La riforma operata con la legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nel riconoscere
autonomia finanziaria di entrata e di spesa ai comuni, alle province,
alle città metropolitane e alle regioni, ha conferito ad essi risorse
autonome, in aggiunta a compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibile al loro territorio, nonché il potere di stabilire e applicare tributi ed entrate propri, in armonia
con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica
e del sistema tributario. Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza della
Corte costituzionale si è quindi sforzata di enucleare il significato delle
nuove disposizioni e di precisarne la collocazione nel sistema giuridico[1].
Per quanto riguarda, in generale, l’attuazione del nuovo
articolo 119 della Costituzione e l’esplicazione
della potestà legislativa regionale relativamente all’istituzione di
tributi propri, la Corte costituzionale ha segnalato l’urgenza di realizzare il
sistema di finanza regionale ivi prefigurato, “al fine di concretizzare davvero
quanto previsto nel nuovo titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si
verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove
disposizioni” e per prevenire “rischi di cattiva funzionalità o addirittura di
blocco di interi ambiti settoriali” (sentenza n. 370 del 2003).
La sentenza
n. 37 del 2004 ha indicato come necessario
presupposto per l'attuazione del disegno costituzionale “l'intervento del
legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l'insieme della finanza
pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali
dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell'intero sistema
tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la
potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali”. Per
quanto riguarda in particolare i tributi
locali, la riserva di legge stabilita dall’articolo 23 della Costituzione
comporta la necessità di definire l'ambito in cui potrà esplicarsi la potestà
regolamentare degli enti sub-regionali, sforniti di poteri legislativi, e il
rapporto fra quest’ultima e la legislazione statale e legislazione regionale
per quanto attiene alla disciplina di grado primario. La Corte ha quindi
concluso che “non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione
di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata
dal Parlamento nazionale”. Questa conclusione è stata confermata nella sentenze
n. 241 del 2004 (sulla delega per la riforma del sistema fiscale statale) e n.
261 del 2004 (sulla determinazione delle basi di calcolo dei sovracanoni per la
produzione di energia idroelettrica).
Per quanto riguarda
la specificazione della nozione di tributo
proprio, la Corte ha affermato costantemente che nell’attuale quadro
normativo non si danno tributi che possano essere definiti propri delle
regioni, nel senso inteso dall’articolo 119 della Costituzione. Infatti,
attualmente esistono soltanto tributi istituiti e disciplinati da leggi dello
Stato, connotati dalla sola particolarità che il loro gettito è attribuito alle
regioni. La disciplina di questi “tributi regionali” non è divenuta oggetto di
legislazione concorrente, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, ma appartiene alla competenza esclusiva della legislazione dello
Stato, che disciplina i casi e i limiti in cui può esplicarsi la potestà
legislativa regionale. Spetta quindi al legislatore statale la potestà
di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei
tributi locali esistenti. Tale potestà deve tuttavia esercitarsi in armonia con
i nuovi princìpi costituzionali: in particolare, non potrebbe sopprimere, senza
sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti alle regioni e agli enti
locali dal vigente ordinamento, né configurare un sistema finanziario
complessivo che contraddica tali princìpi (sentenza
n. 37 del 2004).
La prima pronunzia a
questo proposito è contenuta nella sentenza n. 296 del 2003 che, su ricorso del
Governo avverso la legge della regione Piemonte 5 agosto 2002, n. 20, ha
dichiarato illegittime le disposizioni ivi contenute in materia di imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP) e di tassa automobilistica
(esenzione dell’Agenzia per lo svolgimento dei giochi olimpici invernali di
Torino 2006 dal pagamento dell’IRAP; esenzione permanente dal pagamento della
tassa automobilistica per gli autoveicoli alimentati a gas metano; proroga del
termine per il recupero delle tasse automobilistiche regionali dovute per
l’anno 1999).
La Corte ha
dichiarato che l’IRAP non può qualificarsi
tributo proprio delle regioni nel senso inteso dall’attuale articolo 119 della
Costituzione, e che pertanto queste possono variarne la disciplina soltanto nei
limiti consentiti dalla normativa statale in proposito, non rilevando in
contrario la devoluzione del relativo gettito alle regioni stesse. Spetta
quindi alle regioni soltanto una limitata facoltà di variare l’aliquota e di
disciplinare le procedure applicative secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 446
del 1997. Quest’impostazione è stata confermata dalle sentenze n. 241 e n. 381
del 2004, che hanno deciso ricorsi delle regioni avverso leggi statali
intervenute in materia di IRAP e di addizionali regionali all’IRPEF (sentenza
n. 241 del 2004: delega al Governo per la graduale soppressione dell’IRAP; sospensione
degli aumenti delle addizionali IRPEF e delle aliquote IRAP: sentenza n. 381
del 2004).
Analogamente, in materia di tassa automobilistica, la Corte, nella citata sentenza n. 296 del
2003, ha affermato che alle regioni è
stato attribuito “il gettito della tassa, unitamente alla attività
amministrativa connessa alla sua riscossione, restando invece ferma la
disciplina statale per ogni altro aspetto sostanziale della tassa stessa”. La
disciplina sostanziale dell’imposta non è divenuta quindi oggetto di
legislazione concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della
Costituzione. Le successive sentenze n. 297 e n. 311 del 2003 nonché n. 455 del
2005 hanno confermato quest’impostazione.
Nei medesimi termini
sono state decise controversie riguardanti il tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica (previsto
dalla legge n. 549 del 1995). Le sentenze n. 335 e n. 397 del 2005 hanno
dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni di legge regionale che,
rispettivamente, rimettevano a deliberazione della Giunta regionale il metodo
di determinazione del tributo (art. 44, comma 3, della legge della regione
Emilia-Romagna 14 aprile 2004, n. 7) e ne disponevano l’aumento oltre il
termine fissato dalla legge dello Stato (art. 1 della legge della Regione
Molise 31 agosto 2004, n. 18). Anche questo tributo deve infatti considerarsi
statale e non proprio della regione, che può dunque legiferare solo nei casi e
nei limiti previsti dalla legge dello Stato.
Verte in materia di
IRAP, ma afferma un principio di più generale applicazione, la sentenza n. 431
del 2004, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della regione
Veneto avverso l’articolo 19 della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per
il 2003), che prorogava agevolazioni fiscali relative all’IRAP nel settore
agricolo. La Corte ha rigettato infatti la tesi, sostenuta dalla regione, secondo
cui ogni intervento sul tributo che, o per modificazione delle aliquote o per variazioni
delle agevolazioni previste, comporti un minor gettito per le Regioni, dovrebbe
essere accompagnato da misure
compensative a ristoro della finanza regionale. Secondo il giudice delle
leggi, la manovra fiscale dev’essere considerata nel suo insieme e non è quindi
possibile, sotto questo profilo, valutare singole disposizioni. La tesi è stata
ribadita in occasione di un altro giudizio (sentenza n. 155 del 2006) relativo
a disposizioni dell’articolo 1, commi 347 e seguenti, della legge n. 311 del
2004 (legge finanziaria per il 2005) direttamente o indirettamente incidenti
sulla determinazione della base imponibile dell’IRAP.
In base all’articolo 119, quarto comma, della Costituzione,
come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione), attraverso le risorse indicate
dall’articolo medesimo - entrate proprie,
compartecipazione al gettito dei tributi
erariali, trasferimenti dal fondo
perequativo - gli enti territoriali devono provvedere al finanziamento integrale delle funzioni
pubbliche loro attribuite.
Lo Stato può destinare risorse
aggiuntive o effettuare interventi speciali solo in favore di determinati
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni per promuovere lo sviluppo
economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri
economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della
persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro
funzioni (art. 119, quinto comma).
Per ciò che attiene al trasferimento di risorse dal bilancio
dello Stato agli enti territoriali, il nuovo sistema del titolo V è stato ritenuto dalla Corte costituzionale immediatamente applicabile.
Al fine di evitare che la previsione di interventi
finanziari dello Stato a favore degli enti territoriali, vincolati nella
destinazione, si risolva in uno «strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza» dello Stato nell’esercizio delle
funzioni degli enti territoriali, la Corte ha enucleato, fin dalle prime
sentenze sulla materia (cfr. sentenze n.
370/2003, n. 16/2004 e n.
49/2004), una serie di limiti alla potestà legislativa dello Stato.
In particolare, interventi
finanziari dello Stato in favore degli enti territoriali vincolati nella
destinazione sono ammessi solo:
§ nell’ambito
dell’attuazione di discipline dettate dalle legge statale nelle materia
di propria competenza esclusiva;
§ nell’ambito
della disciplina degli interventi
speciali previsti dall’articolo 119 della Costituzione. Tali interventi
devono peraltro:
-
essere aggiuntivi
rispetto al finanziamento integrale delle funzioni spettanti agli enti
territoriali;
-
essere riferibili
alle finalità di perequazione e garanzia enunciate dalla norma costituzionale
(promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà
sociale, rimozione degli squilibri economici e sociali, promozione dell'effettivo esercizio dei diritti della persona) o a scopi diversi dal normale esercizio
delle funzioni;
-
essere indirizzati
a determinati enti territoriali o categorie di enti territoriali;
-
prevedere compiti
di programmazione e di ripartizione dei fondi da parte delle Regioni all’interno del proprio territorio, nel caso in cui i
finanziamenti riguardino ambiti di competenza, anche concorrente, delle Regioni
medesime.
Sulla scorta di questi principi, è stata riconosciuta l’illegittimità costituzionale di una serie
di Fondi nazionali, per lo più istituiti dalle leggi finanziarie, che
intervenivano in ambiti riservati alla legislazione regionale anche in via
concorrente.
In particolare, sono stati oggetto di dichiarazioni di
illegittimità costituzionale:
§ il
Fondo per gli asili nido (sentenza n. 370/2003) e il Fondo rotativo per gli
asili nido nei luoghi di lavoro (sentenza n. 320/2004) (v. capitolo Spesa sociale: i fondi settoriali);
§ il
Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni (sentenza n. 16/2004);
§ il
Fondo per il sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle regioni e
degli enti locali e il Fondo per la realizzazione di infrastrutture di
interesse locale (sentenza n. 49/2004) (v. scheda I
fondi per le opere pubbliche locali);
§ il
Fondo per la costituzione di garanzie dei prestiti fiduciari concessi agli
studenti capaci e meritevoli (sentenza n. 308/2004) (v. capitolo Diritto allo studio);
§ la
previsione di vincoli di destinazione per le risorse del Fondo per le politiche
sociali (sentenza n. 423/2004) (v. capitolo Il Fondo per le politiche sociali);
§ il
Fondo per il sostegno dei distretti industriali della nautica da diporto (sentenza
n. 107/2005);
§ il
Fondo per l’accesso delle giovani coppie alla prima casa di abitazione (sentenza
n. 118/2006) (v. scheda Disagio abitativo);
§ il
Fondo per le politiche giovanili (sentenza n. 118/2006) (v. capitolo Spesa sociale: i fondi settoriali).
In base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, non sono parimenti ammessi finanziamenti statali destinati a soggetti privati in materie riservate alla competenza, anche
concorrente, delle Regioni. Le funzioni attribuite alle Regioni comprendono
infatti anche il potere di erogare contributi finanziari a privati, in quanto
«in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono
appunto nella determinazione di incentivi economici ai soggetti in esse
operanti e nella disciplina delle modalità per loro erogazione» (cfr. sentenze
n. 320/2004, n. 51/2005, n. 77/2005, n. 160/2005).
La Costituzione non prevede inoltre esplicitamente un
criterio di composizione delle interferenze nell’ipotesi di finanziamenti che
intervengano in ambiti in cui si riscontra una “concorrenza di competenze”, cioè nei numerosi casi in cui la
disciplina legislativa non sia riconducibile ad un’unica materia, ma sia
relativa a posizioni non omogenee ricomprese in materie diverse sotto il
profilo della competenza (esclusiva statale e residuale regionale ovvero
esclusiva statale e concorrente). In tali ipotesi la Corte costituzionale ha
ritenuto che, ove non sia possibile individuare con certezza prevalenza di una
materia rispetto ad altre, è necessario ricorrere al principio della “leale collaborazione”, che impone alla legge
statale di predisporre adeguati
strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro
competenze. Di qui la nutrita serie di sentenze che hanno riconosciuto
l’illegittimità costituzionale di norme statali nella parte in cui non
prevedevano idonei strumenti volti ad assicurare il predetto coinvolgimento, ad
esempio subordinando l’erogazione delle risorse all’intesa raggiunta in sede di
Conferenza Stato-regioni (cfr. sentenze n. 31/2005, n. 51/2005, n. 162/2005, n.
222/2005, n. 231/2005, n. 242/2005, n. 133/2006).
In via transitoria,
nelle more dell’attuazione del nuovo sistema costituzionale che garantisce
autonomia finanziaria agli enti territoriali, la Corte ha in taluni casi
riconosciuto la legittimità
costituzionale di finanziamenti statali in settori ora ricadenti nella competenza
regionale ma finanziati, nel sistema precedente alla riforma del titolo V, con
risorse statali, richiamando il principio
di continuità dell’ordinamento. E’ stata infatti ritenuta prevalente
l’esigenza di non far venir meno finanziamenti riferiti a settori rilevanti
dell’economia nazionale, quali quelli dello spettacolo, dell’artigianato e del
trasporto pubblico locale. In tali ipotesi il legislatore è comunque tenuto a
rispettare il principio di leale
collaborazione, assicurando il pieno coinvolgimento delle regioni (cfr.
sentenze n. 255/2004, n. 162/2005 e n. 222/2005).
[1] Si veda a questo proposito la Relazione sull’attività svolta dall’Alta Commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, pp. 25-39.