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Nota di sintesi


Il processo di europeizzazione degli ordinamenti nazionali e di nazionalizzazione delle politiche europee

Estratto dal Rapporto 2006 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea

La ragione della Nota di sintesi: quest’anno e negli anni precedenti
Il Rapporto annuale sulla legislazione della Camera dei deputati, fin dalla sua prima edizione nel 1998, risponde alla esigenza di una visione di insieme e guarda alla dinamica reale delle politiche legislative in atto tra Stato, Regioni ed Unione europea ed alla loro natura intersettoriale e interterritoriale.
Il Rapporto è introdotto da una Nota di sintesi, che sviluppa una chiave di lettura del fenomeno legislativo nell’ambito dell’ordinamento italiano. La nota di sintesi adotta ogni anno un diverso punto di vista, sempre puntando a mettere a fuoco il sistema Stato, Regioni e Unione europea considerato come insieme unitario e prescindendo da ogni giudizio di valore sul merito delle politiche sviluppate. Partendo dal punto di vista adottato si svolge una speciale ricerca sul campo attraverso l’analisi di politiche legislative prese a campione. Nella prima parte della Nota di sintesi sono esposti i principali risultati di tale ricerca, mentre nella seconda parte vengono presentati più analiticamente i primi dati emersi nei diversi settori assunti a campione.
Nel Rapporto 2003, la Nota di sintesi ha guardato al sistema dal punto di vista delle politiche statali nel quadro del nuovo Titolo V, analizzando 5 aree critiche con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni (agricoltura, finanza pubblica, energia, infrastrutture e sanità) e alla giurisprudenza costituzionale assai innovativa che le ha interessate.
Nel Rapporto 2004/2005 la Nota di sintesi ha adottato la prospettiva di analisi delle politiche regionali, nell’anno in cui si concludeva la settima legislatura delle Regioni a Statuto ordinario: attraverso una ricerca sul campo riguardante l’esperienza di 7 Regioni, ha messo in luce una rilevante crescita della loro sfera di compiti e responsabilità, soprattutto con riferimento agli esecutivi e alle attività negoziali e amministrative che ad essi fanno capo.
Nel Rapporto 2006, la Nota di sintesi guarda al sistema dal punto di vista dell’Unione europea e analizza lo svolgimento delle politiche europee nei diversi ordinamenti nazionali attraverso 4 aree assunte a campione. A tale rilevazione si aggiunge la ricognizione delle norme delle Costituzioni nazionali che si riferiscano alla Unione europea.

I principali risultati dell’analisi svolta nel Rapporto 2006
La Nota di sintesi del Rapporto 2006 nasce da una ricerca su 5 politiche “campione” in vari Paesi dell’Unione europea. Quattro di esse sono politiche legislative aventi origine comunitaria: a) organismi geneticamente modificati (OGM); b) comunicazioni elettroniche; c) finanza pubblica; d) energia. La quinta politica è di rango costituzionale e riguarda le norme delle Costituzioni nazionali che contengono riferimenti espliciti o impliciti alla Unione europea.
La ricerca si è svolta attraverso il circuito informativo del CERDP (organismo che collega i servizi di documentazione dei Parlamenti appartenenti al Consiglio d’Europa) e in questo ambito è ancora in corso: si concluderà nel prossimo autunno con lo svolgimento di un seminario di studio comparativo tra le amministrazioni dei Parlamenti appartenenti al circuito. A ciascuna amministrazione è stato inviato un questionario mirante ad analizzare in ciascun Paese l’intreccio di normative comunitarie, statali, regionali e locali nei settori presi a campione. I primi risultati - basati sulle risposte fin qui pervenute da 11 Parlamenti - consentono di confermare le considerazioni emerse dalla analisi dell’ordinamento italiano:

  • La normazione europea, direttamente o indirettamente efficace nei confronti dei soggetti, si realizza compiutamente solo nell’ambito degli Stati membri che la compongono; in sostanza, solo negli ordinamenti nazionali il fenomeno giuridico-normativo si realizza fino a divenire effettivo. Nell’applicarsi ai casi concreti la disciplina europea si fonde con quella proveniente dai diversi livelli territoriali interni e in questa forma “mista” dà luogo a determinati effetti normativi. Tali effetti saranno diversi in ciascun ordinamento in relazione al contesto normativo e istituzionale, con il limite di diversità che sarà consentito dagli organi giurisdizionali di ciascun Paese e, in ultima istanza, dalla Corte di giustizia europea;
  • in questi ordinamenti complessi, raramente le politiche normative trovano la loro fonte esclusiva in un unico livello territoriale: la grande maggioranza di esse nasce dal concorso di diversi livelli territoriali;
  • allo stato attuale è divenuto così forte e inscindibile l’intreccio tra le diverse fonti normative che - in un quadro che conosce competizione e conflitti tra fonti - nessuna fonte può considerarsi autosufficiente nel disciplinare anche singoli aspetti di una determinata materia;
  • la normativa europea è oramai non soltanto un elemento indefettibile della disciplina di singole materie - come avveniva in passato e come avviene anche per altre norme di origine sopranazionale -, ma fa parte della struttura portante dell’ordinamento nazionale, dal momento che pervade ogni settore e investe i suoi principi generali, fino a integrare la Costituzione vivente e in molti casi anche quella formale.
  • gli effetti complessivi dell’Unione europea all’interno di ciascun Paese sono assai più profondi della somma degli effetti delle singole politiche e incidono sulla base costituzionale materiale e formale degli Stati nazionali. L’esigenza di sottoporre questi processi ad adeguate forme di garanzia e di controllo democratico si manifesta nei singoli Paesi attraverso modifiche formali delle Costituzioni o l’introduzione di nuove procedure di indirizzo e controllo fra Governo e Parlamento o di raccordo fra gli organi della rappresentanza politica dei diversi livelli territoriali;
  • parallelamente, in ambito europeo è assai cresciuta, grazie alla giurisprudenza europea, l’influenza dei principi e delle tradizioni costituzionali comuni affermati dall’articolo 6, commi 1 e 2, del Trattato sull’Unione europea;
  • le politiche europee si svolgono nella sfera istituzionale, normativa e territoriale specifica di ciascun Paese e la loro concreta attuazione è fortemente influenzata dai contesti nazionali. Pertanto il complessivo effetto di europeizzazione delle politiche nazionali si affianca ad un altrettanto elevato grado di nazionalizzazione delle politiche europee;
  • l’attuazione delle politiche europee da parte degli Stati membri gioca in molti casi non nel senso dell’uniformazione, ma dell’adattamento a contesti diversi con rilevanti differenziazioni sia tra gli Stati in relazione alle diverse azioni sviluppate per l’attuazione di quelle politiche – sia all’ interno degli Stati medesimi, in funzione della differente distribuzione fra i vari livelli di governo delle competenze riguardanti i settori interessati dagli interventi;
  • l’attuazione differenziata della normativa comunitaria non si contrappone alla esigenza di uniformità o di convergenza. Al contrario, in molti casi rappresenta il suo fisiologico svolgimento secondo la logica propria di una unione non gerarchica e plurale. Gli indirizzi dell’Unione europea giocano assai spesso non come un limite, ma come un fine, un obiettivo o un parametro, che può sollecitare e potenziare le politiche nazionali e accrescere il ruolo attivo e creativo degli Stati nazionali stessi, accentuandone la capacità di perseguire fini complessi e di contemperare diversi aspetti della realtà sociale e politica dei singoli Paesi. Per valutare il processo di europeizzazione occorre dunque tenere presenti il diverso contesto, le rispettive posizioni di partenza e l’ampiezza degli spazi liberi lasciati dall’Unione.

Le indicazioni che emergono dalla ricerca evidenziano l’importanza del ruolo svolto dagli Stati nazionali nella concreta dinamica di funzionamento della Unione europea. Non si tratta tuttavia di una mera applicazione della tradizionale visione “internazionalista”, funzionalista o realista dell’Unione, contrapposta a quella federalista: in questa visione gli ordinamenti nazionali sono infatti i veri protagonisti del processo di integrazione giuridica fino ad essere oramai definibili solo come ordinamenti “euro-nazionali”.
Dal punto di vista delle dinamiche istituzionali, in particolare per quanto riguarda il ruolo delle assemblee legislative, l’emersione della funzione cruciale svolta dagli organi nazionali nell’organizzazione e nel funzionamento dell’Unione europea evidenzia d’altro canto quanto sia potenzialmente ampio il margine di azione dei Parlamenti nazionali come cerniere fondamentali di un sistema così complesso e articolato di processi normativi tra loro collegati.
In questo senso, la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha già avviato alcuni approfondimenti sullo stato di attuazione e le esigenze di riforma del Titolo V della Costituzione, verificando l’influenza dei principi dell’Unione europea nello sviluppo delle autonomie territoriali nel nostro come in altri Paesi. Su questa base ha avviato una iniziativa di raccordo con le omologhe Commissioni degli altri Parlamenti della Unione europea, ad iniziare dal Bundestag. Tra le possibili finalità vi è l’idea di valorizzare le norme delle Costituzioni nazionali, con l’intenzione di rafforzare la legittimazione giuridica e democratica dell’Unione, il suo patrimonio di valori costituzionali e le prospettive per il rilancio del processo di riforma costituzionale a partire dalle Costituzioni nazionali stesse. Ad esempio, si può vedere proprio nelle norme di collegamento contenute nelle Costituzioni nazionali la base positiva per costituire l’insieme dei principi e delle tradizioni costituzionali da conferire a patrimonio comune e per altro verso per perfezionare le basi costituzionali dell’Unione in ciascun Paese.

Il percorso compiuto nell’ultimo quindicennio e la attuale fase di difficile costituzionalizzazione. Il ruolo dei principi costituzionali comuni nel processo di costituzionalizzazione.
Oggi si registra un’impasse nel campo della evoluzione dei trattati, a causa delle difficoltà del processo di ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Nello stesso tempo, l’Unione europea sta conoscendo una fase di ulteriore espansione, sia attraverso il processo di allargamento, sia per la intensità e la profondità di penetrazione delle politiche europee in seno agli Stati nazionali. Si è definitivamente passati da una logica di separazione e coordinamento ad una logica di integrazione, con profonde conseguenze nella configurazione del sistema giuridico. Infatti, la valvola di chiusura del sistema è rappresentata dall’incrocio non più puntuale, ma oramai a vasto raggio tra la giurisprudenza delle Corti costituzionali nazionali e quella europea.
Il punto di partenza è stato l’affermazione della efficacia diretta e della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, trainata a suo tempo dai ripetuti richiami della giurisprudenza della Corte di Giustizia e conseguita grazie all’evoluzione degli orientamenti delle principali Corti costituzionali nazionali. Il significato e la portata di questa affermazione hanno acquistato un rilievo del tutto nuovo con l’espansione della sfera di influenza dell’Unione europea, fino a toccare tutti gli aspetti della vita sociale. I passaggi successivi al trattato di Maastricht sono segnati dall’ulteriore svolgimento dei principi che reggono il mercato interno (nuovo rapporto tra Stato ed economia e tutela della concorrenza, moneta unica) e da una grande espansione delle competenze comunitarie, nonché dalla formazione dei nuovi “pilastri”. La normativa europea è così uscita dai limitati ambiti prefigurati dai trattati originari ed è diventata pervasiva in quasi tutti i settori dell’ordinamento, influenzando il diritto interno degli Stati sin dalla fase della sua elaborazione.
Reciprocamente, i modelli normativi di taluni Paesi hanno ispirato in concreto la formazione dell’ordinamento dell’Unione europea. La osmosi tra diritto comunitario e diritto interno è, infatti, continua e assai intensa: si parla di direttive tedesche, francesi o inglesi, per quanto riguarda la disciplina di singoli settori, a seconda dell’influenza esercitata dai vari modelli nazionali, e si registra una competizione dei diversi ordinamenti nazionali per influenzare il diritto comunitario.
La formazione del mercato unico ha determinato una formidabile intensificazione di questo scambio e del duplice processo di europeizzazione degli ordinamenti nazionali e di nazionalizzazione di principi e norme europee nel contesto dei singoli ordinamenti. Più in generale, anche per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia, si è verificato un fenomeno di cross-fertilization, vale a dire di reciproca contaminazione dei sistemi giuridici europeo e nazionali attraverso l’emersione di principi “costituzionali” comuni. La elaborazione dei principi costituzionali comuni in via giurisprudenziale, codificata nell’articolo 6, commi 1 e 2, del Trattato sull’Unione europea, costituisce un dato cui attribuire la massima importanza nell’ambito del processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea. In questo quadro va dato maggior peso al fatto che tali principi traggono origine dalle Costituzioni nazionali e dalla loro comune matrice di pensiero.
Non basta vederne una implicita manifestazione nella Carta dei diritti e nel processo di formazione del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Sembra preferibile piuttosto adottare un metodo più esplicitamente ricostruttivo che parta dall’effettivo confronto tra le Costituzioni e i principi fondamentali riconosciuti in ciascun ordinamento. In questo senso, la ricerca svolta nella Nota di sintesi del Rapporto 2006 intende dare un primo contributo avviando la rilevazione delle norme delle Costituzioni nazionali che individuano valori ed effetti nella partecipazione dei singoli Stati all’Unione europea e di conseguenza anche i limiti entro i quali questa partecipazione è possibile . Ne è già un esempio l’articolo 11 della Costituzione italiana nella interpretazione successivamente adottata dalla Corte costituzionale. Esempi più espliciti, diretti e aggiornati sono l’articolo 23 della Costituzione tedesca, l’articolo 23 della Costituzione austriaca e l’articolo 88 della Costituzione francese.

La costituzionalizzazione dell’Unione europea nelle Costituzioni nazionali
L’integrazione dell’ordinamento comunitario nell’ordinamento interno di ciascuno Stato membro non riguarda infatti più, e da tempo, la sola legislazione ordinaria: negli ordinamenti nazionali si è andata realizzando, nel corso del tempo, sotto la pressione di diverse esigenze, una vera costituzionalizzazione (in senso ampio) dell’Unione europea nelle Costituzioni nazionali. Tale processo è avvenuto, negli Stati di più antica adesione all’Unione europea, a partire dal basso, dalla progressiva trasformazione degli ordinamenti fino a richiedere modifiche costituzionali ovvero la introduzione di norme permissive o limitative dei processi di integrazione. Negli Stati di più recente adesione, l’adeguamento della Costituzione è avvenuto funzionalmente all’ingresso nell’Unione. In entrambi i casi, tale processo di accoglimento e riconoscimento si è di norma tradotto in esplicite modificazioni delle rispettive Carte costituzionali. Il prospetto allegato alla Nota di sintesi pone in evidenza le norme costituzionali determinate, nei singoli Stati membri, dalla partecipazione alla Unione europea.
Un esempio emblematico è l’articolo 23 della Legge fondamentale tedesca, il quale è nato dalla esigenza opposta di fissare limiti e garanzie rispetto alla espansione dell’Unione europea in una sfera costituzionalmente rilevante, ma insieme sancisce solennemente la partecipazione della Germania al processo di integrazione europea. La norma, infatti, ricollega espressamente tale partecipazione e il conseguente trasferimento di diritti di sovranità, all’esistenza e al permanere, in ambito europeo, dei princìpi e valori di rango costituzionale propri dello Stato democratico e di diritto; princìpi e valori sostanzialmente analoghi a quelli che ispirano la Legge fondamentale medesima. Parallelamente, l’articolo 6, commi 1 e 2, del Trattato UE prevede che l’Unione europea si ispiri ai principi, ai diritti e alle libertà fondamentali comuni alle tradizioni costituzionali europee. Nello stesso senso va la più recente evoluzione istituzionale dell’Unione europea, dall’approvazione della Carta dei diritti fondamentali all’elaborazione di un Trattato costituzionale.
Il questionario relativo alla presenza nelle Costituzioni nazionali di disposizioni relative all’appartenenza all’Unione europea consente di mettere a fuoco il processo di integrazione dell’ordinamento comunitario nell’ordinamento interno di ciascuno Stato membro. Data la rilevanza del tema, il quadro desumibile dalle risposte fin qui pervenute al questionario è completato da un ulteriore prospetto - elaborato dall’Osservatorio sulla legislazione straniera della Biblioteca della Camera - volto a verificare la esistenza di una “clausola europea” e di riferimenti all’Unione europea nei testi costituzionali di tutti gli Stati membri (con esclusione di Bulgaria e Romania, la cui adesione decorre dal gennaio 2007).

L’Unione europea nella Costituzione italiana
Nella Costituzione italiana la partecipazione alla Comunità ha storicamente trovato la sua legittimazione nel principio fondamentale dell’articolo 11 - che consente limitazioni di sovranità a favore di ordinamenti internazionali intesi ad assicurare la pace tra le nazioni - e nella giurisprudenza costituzionale che lo ha sviluppato. La riforma costituzionale del Titolo V del 2001 esplicita e amplia la base costituzionale dell’Unione europea, riflettendo il complesso di mutamenti verificatisi nel decennio precedente, a partire dal trattato di Maastricht. Anche sotto il profilo letterale, il nuovo Titolo V introduce nella Costituzione un ancoraggio forte all’ordinamento comunitario. Il primo comma dell’articolo 117 inquadra, infatti, la potestà legislativa statale e regionale, oltre che nella cornice costituzionale, nel quadro “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, mentre il secondo comma demanda alla competenza statale esclusiva la materia dei rapporti tra lo Stato e l’Unione europea. Il terzo comma del medesimo articolo, nell’enumerare le materie di legislazione concorrente, pone al primo posto i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni. Il quinto comma è poi dedicato alla partecipazione delle Regioni alla fase ascendente e discendente del diritto comunitario. Infine, la disciplina dei poteri statali sostitutivi è dettata con specifico riferimento all’ipotesi del mancato rispetto della normativa comunitaria (si vedano, in particolare, l’articolo 117, quinto comma, e l’articolo 120, secondo comma).
Il principio fondamentale di unità della Repubblica, stabilito dall’articolo 5 della Costituzione, è stato integrato dal nuovo articolo 114, secondo il quale la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Il nuovo principio apre la via ad un rapporto di tipo orizzontale tra lo Stato e le autonomie territoriali, che nella sua concezione appare influenzato dal tipo di relazioni che esistono nell’ambito dell’Unione europea tra i diversi livelli territoriali. L’articolo 118, infine, prevede l’allocazione dell’esercizio delle funzioni amministrative in primo luogo ai Comuni, richiamando i principi della sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza derivati dall’ordinamento comunitario. Negli ultimi anni, i principi dell’ordinamento comunitario si sono quindi rivelati un fattore di forte innovazione nel nostro sistema costituzionale.
Questo profilo emerge con ancora maggiore evidenza dalle modalità con cui la legislazione approvata dal Parlamento e la giurisprudenza costituzionale hanno dato attuazione alla ampia revisione del Titolo V della Costituzione introdotta nel 2001. A fronte delle difficoltà applicative della riforma, la legislazione approvata in questi anni - in particolare quella riguardante grandi interventi intersettoriali come le leggi finanziarie e la legge obiettivo sulle infrastrutture - ha puntato sulla valorizzazione di criteri flessibili di attribuzione delle competenze fra i diversi livelli di governo. I principi stabiliti dal nuovo testo dell’articolo 118 della Costituzione per l’allocazione delle funzioni amministrative fra lo Stato e il sistema delle autonomie, profondamente influenzati dall’esperienza comunitaria (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), si sono rivelati capaci di orientare anche l’esercizio delle relative funzioni legislative. I pareri delle Commissioni Affari costituzionali delle due Camere sul rispetto del riparto di competenze previsto dal Titolo V e successive importanti pronunce della Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 303 del 2003) hanno infatti disegnato un concreto modulo di funzionamento della riforma basato sull’allocazione funzionale delle competenze in relazione alla dimensione degli interessi da perseguire e sulla concertazione/intesa fra i differenti livelli istituzionali coinvolti negli interventi. L’attuazione data alla riforma del 2001 - unitamente alle politiche legislative che la precedono e si accompagnano ad essa – può pertanto essere interpretata anche come la emersione a livello costituzionale degli effetti del sistema integrato Stato-Regioni-Unione europea, realizzata attraverso l’interiorizzazione dei meccanismi comunitari e dei principi che ne sono alla base, primo fra tutti il principio di sussidiarietà. Questa tendenza si traduce nella evidente prevalenza di politiche di tipo orizzontale, negoziale e caratterizzate da vasti obiettivi, come quelle ispirate dall‘Unione europea anche nei rapporti tra Stati nazionali e autonomie territoriali e, all’interno delle Regioni, nei loro rapporti con gli enti locali.

Primi risultati della ricognizione effettuata in alcuni settori, la cui disciplina deriva dall’intreccio di normative comunitarie, statali e regionali

A distanza di oltre un decennio dal trattato di Maastricht e in presenza di una situazione di crisi prolungata e profonda, si possono misurare gli effetti complessivi delle tendenze sopra delineate. A questo fine è orientata l’ analisi a “campione”. I campioni sono stati scelti in modo da rappresentare politiche di diversa portata: ambiti settoriali, come la disciplina degli organismi geneticamente modificati e le comunicazioni elettroniche; un grande settore trasversale come l’energia, fino ad un campo di politica generale come la finanza pubblica e fino al livello ancora più alto costituito dalle innovazioni costituzionali concernenti l’Unione europea. La ricerca si è svolta attraverso il circuito informativo del CERDP (organismo che collega i servizi di documentazione dei Parlamenti appartenenti al Consiglio d’Europa) e in questo ambito è ancora in corso: come già accennato, si concluderà nel prossimo autunno con lo svolgimento di un seminario di studio tra le amministrazioni dei Parlamenti appartenenti al circuito. Qui si presentano i risultati ottenuti attraverso l’invio di un questionario mirante ad analizzare in ciascun Paese l’intreccio di normative comunitarie, statali, regionali e locali nei settori presi a campione. Per ognuno di tali comparti il questionario contiene domande volte a verificare come le singole politiche settoriali vengano concretamente realizzate negli ordinamenti nazionali. Gli Stati che hanno risposto ai questionari sono fino ad ora 11. Si tratta quindi di un campione sufficientemente significativo per verificare sul campo come le politiche europee si svolgano nel contesto istituzionale, normativo e territoriale di ciascuno Stato membro e ne siano fortemente condizionate, non meno di quanto le politiche nazionali siano influenzate dalle stesse politiche europee.
Le risposte pervenute presentano notevoli varietà di approcci e diversi gradi di approfondimenti e sono state integrate, in molti casi, con ulteriori verifiche compiute dagli Uffici della Camera. I dati che si presentano nelle schede che integrano la seconda sezione della parte speciale del presente Rapporto, ciascuna dedicata ad un distinto settore, dovranno essere integrati con ulteriori approfondimenti, ma già consentono di acquisire i primi risultati della rilevazione effettuata. Ne emerge un quadro nel quale alla convergenza derivante dal processo di europeizzazione si intrecciano peculiari modulazioni all’interno di ciascuno Stato e delle rispettive articolazioni territoriali. Ciascuna scheda si propone di evidenziare, settore per settore, come si vada realizzando da un lato il processo di europeizzazione, inteso come convergenza di posizioni, e, dall’altro, come le politiche europee vengano attuate nei singoli Stati membri in base al contesto ivi presente ed al rispettivo punto di partenza nelle diverse politiche settoriali. Le schede relative ai diversi settori ed al profilo costituzionale sono tra loro omogenee: ad una breve nota di sintesi fa seguito una tabella dove si riassumono in forma sintetica le risposte fornite dagli Stati membri. Fa parziale eccezione la scheda dedicata alla finanza pubblica, che presenta una diversa articolazione delle tabelle, che hanno tenuto conto, in particolare, della partecipazione o meno alla terza fase della Unione monetaria e dell’articolazione territoriale degli Stati.

Finanza pubblica. La finanza pubblica è un settore fortemente condizionato dall’appartenenza all’Unione economica e monetaria, nel cui ambito le politiche di bilancio sono decise dai singoli Stati membri. Tuttavia, esse costituiscono “una questione di interesse comune”, per la quale il Trattato CE ha previsto tre diversi strumenti di coordinamento:

  1. definizione di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e per quelle dell’Unione;
  2. procedure di sorveglianza sull’evoluzione economica di ciascuno degli Stati membri e dell’Unione;
  3. divieto di disavanzi pubblici eccessivi e le relative procedure di controllo e, eventualmente, di sanzione.
Nella finanza pubblica, pertanto, l’Unione europea non agisce con i tipici strumenti normativi, realizzando comunque una forte convergenza verso obiettivi comuni. In tale prospettiva, merita di essere sottolineato un dato rilevante: sia i Paesi che hanno optato per la non adesione alla terza fase dell’Unione economica monetaria (e quindi all’adozione della moneta unica), cioè Regno Unito e Danimarca (oltre la Svezia), sia i Paesi che aderiranno a tale fase in epoche diverse stanno ponendo particolare attenzione alla riduzione del debito pubblico. Il rispetto delle condizioni di Maastricht è stato, in ogni caso, generalmente alla base delle misure di finanza pubblica adottate dai singoli Stati negli ultimi anni. Nella cornice comunitaria, i singoli Stati si differenziano, anche in forza della rispettiva forma di governo e della propria articolazione territoriale, con riguardo alle conseguenze sull’attività parlamentare dell’eventuale avvio di procedure di eccessivo disavanzo, agli strumenti per il monitoraggio periodico dell’andamento dei saldi di finanza pubblica di cui dispongono Governo e Parlamento e, soprattutto, in ordine alla autonomia finanziaria delle articolazioni territoriali. Sotto quest’ultimo aspetto, in particolare, le differenze tra Stati regionali e Stati unitari si modulano in maniera diversa in ciascun ordinamento ed il diverso assetto statuale non consente di per se stesso di individuare l’effettivo regime di autonomia finanziaria delle articolazioni territoriali substatali. Tra gli Stati regionali, Germania, Austria, Belgio ed Italia hanno adottato ciascuno peculiari forme di autonomia finanziaria; tra gli Stati unitari, analogamente, ognuno presenta un proprio assetto: a titolo esemplificativo, Finlandia e Polonia hanno riconosciuto ai governi locali una autonomia finanziaria; la Danimarca mantiene una struttura più centralizzata.
Energia. Nel settore dell’energia, il questionario era volto ad investigare, essenzialmente, due aspetti, inerenti il processo di liberalizzazione e l’approccio verso le fonti energetiche alternative. Il quadro che emerge, al di là delle indicazioni delle direttive comunitarie, denota una forte attenzione per l’utilizzo delle fonti energetiche alternative ed una generalizzata propensione alla liberalizzazione (che in alcuni Stati ha preceduto le direttive comunitarie), tuttavia giudicata in molti casi ancora insufficiente dalla Commissione europea. Ovviamente, entrambi i profili scontano differenze tra i singoli Stati, con specifico riguardo – tra l’altro – alla tempistica del processo di liberalizzazione ed all’approccio alle fonti alternative. Alla convergenza sugli obiettivi si affianca una analoga convergenza sui profili istituzionali: in quasi tutti i Paesi, dopo la liberalizzazione del mercato, è stato istituito un organismo indipendente con compiti di regolazione e monitoraggio, in genere competente sia per l’energia elettrica, sia per il gas. Convergenza verso obiettivi comuni non significa però, come si è avuto modo di chiarire, totale omologazione. In questa prospettiva, meritano di essere segnalate, come casi di studio, le peculiarità presenti nei sistemi finlandese e belga, che attengono, rispettivamente, alla posizione in ambito comunitario ed alla articolazione interna. Alla Finlandia, in quanto dipende, essenzialmente, dalle forniture di gas di un unico Paese e non è collegata ad alcuna rete di altri Paesi dell’UE, la normativa europea ha permesso di derogare alle disposizioni in materia di liberalizzazione, fin tanto che durerà questa situazione. E’ l’ulteriore conferma di una delle considerazioni a sostegno della presente Nota, relativa alla compiuta realizzazione dell’ordinamento comunitario solo negli Stati nazionali che lo compongono. In Belgio, l’apertura del mercato energetico si sta realizzando in tempi diversi a livello territoriale (mentre nelle Fiandre il mercato è completamente liberalizzato dal 2003, nella Vallonia la liberalizzazione sarà ultimata nel gennaio 2007 e nell’area di Bruxelles nel corso del medesimo anno), a conferma che l’effetto dell’attuazione delle politiche europee da parte degli Stati membri può giocare nel senso della differenziazione anche al loro interno.

Telecomunicazioni. Nell’ambito della materia delle telecomunicazioni, il questionario ha approfondito, in particolare, il settore delle comunicazioni elettroniche, ove sembrano emergere, al di là del dettato delle direttive comunitarie in materia e delle diversità di approccio, tendenze comuni agli Stati membri. Tali tendenze comuni si riscontrano in relazione sia a profili istituzionali sia, più in generale, alla ispirazione di fondo della politica comunitaria. A titolo esemplificativo, sotto il profilo istituzionale, gli Stati membri, pur nella rispettiva specificità, hanno generalmente proceduto all’individuazione dell’Autorità nazionale di regolazione in organismi terzi rispetto al Governo (cui sono di norma collegati); sotto il profilo di prospettiva politica, appare comune l’adesione all’ispirazione “liberalizzatrice” della direttiva “autorizzazioni”. Elementi connaturati all’assetto proprio di ciascun Paese sono evidenti in tre campi: a) nelle diverse modalità di attuazione della normativa comunitaria in materia di comunicazioni elettroniche; b) nella inclusione della disciplina delle reti utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi nell’ambito della regolamentazione delle reti di comunicazione elettronica; c) nell’articolazione territoriale delle competenze. A questo ultimo riguardo, si segnala la peculiare scelta compiuta dalla Germania, che ha istituito una Agenzia Federale per le Reti, come unica autorità responsabile per la attuazione e l’osservanza delle direttive europee nel settore delle telecomunicazioni.

Organismi geneticamente modificati. La materia degli organismi geneticamente modificati risulta di indubbio interesse, in quanto è soggetta a valutazioni molto diverse nell’ambito degli Stati membri e, anche in forza di tali diversità di vedute, ha registrato - a livello comunitario - una evoluzione non priva di svolte nel corso degli anni. Si tratta infatti di uno dei settori nei quali le politiche nazionali appaiono particolarmente competitive tra di loro e denotano forti tensioni, resistenze e momenti di contrasto nei confronti dell’Unione europea, la quale, a sua volta, deve rapportarsi ai vincoli imposti, a livello mondiale, dal WTO. In più, anche all’interno dei singoli Stati membri, vi sono significative differenze territoriali, che non interessano soltanto i Paesi con assetto regionale o federale, attraverso la proclamazione del territorio di competenza come “OGM free” da parte di singole Regioni o autorità locali.
Al momento la posizione europea, prudentemente aperta all’utilizzo di alcune varietà geneticamente modificate, sembra consentire, di fatto, sia la loro coltivazione (soprattutto in Spagna, ma anche in Francia, Germania, Portogallo e Repubblica ceca), sia, più faticosamente e generalmente a fronte di un contenzioso, il divieto di coltivazione, che può essere modulato come vero e proprio bando, come moratoria, o dissimulato, come avviene in diversi Paesi, dietro l’adozione di procedure particolarmente complicate per dare avvio alle colture. A fronte di Stati (con in prima fila la Spagna) che hanno dimostrato più o meno caute aperture nei confronti degli OGM, altri Stati – tra i quali l’Italia e la Grecia – hanno assunto fin dall’inizio una posizione contraria al loro utilizzo, sostenendo lunghi contenziosi con l’Unione europea. E’ interessante rilevare che agli strumenti normativi (regolamenti e direttive) in materia, si è affiancata la raccomandazione 2003/556/CE sulla coesistenza tra colture convenzionali e colture transgeniche, alla quale i singoli Stati membri stanno dando seguito con una notevole varietà di atteggiamenti, che conferma, in via generale, la diversità di approcci anche “filosofici” al problema. Tale diversità di approcci, in molti casi improntati alla cautela, si è riverberata sull’orientamento comunitario, che sembra meno lineare rispetto ad altri settori proprio perché frutto di continue e differenti mediazioni tra prospettive talora lontane da parte dei singoli Stati membri e, al loro interno, delle rispettive articolazioni territoriali.

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