Trasporto pubblico locale – Il nuovo Titolo V

Il nuovo quadro costituzionale

La materia del trasporto pubblico locale non risulta espressamente considerata dal nuovo articolo 117 della Costituzione che ha profondamente modificato i criteri di ripartizione delle competenze tra Stato, regioni e autonomie locali (v. scheda Titolo V e norme di attuazione): essa non figura né tra le materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato, di cui al secondo comma dell’articolo 117, né tra quelle di legislazione concorrente, di cui al terzo comma della disposizione costituzionale.

Per quanto concerne la disciplina dei trasporti, il nuovo art. 117 individua tra le materie di legislazione concorrente l’ambito materiale delle “grandi reti di trasporto e di navigazione” e “porti ed aeroporti civili”, non risultando altri riferimenti diretti ai trasporti, e specificamente al trasporto pubblico locale. La materia sembrerebbe, pertanto, rientrare nell’ambito della competenza residuale delle regioni richiamata dall’articolo 117, quarto comma, in virtù del quale “spetta alle Regioni la potestà legislativa con riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

 Peraltro, va segnalato che la materia dei trasporti presenta connessioni, sotto vari profili, con discipline che appaiono riconducibili a materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato, tra le quali si ricordano in particolare “tutela della concorrenza”, per quanto attiene alle modalità di gestione e di affidamento del trasporto pubblico locale, “ordine pubblico e sicurezza”, “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, “tutela dell’ambiente” (cfr. art. 117, secondo comma, lett. h), m), s) Cost.).

La giurisprudenza costituzionale

La Corte costituzionale con sentenza n. 222 del 2005, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale di una disposizione della legge finanziaria 2004 recante l’istituzione di un fondo per il conseguimento dei risultati di maggiore efficienza e produttività nel settore del trasporto pubblico locale, ha precisato che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell’ambito delle competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., “come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 [] aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale”.

Il riconoscimento espresso dell’appartenenza della materia del trasporto pubblico locale alla competenza generale delle Regioni costituisce la base da cui la Corte  fa discendere una serie di argomentazioni che si muovono nell’ambito di precedenti orientamenti, in base ai quali il legislatore statale non può porsi «in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all’attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale» (sentenza n. 423 del 2004): le eccezioni a tale divieto sono possibili solo nell’ambito e negli stretti limiti di quanto previsto negli artt. 118, primo comma, 119, quinto comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost. [1] (v. capitolo Titolo V e giurisprudenza costituzionale), In secondo luogo, la Corte precisa che la disposizione della legge finanziaria oggetto di impugnazione – non potendosi ricondurre alla tipologia di intervento a sostegno della finanza regionale o locale previsto dal quinto comma dell’articolo 119, non essendo predeterminato alcun intervento speciale, né individuato alcun particolare ente destinatario[2] – trova giustificazione in quanto “nella perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, e del vigente finanziamento statale nel settore del trasporto pubblico locale, la disciplina di riferimento è contenuta nel citato art. 20 del D.Lgs. n. 422 del 1997, il cui comma 5 stabilisce le modalità di trasferimento delle risorse erogate dallo Stato.”, con il quale presenta analogie il meccanismo di finanziamento del fondo oggetto di giudizio.

La Corte, in sostanza, partendo dall’assunto dell’impossibilità di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle Regioni e agli enti locali, giustifica la disposizione della legge finanziaria, che dichiara illegittima sul piano costituzionale solo nella parte in cui prevede che la dotazione del fondo venga ripartita «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», anziché stabilire che tale decreto sia adottato previa intesa con la Conferenza stessa: trattandosi di finanziamento che interviene in un ambito di competenza regionale, la necessità di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle Regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi[3].

Peraltro, se la Corte costituzionale nella sentenza n. 222 del 2005 riconosce espressamente la competenza generale delle Regioni in materia di trasporto pubblico locale, nella sentenza n. 272 del 2004 - pronunciandosi, tra l’altro, sulla legittimità costituzionale dell’articolo 14 del DL 269/2003 che ha modificato l’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, relativo ai servizi pubblici locali[4] (v. capitoli Il Trasporto pubblico locale e Disciplina dei servizi pubblici locali) – ha ricondotto l’ambito delle modalità di gestione delle gare e di affidamento  dei servizi pubblici locali, nonché della disciplina transitoria, all’ambito materiale della “tutela della concorrenza” affidato alla competenza esclusiva dello Stato. Nella sentenza la Corte precisa che “non appaiono censurabili tutte quelle norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono più meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali. Alle stesse finalità garantistiche della concorrenza appare ispirata anche la disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle concessioni già assentite in relazione all'effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e al tipo di società affidataria del servizio”.

Secondo la Corte, non risulta condivisibile la prospettazione, secondo cui la disciplina dei servizi pubblici locali, incidendo su situazioni di non concorrenzialità del mercato per la presenza di diffuse condizioni di monopolio naturale e riguardando interventi propriamente di “promozione” e non già di “tutela” della concorrenza, sarebbe estraneo, in quanto tale, all'ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato e pertinente invece alla competenza regionale in tema di servizi pubblici locali. La tutela della concorrenza – secondo quanto dichiarato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 14 del 2004 e ripreso nella sentenza in questione - “non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali” (sentenza n. 14 del 2004). In altri termini, la tutela della concorrenza riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche interventi promozionali dello Stato.

 



[1]     Su tale profilo la Corte costituzionale si è pronunciata in più occasioni (cfr sentenze numeri 160 e 77 del 2005, 320 e 49 del 2004, nonché n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003).

[2]     Il quinto comma dell’art. 119 Cost. autorizza – sempre secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale richiamata nella sentenza sopra citata - lo Stato, per conseguire le molteplici finalità ivi espressamente indicate, ad attuare due specifiche e tipizzate forme di intervento finanziario nelle materie di competenza delle Regioni e degli enti locali: o l’erogazione di risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria autonomia finanziaria regionale o locale (modalità questa, però, che presuppone che lo Stato abbia dato previa attuazione legislativa a quanto previsto dai primi quattro commi dell’art. 119, così garantendo a Regioni, Province e Comuni che le loro entrate finanzino «integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»); oppure la realizzazione di «interventi speciali» «in favore di: determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (cfr. sentenza n. 16 del 2004).

[3]     Sul punto la Corte costituzionale richiama nella sentenza sopra illustrata le sentenze numeri 49 e 16 del 2004.

[4]     Categoria all’interno della quale sicuramente è ricompreso il trasporto pubblico locale.