Cooperazione giudiziaria

Nel corso della XIV legislatura sono stati adottati significativi provvedimenti in tema di cooperazione giudiziaria, in adempimento di normative internazionali o comunitarie o di accordi comunque vincolanti per il nostro Paese.

Allo scopo di dettare le disposizioni interne necessarie a conformarsi a due decisioni quadro del Consiglio dell’Unione Europea, sono intervenute la legge 22 aprile 2005, n. 69[1] e la legge 14 marzo 2005, n. 41[2].

A differenza dei tradizionali strumenti di cooperazione a livello intergovernativo, quali convenzioni e accordi, la decisione quadro non richiede per la sua operatività di essere ratificata dagli Stati membri, ma vincola i paesi appartenenti all'Unione a porre in essere, entro i limiti di tempo fissati nella decisione stessa, le necessarie procedure di adattamento del diritto nazionale alle disposizioni in essa contenute, lasciando tuttavia, al pari delle direttive comunitarie, piena discrezionalità a ciascuno Stato in ordine alle forme e ai mezzi da adottare per il raggiungimento dello scopo prefissato, non potendo la decisione stessa modificare direttamente le situazioni giuridiche soggettive dei cittadini (effetto che, invece, è proprio del regolamento comunitario).

 

Quanto al primo dei due provvedimenti sopra citati, attuativo del mandato d’arresto europeo, va ricordato che l’adozione nel 2002 da parte del Consiglio dell’Unione europea della decisione quadro 2002/584/GAI ha costituito una risposta all’ esigenza di superare ed eliminare la complessa e lunga procedura di estradizione, ritenuta ormai inadeguata ad uno spazio senza frontiere - caratterizzato da un alto livello di fiducia e di cooperazione reciproca tra gli Stati dell’Unione - e di sostituirla con una forma di consegna che superi gli inconvenienti solitamente legati ai rapporti di cooperazione interstatuali[3]. La decisione quadro definisce il mandato d’arresto europeo come una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto o della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata al fine di esercitare l’azione penale, di eseguire una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà. L’idea che costituisce il fondamento della decisione è quella secondo cui la cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione, in attesa di una maggiore omogeneizzazione delle legislazioni nazionali, può comunque poggiare sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. In tal senso, quindi, il riconoscimento reciproco è destinato ad operare per effetto della comune adesione all’acquis dell’Unione. La nuova disciplina introdotta dalla decisione quadro costituisce, quindi, una delle prime applicazioni del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie da parte degli Stati membri, affermato nella Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 sull’assistenza giudiziaria in materia penale, in conformità al titolo VI del Trattato dell'Unione europea, relativo allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (c.d. terzo pilastro). Secondo tale inedito modello, la cooperazione giudiziaria nell'ambito dei paesi aderenti all'Unione si deve fondare sulla libera circolazione dei provvedimenti emanati dall'autorità giudiziaria competente in conformità alla propria legislazione, costituenti titoli idonei a produrre effetti anche nel territorio di Stati diversi da quello nel quale sono stati adottati, in un clima di reciproca fiducia. In applicazione di tale principio, eliminata la fase politico-amministrativa che caratterizzava la disciplina sull'estradizione, l'esecuzione del mandato di arresto avviene attraverso contatti diretti tra le autorità giudiziarie nazionali, individuate sulla base degli ordinamenti statali.

Rinviando alle schede analitiche per un descrizione più dettagliata del contenuto del mandato d’arresto, in questa sede può ricordarsi che, oltre a poggiare sul già ricordato principio del mutuo riconoscimento, caratteristiche fondamentali del mandato d’arresto sono il venir meno di ogni valutazione politica in materia – rappresentando la consegna un fatto giudiziario nel quale il ruolo riservato all’autorità centrale è di mero supporto rispetto all’interlocuzione tra le autorità giudiziarie dei due paesi - e la parziale eliminazione del principio della doppia incriminazione; l’eliminazione è solo parziale poiché per un gruppo di reati considerati maggiormente significativi, e inseriti in un elenco soggetto ad opportuni aggiornamenti, la consegna avviene indipendentemente dalla doppia incriminazione - purché la legge dello Stato emittente vi riconnetta una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà personale superiore a tre anni -, per gli altri la consegna può essere subordinata alla condizione che essi siano considerati reato anche nello Stato richiesto. Inoltre è la stessa decisione quadro che prevede ipotesi di non esecuzione obbligatorie o facoltative. In caso di esecuzione del mandato sono invece assicurate al soggetto passivo una serie di garanzie, all’informazione, ad avere un’interprete, ad avere la necessaria assistenza di consulente e difensore, ad essere sentito, ad una decisione giudiziale che intervenga in tempi stretti.

Tuttavia l’iter parlamentare della proposta di legge (A.C. 4246) recante norme di recepimento della decisione quadro, della quale i deputati firmatari (Kessler, Finocchiaro, Bonito e Carboni) hanno successivamente ritirato la propria sottoscrizione, è stato piuttosto lungo e complesso: iniziato, infatti, presso la commissione giustizia della camera nel settembre 2003, si è concluso presso la medesima commissione, in sede deliberante, in terza lettura, nel marzo 2005.

Trattandosi infatti di regole e principi coinvolgenti la libertà personale e la tutela dei diritti giudiziari fondamentali il dibattito è stato molto articolato e in esso sono emerse posizioni diverse anche rispetto alle modalità per assicurare il rispetto dei principi costituzionali italiani. La legge 22 aprile 2005, n. 69 (v. scheda Mandato di arresto europeo), pertanto, dettando disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro, ha anche stabilito particolari condizioni e modalità diretti ad assicurare il rispetto di alcuni limiti. In primo luogo, l’obbligo dell’Italia di dare esecuzione al mandato di arresto europeo è stato subordinato alla condizione che il provvedimento cautelare in base al quale il mandato è stato emesso sia stato sottoscritto da un giudice e sia motivato o che la sentenza da eseguire sia irrevocabile[4]. Viene poi assicurato il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo. Inoltre le modifiche dell’articolo 2, paragrafo 2 della decisione quadro, che individua i reati che danno luogo a consegna indipendentemente dalla doppia incriminazione (cfr. supra), sono sottoposte dal Governo a riserva parlamentare. Tale riserva che, quale istituto generale è già disciplinata nel nostro ordinamento dalla legge 11/2005 (Partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), seguirà, per le modifiche all’articolo 2, par. 2 della decisione quadro, un iter particolare delineato dalla legge in esame. In tal senso il Presidente del Consiglio dei ministri trasmette alle Camere i relativi progetti di modifica, unitamente ad una relazione con la quale illustra lo stato dei negoziati e l'impatto delle disposizioni sull'ordinamento italiano, chiedendo di esprimersi al riguardo. La pronuncia non favorevole della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica è vincolante e non consente l'adesione dello Stato italiano alle modifiche proposte. Viene designato il Ministro della giustizia quale autorità centrale con compiti di assistenza delle autorità giudiziarie competenti. Vengono poi specificamente disciplinate la procedura passiva e attiva di consegna. Per quanto attiene alla procedura passiva, vale a dire all’esecuzione, in Italia, del mandato di arresto europeo emesso in un altro Stato membro, vengono stabilite le garanzie giurisdizionali mediante la definizione di un procedimento nel quale interviene la Corte d’appello, viene individuato puntualmente il contenuto del mandato d’arresto europeo,  viene, da un lato reintrodotto il principio della doppia punibilità – nel senso di stabilire, quale condizione per l’esecuzione del mandato da parte dell’Italia la circostanza che il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale -, dall’altro vengono stabilite una serie di ipotesi di consegna obbligatoria - vale a dire indipendentemente dalla doppia incriminazione - per fattispecie criminose ritenute di maggiore gravità; in tal senso il legislatore italiano, muovendosi nell’ambito delle facoltà ad esso concesse dal XII considerandum della decisione quadro[5] e dalla dichiarazione fatta dal Governo in sede di negoziato[6], sembra aver tenuto in considerazione le perplessità emerse nel corso dei lavori preparatori sul progetto di legge, circa la compatibilità della rinuncia al principio della doppia incriminabilità con il sistema costituzionale italiano e, più in particolare, con il principio di legalità. Vengono poi precisamente disciplinate tutte le fasi della procedura, prevedendosi, in particolare, un termine massimo per la decisione sulla richiesta di esecuzione. La legge delinea inoltre una serie di ipotesi di rifiuto della consegna quando il mandato di arresto sia stato emesso per perseguire penalmente un soggetto violando il principio di eguaglianza, se sussiste una causa di giustificazione per l’ordinamento italiano e in una serie di altri casi specificamente definiti. Vengono anche disciplinati il ricorso per cassazione e stabilito - conformemente alle previsioni della decisione quadro - il principio di specialità, in base al quale è posto il divieto di perseguire o restringere la libertà personale per fatti anteriori o diversi da quelli per cui è stata richiesta l’esecuzione del mandato. Al rispetto di tale principio sono, peraltro, introdotte specifiche eccezioni.

Per quanto attiene alla procedura attiva di consegna, vale a dire alla fase di emissione del mandato di arresto europeo, vengono stabiliti i casi in cui  tale competenza spetta al giudice e quelli in cui spetta al pubblico ministero presso quest’ultimo, i presupposti per l’emissione del mandato, il contenuto e i casi di perdita di efficacia dello stesso, nonché il principio di specialità e la computabilità del periodo di custodia cautelare sofferto all’estero. La legge si chiude dettando le disposizioni finali in tema di Obblighi internazionali, Norme applicabili e disposizioni transitorie.  

In linea generale la cooperazione tra Stati si articola, a livello comunitario, in quattro soggetti autonomi e distinti tra loro: Europol, che coordina le polizie nazionali e facilita gli scambi di informazioni e notizie tra gli organi di polizia degli Stati membri, la rete giudiziaria europea che ha funzioni in ambito di omologazione e coordinamento delle norme, ed Eurojust che è un organismo con compiti di coordinamento e supporto alle autorità giudiziarie statali[7]. L’istituzione di Eurojust è stata decisa dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 come unità di cooperazione giudiziaria permanente con il compito di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata e di assicurare il coordinamento delle attività svolte dalle autorità nazionali competenti in materia penale. Successivamente, nel corso della Conferenza intergovernativa di Nizza del dicembre 2000, i Capi di Stato e di governo hanno deciso di modificare l'articolo 31 del Trattato UE inserendovi la menzione e la descrizione delle attività di Eurojust. Proprio a seguito della Conferenza di Nizza il consiglio dei Ministri della Giustizia e degli Affari interni dell'Unione europea ha adottato una decisione (14 dicembre 2000) con la quale ha dato vita all’unità provvisoria di cooperazione giudiziaria, c.d. Pro-Eurojust, destinata ad operare fino alla definitiva istituzione di Eurojust. Ciò è avvenuto il 28 febbraio 2002, quando il Consiglio GAI ha adottato la Decisione che istituisce Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità (Dec. 28.2.2002, n. 2002/187/GAI). Eurojust rappresenta una novità molto importante nella cooperazione giudiziaria europea. Si tratta di un organismo, dotato di personalità giuridica e costituito da magistrati e funzionari di polizia appartenenti agli Stati membri che ha come obbiettivo la lotta alla criminalità organizzata transnazionale, e, più in particolare, quello di creare un fronte comune all’interno dell’Unione europea, ai fenomeni criminali che hanno una rilevanza di tipo extrastatale.

La nuova agenzia, dal punto di vista strutturale, è composta da 15 membri, uno per ogni Stato dell’Unione[8], eventualmente assistito da una o più persone. Sostanzialmente il nuovo organo può agire attraverso i componenti nazionali ovvero, a richiesta di questi, o in alcune ipotesi individuate di maggior rilievo, per il tramite del Collegio. L'ambito di competenza generale dell'Eurojust e' particolarmente ampio e riguarda: i reati per i quali e' competente l'Europol a norma dell'art. 2 della Convenzione del 26 luglio 1995 (ossia, traffico di stupefacenti; reati di terrorismo; tratta di esseri umani; organizzazioni clandestine di immigrazione; traffico di autoveicoli rubati, ecc.); specifiche forme di criminalita' (riciclaggio, frodi comunitarie, corruzione, criminalità informatica ed ambientale, partecipazione ad un'organizzazione criminale); altri reati connessi o collegati a quelli di cui ai punti 1. e 2. Nell’ambito delle proprie competenze Eurojust ha sostanzialmente funzioni di coordinamento e di impulso nelle indagini e azioni penali che vedano coinvolti almeno due stati membri o uno Stato membro e Stati terzi quando con questi siano stati conclusi accordi in tal senso da parte dell’organo di collegamento.

 

Il secondo dei provvedimenti attuativi di decisioni quadro, approvato dal Parlamento nel febbraio 2005, dopo un iter che ha impegnato le due Camere per poco più di un anno, la legge 14 marzo 2005, n. 41 (v. scheda Disciplina di attuazione di Eurojust) nasce dall’iniziativa legislativa del Governo che, nel settembre 2003, ha presentato il disegno di legge per conformare l’ordinamento italiano alla decisione quadro sulla istituzione di Eurojust. Tra i poteri del membro nazionale disciplinati dalla legge 41/2005, vanno ricordati quelli di richiedere alle autorità giudiziarie nazionali di avviare un’indagine o esercitare un’azione penale in relazione a determinati fatti, di istituire con esse una squadra investigativa comune e di partecipare alle attività di questa, di assistenza alle autorità medesime, su loro richiesta, al fine di assicurare un coordinamento ottimale delle indagini e delle azioni penali. Si tratta, quindi, di funzioni di supporto e di assistenza al coordinamento; mancano, invece, poteri  istruttori di tipo avocativo. Per quanto attiene ai poteri del collegio si tratta, sostanzialmente, di poteri di richiesta e di scambio di informazioni scritte relative a procedimenti penali anche in deroga al segreto istruttorio di cui all’articolo 329 c.p.p. Alle richieste dovrà rispondere – a seconda della fase del procedimento in cui ci si trovi – il pubblico ministero o il G.I. P. Sarà poi compito del P.M. competente, per i reati di competenza di Eurojust, a darne informazione al membro nazionale. La nomina del membro nazionale avviene con decreto del Ministro della giustizia, salva la facoltà del CSM di esprimere un parere sulla rosa dei candidati. La durata dell’incarico è di quattro anni, con possibilità di proroga per altri due. Pertanto, dall’esposizione che precede, emerge che Eurojust non è una magistratura europea vera e propria (una sorta di giurisdizione sopranazionale), ma un organismo di coordinamento tra i magistrati degli stati membri, dotato di poteri paragiurisdizionali molto incisivi  nei confronti delle autorità giudiziarie nazionali. Come evidenziato da più parti esso potrà costituire la prima tappa del percorso che conduce ad una procura europea che tuttavia, ancor più a monte, richiederebbe la creazione di un diritto penale e processual-penale europeo.

 

Nata dall’esigenza di dare attuazione all’accordo tra Italia e Svizzera del 10 settembre 1998, per rendere più agevole l’applicazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 (ratificata con legge 23 febbraio 1961, n. 215) nei rapporti bilaterali tra i due Paesi, la legge 5 ottobre 2001, n. 367[9], opera anche una serie di modifiche ed integrazioni al codice penale e processuale penale, con disposizioni destinate a produrre effetti non solo in relazione ai rapporti bilaterali italo-svizzeri ma, a regime, nei rapporti di mutua assistenza giudiziaria con tutte le autorità straniere (v. scheda Rogatorie internazionali). La materia trattata è in massima parte quella delle rogatorie internazionali, vale a dire dello strumento attraverso il quale un giudice chiede ad un altro giudice straniero di compiere atti processuali che esulano dalla sua giurisdizione. L’iter parlamentare del progetto di legge è stato piuttosto rapido impegnando le Camere per alcuni mesi: infatti il provvedimento presentato al Senato nel luglio 2001 – e approvato definitivamente da tale ramo del Parlamento nell’ottobre dello stesso anno -, riproduceva pressoché integralmente il contenuto di un disegno di legge presentato alla Camera nella precedente legislatura ed approvato dall’Assemblea di quest’ultima, ma il cui esame aveva dovuto arrestarsi a causa dello scioglimento delle Camere. Tuttavia sia nel corso della procedura d’esame parlamentare che dopo l’approvazione del provvedimento si sono sviluppati dibattiti relativi alla reale portata e significato delle disposizioni approvate. Sostanzialmente la legge, dopo aver dettato le  norme di applicazione dell’Accordo, dispone una serie di modifiche al codice penale e di procedura penale in tema di rogatorie passive, o dall’estero, vale a dire richieste ai giudici italiani, e di rogatorie attive, vale a dire di rogatorie da esperirsi all’estero e richieste dai magistrati italiani ai loro colleghi stranieri. Sono poi poste alcune disposizioni transitorie e finali. Ci si soffermerà, in questa illustrazione sulle innovazioni più significative sulle quali si è svolto un articolato dibattito parlamentare.

Vanno ricordate, in primo luogo, le modifiche agli articoli 696 (Prevalenza delle Convenzioni e del diritto internazionale generale) e 729 (Utilizzabilità degli atti assunti per rogatoria) c.p.p. Le modifiche all’articolo 696 hanno introdotto nel corpo della disposizione un richiamo esplicito alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria di Strasburgo del 1959. In conseguenza di tale richiamo si è sviluppato un ampio dibattito originato dal quesito se gli atti richiesti per rogatoria debbano essere trasmessi in originale o in copie munite di certificato di conformità (come sembrerebbe stabilire l’articolo 3 della Convenzione), o se sia invece sufficiente una trasmissione in copia accompagnata dalla sola nota ufficiale di trasmissione promanante dall’autorità richiesta. Inoltre l’articolo 729 c.p.p., così come novellato, sanziona con l’inutilizzabilità gli atti acquisiti o trasmessi in violazione dell’articolo 696 e quindi della Convenzione. L’inutilizzabilità ha carattere assoluto poiché rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento ed sanabile solo mediante rinnovazione dell’atto da parte dell’Autorità richiesta, laddove ciò sia possibile. Peraltro, la prevista applicazione delle nuove disposizioni anche ai procedimenti in corso, comporta la necessità di ripetere le rogatorie già espletate non in regola con le predette formalità. Va rilevato, a tale proposito, che la questione di costituzionalità sollevata in proposito dal Tribunale di Roma (avente per oggetto gli articoli 727, comma 5 bis, e 729 c.p.p., nonché l’articolo 18 della legge 367/2001), è stata definita dalla Corte medesima con ordinanza di manifesta inammissibilità (ordinanza 315/2002)[10].

Va poi ricordata la legge 2 agosto 2002, n. 181[11] (v. scheda Tribunale internazionale per il Ruanda), diretta a garantire la cooperazione giudiziaria dell’Italia con il Tribunale internazionale competente per le gravi violazioni del diritto umanitario commesse in Ruanda e negli Stati vicini, istituito in base alla risoluzione ONU n. 955 del novembre 1994, successivamente integrata dalla risoluzione n. 1165 del 1998, adeguando in tal modo la legislazione italiana alle prescrizioni delle citate risoluzioni e dello statuto del tribunale ivi annesso. La legge detta disposizioni relative ai procedimenti, al riconoscimento delle sentenze del tribunale internazionale, all’esecuzione della pena, alla cooperazione giudiziaria ed alle varie misure restrittive della libertà personale.

 

Va infine ricordata l’approvazione, sul finire della legislatura, della legge 16 marzo 2006, n. 146[12], avente per oggetto la Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottata dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001. Rinviando alla parte analitica per una trattazione più compiuta del provvedimento (v. scheda Criminalità organizzata transnazionale), in questa sede va sinteticamente ricordato che la Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale ed i suoi Protocolli sono stati elaborati dalla Commissione ad hoc istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite: a seguito dell’emergere di nuove forme di cooperazione tra organizzazioni criminali a livello transnazionale, più evidente a partire dagli anni novanta, la comunità internazionale ha ritenuto infatti di doversi dotare di strumenti per combattere efficacemente questa nuova forma di criminalità.  La legge 146/2006, oltre a fornire la definizione di reato transnazionale rilevante ai fini delle nuove disposizioni, e a nominare il Ministro della giustizia quale autorità centrale prevista dalla Convenzione, detta una serie di disposizioni di natura penale e processual-penale, introducendo anche una serie di modifiche a regime di disposizioni riguardanti specifici settori, come quelle concernenti il riordino della disciplina delle operazioni sotto copertura.

Vengono dettate anche norme in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.



[1]    La legge reca: Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.

[2]    La legge reca: Disposizioni per l'attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell'Unione europea, che istituisce l'Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità.

[3]    Sui contenuti della decisione quadro cfr. D. Manzione, Il mandato di arresto europeo, in La legislazione penale 2002, n. 4

[4]    Per un commento articolato sul contenuto della legge 69/2005, cfr. Guida al diritto , 2005, n. 19

[5]    Ai sensi del XII Considerandum  “La presente decisione quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, al rispetto del diritto alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione.” 

[6]    “Per dare attuazione alla decisione quadro sul mandato di cattura europeo il Governo italiano dovrà avviare le procedure di diritto interno per rendere la decisione quadro stessa compatibile con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, e per avvicinare il suo sistema giudiziario e ordinamentale ai modelli europei, nel rispetto dei principi costituzionali.

[7]    Per un compiuto esame dei contenuti della legge 41/2005, si veda D.Borsellino, Riflessione sulla legge n. 41/2005 di attuazione della Decisione istituitva di Eurojust, in Rivista sul diritto penale d’impresa 2006.

[8]    Per un commento alla decisione quadro 2002/187/GAI, cfr. D. Manzione, Eurojust e squadre investigative comuni, in La legislazione penale 2002, n. 4

[9]    La legge reca: Ratifica ed esecuzione dell' Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l' applicazione, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonche' conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale

[10] Per un commento ed un’illustrazione dei contenuti dell’ordinanza della Corte cfr Adele Anzon, Il nuovo regime delle rogatorie internazionali tra problemi interpretativi e censure di incostituzionalità e Chiara de Simone, La decisione della Corte costituzionale sulle rogatorie internazionali: ordinanza n. 315 del 2002, dal sito dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. 

[11] La legge reca: Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini

[12] La legge reca: Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall' Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001