numerose. Inoltre, com'è possibile credere alla maggioranza, che ci sta suggerendo in questi ultimi tempi una modifica della legge finanziaria, quando il difetto che noi abbiamo evidenziato in questa legge si ripete regolarmente in tutti i decreti che voi state facendo?
Pertanto, per evitare di cadere in un tranello che non è teso tanto all'opposizione, quanto anche alla maggioranza, sarebbe opportuno applicare il metodo utilizzato nelle ultime leggi finanziarie. Tra queste, considero anche quelle varate da noi, che hanno avuto un epilogo peggiore e non per colpa della maggioranza, ma per il notevole numero delle questioni poste. Tuttavia, dato che quest'ultima legge finanziaria ha dimostrato che è stato utilizzato un metodo inapplicabile, com'è possibile pensare che noi accettiamo di discuterne quando poi tale metodo si ripresenta continuamente in altri provvedimenti?
È normale che osserviamo che le questioni poste sono talmente tante e che potremmo stare qui a discuterne, mentre abbiamo soltanto mezz'ora di tempo per l'intervento in discussione generale, dunque un tempo che si rivela insufficiente. Il Presidente è stato costretto ad interrompere la relatrice, che pure aveva dichiarato di avere fatto una sintesi delle questioni poste. La stessa relatrice, in premessa, aveva osservato che ci troviamo di fronte ad un decreto complesso, per illustrare il quale sarebbe stato necessario un tempo maggiore. Per tale ragione, sarebbe stato sufficiente approvare un decreto per ciascuna materia, dividendo le questioni perPag. 13le varie Commissioni di merito, perché allora il tempo si sarebbe moltiplicato.
Devo dire che i tentativi di semplificare le procedure parlamentari e di migliorare il rapporto tra il Governo e il Parlamento non sono riconducibili soltanto all'opposizione. Ho letto in questi giorni le dichiarazioni del ministro Lanzillotta, secondo la quale è indispensabile svolgere sessioni ad hoc. Anche i membri del Governo che si vedono chiamati a discutere questioni di propria competenza, ma che non conoscono direttamente, chiedono che su alcune questioni siano svolte delle sessioni ad hoc.
Sarebbe stato opportuno, ad esempio, che argomenti quali le attività venatorie, l'immigrazione ovvero il rimborso dell'imposta di registro delle società, fossero stati collocati nell'ambito di provvedimenti ad hoc. Anzi, ritengo che, se è vero che gli ammonimenti europei ci spingono ad essere veloci per evitare sanzioni, è pur vero che questa occasione potrebbe essere utilizzata per intervenire complessivamente sulla materia.
Anche in relazione a qualche provvedimento già approvato, per esempio quello sull'IRAP, suggerii in aula che, proprio perché c'era una sentenza che interveniva in un modo abbastanza deciso sul comportamento dell'Italia con riferimento a quell'imposta, occorreva cogliere l'occasione per riformare tale imposta, che creava numerose difficoltà ai contribuenti.
Oggi, allo stesso modo, non riusciamo a discutere su questioni così importanti solo perché le avete inserite in modo eterogeneo ed illogico in un decreto-legge, che ha una funzione diversa.
Detto ciò, ricordando anche dichiarazioni di importanti membri della maggioranza e anche perché, altrimenti, daremmo l'impressione di fare solo riflessioni critiche su questioni tecniche che non hanno nulla a che fare con la materia, presentiamo una richiesta tendente a semplificare molto i lavori dell'Assemblea nei prossimi giorni. Abbiamo anche altri provvedimenti da esaminare, tra cui la prosecuzione dell'esame del decreto cosiddetto mille proroghe. Siamo consapevoli che vi sono altre questioni su cui vi è maggiore attenzione, basti pensare ai PACS o alle liberalizzazioni. Non intendiamo utilizzare il tempo da dedicare a questi provvedimenti per soffermarci su questioni tecniche, che potrebbero essere affrontate in modo più veloce. La richiesta è di stralciare tutte le questioni non urgenti. Domani mattina si riunirà il Comitato dei nove.
Il presidente, che è stato bravissimo nel condurre i lavori della Commissione sul provvedimento, potrebbe stralciare tutte le questioni che non hanno nulla a che fare con le scadenze imposte dalle sentenze di cui abbiamo parlato. In quel caso, se riuscissimo a stralciare le parti del provvedimento relative a materie che non sono sicuramente urgenti, potremmo trattare quelle che, pur non essendo urgenti, siano quanto meno omogenee alle materie considerate dalle sentenze.
Ripeto: le materie non urgenti e non omogenee con le materie oggetto di segnalazione da parte comunitaria possono essere stralciate. Soltanto se avvenisse questo potremmo manifestare la disponibilità a ridurre il numero degli emendamenti presentati e gli interventi in Assemblea e in Commissione, in modo da dimostrare non l'intendimento di contrapporci preventivamente a tutto quanto il Governo e la maggioranza propongono, ma la nostra disponibilità al dialogo. Occorrerebbe riuscire ad operare questo stralcio - parlo ovviamente per il gruppo al quale appartengo - almeno per la parte più importante, cioè per le materie che non sono urgenti o in scadenza, che non sono omogenee con quelle indicate dalla Comunità europea e che non sono nemmeno delicate dal punto di vista di una posizione politica: in questo caso faremmo passare molto velocemente il provvedimento.
Il seguito dell'esame del decreto-legge riprenderà non prima di mercoledì, dato che domani dovremo proseguire e concludere l'esame del decreto cosiddetto mille proroghe. Solo nel caso in cui avvenisse quanto ho indicato poco fa, vi potrebbe essere un atteggiamento costruttivo da parte nostra; altrimenti, come stiamo dimostrandoPag. 14nella seduta in corso, la nostra posizione è pregiudiziale rispetto alle materie considerate nel provvedimento. La relatrice è stata così brava nell'affrontare l'aspetto tecnico, che siamo pienamente concordi con lei. In ogni occasione in cui abbiamo affrontato le materie oggetto del decreto-legge abbiamo sempre manifestato una condivisione comunque importante, se non totale. La situazione si è complicata quando sono arrivate le richieste di modifica.
Infine, quando il presidente ha dichiarato inammissibile il «famoso» emendamento di cui parlava il collega Fugatti, è stato presentato un nuovo emendamento riformulato, che è stato successivamente dichiarato ammissibile. Considerando, però, l'orientamento del Presidente della Camera, anche il secondo emendamento riformulato è sicuramente inammissibile, perché le motivazioni utilizzate dalla Presidenza per dichiarare l'inammissibilità erano per materia. Vi sono, inoltre, questioni poste dalla Commissione bilancio relative alla copertura che rimangono aperte, ma quando interviene la Commissione bilancio è più semplice perché si tratta di modifiche che debbono essere apportate d'autorità. Per quanto concerne invece le modifiche di cui parlavo poc'anzi, siamo caduti in una evidente contrapposizione.
Se la richiesta fosse accolta, la nostra azione sarebbe divisa e rinviata a provvedimenti da individuare e predisporre per risolvere questioni, che la maggioranza ritiene vitali. Non è possibile dimenticare che alcune questioni sono state riprese mentre erano già in corso. Ad esempio, in materia di energia il Governo riprende, modificandolo, un provvedimento approvato al Senato, poi accolto nella finanziaria, il «famoso» Cip 6.
Noi abbiamo la fortuna che è presente un sottosegretario che ha anche competenze e, diciamo, vocazioni che riguardano l'energia, per questo veramente non abbiamo capito quale sia la reale motivazione, che ha spinto ad inserire, quindi a discutere quell'argomento nel provvedimento al nostro esame.
PRESIDENTE. La ringrazio. Rispetto all'emendamento di cui hanno parlato i due oratori in discussione generale, la Presidenza informa che esso è stato presentato dal Governo e trasmesso ai gruppi secondo la prassi, e che attualmente è al vaglio di ammissibilità da parte della Presidenza della Camera.
È iscritto a parlare il deputato Fluvi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame è molto, molto importante, non per le considerazioni che sono state fatte dai colleghi che sono intervenuti prima di me in discussione generale, ma perché, soprattutto negli articoli 1 e 2 (che rappresentano la «cifra» dell'intero provvedimento), la legislazione italiana recepisce i cosiddetti accordi di Basilea II. Essi vengono recepiti attraverso lo strumento di questo decreto-legge, entro la scadenza del 31 dicembre 2006 (sia pure appunto con lo strumento della decretazione d'urgenza), cioè entro i termini indicati dall'Unione europea.
Ora, come i colleghi sanno, la normativa di Basilea II, recepita attraverso gli articoli 1 e 2, che, ripeto, costituiscono la «cifra» dell'intero provvedimento, è molto importante in quanto parla direttamente al nostro sistema economico, non solo al sistema bancario.
Uno degli scopi di Basilea II è quello di legare più strettamente il capitale delle banche alla rischiosità dei finanziamenti, attraverso l'uso di rating interni e di rating esterni. Si offre in sostanza una maggiore flessibilità nella misurazione del rischio di credito rispetto ai criteri più meccanicistici previsti nell'originario accordo sul capitale del 1988, cioè di Basilea I.
Le nuove disposizioni (e mi piacerebbe che, i colleghi che interverranno successivamente, durante il dibattito in aula, discutessero di questo) sono destinate a modificare in maniera significativa l'approccio delle banche nella gestione del rischio creditizio con indiscutibile ricaduta sulla misura del loro capitale regolamentare, nonché sull'intero sistema economicoPag. 15del nostro paese, che da noi è formato prevalentemente da piccole e piccolissime imprese.
Queste ultime, poi, trovano proprio nel credito bancario la principale fonte di approvvigionamento di risorse. Come è possibile vedere, scorrendo la normativa al nostro esame, il recepimento di Basilea II nell'ordinamento interno non si è risolto in una mera traduzione in lingua italiana della normativa comunitaria.
Non mi riferisco solo all'esercizio delle opzioni, pur rilevanti, rimesse alla discrezionalità nazionale dalla direttiva, ma anche all'opera intelligente di adattamento alle specifiche esigenze della realtà economica, giuridica ed istituzionale del nostro paese.
Un tipico esempio di questa integrazione fra una normativa globale concepita per le grandi banche internazionali e le peculiarità del sistema economico italiano è il trattamento delle garanzie offerte dai consorzi fidi.
Nella sostanza, si è reso possibile il riconoscimento della minore rischiosità dei prestiti assistiti da questa forma di garanzia, sia nelle opzioni regolamentari più semplici, che riguardano le banche minori, sia in quelle più complesse, utilizzate dalle grandi banche. Ora, Basilea I, come voi sapete, non prevedeva il riconoscimento dei confidi quale mezzo di riduzione degli assorbimenti di capitale imposti alle banche. La nuova disciplina invece innova sensibilmente in merito, ed in particolare sulla capacità dei consorzi fidi di fungere da strumenti di mitigazione del rischio creditizio per le banche finanziatrici.
La normativa in esame ha già prodotto, tra l'altro, fatti, innovazioni significative. Penso, ad esempio, al processo di aggregazione di quella miriade di cooperative artigiane di garanzia in consorzi di garanzia fidi di più grandi dimensioni. Più specificamente, venendo da Empoli, in Toscana, ho presente il processo avviatosi nella mia regione: la miriade di cooperative di garanzia sparse sul territorio della Toscana sono state raggruppate in un unico consorzio fidi toscano, rappresentato, appunto, dall'unione delle cooperative di garanzia di CNA, Casartigiani e Confartigianato. Comunque, esperienze similari sono in corso in tutto il paese. Si tratta di un processo enorme che va accelerato. A mio avviso, va anche ripreso il percorso legislativo volto a dare stabilità all'intero sistema dei consorzi di garanzia fidi. Certo, quello dei confidi non è l'unica peculiarità nazionale tradotta nell'accordo Basilea II (che ci apprestiamo a recepire mediante il provvedimento in esame).
In definitiva, si può affermare che il recepimento del nuovo accordo di Basilea, pur conseguendo l'obiettivo di armonizzare la normativa su scala globale, è stato realizzato in modo da creare una convergenza sostanziale sul piano prudenziale, senza appiattire su un modello unico le tecniche operative e contrattuali e, di conseguenza, senza creare situazioni di svantaggio competitivo per il nostro paese.
Interessanti, in questa direzione, sono le considerazioni svolte di recente, in un convegno organizzato dall'ABI, dal vicedirettore generale della Banca d'Italia, dottor Carosio (i colleghi sanno che, a seguito dell'adozione del decreto-legge, sono state emanate le nuove istruzioni di vigilanza da parte della Banca d'Italia: si entra, cioè, dalla fase di discussione teorica, quella del recepimento, a quella dell'applicazione concreta della nuova normativa). «L'ordinamento comunitario e quello interno - ha affermato il vicedirettore generale della Banca d'Italia - consentono il mantenimento nel corso del 2007 del previgente regime prudenziale. Pertanto, durerà ancora per il 2007 la coesistenza delle due diverse discipline, le vecchie istruzioni di vigilanza e le nuove disposizioni prudenziali, le prime applicabili alle banche che hanno optato per il vecchio regime, le seconde a quelle che hanno scelto di applicare da subito l'accordo Basilea II. È invece immediatamente operativa, per tutte le banche, la nuova disciplina del patrimonio di vigilanza». Ora, noi sappiamo che la maggior parte degli istituti di credito ha deciso di rinviare al 2008 l'ingresso in Basilea II. È una decisione comprensibile, che riflette la complessità deiPag. 16problemi da risolvere e la preferenza per soluzioni più complete e definitive, pur essendo soluzioni parziali ammesse in via transitoria
Le nuove regole non realizzano soltanto un significativo progresso nei livelli di sicurezza e stabilità dei sistemi bancari, ma ottengono anche il risultato di accrescere la libertà di scelta degli intermediari ed i vantaggi economici ricavabili da miglioramenti dei sistemi di gestione dei rischi.
In conclusione, Basilea II sollecita l'efficienza delle banche, l'efficienza del sistema creditizio del nostro paese. Sono premiati con minori obblighi di capitale quelle banche, grandi e piccole, che utilizzano metodi più precisi nella quantificazione e più efficaci nella gestione dei rischi di credito. In questo senso, il nuovo accordo rappresenta anche un fattore di selezione: accentuerà la concorrenza redistribuendo quote di mercato.
Vorrei cogliere l'occasione della discussione sulle linee generali sul recepimento degli accordi Basilea II per svolgere, brevemente, alcune considerazioni che ho già espresso, di recente, in Commissione finanze.
Come ha già detto il relatore nella sua relazione, con questo provvedimento si modificano sostanzialmente parti significative del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, nonché del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
Negli ultimi mesi, con le modifiche alla cosiddetta legge sul risparmio, con il recepimento delle direttive dell'Unione europea e con il decreto-legge in esame si sono introdotte e si vanno introducendo numerose modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, nonché al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. Ulteriori modifiche sostanziali si introdurranno con il recepimento della cosiddetta direttiva MIFID e della direttiva europea sull'OPA comunitaria. A mio avviso, il rischio che si corre è quello di perdere di vista un quadro di riferimento generale, l'obiettivo cui tendere.
È necessario evitare, a mio giudizio, che i diversi interventi normativi effettuati a più riprese, attraverso il recepimento successivo di direttive europee, possano portare ad una normativa disorganica.
Per questo motivo, ritengo che, forse, un momento di riflessione, magari da attuarsi in Commissione finanze, possa aiutare la costruzione, seppure in progress, di un assetto normativo organico, che si ponga uno scopo finale e che abbia ben chiaro l'obiettivo cui tendere: forse, potrà essere quello di un testo unico che raccolga al suo interno, aggiornandole, le normative dell'attuale testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, nonché del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. Una riflessione che, partendo da una sorta di libro bianco redatto dal Governo considerando l'esperienza maturata in questi anni attraverso il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, nonché il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, sia in grado di aggiornare gli obiettivi, coinvolgendo studiosi, esperti della materia e facendo tesoro dell'attività conoscitiva svolta dalla Commissione finanze del Senato sull'attuazione della cosiddetta legge sul risparmio.
Signor Presidente, mi avvio davvero alla conclusione. Abbiamo discusso - ne abbiamo sentito l'eco anche nella discussione sulle linee generali svoltasi oggi - più delle questioni non affrontate da questo decreto-legge che di quelle trattate.
Era naturale sostituire l'articolo 3 del decreto-legge - e credo che sarà sostituito anche nel testo attuale - in quanto la normativa in esso contenuta è già stata recepita da questa Camera la settimana scorsa con l'approvazione in via definitiva della legge comunitaria.
Non condivido le considerazioni svolte dai colleghi sugli emendamenti presentati dal Governo e ammessi in Commissione finanze dalla presidenza, che hanno come minimo comune denominatore il recepimento delle direttive europee. Certo, tale considerazione non vuole influire sull'autonomia di giudizio della Presidenza dellaPag. 17Camera, che saprà sicuramente valutare in merito ai criteri di ammissibilità dei diversi emendamenti proposti sia dal Governo sia dai deputati. Ma il tentativo era e rimane quello di recepire, entro i termini previsti, la normativa europea anche per evitare la messa in mora del nostro paese e, quindi, il pagamento di multe e di sanzioni.
Vorrei svolgere una considerazione brevissima su una proposta emendativa presentata in Commissione finanze, che non è stato possibile esaminare per i motivi illustrati dal relatore: quella relativa al CIP 6. Non siamo pregiudizialmente contrari a questo argomento: anzi, come gruppo de L'Ulivo, siamo d'accordo sulle linee di principio e sulle linee di fondo. Il problema non è, a nostro avviso, rimettere in discussione il principio secondo il quale i contributi vanno a quegli impianti che producono energia da fonti effettivamente rinnovabili. Su questo punto non deroghiamo: siamo d'accordo e in ordine a ciò incontrerete il nostro consenso ed il nostro voto favorevole.
La questione è che esiste una realtà che, in base alla precedente normativa, si è mossa, ha redatto piani finanziari ed effettuato investimenti, ha chiesto autorizzazioni ed avviato la costruzione di impianti.
Una proposta emendativa che si facesse carico di questa situazione otterrebbe sicuramente il nostro voto favorevole; così come il nostro voto favorevole lo avrà certamente l'intero provvedimento al nostro esame.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Germontani.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, ci troviamo oggi a discutere un provvedimento che teoricamente dovrebbe consistere in un semplice recepimento di direttive europee e che invece ha costituito - come rilevato anche da alcuni colleghi che mi hanno preceduto - l'occasione attraverso la quale il Governo intende introdurre ulteriori disposizioni volte ad intervenire su una molteplicità di problematiche del tutto eterogenee.
L'atteggiamento assunto dal Governo e dalla maggioranza, quindi, rischia di rendere particolarmente tortuoso l'iter parlamentare del provvedimento, fino al punto da porre concretamente in dubbio la conversione in legge del decreto stesso.
Innanzitutto, vorrei analizzare i punti che compongono questo provvedimento. Inizierò esaminando gli articoli 1 e 2, che apportano modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, allo scopo di dare attuazione alle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE, con particolare riguardo all'esercizio delle funzioni di vigilanza sulle banche, sugli intermediari finanziari, sugli istituti di monete elettroniche e sui gruppi leader bancari, nonché all'attuazione delle misure derivanti dall'Accordo di Basilea sulla convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei requisiti patrimoniali per la vigilanza bancaria, il cosiddetto Accordo Basilea II.
Al riguardo ricordo che è stato proprio all'ordine del giorno del summit dello scorso 24 gennaio del Governatore della Banca d'Italia, Draghi, con i principali banchieri italiani l'adeguamento del sistema bancario alla nuova disciplina della conformità alle regole previste dai nuovi standard di Basilea II.
Basilea II nasce in seguito alle clamorose débâcle bancarie che, a partire dagli anni Novanta, hanno coinvolto numerosi istituti di credito. Ciò ha reso evidente che esistevano alcune pesanti tare all'interno del quadro normativo, grazie a cui le banche valutavano i rischi delle aziende alle quali accettavano di aprire un credito. In altri termini, era diventato obsoleto il modo di valutare se l'impresa che chiedeva un credito sarebbe stata in grado di ripagarlo, entro quando e quanto reddito avrebbe generato. In merito, esisteva già un documento di accordo, Basilea 1, che tuttavia è risultato incentrato su una visione semplificata dell'attività bancaria e della rischiosità delle aziende.
Basilea II ha quale intento manifesto quello di assicurare una stabilità al sistemaPag. 18bancario, in funzione del sistema economico che oggi ha continua necessità di capitali per investire in ricerca e sviluppo, nonché quello di generare un legame del tutto diverso tra banche e imprese, fondato su fiducia reciproca, informazioni reali da aggiornarsi continuamente, vincolate all'effettiva capacità di produrre reddito in prospettiva di una crescita futura e non solo degli obiettivi a medio termine, purtroppo assai frequenti.
Il contenuto del nuovo accordo si articola su tre pilastri. Il primo riguarda i requisiti patrimoniali minimi; in sostanza, si tratta di un affinamento della misura prevista dall'Accordo del 1988, che richiedeva un requisito di accantonamento dell'8 per cento. Ora, si tiene conto innanzitutto del rischio operativo e di quello di mercato; inoltre, per il rischio di credito, le banche potranno utilizzare metodologie diverse di calcolo dei requisiti.
Le metodologie più avanzate permettono di utilizzare sistemi internal rating, con l'obiettivo di garantire una maggiore sensibilità ai rischi, senza innalzare né abbassare in media il requisito complessivo. La differenziazione dei requisiti in funzione della probabilità di insolvenza è particolarmente ampia, soprattutto per le banche che adotteranno le metodologie più avanzate.
Il secondo punto riguarda il controllo delle banche centrali. Tenendo conto delle strategie aziendali in materia di patrimonializzazione e assunzione dei rischi, le banche centrali avranno una maggiore discrezionalità nel valutare l'adeguatezza patrimoniale delle banche stesse, potendo imporre una copertura superiore ai requisiti minimi. Il terzo punto riguarda la disciplina del mercato e la trasparenza. Sono previste regole di trasparenza per l'informazione al pubblico sui livelli patrimoniali, sui rischi e sulla loro gestione.
Veniamo però al nodo principale, tutto italiano, perché nell'attuale discussione non si può prescindere dalla realtà economica italiana.
Notiamo certo le nostre grandi potenzialità, ma anche il rischio di un cambiamento, quale è quello che stiamo esaminando. Infatti, l'Italia è un paese che deve la sua ossatura produttiva alle piccole e medie imprese. Una piccola e media impresa, infatti, ha minori possibilità di generare reddito o di ingenerarne di ingente; inoltre, in Italia la piccola e media impresa è solitamente a conduzione familiare e quindi contraria all'ingresso di soci e capitali esterni da un lato, non attrezzata nel settore analisi e gestione finanza dall'altro.
Secondo uno studio effettuato dall'ASAM, l'Associazione per gli studi aziendali e manageriali dell'Università cattolica di Milano, gran parte delle piccole e medie imprese non sono in grado di superare l'esame del rating che permette di rispettare i criteri di Basilea II. In particolare, i dati indicano che il 55 per cento delle piccole imprese sono del tutto impreparate a gestire in modo corretto i rapporti con gli istituti finanziari; il 25 per cento sa che si tratta di una priorità ma non ha ancora adottato misure concrete, e soltanto il 19,6 per cento del campione dichiara di essersi strutturato in modo completo. Emerge anche che le family business devono cambiare alcune abitudini di gestione dell'impresa, introducendo una mentalità manageriale molto più avanzata con l'obiettivo di riallineare un profilo di rischio dettagliato dell'imprenditore e indicando le eventuali azioni previste per una sua oggettiva mitigazione, oltre ad illustrare nel dettaglio le strategie di capitalizzazione e di ristrutturazione dell'indebitamento.
Il dato più allarmante secondo questa indagine presentata a Bologna è che anche l'impresa medio-grande è in ritardo nell'affrontare Basilea II: ben il 64 per cento delle imprese che si sono sottoposte all'autodiagnosi dichiarano di essere carenti su sistemi di reporting di gruppo e di non avere ancora un bilancio consolidato certificato; il 71 per cento insiste nel dichiararsi indisponibile a riaprire l'equity a terzi finanziatori; il 53 per cento dichiara di essere in forte difficoltà nell'affrontare i processi di cambiamento e ben il 68 per cento ammette di non saper far uso di analisi della vulnerabilità aziendale.Pag. 19
Nel corso dell'esame in Assemblea del provvedimento e degli emendamenti proposti dobbiamo considerare tutto questo, rilevando come l'aspetto fondamentale del disegno di legge in esame sia costituito dal recepimento di talune direttive comunitarie rispetto a cui non possono esprimersi rilievi critici fondamentali, ma solo miglioramenti di carattere tecnico, proprio tenendo conto di quella realtà italiana che ho sinteticamente analizzato.
Si sarebbe dovuto cogliere questa occasione, a nostro giudizio, per adottare un provvedimento normativo organico, attraverso il quale cominciare ad affrontare i numerosi aspetti problematici, anche dal punto di vista della disciplina tributaria, venendo incontro all'esigenza di chiarezza sentita da tanti cittadini contribuenti. Invece, il recepimento di talune direttive europee rappresenta oggi soltanto l'occasione attraverso la quale il Governo intende introdurre ulteriori disposizioni volte ad intervenire su una molteplicità di problematiche del tutto eterogenee, così come è avvenuto con la proposta emendativa che introduce l'articolo 3-bis con il quale il Governo fa «rientrare dalla finestra» un emendamento in precedenza dichiarato inammissibile dalla Commissione finanze.
Nella sostanza, la correzione riguarda le norme confluite nella legge finanziaria, limitando ai soli impianti già realizzati ed operativi gli incentivi per l'energia prodotta da fonti rinnovabili e assimilate. La manovra finanziaria prevedeva, invece, che gli incentivi fossero attribuiti ai soli impianti già autorizzati e di cui si fosse avviata completamente la realizzazione.
Il testo introdotto esclude le agevolazioni concesse ad investimenti già realizzati. Un tema così tecnico deve, a nostro giudizio, essere oggetto di decreti attuativi che risulterebbero certamente lo strumento più idoneo.
Passando all'articolo 5, esprimo anche in questo caso la mia perplessità circa l'opportunità di affrontare nel decreto-legge il tema relativo alla costituzione dell'Agenzia nazionale per i giovani. La problematica delle azioni di sostegno in favore del mondo giovanile riveste grande interesse e, quindi, anche in questo caso, sarebbe stato preferibile intervenire in tale materia attraverso un esplicito provvedimento. Tuttavia, abbiamo dimostrato la nostra disponibilità al riguardo ed il nostro gruppo ha presentato diversi emendamenti migliorativi che fissano limiti di età, rispetto della parità tra i sessi ed un'attenzione per il disagio giovanile legato alle tossicodipendenze per il recupero dei minori a rischio di devianza, nonché per la promozione dei diritti per l'infanzia e l'adolescenza. Ci auguriamo che tali emendamenti vengano discussi ed accolti dall' Assemblea.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, ciò che ci ha costretti a mutare radicalmente il nostro atteggiamento nei confronti di questo disegno di legge di conversione è il tentativo da parte dell'Esecutivo di stravolgere il contenuto del provvedimento, introducendo surrettiziamente anche una modifica al Testo unico sull'immigrazione, volto ad eliminare l'obbligo del permesso di soggiorno per soggiorni di durata inferiore ai tre mesi.
L'emendamento 5.07 che il Governo ha presentato in Commissione è un'apertura indiscriminata all'emigrazione, in chiara contraddizione con la linea dettata da tanti altri paesi europei che hanno optato per posizioni più rigide. Con un colpo di spugna, infatti, il Governo ha deciso di cancellare la cosiddetta legge Bossi-Fini. Così, l'annunciata cancellazione delle norme varate dal centrodestra che regolano i flussi degli stranieri in Italia sta per essere portata a termine. I cittadini extracomunitari non avranno più bisogno di permesso di soggiorno per soggiorni della durata di meno di tre mesi, ma dovranno dare semplicemente notizia del loro ingresso agli uffici di frontiera oppure entro otto giorni agli uffici di questura.
Inoltre, verrà abrogato l'obbligo per l'ospitante ed i datori di lavoro di comunicare alla questura l'ospitalità e l'assunzione. Questo Governo sta usando ogni strumento possibile per cancellare la cosiddetta Bossi-Fini. Tuttavia, per questo scopo, non sta usando l'unico strumentoPag. 20legittimo, perché non ne ha la forza in Parlamento e, quindi, non prova a presentare un proprio provvedimento complessivo sull'immigrazione, ma tenta, attraverso l'inserimento di proposte emendative (così come già avvenuto al momento dell'approvazione la scorsa settimana della legge comunitaria 2006, per la determinazione dello status di rifugiato), di cancellare la cosiddetta Bossi-Fini, l'unica legge che ha ridimensionato il fenomeno dell'immigrazione clandestina, ormai fuori controllo.
Certo, questo è il Governo del permissivismo, quello che ha innalzato il limite del consumo personale di droga, quello che ha concesso l'indulto, quello che ora vuole cancellare le frontiere e trasformare l'Italia nel paese del Bengodi a cui tutti possono accedere ed in cui tutti possono fare ciò che vogliono.
L'altro giorno mi sono soffermata su una notizia apparsa sui quotidiani che ha attirato la mia attenzione. Si tratta di un trucchetto messo in atto da alcuni immigrati clandestini che lanciavano patate farcite di eroina all'interno dei CPT. L'eroina veniva consumata dagli ospiti del centro che, in questo modo, si dichiaravano tossicodipendenti, situazione incompatibile con il trattenimento e venivano quindi rilasciati.
Cosa fa questo Governo? Invece di intensificare i controlli e di punire chi, attraverso escamotage più o meno fantasiosi, contravviene alle nostre leggi, facilita e favorisce chi, illegalmente, si vuole introdurre nel nostro paese. La nostra valutazione sul decreto-legge è quindi sostanzialmente negativa. Concludo, quindi, stigmatizzando fortemente il carattere assolutamente disorganico del provvedimento in esame e stigmatizzando il tentativo, da parte del Governo, di introdurre surrettiziamente, attraverso la presentazione di emendamenti, ulteriori disposizioni che riguardano aspetti cruciali del nostro ordinamento, senza assicurare la necessaria trasparenza al processo democratico di decisione parlamentare.
Per questo, esprimo una valutazione complessivamente negativa dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale sul provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Borghesi, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Gianfranco Conte. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella discussione relativa al provvedimento sulla proroga dei termini, personalmente avevo sostenuto che se il Presidente della Camera fosse andato avanti su quella strada avrebbe probabilmente dovuto rivedere la sua posizione per quanto concerne l'inammissibilità di molti degli emendamenti presentati nell'ambito di quel decreto-legge. Non posso dubitare che la Camera dei deputati si orienti in questo senso, perché, obiettivamente, siamo partiti da un testo che complessivamente interveniva su materie nelle quali esiste un effettivo contrasto con l'Unione europea, anche di natura contenziosa, legato a procedimenti di infrazione aperti contro l'Italia. Nel corso dell'esame in Commissione ci siamo però trovati, come sempre accade, di fronte ad un testo contenente emendamenti che poco hanno a che vedere con la materia in esame.
Ci siamo trovati di fronte ad una situazione abbastanza singolare, relativa all'articolo 3. Naturalmente richiamo le considerazioni già svolte brillantemente dalla relatrice sugli articoli 1 e 2, ma, poiché ella non ha avuto modo di esprimere le sue personali convinzioni sul resto del testo in esame, mi limiterò a dire che i primi due articoli sono tesi a recepire delle direttive comunitarie. Essi intervengono su argomenti che sono senz'altro condivisibili, come la disclosure, la composizione dei gruppi, la vigilanza consolidata, la vigilanza regolamentare e informativa, gli interventi sui soggetti abilitati, tutte disposizioni che, come ha detto il collega Fluvi, sarebbe stato comunque più opportuno inserire all'interno di una revisione organica dei testi unici vigenti in materia. SiPag. 21trattava quindi di materie che dovevano essere regolamentate al più presto.
Comunque, in Commissione abbiamo avuto modo di sollevare questioni relative ai primi due articoli. Mi riferisco in particolare al sistema di valutazione del rischio. È singolare che il Governo, invece di guardare, soprattutto dopo la «lenzuolata» di provvedimenti sulle liberalizzazioni, all'interesse dei cittadini e degli utenti, guardi agli interessi delle banche. Inserire in un provvedimento di questo tipo una norma che sostanzialmente pone a carico del richiedente la valutazione del rischio d'impresa significa non fare un bel servizio al cittadino. È come se, lo dicevo in Commissione, un venditore di lavatrici chiedesse ad un cliente, dopo aver fatto le opportune verifiche, qualche contributo per le richieste di valutazione del merito del consumatore stesso. Mi pare che obiettivamente occorrerebbe intervenire a favore degli utenti, ponendo a carico delle banche una valutazione di questo tipo.
Questa era sostanzialmente la critica da noi avanzata sui primi due articoli del testo, mentre ritenevamo che il resto delle norme, inserite come novelle ai testi unici, fosse sostanzialmente accettabile.
L'inserimento, nel corso dell'esame del decreto, dell'emendamento relativo alle modifiche alla legge Bossi-Fini ha incattivito il clima, intanto per l'inappropriatezza dell'emendamento stesso e per l'assoluta estraneità rispetto alla materia trattata e, soprattutto, perché su questa materia - mi richiamo, a tale proposito, alle considerazioni svolte dal collega Fugatti - nel nostro paese vi è un peccato di origine. A differenza di quanto accade in Europa, ove i soggetti competenti vigilano con tempestività e precisione sulla presenza di coloro i quali hanno reso la relativa dichiarazione, in Italia non viene affatto rilevata la presenza di persone che vivono nel nostro paese da anni: conosco persone che sono in Italia da decine di anni e che non sono nemmeno mai state fermate dai carabinieri per una verifica dei documenti relativi alla loro automobile. Ciò è singolare e rappresentativo della realtà in cui dobbiamo muoverci. Si partirebbe dal presupposto che basta entrare in Italia, fare la dichiarazione di presenza e mettersi a cercare lavoro. Con tale misura, andremmo non tanto contro i principi generali, ma contro ogni logica che attiene proprio all'ingresso dei clandestini.
Per quanto concerne l'articolo 3, ricordo che il testo originario anticipa un articolo di analogo contenuto presente nella legge comunitaria, relativamente ai servizi a terra negli aeroporti. Qui si apre una questione non secondaria, in quanto la legge comunitaria, che è stata approvata, disciplina la stessa materia di cui all'articolo 3 del decreto al nostro esame. A questo punto, bisognerebbe svolgere una verifica sugli effetti prodottisi nel periodo di vigenza del decreto-legge, ovvero dalla fine del mese di dicembre fino a quando è stata approvata la legge comunitaria, e, conseguentemente, andrebbe inserita una norma transitoria che faccia salvi gli effetti prodotti. A mio giudizio - lo verificheremo, comunque, nel prossimo futuro -, la stessa norma presente nella legge comunitaria sarà dichiarata - come è stata dichiarata in precedenza quella che andava a sostituire - incompatibile con le norme dell'Unione europea, perché chiaramente ragiona sulla libertà di trasferimento all'interno della gestione dei servizi a terra tra società che subentrano in via di un appalto che le mette in condizione di gestire l'handling, soprattutto negli aeroporti. Si apre, a tale riguardo, una questione molto più complicata, che analizzeremo nel momento opportuno.
Altra questione attiene alla proposta emendativa sostitutiva dell'articolo 3, che contiene una congerie di norme molto varie, alcune delle quali assolutamente accettabili. Si apre, a tale proposito, la questione dell'ammissibilità dell'emendamento in sé. Infatti, naturalmente si può dire senz'altro che il provvedimento in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco o le disposizioni che intervengono sul codice delle comunicazioni elettroniche in materia di accesso e di interconnessione sono accettabili, anche perché si riferiscono ad una vera e propria decisione della ComPag. 22missione; sono ancora questioni di assoluta rilevanza quella relativa all'autorizzazione al lavoro di cittadini di paesi terzi, soprattutto per quanto concerne gli appalti svolti da società all'interno dell'Unione europea, e che, quindi, riguarda i lavoratori, così come quella attinente alla durata temporale della protezione assicurata al disegno industriale o quella relativa ai consulenti del lavoro e agli albi conseguenti.
Sono tutte materie degne di attenzione; probabilmente, tuttavia, se verranno effettuate dalla Presidenza della Camera le stesse valutazioni già fatte in sede di esame del disegno di legge di conversione del cosiddetto decreto proroga termini, il loro esame dovrà essere escluso; analogamente deve dirsi per la proposta nella quale è inserita la modifica alla cosiddetta legge Bossi-Fini.
Un'altra questione che ritengo verrà affrontata e risolta dalla Presidenza della Camera riguarda la vicenda del CIP 6; anche con riferimento a tale riguardo, mi collego alle considerazioni svolte dal collega Fluvi: non si può non tenere conto delle iniziative avviate e varare tale provvedimento, peraltro così eterogeneo. Il presidente della Commissione ricorderà che avevo avuto modo di eccepire circa l'ammissibilità di questa proposta emendativa perché, presentata dal Governo senza uno specifico richiamo ad una normativa comunitaria, è stata ripresentata dal gruppo dei Verdi con riferimento ad una direttiva comunitaria che comunque poco si adatta al contenuto della proposta stessa. Quindi, si è trattato, per così dire, di un'astuzia per rendere ammissibile la proposta; ma, d'altra parte, come poteva il presidente negare l'ammissibilità di una proposta che faceva riferimento ad una normativa europea? Abbiamo chiesto anche in quella sede che vi fosse al riguardo un riesame da parte della Presidenza della Camera e ci attendiamo quindi che la Presidenza della Camera sia ligia in tale compito, dando attuazione alla decisione di considerare inammissibili gli emendamenti estranei per contenuto al testo presentato dal Governo.
Venendo alle disposizioni successive, l'articolo 4, intervenendo in materia di prelievo venatorio, materia della quale il sottosegretario è probabilmente molto più esperto di me, affronta una questione, la caccia allo storno, che praticamente si concluderebbe comunque mercoledì prossimo; ma così è la politica! Il provvedimento della regione Liguria ha termine il 31 gennaio di quest'anno e noi affrontiamo il problema recependo una direttiva comunitaria che, quando avremo finito di discutere questo articolato, sarà già superata.
ALBERTO FLUVI. È un decreto-legge!
GIANFRANCO CONTE. Sì, certo, è un decreto-legge; ci mancherebbe! È solo una riflessione sulla tempestività delle norme proposte.
Ritengo meriti una particolare attenzione la questione affrontata dall'articolo 5. Dobbiamo infatti svolgere talune considerazioni che attengono soprattutto, se mi permettete, alla relazione tecnica presentata a sostegno della decisione n. 1719/2006/CE. È vero che si tratta di una decisione europea riguardante il programma di azione per i giovani per il periodo 2007-2013 ed è altresì vero che la normativa è assolutamente in linea con le deliberazioni dell'Unione europea e di tante riunioni dall'Agenda di Lisbona in poi. Ma la questione che ci poniamo è che, articolando in tal modo l'Agenzia, si sia sostanzialmente tenuto poco conto del dibattito svoltosi durante la finanziaria relativamente ai costi della politica; ebbene, come si può presentare oggi una richiesta di finanziamento per l'Agenzia per i giovani di un milione 250 mila euro? L'Unione europea riconosce, per il funzionamento di questa Agenzia, 650 mila euro annui; il Governo interviene e, prelevando dal Ministero della solidarietà sociale 300 mila euro e dalla Presidenza del Consiglio-Dipartimento per le politiche giovanili altri 300 mila euro, destina tali risorse al funzionamento di questa Agenzia.
Al riguardo, ci sono alcune questioni da affrontare. Questa agenzia già esisteva nell'ambitoPag. 23del Ministero della solidarietà sociale e, per il suo funzionamento, impiegava due dipendenti dello stesso ministero e tredici persone con contratti di collaborazione continuata e continuativa. Il programma europeo per i giovani prevede un intervento di oltre 800 milioni di euro. Il decreto-legge in esame prevede la creazione di una agenzia nella quale saranno impiegati i due dipendenti del Ministero della solidarietà sociale di cui sopra e tredici dipendenti con contratto di collaborazione continuata e continuativa che dovrebbero istruire le pratiche. Tuttavia, poiché l'Unione europea prevede che le persone da impiegare in questa agenzia abbiano una qualificazione e una preparazione nell'ambito delle relazioni internazionali, ci viene da chiedere: i collaboratori che provengono dal Ministero della solidarietà sociale hanno questo tipo di specializzazione? Se non la possiedono, è chiaro che bisognerà esaminare qualche altra soluzione.
Inoltre, dal momento che avete previsto la stabilizzazione dei dipendenti a tempo determinato, prima di stabilizzare persone che, magari, non hanno la qualificazione richiesta dall'Unione, forse bisognerebbe verificare, nel merito, se abbiano o meno questa specializzazione. Del resto, si tratta di gestire un fondo che vale per tutta l'Unione europea, che è obiettivamente rilevante ed è finalizzato, soprattutto, a istruire e a produrre materiale informativo che deve servire a garantire l'effettiva conoscenza di questo programma e soprattutto la presentazione delle iniziative previste dalle disposizioni dell'Unione europea.
Ci pare, inoltre, davvero singolare che, a fronte di una struttura composta di due impiegati, che transitano dai ruoli ministeriali, tredici collaboratori, con rapporto di collaborazione continuativa, e un dirigente, si preveda un consiglio di amministrazione costituito di otto membri. In altri termini, a fronte di sedici dipendenti c'è un consiglio di amministrazione, che costerebbe alle casse dello Stato 290 mila euro, composto di un presidente, quattro consiglieri e tre revisori dei conti. Insomma, questa agenzia avrebbe pochi dipendenti e molti dirigenti e consiglieri di amministrazione. Immagino che tutto questo sia stato deciso prima dell'approvazione della legge finanziaria, la quale impartisce agli enti locali l'indirizzo di prevedere consigli di amministrazione composti, al massimo, di tre consiglieri. In questo caso ne sono previsti quattro e, quindi, non ci siamo.
Oltre a tutto questo, si prevede una serie di stanziamenti: 300 mila euro per le retribuzioni dei collaboratori, 72 mila euro per gli emolumenti dei dipendenti a tempo indeterminato, 100 mila euro per le diarie - vedremo a che cosa serviranno - e 170 mila euro per l'attività di informazione. Questi ultimi, forse, sono pochi. Inoltre, si stanziano 150 mila euro per l'affitto di una sede. È necessaria questa spesa, considerando che nella legge finanziaria è prevista una collaborazione tra l'Agenzia del demanio e lo Stato per mettere a disposizione di strutture pubbliche immobili transitati sotto il controllo della stessa agenzia? Altri 100 mila euro sono stanziati per l'assistenza tecnica ai computer. Immagino che sia uno stanziamento utile perché, obiettivamente, tredici dipendenti hanno bisogno di almeno tredici computer e, quindi, il conteggio si può fare in questi termini; però, un simile calcolo porta alla metà della spesa prevista. Altri 140 mila euro sono previsti per i beni di consumo. Che cosa consumeranno tredici persone? Si tratta di 10 mila euro a testa per beni di consumo! Immagino che matite e cancelleria dovranno essere garantite a tutti, data l'enorme mole di lavoro! 209 mila sono i compensi agli amministratori. In totale, si tratta di un 1 milione e 241 mila euro.
Credo che chi ha fatto questa relazione si debba un po' vergognare. Immagino che si abbondi in questa previsione di spese per spiegare come sono state allocate le risorse richieste. Però, obiettivamente, se si fosse concentrata l'attenzione più sull'azione di informazione e meno sulla gestione ordinaria di questa struttura, che deve essere sottratta al Ministero dellaPag. 24solidarietà sociale e costituita altrove, si sarebbe fatto un lavoro decisamente più accettabile.
Credo che da tutto ciò derivi un fatto, che continuiamo a ricordare dall'inizio dell'esame di questo provvedimento. Il decreto-legge era obiettivamente semplice ed eravamo nella condizione di esaminarlo velocemente e di approvarlo, per quanto ci concerne, nel testo trasmesso dal Consiglio dei ministri. È chiaro, però, che quando si tenta di fare delle forzature, come con la modifica della legge Bossi-Fini, ciò non è possibile.
Mi piace ricordare, inoltre, l'emendamento relativo al comma 1 dell'articolo 3, che sostituiva il testo del decreto-legge, sui rimborsi delle tasse sulle concessioni governative. Se c'era un'urgenza, era proprio quella. Però, fin dalla presentazione di quell'emendamento, abbiamo sostenuto che quella norma, assolutamente accettabile, necessitava di copertura.
È possibile che gli uffici del ministero non siano stati in grado, in una settimana, di darci uno straccio di informazione relativamente allo stato dell'arte? L'emendamento è stato ritirato, non opportunamente, perché, naturalmente, richiedeva una copertura, ma, in qualche modo, quel tema andava affrontato, con serietà e con la dovuta documentazione. Magari, però, leggiamo su Il Sole 24 ore, di un paio di giorni fa, che loro - loro sì - hanno i dati, che parlano di oltre 800 mila pratiche già evase e di 11.500 pratiche da evadere.
Mi sono voluto togliere, come si suol dire, uno sfizio: stamane, prima di entrare in aula, sono passato da un'Agenzia delle entrate per vedere qual è la situazione di questo rimborso delle tasse di concessione. Così, ho potuto rilevare che anche il dato de Il Sole 24 ore non è esatto, perché ci sono ancora molte pratiche che non sono state ancora evase o che sono state sospese, perché, dopo le sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, ancora non si sa se il termine di prescrizione decorra dal 1994 o dal 1997. Infatti, è chiaro che, se il termine di prescrizione decennale (bisognerebbe rifarsi, in merito, ad una norma del 2003) decorre dal 1997, come dovrebbe essere in considerazione del fatto che la norma è del 1996, ancora oggi i contribuenti sarebbero nei termini per chiedere il rimborso.
Allora, la questione non riguarda tanto il fatto che l'Unione europea abbia bocciato non solo la norma originaria che istituiva la tassa di concessione, ma anche quella del 1996, che l'ha sostituita con una tassa di iscrizione di servizio, anch'essa illegittima. La norma che era stata presentata dal Governo interveniva anche su questa seconda eccezione dell'Unione europea e sul tasso da applicare, che non doveva essere il tasso legale, ma quello relativo ai rimborsi.
Su questo argomento credo che il Governo debba compiere una riflessione, affrontandolo seriamente. Spero che in Commissione avremo l'occasione di ritornare su tale argomento, perché credo che, con la stessa sagacia con cui il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate chiedono soldi ai contribuenti, si dovrebbe avere la capacità di dare risposte anche alla richiesta di rimborso.
Non bisogna fare furbizie, come in questo caso è successo, approvando una norma che prevede il rimborso, ma di cui non si fa cenno per dieci anni, pretendendo che i contribuenti, a distanza di tanti anni, si ricordino di incassare i soldi. Infatti, ancora oggi, nonostante molte pratiche siano state validate da parte delle agenzie, la Banca d'Italia non procede ai pagamenti.
Anche in questo caso, si compie una valutazione sulla copertura della norma e soprattutto sugli effetti che la nuova norma, che inopportunamente è stata cancellata, produrrà. Tale norma, sicuramente, avrebbe dato lustro al Governo nel riconoscere i diritti dei contribuenti.
Signor Presidente, mi sarebbe piaciuto, ma non è argomento di questa discussione, affrontare un'altra questione riguardante l'effettiva applicazione delle norme della finanziaria, soprattutto di quelle riguardanti la compensazione fra crediti e debitiPag. 25nel settore IVA (non è assolutamente partita); sarà, comunque, oggetto di una discussione successiva.
Per queste ragioni, Presidente, pur attendendo un intervento conclusivo della Presidenza che faccia chiarezza sull'ammissibilità dell'emendamento sostitutivo dell'articolo 3 e della proposta emendativa riguardante il CIP 6, che dia rassicurazioni anche ai colleghi del gruppo della Lega sull'inopportunità di introdurre una norma di modifica della legge «Bossi-Fini», manterremo il nostro voto contrario, salvo verificare, in una fase successiva, se si potrà raggiungere un accordo sulle norme che, purtroppo, non abbiamo avuto modo di esaminare compiutamente in sede di esame in Commissione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2112)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Leddi Maiola.
MARIA LEDDI MAIOLA, Relatore. Signor Presidente, rinunzio alla replica, rinviando alla relazione svolta.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
PIER PAOLO CENTO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, colleghi, intervengo brevemente per rassicurare l'Assemblea anche in relazione agli interventi che ho seguito con attenzione: non vi è alcuna imboscata da parte del Governo in merito alla presentazione degli emendamenti che sono stati depositati. Infatti tutte le proposte emendative corrispondono, nella valutazione che compie il Governo - rimettendosi ovviamente alle decisioni del Presidente della Camera in ordine alla ammissibilità - alla necessità dell'applicazione concreta e tempestiva, rispetto ai tempi a nostra disposizione, delle direttive comunitarie.
In particolare, per quanto riguarda l'emendamento concernente la possibilità dell'ingresso nel nostro paese di stranieri extracomunitari, che si trattengano per un periodo inferiore ai tre mesi, siamo di fronte all'applicazione della normativa prevista dall'accordo di Schengen. Certamente, non si tratta di un intervento, opinabile legittimamente, che può rappresentare uno stravolgimento della legge Bossi-Fini, che, peraltro, come è stabilito nel programma dell'Unione, va cambiata, ma sarà cambiata con un intervento strutturale. Si intende invece intervenire rispetto ad un fatto specifico relativo all'applicazione di una norma comunitaria che, nel nostro paese, non è stata ancora esaminata e recepita.
Ovviamente, il Governo, sia in sede di Comitato dei nove che nel prosieguo della discussione parlamentare, sarà disponibile ad entrare nel merito di tutte le questioni, al fine di verificare la possibilità di convergenze tra le forze politiche all'interno del dibattito parlamentare.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Libano.
La seduta, sospesa alle 14,30, è ripresa alle 15.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, il deputato Meloni è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Libano.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Libano.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per dieci minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
Come è avvenuto in altre occasioni, la Presidenza ha consentito lo scambio di turno tra i gruppi, in particolare tra i gruppi dell'UDC e di Forza Italia, secondo le intese intercorse tra i medesimi.
(Intervento del Viceministro degli affari esteri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, questo scambio di riflessioni e di informazioni è molto opportuno perché è di fronte agli occhi di tutti che il Libano sta attraversando in questi giorni momenti di particolare tensione.
Il fallimento dei negoziati sul «Dialogo nazionale» ha dato avvio ad una successione di eventi che ha determinato una grave crisi politica, con scontri violenti tra opposte fazioni. In questo frangente il Governo italiano ha espresso in più occasioni - e da ultimo lo ha fatto il ministro degli esteri D'Alema a Parigi il 25 gennaio scorso in occasione della Conferenza di sostegno al Libano - il suo convinto appoggio al primo ministro Siniora, con l'invito a tutte le forze politiche a trovare una soluzione negoziale della crisi e, quindi, a ridare stabilità al paese.
Siamo preoccupati che il Libano possa diventare un'altra volta teatro di scontri per confronti regionali. Per questo abbiamo esortato direttamente ed indirettamente tutti gli attori della crisi libanese ad astenersi da azioni che potrebbero pericolosamente destabilizzare il paese e, conseguentemente, l'intera area mediorientale.
Fino ad oggi, la crisi politica si è mantenuta entro i confini di un contrasto aspro, ma con un livello di violenza non catastrofico. I prodromi della crisi si sono evidenziati con la manifestazione del 1o dicembre 2006, svoltasi in maniera relativamente pacifica davanti ad uno schieramento imponente di forze dell'ordine e dell'esercito, che ha lasciato nella piazza adiacente alla sede del governo un presidio di contestatori.
Il primo ministro, Sinora, ha raccolto la sfida lanciatagli dalla dimostrazione di forza dell'opposizione e ha ribadito la legittimità del suo governo, dichiarando in un discorso teletrasmesso alla nazione che non si sarebbe fatto intimidire e che solo un voto di sfiducia in Parlamento, dove peraltro detiene una solida maggioranza, avrebbe potuto legittimamente imporre le sue dimissioni.
L'esercito libanese ha dato prova di imparzialità, intervenendo ove necessario per frapporsi tra gli schieramenti delle opposte fazioni e per sedare gli scontri. Fortunatamente, in quel momento di tensione non sono stati sospesi i contatti tra i due schieramenti anche attraverso una mediazione del segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, tuttora in corso. Anche Egitto ed Arabia Saudita, che temono una pericolosa degenerazione della crisi in un confronto interreligioso tra sciiti e sunniti, si sono adoperati in prima linea per esortare le parti ad evitare una pericolosa escalation del confronto.
Il 9 gennaio scorso, l'opposizione ha deciso di avviare una seconda fase dell'azione di protesta contro l'esecutivo con una manifestazione organizzata dalla CGTL, la maggiore organizzazione sindacale libanese, molto vicina ad Hezbollah. Il 23 gennaio, uno sciopero generale indetto da Hezbollah si è trasformato in veri e propri moti di piazza, prolungatisi fino alPag. 2725 gennaio, che disgraziatamente hanno provocato vittime, ma che fortunatamente si sono limitati a scontri locali.
Il 25 gennaio, mentre a Parigi si svolgeva la Conferenza internazionale di sostegno al Libano, a Beirut scoppiavano altri scontri tra oppositori e sostenitori del governo che hanno causato cinque morti ed una trentina di feriti. La tesi prevalente è che la scintilla sia stata innescata da giovani universitari sunniti decisi a vendicare l'uccisione di due militanti del campo filogovernativo nel corso degli scontri avvenuti a Tripoli, nel nord del paese, due giorni prima.
Su questo iniziale episodio si sarebbero poi inserite ulteriori dinamiche sfociate in incidenti concentrati prevalentemente nei pressi dell'università araba di Beirut. Ancora una volta, esercito e forze di polizia hanno dimostrato di saper rimanere neutrali, con atteggiamento non confessionale, anche di fronte alle provocazioni di alcune bande armate sunnite e cristiane. Nella serata dello stesso giorno, l'esercito ha annunciato il coprifuoco rimasto in vigore sino al mattino successivo, contribuendo a raffreddare, sui due versanti, le pulsioni all'origine dei drammatici scontri della giornata precedente.
Su questo preoccupante sfondo si registrano tuttavia - e questo è positivo - gli appelli alla moderazione lanciati da figure di punta dei due schieramenti: da Saad Hariri allo speaker del Parlamento, Berri, al leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il quale si è rivolto per la prima volta a tutti i libanesi e ricorrendo ad una fatwa (editto religioso) ha sollecitato i seguaci a rispettare i compatrioti e ad astenersi dall'uso delle armi. Anche il leader cristiano delle forze libanesi, Samir Geagea, ha voluto lanciare segnali di disponibilità al dialogo sia a Nasrallah che al generale Aoun.
Il risultato degli scontri è stato una radicalizzazione dello scontro tra un esecutivo, che chiede di trasferire il conflitto in seno alle istituzioni con la convocazione di una sessione straordinaria del Parlamento, e un'opposizione che, pur proclamando il successo della protesta organizzata nei giorni scorsi, sembra piuttosto cominciare ad interrogarsi se l'attuale linea intransigente sia la più produttiva.
La Conferenza di Parigi III sul sostegno al Libano ha comunque registrato un successo enorme per l'esecutivo di Siniora, che ha ottenuto un importante sostegno economico-finanziario, oltre che politico, da parte della comunità internazionale. L'impegno finanziario complessivo - ricordiamolo - ammonta a 7,6 miliardi dollari.
Sul piano dei contributi, a Parigi rilevante è stato l'apporto fornito dalle istituzioni finanziarie internazionali: la Banca mondiale ha annunciato la concessione di 768 milioni di euro, mentre la BEI di 961 milioni di euro. Per quanto riguarda gli Stati partecipanti, al primo posto spicca l'Arabia Saudita che ha promesso circa 846 milioni di euro. Gli Stati Uniti seguono con 592 milioni di euro e l'Unione europea con 400. La Francia ha confermato lo stesso contributo apportato in occasione di «Parigi II», vale a dire 500 milioni di euro, sia sotto forma di aiuti diretti al bilancio che di finanziamenti a progetti, nel quadro delle priorità fissate nel piano di riforme del Governo libanese.
La Gran Bretagna ha annunciato un dono di 37 milioni di euro, destinati in larga parte ai rifugiati palestinesi in Libano. L'Italia contribuirà alla solidarietà nei confronti del Libano con 120 milioni di euro di nuovi stanziamenti, che si sommano ai 30 milioni di euro già concessi per l'emergenza all'indomani del conflitto israelo-palestinese. A ciò occorre aggiungere - come ha sottolineato il ministro D'Alema a Parigi - il costo della missione militare italiana nel quadro di UNIFIL che, per il 2007, è stato calcolato in 400 milioni di euro, cui vanno sommati i 200 milioni di euro già spesi per il 2006.
Il ministro degli esteri ha comunque dichiarato che, nel caso in cui dovesse cadere il Governo di Siniora, la Comunità internazionale rivedrebbe i generosi aiuti stanziati alla Conferenza di Parigi, poiché gli aiuti sono legati anche agli impegniPag. 28presi dall'attuale Governo libanese sul fronte del risanamento del bilancio e delle riforme.
Continueremo, assieme agli altri partners dell'Unione europea, a sostenere la stabilità del Libano, la sua piena sovranità e indipendenza, nonché il rispetto di tutti paesi vicini. Questi elementi costituiscono un requisito irrinunciabile per il paese e per gli equilibri della regione. A questo obiettivo l'Italia sta fornendo un importante contributo attraverso la sua significativa partecipazione alla missione UNIFIL di cui - come sapete - il generale Claudio Graziano assumerà il comando operativo nei prossimi giorni.
Oggi è in corso una crisi politica dalle complesse implicazioni di carattere interno ed internazionale che esigono, da parte dell'UNIFIL, il mantenimento rigoroso dell'imparzialità prevista nell'attuale mandato. L'adesione alle disposizioni della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite costituisce la migliore garanzia, soprattutto allo stato attuale dei rapporti di forza in Libano, del perdurante successo della missione.
Vorrei aggiungere alcune riflessioni è informazioni sul ruolo dell'Europa. In prospettiva di medio periodo, l'Unione europea ha preso in considerazione la possibilità di fornire al Governo libanese assistenza nel settore della sicurezza, in primo luogo nel settore dell'addestramento dell'esercito e della polizia, secondo lo schema seguito in altri teatri di conflitto, ed eventualmente anche per l'assistenza alla gestione delle frontiere.
Una missione tecnica dell'Unione europea è stata inviata in Libano nell'autunno 2006 per esaminare la questione insieme al Governo libanese ed in contatto con UNIFIL. Data la sensibilità, sul piano politico interno libanese, di un possibile intervento di assistenza dell'Unione europea nel settore della sicurezza, occorrerà peraltro attendere più chiari segnali di disponibilità da parte del Governo libanese, prima di procedere ulteriormente nella definizione delle modalità di attuazione.
Riteniamo che la conclusione del negoziato sul piano d'azione nell'ambito della politica europea di vicinato, occorsa poco prima della crisi della scorsa estate, rappresenti un'importante punto di partenza per rafforzare le relazioni tra Unione europea e Libano. Il piano d'azione prevede priorità definite dal Governo libanese che, se raggiunte, potranno facilitare il necessario consolidamento degli sforzi di riforma politica, sociale ed economica.
L'Unione europea - è bene ricordarlo - è stato uno dei primi donatori internazionali ad essersi mobilitati. In occasione della Conferenza di Parigi il Presidente Barroso e il Commissario alle relazioni esterne, Benita Ferrero Waldner, hanno annunciato l'avvio di un piano d'azione sostenuto da un'allocazione di 500 milioni di euro a supporto delle riforme e della ricostruzione economica. Altre azioni finanziate dall'Unione europea includono attività di sminamento e di sostegno ai rifugiati tra i palestinesi in Libano.
L'assistenza dell'Unione non si limita alle misure a carattere straordinario. Essa si inquadra in una strategia di lungo periodo (per l'esattezza settennale), che anche per il Libano, così come per tutti gli altri paesi della sponda sud del Mediterraneo, sta per essere in questi giorni definita dalla Commissione europea nella cornice dello strumento finanziario che sostiene la politica europea cosiddetta di vicinato.
Anche il contributo offerto dalla Banca europea per gli investimenti è sostanziale. A Parigi, il presidente della BEI, Philippe Maystadt, ha annunciato che la Banca sosterrà il piano di ricostruzione e riforme varato dal governo libanese, attraverso il finanziamento di progetti, sia nel settore pubblico sia in quello privato, per un valore di 960 milioni di euro per i prossimi cinque anni.
L'Italia veglia ed è coinvolta a tutti i livelli, a Beirut ma anche a Bruxelles, affinché sia assicurata la coerenza e l'efficacia delle strategie comunitarie e nazionali nell'interesse del popolo libanese.
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, ringrazio il viceministro Intini per l'informativa resa alla Camera su una situazione complessa e difficile come quella libanese, che non può non suscitare preoccupazione, soprattutto in un paese come l'Italia che si era adoperato fortemente per impegnare la comunità internazionale nella pacificazione e stabilizzazione del Libano.
Malgrado le tensioni di questi giorni a Beirut, non credo sia giusto sottovalutare i risultati raggiunti dall'iniziativa politico-diplomatica condotta durante i mesi della guerra dal Governo italiano, sulla base di un sostegno amplissimo del Parlamento.
La presenza della missione UNIFIL nel quadro dell'attuazione della risoluzione n. 1701 ha avviato la pacificazione del Libano meridionale e l'imminente assunzione del comando della missione da parte di un alto ufficiale italiano, il generale Graziano, cui va il più convinto sostegno da parte nostra, è molto importante.
L'Italia ha fatto la sua parte alla Conferenza dei donatori, svoltasi a Parigi. L'intera comunità internazionale ha dato, a Parigi, una prova di solidarietà verso il Libano, come dimostra l'entità delle risorse finanziarie messe a disposizione.
Ricordo, inoltre, che il nostro impegno in Libano è apprezzato da tutte le componenti della società libanese, come ha potuto verificare la scorsa settimana una delegazione della missione delle Commissioni esteri e difesa della Camera. Tutti gli interlocutori sono riconoscenti verso l'Italia e riconoscimenti ha ricevuto l'azione del contingente italiano per il ripristino della vivibilità dell'area interessata dal conflitto di luglio ed agosto 2006.
La risoluzione n. 1701 sottolinea anche l'importanza di arrivare ad una pace duratura in Medio Oriente. Vi è una connessione tra la situazione del Libano e la crisi mediorientale. Tuttavia, oggi le tensioni esterne, che si riflettono sul Libano, appaiono crescenti.
Passa direttamente per il Libano una delle più acute linee di tensione del mondo musulmano, quella tra sunniti e sciiti, che la guerra in Iraq ha ulteriormente aggravato, ed è evidente la strumentalità della interferenza iraniana in Libano, alla luce del contenzioso nucleare che l'Iran ha in corso con la comunità internazionale. Ne consegue che le linee di frattura che separano le forze politiche libanesi sembrano non dipendere tanto dalle tradizionali distinzioni tra le comunità confessionali, quanto piuttosto da influenze estranee ai diretti interessi del loro paese. Il nostro auspicio è che le forze e i protagonisti della vicenda politica libanese si liberino (come oggi sarebbe possibile fare) dai condizionamenti esterni, e contribuiscano, con il sostegno della comunità internazionale, alla ricerca della stabilizzazione e pacificazione del paese.
Certo, sarà inevitabile, per costruire un nuovo Libano, affrontare problemi di fondo politico-costituzionali, culturali, direi, della vicenda libanese.
In Libano c'è un tasso elevato di inamovibilità della classe dirigente, derivante dalla tradizionale ripartizione confessionale delle cariche pubbliche; si avvertono i segni di uno scollamento della classe politica rispetto a una società giovanile, che aspira a scrollarsi di dosso le antiche rivalità e anche le pratiche di corruzione della vita pubblica, e che molto spesso, non riuscendovi, sceglie la via dell'emigrazione.
In questo contesto, tre sono i punti fermi su cui la comunità internazionale dovrebbe insistere per favorire lo sviluppo di un processo democratico.
Innanzitutto, la tutela della sovranità, dell'indipendenza, e della integrità territoriale del Libano, imprescindibile quadro di riferimento per la costruzione del paese su basi democratiche.
La missione UNIFIL 2 sta lavorando concretamente in questa direzione, soprattutto sotto il profilo della cooperazione con le forze armate libanesi, nello spirito della risoluzione n. 1701.Pag. 30
In secondo luogo, è importante che il Parlamento libanese torni a riunirsi al più presto. Il Parlamento libanese è il luogo deputato alla individuazione di una intesa istituzionale al di sopra dello spirito di fazione e nell'interesse nazionale. La forma di Governo parlamentare rappresenta l'asse portante della Costituzione libanese.
Il convinto sostegno al Governo Siniora, confermato a Parigi, deve andare in questa direzione. La riconciliazione nazionale passa per la ripresa del dialogo politico. L'opposizione ha dato una dimostrazione di forza nelle piazze, ma deve essere chiaro ai promotori e agli organizzatori delle manifestazioni, che la strada della pressione di piazza alla ricerca di una spallata, è gravida di rischi e conseguenze negative.
Gli scontri e i morti nelle vie di Beirut hanno fatto riemergere l'incubo della guerra civile e della deflagrazione totale. Ecco perché occorre insistere sul piano internazionale per uno sbocco politico della crisi che affronti in Parlamento le note questioni pendenti: il tribunale internazionale per individuare i responsabili del delitto Hariri, la riforma della legge elettorale (che risale all'epoca dell'occupazione siriana) e l'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Occorre un negoziato complessivo, perché solo questo può condurre ad un accordo politico in Parlamento. Occorre cercare la via della intesa, e occorre cercare anche la via per affrontare il problemi storici del Libano, come procedere alla distinzione dell'ordine comunitario dall'ordine politico, che è il grande sogno dei democratici libanesi.
Quello che in ogni caso riteniamo essenziale, è superare l'attuale scambio di accuse di violazione della legittimità costituzionale. Va impostato un processo comune perché questa è la condizione per ripristinare il funzionamento della democrazia, quindi dell'alternanza, e in questo senso lo stesso Siniora, cui voglio riconfermare ancora una volta la solidarietà della comunità internazionale, si è detto disponibile ad indire elezioni anticipate, ove si fosse raggiunto un accordo complessivo sulle questioni in sospeso. In terzo luogo - e mi avvio alla conclusione -, la comunità internazionale deve garantire, secondo gli impegni presi a Parigi, un adeguato supporto economico e finanziario ad un paese che importa il 90 per cento dei beni che consuma.
La stabilizzazione del Libano resta un obiettivo di primaria importanza per la comunità internazionale: non possiamo permetterci un cosiddetto Stato «fallito» sulle sponde del Mediterraneo e nel cuore del Medio Oriente; ecco perché l'impegno per la ricostruzione dello Stato libanese diventa essenziale per la sicurezza internazionale. In sostanza, così com'è scritto nella risoluzione n. 1701, occorre adoperarsi anche per aprire una prospettiva positiva nella vicenda del conflitto israelo-palestinese, che, in quel contesto regionale, rappresenta sempre la chiave di volta per ogni stabilizzazione sicura. Noi vogliamo continuare ad adoperarci affinché non si spezzi definitivamente la possibilità di una ripresa del dialogo tra Israele e Palestina.
Voglio cogliere l'occasione per ricordare che la celebrazione del Giorno della memoria, a così breve distanza dall'inaccettabile provocazione negazionista del presidente iraniano, ha confermato, attraverso le più alte voci della coscienza europea, i pericoli derivanti dalla connessione tra antisemitismo ed antisionismo: non c'è possibilità di dialogo con chi si ripromette di distruggere Israele.
In tale contesto, il mio auspicio è che il dibattito in corso nel Parlamento italiano possa inviare un inequivocabile segnale di amicizia e di solidarietà al popolo libanese, in tutte le sue componenti, di invito al dialogo ed al confronto alle forze politiche libanesi degli opposti schieramenti - si mostrino capaci di mettere da parte oltranzismi, estremismi e ricorso alla violenza -, di sostegno all'attuale legittimo Governo, e di monito alla collaborazione e alla non interferenza da parte degli altri paesi della regione (è evidente che il nostro pensiero va alla Siria e all'Iraq).Pag. 31
La complessa evoluzione della crisi libanese conferma la validità della scelta operata dalla comunità internazionale per il rafforzamento della missione UNIFIL. È facile immaginare che l'escalation della contrapposizione...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
UMBERTO RANIERI. ...a Beirut - sto concludendo, signor Presidente - avrebbe avuto ben altre ripercussioni se il Libano meridionale non fosse stato presidiato internazionalmente e, quindi, inserito in una prospettiva di pacificazione: sarebbe stato inevitabile, infatti, un cortocircuito tra tensioni interne ed esterne. Questa è una lezione da tenere presente nel quadro di una più generale valutazione del significato della nostra missione militare in Libano. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Grazie a lei.
Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, credo che il dibattito in corso nell'aula di Montecitorio sia importante. Non dobbiamo mai dimenticare che, per il Libano, il Parlamento italiano ha effettuato scelte assai impegnative: la più impegnative tra tutte è stata quella di avere inviato in un'area «calda», come quella del paese mediorientale, migliaia di militari italiani, ai quali all'inizio di questo mio breve intervento desidero esprimere, ancora una volta, il ringraziamento e la solidarietà del mio partito.
Ci siamo impegnati, dunque, perché ritenevamo - e riteniamo - che il Libano sia un punto fondamentale nello scacchiere del nuovo Medio Oriente, del Medio Oriente che vorremmo creare. In questo senso, non posso che associarmi alle parole del presidente Ranieri, il quale ha ricordato la necessità di un dialogo israelo-palestinese.
Certamente, per pervenire credibilmente ad un dialogo effettivo e definitivo, cioè risolutivo con Israele, i palestinesi debbono superare le contraddizioni interne, che oggi vedono contrapporsi Al Fatah ad Hamas in termini drammatici. Certamente, Israele ha diritto ad un futuro di serenità e di tranquillità, così come il popolo palestinese ha diritto, finalmente, ad una patria.
Esprimo, in questa occasione, la nostra solidarietà al Parlamento e al Governo israeliano per l'attentato che, ancora una volta, in queste ore, ha insanguinato la regione.
Ci siamo impegnati: lo ha ricordato il viceministro Intini, della cui esposizione ho apprezzato il quadro di sintesi della situazione, comprendendo altresì un qualche riserbo su taluni aspetti. Noi oggi, parlando di Libano, possiamo esprimerci con maggiore libertà di quanto possa fare un rappresentante del Governo italiano. Più avanti vi spiegherò in cosa consiste, secondo me, il riserbo del viceministro Intini.
Noi siamo in Libano per una scelta che il mio partito - l'UDC - ha voluto. Abbiamo sostenuto l'impegno militare italiano in Libano, nonostante fossimo in una posizione di opposizione, che avrebbe potuto consentirci un minore tasso di corresponsabilità in questa decisione. Invece, no: non solo noi, ma anche altri partiti del centrodestra, abbiamo voluto far prevalere l'idea che una grande opposizione si deve assumere responsabilità nazionali, anche quando queste sono dolorose. Infatti, mandare militari in quel paese è una scelta costosa.
L'Italia si è impegnata perché, certamente, andava superato il rischio di una disgregazione dell'entità libanese. Vorrei ricordare ai colleghi che, da diverse posizioni, tutti abbiamo avuto la stessa idea di fondo che ha sorretto l'invio di una missione militare italiana nell'ambito dell'Unifil. In altri termini, noi abbiamo inviato militari in Libano perché ritenevamo necessario restituire una statualità forte ad un paese, che l'aveva persa in condizioni drammatiche: non dimentichiamo l'omicidio dell'ex Premier Hariri, su cui è ancora in corso un'inchiesta dell'ONU, che auspichiamo possa in modo celere (perché,Pag. 32ormai, di tempo ne è passato e tanto) attribuire precise responsabilità a chi ne ha. Infatti, sappiamo che ve ne sono. E sappiamo che quel paese, dopo l'omicidio di Hariri, è stato violato nella sua sovranità dall'influenza di forze esterne. Senza infingimenti, l'onorevole Ranieri ha ricordato che Iran e Siria agiscono pesantemente in Libano. Lo sappiamo tutti: naturalmente, lo sanno i libanesi, lo sanno tutte le principali potenze mondiali, lo sa il popolo. E noi siamo stati sorretti nell'idea di inviare i militari proprio da una ragione di fondo: era necessario che quel Governo libanese, che quello Stato libanese, riacquistassero l'autonomia della propria sovranità. Una delle ragioni del caos permanente libanese era la mancanza di un Governo, di una statualità in grado di imporre regole proprie.
Quale statualità esiste, se lo Stato non riesce a far rispettare le leggi? Quale statualità esiste, se lo Stato non riesce a inviare i militari in una parte del paese?
L'azione che il Parlamento italiano ha svolto con grande coraggio ha prodotto dei risultati. Noi abbiamo avuto un coraggio maggiore rispetto ad altri paesi europei; lo dico, visto che si rimprovera sempre agli italiani di non essere coraggiosi. In questo caso, abbiamo avuto un coraggio maggiore, perché siamo stati il traino della comunità internazionale sul Libano. Ciò ha contribuito concretamente ad arrestare l'ondata di violenza e a far ritirare gli israeliani, perché il nostro contingente ha esercitato una funzione di sicurezza rispetto agli stessi confini fra Israele e Libano. Abbiamo bloccato l'ondata devastante di qualche mese fa.
Tuttavia, onorevole viceministro Intini, cari colleghi, consentitemi di parlare in termini assolutamente chiari. Noi abbiamo fatto benissimo ad andare a Parigi. Il ministro D'Alema ha fatto benissimo a dare il contributo concreto dell'Italia, perché è un contributo doveroso e coerente con la missione, ma bisogna che, tra maggioranza e opposizione, ci siano patti chiari e amicizia lunga su questa vicenda.
Se per qualsiasi ragione, indipendente dalla volontà di chi siede in quest'aula, il Governo legittimo di Siniora fosse messo in discussione o se, attraverso un qualsiasi golpe strisciante, si avesse il capovolgimento della situazione interna di quel paese, che noi siamo andati a rafforzare con l'invio del contingente, potrebbero venir meno le ragioni stesse della nostra presenza militare in quell'area.
Pertanto, occorre dire chiaramente, con il linguaggio della diplomazia - ecco perché comprendo il riserbo dell'onorevole Intini - ma anche con quello della verità, alle potenze esterne che sul Libano, per così dire, armeggiano, agli stessi hezbollah e alle forze parlamentari, che l'Italia non potrebbe assistere in modo passivo ad un capovolgimento a tavolino o per sommosse interne degli assetti di quel paese. In questo caso, verrebbe meno il presupposto del ricompattamento della statualità libanese e del rafforzamento delle istituzioni governative, per il quale abbiamo inviato il nostro contingente.
A mio avviso, questa è la ragione del nostro dibattito. Occorre guardarsi negli occhi e dire che abbiamo fatto bene ad andare in Libano, ma occorre anche dire agli hezbollah e alle forze libanesi che non assisteremo a golpe striscianti senza rimettere profondamente in discussione il ruolo dell'Italia e dei nostri militari in quell'area. A buon intenditore poche parole: credo siano chiare le ragioni che devono correttamente spingere il Governo ad operare in questo senso nei confronti della Siria, dell'Iran e del movimento degli hezbollah.
Concludo ricordando anche il ruolo del Parlamento e lo faccio nella mia veste di Presidente dell'Unione interparlamentare. Il Presidente del Parlamento libanese, Berri, è una personalità di grande autorevolezza. Mi auguro che da questo dibattito parlamentare giunga anche al Presidente Berri e al Parlamento libanese l'invito ad una concertazione tra le forze politiche, che naturalmente deve avvenire nel Parlamento libanese, che è la sede della sovranità di quel popolo.
Sono molto preoccupato e auspico che le mie preoccupazioni siano eccessive rispetto alla situazione. Tuttavia, temo diPag. 33non sbagliarmi e, proprio per questo, ritengo che oggi il Governo abbia fatto bene a venire a riferire in aula (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zacchera.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, colleghi, condivido le parole del collega Casini in ordine alla preoccupazione che tutte le persone di buona volontà hanno di fronte alla situazione libanese.
Ho apprezzato sia la puntuale relazione del Governo, sia l'intervento del presidente Ranieri. Ritengo che, su tali temi, tutti noi dobbiamo trovare posizioni assolutamente condivise, in quanto tutte le persone di buona volontà si rendono conto che, in Libano, si gioca una partita importante: ciò non soltanto perché abbiamo inviato migliaia di nostri militari in quel paese, che abbiamo visitato la scorsa settimana, ma anche in quanto adesso anche io sono convinto della assoluta necessità di tale missione. Inizialmente temevo ci fosse un occhio di riguardo nei confronti di Hezbollah, facendo finta di non vedere. Ci siamo resi conto, passo per passo, che invece - almeno nella zona di controllo italiana - sarebbe praticamente impossibile immaginare una situazione come quella precedente che, attraverso il lancio di molti razzi sul nord di Israele, aveva condotto alla crisi del mese di luglio.
Quando ci siamo recati in Libano avevamo già sentore del fatto che a breve - come effettivamente è accaduto - ci sarebbero state dimostrazioni di piazza con diversi morti. Infatti, si tratta di una prova di forza annunciata tra le parti che, ogni tanto, devono anche fare teatro per dimostrare - magari al di là della volontà della grande parte della maggioranza dei libanesi - la loro esistenza!
Tali motivi di preoccupazione derivano anche dagli esiti di Parigi.
È giusto e doveroso sostenere il Governo Siniora: ma se guardiamo l'elenco dei «contribuenti» dei paesi donatori e leggiamo, ad esempio, 900 milioni - non ho ben capito se in euro o in dollari - dell'Arabia Saudita, non dimentichiamo che è anche una scelta politica estremamente importante; infatti, l'Arabia Saudita è la «padrina» della parte sunnita del Libano, che esiste all'interno del mondo libanese e ciò porterà sicuramente ad ancora maggiori tensioni con la parte sciita, che chiederà all'Iran di essere aiutata in modo altrettanto «trasparente» e non soltanto - temo - per la ricostruzione, ma potenzialmente anche per una fornitura di armi, più o meno ufficiale.
Anche di questo noi dobbiamo tenere conto ed anche questa è una scelta importante, che Unifil deve compiere e che, secondo me, deve essere anche allargata a tutto il confine verso Israele, comprendendovi anche la parte delle famose «fattorie», divenute un casus belli senza avere di fatto una grandissima importanza dal punto di vista strategico.
Volendo mettere brevemente in rilievo alcuni problemi, non dobbiamo dimenticare innanzitutto che in questo momento il Parlamento libanese non si sta riunendo e che non lo fa da molti mesi, che la situazione è bloccata perché devono essere fatte delle riforme, ad iniziare da quella elettorale. Però, a seconda di come tale riforma elettorale verrà fatta, si sarà già in grado di sapere quale sarà l'esito elettorale. Pensate che, ad esempio, oggi abbiamo tre quarti dei libanesi che non sono più residenti in Libano: molti di essi sono libanesi a tutti gli effetti, ma sono usciti dal Libano solo perché non possono rimanerci, a causa di una situazione di tensione o perché hanno dovuto aprire le loro attività industriali, commerciali o mercantili al fuori dei confini libanesi; molti di essi sono arrivati in Africa e moltissimi - non ne ero a conoscenza - anche in Europa, come anche qui in Italia.
Ebbene, su tali questioni noi dobbiamo dare «assistenza politica» al Libano e dobbiamo chiedere il rispetto delle regole democratiche. La formula attraverso la quale molti anni fa il Libano è stato diviso in tre (cristiani, sciiti e sunniti), tuttoPag. 34sommato, ha mantenuto integra la nazione, ma oggi è di gran lunga superata, purtroppo a danno dei cristiani dal punto di vista numerico. Se deve esservi un sistema di reciproche garanzie, allo stesso modo però dobbiamo pretendere che tutte le componenti ci mettano della buona volontà per superare quegli aspetti.
A proposito del secondo aspetto, quello degli sponsor, un'immagine mi è stata ricordata da un leader libanese - non ricordo più quale - cioè che pochi giorni dopo la guerra sono arrivate «valigiate» di soldi, non destinati però alla ricostruzione delle case ma dati a pioggia alle famiglie che, come prima cosa, hanno comprato l'auto, visto che avere l'auto nuova in Libano costituisce uno status symbol: infatti vi girano delle auto «incredibili» per le potenzialità economiche di quel popolo, ma è anche questo un modo di presentarsi, nel rispetto di una società dove l'immagine conta, anche se poi la casa è bombardata o vi sono soltanto le cipolle da mangiare.
Vi è poi il discorso di Hezbollah, che è potenzialmente ancora pericoloso, anche se ha sicuramente ritirato le sue forze, ancora in parte efficienti. Non possiamo assolutamente tollerare quello che ha fatto Israele nelle ultime ore, cioè tabula rasa, distribuendo milioni di mine sul territorio. I nostri genieri sono là adesso a recuperarle una per una, perché la gente non può letteralmente uscire di casa, né tantomeno pensare di pascolare un gregge o di piantare il grano in un campo. È una situazione che però oggi permane, al di fuori delle zone controllate dalle nostre truppe e, ci auguriamo, anche dagli spagnoli: al di là di questo, però, si hanno poche notizie. L'Unifil - lo ripeto - è presente in forze e almeno in quelle zone svolge un ruolo di garanzia: però, attenzione, un razzo potrebbe essere sparato alle spalle delle nostre truppe e arrivare comodamente fino a metà del territorio israeliano.
Infine, dobbiamo anche chiedere non soltanto al Presidente Berri di riunire il Parlamento, ma anche di uscire da una certa impasse. La situazione economica in Libano è abbastanza strana: l'inflazione è scesa a zero, ma il bilancio è passivo in una maniera incredibile, in un deficit spaventoso, anche perché non viene approvato il bilancio dello Stato. Neppure il bilancio dello Stato dello scorso anno è stato ancora approvato e siamo nel 2007: vi rendete conto che, in una situazione normale, occorre fare il bilancio, discuterlo e votarlo in Parlamento, altrimenti si presta ad una situazione di estrema difficoltà?
Non dobbiamo, infine, dimenticare che si stanno perdendo mesi e mesi, ma che nulla sta venendo fuori per trovare i responsabili del delitto Hariri, anche se politicamente tutti li conoscono: più questa storia va avanti, senza che si abbia il coraggio di iniziare a livello comunitario un processo serio su questi fatti e di cominciare a guardare sul serio a queste vicende, senza avere in altri termini la paura di coprire le responsabilità internazionali che vi sono dietro, più la comunità internazionale non è credibile.
In questo senso credo che il nostro Governo possa e debba fare di più, debba cioè far capire che quei contributi, che sono stati ripetuti, reiterati e magari anche rinforzati a Parigi, non dovranno essere «ceduti» a scatola vuota, ma vincolati anche a situazioni coerenti e quindi anche a decisioni serie, alla volontà politica di andare in fondo a questo delitto e agli altri, che ad esso sono collegati: noi infatti abbiamo sentito soltanto parlare del delitto Hariri, ma purtroppo in Libano ve ne sono stati molti altri sullo stesso filone, sempre ai danni di giornalisti o di esponenti politici, anche se di secondo piano, che però sostenevano la necessità della chiarezza sul delitto Hariri e che per questo sono stati assassinati. Questo non è accettabile!
Infine, vorrei esprimere la solidarietà allo Stato di Israele per il grave attentato che si è verificato in un momento particolare (da alcuni mesi non capitavano). Rischiamo di ripartire con una spirale di violenza pericolosa. Sapete che oggi è stato scoperto anche un tentativo di attentato ai danni del presidente palestinese. Si trattaPag. 35di un altro segnale di estrema difficoltà e di una potenziale nuova crisi in Medio Oriente.
Ricordiamoci che, finché non avremo pace in Medio Oriente, tutta quell'area rappresenterà un grave problema per l'Europa e, quindi, anche per l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Khalil. Ne ha facoltà.
ALÌ RASHID KHALIL. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, durante la recente visita della delegazione parlamentare in Libano, siamo riusciti a toccare con mano i grandi progressi che sono stati registrati nel paese. È questo il frutto dello sforzo della comunità internazionale di porre fine al conflitto e di applicare la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701. Oggi, finalmente, dopo tanti anni di assenza, l'esercito libanese si trova nel sud del paese; lavora in condizione di stretta cooperazione con le forze multinazionali e, ad eccezione di alcune incursioni da parte dell'esercito israeliano, dell'aviazione israeliana, sembra che vi sia un rigoroso rispetto della risoluzione del Consiglio di sicurezza.
Ciò dimostra come quella scelta del Governo italiano di convocare la conferenza di Roma e dare l'avvio ad una iniziativa internazionale, volta a far cessare le ostilità in Libano ed a portare la pace in quel paese, abbia dato frutti e risultati positivi.
Abbiamo anche visto la grande operosità dell'esercito italiano nel sud del Libano, lo sforzo quotidiano che sostiene in quel paese per la sicurezza della popolazione, per la vivibilità del territorio, per garantire ai cittadini libanesi che sono tornati nel sud una vita normale.
Quindi, obiettivi importanti sono stati già raggiunti da quella missione italiana, da quella missione internazionale e oggi bisogna andare oltre.
Nell'incontro con il primo ministro libanese, egli ha sottolineato sul piano politico l'importanza di un intervento da parte della comunità internazionale per estendere questo processo di pacificazione alla questione israelo-palestinese, perché, secondo tutti i nostri interlocutori e non soltanto il primo ministro libanese, la soluzione della questione palestinese è una condizione fondamentale per la sicurezza e la stabilità del Libano, ma anche per la sicurezza in tutta la regione. Da questo punto di vista, vi sono gravi ritardi da parte della comunità internazionale.
Credo che il Governo italiano, malgrado tutti gli sforzi già compiuti, possa fare ancora qualcosa di più. È doveroso ed importante soprattutto di fronte ad una regione dilaniata da scontri di carattere etnico e religioso che sono in continua crescita.
Oggi la politica deve dimostrare a tutti popoli del Medio Oriente di essere uno strumento ancora valido per trovare soluzione a problemi che sembrano senza via d'uscita, per dare stabilità e sicurezza a tutta la regione. È condizione fondamentale, per intervenire in modo positivo al fine di risolvere questi gravi e complessi problemi, non essere percepiti come schierati da una parte o dall'altra.
Malgrado le ingiustizie subite dal popolo palestinese, anch'io mi associo a tutti i colleghi nell'esprimere solidarietà al popolo israeliano e alle vittime dell'attentato di oggi nel sud di Israele. Vorrei però ricordare a tutti i presenti che, ieri, c'è stata un'incursione israeliana a Gaza e, l'altro ieri, un'altra a Nablus. Andrebbe, quindi, espressa solidarietà anche al popolo palestinese ed una doverosa condanna degli atti di terrorismo compiuti da parte dello Stato di Israele.
Lo stesso vale anche per quanto riguarda il popolo libanese e i suoi vari schieramenti politici. È giusto esprimere solidarietà al Governo e al primo ministro Siniora. Sappiamo tutti, però, che la legittimità di questo Governo è in difetto nel momento in cui una componente importante nel paese non è rappresentata nel Governo; e questa mancata legittimità, non è tale perché lo sostengo io, ma perché si tratta di una condizione che impone laPag. 36Costituzione libanese stessa. Apprezzo le affermazioni sia del viceministro sia del presidente della Commissione, soprattutto quando quest'ultimo esprime la sua solidarietà, ma la accompagna ad una sollecitazione al Governo affinché compia un gesto al più presto possibile.
Si parla di interferenza e di sovranità del Libano, del ruolo iraniano e siriano, ma non si parla dell'interferenza da parte degli Stati Uniti, dell'Arabia saudita o di Israele. Anche qui, secondo me, bisogna essere obiettivi. Analoghe considerazioni valgono per le dichiarazioni del ministro degli esteri che condiziona l'aiuto alla stabilità di quel Governo e solo di quel Governo. Dobbiamo rispettare le scelte del popolo libanese. La sicurezza e la stabilità in Libano sono obiettivi che dovrebbero essere al centro dell'attenzione di tutti, per l'importanza vitale che esse assumono anche nel rapporto tra Occidente ed Oriente. Il ministro degli esteri, forse anche su sollecitazione dello stesso capo delle forze italiane nel sud del Libano, ha detto, più di una volta, che la nostra non deve essere percepita come una presenza schierata da una parte e dall'altra. L'aiuto al popolo libanese va garantito a tutti i popoli della regione per dare una mano ed avviare un processo di pace di cui essi hanno bisogno. Gli ultimi sessant'anni di guerra in Medio Oriente hanno portato soltanto a complicare problemi che sono già molto complessi e ritengo che probabilmente un atteggiamento più obiettivo e più neutro favorirebbe la nostra azione.
Ho sentito anche l'opposizione proferire parole importanti; il Governo deve fare tesoro di questa convergenza tra opposizione e maggioranza per moltiplicare gli sforzi e soprattutto per essere più obiettivo e meno schierato da una parte o dall'altra (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
DARIO RIVOLTA. Signor viceministro, esordendo, lei ha dichiarato che l'occasione odierna sarebbe consistita in uno scambio di riflessioni. Apprezzo tale sua locuzione perché, oggettivamente, su questo tema, come dimostra la storia recente del nostro Parlamento e come altresì dimostrano le dichiarazioni dianzi rese dai colleghi dell'opposizione intervenuti nel dibattito, noi dell'opposizione, pur non sostenendo il Governo che lei rappresenta, non ci sentiamo tuttavia antagonisti con la posizione e le azioni che lo stesso ha deciso di assumere e di intraprendere in Libano.
Noi condividiamo le parole da lei espresse a favore di una pacificazione e dello sviluppo di una dialettica politica normale in Libano; condividiamo, e abbiamo condiviso a suo tempo, la decisione di inviare in quel teatro le truppe italiane. Noi, peraltro, abbiamo avuto occasione di verificare l'eccezionale lavoro da esse svolto sul posto, un lavoro eccezionale ed apprezzato, come ha ricordato il presidente della nostra Commissione. Un lavoro apprezzato forse anche grazie all'analoga approvazione che riscosse l'impegno a suo tempo profuso nella precedente spedizione italiana sotto l'egida dell'ONU in Libano, quella comandata dal generale Angioni, il cui nome, in quel paese, ancora oggi è ricordato con stima e rispetto.
Noi esprimemmo ed esprimiamo solo qualche perplessità sulle regole di ingaggio attribuite al nostro contingente militare, invero non molto chiare; manca la chiarezza su cosa potrebbe succedere e, in modo particolare, su cosa dovrebbe fare il nostro contingente se la situazione dovesse deteriorarsi. Infatti, oggi, lei giustamente ha ritenuto che la situazione si attesta ad un livello di violenza non catastrofico; un livello di violenza che peraltro non riguarda la zona presidiata dai nostri militari. Oggi, dunque, gravi problemi non si pongono; ma sappiamo che, ahimé!, i livelli di violenza degli ultimi giorni, seppure non catastrofici, potrebbero - sebbene ci auguriamo tutti che ciò non avvenga - aprire la strada a situazioni più gravi. Potrebbero esserci nuovi scenariPag. 37politici e potrebbero manifestarsi fatti e azioni che sino ad oggi non si sono verificati.
La nostra preoccupazione - che era e rimane la stessa - concerne proprio i compiti che dovranno o potranno svolgere i nostri militari - e cioè che cosa saranno autorizzati a fare - se il quadro dovesse all'improvviso cambiare.
Per quanto riguarda la situazione nel suo complesso e la possibilità che lo scenario muti, non dobbiamo dimenticare due circostanze di cui lei non ha riferito (una manchevolezza seppure comprensibile per i motivi esposti dal presidente Casini in precedenza); si tratta di due aspetti - uno a carattere endogeno, l'altro, esogeno - che sono sottostanti alla crisi in Libano.
La crisi deriva dall'interno del Libano perché, ancora prima che avvenisse il tragico fatto dell'assassinio del primo ministro Hariri, il Libano era giudicato, da tutti gli osservatori che si occupavano della questione, un paese in equilibrio, anche se molto delicato. La Costituzione di quel paese prevede la divisione in gruppi di appartenenza, etnica o religiosa, nonché la distribuzione di incarichi pubblici, istituzionali in modo particolare; il metodo elettorale è basato, a tutt'oggi, su una divisione del paese che ha sempre reso molto difficile, al cittadino che faceva parte di queste comunità così ben definite e così ben delimitate, il sentirsi un cittadino libanese.
Cosa fosse o dovesse essere il cittadino libanese, è un lungo dibattito, che cominciò, se non ricordo male, nell'ottocento. Quando fu assassinato il presidente Hariri, anch'io, come altri, ebbi occasione di recarmi in Libano per esprimere il cordoglio alla vedova e ai suoi amici politici. In quel momento, in Libano era verificabile un desiderio nuovo, constatabile anche dal colloquio quotidiano con la gente comune e, in modo particolare, con quei giovani e meno giovani che si erano stabiliti sulla piazza, con le tende, in attesa di nuove elezioni. Il desiderio era quello di poter fare a meno, finalmente, di quel sentimento di divisione in etnie o in religioni e di potersi avvicinare, come è stato, ad una visione unitaria in base alla quale tutti, qualunque fosse la appartenenza etnica o religiosa, fossero considerati, innanzitutto, cittadini libanesi. Ciò che in quel momento sembrava un processo irreversibile, all'appuntamento con il voto, a causa del sistema elettorale, ha subito - ahimé! - un arretramento. Quel sistema elettorale, infatti, costruito in modo da premiare le appartenenze etniche o religiose , di fatto, ha spinto di nuovo i cittadini libanesi, che, innanzitutto, volevano sentirsi tali, a sentirsi, soprattutto, come appartenenti a una comunità.
A detta degli osservatori, quel delicato equilibrio avrebbe potuto incrinarsi in qualunque momento e questo - ahimé! - è avvenuto, un po' anche per responsabilità della comunità internazionale che, prima dell'assassinio di Hariri, non è stata così generosa come, fortunatamente, ha saputo essere oggi, in occasione della terza conferenza di Parigi, (o Parigi III). È stata generosa a parole ed è stata molto moderatamente generosa dal punto di vista finanziario, senza mai curarsi del modo in cui sarebbero stati utilizzati i pochi aiuti finanziari, che peraltro consistevano soprattutto in un congelamento del debito.
Perciò, dal punto di vista economico il Libano, di fatto, è stato abbandonato a se stesso e per questo motivo principale - anche se altri motivi hanno influito - non è stato in grado di garantire quello che altri gruppi, nell'ambito dello Stato libanese, garantivano, invece, quotidianamente: alludo alla formazione scolastica, all'assistenza sanitaria e all'organizzazione di attività, magari, non ufficiali, organizzate grazie a non si sa quali fondi, dato che la comunità internazionale, ufficialmente, erogava modesti finanziamenti allo Stato. Come mai alcuni gruppi potevano disporre di altri fondi, e cospicui, per sopperire alle mancanze dello Stato? La risposta a questa domanda ci conduce al secondo motivo della crisi libanese: le cause esterne. Il presidente Casini di questo non ha parlato, ma nessuno di noi si nasconde che ci sono anche cause esterne nella questione libanese. Hezbollah, ilPag. 38principale gruppo che oggi contesta, anche in modo violento, il governo Sinora, è notoriamente legato e finanziato dall'Iran e, in misura minore, dalla Siria. Non è un mistero che Hezbollah riceva aiuti dall'Iran. I suoi militanti sono cittadini libanesi ma non agiscono - ahimé! - negli interessi del proprio paese. Se va bene, agiscono nell'interesse di una parte del paese, la loro. Soprattutto, come è sempre più evidente, agiscono con tempistica e modi funzionali ad altri equilibri che sono al di fuori del Libano. Questo non dobbiamo dimenticarlo, né nel momento della analisi o delle riflessioni che stiamo svolgendo insieme, né nel momento in cui ci poniamo il problema di come risolvere questa crisi.
Cercando di sintetizzare un argomento che, invece, richiederebbe un approfondimento molto più ampio, le cause interne a breve termine si possono affrontare con la giusta insistenza, che altri colleghi hanno enfatizzato, affinché si riportino nell'alveo del dibattito e della dialettica politica i temi del contenzioso, si riapra il Parlamento. È necessario, anche da parte del nostro Governo, un dolce ma fermo invito al presidente Berri a convocare il Parlamento. Fino ad oggi, infatti, adducendo motivi tecnici non chiaramente comprensibili, non è stato convocato.
PRESIDENTE. Onorevole Rivolta...
DARIO RIVOLTA. Concludo, Presidente.
Ci si ponga, però, per un periodo meno breve, a medio termine, anche il problema di come aiutare il Libano a trovare la strada per superare quella divisione in correnti, in confessioni ed in etnie, che non è propedeutica a nulla di definitivo e a niente di buono.
Per quanto riguarda l'aspetto esterno, non dimentichiamo che si ha a che fare con paesi con cui noi interloquiamo costantemente. Chiedo che il Governo non dimentichi questo aspetto e che interloquisca anche per risolvere la crisi libanese con questi paesi.
Infine, le rivolgo un ultimo invito, signor viceministro. All'interno del nostro Parlamento, vi sono individui e forze politiche che, per vari motivi, anche in maniera non ufficiale, hanno rapporti con forze politiche e figure istituzionali importanti all'interno del quadro politico libanese. Il mio invito, manifestando una disponibilità mia e del mio partito in tal senso, è che il Governo faccia, sì, da regia, attivando, però, nel contempo, tutte i canali di contatto, anche informali, perché, in questo modo, si moltiplichino le possibilità di aiutare il Libano ad uscire da una crisi, da cui tutti noi vorremmo che presto uscisse (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Viceministro Intini, debbo dire che oggi ho sentito, da parte sua, una descrizione esaustiva di ciò che è avvenuto negli ultimi giorni ed una presa d'atto di una situazione difficile, che tutti conosciamo.
Credo sia giusto, anche per dare uno stimolo al Governo, cercare di ricordare i motivi di perplessità che il gruppo che rappresento, la Lega Nord, ha testimoniato già durante la ratifica della missione in Libano, motivi che oggi permangono e che, forse, per certi versi, sono confermati.
Noi continuiamo ad avere questa posizione perché ci è sembrato che alcune critiche, almeno cinque, vadano rivolte alla missione militare in Libano, altrimenti continueremmo a fare un quadro geopolitico dell'area mediorientale senza arrivare mai a capirne i veri problemi, che, spesso, sono insormontabili.
A noi sta bene parlare di una strategia di lungo periodo. Va bene; però bisogna capire qual è questa strategia. Bisogna investire per ricostruire, per pacificare e per cercare di isolare gli estremismi della zona libanese. Benissimo, ma dobbiamo anche dire come dobbiamo fare tutto ciò, altrimenti rischiamo di predisporre una serie di interventi che non hanno né capo né coda e che, magari, creano ancor più attrito in una situazione già abbastanza delicata.Pag. 39
Va ricordato che il Libano oggi è un mosaico di etnie e di gruppi divisi anche al loro interno. L'altro giorno una prima scintilla si è avuta fa cristiani. Vi sono in campo forze maronite e druse, sciiti e sunniti. È veramente una situazione complicatissima, che, per certi versi, rispecchia l'intera crisi dell'area mediorientale.
Bisogna capire, quindi, perché siamo andati in Libano e perché abbiamo inviato migliaia di ragazzi in una situazione delicata, che già prima non era in una tregua perfetta, ma quasi solo nominale (i missili e i razzi erano pronti a partire), senza avere le idee chiare su cosa debbano fare e che cosa stiano rischiando.
Era questa la critica principale che avevamo rivolto in precedenza e per la quale non abbiamo voluto, in maniera convinta, appoggiare la missione italiana in Libano. Rispondendo anche all'onorevole Casini - lo dico molto onestamente -, non credo che, non si possano rivolgere delle critiche e porre le basi per affermare il nostro dissenso, se non ci sono chiari alcuni passaggi, solo perché così fanno tutti gli altri Stati o perché così ci chiede il consesso internazionale (mentre, magari, il Governo vorrebbe valutare diversamente questa posizione).
La risoluzione n. 1701 dell'ONU prevede di andare verso il disarmo. L'arretramento al sud vuol dire cercare la pace. Però, mentre precedenti risoluzioni ONU, forse in maniera più chiara, stabilivano che il disarmo era indispensabile, questa, per esempio, ha già qualche punto in meno. Mi riferisco, in particolare, alla risoluzione n. 1559 del 2004.
Con questo mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU, non si ha, in modo chiaro, il potere di realizzare il vero disarmo. Abbiamo parlato di regole di ingaggio non chiare e non specificate. In effetti, se disarmare Hezbollah potrebbe costituire uno dei motivi per cui impegnare i nostri ragazzi in Libano, è difficile capire come possano farlo. È una situazione nella quale ogni sforzo rischia di diventare esplosivo e pericoloso per i nostri soldati.
Pensate che, dietro Hezbollah, c'è la parte politica di Hamas, ma c'è anche l'Iran e la Siria (è inutile che ce lo nascondiamo): Iran e Siria stanno soffiando sul fuoco e fomentando un odio, anche razziale, nei confronti di Israele, perché, all'interno di questa faida libanese, purtroppo, c'è anche la questione israeliana.
Nel 1897, Teodor Herzel iniziava ad immaginare uno Stato israeliano, ma, forse, non pensava che questo avrebbe comportato una serie di cavilli etnici e di scontri che stanno insanguinando sopratutto l'area libanese, in una guerra civile che è durata quasi 25 anni e che, per certi versi, non è mai finita, ma continua: negli ultimi giorni, abbiamo assistito all'uccisione di persone e a finanziamenti arrivati al governo attuale - ricordiamolo -, che, in qualche modo, devono essere controllati (se diamo 120 milioni per gli aiuti umanitari, va benissimo, non lo contestiamo; 30 li abbiamo già dati, sono già stati spesi per le emergenze).
Qualcuno, però, ha sollevato il dubbio: perché le milizie vicine ad Al-Fatah hanno ingaggiato una guerra contro Hezbollah in questi giorni, realizzando la prima vittoria nella storia, perché, per una volta, erano maggiormente armate (13 morti a 5: siamo addirittura ai conteggi numerici su cose allucinanti; più di cento feriti; 50 persone sono state rapite e di loro non se ne sa più nulla)? Parlare di una situazione delicata è un eufemismo. Oggi, la situazione può esplodere da un momento all'altro.
Capisco il consesso internazionale - e, per certi versi, ci può stare - che sollecita a dare 7,5 miliardi di dollari al governo, purché venga legittimato; e un governo di unità nazionale alla popolazione può far giungere il messaggio che la comunità internazionale appoggia questo e non il fondamentalismo. Può essere un motivo per invogliare la popolazione ad allontanarsi dal fondamentalismo. Tuttavia credo che, se non vi siano determinate garanzie, sia poco chiaro, utopistico e rischioso. Hezbollah e lo sceicco Nasrallah, l'altro giorno, hanno dichiarato che, in ogni momento, possono far cadere il governo.Pag. 40Questo deve essere chiaro: lo sciopero, che è alla base degli ultimi scontri, indetto dalle forze estremiste, ha confermato che sono in grado di far precipitare la situazione in Libano.
Dobbiamo porci questo dilemma in maniera molto cosciente. In questo momento è possibile pensare, in maniera concreta, che non possa scoppiare una guerra e che non possa essere alimentata da motivi religiosi? Guardate che i motivi religiosi, purtroppo, soprattutto quando c'è l'estremismo islamico, passano davanti anche ai buoni propositi internazionali e agli aiuti economici. Infatti, se da un lato, la Comunità europea concede 7,5 miliardi, dall'altra, purtroppo, alcuni paesi sono pronti (qualcuno citava le valigie che sono state intercettate) a portare altrettanti soldi per fomentare l'odio ed il terrorismo.
Credo che tutta la missione, purtroppo, nasca con piedi malsani. È un tavolo che non ha tre piedi, ma, al massimo, due. È un tentativo, ma, forse, alla cieca, senza garanzie.
Allora, ritorno al punto a cui avevo fatto cenno precedentemente, dopo essermi soffermato su questi quattro passaggi, ricordando che anche la missione Unifil non è particolarmente solida nella sua funzione (e nutro massimo rispetto nei confronti di quei tre mila ragazzi che vivono in quella situazione). Gli aiuti umanitari prevedono anche la forza militare in aiuto (e questo ci sta), però dobbiamo dare il massimo delle garanzie.
Dobbiamo garantire che Hezbollah non possa più avere rifornimento di armi, non possa più avere contatti con l'estremismo. Credo che questo sia il grande impegno su cui la strategia politica deve lavorare nei prossimi anni, soprattutto nel lungo periodo. Senza questa, continuiamo a parlare di piccoli espedienti di cabotaggio politico internazionale, che, però, rimandano, ogni tre mesi, al problema libanese.
Credo che questo non sia ciò che vogliamo né quello per cui il Parlamento italiano si è impegnato (forse nella sua quasi totalità, esclusi noi), inviando ragazzi in uno scenario estremamente pericoloso, perché, se dovesse scoppiare - siamo nella zona cuscinetto, siamo in una posizione delicatissima - una guerra rischieremmo di impegnare i nostri ragazzi in conflitto che non sono pronti ad affrontare né forse ad ingaggiare con regole certe.
Credo sia bene sottolineare la nostra perplessità principale, che è quella alla quale, oggi, non ho sentito dare risposte. Ho sentito fare discorsi di geopolitica generale: speriamo che si raggiunga la pace, speriamo che si trovi la buona volontà, speriamo che questi soldi servono a far smorzare le tensioni; lo speriamo anche noi, ma non siamo sicuri e non credo lo siate neanche voi. Non credo possiate avere queste sicurezze e senza di esse 150 milioni di dollari forse sono pochi, forse sono tanti. Credo che 3 mila ragazzi, senza queste sicurezze, siano, in coscienza, davvero troppi.
Se considerate la possibilità di un'accelerazione della crisi, sicuramente verrà chiesto maggiore impegno alle forze del contingente ed allora i nostri ragazzi diventeranno ulteriormente troppi. Tutti dovranno assumersi tale responsabilità, ma ricordatevi che in questo momento sarebbe indispensabile compiere qualche riflessione e soprattutto cominciare a lavorare, come non si è ancora fatto, affinché vengano efficacemente isolati, nel panorama dell'intero scenario politico libanese, gli interlocutori inattendibili ed inaccettabili se non addirittura pericolosi.
Mi riferisco soprattutto ai finanziamenti e anche all'avallo politico provenienti da Ahmadinejad. Se davvero il nostro Governo vuole partecipare alla soluzione dei problemi libanesi, deve chiarire la propria posizione rispetto al governo iraniano. Ricordo che il nostro Governo si è recato in visita ufficiale, riconoscendo il ruolo di Ahmadinejad in un momento in cui la questione nucleare non ha un peso secondario e le parole dello stesso presidente iraniano nei confronti di Israele non ne assumono certamente uno meno fondamentale. Inoltre, credo che anche nei rapporti con Damasco si debbano usare piedi di piombo.Pag. 41
Il terrorismo purtroppo è una realtà e non un'invenzione della Lega né di chi, a causa di una semplice critica, viene accusato di essere xenofobo o razzista. Al contrario, essa è realtà conclamata all'interno dei governi della fascia mediorientale, ed in maniera pesante anche di quelli considerati moderati. L'Arabia Saudita ha proposto La Mecca come luogo ove avviare un momento di confronto e di pacificazione. Si può fare, ma attenzione, perché, se non si trova una soluzione a lungo ma anche a medio termine per smorzare almeno le tensioni della crisi libanese, tutta l'area mediorientale rischia di esplodere in maniera pesante anche nelle regioni considerate moderate.
PRESIDENTE. Deputato Alessandri, la prego di concludere.
ANGELO ALESSANDRI. È una grande responsabilità che questo Governo si assume. Noi non ce la siamo presa ad occhi chiusi. Mi auguro che, aprendo gli occhi, si riesca a trovare qualcosa di concreto, magari di meno grande e politicamente corretto ma che in maniera effettivamente concreta riesca a risolvere i problemi. Su queste basi potremmo anche seguire il Governo; invece, finché parliamo di grandi scenari senza spiegare in concreto quello che andiamo a fare, non ci sentiamo in questo momento di assumerci una responsabilità del genere (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, desidero esprimere apprezzamento al Governo ed al viceministro, che ancora una volta hanno confermato quanto sia importante il raccordo continuo tra Esecutivo e Parlamento, soprattutto in una vicenda in cui si può affermare che tutto si tiene. In essa l'unico dato che certamente trova tutti d'accordo è la considerazione sul fatto che la situazione è talmente complessa che soltanto una faticosa ricerca di armonia può ricondurre ad unità pezzi separati di una vicenda che, se affrontata con scelte apparentemente forti, rischia di produrre logiche da embargo e da guerra.
A mio avviso, la faticosa ricerca dell'armonia, che assomiglia molto all'intreccio e ai ruoli della formica e della cicala, è ciò che serve in una vicenda delicata come quella libanese. Alcuni elementi sono le stelle polari della nostra azione. Ricordo innanzitutto la scelta multilaterale, la scelta delle Nazioni Unite, la scelta del ruolo dell'Unione europea, la scelta non della pace, bensì di una politica di pace. Essa è certamente più impegnativa e complessa rispetto alla semplice declamazione di pace. Al tempo stesso, vi è tuttavia l'affermazione che tutto questo non è incompatibile con la sovranità degli Stati, nel caso specifico del Libano.
Vorrei raccogliere fino in fondo e condividere al tempo stesso la preoccupazione espressa dal Presidente Casini, il quale ha chiesto di non modificare i dati distintivi dell'operazione e di stare attenti nel sostenere qualunque tipo di governo dovesse realizzarsi in Libano, anche a seguito dello stravolgimento delle regole democratiche.
Non è contraddittorio affermare - sempre per una ricerca di armonia - che condivido pienamente anche l'intervento del collega Alì Raschid, il quale ha suggerito di non enfatizzare un Governo che esiste fino al punto di ignorare la presenza di non trascurabili problemi complessivi di partecipazione.
Ora, fermo restando il sostegno allo Stato sovrano e al Governo che esso esprime, direi di non enfatizzare nessuna delle due posizioni perché potrebbero entrambe essere pretesto per quanti vogliano cogliere o la posizione del collega Alì Raschid o quella del presidente Casini al fine di motivare una scelta che produce poi reazioni ed irrazionalità.
Da questo punto di vista, siamo pienamente fiduciosi che il Governo saprà trovare - come ha fatto fino ad ora - le ragioni dell'armonia, sapendo che, se è vero che la vicenda palestinese e il mancato riconoscimento del diritto del popolo palestinese sono diventati la madre di tuttiPag. 42i contrasti nel mondo, l'operazione Unifil può essere madre di ogni pace. Infatti, questa operazione è quasi l'altra faccia della pericolosità della situazione libanese. Per questo, la Comunità internazionale sta giocando sicuramente un ruolo delicatissimo perché - Dio non lo voglia - se questa missione dovesse fallire, probabilmente rischieremmo di essere risucchiati da coloro che sostengono che soltanto l'embargo e la guerra nella logica unilaterale possono risolvere i problemi della pace nel mondo, della sicurezza di Israele e del riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.
Non voglio aggiungere altro, se non associarmi, a nome del gruppo che rappresento, l'Italia dei Valori, alla solidarietà per il popolo israeliano, che ha subito un terribile attentato. La nostra vuole essere ovviamente una solidarietà che si unisce a quella nei confronti delle tante e terribili mortificazioni e stragi che il popolo palestinese ha subito in questi mesi e in questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Crema. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, anch'io mi compiaccio per il suo intervento con il viceministro Intini, non solo per le cose che ha voluto dire oggi al Parlamento, dimostrando una grande attenzione alla nostra fondamentale istituzione, ma anche perché ha aperto una prospettiva di impegno ulteriore del nostro Governo che va nel segno di alcune valutazioni molto serie fatte oggi in quest'aula. Queste ultime sono state introdotte con l'intervento del presidente della Commissione esteri, che mi trova largamente consenziente.
Quindi, io partirei proprio da qui. Credo sia giusto sottolineare un momento così difficile per la situazione libanese che, aldilà degli scontri della settimana scorsa, ha messo in moto una serie di successi diplomatici e anche di carattere politico da parte della Comunità internazionale. Certamente questi successi, dall'estate scorsa ad oggi, lasciano intravedere una maggiore sensibilità ed un impegno della Comunità internazionale stessa.
Qui non stiamo parlando solo di una delle tante crisi nel Medio Oriente. Siamo in presenza di un paese distrutto in appena 33 giorni di guerra. È vero che vi sono emergenze di carattere istituzionale e politico, ma non dobbiamo dimenticare che i cittadini libanesi vivono in una condizione di grande emergenza anche a seguito di un grave disastro ambientale, con fabbriche distrutte, reti idriche e reti fognarie che non esistono più e che danno luogo al relativo inquinamento nella catena tossica che s'innesta. Inoltre, vi è una marea di rifiuti tossici dovuti alle esplosioni e alle distruzioni. Ancora, ci troviamo in presenza di un enorme debito pubblico e, dunque, non siamo di fronte ad una crisi politico-istituzionale di un paese che può avere delle ripercussioni di carattere internazionale tout court, ma davanti ad una complessità sottolineata da tutti.
Non c'è solo una tradizionale divisione del mondo musulmano. Infatti, durante la missione della passata settimana, abbiamo verificato che esistono profonde divisioni e scontri aperti anche all'interno della comunità cristiano-maronita. Quindi, la complessità è notevole. Ritengo, inoltre, che anche sul piano psicologico, dell'insoddisfazione e della rabbia popolare che si manifesta, il non risolto problema palestinese alimenti un malessere che, per le condizioni dei circa 300 mila esseri umani coinvolti, è largamente intollerabile.
Si tratta di un insieme di questioni antiche e nuove che rendono difficile il teatro su cui operare. Non è sufficiente essere un «can che abbaia» e richiamare l'attenzione sui pericoli, ma è giusta per la comunità internazionale, con l'intervento multilaterale, la scelta strategica dell'Italia di operare in questo campo, abbandonato dai precedenti Governi (anche alla luce dell'azione unilaterale che ha portato al conflitto in Iraq da parte degli Stati UnitiPag. 43d'America), una scelta che ritrova e fa ritrovare il senso della politica, della mediazione e dell'iniziativa diplomatica.
Il fatto stesso che, come è stato sottolineato, l'esercito libanese ritorni, dopo decenni, nel sud di quel martoriato paese, riprenda il territorio e faccia capire ai cittadini che esiste uno Stato, che non si vedeva e non si conosceva, sta a testimoniare un dato positivo. Altrettanto positiva è la collaborazione quotidiana, intensa e fattiva, che abbiamo visto con i nostri occhi, tra il contingente internazionale e l'esercito libanese.
Certo, siamo ai primi passi, ma passi notevoli sono stati compiuti in questi mesi. L'azione di mediazione, l'azione diplomatica (anche l'intervento del Governo italiano nella III Conferenza di Parigi) è stata giusta.
Non sono favorevole ad una lettura della situazione come se si trattasse di un ricatto: fornire gli aiuti e, se il Governo libanese non fosse mantenuto in piedi, non dare più nulla. Leggo, invece, una parte virtuosa nell'intervento della comunità internazionale e del nostro Governo: dobbiamo stabilizzare il quadro politico ed istituzionale del Libano; dobbiamo riconoscere che esiste un Governo. Ciascuno deve fare un passo indietro, riprendere il confronto, il dialogo e la mediazione politica nelle sedi istituzionali.
Tra gli obiettivi che il Governo italiano si prefigge di far raggiungere con il suo aiuto alla politica libanese vi è la ripresa del lavoro, del confronto, del dialogo parlamentare, l'espressione di una deliberazione sufficientemente condivisa da parte del Parlamento libanese affinché si insedi, finalmente, il processo per il giudizio internazionale sull'assassinio del premier Hariri (con tutto ciò che comporterà sul piano del diritto internazionale e della ricaduta nella politica interna) e il raggiungimento di un accordo per una nuova legge elettorale che permetta di arrivare ad una conta democratica per rimettere in gioco il Governo ed il paese.
Tutti debbono rischiare qualcosa e concedere qualcosa per uscire dall'impasse. Tanto più ciò potrà avvenire, quanto più la comunità internazionale continuerà sulla strada della tenacia, della generosità ed anche della presenza fisica e legale nel territorio.
Abbiamo ricevuto una risposta dal comandante del contingente italiano, il generale di brigata Gerometta, anche comandante del settore ovest dell'Unifil, quando gli è stato chiesto quali siano le «regole d'ingaggio». La politica non le nasconde, ma il generale (che anche su ciò dimostra di essere un eccellente ufficiale) ha risposto che vi sono motivi di grande riservatezza, perché il primo compito di un comandante è tutelare i propri soldati. Inoltre, ad una mia precisa domanda sui mezzi e l'armamento, se cioè fosse ritenuta soddisfacente la potenzialità di difesa, è stata data una risposta di assoluta serenità.
Per quanto mi riguarda sono consapevole che uno dei mandati che l'ONU assegna alle forze internazionali, il disarmo delle milizie Hezbollah, è difficile da attuare. Quando però noi diciamo questo, dobbiamo anche capire che queste non sono un esercito fantasma; Hezbollah è un partito che è sorto sulle ceneri probabilmente di altre forze politiche che in maniera più propria (credo dal mio punto di vista occidentale) oggi servirebbero quel paese.
Noi, se siamo sinceramente dei democratici e se parliamo seriamente, dobbiamo far sì che in quel paese, nella libera gara democratica, si sgonfi eventualmente il consenso popolare che Hezbollah ha, perché non è che Hezbollah abbia in quel paese una forza dovuta solo alle armi: ha un consenso tale che gli permette di portare a casa tutti e 23 i deputati assegnati al collegio del sud.
Quindi, Hezbollah ha un consenso popolare e, caso mai, le grandi democrazie del ricco Occidente devono interrogarsi su come mai un fondamentalismo, un estremismo talmente inaccettabile per un democratico possa avere un consenso così ampio. Su queste riflessioni dobbiamo poi imperniare un confronto aperto (come ricordava il collega Rivolta) che superi, all'interno del Parlamento, le divisioni politichePag. 44legittime tra maggioranza e opposizione. Questo va fatto con grande senso di disponibilità e di laicità, di fronte a un problema che non è semplice e, come ho voluto ricordare, non appartiene solo al campo musulmano, in quanto vi sono lacerazioni orizzontali, e direi anche che la situazione non esime nessuna delle tre correnti principali religiose, o meglio degli uomini politici che si rifanno a queste correnti, da un comportamento integerrimo sulla gestione della cosa pubblica.
Si tratta quindi di un lavoro difficile, un lavoro che è confortato peraltro dal comportamento del nostro contingente militare al quale noi parlamentari della Rosa nel Pugno siamo vicini, solidali e grati.
Oggi, mentre teniamo questo dibattito, è intervenuta una novità importante: il generale Graziano è oggi a Beirut, e il 2 febbraio assumerà l'incarico di dirigere l'intero contingente internazionale ONU.
Speriamo che questo sia l'auspicio di un processo positivo, l'unico dato che ci preoccupa è che negli scontri della settimana scorsa, per la prima volta, sono comparse le armi tra i civili e si è sparato. Questo non è un segnale tranquillizzante, questa è forse la preoccupazione più rilevante.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Tana De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, ritengo anch'io che la situazione in Libano sia realmente preoccupante, e pertanto ringrazio il viceministro per essere venuto in Assemblea ad aggiornarci sulla situazione. Credo che questa discussione vada ad integrare l'importante ed utilissima missione delle Commissioni congiunte esteri e difesa, effettuata proprio in quel teatro poco tempo fa.
Il viceministro Intini ha parlato soprattutto dei risultati della Conferenza di Parigi, una Conferenza molto importante nella quale, tuttavia, si parlava soprattutto di soldi. Va ricordato invece che questi aiuti - è una cifra davvero enorme - non potranno essere utilmente ed efficacemente utilizzati se non ci sarà un accordo politico nel paese. Nella situazione attuale sono soldi, nei fatti, congelati.
È per questo che io condivido e ritengo molto importante trovare il modo di rilanciare anche in altre sedi il problema: faccio parte dell'Assemblea parlamentare euromediterranea, e penso che anche in quella sede sarebbe opportuno riprendere il suggerimento del Presidente Ranieri riguardo quei tre punti sui quali la comunità internazionale dovrebbe chiedere ai nostri interlocutori libanesi, e anche agli interlocutori dei paesi vicini, un pieno impegno.
Il primo è, naturalmente, quello della sovranità ed integrità del Libano. Il secondo è quello che ci interpella direttamente: spingere per uno sbocco politico e, soprattutto, spingere i nostri colleghi parlamentari libanesi, a cominciare dal Presidente Nabih Berri, a riconvocare il Parlamento libanese per trovare un accordo su tutte le principali questioni rimaste aperte, da quella - spinosissima -, del tribunale internazionale, che dovrebbe processare i colpevoli del delitto Hariri, a quella - delicata - di una nuova legge elettorale, senza la quale non sarà possibile arrivare a quello sbocco che potrebbe ridare legittimità all'attuale rappresentanza e, soprattutto, aprire la strada a nuove elezioni. Ricordo a tutti noi che il 14 febbraio cadrà l'anniversario dell'assassinio di Hariri: sarebbe importante che qualche passo fosse fatto prima di quella data.
Per quanto riguarda il contributo italiano più importante, credo sia da indicare non solo e non tanto la significativa somma che mettiamo a disposizione di quel paese, ma soprattutto la missione Unifil, che, come è stato ricordato, l'Italia comanderà tra poco e che, probabilmente, è nata, nella sua efficace forma odierna, grazie all'iniziativa politica e diplomatica dell'Italia. Questo è riconosciuto da tutto il Parlamento. Ho sentito, con piacere, che l'opposizione riconosce all'Italia di essere stata protagonista nel passaggio molto delicato che ha consentito la fine dellaPag. 45guerra, dell'attacco al Libano, e soprattutto ha tutelato l'integrità del Libano anche in questa ultima crisi.
Come hanno ricordato i colleghi che hanno potuto conoscere i nostri militari che si trovano nel sud del Libano, il nostro principale interlocutore è l'armée, vale a dire l'esercito libanese. Interessante e nuovo, per quel paese, è proprio il fatto che l'esercito libanese è diventato l'unico vero simbolo dell'unità nazionale. Dopo gli scontri sanguinosi di martedì 23 - in questi giorni, il paese è stato davvero sull'orlo del precipizio -, anche quei politici libanesi che avevano espresso critiche nei confronti dei comportamenti dell'esercito hanno riconosciuto il ruolo insostituibile delle forze armate, che - curiosamente - hanno retto, ancorché costituite da membri delle comunità che così duramente si contrappongono l'una all'altra. Credo che, fino a quando l'esercito libanese reggerà, potranno reggere anche l'integrità del paese e, soprattutto, l'efficacia della nostra missione. Pertanto, questo è un dialogo delicato ed importante. Mi piace pensare che abbiamo contribuito all'empowerment (così direbbero gli anglosassoni), al senso di sicurezza e di fiducia nel loro ruolo che ha consentito ai militare libanesi di tutelare l'unità nazionale in un momento così difficile.
Credo, però, signor viceministro, che l'Italia dovrebbe ritrovare, forse, quel protagonismo e quell'inventiva che ci hanno consentito di svolgere, con tanta efficacia, un ruolo di leadership allorquando, nel mese di agosto, si è trattato di trovare una soluzione alla crisi, cioè di essere protagonisti di una nuova politica dell'Europa per il Medio Oriente.
In questo momento, la situazione è molto delicata perché tutti i focolai di crisi nel Medio Oriente si sono pericolosamente riaccesi: in Palestina, con i morti di questi ultimi giorni; in Iraq, dove non c'è nulla che somigli ad uno spiraglio per una maggiore tranquillità. L'arrivo del contingente dei rinforzi americani non ha fatto altro che aumentare il tasso di violenza, semmai fosse possibile. Poi, il Libano si è trovato sull'orlo del precipizio.
L'attuale amministrazione degli Stati Uniti - tradizionalmente il principale paese coordinatore delle politiche dell'Occidente verso il Medio Oriente - in questa fase ha deciso di non prendere in considerazione i suggerimenti della commissione Baker-Hamilton, che proponeva una soluzione per la situazione in Iraq e attribuiva un ruolo preponderante alla diplomazia rispetto all'uso della forza militare. Il Presidente Bush ha fatto la scelta opposta. La diplomazia è stata posta in subordine, vi sono più truppe in Iraq, e si registra uno scongelamento, per quanto riguarda la Palestina, dei fondi esclusivamente per l'acquisto e il rifornimento di armi per le forze del Presidente.
È un segnale devastante per un paese che è stato tenuto sotto una specie di assedio, privato delle minime risorse che consentissero alla propria amministrazione di funzionare. Gli unici soldi che arrivano sono per le armi. Credo che questo tipo di segnale non faccia onore alla comunità internazionale. Ritengo che l'Europa dovrebbe trovare il modo di lanciare un segnale molto diverso, un segnale che ponga nuovamente - come abbiamo fatto per quanto riguarda il Libano - il diritto internazionale al centro delle nostre politiche.
In questo senso, penso sia stato un peccato, un'opportunità mancata che siano stati esclusi dalla partecipazione alla conferenza di Parigi sia la Siria sia l'Iran. È vero: l'Iran - come ha ricordato il presidente Ranieri - è protagonista, nella persona del presidente Ahmadinejad, di dichiarazioni che in Europa fanno venire i brividi, non solo per le loro implicazioni. Però, come dicono pure gli americani, anche con i peggiori si può parlare, se non altro per dire che si è in disaccordo. E l'Iran dovrà essere parte di una soluzione per il Medio Oriente, così come la Siria.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, concludo ricordando che, in tempi di maggiore speranza, si era detto che il Libano avrebbe potuto rappresentare unPag. 46messaggio per il Medio Oriente, perché in Libano si è tentata la soluzione di una comunità di religione mista. Ebbene, credo che - come ha detto il presidente Ranieri - dobbiamo tentare di aiutare i democratici libanesi che sperano in uno Stato laico e libero (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Sandra Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, vorrei rivolgere un ringraziamento al viceministro Intini, non solo per la chiarezza delle informazioni che ci ha fornito in ordine alla gravissima situazione in atto, ma anche perché ci ha dato il senso del grande impegno che sta dimostrando e che ha dimostrato in passato il Governo per la soluzione della gravissima crisi libanese.
Vorrei ringraziare anche il presidente Ranieri: non solo condivido il suo intervento di oggi, ma ritengo anche che la missione in Libano ci possa aiutare molto a capire quale deve essere l'impegno di questo Parlamento.
La giornata di oggi, certamente, potrà portare un contributo. Questo scambio di opinioni ci potrà aiutare, affinché il nostro contributo, come paese, possa essere sempre più - come è stato - un contributo imparziale e concreto; un contributo che non è volto ad appoggiare questo o quel Governo, ma che è finalizzato a ottenere un Libano sempre più libero e democratico, che dia più serenità ai suoi abitanti.
Mi fa piacere svolgere insieme a voi una riflessione sulle cause della tragedia di questi anni. Una questione che ci deve far riflettere è il maggiore vigore assunto dalle vecchie divisioni confessionali, in un paese che ne conta ben 17, tra cristiane e musulmane. Inoltre, le milizie si stanno riarmando sempre di più e, purtroppo, la popolazione libanese ne risente profondamente.
Il Libano è un paese diviso politicamente con, da una parte, un Governo appoggiato a livello internazionale e, dall'altra, un'opposizione appoggiata da paesi quali la Siria e l'Iran. Pertanto, l'impegno internazionale per riuscire a superare questo difficile momento è estremamente importante, per evitare il ripetersi del grande dramma della guerra degli anni '80.
I libanesi stanno vivendo in una situazione estremamente difficile sia dal punto di vista economico, sia a causa della grande perdita di vite umane di questi ultimi tempi. Il conflitto con Israele - io faccio parte della Commissione infanzia, dunque sono particolarmente attenta a questi problemi - è stato davvero drammatico per i bambini libanesi. Infatti, un terzo delle vittime sono stati i bambini e, oggi, vi è il grande problema delle mine che li colpisce in particolare.
Tuttavia, la situazione libanese è ulteriormente aggravata anche dal punto di vista sociale, con particolare riferimento al ceto medio, che oggi vive in condizioni non molto dissimili da quelle di quindici anni fa.
Ho già avuto modo di ricordare che quanto previsto dagli Accordi di Taif non ha avuto un effettivo seguito. Purtroppo, per ben sedici anni è stata congelata una situazione che ha prodotto un sistema elettorale in base al quale i seggi parlamentari vengono assegnati su base confessionale, facendo riferimento ad un censimento del 1932. E, chiaramente, ciò si ripercuote anche nelle altre cariche dello Stato.
Inoltre, vorrei ricordare ancora una volta che uno dei problemi più rilevanti è quello relativo alla situazione dei palestinesi nei campi profughi del Libano. Per un paese di 4 milioni di abitanti, i quasi 700 mila profughi costituiscono un grande problema e possono creare forti tensioni non solo all'intero Libano, ma anche rispetto ad Israele. Tali profughi sono stati esclusi da qualsiasi trattativa di pace tra palestinesi e israeliani e resteranno ancora a carico del Libano per un tempo indeterminato. Dunque, occorre attivarsi al fine di consentire a questi palestinesi di godere degli stessi diritti dei libanesi.
Tenuto conto di questi scenari, appare evidente come la missione Unifil rappresentiPag. 47uno strumento fondamentale per aiutare i libanesi a riacquistare una condizione di vivibilità accettabile all'interno di un paese democratico.
Proprio per questo, noi popolari UDEUR sentiamo il dovere di ringraziare tutti i nostri soldati, a cui va la nostra gratitudine. In particolare, al generale Claudio Graziano, che si è recato oggi in Libano, va il nostro saluto, con l'augurio di lavorare bene per il Libano, come ha fatto il generale Angioni tanti anni fa.
Quanto sta accadendo in questo momento in Libano ci deve far riflettere sul fatto che sempre di più la comunità internazionale e anche la politica devono interessarsi al problema della ricostruzione morale, politica ed economica del paese. Questo è stato uno degli obiettivi della Conferenza dei paesi donatori di Parigi che, grazie all'impegno di tutta la comunità internazionale, ha raccolto quasi 6 miliardi di euro per il Libano. Il nostro Governo ha fatto, come al solito, la sua parte e certamente contribuirà sempre di più alla ricostruzione economica e sociale del paese.
Alla luce di quanto esposto, vorrei fare qualche proposta. Come possiamo aiutare il Libano? Si parla tanto della ricostruzione democratica in Libano dopo la guerra di agosto. In Commissione esteri, ci è stato offerto uno scenario su cui poter lavorare; perché non pensiamo a missioni di studio e di ricerca in grado di contribuire a sciogliere il nodo delle forme e dei poteri istituzionali? C'è da rompere il cappio confessionale e settario che sta ancora una volta strangolando il Libano. Bisogna aiutare a costruire uno Stato di diritto in cui queste fratture e odi interconfessionali non trovino posto nell'ordinamento e nel funzionamento dello Stato; occorre, inoltre, una nuova legge elettorale che tenga conto della realtà attuale del paese.
Questo processo può essere fortemente aiutato dal supporto pratico, tecnico e dottrinario della comunità internazionale e, certamente, l'Italia non è seconda a nessuno come tradizione giuridica. A Roma si tenne la conferenza per il Libano che ebbe grande successo; occorrerebbe verificare la possibilità di promuovere una conferenza internazionale, magari proprio in Libano preceduta da convegni di studio, in cui vi sia una sempre maggiore ed allargata presenza di tutte le parti interessate, coinvolgendo anche gli amministratori locali, le regioni, le associazioni economiche di categoria del Libano, i rettori delle università. Ciò potrà dare un quadro completo da più punti di vista di osservazione dei reali bisogni della popolazione, delle istituzioni e della società civile libanese.
In realtà, l'Italia, con quello che ha fatto il Governo e come attualmente si sta impegnando, può avere un grandissimo ruolo nel contribuire alla ricerca di soluzioni politiche globali condivise che abbiano come obiettivo principale la pacificazione, la ricostruzione del Libano, non dimenticando - ripeto - il contesto israelo-palestinese e cercando di aiutare il Libano a diventare un paese sempre più forte, ricostruito e non soggetto ad influssi esterni di paesi vicini.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Ringrazio il viceministro Intini, le colleghe ed i colleghi deputati che hanno preso parte alla discussione.
Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle 17 con lo svolgimento del successivo punto all'ordine del giorno.
La seduta, sospesa alle 16,50, è ripresa alle 17.
Discussione del disegno di legge: Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine (A.C. 1638); e delle abbinate proposte di legge: Migliore ed altri; Fabris ed altri; Craxi ed altri; Nan; Mazzoni e Formisano; Brancher ed altri; Balducci (A.C. 1164-1165-1170-1257-1344-1587-1594).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: DisposizioniPag. 48in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine; e delle abbinate proposte di legge Migliore ed altri; Fabris ed altri; Craxi ed altri; Nan; Mazzoni e Formisano; Brancher ed altri; Balducci.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1638)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Forza Italia e de L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Tenaglia, ha facoltà di svolgere la relazione.
LANFRANCO TENAGLIA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge al nostro esame reca disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine. Sono due aspetti del codice di procedura penale che involgono diversi diritti di rango costituzionale: il diritto alla privacy, il diritto dei cittadini ad essere lasciati soli, il diritto di cronaca, di informare e dell'opinione pubblica essere informata, il diritto all'effettività dell'esercizio della giurisdizione sotto vari profili, l'effettività dell'obbligatorietà dell'azione penale, il diritto di conservazione dei mezzi di prova e la presunzione di innocenza sino a condanna definitiva. Si tratta, in sostanza, di contemperare tutti questi diritti ed è un esercizio non facile per l'accezione comune.
Il disegno di legge in esame ha avuto il contributo fattivo di tutte le componenti della Commissione giustizia, la quale, nella sua maggioranza, ha ritenuto di aver raggiunto un punto di equilibrio corretto fra questi diversi diritti e le istanze che ad essi sono sottese. Questa valutazione ha anche il conforto del Comitato pareri presso la I Commissione, che, proprio sotto questo profilo, ha dato un parere incondizionatamente favorevole.
C'è da affermare una questione di metodo. La disciplina vigente in materia di tutela del segreto di indagine e di intercettazione telefonica è una disciplina che ha molti lati positivi. Quindi, il metodo che la Commissione ha seguito è stato quello di andare ad incidere su quegli aspetti di criticità della normativa vigente, senza stravolgerla, ma cercando di migliorarla e di evitare il verificarsi di alcuni problemi che, nell'applicazione concreta, si sono verificati.
Quando si parla di intercettazioni telefoniche, anzitutto bisogna affrontare il problema dei presupposti. A tale proposito, intervenire sullo strumento di indagine avrebbe potuto richiedere tre ordini di interventi: quello sull'estensione dei presupposti dei reati per i quali lo strumento può essere predisposto, quello sulle modalità di controllo del giudice e sull'esercizio dell'attività del pubblico ministero, oppure quello - secondo un auspicio che è venuto spesso dal dibattito dottrinario - sulla composizione dell'organo che dispone l'intercettazione.
L'intervento sui presupposti e sull'estensione dei reati che consentono le intercettazioni è un aspetto che la Commissione ha ritenuto di non considerare, ritenendo che i reati per i quali le intercettazioni sono possibili e i presupposti - gravi indizi e assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai fini dell'accertamento dei fatti - siano necessari e sufficienti, anche alla luce delle caratteristiche della criminalità nel nostro paese.
Si è, quindi, cercato di intervenire sulla motivazione sia della richiesta sia della decisione del giudice per le indagini preliminari, che individua la ricorrenza dei presupposti, specificando la necessità che la motivazione sui gravi indizi e sull'assolutaPag. 49indispensabilità dello strumento d'indagine sia effettiva. In tal modo, si è esclusa, anche se il contenuto di alcuni emendamenti presentati andava in senso contrario, la modifica dell'organo chiamato a decidere sulle intercettazioni, perché l'organo collegiale presupporrebbe un intervento di sistema sul codice di procedura penale, a partire dalla disciplina della libertà personale o da quella del giudizio di dibattimento che, in gran parte, nel codice di procedura penale italiano è rimesso ad un organo monocratico.
L'altro aspetto su cui si è inciso è l'estensione dell'ambito del segreto di indagine, previsto dall'articolo 114 del codice di procedura penale, rispetto all'ambito e all'estensione del divieto di pubblicazione degli atti. Il principio cui la Commissione si è ispirata è stato quello di stabilire con chiarezza gli ambiti rispettivi del segreto d'indagine e del divieto di pubblicazione, presidiandoli entrambi in maniera molto stretta. Si è irrigidita, in un certo senso, la disciplina del segreto degli atti di indagine e del loro conseguente divieto di pubblicazione, predisponendo una serie di misure dirette a prevenire le violazioni in materia.
In particolare, vi è una novità: le intercettazioni telefoniche da parte del giudice sono sempre coperte dal segreto, così come gli atti di cui l'indagato o il suo difensore non abbiano avuto conoscenza. Si prevede anche una forma di segreto volto a tutelare comunque la riservatezza del soggetto estraneo al processo, perché vi è una necessità di tutela della privacy molto più stringente, sotto tale profilo. Da ciò consegue la creazione di varie graduazioni del segreto, sia con riferimento agli atti d'indagine, sia con riferimento agli atti del fascicolo del pubblico ministero, rispetto alla fase dibattimentale.
Allo stesso modo è stato stabilito per gli atti relativi alle intercettazioni telefoniche, per i quali si è prevista una forma di divieto di pubblicazione che può anche andare oltre il superamento del segreto di indagine, fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, mentre è consentita, nel contenuto, la pubblicazione delle ordinanze di misura cautelare, quando ne abbiano avuto conoscenza il difensore o l'imputato. L'intervento ha riguardato anche la motivazione circa i tempi di effettuazione delle intercettazioni telefoniche, previste per quindici giorni e prorogabili sino a tre mesi. Ciò, ferma restando la necessità della permanenza di nuovi elementi di indagine rispetto ai presupposti. La proroga oltre questo termine è possibile quando si è in presenza di gravi reati.
Gli articoli 268 e seguenti del codice di procedura penale sono stati in gran parte riscritti con riferimento all'esecuzione delle intercettazioni e agli adempimenti successivi. Ci sono diverse novità legislative che riguardano lo svolgimento delle operazioni di intercettazione. In particolare viene previsto che le operazioni di registrazione dovranno essere effettuate per mezzo di impianti installati e custoditi in centri di intercettazione telefonica da istituirsi presso ogni distretto di corte d'appello; si prevedono quindi 26 centri di captazione rispetto alla situazione attuale che vede la presenza di centri di captazione in ogni procura della Repubblica (mi pare siano circa 163).
Le operazioni di ascolto delle conversazioni saranno invece compiute mediante gli impianti installati presso la procura della Repubblica ovvero previa autorizzazione del pubblico ministero procedente presso i servizi di polizia giudiziaria delegata per le indagini. Questa concentrazione consentirà un maggior controllo dell'accesso alle informazioni riservate, un più alto livello di sicurezza nell'acquisizione e nel trattamento dei dati, nonché un maggiore controllo dei costi - uno dei problemi che viene spesso sollevato quando si parla di intercettazioni telefoniche -, perché ci sarà la possibilità da parte del ministro della giustizia di ricondurre ad unità la spesa e la relativa gestione. Anche il controllo dell'autorità giudiziaria sul dato investigativo sarà più stringente.
Inoltre, sulla questione delle spese la Commissione ha ritenuto in sede emendativaPag. 50di prevedere anche un intervento per quanto riguarda i costi vivi dell'attività di intercettazione e di acquisizione dei tabulati telefonici, che, ricordiamolo, costituiscono degli obblighi da parte dei gestori telefonici; obblighi che, laddove comportano un costo, come nell'attività di intercettazione vera e propria, sicuramente necessitano di una remunerazione, che è prevista in via forfetaria, come in altri paesi europei (l'indagine conoscitiva svolta dal Senato sulle intercettazioni ha consentito di accertare questo aspetto); laddove invece non comportano un costo, come nel caso di acquisizione dei tabulati, secondo la Commissione devono essere gratuiti. Tra l'altro credo che - non ho però verificato questo dato in via ufficiale -, ove qualche procura della Repubblica dovesse disporre il sequestro dei tabulati telefonici, il gestore telefonico sarebbe obbligato non solo a darli, ma anche a fornirli gratuitamente, e questo già allo stato attuale. L'intervento della Commissione chiarisce quindi la situazione.
La riservatezza dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni viene anche assicurata attraverso una modifica del procedimento. La sequenza procedimentale del deposito e dell'eliminazione del materiale irrilevante viene modificata, attribuendo prima al pubblico ministero e poi al giudice il potere-dovere di selezionare l'intercettazione. È prevista una procedura snella, con tutte le garanzie per l'attività difensiva, sia per quanto riguarda il deposito - anzi, in sede di modifica del provvedimento, la Commissione ha previsto che, oltre al deposito dei decreti di autorizzazione, vi sia anche quello delle richieste del pubblico ministero; ciò per vagliare pienamente l'attività di motivazione -, sia rispetto ai tempi, con la previsione di un tempo minimo di almeno cinque giorni, pari a quello concesso per i termini a difesa.
Altra novità di rilievo è quella che riguarda l'istituzione di un archivio riservato, dove confluiscono le intercettazioni non utilizzabili o ritenute irrilevanti e anche, a seguito delle modifiche intervenute in sede emendativa da parte del Governo...
PRESIDENTE. La prego...
LANFRANCO TENAGLIA, Relatore. Signor Presidente, se ho altri due minuti vorrei segnalare la novità dell'archivio riservato e della modifica del decreto-legge sulle intercettazioni illegali.
Vorrei, inoltre, fare altre due velocissime annotazioni, utili anche per i lavori parlamentari. La prima riguarda le fattispecie criminose contenute nell'articolo 21, che, con gli interventi emendativi approvati in Commissione, sono state ulteriormente specificate, onde evitare difficoltà o possibili interpretazioni che avrebbero potuto estendere tali fattispecie al di là della connotazione loro propria. Mi riferisco agli articoli 617-quater, 617-octies e 617-novies. Gli articoli 617-octies e 617-novies concludono il sistema con riferimento alle intercettazioni illegali e all'acquisizione illegale di documentazione, punendo chi detiene questa documentazione e chi la pubblica.
PRESIDENTE. Deve concludere.
LANFRANCO TENAGLIA, Relatore. Infine, l'articolo 12 si riferisce ad una sanzione amministrativa determinata e specifica, che chiude il sistema, riguardante la violazione, per fini giornalistici, del codice di protezione dei dati personali. Esso costituisce una novità, perché la violazione del codice era già sanzionata per un altro tipo di professionisti (per esempio, gli avvocati e i funzionari della pubblica amministrazione), chiudendo il sistema.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gambescia. Ne ha facoltà.
Pag. 51
PAOLO GAMBESCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo disegno di legge è assai rilevante. Tutte le leggi lo sono, ma questa, in particolare, lo è perché sono due legislature che si tenta di adottare una normativa che metta ordine in questa materia; una materia che tanta preoccupazione suscita tra gli addetti ai lavori, cioè tra coloro che si trovano a dover pubblicare, quando vogliono, il contenuto delle intercettazioni e degli atti conseguenti, e coloro che, giustamente, pensano che il diritto a una buona inchiesta, ma anche il diritto a vedere tutelati i diritti individuali, primo fra tutti quello alla privacy, costituiscano una pietra miliare di ogni sistema democratico.
Si è provato varie volte, ma non si era mai riusciti ad arrivare ad un testo. Mi auguro che questa affermazione non significhi mettere le mani avanti, perché il seguito dell'iter si potrebbe bloccare; tuttavia, non credo che ciò accada, visto il clima che ha determinato la predisposizione di questa normativa.
Si tratta di un provvedimento importante anche perché - l'Assemblea forse non lo ricorderà, ma mi auguro di sì - in passato ci siamo occupati di un altro intervento strettamente collegato alla normativa riguardante le intercettazioni illegali, ossia quello posto in essere dal Governo tramite un decreto-legge, approvato prima dal Senato e poi dalla Camera, che aveva suscitato molte critiche.
Qualcuno lo ricorderà e ricorderà anche che tutta la Commissione aveva sollecitato il Governo, con un ordine del giorno, a sanare quelle che sembravano, ad avviso della stragrande maggioranza dei deputati, delle incongruenze, quando non addirittura delle forti carenze nel testo da approvare.
Il Governo ha fatto il suo mestiere, l'ha fatto bene ed in tempi relativamente stretti. Infatti, stiamo discutendo su questo provvedimento, teoricamente, da tre mesi e mezzo, ma, nella realtà, tutto si è svolto nel giro di due mesi.
In questo intervallo, il Governo ha consegnato proposte emendative che sono diventate parte integrante del provvedimento. Adesso - lo possiamo dire -, abbiamo di fronte una normativa che fa sistema. Vi possono essere cose che non ci piacciono, cose migliorabili; siamo umani e le visioni personali devono essere mediate tra loro, così come gli interessi che questo provvedimento deve tutelare (ne ha già parlato il relatore Tenaglia, che ringrazio per la puntualità con la quale ha messo insieme le varie anime che si confrontavano su questo disegno di legge).
Ebbene, ci troviamo di fronte ad un testo di legge che, come sosteneva il relatore Tenaglia, contempera le varie esigenze costituzionalmente protette. Non si interviene per limitare la possibilità del magistrato di svolgere le sue inchieste, ma si interviene, perché il magistrato deve motivare meglio: ogni volta che chiede di interferire nella vita del cittadino, per quanto sospettato, deve spiegare perché lo faccia. Tuttavia, con questo provvedimento non limitiamo il potere dei magistrati, quando vi sono gli elementi oggettivi, di usare questo strumento di indagine.
Abbiamo fatto una norma che tutela la privacy dei cittadini in modo puntuale. Ci siamo molto preoccupati di quest'aspetto perché, negli ultimi mesi, ha creato maggiore tensione. È del tutto evidente che la spettacolarizzazione di alcune inchieste giudiziarie ha nociuto centinaia di cittadini che si sono visti sbattere sui giornali senza alcuna responsabilità, senza che, nei loro confronti, vi fosse alcun procedimento penale, solo perché erano entrati nei colloqui telefonici di alcuni personaggi sospettati.
Inoltre, questo provvedimento mette ordine, finalmente, nella confusione generale, per non dire peggio, dei costi delle intercettazioni. Della limitazione dei centri di ascolto ha già parlato il relatore Tenaglia. Io vorrei semplicemente sottolineare che, mediamente, in Italia (ho fatto questi conti, leggendo la relazione che il Ministero ha trasmesso alla Commissione) un soggetto intercettato costa 3.075 euro. Ma la cosa singolare (ed uso un eufemismo) è che si oscilla tra i 326 euro minimo ad intercettazioni, a contatto, a soggetto ascoltato, e i 7.860. Si può anche capirePag. 52che vi siano inchieste che richiedono un tempo più lungo di intercettazioni, che sono più complesse, ma tra 326 euro e 7.860 euro vi è una differenza difficilmente spiegabile; e non è un caso che la Commissione abbia chiesto, più volte, al rappresentante del Governo di mettere mano a questa situazione. Ora il Governo ha gli strumenti: infatti, centralizza e diminuisce i centri di ascolto. Adesso, finalmente, c'è un responsabile.
Le critiche più dure che sono state avanzate in ordine alla facilità con cui sono state pubblicate le intercettazioni coperte dal segreto, comprese quelle che riguardavano persone che nulla avevano a che fare con l'inchiesta, si arenavano di fronte all'inchiesta giudiziaria successiva che non riusciva mai ad individuare i responsabili della violazione, ossia il pubblico ufficiale che violava e permetteva al giornalista di pubblicare quello che non doveva essere pubblicato.
Adesso finalmente con questa legge si è creato un sistema grazie al quale esiste un responsabile, ovvero il procuratore della Repubblica. Affermo, da ex giornalista, che non vi sarà più un magistrato che potrà dire di non saperne nulla perché tanti possono aver violato il segreto. D'ora in poi sappiamo che il procuratore della Repubblica deve custodirlo in una stanza chiusa e sigillata con una sorta di responsabilità oggettiva. Vi sarà un magistrato che dovrà curare la tenuta dei documenti segreti e quindi, anche da questo punto di vista, la legge è importante perché ha messo la parola fine ad una situazione diventata insostenibile.
Da ultimo, mi preme sottolineare l'aspetto che riguarda non la punizione di chi viola il segreto (che resta invariata da un punto di vista penale), bensì la norma che rende responsabile la testata (quindi non solo i giornali, ma anche le radio e le televisioni) di una violazione che colpisce l'elemento sensibile di un cittadino, come il suo stato di salute, i suoi rapporti sentimentali, la sua professione, comprese quelle riguardanti i minori. Con questo provvedimento abbiamo messo in piedi un sistema che permette di intervenire dal punto di vista amministrativo (anche se la discussione in proposito è ancora aperta, ma ciò è positivo perché cerchiamo di fare una buona legge e non una legge qualsiasi) e di disciplinare. D'ora in poi l'ordine dei giornalisti, su richiesta del garante per la privacy, potrà punire e «condannare» il giornalista che non svolge il proprio mestiere in modo corretto.
In conclusione, si tratta di una legge che, per riassumere, gratifica ed aiuta i magistrati che svolgono per bene il proprio lavoro, aiuta e gratifica i giornalisti che svolgono perbene il proprio lavoro e cerca di mettere un freno a chi invece svolge il proprio lavoro qualche volta con superficialità e qualche volta (mi riferisco ai giornalisti) con qualcosa di peggio che la semplice superficialità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'onorevole Gambescia ha trovato la soluzione di tutto, ovvero indicare nel pubblico ministero il responsabile della violazione del segreto istruttorio che continuamente viene violato. Tuttavia, egli dimentica che dovrà essere questo CSM a punire il pubblico ministero.
Mancherei ad un preciso dovere di onestà se non affermassi nel corso di questa discussione sulle linee generali che le intercettazioni telefoniche sono e saranno uno strumento indispensabile di indagine, soprattutto al momento in cui dalla gente proviene pressante la richiesta di sicurezza dalla criminalità emergente e dal terrorismo. Tuttavia, sono le diffusioni illegali e le violazioni continue della privacy che dobbiamo combattere.
In questi giorni si stanno celebrando in tutte le Corti di appello italiane i riti stanchi dell'inaugurazione dell'anno giudiziario ed anche la cerimonia solenne della scorsa settimana in Cassazione aveva il sapore di una messa da requiem per un sistema ormai al collasso. Eppure, il Governo ha voluto lasciare le cose come stanno, bloccando la riforma dell'ordinamentoPag. 53giudiziario. Così facendo, ha rinunciato ad eliminare alcune delle cause responsabili della crisi della giustizia, contribuendo a mantenere questo sistema.
È stato detto che se lo Stato dovesse rimborsare tutti i cittadini italiani per l'eccessiva durata dei processi, non basterebbero tre finanziarie. E le cose peggioreranno con la bocciatura della legge Pecorella, che consente al pubblico ministero di richiamare in giudizio imputati assolti in primo grado. Questa rivincita del pubblico ministero, che sa di sfida, è piuttosto la guerra di una nazione contro un individuo.
Ma tornando al procuratore generale, questi ha elencato mali antichi e nuove carenze croniche di mezzi. Eppure, nel sistema vi sono sacche di sprechi. Il sottosegretario Li Gotti, a Palermo, ha detto che le intercettazioni telefoniche sono costate allo Stato 1 miliardo e 400 milioni di euro. Di questi, 1 miliardo è costato solo l'affitto delle attrezzature. Mi piacerebbe chiedere al sottosegretario Li Gotti con che criterio sono state scelte le ditte che affittano le attrezzature, al prezzo dieci volte superiore al valore delle attrezzature stesse. Lei stesso è rimasto scandalizzato, come leggevo da una sua intervista. Dunque, si tratta di costi elevati anche rispetto ai paesi stranieri e di un ricorso eccessivo alle intercettazioni telefoniche che, spesso, si rivelano inutili.
Eppure, il mio amico Tenaglia è stato irremovibile in Commissione, così come il Governo. Essi non hanno accettato i suggerimenti dell'opposizione. Non alludo all'emendamento provocatorio dell'onorevole Consolo, che voleva paragonare le intercettazioni inutili a quelle illegittime, ma voglio riferirmi all'emendamento dell'onorevole Pecorella, che chiedeva una maggiore incisività della Corte dei conti nel controllo contabile.
Insomma, i cittadini italiani saranno ancora indifesi nonostante questo provvedimento, soprattutto perché i risultati delle intercettazioni potranno essere utilizzati per reati diversi da quelli per i quali erano state richieste, vale a dire le cosiddette intercettazioni «a rete». Anche l'intervento che voi invocate del Garante della privacy potrebbe essere un rimedio peggiore del male, per il fatto che potrebbe portare in circolazione i nomi di persone coinvolte solo marginalmente. Dico questo a lei, che è un giornalista e sa che una notizia pubblicata e smentita equivale ad una notizia pubblicata due volte. In questo senso, il rimedio invocato potrebbe essere peggiore del male.
Insomma, come diceva Fortunato, con questo provvedimento voi avete «limato le zampe alle mosche». Tuttavia, io mi trovo qui per richiamare l'attenzione dell'Assemblea su un emendamento che ho depositato stamane e che è attinente alla materia che stiamo trattando. Non me ne vogliano gli alti burocrati della Camera con la scure dell'inammissibilità in mano. Io vorrei pregare di nascondere quella scure. Questo emendamento potrebbe risolvere molti problemi relativi alla continua violazione del segreto istruttorio. L'emendamento introduce nel codice di procedura penale l'articolo 329-bis, recante il divieto di pubblicazione del nome del pubblico ministero, fino la chiusura delle indagini preliminari.
Solo così, onorevole Gambescia, possiamo evitare il triste fenomeno della giustizia-spettacolo che tanti danni ha arrecato al nostro paese. Vogliamo scoraggiare la voglia di protagonismo di alcuni pubblici ministeri, i quali cercano le luci della ribalta sulle loro inchieste che dovrebbero rimanere segrete. Vogliamo impedire che, in futuro, pubblici ministeri possano costruire fortune elettorali e politiche su tristi vicende umane.
Troppe persone innocenti sono state danneggiate nella loro immagine e solo perché qualcuno ha voluto accendere quelle luci, considerato che si trattava di persone famose. Quando delle persone innocenti vengono coinvolte in inchieste che non appartengono loro, il danno non si reca a tali persone, perché si tratta di un danno ben più alto. Infatti, esso si compie contro la credibilità delle istituzioni democratiche.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il presidente Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, la pubblica opinione si è molto esercitata, negli ultimi mesi, intorno al tema sensibile delle intercettazioni, sia nella versione cui il Parlamento ha già dedicato un dibattito impegnativo (come ricordato sia dal relatore sia dall'onorevole Gambescia) in occasione dell'approvazione del cosiddetto decreto sulle intercettazioni illecite, che ha tenuto banco sui media, sia nella dimensione che occupa oggi il nostro dibattito, che attiene alle azioni di captazione, per usare il tecnicismo neutrale delle burocrazie, disposte dal magistrato nell'esercizio dell'indagine prevista da legge.
Se la missione del Parlamento è di varare buone leggi, non in contrasto con i principi generali dell'ordinamento - talvolta ci riesce - ma neanche in contrasto con il sentimento popolare, dobbiamo convenire sul fatto che i cittadini si aspettano un intervento serio, organico, che garantisca l'azione della giustizia nel necessario impegno investigativo, ma che spazzi via, con chiarezza, quel sinistro retrogusto di controllo pervasivo ed incombente, quel senso di violazione ingiustificata di ogni privacy, quel clima da «grande fratello» orwelliano o - se sono più graditi i riferimenti filmografici - quel clima descritto dal Francis Ford Coppola ne La conversazione, in cui si dà conto di un agente dei servizi americani impegnato a trascorrere le sue giornate all'ascolto di vizi privati di cittadini che risulteranno, alla fine, colpevoli non per la legge ma per le legittime consorti, immagine che - per la verità - deve aver trovato una qualche sinistra reminiscenza nell'opinione di molti italiani, allorquando si è preso atto dell'enormità dell'azione intercettativa messa in opera dalla magistratura nel periodo tra il 2003 e il 2006: 200 milioni di captazioni! Questo è ciò che ha rivelato il rapporto del ministero. Dobbiamo dare atto al sottosegretario dell'attenzione e della cura con cui ha riportato, in Commissione, questi elementi.
Duecento milioni di captazioni rappresentano una quantità abnorme, quale che sia l'angolo di interpretazione che scegliamo di adottare. Se poi si pone mente al fatto che queste operazioni hanno impegnato una spesa complessiva di un miliardo e 300 milioni di euro (una differenza di 100 milioni con quanto ha riportato l'onorevole Pepe, ma a questo punto si tratta di quisquilie), cifra che risuona beffarda nei confronti di un bilancio della giustizia che «arranca» tra le ristrettezze più drammatiche, si capisce che intorno al tema delle intercettazioni l'attenzione coinvolta dei cittadini è davvero e motivatamente assai alta.
Le questioni chiamate in causa, pertanto, sono diverse, ognuna ha una sua profondità, e sono state evocate con giustezza sia dal relatore sia dalle sottolineature dell'onorevole Gambescia. Vi è, in primo luogo, la necessità di consentire l'utilizzo di questo strumento necessario di lavoro alla magistratura in una dimensione coerente con le circostanze di particolare gravità che ne motivano l'adozione. Non si può, senza intercettazioni, contrastare la grande criminalità. Ma non si deve con questo strumento, previsto per un obiettivo specifico, raggiungere altre finalità.
Vi è, ancora, il grande problema dell'equilibrio tra diritto alla riservatezza del cittadino e circuito mediatico. La rilevanza in termini di attenzione della pubblica opinione al tema delle intercettazioni si deve, essenzialmente, all'uso in termini di «gogna mediatica» delle informazioni relative ai documenti intercettati. È un problema che abbiamo cercato di affrontare e risolvere in modo adeguato con la proposta che giunge all'esame dell'Assemblea. La questione assumeva una sua autonoma rilevanza nelle intercettazioni illecite, ma anche in quelle disposte legalmente. Va tutelato il cittadino e va scoraggiato il comportamento di chi «sbatte il mostro» in prima pagina, ma anche di chi consente che le informazioni arrivino ai media.Pag. 55
Vi è, poi, la dimensione dei costi, che abbiamo già evocato.
Il provvedimento in esame affronta e dà risposte a questi problemi, ponendo alcuni importanti principi e disegnando anche alcuni nuovi profili sanzionatori.
La Commissione giustizia ha lavorato con impegno e senso di responsabilità alla predisposizione di un testo che ha assunto come base il disegno di legge governativo insieme con i contributi delle proposte parlamentari, mediante l'impegnativo dibattito che ne è seguito.
Dobbiamo darne atto al relatore e dobbiamo darne atto a tutti i colleghi, della maggioranza così come dell'opposizione.
Passando assai sinteticamente all'esame del «prodotto» che viene oggi alla nostra attenzione, rileveremo che le intercettazioni telefoniche non acquisite da parte del giudice sono sempre coperte da segreto.
Questo è un fatto importante. Si prevede così una forma di segreto volta a tutelare comunque la riservatezza dei soggetti, spesso incidentalmente coinvolti, anche oltre il termine di cessazione del segreto sugli atti del provvedimento. A ciò consegue che, relativamente alle conversazioni irrilevanti, vige sempre il divieto di pubblicazione, anche parziale, per riassunto nel contenuto. Per tutte le conversazioni, anche non coperte da segreto, è fatto divieto di pubblicazione, anche nel contenuto, fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare.
La norma rappresenta una novità volta a rendere più stringente il divieto di pubblicazione delle conversazioni intercettate, rispetto alle altre attività di indagine, in quanto fonte principale di propalazione di notizie e circostanze afferenti la vita privata dei soggetti accidentalmente coinvolti.
C'è poi un importante strumento che viene attivato, ed è quello del regime delle proroghe, che prevede un nuovo limite, un tendenziale limite alle proroghe delle intercettazioni, fissato in tre mesi, superabile qualora siano emersi nuovi elementi di indagine.
Una profonda innovazione riguarda gli impianti da utilizzare per lo svolgimento delle operazioni di intercettazione (questo è uno dei temi forti su cui credo l'attenzione sia particolarmente sensibile). Le operazioni di registrazione dovranno essere effettuate per mezzo di impianti installati e custoditi in centri di intercettazione telefonica da istituirsi presso ogni distretto di corte di appello.
I pregi di questa novità non si limitano agli aspetti di tutela della riservatezza, in quanto si tratta di una norma che ha un importante risvolto finanziario, consentendo di ridurre sensibilmente le ormai insostenibili spese.
Ancora, la riservatezza dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni viene assicurata attraverso una modifica del procedimento: la sequenza procedimentale del deposito e della eliminazione del materiale irrilevante viene modificata, attribuendo prima al pubblico ministero e poi al giudice il potere-dovere di selezionare le intercettazioni da acquisire. La procedura prevista è la più snella possibile.
Vi sono poi le sanzioni. Sono stati previsti interventi anche di natura sostanziale volti a sanzionare le violazioni degli obblighi e dei divieti posti dal provvedimento. È stata riformulata la fattispecie relativa alla rivelazione illecita dei segreti inerenti un procedimento penale. La nuova formulazione, lo ricordava il relatore, sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni la condotta di chiunque riveli indebitamente notizie inerenti ad atti del procedimento penale coperti dal segreto, dei quali sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio, o servizi svolti, e ne agevoli in qualsiasi modo la conoscenza. In tal modo, si è approntata una tutela penale fondata sull'accesso qualificato ad atti del procedimento, configurando pertanto il reato in esame come reato proprio. Sono poi introdotte nuove figure, quali l'accesso abusivo ad atti del procedimento penale, la detenzione di documenti illecitamente formati (il cosiddetto dossieraggio) e la rivelazione del contenuto di documenti.Pag. 56
In ultima analisi, il provvedimento, così come è stato approvato dalla Commissione, si presenta equilibrato ed efficace. Naturalmente, questo dibattito potrà anche portare a delle indicazioni migliorative, ne sono anzi convinto. È stata data però una regolazione dignitosa del sistema delle intercettazioni ed anche una risposta accettabile all'allarme sociale sollevato da questo fenomeno dilagante.
Spero che l'Assemblea vorrà riconoscere lo spirito che ha informato in modo pieno, consapevole l'impegno e l'attività della Commissione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a costo di ripetere cose già dette, risulta evidente che l'urgenza con cui abbiamo convertito in legge il decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche illecite, e la solerzia con la quale ci apprestiamo a rimettere mano, complessivamente, alla materia delle intercettazioni telefoniche ed ambientali sono il frutto di una stagione in cui, da un lato, la cronaca ha mostrato, quotidianamente, l'inefficacia della normativa esistente e, dall'altro, i numeri hanno segnalato la straordinaria pervasività dell'uso dello strumento.
Come hanno ricordato il relatore e l'onorevole Gambescia, si tratta di una materia nella quale rispetto della privacy e della libertà di comunicazione tra i cittadini, esigenze investigative e di accertamento giudiziario, tutela del diritto alla difesa del singolo nel procedimento penale e garanzie poste dall'articolo 21 della Costituzione a salvaguardia della libertà di stampa - tutti questi fattori - intervengono contemporaneamente, rappresentando bisogni a tratti contrapposti.
In quest'aula, la scorsa settimana, il ministro Mastella evidenziava il costo sostenuto dalla collettività per l'esercizio delle attività di intercettazione (e di quelle collegate). Travalicando il dibattito parlamentare, la discussione è diventata materia di denuncia e di polemica a mezzo stampa. Certo è che un miliardo e 300 milioni di euro, già più volte citati, spesi nel quadriennio appena trascorso, sono tanti, troppi (a proposito, non mi risulta che l'onorevole Mario Pepe - il collega mi permetta di rilevarlo - fosse all'opposizione...). Comunque, si tratta di una quantità enorme di risorse che grava sul sistema della giustizia italiana come un macigno. Il predetto ammontare è la prova evidente di quanto esteso sia stato - lo ricordavo all'inizio del mio intervento - l'utilizzo delle intercettazioni e, entrando nel dettaglio, delle sperequazioni che l'attuale sistema ha creato. Per quanto ha potuto, ha tratteggiato questo tema il relatore.
Queste ultime difformità inducono ad una riflessione e, possibilmente, anche ad un accertamento delle loro cause, che appaiono, a prima vista, poco comprensibili. Sotto questo profilo, però, il previsto e ricordato passaggio a ventisei strutture, contro le centosessantasei attuali, l'introduzione, in Commissione, di valori di riferimento per il costo delle singole prestazioni, in relazione ai gestori telefonici, e l'abbattimento dei costi di noleggio rappresentano una risposta probabilmente adeguata. Comunque, trattasi di innovazioni dovute e non più rinviabili. Ma proprio il rigore con il quale è stato affrontato quest'ultimo tema ci pone fuori dal novero di coloro i quali utilizzano i costi sostenuti per porre correttivi o per limitare l'uso della captazione delle comunicazioni a fini di indagine. Tuttavia, lo stesso disegno di legge contiene più rigorose prescrizioni - in ordine a disposizione, proroga e motivazione delle intercettazioni - che guardano alla disinvoltura eccessiva del loro utilizzo.
Viene da sorridere guardando indietro: agli anni in cui l'intercettazione non esisteva o era strumento collaterale all'attività di indagine. Quasi l'intera letteratura del giallo, del noir, non ne conosce il significato fino a tempi molto recenti: un segno culturale dell'evoluzione del ruolo della comunicazione nella società, del progresso tecnologico e delle stesse tecniche diPag. 57indagine in relazione al modificarsi delle organizzazioni criminali. Ciò nondimeno, possiamo immaginare la sorpresa di Simenon, di Scerbanenko o, più prosaicamente, del tenente Colombo, se aprissero un qualsiasi odierno fascicolo di indagini!
Interrompere la pratica viziosa della pubblicità illecita degli atti di indagine è uno degli obiettivi del provvedimento in esame. Il tema, di grande delicatezza, muove dagli abusi che la cronaca giudiziaria ha da tempo evidenziato, soprattutto da quelli commessi mediante la pubblicazione di conversazioni intercettate che, spesso irrilevanti in relazione al merito delle indagini svolte, erano idonee, invece, a suscitare un morboso interesse nell'opinione pubblica. Fin qui la Corte costituzionale.
Noi, più modestamente, dobbiamo prendere atto dell'inefficacia della normativa vigente e del fatto che un'oblazione di poche decine di euro, a cui si riduce oggi la sanzione, vale al massimo come marca da bollo dell'illecito.
Pure il danno potenzialmente arrecato agli indagati, alle indagini stesse o a incolpevoli soggetti terzi è stato in passato evidente e grave; assai più grave dei reati per cui il codice prevede pene molto più severe. Faccio l'esempio del tossicodipendente che commette un reato contro il patrimonio - ad esempio, il furto di un'autoradio - che è punito con l'arresto fino a tre anni. Non c'è, ovviamente, proporzione rispetto alla normativa vigente.
Tuttavia, la necessità di intervenire sulle pratiche che ricordavo non può e non deve spingersi a violare le garanzie poste dall'articolo 21 della Costituzione a tutela della libertà di stampa. A mio parere, vanno in questo senso le modifiche apportate al testo in Commissione, che spostano il carico della sanzione amministrativa dai giornalisti verso l'impresa editoriale nel suo complesso. Il mestiere di giornalista è, forse, il secondo più vecchio del mondo. Ma ci sarà un motivo per cui, nel nostro ordinamento, nemmeno il primo è un reato penale. Anche qui, dove di penalità non si parla, è però opportuno, per la delicatezza stessa del tema, che la pubblicazione, seppure non lecita, sia maggiormente un problema di deontologia che di sanzione a carico.
Non so se basterà. Temo di no, per almeno due ordini di motivi. Gli interessi economici che ruotano intorno alla pubblicazione sono certamente più ampi delle sanzioni in linea ipotetica prevedibili e gli organismi cui facciamo riferimento per il rispetto delle regole deontologiche appaiono poco interessati a svolgere questo ruolo e a farsene realmente carico.
La drammatica vicenda di Erba e l'inattività sul ruolo svolto dall'informazione nella prima fase di quegli accadimenti sono, purtroppo, la più recente ed esemplare conferma di quanto sto sostenendo. Ovviamente, sto parlando del ruolo e della funzione dell'ordine dei giornalisti. Ma torneremo su questo argomento; ci dovremo tornare tra breve.
Tuttavia, l'intervento complessivo su tutto l'iter dell'intercettazione dell'atto di indagine dagli uffici giudiziari alla sua eventuale propalazione, con una graduazione di sanzioni penali e amministrative, è certamente un intervento più efficace di quanto attualmente disposto. Questo è il motivo per cui abbiamo tutti, credo fattivamente e cooperativamente, lavorato, perché il provvedimento in esame giungesse in quest'aula; e speriamo che questa Assemblea lo approvi (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo, Italia dei Valori e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Costa, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, l'Italia dei Valori valuta con grande favore il fatto che il provvedimento sulle intercettazioni telefoniche sia oggi in dirittura d'arrivo alla Camera, e sente il bisogno di esprimere un ringraziamento per il lavoro svolto al presidente dellaPag. 58Commissione Pisicchio, al relatore Tenaglia, ed a tutti i componenti della Commissione.
Questo è un provvedimento lungamente atteso, perché disciplina organicamente la materia delle intercettazioni, tanto quelle formate legalmente, ma illegalmente diffuse, quanto quelle formate illecitamente. Esso prevede un equilibrato sistema procedurale di sanzioni processuali, che consistono nella inutilizzabilità degli atti, ma anche penali e pecuniarie (che sono importanti perché il precetto non può essere disgiunto dalla sanzione).
Ricordo che questo provvedimento organico sopraggiunge dopo che era stata inopinatamente ed inopportunamente approvato in tutta fretta un decreto-legge in materia di intercettazioni illegali presentato sulla scia delle inquietanti notizie sullo scandalo Telecom e sulle intercettazioni di personaggi spesso influenti della politica, dell'economia e dello stesso giornalismo, su cui la magistratura sta indagando. E speriamo presto giunga a conclusioni severe, come si addice a casi di violazione di così grave rilevanza.
Un provvedimento su quei fatti era ovviamente indifferibile, ma la disciplina che ne derivò - la quale andò largamente oltre la previsione del testo governativo per le imponenti modifiche apportate dal Senato - non appare soddisfacente per diversi aspetti: alcuni attinenti alla normativa sanzionatoria, ed altri, ancora più rilevanti, al procedimento che appariva esso stesso tale da divenire strumento di amplificazione del contenuto delle intercettazioni illegittime attraverso la sua accessibilità a tutti ed a ciascuno tra i possibili interessati. Allora, l'Italia dei Valori denunciò tale incongruenza e contribuì, insieme ad altri, alla formazione di un ordine del giorno, che impegnava alla modifica di quel provvedimento in occasione dell'approvazione del testo organico, che oggi è all'esame dell'Assemblea.
Ebbene, constatiamo con piacere che il Governo ha presentato una proposta emendativa, trasfusa nell'odierno testo, che effettivamente ha depurato e modificato il testo di quella legge approvata frettolosamente. E lo ha fatto in maniera soddisfacente, eliminando gli aspetti più irritanti. Ciò vale in linea generale, anche se potrebbe lasciare qualche margine di ambiguità la previsione dell'articolo 2, comma 3, che stabilisce la notifica del decreto di fissazione dell'udienza agli altri soggetti interessati attraverso il deposito dei documenti in cancelleria, con facoltà per i difensori di esaminarli.
Confidiamo che i lavori preparatori, compreso il dibattito parlamentare anche senza bisogno di appositi emendamenti, indurranno ad interpretare la disposizione restrittivamente, nel senso che gli atti attinenti ad intercettazioni illecite non siano indiscriminatamente accessibili a tutti i soggetti eventualmente attinti da intercettazioni lecite, anche se riguardanti quelle concernenti altri soggetti e nel senso di ammettere la conoscenza solo per la parte che riguarda ciascun interessato e non anche gli altri.
Un altro punto che intendiamo evidenziare riguarda il fatto che gli atti e i contenuti attinenti ad intercettazioni illecitamente formate non devono essere necessariamente, indiscriminatamente ed aprioristicamente distrutti solo perché attinenti ad intercettazioni illecite.
L'Italia dei Valori e lo stesso ministro Antonio Di Pietro, per la verità in sintonia con numerose espressioni di magistrati e politici, da tempo avevano rilevato l'incongruenza della immediata distruzione, eventualmente, anche degli atti costituenti corpo del reato. Ebbene, evidenziamo con piacere che, nel testo proposto all'Assemblea, opportunamente, si prevedono alcuni punti all'articolo 2: in primo luogo, gli atti attinenti ad intercettazioni illecite non sono utilizzabili salvo che costituiscano corpi di reato; in secondo luogo, essi sono custoditi in archivio riservato; in terzo luogo, gli stessi vengono distrutti solo cinque anni dopo che sono pervenuti alla procura della Repubblica con provvedimento adottato annualmente. Quindi, anche in questo caso, rimane salvo il principio di conservazione della prova, quando essa sia assolutamente necessaria per il giudizio.Pag. 59
L'ultimo punto che vorrei trattare riguarda le garanzie ed i costi. Gli obiettivi, sebbene apparentemente diversi, coincidono in conseguenza dell'istituzione dell'archivio riservato e dell'unicità e concentrazione dei punti di custodia di quanto emerso. Ciò consente, da una parte, di conoscere il responsabile della fuga di notizie e, dall'altra, di ridurre, attraverso la concentrazione dei luoghi di afflusso e di custodia, i costi, dimostratisi davvero insopportabili.
Su tale questione speriamo che l'approvazione del presente provvedimento, quale momento a partire dal quale viene spazzata via l'allegra gestione che caratterizzava la pregressa situazione, consenta di chiudere un'epoca buia nella quale è stato possibile conseguire enormi e sproporzionati guadagni.
L'Italia dei Valori, che è attenta ad evitare gli sprechi di danaro pubblico, darà il proprio contributo affinché eventuali responsabilità penali o contabili riferibili a quel periodo, se esistenti, siano inesorabilmente e severamente accertate e colpite (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cesario. Ne ha facoltà.
BRUNO CESARIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo giunti al traguardo di una legge attesa da anni dal nostro paese. Si tratta di una legge che viene da lontano, dovuta anche al fatto che, qualche mese fa, siamo stati spettatori di un caos istituzionale e nell'opinione pubblica, che si vedeva aggredita da un sistema che metteva in pericolo la libertà dei cittadini.
Adesso finalmente siamo arrivati ad un impianto equilibrato, che offre a tutti un possibile equilibrio fra tutela della privacy, diritto di cronaca e attività investigativa.
Il provvedimento in esame non è diretto contro nessuno. Abbiamo ascoltato posizioni diverse, ma - lo ripeto - questo è un provvedimento fatto «a favore» e non «contro» qualcuno, perché, in una fase di vuoto normativo, dove non vi erano regole certe, abbiamo assistito a tutto e di più. Abbiamo conosciuto le carenze economiche della giustizia. Sappiamo quali sono, infatti, le risorse del Ministero di grazia e giustizia (per quest'anno meno 5,6 per cento!) e le difficoltà economiche relative alla spesa corrente, eppure ci preoccupiamo di spendere centinaia di milioni di euro per delle intercettazioni per lo più inutili, che, molte volte, non hanno prodotto alcun risultato positivo.
Penso che i problemi della giustizia debbano essere affrontati nella loro totalità, poiché tante sono le problematiche esistenti nel settore. Non vi sono solo questi aspetti, infatti, ma anche quelli della vita quotidiana degli operatori della giustizia, dei tribunali, delle preture, che, per andare avanti, hanno bisogno del necessario e non del superfluo: è per questo che noi vogliamo che le intercettazioni siano veramente efficaci.
Dunque, l'impianto del provvedimento oggi all'esame offre questo equilibrio e gli elementi di novità vi sono, perché finalmente vi è un accorpamento delle strutture, che consente di evitare non solo quella dispersione economica, ma anche di mettere in pericolo la tutela della segretezza e della privacy, per le tante persone che operano in questo ambito e anche per le moltissime che possono venire in possesso di elementi pericolosi: si inverte la rotta, si va verso una direzione di trasparenza e di legalità. Intendiamo però fare in modo anche che nessuno venga punito - nessuno deve sentirsi tale - né tantomeno siamo contro i giornalisti o i magistrati. Vogliamo portare avanti una battaglia a favore della trasparenza e per la diffusione di un clima sereno in questo paese, dove il cittadino non deve sentirsi aggredito né avvertire il pericolo di vedere la propria privacy messa in pericolo da qualcuno, anche con secondi fini.
Il disegno di legge in discussione presenta elementi di novità: la riformulazione dell'articolo 114 del codice di procedura penale sulla segretezza, l'archivio centrale, le sanzioni al pubblico ministero. L'onorevole Pepe diceva che poi saranno giudicati dal Consiglio supremo della magistratura:Pag. 60noi non facciamo un processo alle intenzioni, ma siamo convinti di tali sanzioni e dell'impianto del provvedimento in discussione frutto del lavoro svolto dalla Commissione. A tale proposito, mi associo anch'io al ringraziamento verso il presidente Pisicchio, il relatore Tenaglia e verso tutti i colleghi della Commissione, che hanno svolto e svolgono su tale questione un lavoro molto intenso ed anche molto equilibrato, così come sono orgoglioso di far parte di una Commissione che sta producendo provvedimenti importanti per il nostro paese e che sta dando prova di una grande maturità nel rapporto tra maggioranza e opposizione attraverso il confronto democratico.
Dobbiamo fare in modo che le nostre istanze, quelle che portiamo avanti e che consentono che alcune leggi possano essere interpretate anche diversamente dall'opinione pubblica, vengano portate all'esterno con uno spirito positivo.
Quindi, non si tratta di una diversità profonda in ordine a tali questioni; tutti abbiamo la necessità di apportare qualche modifica, portando a compimento ciò che è oggetto della discussione di questa sera. Il paese ne ha bisogno! Lo dico, perché i tecnici hanno ben illustrato gli aspetti della questione e mi riferisco alla riduzione del periodo di custodia degli atti e dei documenti (il procuratore della repubblica è il custode dei medesimi) che garantirebbe il principio della certezza del cittadino, il quale non si sentirà più in pericolo nelle mani di coloro che, in questi mesi (con pubblicazioni che hanno invaso i nostri giornali), hanno evocato fatti ben al di là della nostra immaginazione! È stata proposta anche una Commissione di inchiesta parlamentare.
Si è discusso tanto in proposito, ma alla fine da tutto ciò è emersa anche una certa concretezza. Noi, forse, non conosciamo nemmeno i danni che sono stati provocati, possiamo solo immaginarli! Abbiamo avuto percezione di una parte di questi, ma non della gravità della situazione, delle conseguenze che possono scaturirne. Lo immaginiamo!
Non è stata avviata la Commissione di indagine, ma ci siamo resi conto che il quadro di riferimento era davvero preoccupante.
Anche su altre questioni non bisogna abbassare la guardia - dobbiamo fare attenzione! -, perché la questione della tutela della privacy è fondamentale per il nostro paese, anche tenendo conto di un altro elemento che non è stato sottolineato questa sera: il mondo delle tecnologie è in continua evoluzione e ciò determina il superamento delle leggi che vengono approvate.
Parliamo di intercettazioni, ma vi saranno altre forme di intercettazioni illegali e legali realizzate con mezzi costosi o futuristici che non saranno nemmeno più controllate dall'organismo centrale!
In conclusione, invito tutti, anche coloro che manifestano sul provvedimento una posizione diversa, a sostenere questa disciplina legislativa, perché è utile al paese!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bongiorno. Ne ha facoltà.
GIULIA BONGIORNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che ci siamo abituati ad essere intercettati, ma quel che credo sia ancora peggio è che siamo consapevoli, ora come ora, del fatto che possiamo essere intercettati non soltanto quando le nostre conversazioni telefoniche hanno qualche connotato di rilevanza penale. Passiamo essere intercettati anche quando le nostre conversazioni hanno carattere assolutamente privato. Siamo abituati non solo a questo, ma anche ad altro, vale a dire alla possibilità che l'intercettazione privata sia pubblicata sui giornali.
Ecco perché credo che si tratti di un problema di diritto, ma anche culturale!
Cosa intendo dire? Le prime volte che vedevamo pubblicare alcune intercettazioni sui giornali, forse, provavamo una certa indignazione, forse, un certo stupore! Improvvisamente, quando brandelli di intercettazioni finiscono sui giornali, essendo ormai abituati a che ciò avvenga, ilPag. 61nostro sentimento è mutato. Vi è una sorta di indifferenza; anzi, l'indifferenza si è trasformata in curiosità. Talvolta, capita che cerchiamo nei giornali brandelli di intercettazione, perché siamo ormai quasi desiderosi di spiare attraverso quei brandelli che sono pubblicati. Ecco perché parlo di un problema culturale!
Inoltre, accanto alla curiosità insorge anche un sentimento diverso, quello del timore! Infatti, ci rendiamo conto che anche la nostra conversazione un domani potrebbe essere pubblicata sul giornale. La conseguenza di tutto questo - ecco perché parlo di un vero fenomeno culturale - è che il nostro linguaggio al telefono si è trasformato. Secondo me, si tratta di un fatto estremamente grave perché ormai anche conversazioni del tutto private vengono incapsulate in frasi assolutamente incomprensibili, diaboliche, criptiche; ciò significa un mutamento del nostro linguaggio imposto dalle intercettazioni.
Oggi capita che persino un banale commento su di una cena non venga fatto al telefono poiché si teme che la padrona di casa, un domani, possa venire a sapere che la cena non ci era piaciuta; tutto questo, secondo me, è di una incredibile gravità poiché si è creato un vero e proprio bavaglio invisibile.
Si è giunti a questo perché in Italia - la cosa, per fortuna, è ormai pacifica - le intercettazioni sono state utilizzate anche quando non costituivano indispensabile strumento di accertamento della prova.
I pubblici ministeri individuano uno dei reati per i quali è prevista l'intercettazione; quindi - seppur non sempre quel reato è effettivamente sussistente - può capitare che un pubblico ministero lo iscriva - facendo riferimento all'articolo 416 - al solo scopo di acquisire elementi idonei a provare i reati minori per i quali poi andrà avanti; inoltre, il reato che legittimava l'intercettazione di solito viene accantonato, senza neanche un decreto di archiviazione.
Perché lo strumento di cui si parla viene utilizzato in questo modo? È davvero così indispensabile? Se lo fosse, dovremmo arrenderci di fronte a questa indispensabilità. Comunque, io credo che non sia indispensabile per una ragione: altri elementi hanno indotto ad un uso così eccessivo dello strumento. La difficoltà di un'indagine o, a volte, la semplice impazienza dell'inquirente fanno ritenere indispensabile l'intercettazione anche quando con maggiore impegno e sagacia investigativa sarebbe possibile raggiungere altrimenti l'obbiettivo.
L'immagine evocata è quella del medico che può eseguire una diagnosi attraverso un obbiettivo esame del paziente, consistente in una serie di analisi, ma opta per la radiografia. Quest'ultima fa male al paziente, ma contribuisce a deresponsabilizzare il medico facendogli ottenere dei risultati per lui meno impegnativi. Talvolta, l'intercettazione rappresenta lo strumento meno impegnativo nelle mani dell'investigatore; quindi, si opta per un suo utilizzo perché risulta più comodo e non perché sia indispensabile.
Risalgono a pochi giorni fa le notizie, citate da tutti i colleghi, sull'entità dei costi delle intercettazioni. Se poi s'individuano le procure che hanno disposto il maggior numero di intercettazioni, ci si rende conto che le stesse portano avanti indagini i cui fascicoli vengono archiviati o trasferiti per territorio; ciò, significa che mancava il presupposto per disporle. Tra l'altro, la mancanza di provvedimenti disciplinari, quando effettivamente si procede al di là dei casi previsti dalla legge, implica che, ovviamente, ciascuno si sente in condizione di proseguire, mentre noi continuiamo ad essere spiati, intercettati, controllati.
Per questi motivi, sono assolutamente soddisfatta del fatto che oggi ci troviamo dinnanzi ad una modifica del sistema. È evidente che la materia è delicatissima, poiché rappresenta il crocevia di esigenze difficilmente componibili: l'esigenza di ricerca della prova e di tutela della riservatezza, il diritto alla conoscenza da parte della collettività di taluni fatti penalmente rilevanti (ci piaccia o no, la collettività ha anche questo interesse).
Questo disegno di legge presenta luci ed ombre: luci perché, finalmente, è stataPag. 62realizzata una serie di significativi passi avanti, ed ombre per due aspetti che adesso evidenzierò.
A mio avviso, per avvicinare il più possibile il numero delle intercettazioni indispensabili a quelle effettivamente disposte, occorre un più ponderato accertamento dei presupposti che le giustificano.
Come si ottiene un più ponderato accertamento? È difficile introdurre per via normativa una modifica sul numero o sul tipo di reati per i quali è prevista l'intercettazione? È improbabile che quel che ci proponiamo con questo provvedimento, ossia che si renda forse più penetrante l'obbligo motivazionale, abbia un'efficacia decisiva. A mio avviso, l'unico strumento è affidare la valutazione dei presupposti ad un organo collegiale. Quest'ultimo ha due caratteristiche: è distante dalle esigenze investigative ed è garante dell'imparzialità.
Ritengo che a tale collegio occorrerebbe anche sottoporre una seconda richiesta del pubblico ministero, ossia la proroga. Perché, oggi, le intercettazioni sono concesse per mesi, mesi, mesi, mesi e, a volte, anni? Perché la proroga, oggi, è considerata una sorta di atto dovuto: il pubblico ministero la chiede ed essa viene concessa. Credo, quindi, che solo nel momento in cui si avrà un organo collegiale competente a decidere si avrà effettivamente un sistema in grado di consentire il controllo. La richiesta di proroga non potrà più essere considerata un atto dovuto ed il pubblico ministero dovrà dimostrare la persistenza dei presupposti iniziali per i quali è stata richiesta l'intercettazione, le ragioni per le quali le operazioni prorogate dovrebbero effettivamente registrare risultati migliori. Lo ripeto, a mio avviso, questo sarebbe l'unico strumento che consentirebbe di superare l'attuale fenomeno della proroga dovuta.
Conosco benissimo le obiezioni che vengono opposte a questa tesi. Si osserva che allo stato attuale vi sono troppi pochi giudici. Essendovi pochi giudici, si creerebbero una serie di incompatibilità. Obietto, a mia volta: non si può rinunziare ad alcune garanzie perché mancano i giudici. La carenza del sistema non si può tradurre in una compressione di diritti. Un'intercettazione disposta al di fuori dei presupposti di legge viola il «domicilio della parola». Ecco perché dico che qualsiasi tipo di obiezione correlata ad un'incapacità del sistema deve cedere di fronte certe esigenze.
La materia delle intercettazioni pone non solo il problema della genesi, che abbiamo affrontato sino ad ora, ma anche un altro tema che il provvedimento in esame prende in considerazione, ossia l'eccessiva divulgazione dei risultati.
In effetti, vi è un aspetto un po' peculiare, a pensarci bene. La materia comporta due ordini di problemi, l'uso smodato delle intercettazioni e la loro eccessiva divulgazione; eppure ci rendiamo conto dell'uso smodato a seconda di quanto siano divulgate le intercettazioni. Onorevoli colleghi, non è che tutto ciò che è divulgato corrisponde a ciò che è stato fatto! Considerate pertanto che, rispetto a ciò che viene divulgato, a ciò che è pubblicato sui giornali, vi è molto di più.
Quindi, i problemi sono due ed hanno diversa natura: il divulgato, ciò che si doveva disporre e ciò che si è disposto in più. Lo ripeto, si tratta di problemi diversi, anche se talvolta la misura dell'uso è valutata solo in virtù del metro di ciò che leggiamo, ma, lo ripeto ancora, vi è molto di più.
Del problema della divulgazione si occupa il provvedimento in discussione, con uno strumento che a me piace moltissimo, ma che non so quanto possa essere efficace, e questo è il secondo aspetto su cui auspico un miglioramento. Qual è il problema? Finora, secondo voi, perché è stato tanto violato l'obbligo del segreto? Perché le intercettazioni finiscono sui giornali, considerato, in ultima analisi, che esse sono coperte da segreto? Tutti gli avvocati che esistono in Italia hanno proposto, in questi anni, credo centinaia di migliaia di denunzie. Non credo esista una sola denunzia per divulgazione illegale di intercettazioni che abbia prodotto una condanna. Perché avviene ciò? Perché presentare una denunzia equivale ad aprire il fuoco contro un nemico inesistente. Infatti,Pag. 63vi sono cancellerie di tribunali che pullulano di persone che entrano e che escono, di funzionari, di amici dei funzionari, che passano a prendersi un caffè, di avvocati, di amici degli avvocati, di segretarie degli amici degli avvocati! Quindi, quando si sporge una denunzia non si spara a nessuno. Ciò che credo è che nel momento in cui, correttamente, è stato individuato, in questo provvedimento, finalmente un archivio chiuso, sarebbe occorso disporre che vi fosse una persona vicino a tale archivio, a garanzia dello stesso.
Qual è il limite, l'errore e la lacuna di questo disegno? Il fatto che si stabilisca che il soggetto che controllerà l'archivio sia il procuratore capo! Questi, nelle grandissime procure, non avrà alcuna possibilità di controllo, perché c'è una tale distanza tra procuratore capo e archivio che si ripeterà quanto è avvenuto finora: faremo denunzie, ma sarà come sparare contro un nemico che non esiste. Ecco perché avevo richiesto, e continuerò a richiedere, la creazione di una figura semplicissima: un soggetto responsabile dell'archivio.
Alla luce di tali considerazioni, auspichiamo che ci sia questo ulteriore miglioramento per poter concordare un voto diverso da quello che abbiamo espresso finora (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole rappresentante del Governo, intervenendo in questo dibattito sembra innanzitutto opportuno rammentare come il Governo abbia ritenuto di intervenire sul fenomeno assai delicato delle intercettazioni telefoniche dapprima mediante il ricorso alla legislazione d'urgenza, poi mediante il disegno di legge organico - sottoposto quest'oggi all'attenzione dell'Assemblea della Camera dei deputati, unitamente ad altre proposte di legge, nel testo base elaborato dalla Commissione giustizia - a causa delle gravi e reiterate violazioni verificatesi in tale contesto negli ultimi mesi.
Infatti, come correttamente rilevato dalla Commissione giustizia del Senato della Repubblica in occasione dell'indagine conoscitiva effettuata sul fenomeno delle intercettazioni telefoniche, negli ultimi mesi si erano verificate violazioni costanti e ripetute della riservatezza delle persone, soprattutto di familiari di persone indagate o anche di cittadini terzi, comunque non implicati nelle indagini, nell'ambito delle quali il ricorso alle intercettazioni era stato disposto. Allo stesso modo, si era verificata la violazione della riservatezza anche relativamente a persone indagate, mediante la pubblicazione di notizie ininfluenti rispetto allo specifico oggetto delle indagini.
Non solo: a fronte del massiccio ricorso - per alcuni eccessivo - da parte della magistratura italiana allo strumento delle intercettazioni telefoniche, soprattutto se confrontato con i dati relativi all'attività delle autorità giudiziarie straniere, si era riscontrata la mancanza di garanzie per il cittadino dinanzi a tale strumento di indagine e alle modalità concrete di estrinsecazione dello stesso.
Infine, si era riscontrato il costo eccessivo per l'amministrazione statale del ricorso alle intercettazioni telefoniche e l'insufficienza, o l'inefficienza, delle norme punitive dei comportamenti illeciti, poste a tutela del regime di segretezza e riservatezza del contenuto delle intercettazioni.
Per tutte le suesposte ragioni, il Governo, ricevendo anche i motivati rilievi in più occasioni mossi dal Garante per la protezione dei dati personali, ha correttamente ritenuto di intervenire nel delicato fenomeno delle intercettazioni telefoniche, con la predisposizione del disegno di legge oggetto della presente discussione, nel testo base elaborato dalla Commissione giustizia, ponendo così in essere una disciplina quanto più possibile organica per la materia più volte menzionata.
Dopo un serrato dibattito in Commissione e l'audizione di numerosi centri di interesse toccati dalla riforma della materia, il testo adottato dalla Commissione, giunto oggi all'esame da parte dell'Assemblea, rappresenta un tentativo di contemperarePag. 64nel modo più equo possibile interessi diversi, ma tutti dotati di rilievo costituzionale: la sicurezza dei cittadini, l'efficacia delle indagini giudiziarie, il rispetto dei valori della persona e la tutela piena ed integrale della riservatezza, dovuta ad ogni individuo.
Al fine di arginare in modo consistente il dilagante fenomeno della divulgazione delle intercettazioni abusive, novellando il codice di procedura penale si è pertanto correttamente disposto il divieto di pubblicazione, anche parziale o per riassunto, di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, nonché della documentazione degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, ovvero ai dati relativi al traffico telefonico. Il tutto sino alla conclusione delle indagini preliminari, ovvero sino al termine dell'udienza preliminare, ovvero, in caso di dibattimento, sino alla pronuncia della sentenza d'appello.
Per la medesima ratio di tutela, disciplinando i casi nei quali le intercettazioni non siano disposte dall'autorità giudiziaria ma siano il frutto di condotte illecite di soggetti non autorizzati, si è altresì inteso impedire l'acquisizione o l'utilizzazione di documenti contenenti dati inerenti a conversazioni e a comunicazioni telefoniche o telematiche illecitamente formati o acquisiti, nonché i documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni.
L'articolo 8 del testo in esame ha inoltre correttamente ridefinito le norme di carattere procedimentale relative ai presupposti e alle forme per l'emissione del decreto di autorizzazione a procedere alle intercettazioni. Modificando l'articolo 267 del codice di procedura penale, si è dunque previsto che la richiesta di autorizzazione a procedere alle intercettazioni possa essere avanzata dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari soltanto in presenza della sussistenza di gravi indizi di reato e dell'assoluta indispensabilità delle intercettazioni per la prosecuzione delle indagini.
In tale modo - si crede a ragione - si è ritenuto di ancorare la concessione dell'autorizzazione a procedere ad intercettazioni all'accertata sussistenza di stringenti presupposti, di modo che la stessa possa essere concessa soltanto per i casi nei quali sia effettivamente necessaria.
La formulazione della disposizione citata appare presumibilmente perfettibile, laddove non si prevede che l'omessa motivazione circa i fondamentali presupposti di cui sopra, nel decreto del giudice per le indagini preliminari che concede l'autorizzazione alle intercettazioni, renda inutilizzabili le intercettazioni medesime.
Nel contesto di una rigorosa regolamentazione di tutte le fasi, antecedenti e successive, del procedimento di intercettazione, appaiono positive le previsioni secondo le quali le registrazioni debbono essere compiute esclusivamente per mezzo di impianti installati e custoditi in appositi centri di intercettazione telefonica, istituiti presso ogni distretto di corte di appello, e secondo le quali le operazioni di ascolto, invece, debbano essere compiute mediante impianti installati e custoditi presso la competente procura della Repubblica ovvero, su delega del PM, presso gli uffici di polizia giudiziaria.
Inoltre, nel medesimo ambito, essendo stato individuato come potenzialmente sensibile ai fini della diffusione illecita di notizie contenute nelle intercettazioni il momento della relativa custodia, si pensa che la costituzione di un archivio riservato delle intercettazioni, sotto la responsabilità, direzione e sorveglianza del procuratore delle Repubblica, sia certamente un elemento positivo.
Nella valutazione dell'impatto del testo di legge in esame, particolare rilievo merita la disposizione disciplinante gli illeciti commessi in tale ambito per finalità giornalistiche. È evidente a tutti, infatti, che intervenire in ambiti intimamente connessi all'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, di cui all'articolo 21 della nostra Costituzione, rechi in sé il rischio di dare luogo ad odiose e antidemocratichePag. 65censure, a danno di fondamentali risorse della democrazia, quali i mezzi di comunicazione.
Per questo, pur comprendendo la necessità di colpire i fenomeni di abuso nella divulgazione delle intercettazioni telefoniche, quali quelli recentemente verificatisi, vediamo comunque con qualche perplessità, come anche osservato dalla Commissione cultura, la previsione della sanzione amministrativa della pubblicazione dell'ordinanza che accerta l'illecito su quotidiani di rilievo nazionale, a spese dei responsabili. Apprezzo quanto già evidenziato dal relatore e tuttavia continuo a chiedermi il perché di questa previsione.
Infine, merita particolare attenzione la novella legislativa finalizzata a contenere i costi derivanti all'amministrazione statale dalle intercettazioni telefoniche, nonché la previsione di rimborsi forfettari e di talune prestazioni gratuite.
In buona sostanza, tirando le fila del discorso, sì può senza dubbio affermare che l'intervento del legislatore nel delicato fenomeno delle intercettazioni telefoniche, mediante un testo di legge di carattere organico, rappresentava ormai, anche alla luce delle ultime vicende assurte negativamente agli onori della cronaca, un atto dovuto, per mettere finalmente ordine nella materia e tentare di porre fine alle reiterate violazioni di interessi e diritti costituzionalmente garantiti, richiamati nelle prime battute del mio intervento.
Ebbene, in relazione a quanto fin qui esposto, sembra davvero che il testo di legge in esame, nell'operare un punto di incontro, quanto più possibile equo, tra i beni di rilievo costituzionale ed inevitabilmente coinvolti dal fenomeno delle intercettazioni e nel disciplinare, per la prima volta, organicamente la materia, consenta al paese di dotarsi finalmente di un valido strumento giuridico e di porre fine ad episodi francamente intollerabili considerato l'elevato grado di civiltà giuridica e sociale del nostro paese (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, la discussione generale che ci impegna oggi si è svolta finora in modo ampio ed esaustivo sugli elementi tecnici della normativa che ci apprestiamo a varare. Per questo motivo, ritengo opportuno iniziare il mio intervento partendo da una riflessione più ampia, che interessa non solo i temi della giustizia, ma anche della politica, ovvero della giustizia e della politica.
È stato già detto da chi mi ha preceduto che l'uso delle intercettazioni, ossia l'invasività illegittima, per certi versi, e legittima, per altri versi, nei riguardi della vita delle persone, dei rapporti commerciali e delle situazioni di rilevanza strategica a livello nazionale, ha comportato momenti difficili della vita della Repubblica. Questo è un fatto.
La memoria va e ai primi anni Novanta e a tante vicende che hanno sì destato scandalo, ma anche tante altre conseguenze, che hanno il sapore della tragedia. La memoria va ad un provvedimento che abbiamo varato di recente (riguardante le intercettazioni illegittime), ossia nel momento in cui il paese ha scoperto che esiste (esisterebbe; su ciò vi è ancora un punto interrogativo) una sorta di «centrale intercettazioni», non si sa bene organizzata da chi e per quali fini, che, di fatto, sottoponeva a controllo non la vita dei cittadini a fini di gossip, ancorché questa potesse essere la conseguenza in certi momenti, ma consentiva di intervenire in momenti decisionali importanti a danno degli organi dello Stato, quindi a danno di una decisione che dovrebbe tutelare l'interesse generale e, probabilmente, per un fine sicuramente illegittimo (si potrebbe ipotizzare addirittura eversivo).
Non voglio fare allarmismi; voglio semplicemente sottolineare a tutti noi, a me stesso, alla pubblica opinione, a tutti coloro che ci stanno ascoltando, che, effettivamente, abbiamo avuto una situazione di vuoto normativo che, per diversi anni, ha comportato un rischio, la possibilità, non si sa bene per quali soggetti, diPag. 66manipolare le coscienze, la pubblica opinione, e di fare pressione nell'adottare una decisione piuttosto che un'altra.
Di qui, il decreto sulle illegittime intercettazioni; di qui la normativa che oggi portiamo in aula e che, come è già stato detto, è organica, di sistema, che dota finalmente il paese di uno strumento di legge compiuto, corretto, che consentirà la tutela di tutti gli interessi.
In buona sostanza, nel corso del lavoro svolto in Commissione (voglio ringraziare, primo fra tutti, il relatore, l'onorevole Tenaglia, che ha messo a disposizione della Commissione la sua illustre preparazione di insigne giurista; e voglio ringraziare, ovviamente, tutti i colleghi della maggioranza, ma anche dell'opposizione, per l'autorevole contributo apportato), abbiamo finalmente messo in piedi un testo che rappresenta un punto di equilibrio tra gli interessi e i diritti coinvolti; in primo luogo, il diritto alla riservatezza e, ovviamente, alla funzione dello Stato di perseguire il crimine ed i criminali.
Si tratta, quindi, di uno strumento di diritto moderno (strideva il fatto che mancasse in una Repubblica avanzata e dalla grande tradizione giuridica come la nostra), uno strumento che dà una risposta e che, nell'immediato, sicuramente, dà tranquillità alla pubblica opinione ed ai cittadini, che troppo spesso si sono visti sbattere in prima pagina per fatti non di rilievo penali, ma che attengono esclusivamente alla vita privata.
In questo senso, mi piace sottolineare il fatto di aver aumentato i presidi di segretezza. Credo che la previsione di responsabilità penale per il procuratore generale, contrariamente a quanto affermato da alcuni colleghi, sia importante; si tratta dell'individuazione del soggetto finalmente responsabile o necessariamente responsabile, che, qualche provvedimento, qualche attenzione la dovrà prendere.
La previsione dei 26 centri di captazione è importante e consente finalmente un controllo di omogeneità su quanto viene fatto a livello di spesa e, quindi, consente di reimpiegare risorse importanti e di metterle a disposizione della macchina della giustizia. Vi è poi la sanzione a carico degli organi di stampa, ed anche dei giornalisti: è vero che gli interessi sono tutti di rango costituzionale, sia il diritto di critica sia il diritto di cronaca e la riservatezza delle persone, ma è pur vero che è necessario trovare un punto di equilibrio importante.
Ricordo a tutti che, in una democrazia avanzata come gli Stati Uniti, recentemente, sono state varate delle leggi a tutela della pubblica sicurezza che, in qualche modo, reintroducono addirittura una sorta di censura, di controllo preventivo su molte attività.
Noi non siamo arrivati a questo, assolutamente; sarebbe contrario alla nostra tradizione giuridica.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,35)
GINO CAPOTOSTI. Siamo arrivati piuttosto ad un testo che mette ciascuno dinanzi alle proprie responsabilità. Questo è un elemento che spesso manca alla coscienza critica italiana: che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e che vi sia una riappropriazione del concetto di funzione.
Effettivamente, fenomeni come quelli dell'eccesso di protagonismo, fenomeni comprensibili dal punto di vista commerciale, come quello di pubblicare gossip, che aumentano le tirature, con situazioni collaterali e collegate, sono sì un fatto inevitabile della vita associata, ma non possono esserlo per lo Stato, per quanto riguarda l'esercizio dei poteri, che invece devono costantemente, tenacemente e pazientemente perseguire il bene comune. Perseguire il bene comune vuol dire rinunciare al gossip, rinunciare al clamore, alla prima pagina e concentrare la propria attenzione e il proprio impegno su ciò che serve.
Credo che oggi scriviamo una pagina importante a vantaggio della collettività, non con la pretesa, come è stato detto, di portare il contributo ultimo, il contributo più alto possibile, il contributo migliore,Pag. 67ma con la responsabile consapevolezza di aver prodotto un testo che disegna un quadro di sistema. Esso consente di affrontare una situazione problematica, che si è protratta, con grave danno per la vita della Repubblica, per oltre un quindicennio, con serenità e con un'adeguata comparazione degli interessi coinvolti, favorendo un regolare svolgimento della vita associata ed un migliore perseguimento del bene comune.
Senza presunzione, credo che la nostra Commissione debba essere orgogliosa di aver fatto questo lavoro e, con molta umiltà - penso con questo di interpretare anche il pensiero dei colleghi - , si mette a disposizione dell'intera Assemblea, aperta a miglioramenti, a contributi, e disponibile ad una sperimentazione da svolgere successivamente.
Noi oggi adottiamo un testo di sistema, ma certamente bisognerà vedere quello che accadrà applicandolo, e bisognerà valutare - e qui mi riferisco a chi chiedeva garanzie ulteriori in termini di collegio, per esempio - le riforme che verranno introdotte nel codice penale, che è in corso di revisione. Andando avanti, nell'evolversi della situazione, bisognerà considerare i punti di criticità che sono migliorabili.
Questo è un impegno che noi tutti assumiamo oggi e penso che possiamo guardare serenamente al futuro del nostro paese.
Termino qui il mio intervento, anche perché ci sono stati interventi molto puntuali sotto il profilo tecnico e non vale la pena di ricominciare a parlare della nuove formulazioni degli articoli del codice e dei vari commi. Vale la pena piuttosto sottolineare ancora che finalmente abbiamo introdotto una normativa importante, che il paese aspettava. Chiediamo ai cittadini di darci suggerimenti e conforto sul tema (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, anch'io voglio svolgere brevi considerazioni, partendo da quanto sosteneva ora l'onorevole Capotosti nell'esprimere un apprezzamento di carattere generale sul lavoro svolto dalla Commissione giustizia e dal relatore, che qui ha portato il senso di quel dibattito, riagganciandomi a quanto hanno sostenuto coloro che sono intervenuti prima di me individuando gli aspetti generali di questo provvedimento.
È sin troppo ovvio sottolineare che questo provvedimento è importante perché si pone idealmente al centro di una serie di diverse e a volte anche contrapposte libertà o interessi costituzionali. Come è noto, nella Costituzione, i principi non sono sempre dello stesso tenore: vi sono norme e principi che tutelano esigenze diverse. Qui è in discussione l'esigenza della giustizia del processo, ma sono in gioco anche la libertà di informazione e il diritto all'informazione, la tutela della riservatezza, i diritti del popolo sull'amministrazione della giustizia. Sono tutti valori che devono essere poi concretamente equilibrati e bilanciati nelle norme.
Vorrei svolgere alcune considerazioni che si basano sull'esperienza diversa maturata in questo Parlamento nell'ambito della Commissione affari costituzionali, che ha dato un parere positivo sul provvedimento. A me interessa, in modo particolare, il problema del rapporto tra giustizia e diritto all'informazione.
Vorrei partire rapidamente dalla situazione attuale, così come si configurerà fino al momento in cui entrerà in vigore questo provvedimento. Attualmente, una volta caduto il segreto, ovvero dopo che la difesa abbia potuto prendere cognizione dell'atto di indagine (articolo 329 del Codice di procedura penale), è lecito divulgarne il contenuto (articolo 114, comma 7 del Codice di procedura penale), mentre continua ad essere vietato pubblicare l'atto medesimo, ai sensi dello stesso articolo 114, secondo comma. Quindi, da questo complesso di norme si ricava una distinzione tra atto e contenuto dell'atto, che il legislatore del 1988 aveva ritenuto il miglior compromesso possibile tra le esigenze dell'informazione e la necessità di preservare la «verginità cognitiva» del giudice del dibattimento, evidentementePag. 68ritenuta inattaccabile dal quotidiano riassunto giornalistico di un atto di indagine e vulnerabile, invece, dalla sua riproduzione testuale. Si tratta di una soluzione della quale è difficile stabilire la percentuale di ingenuità e quella di ipocrisia, ma di essa è impossibile non riconoscere l'inadeguatezza.
Giustamente, quindi, il disegno di legge in esame apporta talune modifiche non marginali all'articolo 114 del codice di procedura penale. Si opera innanzitutto una distinzione tra gli atti di indagine e gli altri atti. Per i primi, non più coperti dal segreto, è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, sino all'udienza preliminare. Per gli altri, permane l'equivoco, già previsto nella situazione esistente: è infatti mantenuta dalla modifica dell'articolo 114, comma 7, la pubblicazione del contenuto degli altri atti, salvo i casi previsti dai commi modificati.
PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE CARLO LEONI (ore 18,45)
ROBERTO ZACCARIA. Si pone quindi, a questo punto, un problema interpretativo non trascurabile. Si tratta di vedere quale sia il significato di questa pubblicazione nel contenuto. Il dubbio nasce perché, a differenza di oggi, si vieta anche la pubblicazione per riassunto. Delle due l'una: o si ritiene che l'atto di indagine non segreto è pubblicabile nel contenuto, facendo leva al contrario sul primo comma, che per gli atti di indagine segreti vieta la pubblicazione anche del contenuto (ed allora bisogna capire quale sia la differenza tra riassunto vietato e contenuto pubblicabile), oppure si ritiene che dell'atto di indagine non più segreto sia vietato divulgare anche il contenuto (ed allora per tutta la durata dell'indagine dell'udienza non dovrebbe filtrare alcuna informazione).
Come si vede, è veramente difficile trovare una strada lineare di interpretazione su questo punto.
Esiste poi il problema delle intercettazioni di cui sarebbe vietata la pubblicazione anche del contenuto (comma 2-bis). In pratica, di esse la stampa dovrebbe disinteressarsi sino a quando non si transiti alla fase del dibattimento. Questa situazione mi pare sinceramente perentoria, forse in maniera eccessiva. Naturalmente, lo affermo da un'ottica molto particolare, nel presupposto che quanto da me appena rilevato sia fondato.
Ad eccezione di alcune incongruenze tecniche, ciò che non convince nella versione interpolata dell'articolo 114 è la scelta di mantenere limiti alla pubblicità degli atti di indagine non più segreti fino alla conclusione dell'udienza preliminare e, se si procede al dibattimento, degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero fino alla conclusione della giudizio di appello. Con i tempi «geologici» della nostra giustizia (almeno quelli attuali), una soluzione del genere comporterebbe un pregiudizio grave per il diritto di cronaca (articolo 21 della Costituzione) e, di conseguenza, per il diritto della collettività, ad esso correlato, di controllare come viene amministrata la giustizia in suo nome (articolo 101 della Costituzione), a meno di non volersi accontentare dell'informazione svogliata e dell'attenzione distratta che si riservano dopo anni ad una vicenda divenuta ormai inattuale.
Pur dopo le modifiche realizzate, quindi, continuerebbe a sussistere - così a me pare - la precedente filosofia di fondo dell'articolo 114, imperniata sulla sfuggente distinzione tra la divulgazione dell'atto di indagine, non più segreto, e quella del suo contenuto, sempre consentita. Con un simile espediente normativo si vorrebbe proteggere il giudice del dibattimento dalle possibili contaminazioni cognitive derivanti dalla pubblicazione dell'atto di indagine. Ma è un sacrificio del diritto di cronaca cui non corrisponde la tutela di un altrettanto, rilevante interesse, anche perché tali contaminazioni appaiono improbabili per la via extraprocessuale dei mass media mentre sono probabili e non evitabili per altre vie endoprocessuali.
Da un lato, infatti, è difficile immaginare il condizionamento che sarebbe esercitato dalla pubblicazione di atti investigativiPag. 69nei confronti del futuro giudice, fisicamente non ancora individuabile in una fase del tutto eventuale; dall'altro, oggi, il giudice del dibattimento ha più di un'occasione di conoscenza processuale degli atti di indagine. Si pensi alle controversie sulla formazione dei fascicoli, al controllo sulla legittimità del pregresso di diniego di un rito speciale, alla prova negoziata soltanto tra alcune delle parti del processo, alle decisioni de libertate, eccetera.
Quella del divieto di pubblicare atti non più segreti appare ormai un'inutile barriera di cartapesta, più adatta ad essere spostata alla bisogna giocando sull'incerta distinzione tra atto e contenuto dell'atto, che non a difendere davvero la formazione del convincimento giudiziale. Forse, un'altra strada su questo punto specifico era possibile: vietare la pubblicazione di notizie relative ad un procedimento penale quando siano coperte dal segreto a tutela delle indagini ovvero quando siano processualmente rilevanti a tutela della riservatezza. In un settore delicatissimo come quello del diritto di cronaca sarebbero spazzate via tutte quelle zone grigie di semisegretezza in cui prosperano l'arbitrio e le connivenze.
Quest'opera di bonifica dell'articolo 114 del codice di procedura penale avrebbe potuto compiersi facendo in modo, da un lato, che la frontiera del divieto di pubblicazione - una volta arretrata - fosse meglio presidiata e più credibile con una severa ed effettiva tutela penale; dall'altro, che ogni giornalista avesse sempre libero accesso al materiale processualmente rilevante e non più segreto.
Questo è in linea, oltretutto, con i principi 4 e 5 enunciati dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa del 10 luglio 2003, avente per titolo «Principi relativi alle informazioni fornite attraverso i mezzi di comunicazione». Tutto ciò anche per evitare quell'opaco reticolo di collegamenti e di compiacenze tra operatori della giustizia ed operatori dell'informazione, che tradisce l'alto significato istituzionale del giornalismo giudiziario, lasciando nelle mani del controllato la gestione delle notizie. In base a queste ultime, la collettività può esercitare il suo controllo. Insomma, ciò che avrebbe dovuto restare segreto lo sarebbe stato davvero per il tempo strettamente necessario e ciò che è conoscibile lo sarebbe stato per tutti in modo trasparente.
Alcune delle considerazioni da me svolte sono contenute nel parere della VII Commissione. Forse, sarebbe stato bene tenerlo in maggiore considerazione. Grazie.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, sottosegretario Li Gotti, colleghi, fin dall'ormai lontano luglio 2006, subito dopo le elezioni politiche, avevamo sentito la necessità di proporre al Parlamento una Commissione d'inchiesta sulle intercettazioni. L'obiettivo di tale Commissione era quello di accertare le deviazioni e le degenerazioni delle prassi e anche aspetti tecnici, tecnologie applicate e sistemi di protezione delle comunicazioni. Di fronte al provvedimento che oggi siamo chiamati ad approvare, predisposto dalla Commissione giustizia, quella necessità rimane valida anche per il lavoro dei colleghi del Senato, nell'ambito dell' indagine svolta in Commissione, che ci ha consentito di affrontare meglio una serie di problematiche.
Penso sia necessario - anche perché la cronaca ci aiuta in questa direzione - conservare tale necessità. Infatti, il provvedimento in esame ha sicuramente migliorato la situazione normativa rispetto ad una delicatissima questione come quella delle intercettazioni, per la tutela della corrispondenza moderna - perché di questo si tratta - e non certamente di quella coeva alle normative precedenti. Tale corrispondenza si svolge ormai attraverso i sistemi informatici, le vie telematiche e la telefonia (in particolare, la telefonia cellulare). Rispetto a queste problematiche si pone comunque l'esigenza di un ulteriore approfondimento.
La normativa che abbiamo approvato in Commissione e che condividiamo è,Pag. 70certamente, una risposta, ma vi è un'innovazione tecnologica più forte e più rapida della nostra capacità di dare risposte normative adeguate. La Commissione d'inchiesta doveva anche stabilire gli standard valutativi dei servizi che venivano prestati e, in particolare, delle aziende fornitrici di fondamentali servizi della comunità.
Rispetto a queste domande non diamo risposte adeguate, perché la riservatezza della comunicazione non passa soltanto per la punizione di coloro che, con atteggiamenti intrusivi, si inseriscono negli ambienti e nel sistema di telecomunicazione stesso grazie alle tecnologie più moderne, ma passa anche attraverso la qualità delle protezioni che le ditte fornitrici del servizio di telecomunicazione attuano.
Viene anche da chiedersi (e a questo interrogativo speriamo risponda, in qualche misura, la magistratura) per quale motivo una grande società di telecomunicazioni, anzi «la» società delle telecomunicazioni nel nostro paese è individuata come luogo, se non come responsabile, di attività fortemente intrusive nella vita privata dei cittadini, in ordine alle cui utilizzazioni è ancora tutto da scoprire.
Questi sono capitoli da esplorare. Ribadisco la necessità di uno strumento più incisivo nell'azione di accertamento non solo e non tanto degli aspetti penali, competenza di altre autorità, ma dei rimedi, degli adeguamenti normativi che sono sicuramente necessari rispetto ad una situazione così grave come quella che si va delineando anche in questi giorni.
Venendo al provvedimento in esame, esso, con uno sforzo di mediazione, affronta seriamente alcune questioni, prima fra tutte la necessità - obbligo se il provvedimento sarà approvato - di autorizzare le intercettazioni motivate e assolutamente indispensabili per la prosecuzione delle indagini. L'elemento dei gravi indizi di reato e l'assoluta indispensabilità dell'intercettazione per la prosecuzione delle indagini sono due motivazioni fortemente limitative, poste a tutela, a presidio di un eventuale utilizzo smodato o di un eventuale arbitrio.
Altro elemento riguarda il fatto che la motivazione del decreto del pubblico ministero che ordina l'immediata attuazione dell'intercettazione deve specificare il grave pregiudizio che giustifica l'urgenza dell'intercettazione. Abbiamo di fronte una storia che ci mostra con quale leggerezza le intercettazioni siano state disposte e quale sovrapposizione, quasi fotografica, vi fosse e vi sia, purtroppo in molti casi, tra la posizione del pubblico ministero, il documento del pubblico ministero e il documento e il provvedimento del giudice.
Certo (in questo convengo con la collega Buongiorno), sarebbe ben altra cosa sottoporre la valutazione dell'autorizzazione della intercettazione all'organo collegiale. Credo che questo sia un obiettivo che bisognerà perseguire in una futura azione emendativa. Oggi sappiamo quali sono le difficoltà reali per l'adeguamento della normativa in questo senso: la esiguità degli organici dei magistrati e probabilmente anche la messa a punto dell'organo che dovrebbe effettuare questo tipo di verifica. Tuttavia, una normativa autenticamente garantista impone una soluzione collegiale all'organo che autorizza l'intercettazione.
Un fatto importante è la determinazione della durata dell'intercettazione. La normativa che noi andiamo proponendo certamente affronta la questione in termini ragionevoli. Personalmente, io ritengo che dopo tre mesi di intercettazione, quello che c'era da scoprire sarebbe dovuto emergere. La prosecuzione dell'intercettazione oltre tre mesi vuol dire calare la rete e aspettare che passi la balena. Io credo che le indagini, le inchieste, possano utilizzare anche altri strumenti. Come diceva nuovamente la collega Bongiorno, spesso una radiografia può essere la risposta più rapida, ma l'esperienza del medico spesso consente di individuare con minore invasività e con maggiore puntualità la problematica che si vuole scoprire.
Una questione importante è quella relativa alle responsabilità. L'affidamento a soggetti precisi della responsabilità della intercettazione (l'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del corretto adempimentoPag. 71delle operazioni e il magistrato, nella fattispecie il procuratore responsabile dell'ufficio), della tenuta dei verbali relativi alle intercettazioni illegali, è certamente una disposizione che mette al riparo da incertezze che spesso, anche in altri ambiti, hanno determinato fughe di notizie e la impossibilità di accertare responsabilità.
Una scelta opportuna che - io sono convinto, noi siamo convinti - produrrà anche effetti di risparmio per l'erario, quindi per la collettività, è quella relativa ai centri di ascolto. Quella di dotare direttamente le 22 corti di appello di centri di ascolto, è sicuramente una scelta necessaria, a fronte anche della dispendiosa situazione che abbiamo accertato. In questo senso ringraziamo il ministro e il sottosegretario, che hanno messo a disposizione della Commissione gli atti relativi alla contabilità sulle intercettazioni, che evidenziano quanto meno un fatto (in questo senso mi dispiace che il collega Pepe non sia adesso presente). Da questi atti deriva una certezza: la frantumazione, ovvero la «impostazione federale» (in questo momento sto utilizzando una terminologia provocatoria nei confronti dell'ex ministro della giustizia Castelli, il quale, almeno a suo dire, è dotato di una grande capacità razionalizzatrice, ossia sa determinare i fattori tecnici con grande chiarezza, mentre non ha considerato un aspetto legato alla sua visione federalista delle intercettazioni), ha fatto sì che nel nostro paese si sia realizzata una situazione aberrante dal punto di vista della remunerazione delle prestazioni riguardanti le intercettazioni. Noi abbiamo cioè procure in cui il costo delle intercettazioni è «x», e altre in cui il costo per le intercettazioni risulta moltiplicato per dieci, e in molti casi ancora di più. Allora, di fronte a questo, io credo che sia giusta l'iniziativa di accentrare l'adozione del contratto di fornitura a livello ministeriale e di realizzare le intercettazioni attraverso centri di ascolto interni.
Concludo il mio ragionamento, in questa fase, indicando la necessità di richiamare l'attenzione della magistratura - in primo luogo, di quella inquirente - sulla segnalata anomalia, che si è verificata e che continua a verificarsi, in maniera tale che sia sviluppata quell'azione di indagine che a me pare assolutamente necessaria.
I fatti che emergono da un'analisi puntuale della documentazione inducono a ritenere che non vi possa essere stata soltanto buona fede, ma qualcosa di più. Ebbene, questo qualcosa di più è costato al contribuente italiano decine e decine di milioni di euro - e si tratta di una valutazione prudenziale -, risorse assolutamente indispensabili al Ministero della giustizia per coprire i vuoti negli organici amministrativi ed in quelli dei magistrati e per potenziare la logistica complessiva, compreso il sistema delle intercettazioni, e le sedi giudiziarie, in modo da renderle adatte a svolgere i loro compiti. Invero, appare fondamentale, per un paese moderno, dotarsi di un sistema giudiziario in grado di esercitare fino in fondo le sue funzioni.
Il nostro lavoro non è finito. Mi rivolgo, in particolare, al collega Tenaglia, il quale ha svolto, da relatore, un lavoro encomiabile. In particolare, egli ha compiuto un grande sforzo di sintesi in ordine a problematiche certamente non facili. Nel seguito della discussione, nei prossimi giorni, il nostro atteggiamento dovrà essere attento ed aperto ad eventuali contributi volti al miglioramento del testo in esame, che comunque rappresenta un grande passo verso la definizione di un sistema di intercettazioni più garantista e più moderno. (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1638)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Tenaglia.
LANFRANCO TENAGLIA, Relatore. Signor Presidente, naturalmente, voglio rassicurarePag. 72l'onorevole Buemi: continueremo a seguire, anche in Assemblea, il metodo che abbiamo seguito in Commissione; pertanto, tutte le possibilità di miglioramento saranno prese in considerazione.
Ritengo indispensabile qualche chiarimento relativamente ad alcuni profili generali. Per quanto concerne il problema sollevato dall'onorevole Palomba con riferimento all'articolo 2, comma 3, sono assolutamente d'accordo con lui: l'unica interpretazione possibile è quella secondo la quale l'accesso dell'extraneus agli atti dell'archivio riservato è limitato ai documenti contenenti notizie a lui stesso riferibili, a meno che non si ponga un problema di diritto di difesa (in questo caso, il problema riguarderebbe l'intraneus, non l'extraneus). Credo che questa sia, ora, l'unica interpretazione possibile ma, naturalmente, si vedrà durante la vita della norma.
L'onorevole Bongiorno - mi dispiace che sia andata via (mi ascolterà o leggerà il testo della mia replica) - ha sollevato due problemi reali. Il primo, riguardante la competenza del collegio a disporre le intercettazioni, richiede, a mio avviso, come ho già detto, un intervento di sistema sul codice di procedura penale. Dalla lettura degli atti relativi ai lavori della Commissione ministeriale che si sta occupando della riforma del codice di procedura penale è possibile apprendere che ci si è già chiesti, in tale sede, se sia da prevedere l'intervento del giudice collegiale rispetto a certi interventi che limitano la libertà personale o a strumenti di indagine che limitano fortemente, come nel caso delle intercettazioni, altre libertà costituzionalmente rilevanti.
Se lo facessimo in questa sede, credo che creeremmo nel sistema processuale penale una serie di incongruenze e di difficoltà che potrebbero essere peggiori del male cui cerchiamo di ovviare. Lo abbiamo tenuto presente, tant'è vero che, con riferimento alla richiesta e al provvedimento del GIP si è richiesta una motivazione specifica con riferimento alla sussistenza dei presupposti delle intercettazioni.
Vorrei rassicurare l'onorevole Buongiorno, con riferimento all'altro problema da lei sollevato, ossia l'individuazione del responsabile della tenuta e della secretazione dell'archivio riservato: l'articolo 89-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale attribuisce al procuratore della Repubblica questa responsabilità e ne fa una responsabilità che attiene direttamente all'esercizio della giurisdizione. Quindi, vi sarà un problema di verifica o di accertamento delle responsabilità disciplinari, ove le modalità fissate e praticate dal procuratore della Repubblica non assicurino il segreto.
Semmai, nella fissazione delle modalità da parte del procuratore della Repubblica si potrà vagliare se l'individuazione di soggetti tenuti a far rispettare quelle modalità sia stata funzionale. Credo sia necessario fissare la responsabilità nel procuratore della Repubblica, perché essa riguarda espressamente un atto giurisdizionale.
Mi dispiace che l'onorevole Zaccaria sia andato via, perché probabilmente sono in grado di fugare le sue preoccupazioni. Il testo che abbiamo licenziato, con riferimento all'articolo 114 del codice di procedura penale, contiene esattamente i principi che l'onorevole Zaccaria ha richiamato. In altri termini, è vietato pubblicare notizie relative a un procedimento penale quando sono coperte da segreto o quando sono irrilevanti. Addirittura, per le notizie irrilevanti il segreto permane sempre, perché le stesse confluiscono nell'archivio riservato.
Dopodiché, è stata graduata questa forma di segreto per rispettare quell'equilibrio - che proprio l'onorevole Zaccaria richiamava - fra diritto di cronaca, tutela della privacy ed effettività della tutela giurisdizionale, tant'è vero che siamo tornati alla segretezza per gli atti di indagine e siamo intervenuti sul divieto di pubblicazione dei fatti concernenti un procedimento archiviato. Per quanto riguarda lo spostamento in avanti del segreto alla chiusura delle indagini preliminari o al compimento dell'udienza preliminare, ciòPag. 73accade quando non vi è stato alcun vaglio del giudice; e tale vaglio sussiste quando si tratta della libertà personale. Comunque, non è uno spostamento all'infinito, perché proprio le indagini rappresentano l'unica scansione processuale che nell'ordinamento italiano ha tempi certi. Infatti, sono previsti tempi definiti per l'esecuzione delle indagini preliminari. Pertanto, il segreto non viene spostato all'infinito, ma viene rimesso ai tempi già previsti dal codice.
Mi sembra che queste due considerazioni abbinate debbano fugare completamente i dubbi che l'onorevole Zaccaria ha evidenziato.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, non voglio abusare della sua pazienza né di quella dei parlamentari ripetendo gli aspetti che, con grande accortezza, sono stati sviluppati dal relatore Tenaglia e in molti interventi.
Per tranquillizzare l'onorevole Mario Pepe, vorrei richiamare un solo punto, nel senso che la responsabilità del capo dell'ufficio, individuata in una specifica norma, non è una responsabilità disciplinare. Infatti, è prevista un'ipotesi di reato sia per il comportamento doloso sia per il comportamento colposo. Quindi, non è il Consiglio superiore della magistratura a dover giudicare il comportamento del capo dell'ufficio, ma sarà la magistratura a dover decidere sulla natura dolosa o colposa dei reati.
In ogni caso, esprimo la soddisfazione del Governo, in quanto riteniamo che il testo in esame abbia una sua organica disciplina e una collocazione sistematica all'interno del nostro codice, rispettando appunto l'attuale codice di procedura penale, nonché quello sostanziale. Dunque, l'armonia appare totalmente rispettata.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 25 gennaio 2007, la deputata Federica Rossi Gasparrini, iscritta al gruppo parlamentare Misto, ha chiesto di aderire al gruppo parlamentare Popolari-Udeur.
La presidenza di tale gruppo ha comunicato, con lettera pervenuta in data odierna, di aver accolto la richiesta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 30 gennaio 2007, alle 9:
1. - Informativa urgente del Governo sull'allargamento della base militare statunitense di Vicenza nel quadro dei rapporti del nostro Paese con gli Stati Uniti d'America.
(ore 15)
2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative (2114-A).
- Relatore: Amici.
3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297, recante disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio (2112-A).
- Relatore: Leddi Maiola.
4. - Seguito della discussione delle mozioni Volontè ed altri n. 1-00071, Bertolini ed altri n. 1-00073, Fabris ed altri n. 1-00075, Maroni ed altri n. 1-00077, Villetti ed altri n. 1-00078, Bonelli ed altri n. 1-00080, Migliore ed altri n. 1-00081, Del Bue e Barani n. 1-00082, La Russa ed altri n. 1-00084 e Franceschini ed altri n. 1-00087 in tema di famiglia.
5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1179 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005 (Approvato dal Senato) (2081).
- Relatore: Ranieri.
6. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione di una questione pregiudiziale):
MAZZONI; MASCIA ed altri; BOATO e MELLANO; DE ZULUETA: Istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (626-1090-1441-2018-A/R).
- Relatore: Mascia.
7. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
ANGELA NAPOLI; LA RUSSA ed altri; BOATO; ZACCARIA ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (648-1571-1782-1849-A).
- Relatore: Bocchino.
8. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine (1638-A)
e delle abbinate proposte di legge: MIGLIORE ed altri; FABRIS ed altri; CRAXI ed altri; NAN; MAZZONI e FORMISANO; BRANCHER ed altri; BALDUCCI (1164-1165-1170-1257-1344-1587-1594).
- Relatore: Tenaglia.
La seduta termina alle 19,15.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MARIA LEDDI MAIOLA SUL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2112
MARIA LEDDI MAIOLA, Relatore. L'aula è chiamata ad esaminare il disegno di legge A.C. 2112, di conversione del decreto-legge n. 297 del 2006, recante disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE in materia di accesso alle attività degli enti creditizi e di adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento, nonché in materia di assistenza a terra negli aeroporti, di istituzione dell'Agenzia nazionale per i giovani e di prelievo venatorio.
Come evidenziato dallo stesso titolo del decreto-legge, il provvedimento ha carattere eterogeneo, ma non disomogeneo, recando disposizioni accomunate dall'obiettivo di rispettare obblighi comunitari, relativi al recepimento di direttive comunitarie o all'adempimento di sentenze o ordinanze della Corte di giustizia delle Comunità europee.
L'articolo 1 del decreto-legge apporta modificazioni al decreto legislativo n. 385 del 93 (TU bancario), allo scopo di dare attuazione alla direttiva 2006/48/CE, con particolare riguardo all'esercizio delle funzioni di vigilanza sulle banche, sugli istituti di moneta elettronica e sui gruppi bancari, nonché all'attuazione delle misure derivanti dall'accordo di Basilea sulla convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei requisiti patrimoniali per la vigilanza bancaria, il cosiddetto Accordo di Basilea II.
La direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugnoPag. 752006, concernente l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio, costituisce rifusione della direttiva 2000/12/CE, concernente la medesima materia, che era stata modificata e integrata da successivi interventi del legislatore comunitario.
L'applicazione della disciplina presuppone un elevato grado di convergenza dei criteri operativi e di cooperazione tra autorità, posto che le regole sui requisiti minimi di capitale e sul processo di controllo prudenziale dovranno essere applicate sia su base consolidata, sia alle filiazioni presenti in ciascun paese; sarà inoltre necessario un più stretto coordinamento riguardo all'informazione al pubblico da richiedere alle banche.
Per quanto concerne, in particolare, il primo pilastro, l'accordo interviene sul metodo standardizzato per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito; sul metodo dei rating interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito; sul trattamento prudenziale delle tecniche per la riduzione del rischio di credito e delle cartolarizzazioni; sul calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio operativo.
La direttiva 2006/48 riproduce in gran parte la disciplina preesistente. Tra le principali innovazioni si segnalano: l'inserimento della definizione di alcune fattispecie (tra queste: «ente creditizio impresa madre in uno Stato membro»; «società di partecipazione finanziaria madre in uno Stato membro»; «ente creditizio impresa madre nell'UE»; «società di partecipazione finanziaria madre nell'UE»; «enti del settore pubblico»; «banche centrali»; «rischio di diluizione»; «probabilità di inadempimento»; «cartolarizzazione», «segmento»; «società veicolo di cartolarizzazione»); la più precisa definizione dei requisiti di governo interno che le autorità nazionali competenti devono esigere per gli enti creditizi (chiara struttura organizzativa con linee di responsabilità ben definite, trasparenti e coerenti; processi efficaci per l'identificazione, la gestione, la sorveglianza e la segnalazione dei rischi; adeguati meccanismi di controllo interno); la previsione della comunicazione all'autorità competente dello Stato membro ospitante, da parte dell'autorità competente dello Stato membro d'origine, dell'ammontare dei fondi propri dell'ente finanziario, filiazione di uno o più enti creditizi, che stabilisca una succursale od operi in regime di libera prestazione di servizi in altro Stato dell'Unione, nonché dell'importo dei fondi propri consolidati e dei requisiti patrimoniali consolidati dell'ente creditizio che ne costituisce l'impresa madre; la previsione di un futuro ulteriore coordinamento in materia di vigilanza prudenziale sulla liquidità della succursale dell'ente creditizio; un'ulteriore definizione degli elementi che costituiscono fondi propri non consolidati di un ente creditizio; l'inserimento della previsione di una relazione da trasmettere alla Commissione sui progressi realizzati nella convergenza verso una definizione comune di fondi propri; l'esclusione di determinate tipologie di rettifiche di valore e di accantonamenti dai fondi propri; l'esclusione dai fondi propri delle riserve di valore equo relative ai profitti e alle perdite generati dalla copertura dei flussi finanziari degli strumenti finanziari valutati al costo ammortizzato, nonché dei profitti e delle perdite sulle loro passività valutati al valore equo dovuti all'evoluzione del loro proprio merito di credito; la previsione della valutazione delle attività e delle voci fuori bilancio conformemente al regolamento CE n. 1606 del 2002; la previsione dell'obbligo che i fondi propri siano in ogni momento pari o superiori alla somma di determinati requisiti patrimoniali; la determinazione di un metodo standardizzato per la determinazione del valore dell'esposizione di una voce fuori bilancio; la facoltà, concessa dall'articolo 84 alle autorità competenti di uno Stato membro, di autorizzare gli enti creditizi a calcolare gli importi delle esposizioni ponderati per il rischio utilizzando il metodo basato sui rating interni; l'integrazione delle disposizioni in materia di grandi fidi bancari; la previsione della presentazione di una relazione, da parte della CommissionePag. 76al Parlamento europeo, sul funzionamento delle disposizioni in materia di grandi fidi.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 31 dicembre 2006; è previsto però che l'applicazione di alcune disposizioni attuative avvenga a partire dal 1o gennaio 2008.
La delega legislativa per il recepimento della predetta direttiva nell'ordinamento italiano è contenuta nella legge comunitaria 2006.
Passando al contenuto specifico dell'articolo 1 del decreto-legge, la lettera a) del comma 1 sostituisce il comma 10 dell'articolo 7 del TU bancario, che disciplina lo scambio d'informazioni fra la Banca d'Italia e le altre autorità e soggetti esteri indicati dalle direttive comunitarie. Rispetto alla precedente formulazione - che lo configurava come facoltà - il nuovo testo prescrive tale scambio d'informazioni, fermo restando il rispetto delle condizioni stabilite dalle pertinenti norme comunitarie.
La lettera b) del medesimo comma 1 modifica l'articolo 53 del TU bancario, il quale disciplina i poteri di vigilanza regolamentare della Banca d'Italia.
In particolare, all'autorità di vigilanza è conferito il potere di disciplinare, in conformità alle deliberazioni del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), l'informativa che le banche debbono rendere al pubblico sugli altri aspetti rilevanti per la vigilanza di stabilità (adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio, partecipazioni detenute, organizzazione amministrativa e contabile e controlli interni).
Per quanto attiene specificamente alla disciplina regolamentare in materia di adeguatezza patrimoniale, viene inserito un nuovo comma 2-bis (numero 2), a tenore del quale le disposizioni emanate dalla Banca d'Italia debbono prevedere che per la valutazione dei rischi, agli effetti del calcolo dei requisiti patrimoniali prescritti per l'esercizio dell'attività bancaria, le banche possano utilizzare:
a) le valutazioni del rischio di credito (rating) rilasciate da società o enti esterni, i quali siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla stessa Banca d'Italia, che disciplina anche le modalità di accertamento di tali requisiti;
b) sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali. Questi sistemi debbono essere previamente autorizzati dalla Banca d'Italia; per le banche sottoposte alla vigilanza consolidata di un'autorità di un altro Stato comunitario, l'autorizzazione è rilasciata da quest'ultima autorità, congiuntamente alla Banca d'Italia, entro sei mesi dalla presentazione della domanda; decorso questo termine, provvede la sola autorità estera competente.
Viene altresì modificata la disposizione del comma 3 dello stesso articolo 53 del TU bancario, il quale determina le misure che la Banca d'Italia può adottare nell'esercizio delle funzioni di vigilanza regolamentare. È integrata a questo fine la formulazione della lettera d), riguardante i provvedimenti specifici che possono essere adottati nei confronti di singole banche per assicurare l'osservanza degli obblighi di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio, detenzione di partecipazioni e organizzazione interna. Si precisa - in forma evidentemente non esaustiva - che i suddetti provvedimenti possono riguardare anche: 1) la restrizione delle attività o della struttura territoriale; 2) il divieto di effettuare determinate operazioni; 3) il divieto di distribuire utili o altri elementi del patrimonio.
La lettera c) modifica l'articolo 59 del TU bancario, il quale reca le definizioni rilevanti per la disciplina della vigilanza su base consolidata.
Il numero 1) modifica la definizione delle «società finanziarie», contenuta nella lettera b).
Secondo la definizione previgente, sono società finanziarie le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente, le attività di: assunzione di partecipazioni aventi le caratteristiche indicate dalla Banca d'Italia in conformità alle delibere del CICR; una o più delle attività previstePag. 77dall'articolo 1, comma 2, lettera f), numeri da 2 a 12, del TU bancario (attività ammesse al mutuo riconoscimento); altre attività finanziarie previste ai sensi del numero 15 della medesima lettera.
Con la disposizione di cui alla lettera c), la nozione viene estesa a comprendervi le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente, le attività indicate all'articolo 1, comma 1, lettera n), del decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF), ossia il servizio di gestione collettiva del risparmio attraverso la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni d'investimento e l'amministrazione dei rapporti con i partecipanti, ovvero la gestione del patrimonio di organismi d'investimento collettivo del risparmio (fondi comuni e società d'investimento a capitale variabile), di propria o altrui istituzione, mediante investimento in strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili.
Il numero 2) integra invece la definizione delle «società strumentali», contenuta nella lettera c), con la quale si intendono attualmente le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente, attività di carattere ausiliario all'attività delle società del gruppo, comprese quelle di gestione di immobili e di servizi anche informatici.
La modifica precisa che la gestione di immobili può riferirsi all'esercizio della proprietà e dell'amministrazione degli stessi.
Il numero 3) aggiunge nel medesimo articolo 59 del TU bancario un nuovo comma 1-bis, il quale stabilisce che le disposizioni relative alle banche, contenute nel Capo II del Titolo III del TU bancario, concernente la vigilanza su base consolidata, si applicano anche agli istituti di moneta elettronica.
A questo riguardo si segnala l'opportunità di valutare se la previsione della lettera c), numero 3), comporti necessità di coordinamento con il comma 2 dell'articolo 114-quater del TU bancario, il quale precisa che, ai fini dell'applicazione del Titolo III, Capo II, del medesimo TU bancario gli istituti di moneta elettronica sono assimilati alle società finanziarie previste dall'articolo 59, comma 1, lettera b).
La lettera d) modifica l'articolo 60 del TU bancario, che stabilisce la composizione del gruppo bancario.
La disposizione sostituisce la lettera b) del citato articolo 60, precisando - relativamente ai gruppi aventi come capogruppo una società finanziaria - che, agli effetti della vigilanza esercitabile dall'autorità nazionale, rileva il gruppo bancario composto dalla società finanziaria capogruppo italiana e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa controllate. Inoltre, il gruppo si qualifica come bancario quando nell'insieme delle società controllate dalla suddetta società finanziaria vi sia almeno una banca, e le società bancarie e finanziarie abbiano in esso rilevanza determinante, secondo quanto stabilito dalla Banca d'Italia in conformità alle deliberazioni del CICR.
La nuova formulazione integra quindi nella disposizione che definisce la composizione del gruppo bancario a capo del quale si trovi una società finanziaria il requisito della rilevanza determinante delle società bancarie, finanziarie e strumentali, precedentemente enunziato nel comma 2 dell'articolo 61 del medesimo testo unico bancario, che viene per conseguenza abrogato dalla successiva lettera e).
La lettera f) modifica il comma 1 dell'articolo 65 del TU bancario, il quale determina i soggetti inclusi nell'ambito della vigilanza consolidata, apportando una serie di variazioni alla predetta disciplina: 1) vengono esclusi dal novero dei soggetti a questo titolo vigilati quelli indicati alle lettere d), e), f) e g), ossia: le società finanziarie, aventi sede legale in un altro Stato comunitario, che controllano una capogruppo o una singola banca italiana, le società bancarie, finanziarie e strumentali controllate da queste, nonché le società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate almeno per il 20 per cento, anche congiuntamente, dalle predette società finanziarie ovvero, anche congiuntamente, dalle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate; le altre societàPag. 78finanziarie, diverse dalla capogruppo e dalle società finanziarie sopra indicate, che controllano almeno una banca; 2) sono dichiarate per conseguenza soggette a vigilanza consolidata tutte le società che controllano almeno una banca, espungendo dalla lettera h) l'inciso che riferiva la disposizione alle sole società diverse da quelle bancarie e finanziarie; 3) è soppresso il riferimento alle abrogate lettere d), e) e g), già contenuto nella lettera i).
La lettera g) modifica l'articolo 66 del TU bancario, riguardante i poteri di vigilanza informativa esercitati dalla Banca d'Italia sui soggetti che fanno parte di gruppi bancari.
Il numero 1) apporta al comma 1 modificazioni di coordinamento derivanti dall'abrogazione delle lettere d), e), f) e g) del comma 1 dell'articolo 65.
Il numero 2) sostituisce il comma 3, e, nella nuova formulazione, consente invece alla Banca d'Italia di disporre, nei confronti dei soggetti indicati nelle lettere da a) a c) del comma 1 dell'articolo 65, l'applicazione delle norme sulla revisione contabile previste, per le società con azioni quotate, dalla parte IV, titolo III, capo II, sezione VI, del TUF.
Pertanto, ai predetti soggetti - ancorché non quotati - potrà venire prescritta la revisione contabile da parte di una società di revisione iscritta nell'albo speciale tenuto dalla CONSOB, con l'espressione di apposito giudizio sui bilanci.
Al riguardo si rileva l'opportunità di chiarire se il richiamo della predetta sezione del TUF comporti anche l'applicazione dell'articolo 165, che estende l'obbligo di revisione alle società controllate. In particolare, dovrebbe precisarsi se, qualora la Banca d'Italia prescriva la revisione contabile nei riguardi di alcuno dei soggetti indicati nelle lettere da a) a c) del comma 1 dell'articolo 65 del TU bancario, lo stesso obbligo debba intendersi automaticamente esteso anche alle società da esso eventualmente controllate.
Il numero 3) modifica il comma 4, che impone alle società partecipate di fornire alla capogruppo o alla banca detentrice della partecipazione le informazioni necessarie per consentire l'esercizio della vigilanza consolidata, sopprimendo l'inciso che riferisce la disposizione alle società partecipate aventi sede legale in Italia.
La lettera h) modifica l'articolo 67 del TU bancario, che disciplina i poteri di vigilanza regolamentare della Banca d'Italia relativamente ai gruppi bancari.
I numeri 1) e 2) introducono, rispettivamente, gli obblighi d'informativa nei riguardi del pubblico e la possibilità di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni ovvero sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, approvati dalla Banca d'Italia, e specificano la natura dei provvedimenti particolari adottabili dalla medesima autorità a fini di vigilanza consolidata (restrizione delle attività o della struttura territoriale del gruppo; divieto di effettuare determinate operazioni e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio), in termini corrispondenti a quelli previsti dalla lettera b), con riferimento alla vigilanza sulle banche.
Il numero 3) apporta al comma 3 modificazioni di coordinamento, conseguenti all'abrogazione delle lettere da b) a g) del comma 1 dell'articolo 65, disposta dalla precedente lettera f) del comma.
Il numero 4) aggiunge nello stesso articolo 67 del TU bancario un nuovo comma 3-bis, in forza del quale è attribuito alla Banca d'Italia il potere di impartire le disposizioni contemplate nei commi precedenti del medesimo articolo anche ai componenti del gruppo bancario, diversi dalla capogruppo.
La lettera i) interviene sull'articolo 68 del TU bancario, riguardante i poteri di vigilanza ispettiva della Banca d'Italia nei riguardi dei gruppi bancari.
A questo fine, la Banca d'Italia può effettuare ispezioni presso i soggetti indicati nell'articolo 65 e richiedere l'esibizione di documenti e gli atti che ritenga necessari. Le ispezioni nei confronti di società diverse da quelle bancarie, finanziarie e strumentali hanno il fine esclusivoPag. 79di verificare l'esattezza dei dati e delle informazioni forniti per il consolidamento.
La Banca d'Italia può inoltre richiedere alle autorità competenti di uno Stato comunitario di effettuare accertamenti presso i medesimi soggetti, stabiliti nel territorio di detto Stato, ovvero concordare altre modalità delle verifiche.
Su richiesta delle autorità competenti di altri Stati comunitari o extracomunitari, la Banca d'Italia può effettuare ispezioni presso le società con sede legale in Italia ricomprese nella vigilanza su base consolidata di competenza delle autorità richiedenti. La Banca d'Italia può consentire che la verifica sia effettuata dalle autorità che hanno fatto la richiesta ovvero da un revisore o da un esperto. L'autorità competente richiedente, qualora non compia direttamente la verifica, può, se lo desidera, prendervi parte.
In tale contesto la lettera i) introduce un nuovo comma 3-bis, a norma del quale la Banca d'Italia può consentire che autorità competenti di altri Stati comunitari partecipino, per i profili di loro interesse, alle ispezioni presso le capogruppo - come individuate dall'articolo 61 - nel caso in cui queste abbiano società controllate sottoposte alla vigilanza delle medesime autorità.
La lettera l) sostituisce interamente l'articolo 69 del TU bancario, riguardante la collaborazione della Banca d'Italia con le autorità di vigilanza degli altri Stati comunitari agli effetti della vigilanza consolidata sui gruppi transnazionali.
La nuova formulazione dell'articolo prescrive alla Banca d'Italia di definire, anche sulla base di accordi con le autorità di vigilanza di altri Stati comunitari, forme di collaborazione e di coordinamento, nonché la ripartizione dei compiti specifici di ciascuna autorità in ordine all'esercizio della vigilanza su base consolidata nei confronti di gruppi operanti in più paesi.
Il nuovo comma 1-bis consente alla Banca d'Italia, sulla base dei predetti accordi, di esercitare la vigilanza consolidata anche:
a) sulle società finanziarie, aventi sede legale in un altro Stato comunitario, che controllano una capogruppo o una singola banca italiana;
b) sulle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dai soggetti indicati alla lettera a);
c) sulle società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate almeno per il 20 per cento, anche congiuntamente, dai soggetti indicati nelle lettere a) e b).
Il nuovo comma 1-ter disciplina, limitatamente all'esercizio della vigilanza consolidata, le informazioni da rendersi qualora venga riscontrata una situazione suscettibile di ledere la stabilità del sistema finanziario. Viene infatti stabilito che, qualora la Banca d'Italia, nell'esercizio della vigilanza consolidata, verifichi l'esistenza di una situazione di emergenza potenzialmente lesiva della stabilità del sistema finanziario italiano o di un altro Stato comunitario in cui opera il gruppo bancario, è tenuta ad informarne tempestivamente il Ministero dell'economia e delle finanze, nonché - ove si tratti di gruppi operanti anche in altri Stati comunitari - le competenti autorità monetarie.
La disposizione si configura come deroga all'articolo 7, comma 1, del TU bancario, secondo cui tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro dell'economia e delle finanze, Presidente del CICR. La presente disposizione prescrive una comunicazione al «Ministero dell'economia e delle finanze», non già al ministro nella predetta qualità di Presidente del CICR.
Il presupposto per l'applicazione della norma è individuato in una «situazione di emergenza potenzialmente lesiva della stabilità del sistema finanziario italiano o di un altro Stato comunitario in cui opera il gruppo bancario». Il riferimento alla stabilità del sistema finanziario è contenuto anche nell'articolo 5 del TU bancario, in forza del quale le autorità creditizie, nell'esercitare i poteri di vigilanza, hannoPag. 80riguardo fra l'altro alla stabilità complessiva del sistema finanziario. Tuttavia, nessuna indicazione è fornita - né appare agevole enuclearla - circa la misura della potenziale lesività, il cui riscontro imporrebbe la segnalazione all'autorità di Governo.
L'ambito di efficacia della disposizione è limitato alla sola vigilanza consolidata. Il pericolo di una crisi sistemica può verisimilmente prospettarsi in situazioni che coinvolgano gruppi estesi e articolati - ancor più se di carattere polifunzionale -, mentre potrà difficilmente provenire da eventi che interessino singolarmente un solo soggetto che esercita l'attività bancaria.
Lo specifico obbligo informativo imposto - al di là dell'adozione dei provvedimenti di vigilanza propri dell'autorità - consiste nella tempestiva comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze e - in caso di gruppi con operatività in altri Stati dell'Unione europea, all'autorità monetaria competente. La disposizione sembra presentare una qualche dissimmetria, in quanto prevede che, per l'interno, venga informata l'autorità di Governo, laddove per gli Stati comunitari è fatto riferimento all'autorità monetaria, ossia in genere all'istituto di emissione (il quale - per gli Stati che hanno adottato l'euro - non è più un'autorità nazionale, bensì la Banca centrale europea). Inoltre, l'informazione nei riguardi delle autorità estere, secondo il letterale tenore della disposizione, non è subordinata a una preventiva valutazione circa la pericolosità della situazione riscontrata nei riguardi dei rispettivi sistemi finanziari nazionali, talché l'obbligo dovrebbe essere comunque adempiuto anche nel caso di limitata operatività del gruppo all'estero.
La lettera m) modifica l'articolo 107 del TU bancario, riguardante gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale tenuto dalla Banca d'Italia.
Tra gli aspetti disciplinati in via regolamentare dalla Banca d'Italia vengono introdotti gli obblighi d'informativa nei riguardi del pubblico e la possibilità di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni ovvero sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, approvati dalla Banca d'Italia, ed è specificata la natura dei provvedimenti particolari adottabili dalla medesima autorità a fini di vigilanza sugli intermediari (riduzione delle attività; divieto di intraprendere nuove operazioni e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio), in termini simili a quelli già esposti, nell'illustrazione delle lettere b) e h) del presente comma, con riferimento alla vigilanza sulle banche e alla vigilanza consolidata sui gruppi bancari.
La lettera n) inserisce nel TU bancario un nuovo articolo 116-bis, il quale disciplina l'illustrazione dei fattori considerati per la valutazione del merito di credito (rating) delle imprese che richiedono finanziamenti.
A tal fine, è conferita alla Banca d'Italia la facoltà di disporre che le banche e gli intermediari finanziari da essa autorizzati a utilizzare sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali illustrino alle imprese che domandano finanziamenti i principali fattori posti a base dei rating interni che le riguardano.
La comunicazione è resa su richiesta dell'impresa interessata. Gli oneri connessi, a carico dell'impresa medesima, sono commisurati all'entità del finanziamento richiesto.
A questo riguardo rilevo che nell'ambito della discussione in senno alla commissione si è rilevata una convergenza a rimarcare la necessità di addivenire a questo riguardo ad una formulazione che renda quantomeno facoltativa la apposizione degli oneri a carico dell'impresa.
L'articolo 2 apporta modificazioni al TUF, allo scopo di dare attuazione alla direttiva 2006/48/CE nonché alla direttiva 2006/49/CE.
La direttiva 2006/49/CE intende disciplinare aspetti rilevanti della vigilanza regolamentare sulle imprese d'investimento, integrando sotto questo riguardo le misure della direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, la qualePag. 81agevola l'esercizio dei diritti di stabilimento e di libera prestazione di servizi nell'ambito dell'Unione europea da parte delle suddette imprese, autorizzate e vigilate dallo Stato membro d'origine.
A questo fine, la direttiva 2006/49/CE rifonde in un testo coordinato la direttiva 93/6/CEE, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi, e le sue successive modificazioni. Pertanto, essa direttiva contiene disposizioni nuove insieme con le norme precedentemente comprese nella direttiva 93/6/CEE e già vigenti.
In particolare, vengono adottate misure di coordinamento per quanto riguarda la definizione e il livello minimo dei fondi propri delle imprese di investimento, la fissazione dell'entità del loro capitale iniziale e la determinazione di un quadro comune per l'osservazione dei rischi di mercato cui sono soggette. La direttiva regola altresì i controlli sul patrimonio di negoziazione e stabilisce norme comuni per la vigilanza sui rischi di mercato.
Relativamente ai negoziatori di derivati su merci per conto proprio, attualmente esenti dall'applicazione della direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, è disposto il riesame dei requisiti patrimoniali nell'ambito della revisione di tale esenzione. Contestualmente dovrà essere valutata la possibilità di stabilire apposita disciplina per le imprese d'investimento la cui attività principale sia esclusivamente la fornitura di servizi d'investimento od operazioni collegate agli strumenti finanziari relativi a forniture energetiche (inclusi elettricità, carbone, gas naturale e petrolio).
A garanzia della solvibilità degli enti creditizi e delle imprese d'investimento facenti parte di un gruppo, è prevista l'applicazione dei requisiti patrimoniali minimi ai singoli enti sulla base della situazione finanziaria consolidata del gruppo. In tale contesto, sono anche determinate le deroghe che le competenti autorità di vigilanza possono autorizzare. Viene inoltre disciplinata la vigilanza su base consolidata delle imprese d'investimento appartenenti a gruppi che non comprendono enti creditizi.
Agli enti creditizi e alle imprese d'investimento è prescritto di adottare strategie e processi per valutare e mantenere l'adeguatezza del capitale interno e di rendere appropriata informativa al pubblico circa il controllo dei rischi e l'organizzazione interna.
Relativamente ai fondi propri di enti creditizi e imprese d'investimento, la valutazione dell'adeguatezza deve essere eseguita dalle autorità competenti avendo riguardo ai rischi cui tali enti sono esposti.
In generale, si richiede il rafforzamento della cooperazione fra le autorità di vigilanza e del ruolo dell'autorità responsabile della vigilanza consolidata.
Gli allegati tecnici sono integrati con disposizioni ulteriori relative, in particolare, al trattamento dei derivati su crediti e delle quote di organismi d'investimento collettivo. Un nuovo allegato VII contiene le regole in materia di negoziazione, i relativi controlli e la determinazione e gestione del portafoglio di negoziazione.
Il termine per l'adozione delle norme di recepimento delle nuove disposizioni da parte degli Stati membri è stabilito nel 31 dicembre 2006.
Ricordo che la delega legislativa per il recepimento della predetta direttiva nell'ordinamento italiano è contenuta nella legge comunitaria 2006.
Passando al contenuto specifico dell'articolo 2 del decreto-legge, la lettera a) del comma 1 modifica l'articolo 6 del TUF, riguardante la vigilanza regolamentare sui soggetti abilitati (imprese d'investimento, società di gestione del risparmio, società di gestione armonizzate, società d'investimento a capitale variabile, intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale tenuto dalla Banca d'Italia e banche autorizzate all'esercizio dei servizi d'investimento).
Fra le materie soggette alla disciplina regolamentare emanata dalla Banca d'Italia, d'intesa con la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), viene aggiunta l'informativa da rendere al pubblicoPag. 82sull'adeguatezza patrimoniale dell'intermediario, sul contenimento del rischio, sulle partecipazioni da esso detenute e sulla sua organizzazione interna.
Viene altresì inserito un nuovo comma 1-bis, in forza del quale con le stesse disposizioni regolamentari dovrà essere prevista per i soggetti abilitati la possibilità di adottare sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, subordinati alla previa autorizzazione della Banca d'Italia, nonché di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni.
La lettera b) modifica il comma 2 dell'articolo 7 del TUF, il quale disciplina i poteri d'intervento delle autorità di vigilanza sui soggetti abilitati.
Viene aggiunta a questo riguardo la previsione secondo cui la Banca d'Italia può adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti restrittivi o limitativi concernenti i servizi, le attività, le operazioni e la struttura territoriale, nonché vietare la distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio.
Le modificazioni apportate dalle lettere a) e b), relativamente alla vigilanza regolamentare sui soggetti abilitati all'intermediazione finanziaria, corrispondono sostanzialmente a quelle recate alle disposizioni del TU bancario, in materia di vigilanza sulle banche, sui gruppi bancari e sugli intermediari iscritti nell'elenco speciale, dalle lettere b), h) e m) del comma 1 dell'articolo 1.
Si osserva a questo proposito come non sia espressamente riprodotta nella disposizione la condizione, inserita invece nel novellato articolo 53 del TU bancario, secondo cui l'autorità di vigilanza disciplina i requisiti che debbono possedere le società o enti che rilasciano valutazioni del rischio di credito utilizzabili dagli intermediari.
La lettera c) modifica l'articolo 11 del TUF, il quale enunzia i criteri per la daterminazione della nozione di gruppo, rilevante agli effetti della vigilanza sulle attività di intermediazione finanziaria, rendendo obbligatorio l'esercizio della potestà regolamentare per l'individuazione dei soggetti da sottoporre a vigilanza (ora definita «vigilanza su base consolidata», invece che «vigilanza sul gruppo»); estende il novero dei soggetti che possono essere a tal fine considerati anche a quelli esercenti attività bancaria; sopprime i numeri 3) e 4), escludendo la possibilità di comprendere nell'ambito dei soggetti da sottoporre a vigilanza quelli sottoposti a comune controllo o partecipati per almeno il 20 per cento, indicati nei predetti numeri.
Nei riguardi di questi ultimi soggetti, in base alla nuova formulazione dei commi 3 e 5 dell'articolo 12, potranno comunque venire esercitati i seguenti poteri: 1) richiesta di trasmissione, anche periodica, di dati e informazioni; 2) compimento di ispezioni al fine esclusivo di verificare l'esattezza di tali dati e informazioni.
Viene aggiunto, inoltre, un nuovo comma 1-bis, secondo cui il gruppo così individuato è iscritto in un apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia.
Alla società capogruppo è imposto l'obbligo di comunicare alla Banca d'Italia l'esistenza del gruppo e la sua composizione, provvedendo ai necessari aggiornamenti. La Banca d'Italia trasmette copia della comunicazione alla CONSOB.
La lettera d) apporta numerose modificazioni all'articolo 12 del TUF, che disciplina i poteri relativi alla vigilanza sul gruppo.
A questo riguardo, si osserva come, per omogeneità rispetto alla dizione adottata nell'articolo 4, comma 9, nell'articolo 11, comma 1, lettera b) (come modificato dalla lettera c), e nel nuovo comma 5-bis dell'articolo 12 del TUF, la dizione: «vigilanza su base consolidata» potrebbe essere opportunamente adottata sia nella rubrica del medesimo articolo 12, qui novellato, sia nel comma 2 di esso (sostituito dal numero 3 della lettera d), ove rispettivamente è riferimento alla «vigilanza sul gruppo» e alla «vigilanza consolidata».
Il nuovo comma 1 dell'articolo 12 trasforma in obbligo la facoltà, attribuita alla Banca d'Italia dalla norma previgente, di impartire al soggetto posto al vertice delPag. 83gruppo disposizioni, riferite al complesso dei soggetti vigilati, in materia di stabilità e organizzazione interna. La determinazione dell'oggetto di queste disposizioni è integrata per comprendervi l'impiego dei sistemi interni di misurazione dei rischi e delle valutazioni del rischio di credito (rating) espresse da società ed enti esterni, previste dal nuovo comma 1-bis dell'articolo 6. Il soggetto destinatario delle disposizioni è individuato genericamente nella società posta al vertice del gruppo (invece che mediante il riferimento ai diversi tipi di intermediario finanziario - SIM, SGR e società finanziaria - come nella precedente formulazione).
Il nuovo comma 1-bis attribuisce alla Banca d'Italia il compito di individuare, in armonia con la disciplina comunitaria, le ipotesi di esenzione dall'applicazione delle suddette disposizioni.
Anche nella nuova formulazione del comma 2, il soggetto tenuto a curare l'esecuzione delle istruzioni impartite dalla Banca d'Italia da parte delle componenti del gruppo è individuato genericamente nella società capogruppo. L'obbligo di fornire informazioni e di prestare la necessaria collaborazione per l'emanazione delle disposizioni e la necessaria collaborazione per il rispetto delle norme sulla vigilanza consolidata è riferito agli organi amministrativi delle società del gruppo (invece che agli «amministratori»).
La disciplina contenuta nel nuovo comma 3, relativamente alla richiesta di trasmissione, anche periodica, di dati e informazioni a fini di vigilanza, è integrata comprendendovi i soggetti che controllano le società capogruppo, le SIM o le società di gestione del risparmio, nonché i soggetti controllati, direttamente o indirettamente, ovvero partecipati almeno per il 20 per cento da uno dei componenti del gruppo individuati, per essere sottoposti a vigilanza, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b). Il nuovo comma 3-bis consente alla Banca d'Italia di impartire disposizioni, nell'esercizio della vigilanza su base consolidata, a tutti i soggetti inclusi nel gruppo individuato ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b).
Viene pertanto esteso nei confronti delle singole componenti del gruppo sottoposte a vigilanza il potere conferito all'autorità vigilante dal comma 1 nei riguardi della sola società capogruppo.
La riformulazione del comma 5 mantiene il potere d'ispezione della Banca d'Italia e della CONSOB, per le materie di rispettiva competenza, nei riguardi dei componenti del gruppo individuati, per essere sottoposti a vigilanza, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b). Viene inoltre previsto che, al fine esclusivo di verificare l'esattezza dei dati e delle informazioni forniti sulla base del precetto impartito a norma del precedente comma 3, le stesse autorità possano effettuare ispezioni presso i soggetti controllati, direttamente o indirettamente, ovvero partecipati almeno per il 20 per cento da uno dei predetti componenti del gruppo.
Per quanto riguarda i poteri di vigilanza ispettiva esercitabili nei riguardi dei componenti del gruppo (soggetti controllati da una SIM o SGR e soggetti che la controllano), la nuova formulazione del comma 5 appare restrittiva rispetto alle disposizioni previgenti, in quanto consente l'esercizio di tali poteri soltanto nei riguardi dei soggetti individuati a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera b), del TUF, ossia dei soggetti che esercitano attività bancaria e servizi d'investimento o di gestione collettiva del risparmio nonché attività connesse o strumentali, laddove la precedente formulazione contemplava i soggetti che, pur non svolgendo servizi di investimento, servizi di gestione collettiva del risparmio nonché attività connesse e strumentali o altre attività finanziarie, fossero legati alla SIM o alla società di gestione del risparmio dai rapporti partecipativi indicati nell'articolo 11, comma 1, lettera b).
Infine, il nuovo comma 5-bis facoltizza la Banca d'Italia, nell'esercizio della vigilanza su base consolidata, all'adozione dei provvedimenti previsti dall'articolo 7, comma 2, nei confronti dei componenti del gruppo individuati, per essere sottoposti a vigilanza, a norme dell'articolo 11, comma 1, lettera b).Pag. 84
Tali provvedimenti consistono in disposizioni di carattere particolare aventi fini di stabilità e riguardanti l'adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio, le partecipazioni detenibili, l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni nonché l'informativa al pubblico su queste materie; inoltre, ove necessario, possono venire adottati provvedimenti restrittivi o limitativi concernenti i servizi, le attività, le operazioni e la struttura territoriale, nonché il divieto di distribuire utili o altri elementi del patrimonio.
L'articolo 3 sostituisce l'articolo 14 del decreto legislativo n. 18 del 1999, di attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità europea.
La disposizione è finalizzata a consentire l'archiviazione della procedura di infrazione n. 1999/4472, avviata nei confronti dell'Italia ai sensi dell'articolo 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea, ed a dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 9 dicembre 2004, avviata per inesatto recepimento della direttiva 96/67/CE del Consiglio, del 15 ottobre 1996, relativa all'accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità.
L'originaria formulazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 18 era stata censurata dalla Corte di giustizia, in quanto prevedeva, non recependo correttamente la direttiva 96/67/CE, in caso di trasferimento delle attività concernenti i servizi di assistenza a terra negli aeroporti, l'obbligo del nuovo gestore di assumere il personale operante alle dipendenze del precedente.
Il predetto articolo 14 era stato pertanto riformulato, eliminando l'obbligo del nuovo gestore di riassumere il personale, prevedendosi invece che l'Ente nazionale per l'aviazione civile, in caso di trasferimento delle attività concernenti servizi di assistenza a terra, assicuri l'applicazione delle misure di protezione sociale, «privilegiando» il reimpiego del personale in possesso di determinati requisiti.
Anche tale riformulazione dell'articolo 14 è stata tuttavia valutata negativamente dalla Commissione europea, la quale ha affermato, nel parere motivato espresso in data 4 aprile 2006, che anch'essa non garantisce il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra, in quanto «privilegiare» il reimpiego del personale del precedente gestore equivarrebbe di fatto ad obbligare il nuovo gestore a riassumere tale personale.
Alla luce di tale presa di posizione degli organismi europei, l'articolo 3 del decreto-legge sostituisce integralmente il predetto articolo 14 del decreto legislativo n. 18, eliminando gli elementi confliggenti con la disciplina comunitaria concernente la liberalizzazione dei servizi aeroportuali; in particolare si prevede che, nel caso di trasferimento delle attività di assistenza a terra negli aeroporti, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro, in quanto prevede che, in caso di trasferimento delle attività di assistenza a terra, il Ministero dei trasporti, di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di «opportune forme di concertazione», al fine di «governare» gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione del settore.
Ricordo che una identica disposizione è già contenuta nell'articolo 23 della legge comunitaria 2006 e che la sua riproposizione nel corpo del decreto-legge (avvenuta prima della approvazione della finanziaria 2006) sia stata resa necessaria dall'esigenza di garantirne l'entrata in vigore entro il termine del 15 gennaio 2007, scaduto il quale la Commissione europea avrebbe provveduto ad adire la Corte di giustizia, ai sensi dell'articolo 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea, con richiesta di pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti dello Stato italiano.
Occorre pertanto chiarire i rapporti tra tali due disposizioni di identico tenore: a tale proposito si potrebbe ritenere che, sulla base dei principi relativi alla successione delle norme nel tempo, l'entrata inPag. 85vigore della legge comunitaria abbia assorbito il contenuto dell'articolo 3 del disegno di legge in esame, il quale risulterebbe pertanto tacitamente abrogato; diversamente, potrebbe inserirsi nel corpo del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 297 una clausola di soppressione del medesimo articolo 3, condizionata all'entrata in vigore dell'articolo 23 della legge comunitaria, al fine di evitare ogni rischio di soluzione della continuità normativa in materia.
L'articolo 4 sospende l'applicazione della legge della regione Liguria n. 36 del 2006, in materia di prelievo venatorio, in esecuzione dell'ordinanza del Presidente della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 dicembre 2006, assunta nell'ambito della causa C-503/06.
La Commissione europea ha presentato, il 13 dicembre 2006, un ricorso per inadempimento avverso la Repubblica italiana, sostenendo che la norma in materia di prelievo venatorio adottata dalla regione con la sovra citata legge n. 36, con la quale si autorizzano deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici, non rispetti le condizioni fissate dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
In particolare, il predetto articolo 9 della direttiva consente agli Stati membri di derogare ai divieti di caccia delle specie selvatici fissati dalla stessa direttiva, e qualora ricorrano alcune condizioni, le gate alla tutela di interessi di rilievo preminente, e qualora non sussistano altre soluzioni soddisfacenti, diverse dal prelievo, per la realizzazione dei medesimi interessi. Nello specifico, il comma 1, lettera a), terzo alinea, del medesimo articolo 9 consente il ricorso al prelievo per la prevenzione dei danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque. Facendo appunto riferimento a tale previsione della direttiva, la legge regionale n. 36 autorizza, per la stagione venatoria 2006/2007, il prelievo in deroga di esemplari appartenenti alla specie «Storno», al fine di prevenire gravi danni alle colture olivicole presenti nella regione Liguria.
A tale riguardo la Commissione europea ritiene che la deroga al divieto di caccia disposta dalla legge n. 36 non sarebbe giustificata alla luce delle previsioni dell'articolo 9 della direttiva 79/409, in quanto il legislatore regionale non avrebbe verificato la sussistenza di altre soluzioni alternative al prelievo venatorio ai fini della tutela delle colture, in quanto mancherebbe una adeguata motivazione dell'esigenza di autorizzare il prelievo di una specifica specie, ed in quanto la deroga non avrebbe natura eccezionale e specifica.
Inoltre, sempre a giudizio della Commissione europea, la legge n. 36 del 2006 rimetterebbe sostanzialmente in vigore la disciplina recata dalla legge della regione Liguria n. 34 del 2001, la quale, a seguito dell'avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, era stata abrogata e sostituita dalla legge n. 35 del 2006 per la sua contrarietà, riconosciuta dalle stesse autorità italiane, alla direttiva 79/409.
In tale contesto il Presidente della Corte di giustizia, con la predetta ordinanza, pur senza entrare specificamente nel merito della questione, ha ingiunto allo Stato italiano di sospendere l'applicazione della citata legge regionale, fino alla pronuncia dell'ordinanza di chiusura del relativo procedimento sommario, al fine di evitare che la deroga autorizzata dalla legge n. 36, la quale ha effetti immediati dal giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della regione Liguria, possa nel frattempo determinare danni irreparabili alla fauna selvatica.
L'articolo 5 istituisce, al comma 1, l'Agenzia nazionale per i giovani, con sede in Roma, alla quale è affidata l'attuazione del programma di azione comunitaria «Gioventù in azione», istituito per il periodo 2007-2013 dalla decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006. Il programmaPag. 86si pone molteplici obiettivi: promuovere la cittadinanza attiva dei giovani, sviluppare tra loro la solidarietà, la tolleranza, e la comprensione reciproca, contribuire allo sviluppo della qualità dei sistemi di sostegno alle attività giovanili, favorire la cooperazione europea nel settore della gioventù.
La disposizione specifica che le funzioni di indirizzo e vigilanza sull'Agenzia saranno esercitate congiuntamente dal Presidente del Consiglio dei ministri, o dal Ministro delegato per le politiche giovanili, e dal ministro della solidarietà sociale, che provvederanno in via transitoria anche alla gestione fino all'assunzione delle funzioni da parte degli organi statutari.
L'istituzione dell'Agenzia è posta esplicitamente in connessione con l'attuazione della citata decisione n. 1719/2006/CE, la quale, nell'istituire il programma «Gioventù in azione», stabilisce che i Paesi partecipanti costituiscano agenzie nazionali per l'attuazione a livello nazionale delle azioni del programma stesso.
In particolare, secondo la relazione illustrativa, l'istituzione dell'Agenzia nazionale è resa obbligatoria dalle previsioni dell'articolo 8, paragrafo 6, lettera b), della citata decisione n. 1719/2006/CE, le quali richiedono che le agenzie nazionali abbiano personalità giuridica autonoma: da ciò l'impossibilità di designare come Agenzia nazionale l'attuale struttura incardinata operante in materia presso il Ministero della solidarietà sociale, la quale opera in assenza di un formale atto istitutivo, costituendo una semplice articolazione funzionale all'interno di una direzione generale, e che, non avendo personalità giuridica, non risponde ai requisiti di autonomia funzionale e giuridica previsti dalla normativa comunitaria.
La relazione illustrativa indica inoltre come la costituzione di un'Agenzia di diritto pubblico assicuri una garanzia di maggiore solidità e stabilità, corrispondendo meglio ai requisiti di capacità di gestione richiesti alle singole agenzia nazionali dal citato articolo 8 della decisione 1719/2006/CE. Quanto ai requisiti di necessità ed urgenza che giustificano il ricorso al decreto-legge, la relazione illustrativa sottolinea come l'entrata in vigore, a gennaio 2007, del programma «Gioventù in azione» abbia reso necessario adeguarsi entro la fine del 2006 agli obblighi comunitari in materia, costituendo entro tale termine l'Agenzia nazionale, al fine di consentire all'Italia di partecipare sin dall'inizio al programma comunitario, che prevede l'assegnazione di risorse per circa 800 milioni di euro, e di non perdere i contributi comunitari previsti dall'articolo 13 della predetta decisione per le spese di funzionamento delle strutture nazionali (pari a circa euro 650.000 annui).
A questo riguardo porto all'attenzione dell'aula la discussione che si è avuta in Commissione in merito alla opportunità, ampiamente condivisa, di contenere i costi di gestione e di ottimizzare le risorse per le finalità operative dell'agenzia nonché di porre attenzione a che gli organi vedano componenti di età non superiore ai 40 anni e che sia assicurata pari presenza di genere.
Il comma 2 prevede il trasferimento alla nuova Agenzia delle dotazioni finanziarie, strumentali e di personale della struttura esistente presso il Ministero della solidarietà sociale.
L'articolo 6 reca le disposizioni finanziarie relative alle norme introdotte dal decreto-legge, specificando che dall'attuazione degli articoli da 1 a 4 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e che agli oneri determinati dall'articolo 5, quantificati in 600.000 euro annui per ciascuno degli anni 2007-2009, si fa fronte mediante riduzione delle autorizzazioni di spesa di cui all'articolo 19, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, che ha istituito il Fondo per le politiche giovanili, dotato di 3 milioni di euro per il 2006 e di 10 milioni a decorrere dal 2007, e di cui all'articolo 20, comma 8, della legge n. 328 del 2000, relativo al Fondo per le politiche sociali.Pag. 87
Trattandosi di spesa di natura permanente, per l'individuazione delle risorse finalizzate a coprire tali oneri oltre il triennio 2007-2009 si rinvia alla legge finanziaria.
L'articolo 7 dispone infine in merito all'entrata in vigore del decreto-legge.
La Commissione non ha potuto procedere alla completa disamina del testo e degli emendamenti ad esso presentati sia dai commissari che dal Governo.
L'avvio della discussione ha comunque evidenziato una concreta volontà di approfondimento del merito della complessa materia con un confronto costruttivo che ha portato ad evidenziare su alcuni punti una vasta convergenza.
Dopo numerose sedute e a seguito dell'esame di parte degli emendamenti riferiti all'articolo 1 la discussione in Commissione si è conclusa con il voto del mandato al relatore che qui oggi, appunto, illustra e avvia l'esame in aula.