Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Rinvio interpellanza urgente Raiti n. 2-00026)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso del presentatore, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Raiti n. 2-00026 è rinviato ad altra seduta.
Pag. 88(Misure a favore della popolazione di Vibo Valentia colpita dall'alluvione del 3 luglio 2006 - n. 2-00083)
PRESIDENTE. L'onorevole Misiti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00083 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il recente evento alluvionale di Vibo Valentia ha provocato quattro morti, tra cui una bambina di 16 mesi, e danni che sono stati valutati, in una prima fase, in 50 milioni di euro. Questo avvenimento è dovuto, secondo la Protezione civile, ad un dissesto idrogeologico causato anche da attività costruttive non autorizzate e ad un degrado delle condizioni dei torrenti, dei fiumi e dei fossi che percorrono le zone dell'evento alluvionale.
La regione Calabria è dotata di un piano di assetto idrogeologico tra i più avanzati e dettagliati, in cui tutto il territorio è suddiviso in zone a rischio. Quelle zone erano considerate a rischio maggiore (cosiddetto R4). Naturalmente, tutte le zone ritenute a rischio devono essere prese in considerazione dai piani regolatori, nonché dai comuni, prima di concedere qualunque licenza edilizia.
Evidentemente, tali zone considerate a rischio possono essere trattate con interventi particolari per ridurre il rischio da R4 a R3 o a R2; dopodiché, si possono svolgere anche attività abitative dell'uomo. Per ridurre tale rischio, però, è necessario procedere ad interventi di sistemazione idrogeologica abbastanza costosi, e per questa regione erano stati previsti investimenti per circa 3 mila miliardi di lire (allora, c'erano ancora le lire). I progetti presentati dai comuni che non sono stati finanziati hanno provocato un ritardo nell'attuazione del piano di assetto idrogeologico.
Nella mia interpellanza urgente si vuole mettere in rilievo che non è il caso di intervenire soltanto a posteriori, con un'attività di risanamento, e non è assolutamente il caso di procedere ancora per emergenze, ma è necessario intervenire in via preventiva.
Quindi, ritengo - e il Parlamento dovrebbe essere d'accordo con me - che in tutti questi casi si debba suggerire al Governo una politica della prevenzione piuttosto che una politica dell'emergenza. Credo che non debba sempre essere la Protezione civile ad intervenire, ma debbano essere gli organi dello Stato, della regione, della provincia e dei comuni a farsi carico degli interventi di prevenzione, sempre che le risorse economiche siano adeguate.
Con l'interpellanza in esame vorrei sapere dal Governo se sono previste iniziative non solo per fare fronte all'emergenza dovuta ai danni immediati che sono stati arrecati a quel territorio, tenendo presente che in questi giorni vi sono state manifestazioni che hanno bloccato le stazioni ferroviarie.
Occorrono non solo, quindi, interventi per superare l'emergenza, ma interventi di prevenzione duraturi per finanziare di fatto il piano di assetto idrogeologico vigente, che la regione Calabria può realizzare solo se viene aiutata dallo Stato.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, onorevoli interpellanti, la risposta del Governo è articolata, complessa e penso anche completa, in relazione alle questioni poste.
Il 2 luglio, il centro funzionale centrale del Dipartimento della protezione civile ha previsto per il giorno successivo, nella regione Calabria, la possibile manifestazione di un livello di criticità idrogeologica ed idraulica, generata da eventuali precipitazioni piovose, almeno ordinaria, intendendo per ordinaria criticità, ai sensi della direttiva PCM 27 febbraio 2004, una realtà di accadimento che preveda anche effetti significativi, quali l'eventuale manifestarsi di improvvise alluvioni istantanee di brevissimaPag. 89durata, l'innesco di locali smottamenti superficiali, la caduta di massi ed alberi, con una occasionale pericolosità per l'incolumità delle persone.
Infatti, il 3 luglio, il territorio del comune di Vibo è stato interessato da fenomeni piovosi di eccezionale intensità, che in particolare hanno riguardato i comuni di Brognaturo, Gerocarne, Pizzoni, San Nicola da Crissa, Serra San Bruno, Simbario, Spadola, Vazzano e Vibo Valentia.
Da un attento esame dell'evoluzione degli eventi e della situazione in cui versa il territorio interessato, emerge che, nel territorio comunale, le frazioni di Longobardi e delle Marinate sono state le zone maggiormente colpite dall'evento. In proposito, va evidenziato che il piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico adottato dalla regione Calabria, a cui gli interpellanti fanno riferimento, definisce queste località come aree a rischio elevato o molto elevato. In particolare, nella frazione delle Marinate, il piano di assetto idrogeologico ha identificato gran parte delle frazioni di Porto Salvo e di Bivona, separate dal torrente Sant'Anna, quali zone a rischio idraulico anche molto elevato, a causa di uno sviluppo urbanistico ed abitativo in parte non autorizzato e di una carente regimazione dei tratti terminali di torrenti e fossi, della loro interazione con la linea ferroviaria secondaria e con la viabilità statale e provinciale, ma soprattutto derivante dalla mancanza di adeguati ed affidabili sistemi fognanti e di una adeguata regimazione delle acque di prima pioggia.
Una simile situazione si è verificata nella frazione di Vibo Marina, zona non individuata a rischio idraulico dal PAI.
In tale zona, già prima del luglio 2006, si sono verificati con frequenza meno che annuale vasti allagamenti conseguenti ad eventi piovosi ordinari. Ciò è stato determinato sia dalle già richiamate carenze infrastrutturali, sia dalla concomitante presenza di un insediamento abitativo non autorizzato, peraltro di oltre 1.200 abitanti, su un terreno demaniale nel quartiere Pennello e della sussistenza nel nucleo industriale di strutture impiantistiche e produttive soggette al rischio di incidente rilevante.
Diverso sviluppo ha assunto l'evento nella frazione Longobardi, dove i fattori di vulnerabilità esistenti e prevedibili sono stati rappresentati da uno sviluppo edilizio che, seppure non particolarmente intenso, non ha tenuto conto del fragile equilibrio idrogeologico dei versanti, caratterizzato da una presenza ben identificata dal PAI di frane quiescenti e frane attive. È, infatti, in questa frazione che si è registrato il maggior numero di vittime ed è su questo versante che l'evento del 3 luglio ha inciso più profondamente.
Pertanto, i fattori responsabili della gravità dell'evento non sono stati costituiti esclusivamente dalle abbondanti piogge, ma anche dallo stato in cui versa il territorio, caratterizzato da una particolare vulnerabilità e da un'assenza di regolamentazione. L'insieme dei fattori sopra richiamati è stato dunque responsabile della perdita di vite umane, oltre che di esondazioni, allagamenti, smottamenti, frane e danni significativi alle infrastrutture, nonché alle strutture abitative e produttive.
Al riguardo, preme evidenziare che al verificarsi di avvenimenti simili gli strumenti disponibili per prevenire e fronteggiare tale situazione in tempo reale, attraverso un'azione di protezione civile, sono decisamente esigui. Infatti, ben altro impatto ha una sistematica azione di promozione dell'attività di prevenzione e di previsione, che rientra nell'ambito delle attività ordinarie del governo del territorio e delle risorse ambientali.
L'evento del 3 luglio, quindi, sovrapponendosi ad una già inaccettabile situazione di disequilibrio territoriale, di mancata regimazione quantitativa e qualitativa delle acque e di pericolosità idrogeologica ed idraulica, ha determinato ulteriori e più critiche condizioni di disagio e di esposizione al rischio delle popolazioni e dei beni, nonché dell'intero ambiente.
Si reputa opportuno, a questo punto, fornire alcuni cenni relativi all'evoluzione ed alla gestione dell'evento. FenomeniPag. 90temporaleschi hanno avuto inizio alle ore 9, interessando sia la costa ionica, sia quella tirrenica, con precipitazioni insistenti che hanno raggiunto valori cumulati in quattro-sei ore superiori ai 200 millimetri e hanno manifestato la massima intensità oraria, pari a 130 millimetri, dalle ore 11,30 alle ore 12,30 sul centro abitato di Vibo Valentia. La precipitazione in questione ha costituito l'evento più intenso registrato dal 1928, anno in cui è iniziata nella zona una sistematica e continua rilevazione delle precipitazioni.
In esito all'attività di vigilanza, alle ore 9,30, il prefetto di Vibo ha attivato il pattugliamento del territorio da parte delle Forze dell'ordine contribuendo, così, in maniera determinante alla salvaguardia delle vite umane.
Altresì, la regione ha emesso alle ore 12 un avviso di criticità per l'evento in atto trasmesso a ben 32 comuni regionali, di cui 18 appartenenti alla sola provincia di Vibo Valentia. È appena il caso di rappresentare che la procedura adottata nell'emissione dell'avviso, basata sul superamento di soglie pluviometriche adeguatamente calibrate e convenute, pur essendo l'unica attuabile, risulta decisamente insufficiente nel caso di tale tipologia di eventi.
L'evoluzione della situazione sul territorio, monitorata dall'unità di crisi del Dipartimento della protezione civile in contatto costante con la regione e l'ufficio territoriale del governo di Vibo Valentia, tempestivamente attivata per fronteggiare l'emergenza e dare il supporto necessario alle attività presidiate anche dalle autorità locali, si è presentata immediatamente nella sua drammaticità. Quattro vittime, di cui due guardie giurate, una bambina, a causa di una frana sulla strada statale 18, ed un pastore folgorato da un fulmine. Settantasette feriti, di cui tredici ricoverati presso l'ospedale di Vibo Valentia, ed uno in prognosi riservata; un ferito transitato all'ospedale di Tropea e due all'ospedale di Lamezia Terme. Trecentosei evacuati, di cui 183 dal residence Lido degli aranci e 123 da residenze private, alloggiati presso strutture alberghiere e strutture scolastiche di Vibo Marina e Bivona.
Data la gravità della situazione, il capo del Dipartimento della protezione civile, nel pomeriggio del 3 luglio, si è recato sui luoghi colpiti dall'alluvione, accompagnato dagli esperti e dai tecnici del dipartimento, ed è stato raggiunto nella giornata di martedì 4 luglio, oltre che dal sottosegretario agli interni Marco Minniti e dal presidente della regione Agazio Loiero, dal Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi e dal ministro dei trasporti Bianchi.
Per far fronte ad un'emergenza nella quale, in un territorio limitato, le persone coinvolte sono state più di 4 mila e dove l'interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica ha causato conseguenze devastanti anche sul funzionamento del sistema fognario e delle acque afferenti agli acquedotti serventi le frazioni di Vibo Marina, Bivona e Porto divenute non potabili, sono intervenute le strutture operative e le componenti del servizio nazionale della protezione civile, con in media oltre mille uomini e trecento mezzi coordinati dal centro coordinamento dei soccorsi, istituito dal prefetto con il supporto del Dipartimento della protezione civile nazionale presso la scuola di polizia di Vibo Valentia. L'area delle operazioni è stata suddivisa in quattro macrozone operative, in ognuna delle quali il coordinamento operativo è stato affidato ad un funzionario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In virtù della nuova concezione promossa dal Dipartimento della protezione civile, fondata sul convincimento che, privilegiando un'adeguata attività di prevenzione, si giunga alla riduzione del fattore di rischio e, di conseguenza, del verificarsi di eventi, già durante la prima fase dei soccorsi sono state avviate altre azioni assolutamente necessarie.
In primo luogo, il censimento ed il monitoraggio degli effetti idraulici ed idrogeologici conseguenti all'evento. In secondo luogo, il censimento dei danni svolto, anche a seguito di oltre seicento richieste, da circa dieci squadre impegnatePag. 91giornalmente sul territorio, formate da tecnici della regione Calabria, della regione Sicilia, dell'autorità di bacino regionale, del Dipartimento della protezione civile nazionale e da professionisti del luogo, indicati dagli ordini degli ingegneri, architetti e geologi. In terzo luogo, la promozione di un'attività di pronto intervento idraulico ed idrogeologico a ripristino, ancorché parziale, e a difesa degli argini e dell'officiosità idraulica del torrente Sant'Anna e degli altri fossi che attraversano gli abitati della marina di Vibo.
Notevole impegno, inoltre, è stato profuso nel contenere i danni e gli impatti ambientali, ma certamente soprattutto la tipologia degli effetti. In proposito, preme evidenziare che, fin dall'inizio delle azioni di protezione civile nel tratto costiero antistante le marinate di Vibo, è stato garantito un presidio continuativo della guardia costiera e del Ministero dell'ambiente. Tra le varie problematiche emerse, la rimozione dei fanghi e dei materiali alluvionali, conseguenti alla pulizia delle strade e delle abitazioni, che inizialmente ha incontrato notevoli difficoltà, successivamente è stata attuata grazie alle tempestive analisi condotte dall'Agenzia regionale protezione ambiente della Calabria (ARPACAL), che ha identificato i siti resi poi temporaneamente disponibili con ordinanze del commissario delegato per l'emergenza ambientale. Altresì, particolare attenzione è stata riposta nel ripristino del funzionamento degli impianti di depurazione delle aree industriali e nella successiva rimozione dei fanghi, che, peraltro, avevano la sospetta presenza di idrocarburi.
È, tuttavia, evidente che quanto trasportato a mare, nella fase alluvionale parossistica, da torrenti e fossi, nonché dal sistema della viabilità e successivamente, per alcuni eventi minori e per l'insufficiente funzionamento dei sistemi fognari e drenanti, pone un problema di bonifica ambientale che va direttamente ad impattare sulle condizioni igienico-sanitarie della popolazione residente in loco e sul settore produttivo, il turismo balneare e costiero.
Il 13 luglio, è stato indetto presso la sede dell'amministrazione provinciale, alla presenza del presidente della medesima, dell'assessore regionale all'ambiente, dei sindaci di Pizzo e Vibo Valentia, del Ministero dell'ambiente e per la tutela del territorio, dei commissari dell'ARPACAL, dell'Istituto centrale per la ricerca in ambiente marino (ICRAM) e della prefettura di Vibo Valentia, un incontro per promuovere, coordinare e reperire i finanziamenti necessari: alla identificazione e all'allontanamento di relitti ingombranti presenti sui fondali prospicienti le marinate di Vibo, a cura della regione e sotto il coordinamento operativo della guardia costiera; alla caratterizzazione dello stato delle coste, del mare e dei fondali, sempre di fronte alle marinate di Vibo, nonché al piano degli interventi necessari alla bonifica, a cura dell'ICRAM-MATT; alla redazione di un piano di riattivazione e adeguamento dei sistemi fognari e depurativi presenti e che insistano sulle aree colpite; alla revisione e all'adeguamento del sistema di approvvigionamento idrico del comune di Vibo.
In linea di massima, i progetti indicati, per essere realizzati efficientemente, devono superare due ordini di problemi: il reperimento dei fondi necessari, anche al di fuori del Fondo nazionale di protezione civile, e l'immediato raccordo e coordinamento tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Calabria, il commissario delegato per l'emergenza ambientale in Calabria ed il commissario delegato per gli eventi del 3 luglio 2006 nella provincia di Vibo Valentia e negli altri comuni colpiti.
È bene richiamare il fatto che i comuni già riconosciuti come colpiti dall'evento in forma più o meno grave sono almeno 9 e che l'attività di censimento dei danni, già effettuata in dettaglio sul territorio del comune di Vibo, è stata estesa anche ad altri 25 comuni, comprese le province di Catanzaro e di Reggio Calabria.Pag. 92
Infine, quanto alle necessarie misure di protezione civile che il Governo intende assumere, si rappresenta che, data l'eccezionalità dell'evento calamitoso in argomento, il 7 luglio 2006, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Vibo Valentia e, contemporaneamente, è stata emanata l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531, recante interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni di Vibo del giorno 3 luglio 2006.
Il presidente della regione Calabria, inoltre, è stato nominato commissario delegato per provvedere alla individuazione dei comuni colpiti dall'alluvione, alla realizzazione dei primi interventi urgenti diretti al soccorso della popolazione ed alla rimozione delle situazioni di pericolo. Ulteriori interventi di sostegno alla popolazione sono stati previsti nell'ordinanza che autorizza l'erogazione di un contributo per l'autonoma sistemazione dei nuclei familiari.
Altri primi finanziamenti sono stati previsti per avviare la ripresa delle attività produttive danneggiate come, ad esempio, quelle turistiche, agricole ed artigiane.
Inoltre, è stata disposta la sospensione dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti tributari che scadevano il 3 luglio, differiti al 15 dicembre 2006.
Per ulteriori informazioni si rappresenta che, a seguito della pubblicazione in data 13 luglio sulla Gazzetta ufficiale, considerate attuate le operazioni di soccorso alla popolazione, nonché gli interventi tecnici urgenti, il prefetto di Vibo Valentia ha disposto per il giorno successivo, con proprio decreto, la cessazione delle attività e delle relative funzioni di coordinamento del centro coordinamento soccorsi.
Inoltre, il commissario delegato-presidente della regione Calabria, con propria ordinanza n. 1 del 14 luglio 2006, ha previsto l'organizzazione del sistema locale di gestione degli adempimenti previsti dall'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3531, definendo ruoli e attribuzioni dei soggetti attuatori di cui all'articolo 2 della predetta ordinanza, individuando nei sindaci dei comuni interessati, coordinati dal sindaco di Vibo, per le materie di comune interesse, nonché nel presidente dell'amministrazione provinciale di Vibo Valentia, nella camera di commercio, industria e artigianato di Vibo Valentia e nell'ANAS. È stata stabilita, altresì, la costituzione di una struttura tecnica di supporto all'operato del commissario delegato.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, nell'ambito dell'indagine condotta sul fabbisogno finanziario necessario per la sistemazione dei bacini, ha verificato un fabbisogno finanziario per il territorio nazionale di 40 miliardi di euro. Per il territorio della regione Calabria, il fabbisogno complessivo è di 1.537 milioni di euro per la realizzazione di 662 interventi necessari.
In relazione a tale fabbisogno, nella regione Calabria, con le risorse di cui alla legge n. 183 del 1989, sono stati finanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal 1991 ad oggi, interventi per un importo complessivo di 155 milioni di euro, a fronte di una media nazionale di 157 milioni di euro. Nella provincia di Vibo sono stati finanziati, nello stesso periodo, 16 interventi, per 6 milioni di euro.
Con le risorse di cui al decreto-legge n. 180 del 1998 sono stati finanziati nella regione Calabria, dal 1998 ad oggi, 164 interventi urgenti, per un importo complessivo di 96 milioni di euro, a fronte di una media nazionale di 71 milioni di euro. Nella provincia di Vibo Valentia sono stati finanziati, nello stesso periodo 23 interventi, per 12,5 milioni di euro.
Per quanto riguarda gli interventi tesi a reperire stanziamenti e più generale le iniziative di prevenzione, in primo luogo il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiederà, in sede di Consiglio dei ministri, un adeguato finanziamento dell'ordinanza di emergenza emanata dopo la tragedia di Vibo. Con specifico riferimento alla difesa del suolo, lo stesso ministro Pecoraro Scanio ha stanziato 3,9 milioni di euro per la regionePag. 93Calabria da destinare a progetti che la regione stessa presenterà e per i quali il ministro dell'ambiente ha assicurato una corsia preferenziale per l'approvazione, anche alla luce degli oltre 600 punti critici già censiti dalla regione Calabria.
Il ministro Pecoraro Scanio, ricordando l'impegno assunto dal Presidente Prodi nel corso della visita nei luoghi dell'alluvione, si è anche impegnato a reperire altri 2 milioni di euro da destinare ad interventi strutturali di difesa del suolo per la zona di Vibo Valentia e si attiverà nei confronti di altri ministeri, quali quelli delle infrastrutture e dello sviluppo economico, affinché vi siano altri impegni economici.
Inoltre, nel corso della riunione tenuta il 26 luglio 2006 presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si è fatto il punto sulle altre iniziative da assumere a seguito della tragedia di Vibo Valentia. All'incontro erano presenti il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, il presidente della regione Calabria Agazio Loiero, il vicepresidente Nicola Adamo, il viceministro dell'interno Marco Minniti, dirigenti del Ministero dell'ambiente, della regione e del Dipartimento della protezione civile.
Dall'incontro di ieri è nato l'impegno di collaborazione tra le strutture tecniche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Calabria, per identificare e attuare una serie di interventi per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico, con particolare riferimento alle azioni di manutenzione del territorio e di mitigazione del rischio da erosione costiera.
Tali interventi possono attuarsi attraverso le seguenti fonti di finanziamento: in primo luogo, fondi nazionali o regionali che si renderanno disponibili, anche sulla base della dotazione finanziaria che sarà inserita nelle prossime leggi di bilancio e finanziaria.
In secondo luogo, il Quadro strategico nazionale (QSN) 2007-2013, che sarà approvato nell'articolazione definitiva in programmi nazionali e regionali entro il mese di settembre 2006, costituirà certamente il quadro di riferimento fondamentale per la programmazione dei fondi comunitari nel periodo 2007-2013 (il Parlamento europeo ha stabilito, di recente, che verranno assegnate all'Italia risorse complessive pari a 25,7 miliardi di euro).
Una terza fonte di finanziamento, infine, è rappresentata dall'Accordo di programma quadro sulla difesa del suolo e l'erosione delle coste, che prevede risorse del CIPE già disponibili, pari a 45 milioni di euro. Tale Accordo, attualmente in fase di discussione con i competenti uffici della regione Calabria, verrà siglato entro il 30 settembre 2006.
Per quanto riguarda, più in generale, la definizione degli interventi di difesa del suolo a livello nazionale, il ministro Pecoraro Scanio, nel corso della riunione tenutasi con le regioni lo scorso 28 giugno, ha già attivato fondi pari a 90 milioni di euro sul territorio nazionale, che verranno erogati sulla base delle effettive priorità delle regioni per interventi di prevenzione e di mitigazione del rischio idrogeologico. Tali interventi verranno sottoposti ad un'istruttoria tecnica tesa, tra l'altro, a verificare il rispetto dei criteri dettati dalle norme in vigore, la coerenza con i piani di assetto idrogeologico e la pronta cantierabilità degli interventi medesimi.
Inoltre, è stato concordato, con il parere favorevole del ministro Pecoraro Scanio, di procedere celermente all'attuazione del piano straordinario di telerilevamento per le aree ad elevato rischio idrogeologico disseminate sull'intero territorio nazionale.
L'attuazione di tale piano consente: la verifica ed il monitoraggio dei movimenti franosi e dei fenomeni di subsidenza mediante tecniche di telerilevamento ad alta precisione; la verifica degli effetti e dell'estensione territoriali delle piene di corsi d'acqua, con particolare attenzione per le aree densamente antropizzate; la mappatura integrativa da telerilevamento (aereo e/o satellitare) ad alta risoluzione spaziale delle caratteristiche geomorfologiche, vegetazionali ed infrastrutturali delle aree suddette; la realizzazione, infine, di un sistema di conoscenze condiviso e centralizzato.
PRESIDENTE. La ringrazio, signor sottosegretario, per aver fornito una risposta così dettagliata.
Le ricordo, tuttavia, che dovrà rispondere anche ad un'altra interpellanza, e pertanto le saremmo grati se riuscisse a produrre un ulteriore sforzo di sintesi, date le caratteristiche delle interpellanze a risposta orale, che non sono le stesse delle interrogazioni a risposta scritta.
Comunque, signor sottosegretario, vorrei dirle che abbiamo sicuramente apprezzato la precisione con cui lei ha risposto all'interpellanza.
Il deputato Misiti ha facoltà di replicare.
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, interverrò brevemente, poiché la risposta fornita è stata molto esauriente. Si è trattato dell'occasione per affrontare un tema molto importante non solo per la Calabria, ma anche per l'intero paese.
Ringrazio il sottosegretario di Stato Colonnella, il ministro Pecoraro Scanio ed il presidente della Calabria, poiché hanno affrontato e stanno tuttora affrontando, assieme al viceministro dell'interno Minniti, con molta determinazione tale questione. Vorrei altresì ringraziare la Protezione civile, la quale si è sempre prodigata nell'aiutare le popolazioni colpite da questi avvenimenti rischiosi.
Mi congratulo, quindi, con il Governo, anche se vorrei rilevare che si tratta di un metodo che dovrebbe essere adottato con continuità, e non soltanto in queste occasioni, poiché sia il territorio della Calabria, sia quello nazionale sono molto fragili; pertanto, abbiamo bisogno di svolgere un'azione preventiva in tutto il paese.
(Iniziative per il rispetto delle direttive comunitarie in materia di caccia - n. 2-00069)
PRESIDENTE. L'onorevole Zanella ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00069 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, l'interpellanza urgente in esame, ancora una volta (dico ancora una volta perché nella precedente legislatura avevo presentato un'interpellanza avente lo stesso oggetto) concerne la legge della regione Veneto, la n. 13 del 12 agosto 2005, che ha consentito la caccia a sette specie di uccelli protetti dalla direttiva comunitaria 79 /409/CE e dalla legge n. 157 del 1992. La caccia è consentita per un arco di cinque anni, ovvero dal 2005 al 2010, in tutte le forme quali l'appostamento temporaneo, quello fisso e quello vagante. Le sette specie di uccelli sono il fringuello, la peppola, il passero, la passera mattugia, la tortora dal collare, lo storno e il cormorano. Ciò significa che sono a rischio ben 159 milioni di uccelli, per cinque giorni alla settimana, senza che sia stato previsto dalla legge alcun controllo aggiuntivo.
Pongo in rilievo, inoltre, che la Commissione europea, dopo aver preso in esame numerosi e documentati esposti presentati dalla Lega per l'abolizione della caccia del Veneto, ha constatato che la regione Veneto ha concesso la caccia a queste specie di uccelli protetti in palese violazione della direttiva citata. Il 12 ottobre del 2005 la Commissione europea aveva trasmesso, contro la legge regionale del Veneto, la prima comunicazione, la cosiddetta messa in mora. Il 10 aprile 2006 il Commissario all'ambiente, Dimas, su decisione della Commissione europea, aveva scritto per la seconda volta al Governo italiano un cosiddetto parere motivato, in riferimento al reclamo per la violazione della «direttiva uccelli» da parte della regione Veneto.
Ora, poiché la Commissione europea ha comunicato il 29 giugno 2006, attraverso una nota, il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia europea, ci troviamo nella situazione in cui, ancora una volta, il nostro paese rischia di essere condannato al pagamento di una multa milionaria con grave danno, oltre che per la fauna selvatica, anche per le casse dello Stato e, indirettamente, per le tasche dei contribuenti.Pag. 95
La Lega per l'abolizione della caccia del Veneto ed io stessa, sia nelle mie interpellanze sia nei momenti di confronto, anche informali, con i rappresentanti del Governo, abbiamo chiesto che il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri competenti annullino, così come previsto dalla legge, quella normativa regionale veneta, approvata in palese violazione della direttiva europea.
In conclusione, con la mia interpellanza urgente si chiede al Governo come intenda intervenire al riguardo. Ricordo, inoltre, che, al di fuori della ritualità e dell'ufficialità degli atti di sindacato ispettivo, su questa problematica vi è anche un impegno assunto dall'Unione con una precisa previsione programmatica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Onorevole Presidente, onorevoli interpellanti, il Governo intende assumere positivamente lo spirito segnalato dall'interpellanza in oggetto. Riteniamo che si tratti di una questione di particolare rilevanza.
Il Governo ha intenzione di esaminare in uno dei prossimi Consigli dei ministri un decreto-legge con il quale saranno individuate una serie di misure urgenti per l'esercizio dell'attività venatoria e, nello specifico, il divieto di esercitare tale attività in deroga all'articolo 9, lettera c), della richiamata direttiva 79/409.
Nel decreto-legge vi sarà anche una disposizione che prevede la predisposizione di un decreto del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, al fine di individuare le specifiche tipologie ambientali di riferimento, sulla base dei criteri ornitologici indicati nella direttiva sopra indicata. Con lo stesso decreto, saranno determinati i requisiti minimi relativi alle misure di conservazione e le modalità di esercizio del potere di deroga, ai sensi dell'articolo 9, lettere a) e b), della direttiva suddetta.
Sarà, inoltre, prevista la modifica dell'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, prevedendo che le deroghe costituiscono un provvedimento assolutamente eccezionale, specificatamente motivato, disposto solo in assenza di altre soluzioni e, comunque, in base all'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni di fatto stabiliti rigorosamente dall'articolo 9 della direttiva 79/409.
PRESIDENTE. La deputata Zanella ha facoltà di replicare.
LUANA ZANELLA. Ringrazio il rappresentante del Governo, la cui risposta mi trova speranzosa sul fatto che esso applichi in maniera precisa e puntuale quanto esposto nella risposta appena data.
Ci tengo a sottolineare che il nostro Istituto nazionale per la fauna selvatica aveva già formulato rilievi importanti rispetto alla illegittimità della legge regionale veneta sulla caccia. Ci troviamo di fronte, infatti, ad una situazione per cui una legge regionale degrada ad illecito amministrativo una condotta che in altre parti del territorio nazionale continua ad essere penalmente repressa.
Mi riferisco ad una sentenza che ha visto condannare un cacciatore della provincia di Verona ad una sanzione di 800 euro e al pagamento delle spese processuali per avere abbattuto otto fringuelli. Naturalmente, la legge sulle deroghe nel Veneto non trova neppure tranquilla la giurisprudenza dal punto di vista dell'applicazione della legge, vista la presenza di contenziosi.
La necessità di fare chiarezza e di ripristinare anche il rispetto della normativa nazionale ed europea risponde anche alle esigenze dei cacciatori, di quelli che tante volte non hanno visto, nella tendenza ad esasperare la possibilità di cacciare, una risposta neppure ai loro specifici interessi.
Mi auguro, dunque, che il Governo si attivi quanto prima, perché la stagionePag. 96della caccia è alle porte (si tratta veramente di una manciata di settimane). Non possiamo consentire che la fauna selvatica sia sottoposta ad un'aggressione e che l'Italia sia addirittura condannata.
Attraverso il cosiddetto decreto Bersani, in discussione presso le competenti Commissioni, abbiamo rilevato che uno dei motivi per i quali vi è stata la necessità di scegliere lo strumento della decretazione d'urgenza è che lo Stato italiano potrebbe pagare milioni e milioni di euro per le infrazioni, una delle quali è quella che noi Verdi abbiamo cercato di trattare e di porre all'attenzione attraverso la nostra interpellanza.
(Pubblicazione di notizie concernenti la provenienza delle bombe usate da Israele verso il Libano - n. 2-00082)
PRESIDENTE. La deputata Deiana ha facoltà di illustrare l'interpellanza Migliore n. 2-00082 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), di cui è cofirmataria.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, solleviamo tale questione con grande forza, in parte perché ha riflessi sul programma dell'Unione, che abbiamo sottoscritto, in parte perché riveste una grandissima importanza nell'attualità politica, soprattutto in relazione alle drammatiche vicende che si stanno sviluppando in Medio Oriente.
Pensiamo che la Conferenza internazionale di Roma, proposta dal Governo italiano e conclusasi ieri, abbia rappresentato un passo positivo nella ricerca di una soluzione, se non di pace, almeno di cessazione delle ostilità più violente, confermando alcuni elementi importanti di discontinuità presenti nella politica estera di questo paese in relazione a quella del Governo precedente.
A questa ispirazione di fondo occorre siano conformi tutte le scelte del Governo, per quanto riguarda sia il proseguimento dell'azione sul piano internazionale sia il controllo e l'uso del territorio nazionale in relazione alla pesante presenza di servitù militari straniere NATO e americane, che possono distorcere la volontà di pace del Governo e del nostro paese, offrendo la possibilità dell'uso del territorio a fini che nulla hanno a che vedere con la forza che la politica di pace deve avere in questa fase. Mi riferisco, in particolare, alla base di Camp Darby in Toscana, che in passato ha svolto tradizionalmente una funzione di sostegno logistico molto significativo a tutte le guerre che si sono svolte negli anni Novanta e alle guerre del nuovo secolo, per quanto riguarda l'approvvigionamento di strumenti, di ordigni, di armi delle forze americane impegnate sui vari teatri di guerra.
La base di Camp Darby è nata nel 1951, durante il periodo della guerra fredda, in seguito ad un atto di bilateralizzazione del trattato NATO; come tutte le altre basi americane e NATO, è contrassegnata, in questo momento, da elementi che ritengo di grave illegittimità per quanto riguarda il loro uso.
Dico ciò perché, se il Trattato NATO del 1949 fu ratificato dal Parlamento italiano (in qualche modo, la ratifica legittimava i memorandum di bilateralizzazione in esso contemplati), i successivi mutamenti strategici della NATO e, in particolare, la ridefinizione dei suoi compiti e la ridefinizione del nuovo concetto strategico della NATO, a seguito del vertice del 1999, non sono mai stati sottoposti al vaglio, alla discussione ed alla decisione dei Parlamenti, in particolare del nostro. È chiaro, allora, che tutto quanto attiene alla funzionalità ed alla strategia delle basi è in qualche modo collocato fuori - non soltanto a causa del segreto militare, ma anche in ragione del fatto che non è mai intervenuto, al riguardo, un atto di trasparenza parlamentare - dall'ambito di una reale legittimità. Noi consideriamo la materia di grandissima importanza e, quindi, urgente. Di conseguenza, porremo la questione in sede di conferenza nazionale sulle servitù militari, che fa parte del programma dell'Unione.
Ciò detto, desidero chiarire meglio la portata del problema che abbiamo voluto segnalare (e che continueremo a sollevarePag. 97costantemente). L'uso del nostro territorio per le indicate finalità pone una grave questione di sovranità nazionale. Inoltre, la specifica problematica è connessa all'emersione di una grande sensibilità popolare, che riguarda sia l'impatto negativo che molte di queste basi hanno sul territorio (in particolare, è molto forte la preoccupazione relativa alla base di Camp Darby) sia la funzione che esse svolgono sotto il profilo della concezione delle nuove guerre (o di una nuova difesa), che sfugge totalmente al controllo ed alla sovranità nazionali.
Camp Darby è una sorta di santabarbara: i tantissimi bunker sotterranei custodiscono in perfetta efficienza moltissime tonnellate di munizioni per artiglieria, missili, razzi, bombe d'aereo, e circa 8 mila tonnellate di esplosivo ad alto potenziale. Come ho già detto - i fatti sono noti -, la base ha svolto una funzione strategica in tutta una serie di avvenimenti bellici, dalla prima guerra del Golfo del 1991 all'ultima guerra in Iraq. È altresì noto che molte mobilitazioni pacifiste hanno tentato di bloccarne l'operatività.
Venendo all'oggi, si legge sul quotidiano il manifesto di domenica 23 luglio, sotto il titolo «La superbomba passa per l'Italia», che lo Stato di Israele, in data 15 luglio 2006, ha fatto richiesta agli Stati Uniti di un grosso quantitativo di benzina per la propria aeronautica militare. Successivamente, sempre secondo le informazioni de il manifesto, vi è stata un'ulteriore richiesta per un carico di munizioni speciali. Tra queste, la GBU-28, una bomba a guida laser da 2,3 tonnellate. Si tratta di un'arma speciale che ha un'altissima capacità di penetrazione in centri di comando situati in bunker profondi e rinforzati.
Il primo quesito che poniamo con l'interpellanza in esame è se vi sia stato il transito o il deposito delle predette armi a Camp Derby (peraltro, da un punto di vista logistico, la base si presta moltissimo ad arrivi incontrollabili da parte della popolazione ed anche di chi ha interesse ad esercitare un controllo democratico sulle operazioni).
Inoltre, nell'interpellanza ricordiamo che, nella precedente legislatura, il Parlamento ha approvato la legge n. 94 del 3 maggio 2005, che istituzionalizza la cooperazione nel settore militare della difesa tra Italia e Israele. Si tratta di un accordo quadro molto preciso, che regola la cooperazione tra le parti e nel cui ambito potranno essere conclusi accordi tecnici specifici. Tra l'altro, c'è un accordo che riguarda un nuovo sistema di guerra elettronica altamente segreto. Infatti, il memorandum stabilisce che le attività derivanti da questo accordo saranno soggette alla massima segretezza.
Allora, chiedo, in primo luogo, che cosa il Governo abbia da dire relativamente a queste notizie di transito attraverso Camp Darby delle bombe speciali GBU-28 (guided bomb unit-28), cioè delle bombe a guida laser ad alta capacità di perforazione del terreno. Inoltre, chiedo se il Governo non ritenga necessario, vista la drammaticità del conflitto che si è sviluppato in Medio Oriente (in seguito alla contemporaneità e alla micidiale sinergia tra la nefasta azione di Hezbollah conto le forze militari di Tel Aviv sul confine sud e i violentissimi bombardamenti di risposta che Israele ha scatenato sul Libano), e di fronte a questa escalation e a questa drammatizzazione, anche in ragione dell'azione di pace che il Governo italiano ha intrapreso, valutare la sospensione dell'accordo seguito alla legge n. 94 del 3 maggio 2005 tra la Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi, ha facoltà di rispondere.
MARCO VERZASCHI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, l'interpellanza presentata dagli onorevoli Migliore, Deiana ed altri riguarda soprattutto alcune notizie riportate dal quotidiano il manifesto, come illustrato dall'onorevole Deiana, che ipotizzano in generale un ruolo della base logistica dei servizi di Camp Darby, nell'ambito delle operazioni delle forze aeree e terrestri,Pag. 98nell'area mediterranea nordamericana e mediorientale.
In particolare, secondo quanto riportato dagli onorevoli interpellanti, le predette notizie presumono un coinvolgimento di tale base anche nei recenti attacchi di Israele verso il Libano, riferendo che le bombe usate dallo stesso Israele sarebbero transitate proprio da Camp Darby. Allo stesso tempo, l'atto prende spunto dalla recente situazione di conflitto tra Israele e Libano, per porre in discussione l'accordo stipulato tra l'Italia e lo Stato di Israele, in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa, chiedendo nel contempo di valutarne la possibilità di una sospensione.
Credo che sia importante, prima di entrare nel merito della questione sollevata, fornire alcuni elementi di ricognizione che riguardano specificamente la presenza di forze NATO o di forze statunitensi in Italia. Essa va inquadrata nell'ambito dell'applicazione del Trattato del Nord Atlantico del 1949.
Proprio per tale ragione, per l'utilizzazione delle basi non vige alcuna condizione di extraterritorialità, permanendo allo Stato italiano l'esercizio della piena sovranità. In particolare, le basi intese come porzione di territorio per il sostegno logistico operativo, dotate di uomini e mezzi, non appartengono alla NATO o al paese appartenente alla NATO, che se ne avvale, in questo caso agli Stati Uniti, ma esse sono concesse in uso alla forza militare della NATO statunitense, senza che la sovranità nazionale sia in alcun modo messa in discussione.
Come detto, le norme che regolano la materia trovano il proprio fondamento nell'articolo 3 del Trattato di Washington e nei successivi accordi, quali la Convenzione di Londra del 1951, il Protocollo di Parigi del 1952, la Convenzione di Ottawa del 1951, approvata nel 1954, e un decreto del Presidente della Repubblica del 1962.
In tale quadro si inseriscono gli accordi bilaterali che regolano la presenza delle forze statunitensi in Italia; si tratta di accordi sia generali, che prevedono forme di assistenza militare reciproca tra i due paesi, sia particolari, che disciplinano gli aspetti della presenza e delle attività dei contingenti militari statunitensi. Questi accordi bilaterali hanno una elevata classifica di segretezza e non possono essere declassificati unilateralmente, poiché il regime di segretezza è stato stabilito di comune accordo dai Governi italiano e statunitense. Il segreto militare relativo alle infrastrutture, ai compiti, alla distribuzione di uomini, mezzi e materiali e al tipo di presenza militare nelle diverse località, si espande fino ad abbracciare le regole che disciplinano le funzioni di comando nelle basi ove operano forze degli Stati Uniti, nonché le disposizioni sui rapporti fra le autorità militari italiane e statunitensi.
Ciò premesso, con specifico riferimento alle richiamate notizie stampa che parlano di questo presunto passaggio di munizioni o bombe dalla base di Camp Darby e - sempre secondo il manifesto - utilizzate rispettivamente per le due guerre in Iraq, in Jugoslavia, per le operazioni in Afghanistan ed infine per neutralizzare le capacità militari degli Hezbollah, non si hanno elementi di riscontro per confermare l'attendibilità delle notizie riportate.
Quanto, invece, alla presenza di armamento sempre nella base di Camp Darby, nonché alla quantità di personale che opera al suo interno, è opportuno rilevare come la diffusione indiscriminata di informazioni sugli strumenti di difesa possa, a ragione, essere considerata da tutti gli Stati una fonte di rischio. L'Italia non fa eccezione, essendo la sua difesa integrata con quella dei paesi alleati, ivi compresa la loro presenza nel nostro territorio.
Anche per quanto riguarda le notizie riportate, relative a due presunte richieste da parte di Israele agli Stati Uniti, rispettivamente «di un grosso quantitativo di benzina per la propria aeronautica militare» e «di un carico di munizioni speciali, tra cui la citata bomba gbu-28», non si dispone di alcun riscontro che confermi questa ipotesi.
Con riferimento, invece, al presunto contrasto tra il profilato transito delle bombe da Camp Darby e quanto dispostoPag. 99dalla legge n. 185 del 1990, si assicura che tutta l'attività del Governo in materia di controllo dell'esportazione e transito dei materiali di armamento è assolutamente in linea con i principi della Carta costituzionale, con gli impegni internazionali e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato.
In particolare, il Governo in tale ambito sovrintende, tra l'altro, l'attività degli organi preposti all'applicazione della legge stessa, intervenendo, altresì, nel caso in cui manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali.
Su tale specifica attività, il Governo non è mai venuto meno ai principi consacrati dalla citata legge n. 185 del 1990, attuando una rigorosa opera di controllo e di monitoraggio.
Con riferimento, infine, alle invocate valutazioni del Governo sull'eventualità di una sospensione dell'accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele, in linea di principio, la sottoscrizione di atti bilaterali - tra cui questo - va intesa come azione stabilizzatrice di una particolare area e regione, di valenza politica, considerati gli interessi strategici nazionali e gli impegni assunti in ambito internazionale.
La ratio dell'accordo con lo Stato di Israele si inquadra nel contesto del rilancio delle relazioni fra i due paesi e nel quadro della promozione del dialogo nel Mediterraneo, con lo scopo precipuo di rafforzare la cooperazione nel campo della difesa e dell'intelligence su basi di reciprocità.
Infine, il Governo non condivide l'ipotesi che si possa, in qualche modo, associare la presenza di forze alleate in Italia ad un coinvolgimento, anche indiretto, del nostro paese nel conflitto in Libano, per la cui la soluzione, peraltro, il Governo è fortemente impegnato. Si rammenta che il Governo italiano e l'Unione Europea, nel condannare fermamente l'azione terroristica dei gruppi radicali islamici, hanno invitato Israele a moderare la propria risposta. In particolare il ministro degli affari esteri ha riferito di avere espresso al ministro degli esteri israeliano le preoccupazioni per un'escalation della crisi, invitando il suo Governo ad una reazione moderata. Il Governo, sin dall'inizio, si è attivato attraverso i suoi contatti bilaterali con i principali attori della crisi, proponendosi fattivamente per favorire la ricerca di una soluzione positiva della vicenda.
È di tutta evidenza come il Governo, in sintonia con i principali partner, sia fermamente impegnato nella ricerca di risposte tempestive e coraggiose a tali crisi, attraverso la via del negoziato, perché ritenuta l'unica percorribile, affinché la pace in quell'area sia duratura.
Il Governo italiano, infatti, ha concorso attivamente, attraverso il Presidente del Consiglio che ha preso parte al recente vertice del G8 di San Pietroburgo, alla formulazione della dichiarazione sul Medio Oriente, che indica una possibile via d'uscita dall'attuale crisi.
In tale ottica, un segnale concreto di questi impegni è certamente rappresentato dallo svolgimento della Conferenza internazionale per il Libano, tenutasi ieri a Roma, in cui tutti i partecipanti hanno espresso la loro determinazione nel lavorare, con la massima urgenza, per la ricerca di una soluzione alla delicata e complessa vicenda relativa al Libano.
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei chiarire che io non ho parlato di un coinvolgimento dell'Italia nella vicenda del Libano. L'ho chiarito molto precisamente, anzi, ho avuto parole di lode per l'azione del Governo nel tentativo di creare una via di uscita nella Conferenza internazionale, per gli impegni e per le dichiarazioni che sono state rese. Non è assolutamente in discussione questo aspetto.
Io ho messo in risalto - e lo faccio ancora - alcuni aspetti, perché ci sono degli elementi di ambiguità in ciò che il sottosegretario ha affermato. Spero solo che siano ambiguità di formulazione e di uso della lingua italiana. Tali elementi diPag. 100ambiguità mi spingono a chiarire il mio pensiero nuovamente.
Io ho parlato di un uso del territorio italiano e di una sua concessione per finalità e strategie che possono alimentare quella crisi e, quindi, di conseguenza, coinvolgere indirettamente il nostro paese nello sviluppo della crisi stessa.
Innanzitutto, voglio precisare un elemento relativo alla questione della sovranità nazionale. La concessione d'uso delle basi non rappresenta una extraterritorialità dal punto di vista materiale e giuridico, nel senso che quel territorio è sicuramente italiano. Ciò che viene esercitato in quel luogo, tuttavia, è direttamente ed unicamente sotto comando statunitense. Quindi, di conseguenza, possono essere condotte operazioni che sfuggono al controllo italiano.
C'è una grande zona d'ombra per quanto riguarda l'uso delle basi e per questo motivo credo ci sia un problema di sovranità nazionale, che viene in qualche modo alienata, o, comunque, viene sottratta al controllo democratico sia delle comunità e delle autorità locali, sia del Parlamento. Credo che, da questo punto di vista, la vicenda di Abu Omar costituisca un esempio sufficiente per far capire di cosa parlo.
A proposito delle preoccupazioni del sottosegretario relative alle notizie su ciò che contiene la base di Camp Darby, o altre basi, e al fatto che ciò sarebbe fonte di rischio, tali notizie sono note soprattutto grazie ai siti del Pentagono, che illustrano abbondantemente una serie di dislocazioni della propria forza militare e dei propri armamenti in giro per il mondo. Abbiamo saputo dai siti americani che a Ghedi e ad Aviano sono presenti ordigni nucleari.
Quindi, mi sembra che eventualmente dovremmo essere preoccupati per quanto riguarda la sicurezza dei paesi e delle regioni.
Nelle espressioni che lei, signor sottosegretario, ha usato sussistono elementi di non chiarezza. Lei ha affermato che non vi sono elementi di riscontro, ma il Ministero della difesa non deve avere elementi di riscontro. Proprio in considerazione del principio che lei ha evidenziato, per il quale dovremmo esercitare il diritto di sovranità nazionale su tutte le basi date in uso agli alleati e alla NATO, il Governo è tenuto a sapere e a dichiarare al Parlamento ciò di cui è a conoscenza.
Cosa significa che l'Esecutivo non dispone di elementi di riscontro? Può darsi che il Governo non ha elementi di riscontro e che lì succeda quanto riportato dal giornale il manifesto? Voglio sottolineare con forza quanto l'espressione da lei usata sia ambigua e come confermi, anziché allontanare, le mie preoccupazioni relativamente all'uso - e non al carattere giuridico - della base di Camp Darby.
So che anche la prefettura di Pisa ha dichiarato di non sapere nulla. In particolare, mancano i riscontri di una serie di affermazioni che lasciano un ampio margine di interpretazione negativa. Voglio segnalare che anche il ministro degli affari esteri britannico, Margaret Beckett, ha sollevato una protesta, in quanto gli Stati Uniti hanno usato l'aeroporto di Prestwick, nella Scozia dell'ovest, per trasportare in Israele queste bombe.
Evidentemente - sapendo quanto aiuto forniscano gli Stati Uniti ad Israele -, si tratta di linee di percorrenza offerte dai paesi alleati; in questo caso dalla Gran Bretagna, nel caso dei dubbi sollevati da il manifesto, dall'Italia.
Signor sottosegretario, gli elementi da lei forniti nella risposta non diradano del tutto i dubbi esistenti. Mi auguro che la sussistenza degli elementi di non riscontro di cui lei ha parlato significhi che il fatto non sussiste, anche se cercherò di comprendere se effettivamente le cose stanno in questo modo o se permangono elementi sui quali occorre insistere affinché un'eventualità di questo genere possa cessare.
Per quanto riguarda - e concludo, signor Presidente - la questione del Trattato tra l'Italia e Israele sulla cooperazione nel campo della difesa, vorrei sottolineare che la legge n. 94 del 2005 istituzionalizza la cooperazione tra i Ministeri della difesa e le Forze armate di Italia e Israele,Pag. 101prevedendo anche la cooperazione nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione di tecnologie militari tramite lo scambio di dati tecnici, informazioni e hardware e incoraggia le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiale di interesse comune. Tutto sotto il segreto militare.
Credo che ciò non faccia bene alla necessaria politica di collaborazione, di solidarietà e di simpatia che dobbiamo sviluppare con Israele, nell'ambito di una vocazione mediterranea su cui dobbiamo fare molta forza, sapendo che il lato militare è quello che meno si presta, nelle vicende del Mediterraneo orientale, a far sì che si sviluppino politiche di pace e di convivenza, di cui il nostro paese dovrebbe essere artefice e protagonista.
(Chiusura degli uffici postali di Melezzole ed Acqualoreto in provincia di Terni - n. 2-00080)
PRESIDENTE. L'onorevole Capotosti ha facoltà di illustrare l'interpellanza Fabris n. 2-00080 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4), di cui è cofirmatario.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, vista l'ora tarda, mi rimetterei alla risposta Governo. Il testo dell'interpellanza urgente è pubblicato, e pertanto interverrò in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi, ha facoltà di rispondere.
MARCO VERZASCHI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, in relazione all'atto parlamentare in esame, si ritiene utile rammentare che gli aspetti organizzativo-gestionali di Poste italiane spettano agli organi statutari della società medesima, che individua il tipo e il numero delle risorse ritenute necessarie a garantire il rispetto degli obblighi connessi alla fornitura del servizio universale assicurando, nel contempo, una gestione economica equilibrata.
Ai sensi della vigente normativa - decreto legislativo n. 261 del 1999, come modificato dal decreto legislativo n. 384 del 2003 -, al Ministero delle comunicazioni, quale autorità di regolamentazione del settore postale, spetta il compito di vigilare affinché i predetti obblighi del servizio universale siano rispettati.
Nel passato, tale attività è stata prevalentemente finalizzata ad accertare che la qualità del servizio erogato da Poste italiane fosse rispondente ai parametri previsti nel contratto di programma che, in particolare, stabiliva gli obiettivi del recapito del corriere postale: prioritario, ordinario, posta registrata e pacchi ordinari; ed a tale proposito le verifiche effettuate hanno consentito di accertare in modo puntuale il raggiungimento o meno degli standard fissati.
Una parallela efficace azione di controllo relativamente all'accesso alla rete postale non è stata e non è ancora possibile, stante l'indeterminazza dei criteri stabiliti in proposito sia a livello comunitario sia a livello di normativa nazionale di recepimento.
L'obbligo di fornire il servizio universale in tutti i punti del territorio secondo criteri di ragionevolezza, come previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 261 del 1999, infatti, pur con l'individuazione delle particolari situazioni delle isole minori e delle zone rurali e montane, di cui al decreto legislativo n. 384 del 2003, si è dimostrato non idoneo a consentire una oggettiva valutazione della diffusione e della razionale localizzazione sul territorio nazionale dei punti di accesso alla rete postale e, in particolare, degli uffici postali.
È, pertanto, intendimento del ministro - come da lui stesso comunicato nel corso della recente audizione presso l'VIII Commissione - prevedere, non solo nel contratto di programma 2006-2008 attualmente in corso di definizione, ma anche in provvedimenti ad hoc, impegni più stringenti per la società in termini di qualità, utilizzando indicatori, oltre che per iPag. 102tempi di recapito della corrispondenza, anche per la diffusione e l'accessibilità degli uffici postali sul territorio.
In tale ottica, viene riconosciuta l'opportunità di promuovere un confronto su base territoriale con la stessa società Poste italiane ed i rappresentanti delle istituzioni locali e dell'utenza, al fine di individuare soluzioni che, pur tenendo conto del mantenimento dell'equilibrio economico, risultino adeguate all'esigenza dell'utenza nei diversi contesti e situazioni locali.
Nel nuovo contratto di programma, si intende implementare il principio dell'efficienza del servizio postale senza intaccare la capillare diffusione della rete postale, con specifico riguardo ai centri più piccoli ed alle aree disagiate, ritenendo che le chiusure di uffici non vadano acriticamente accettate quali misure di efficientamento economico e che, al contrario, il risparmio atteso potrebbe non verificarsi. Il contratto di programma in elaborazione prevede che gli interventi di chiusura degli uffici e di rimodulazione degli orari di apertura al pubblico dovranno essere preventivamente sottoposti al parere delle autorità locali.
Quanto alla specifica situazione di cui è fatto cenno nell'atto ispettivo in esame, si fa presente che la chiusura dell'ufficio di Acqualoreto, presso il quale risultava applicato un operatore polivalente, stante l'esiguo numero delle operazioni effettuate quotidianamente, rientra nel quadro delle chiusure programmate e comunicate dalla società Poste italiane da realizzare già nel corso del 2005. Tale chiusura, tuttavia, è stata bilanciata con un ripristino del normale orario giornaliero di apertura dell'ufficio di Morre, distante circa un chilometro e mezzo da Acqualoreto, che precedentemente operava solo quattro giorni a settimana nel periodo estivo e cinque giorni in quello invernale.
L'ufficio postale di Mellezzole, anch'esso attivo con un operatore polivalente, è stato interessato da una rimodulazione dell'orario di servizio, passando da un'apertura quotidiana di due ore e trenta minuti ad una di due giorni a settimana rispettando, però, il normale orario di sei ore.
Le iniziative predette sono state comunicate, stando a quanto riferito dalla società Poste italiane, alle amministrazioni locali interessate.
PRESIDENTE. L'onorevole Capotosti ha facoltà di replicare.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, sono soddisfatto della risposta del Governo, in particolare nell'apprendere che si opera la revisione di un criterio generale, quello del rapporto in essere tra eticità dell'attività economica di un ente pubblico e cittadino.
Il casus belli trattato verteva su centri minori, centri limitrofi, centri difficili da raggiungere, popolati largamente da gente anziana e in difficoltà logistica, per cui con ancor più soddisfazione apprendo che si è provveduto a ripristinare il servizio.
(Ritardo nella realizzazione dell'intesa di programma Cnr-Mism sottoscritta nel 1988 con riferimento all'area della ricerca di Catania - n. 2-00081)
PRESIDENTE. L'onorevole Licandro ha facoltà di illustrare la sua interpellanza urgente n. 2-00081 (Vedi l'allegato A - Interpellanze e interrogazioni sezione 5).
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, rinuncio ad illustrarla e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, fornirò una risposta breve, data l'ora, ma spero esauriente.Pag. 103
In relazione alla questione posta dagli onorevoli Licandro, Sgobio, Diliberto e Tranfaglia, si ritiene opportuno precisare che gli interventi edilizi previsti nell'ambito dell'intesa di programma MIUR-CNR, per quanto riguarda la sede dell'area della ricerca di Catania e l'Istituto per la microelettronica e i microsistemi del CNR, prevedono la riunificazione di tutte le attività scientifiche del CNR aventi sede in Catania in un unico insediamento in zona ASI (area sviluppo industriale), su un terreno che il CNR ha acquistato nel luglio del 2001 dal consorzio per l'area di sviluppo industriale, in contrada Palma o Pantano d'Arci. L'edificazione dell'area di ricerca di Catania sul predetto terreno è stata deliberata dal consiglio direttivo del CNR in data 23 aprile 2003.
Per tale realizzazione è già stata eseguita la progettazione definitiva riguardante l'insediamento dell'istituto IMM e, nel giugno 2004, è stato siglato un protocollo d'intesa tra il comune di Catania ed il CNR, volto ad agevolare la realizzazione dell'intervento ed a disciplinare la reciproca collaborazione.
Il quadro economico per l'intervento previsto, comprendente la sede dell'area della ricerca e dell'istituto IMM, è pari a circa 15,7 milioni di euro, interamente a carico del MIUR.
Gli interventi per l'area della ricerca di Catania sono collocati in un quadro di interventi più ampio, che riguarda tutte le aree di ricerca del Mezzogiorno interessate (Bari, Lecce, Catania, Napoli e Sassari), con un impegno complessivo di circa 118,7 milioni di euro, di cui circa 108,2 a carico del MIUR e circa 10,5 a carico del CNR.
Alla data del 30 settembre 2005, le somme spese complessivamente per interventi di edilizia ammontano a circa 46 milioni di euro, di cui circa 35,5 sostenuti dal MIUR e circa 7,5 sostenuti dal CNR.
L'intesa di programma MIUR-CNR prevede come scadenza il 31 dicembre 2006 per gli interventi relativi all'edilizia. Pertanto, si rende necessario procedere ad una rimodulazione dell'intesa, non risultando possibile concludere gli interventi per quella data. Tale rimodulazione dovrà essere formulata a seguito di specifiche convenzioni tra i diretti interessati (MIUR, CNR, regione e comune).
In particolare, nel caso dell'area di ricerca di Catania potrebbe essere promossa una conferenza dei servizi, propedeutica alla stipula della suddetta convenzione, già nel mese di ottobre prossimo venturo.
PRESIDENTE. L'onorevole Licandro ha facoltà di replicare.
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, la questione che abbiamo sottoposto all'attenzione del Governo rappresenta una delle solite ed ordinarie vicende di ritardi di cui è costellata la storia di questo paese. Tale vicenda, come risulta dal testo dell'interpellanza che abbiamo sottoposto al Governo, nasce nel 1988: si tratta dell'accordo fra il CNR e l'allora Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno. La vicenda è lunga, signor sottosegretario: sono passati circa vent'anni e, come si evince anche dalla sua risposta, siamo ancora lontani dalle conclusioni.
Manifesto preoccupazioni, che ovviamente non riguardano responsabilità del Governo in carica, perché gli anni sono trascorsi invano, su uno dei punti cruciali attraverso cui passa lo sviluppo, la competitività del paese e lo sviluppo del Mezzogiorno. La realizzazione dell'area della ricerca di Catania - la nona città d'Italia: parliamo, quindi, di una realtà importante - si inquadra nel più generale accordo per il potenziamento delle strutture di ricerca del CNR.
Ricordiamo pure che nell'aprile scorso, quindi pochi mesi fa, è stato firmato un protocollo d'intesa tra il ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la regione Sicilia ed il CNR proprio per dare maggiore spinta al potenziamento di infrastrutture e di personale. Anche questi mesi, tuttavia, sono trascorsi invano. Credo che questo Governo debba fare qualcosa di più che usare un condizionale e promuovere una conferenza dei servizi su una questione - ripeto - centrale nel programma di Governo.Pag. 104
Le ragioni dell'investimento nella ricerca credo debbano costituire una delle priorità non del ministero competente, ma di questo Governo. Lo ripeto, è una questione a cui teniamo enormemente: attraverso la ricerca passa lo sviluppo e la competitività del paese, ma soprattutto nel sud, nel meridione, puntare ed investire nella ricerca significa anche qualcos'altro, significa attenuare i ritardi di un'enorme parte del paese, importante sul piano economico. Tale problema risulta, ovviamente, ancora più aggravato in una dimensione di globalizzazione e di delocalizzazione della produzione.
Signor sottosegretario, se vogliamo rilanciare lo sviluppo e l'occupazione nel sud, dobbiamo intervenire con forza e determinazione, attraverso il potenziamento della ricerca. Soltanto se si crea un circolo virtuoso - e, quindi, un rapporto forte tra lo Stato, il Governo, le regioni, gli enti locali, l'università e gli enti di ricerca -, è possibile mantenere in quei territori la produzione. Se facciamo in modo che il sistema produttivo possa, attraverso la ricerca, mettere radici nel territorio, noi produrremo sviluppo ed occupazione, e i fenomeni della delocalizzazione della produzione saranno quanto meno attenuati.
È cosa nota a questo Governo che in Sicilia, ma anche in altre parti del Mezzogiorno d'Italia, i distretti industriali si siano sostanzialmente «squagliati»; questo perché è mancato un intervento forte dello Stato e del Governo nell'ambito della ricerca scientifica. Lei sa benissimo quanto siamo lontani dai parametri di Lisbona e, purtroppo questa è, l'eredità che il precedente Governo ha lasciato sul campo al nuovo ministro: è necessario mettere ordine nel CNR perché, al di là del suo auspicio, signor sottosegretario, non si capisce proprio più nulla. Chi conosce e vive le dinamiche e le vicende del CNR sa che negli ultimi mesi, dalla campagna elettorale al primo periodo di insediamento delle istituzioni, di questo Parlamento e del nuovo Governo, vi è stato un vero e proprio assalto alla diligenza!
Bisogna, pertanto, rimettere ordine nel CNR, il che non significa porre in essere nuove riforme, perché l'ente non se lo può permettere (non sopporterebbe un'altra riforma), bensì capire come oggi tale struttura viene diretta. Occorre, soprattutto, capire quali sono le responsabilità e a chi sono imputabili, dove sono ancora riscontrabili intralci, ostacoli, nonché quella palude che ancora frena la realizzazione della ricerca. Ciò significherebbe anche nuovi posti di lavoro, quindi più ricercatori in Sicilia e nel sud in generale.
Dunque, mi ritengo soddisfatto della dichiarazione di intenti, ma vedremo cosa accadrà. Intanto, auspico, anche a nome del mio partito, che il Ministero dell'università e della ricerca non subisca tagli. È un settore strategico della vita del paese, anche in termini di prospettive per tanti giovani ricercatori, che non si può permettere dei tagli, qualunque sia il Governo in carica, qualunque sia la maggioranza che lo sostiene.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.