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TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI AURELIO SALVATORE MISITI, PAOLO CACCIARI, DANTE D'ELPIDIO, FABIO RAMPELLI, MAURO CHIANALE, LUCIO BARANI, VITTORIO ADOLFO E GUIDO DUSSIN SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1955.
AURELIO SALVATORE MISITI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, già nella discussione generale nel nostro intervento mettevamo in evidenza i grandi sacrifici delle famiglie italiane per comprare una abitazione.
Oltre l'80 per cento degli italiani abita in case di proprietà. È anche vero che una parte di quelli che non sono proprietari non lo sono perché hanno deciso di utilizzare i propri soldi per vivere con minori sacrifici. Sappiamo bene però che un'altra parte consistente di popolazione non ha avuto le possibilità economiche per acquistare il bene casa.
Di questi una parte più fortunata ha ottenuto in fitto una abitazione di un ente pubblico o degli ex istituti case popolari.
I più sfortunati sono conduttori di appartamenti di privati cittadini, che spesso hanno gli stessi problemi dei locatori.
I conduttori sfrattati per finita locazione sono obbligati alla consegna dell'appartamento. Il disegno di legge in esame tende a evitare gravi disagi a particolari categorie sociali. Non è quindi la solita legge di blocco indiscriminato degli sfratti ma un tentativo di introdurre delle buone innovazioni nella nostra legislazione, per avviare il superamento della solita normativa sugli sfratti.
Nel disegno di legge ci sono le seguenti importanti novità: il blocco è selettivo e riguarda solo conduttori con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro e in più abbiano nel nucleo familiare ultrasessantacinquenni, figli a carico, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, non in possesso di adeguata abitazione nella regione di residenza.
Nel periodo della sospensione il conduttore corrisponde al locatore una maggiorazione del fitto (articolo 6, comma 6, legge n. 431 del 1998); il locatore che dimostri di trovarsi nelle stesse condizioni del conduttore deve rientrare in possesso della propria abitazione. I comuni possono prevedere anche benefici fiscali a favore dei locatori.
Il disegno di legge avvia un processo tendente a rispondere positivamente alle sollecitazioni europee sul diritto alla casa dei cittadini poveri.
Entro quarantacinque giorni i comuni capoluoghi di provincia e quelli limitrofi di oltre 10 mila abitanti dovranno predisporre un piano straordinario pluriennale di edilizia residenziale pubblica da inviare ai ministri competenti.
Entro due mesi il ministro delle infrastrutture convoca un tavolo di concertazione sulle politiche abitative che conclude i lavori in trenta giorni.
Constatato inoltre che l'impatto amministrativo della legge non è molto pesante per la pubblica amministrazione, Italia dei Valori, per le novità contenute nel disegno di legge che tendono ad affermare una politica organica e programmata per l'edilizia residenziale pubblica, vota a favore del disegno di legge.
PAOLO CACCIARI. Presidente, deputati, questa legge ha una duplice valenza: emergenziale e strutturale. Da una parte non si sottrae all'obbligo di «portare soccorso» (non saprei come altro definire la crudeltà dell'espulsione forzata dal proprio alloggio di famiglie particolarmentePag. 78sfortunate - quelle appunto che posseggono i requisiti della presente legge: anziani a carico, portatori d'handicap e redditi inferiori ai 27.000 euro annui). Dall'altra indica un percorso di rilancio dell'edilizia pubblica.
Siamo sotto Natale e almeno per una volta all'anno sarebbe bene guardare la realtà in faccia e chiamarla con il suo nome: povertà. Il «disagio abitativo» è un eufemismo politicista, buono da scrivere nelle leggi, che suona un po' falso, non rende l'idea del dramma umano degli sfratti, delle masserizie in strada, dell'umiliazione dell'ufficiale giudiziario, quando non dell'intervento violento delle forze dell'ordine, delle code disperate negli uffici casa dei comuni, delle sistemazioni di fortuna..., di una precarietà abitativa che il più delle volte si aggiunge a quella lavorativa. Ma attenzione! Non fingiamo di non sapere che le emergenze sono molto più vaste dei casi che andiamo a risolvere con questa legge.
Per il Governo, la questione abitativa, il diritto all'alloggio deve rappresentare una grande questione di giustizia e di civiltà, capace di qualificare socialmente il proprio programma e la propria immagine. Per i responsabili dei dicasteri economici, poi, potrebbe essere una buona occasione di scuola per riflettere sui «fallimenti del mercato» e ripensare le politiche economiche liberiste che vanno per la maggiore. Con la legge n. 431 del 1998 che ha sostanzialmente liberalizzato le locazioni private (con i «patti in deroga», il doppio regime dei fitti, le incentivazioni fiscali che di fatto hanno favorito i fitti liberi, la fine dell'equo canone) e con l'azzeramento degli investimenti pubblici nel settore dell'edilizia, nel nostro paese si è scelta l'abdicazione del ruolo di intervento e regolamentazione dello Stato e la consegna del settore abitativo al mercato immobiliare e finanziario. I risultati sono sotto i nostri occhi. Le uniche «case di carta» (per riprendere l'ironia mal posta dell'onorevole Foti) che ho visto in questi anni sono quelle costruite sui debiti degli immobiliaristi d'assalto, sulle cedule di finanziarie off-shore, sulle speculazioni fondiarie messe in atto con amministrazioni comunali compiacenti. E voi vorreste continuare ad affidare a questo «mercato» la concretizzazione di un dettato costituzionale e la realizzazione di un bene primario? Senza accesso all'alloggio non c'è politica della famiglia che tenga, non c'è sicurezza e coesione sociale. Il mercato si è rivelato essere più attento a remunerare le rendite finanziarie che non a dare risposte ai bisogni della gente, che non ad offrire case alle fasce di domanda più bisognose (giovani coppie, residenze speciali a partire dagli anziani, migranti, lavoratori con forte mobilità) e non sto parlando solo di «poveri», di incapienti, di insolventi, ma penso a tante fasce di ceto medio urbano letteralmente «messo fuori mercato» dall'andamento dei prezzi. Negli ultimi anni il mercato immobiliare è schizzato alle stelle: più 40 per cento il valore medio degli immobili (ma nei centri urbani l'aumento è stato molto più alto); dal 50 al 90 per cento l'aumento dei canoni di locazione annui. Come ha ricordato la deputata Perugia nel dibattito generale, l'indebitamento delle famiglie con le banche per mutui è di 180 miliardi di euro. Si tratta, oltretutto, di una immobilizzazione di una enorme ricchezza nazionale. Molti analisti ci dicono che saremmo (come negli Stati Uniti) alla vigilia dell'esplosione di una bolla speculativa: cominciano a mancare gli acquirenti (l'invenduto è in aumento); la morosità è diventata la prima causa di sfratto. Le famiglie non ce la fanno più. Per sbloccare l'offerta non basta lavorare con incentivi (sgravi fiscali) a favore della proprietà e dei costruttori. Serve calmierare massicciamente il mercato immettendo un consistente stock di alloggi a canone sociale (da questo punto di vista la dismissione generalizzata, la cartolarizzazione, le aste, le svendite del patrimonio immobiliare pubblico sono state una politica miope). Bisogna invertire urgentemente una tendenza, del passato Governo, ma non solo. L'ultimo rapporto Eurispes (dati 1999-2003) ci dice che l'Italia è il paese che investe di meno nello Stato sociale: il 26,4 per cento del Pil contro un 28 per cento della Gran Bretagna,Pag. 79un 31 per cento di Francia e Germania, una media dell'Europa a 5 del 31,5 per cento. In particolare per le politiche abitative la Gran Bretagna spende 1' 1,5 per cento del Pil e la Francia quasi l'1 per cento. Noi abbiamo toccato il fondo; si pensi solo che nel 2004 (ultimo dato disponibile) nel nostro paese sono stati costruiti 1.900 alloggi pubblici. Praticamente niente. Per fare meglio di voi, onorevole Buontempo, che lamentava con tanto accoramento la scarsa dotazione finanziaria di questa legge, basterebbero davvero pochi spiccioli. Troppo facile superarvi! Ma noi domani voteremo una Finanziaria che per la prima volta dopo tanti anni ripropone un fondo per l'edilizia pubblica (30 milioni per il 2007 e altri 30 per il 2008).
L'idea forte del disegno di legge che stiamo votando è quindi il rilancio della politica sociale della casa. È il programma nazionale straordinario pluriennale per l'edilizia sovvenzionata e agevolata e pubblica che Governo e regioni dovranno predisporre in tempi brevissimi (cinque mesi) sulla base di censimenti, indicazioni e volontà dei comuni. Un impegno ambizioso per il Governo, ma anche uno stimolo forte nei riguardi di quelle regioni che pur titolate in questi anni non hanno dimostrato grande attenzione al problema. Infine, permettetemi, un ringraziamento al ministro Ferrero da tutto il gruppo di Rifondazione, per la determinazione e l'intelligenza con cui è riuscito anche a superare una situazione difficile che si era creata al Senato, quando le destre, in preda alla sindrome della spallata, negando l'approvazione dell'originario decreto, hanno arrecato ancora più disagi e angoscia alle famiglie sotto sfratto. Grazie.
DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, con questo provvedimento il Governo si muove lungo una linea già ribadita negli anni passati, per dare attuazione ai principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 155 del 2004. È un provvedimento che punta ad affrontare un'emergenza, il disagio abitativo, presente in alcune aree del paese che - diciamolo con franchezza - non è stata certo risolta dal Governo precedente, anzi è stata accentuata.
Nella passata legislatura il Governo Berlusconi ha fatto approvare al Parlamento tre decreti-legge di proroga degli sfratti: il n. 240 del 2004, il n.86 del 2005 e il n. 23 del 2006.
Abbiamo assistito ad una progressiva restrizione dei soggetti beneficiari (ridotti agli ultrasessantacinquenni e ai portatori di handicap gravi), a una restrizione dell'ambito geografico, dei centri urbani e delle città in cui è possibile beneficiare di queste limitatissime misure (con il decreto del 2005 erano state individuate le città con un numero di sfratti pendenti pari a 400, che erano tre o quattro in Italia, e con l'ultimo - approvato lo scorso febbraio - soltanto tre città italiane, le più grandi, Roma, Milano e Napoli), alla previsione di contributi progressivamente decrescenti e all'introduzione, nel passato, di una molteplicità di tipologie contrattuali, finalizzate ad assestare in modo diverso il rapporto contrattuale tra locatore e conduttore, che ha ingenerato disorientamento e quindi disapplicazione, sia tra i locatori sia tra i conduttori. Misure, queste, che si sono rivelate sostanzialmente inefficaci, laddove si pensi che il precedente decreto era stato applicato, secondo dati riferiti dal Governo medesimo, solo per venti contratti di locazione in tutto il nostro paese.
Il disegno di legge che ci apprestiamo ad approvare prevede invece dei criteri in parte diversi, rispetto a quelli previsti dai precedenti interventi in materia, per definire i beneficiari del provvedimento. In particolare, viene introdotto il limite del reddito annuo familiare lordo complessivo inferiore a 27.000 euro, del requisito della mancanza di un'altra abitazione nella regione di residenza, del riferimento ai figli a carico ed ai malati terminali, inoltre viene precisata la definizione di «handicap» utile ai fini dell'applicazione del provvedimento, che prima era genericamente previsto per «gli handicap gravi», mentre ora viene specificatamente indicato in superiore al 66 per cento. Per quantoPag. 80riguarda l'ambito territoriale di riferimento, il disegno di legge si applica oltre che nei comuni ad alta tensione abitativa e nei comuni capoluoghi di provincia, anche nei comuni limitrofi con oltre 10.000 abitanti. Tale ultima categoria di comuni non era mai stata presa in considerazione dai precedenti provvedimenti di proroga degli sfratti. Vengono perciò meglio definiti i requisiti utili per l'ottenimento del beneficio e viene allargato l'ambito geografico interessato.
Inoltre questo provvedimento si differenzia molto rispetto al passato in quanto, per dare risposte a questo grave disagio sociale, prevede anche delle misure, di carattere fiscale, per alleviare gli oneri a carico dei locatori, seguendo così per la prima volta il principio sancito dalla sentenza della Corte costituzionale, in base al quale il costo sociale derivante dalle proroghe e comunque da un non normale svolgimento del rapporto contrattuale non può riversarsi sul solo proprietario dell'immobile, ma di esso si deve far carico la collettività.
Ci auguriamo che ciò rappresenti un primo passo verso una strutturale riforma delle politiche abitative, che porti finalmente l'Italia fuori dalla continua emergenza che ha caratterizzato il passato.
Per questo, signor Presidente, il giudizio dei Popolari Udeur sul provvedimento in esame è molto positivo ed esso incontrerà il nostro favore.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, il disegno di legge sugli interventi necessari e urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie svantaggiate, in special modo nelle aree metropolitane, sta diventando una penosa tradizione di questo Parlamento, una ricorrente ammissione di incapacità della classe dirigente della nazione di risolvere quella che ormai è paradossalmente definita «emergenza abitativa». Paradossalmente perché non si è mai vista - tranne che in Italia - un'emergenza che dura anni e decenni. Ma noi ormai siamo diventati veri specialisti in questa poco nobile arte di trasformare i problemi in «emergenze» (ogni riferimento all'emergenza rifiuti in Campania è, ovviamente, voluto).
Siamo uomini e donne di responsabilità, con forte senso dello Stato e della socialità, quindi dico subito che non ostacoleremo il varo di questo provvedimento, così come non lo abbiamo ostacolato nel lavoro della Commissione dove la maggior parte degli emendamenti presentati da Alleanza nazionale e dal centrodestra - proprio per la loro natura migliorativa e costruttiva - sono stati accolti e sono diventati parte integrante del testo di legge. E mi sento di ringraziare l'onorevole Tommaso Foti per il lavoro prezioso e intelligente che ha svolto e per la competenza da sempre manifestata sulla materia, unitamente ai colleghi del centrodestra. Tuttavia continuano a non ricorrere le condizioni per esprimere un voto favorevole e il nostro gruppo si attesta su un'astensione motivata. Motivata da una capacità analitica parziale, che sospinge ancora la sinistra su una linea di demagogia, guardando un fenomeno così complesso in modo strabico e - a nostro avviso - senza fare un'adeguata autocritica culturale, prima che politica.
Sulla cosiddetta emergenza abitativa pesa certamente una scadente iniziativa da parte degli amministratori delle grandi città, spesso incapaci di utilizzare i fondi loro riservati dalle regioni per la realizzazione di nuovi quartieri di edilizia residenziale pubblica. C'è il caso emblematico del comune di Roma, governato prima dall'attuale ministro Rutelli e poi dall'ex ministro Veltroni. Bene, entrambi si sono completamente «dimenticati» di individuare le aree per le zone di edilizia sociale, pur avendo collaborato per dotare la capitale di un nuovo piano regolatore generale dopo 40 anni. Alla fine di un percorso lungo e faticoso dove sono stati previsti milioni di metri cubi di cemento in ex aree verdi e agricole ad appannaggio di note lobbies del mattone, si è assistito all'approvazione del nuovo strumento di pianificazione territoriale valido per i prossimi 30 anni senza la previsione di edilizia sociale. Incredibile, ma vero...! ÈPag. 81stato questo un argomento critico dell'ultima campagna elettorale e, in seguito alle polemiche sviluppatesi, con il nuovo PRG già approvato, il consiglio comunale di Roma ha dovuto riaprire quel piano, cominciare a individuare le aree su cui sono in corso le indagini archeologiche per giungere a una variante generale a tempo di record che la dice lunga sulla serietà del lavoro svolto in questi anni e sulla reale portata innovatrice del disegno buonista veltroniano. Ci permettiamo di nutrire dubbi su chi scrive libri sulle sofferenze africane e non riesce a dare priorità, avendone tutti gli strumenti operativi, alla cessazione delle sofferenze dei cittadini che amministra, immigrati e africani compresi. Questo solo per sottolineare quanta poca sensibilità ci sia nei sindaci della sinistra, a Roma come in importanti città del sud.
Ma sappiamo anche che l'edilizia residenziale pubblica ha le armi spuntate per un'altra ragione, sempre scaturita dall'irresponsabilità di alcuni governanti: in alcune grandi città una percentuale oscillante tra il 50 e il 70 per cento del patrimonio disponibile è occupato da famiglie abusive, senza titolo o morose professionali. Per questa ragione sappiamo che la costruzione di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica, che aiuterebbe anche il mercato degli affitti a rendersi più accessibile, potrebbe non essere sufficiente. Vanno infatti ricondotti ai canoni di una nazione civile la gestione e la manutenzione dei fabbricati. Devono essere mandati via quegli inquilini che hanno modificato il loro reddito e non sono più all'interno dei requisiti sociali richiesti per abitare in un alloggio popolare, occorre consentire il rispetto delle graduatorie per non far proliferare fenomeni illegali quali quello delle «buone uscite», quello delle occupazioni organizzate e del «racket» conseguente cui spesso le occupazioni sono legate, quello della politicizzazione delle occupazioni e del disagio abitativo.
Ma quello citato è solo un apice della vicenda, più simile a una catena montuosa che a una singola vetta. Se da un lato gli amministratori locali hanno lavorato per trovare aree per i costruttori ignorando le fasce sociali più deboli che attendevano l'edilizia popolare, dall'altro un diverso soggetto debole è stato colpito ripetutamente e con inaudito accanimento: la piccola proprietà. Ad essa in questi anni le istituzioni hanno sostanzialmente imposto di agire in regime di sussidiarietà, espropriandogli il diritto costituzionale - riconosciuto tanto quanto quello ad avere una casa - alla proprietà. Le continue proroghe degli sfratti hanno di fatto impoverito quella massa di quasi la metà di proprietari che non sono immobiliaristi né speculatori, ai quali non è stato possibile rientrare in possesso del proprio bene né alla necessità né a fine contratto, con l'assurda penalizzazione di una fiscalità erariale e comunale che incide per il 50-60 per cento circa, calcolata oltretutto sul valore della proprietà invece che sulla rendita. Finché la proprietà sarà tassata in modo iniquo e insopportabile temo non avremo mai in Italia un vero mercato degli affitti e, nelle grandi città, saremo costretti a subire l'anomalia di mutui bancari troppo spesso di valore inferiore al canone di locazione e a un canone di locazione troppo spesso eguale o superiore a uno stipendio medio.
Risulta evidente la necessità di lavorare fortemente e proficuamente sulle politiche per la casa, magari con una nuova legge quadro che sia capace di tenere sotto controllo gli spropositati appetiti che si sono manifestati in questo settore e che hanno fatto lievitare esponenzialmente i profitti delle grandi aziende, che sappia investire sull'allargamento delle opportunità come condizione per calmierare il mercato degli affitti e riportarlo a quantità accessibili, che elimini in maniera prescrittiva e perentoria l'Ici (che secondo noi andrebbe abrogata in via di principio per la prima casa) almeno per coloro che affittano il proprio immobile alle categorie svantaggiate, che sperimenti con maggiore convinzione lo strumento dei «buoni affitto». Ma occorre anche intervenire per introdurre delle penalità per quei comuni che non si dotano di piani credibili, chePag. 82non utilizzano i finanziamenti nazionali e regionali per la costruzione di abitazioni di edilizia sociale, che non facciano rispettare le graduatorie per l'accesso alla casa popolare, che non siano capaci di affrontare con adeguata efficacia - collaborando con i prefetti e i questori - i fenomeni ormai endemici delle occupazioni ricorrenti che rischiano di far prevalere persone «protette» politicamente da persone che hanno semplicemente un diritto acclarato, ma non hanno «santi in paradiso» e non sono seguaci di gruppettari che organizzano le irruzioni negli immobili, pubblici e privati, adeguatamente segnalati da qualche «complice» annidato negli uffici casa delle amministrazioni locali. Il rischio illegalità non è più tale sul problema casa; sono i principali colpevoli della diffusione di questo dramma le cui conseguenze collaterali sono, come spesso capita, ciniche e deprimenti «guerre tra poveri».
Queste, in sintesi, le ragioni per le quali Alleanza nazionale si asterrà su questo disegno di legge, confermando la sua sensibilità verso le famiglie a «rischio sfratto» e, contemporaneamente, verso la martoriata piccola proprietà che paga per le demagogiche politiche fin qui volute dalla sinistra, che spesso l'ha equiparata a un vero e proprio «nemico sociale».
MAURO CHIANALE. Presidente, colleghi, tornare ad occuparsi di provvedimenti connessi al disagio abitativo per quelle categorie di particolare utenza, quali i soggetti svantaggiati, dà il segno della inefficacia degli interventi legislativi precedenti, nonostante che nella scorsa legislatura, praticamente una volta l'anno, il Parlamento, anzi più il Governo se ne sia occupato con provvedimenti d'urgenza.
Ben cinque sono stati i provvedimenti adottati comprese due leggi finanziarie: alcuni di mere proroghe, altri con più articolazioni normative di indubbia inefficacia, caratterizzati da macchinosità e complessità applicative. Gli effetti derivanti dalla mancanza di azioni convincenti in materia abitativa, assolutamente «cancellata» dal precedente Governo, hanno comportato ad oggi un aggravamento della situazione sia nelle aree metropolitane che nei centri medi, già ordinati in appositi elenchi che evidenziano la tensione del mercato immobiliare.
Questo provvedimento pone le premesse per una rinnovata politica della casa, anche se accenna ad alcuni processi che dovranno necessariamente divenire l'indirizzo di programmazione per questa materia, e così deve essere. Questo provvedimento di natura emergenziale necessariamente andrà contestualizzato in azioni più organiche future, ma non può rappresentare un disegno organizzativo più ampio che non può che essere previsto con la revisione, l'aggiornamento della legge fondamentale del 1998 n. 431. Sulle politiche della casa una discontinuità con il passato è d'obbligo, sia per cultura sia per efficacia, sia anche per le note obiezioni di incostituzionalità sulla adozione di una mera proroga degli sfratti.
Se nel passato si è semplicemente mascherato la proroga con la «creatività» di nuovi contratti, con sportelli emergenza sfratti, misure che non hanno, ahimè, conseguito alcun risultato, tanto è che siamo qui a discutere un nuovo ed ennesimo provvedimento, occorre sin da ora porre le azioni per conseguire l'obiettivo di far sì che questa emergenza possa rientrare via via nella normazione ordinaria, facendone fondamento delle azioni statali di sostegno alle competenze delegate alle regioni e ai comuni.
Di necessità occorre fare virtù e la comparazione tra le condizioni del conduttore e quelle del locatore - spesso paradossalmente invertite nel caso in cui il proprietario versi egli stesso in condizioni di disagio - diviene il minimo dovuto come azione di equità, prevedendo, come richiesto dalle sentenze della Corte costituzionale, misure congrue che facciano assumere alla collettività l'onere economico di protezione degli inquilini, alleviando il sacrificio del locatore, che si realizzano - a dire il vero come per i precedenti provvedimenti analoghi - conPag. 83benefici fiscali a vantaggio dei proprietari, sia da parte dello Stato sia, lo auspichiamo, da parte dei comuni.
Il principio della sospensione dei provvedimenti esecutivi di sfratto, finalizzata alla attivazione di strumenti di programmazione delle azioni di competenza delle regioni e dei comuni, deve sicuramente essere perfezionato, ma, seppur perfezionabile, costituisce un primo passo verso la programmazione concertata, dove lo Stato deve determinare, secondo i dettati dell'articolo 117 della Costituzione i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; tale azione dovrà essere supportata dal sostegno alla locazione ricostituendo il fondo sociale ad esso finalizzato con importi annui congrui, tali da rendere efficace la funzione originaria di vero sostegno alla spesa, rilevantissima per le famiglie, quale è l'affitto.
Dai dati divulgati dal Ministero dell'interno, riportati nella relazione tecnica al disegno di legge, risulta che il numero totale di provvedimenti esecutivi di sfratto emessi nell'anno 2004 è pari a 43.892, di cui 12.249 per finita locazione, 28 per cento. Dagli stessi dati risulta inoltre che il numero di richieste di esecuzione presentate all'ufficiale giudiziario per lo stesso anno è pari a 74.755. Applicando a questo numero la percentuale degli sfratti per finita locazione, incrementata prudenzialmente al 40 per cento per tenere conto del fatto che i dati citati, come indicato dalla fonte stessa, sono incompleti, si ottiene una stima del numero di sfratti in esecuzione per finita locazione ancora pendenti pari a circa 30.000. Si stima, inoltre, che i conduttori con i requisisti di disagio di cui all'articolo l, comma 1, siano pari a 15.000, il 50 per cento, e il restante 50 per cento è rappresentato dai conduttori di cui all'articolo l comma 3.
La semplice lettura dei dati testè elencati, aggiunta alla valutazione della attuale domanda abitativa relativa agli affitti nel nostro paese che è in massima parte costituita da famiglie a più basso reddito, costituisce l'elemento di fondo del problema casa. La popolazione che abita in affitto è quantificata in circa cinque milioni di nuclei familiari, dei quali quasi un milione occupa alloggi pubblici, mentre gli altri hanno fatto ricorso al mercato.
Si tratta di un mercato nel quale, dopo la dismissione del patrimonio degli enti previdenziali attraverso la cartolarizzazione e la vendita quasi totale del patrimonio delle assicurazioni, le grandi proprietà sono ridotte al lumicino.
È evidente che il mercato non comporta solo una valutazione di natura prettamente unicamente sociale, quindi leggibile dal solo lato dei costi; parliamo di un comparto che, se preso a sé e trattato come una partita di bilancio autonoma, potrebbe autoalimentare, se supportato, la spesa necessaria alla fase emergenziale e cofinanaziare la produzione di patrimonio pubblico al fine di rendere strutturale la presenza della pubblica amministrazione nel mercato delle locazioni.
Oggi l'emergenza abitativa nel nostro paese è rappresentata dalle circa 600.000 famiglie situate nelle graduatorie comunali in attesa di ottenere un alloggio in edilizia residenziale pubblica; queste famiglie dispongono di un reddito complessivo dell'intero nucleo inferiore agli 11.000 euro: il fatto che ciò corrisponda alla realtà è accertato e certificato dai comuni; può addirittura darsi che il fabbisogno sia superiore a quanto rilevato, poiché effettivamente non tutti i comuni hanno censito con graduatorie recenti ed aggiornate le richieste di assegnazione di casa popolare. Nel frattempo si è accentuato il fenomeno migratorio; si è ampliato il numero delle coppie che si sono separate; il lavoro si è precarizzato e in molti nuclei familiari il reddito si è ridotto; sono aumentati i prezzi degli affitti e gli sfratti per morosità.
Una quota di queste famiglie non è e non sarà in grado di agganciare eventuali fasi di sviluppo; l'unica opportunità o meglio possibilità che questo gruppo sociale avrà di beneficiare dei conti in regola e della ripresa economica sarà la maggior capacità di spesa che lo Stato dovesse destinare alle politiche sociali della casa.Pag. 84
Come dicevo, i comuni non aprono i bandi di accesso per le case popolari perché non hanno patrimonio da mettere a disposizione; in tal modo si apre la forbice della non conoscenza diretta dell'accertamento di bisogno, utile per programmare politiche abitative serie.
Ecco perché, anche se in maniera estemporanea, con questo provvedimento si promuove il piano ricognitivo a carico delle regioni e dei comuni, forse con più organicità, coinvolgendo di più il Parlamento e le Commissioni di merito che sia dalla attuale opposizione che dalla attuale maggioranza hanno acquisito, con l'esperienza sperimentale, cognizione comune su alcune modalità operative che potrebbero divenire la base di una nuova riforma della legge n. 431.
Ma così è e qualcosa si muove, quindi confidiamo in una maggiore considerazione futura.
Certo, le risorse investite negli ultimi 5 anni sono drasticamente diminuite: regioni e comuni hanno speso in media ogni anno un settimo delle risorse che venivano annualmente impiegate ai tempi della Gescal, e dopo la legge n. 21 del 2001 (quella sui contratti di quartiere, sulle riqualificazioni urbane), non è stato più stanziato un centesimo per le politiche abitative.
Per adesso questo Governo, che sosteniamo con convinzione, con il suo nuovo corso comincia ad affrontare l'emergenza sfratti: individua puntualmente i soggetti da tutelare; indica ai comuni lo strumento della programmazione pluriennale per l'intervento di emergenza; indica lo strumento di gestione per la regolazione degli sfratti e il passaggio da casa a casa prendendo ad esempio modalità in atto da parte dei comuni più importanti; semplifica e non complica le procedure per l'accesso alla tutela; delinea un indirizzo strategico attraverso il tavolo di concertazione nazionale con il compito di avviare il piano sulle politiche abitative. Occorrerà definire le proposte normative fiscali e strutturali per una normalizzazione in senso letterale del mercato immobiliare.
Mi auguro che questa proroga costituisca un passo in avanti; auspico che possa essere l'epilogo di una emergenza cronicizzata che di volta in volta diventa un atto di ingiustizia verso i proprietari, che rivendicano legittimamente il proprio appartamento; e il riproporsi del disagio, delle angosce di quei nuclei familiari già provati a cui si aggiunge, come se non bastasse, la paura della perdita della casa.
Voteremo convinti: il gruppo dell'Ulivo si esprimerà a favore di questo provvedimento con l'auspicio di ripercorrere qui in Parlamento, nella stagione delle riforme che tutti vogliamo, anche una nuova politica nazionale per la casa.
Dopo l'abolizione dei contributi Gescal a partire dal 1998 e l'esaurimento dei fondi del piano decennale con la delibera CIPE del 1994, è venuto meno il flusso strutturale di risorse che sosteneva le politiche sociali dell'abitare.
Il contenzioso tra Stato e regioni, generato dal totale trasferimento di competenze in materia di politiche abitative a queste ultime, senza individuarne le modalità di finanziamento, rimane uno dei tanti punti irrisolti del processo di decentramento.
Il tentativo messo in atto dal precedente Governo di centro sinistra di avviare una riforma strutturale del settore incardinata su tre punti - riforma dei canoni, fondo di sostegno alle locazioni, aumento dell'offerta di alloggi a canone calmierato con il cofinanziamento pubblico-privato - è stato vanificato con una azione di svuotamento di risorse e di ritardi attuativi da parte del successivo Governo di centro destra.
Il programma sperimentale 20.000 alloggi in affitto, finanziato con le leggi n. 388 del 2000 e n. 21 del 2001, che aveva il compito di avviare una sperimentazione che verificasse la possibilità di aumentare l'offerta di alloggi a canone calmierato, facendo ricorso al co-finanziamento pubblico-privato, non solo è partito con grandissimo ritardo, ma a procedure di programmazione concluse, le regioni si sono viste tagliare del 50 per cento gli stanziamenti a causa del cosiddetto «decreto Tremonti», lasciando così inattuati interventi per migliaia di alloggi, già dotatiPag. 85di aree, progetti e relative risorse aggiuntive messe a disposizione da cooperative e imprese.
Le stesse risorse per il fondo sociale di sostegno ai canoni sono state progressivamente ridotte ed erogate ai comuni con incertezza dei tempi.
È venuta così a mancare quell'offerta aggiuntiva di alloggi in locazione a canoni calmierati, che insieme agli incentivi fiscali per il canale concordato avrebbe potuto mitigare la crescita dei canoni di locazione, ed evitare quegli sfratti per morosità che oggi costringono nuovamente il legislatore ad intervenire in materia.
L'effetto combinato di diversi fattori ha creato le condizioni per una emergenza abitativa di lungo periodo: l'esaurimento dei fondi pubblici per le politiche abitative con scarsissime prospettive di stanziamento di fondi adeguati ai livelli del passato; un patrimonio pubblico che si riduce per effetto delle dismissioni e le cui condizioni sono pregiudicate dallo stato di conservazione e da fenomeni di morosità diffusa e di cattiva gestione; l'aumento del costo degli alloggi che insieme ad una nuova stagione di investimenti immobiliari spinge in alto il livello degli affitti; la mancanza di offerta di alloggi in locazione per le categorie più deboli; la difficoltà ad accedere ad un mutuo per le famiglie monoreddito e per quei lavoratori con contratti atipici o temporanei; la impossibilità di prorogare ulteriormente gli sfratti a seguito della sentenza della Corte costituzionale.
Il mercato si dimostra strutturalmente incapace di offrire soluzioni abitative economicamente sostenibili per larghe fasce di cittadini e di famiglie, in particolare per ciò che riguarda gli alloggi in locazione.
La corsa all'acquisto determina un immobilizzo di risorse finanziarie, riducendo la propensione all'investimento in impieghi che sostengano lo sviluppo e la crescita economica.
Le politiche dell'alloggio sociale« rappresentano un settore sempre più marginale, orientato soprattutto all'assistenza per le famiglie a più basso reddito.
La scarsità di investimenti pubblici connota il tema della casa come un grande problema privato: scarso è l'intervento regolatore sui meccanismi speculativi.
La larga diffusione della proprietà si associa alla sofferenza finanziaria delle famiglie ed al sovraffollamento ancora presente in parte del patrimonio abitativo; è causa anche della scarsa mobilità territoriale della popolazione e impedisce il razionale utilizzo del patrimonio abitativo.
La mancanza di alloggi a condizioni accessibili è di ostacolo al naturale e ordinato sviluppo della società: senza una casa non si formano nuove famiglie, non nascono figli, la società invecchia.
I temi nuovi sono l'invecchiamento della popolazione e la rilevante presenza di immigrati che nei prossimi anni sosterranno le dinamiche demografiche nel nostro paese.
Si tratta di due elementi demografici che saranno fortemente caratterizzati dal punto di vista della domanda abitativa, ponendo problemi di inclusione sociale e sostenibilità economica. Oggi l'attenzione si sposta dalla casa alla città: l'offerta di adeguate soluzioni abitative compatibili con l'ambiente diventa un fattore di attrazione dei sistemi urbani e li rende competitivi come sedi di crescita e di sviluppo.
Occorre tuttavia un quadro di riferimento innovativo e risorse adeguate: non è più rinviabile nel nostro paese, così come richiede l'agenda europea in tema di aiuti di Stato ai servizi di interesse economico generale, la definizione di »alloggio sociale« come settore articolato ma unitario meritevole di attenzione e di iniziative da parte della politica che insieme ad una legge di indirizzi per il governo del territorio ponga le basi affinché la questione abitativa non sia di freno ad un disegno di sviluppo.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi!
Il disegno di legge per la riduzione del disagio abitativo rimanda, con l'articolo 4,Pag. 86ad una ulteriore concertazione, per definire le politiche abitative di questo Governo.
Naturalmente sul tema del disagio abitativo noi socialisti ci aspetteremo in breve tempo questo mitico passaggio alla «fase 2», anche se il Presidente Prodi sembra non voglia sentirne parlare; valuteremo cioè se «Topolino» - (termine con cui Fassino ha mutato la definizione della fase 2) - dovrà essere un riformista o se rimarrà un personaggio dei fumetti.
La casa è un diritto affermato dalla «Carta universale dei diritti dell'uomo» e recepito come tale con una legge del 1976 dallo Stato italiano. Un diritto per i cittadini ha sempre o dovrebbe avere come conseguenza un «dovere-istituzionale» per chi governa. In tal senso la casa ha avuto una grande attenzione nelle politiche socialiste della cosìddetta «Prima Repubblica».
Dalla seconda metà degli anni '90, invece, i governi che si sono succeduti hanno di fatto eliminato o svuotato la legislazione precedente che almeno in parte garantiva tale diritto alle fasce di cittadini meno abbienti. Ed hanno delegato al mercato il soddisfacimento di questo fondamentale diritto.
Oggi, nelle grandi aeree urbane, soprattutto, è impossibile trovare un alloggio a prezzi sostenibili: esistono problemi di coabitazione, aumentano gli indebitamenti, i pignoramenti e le morosità per pagare fitti da usura. Si rendono precari molti settori sociali un tempo al riparo dalla crisi economica; si pensi alle recenti crisi produttive delle aziende del territorio piemontese che hanno reso e rendono gravoso e spesso impossibile pagare mutui e accedere al mercato della casa e quindi costruire una vita dignitosa e pianificare un futuro. Chi ha redditi troppo bassi o saltuari non riesce neppure ad accedere al mercato privato della casa.
Il tetto sulla testa agli italiani costa sempre di più. Secondo gli ultimi dati Nomisma (cito una fonte «imparziale», come potrà testimoniare il Presidente Prodi), nel 2004 i prezzi degli immobili sono lievitati del 10,8 per cento e nel 2006 sono destinati a un'ulteriore, anche se più attenuata, crescita del 5 per cento.
Le famiglie che vivono il «disagio abitativo» sono stimate in circa 2.180.000, pari a poco più del 10 per cento. Ma il 55 per cento degli italiani considera questo »un problema più diffuso di quanto si immagini«, e il 35 per cento «una questione rilevante per alcune particolari categorie sociali».
Innanzitutto gli anziani: circa 3 milioni di essi vivono soli, e la condizione di solitudine è di per sé un fattore di disagio abitativo. Inoltre il 20 per cento delle famiglie con capofamiglia anziano vive in affitto, e di queste il 70 per cento paga il canone ad un singolo proprietario privato (quindi, nella maggior parte dei casi, un canone di mercato); non stupisce dunque che quasi la metà degli anziani del nostro paese sia gravato da un canone che assorbe almeno il 40 per cento del reddito familiare. E facile quindi comprendere come circa 2.400.000 anziani si dichiarino «poco o per nulla soddisfatti» della propria abitazione.
Seguono i disabili, con circa 1.200.000 nuclei familiari che vivono quotidianamente il disagio abitativo di barriere domestiche o condominiali.
Ci sono poi i separati, costretti dalle vicende familiari a ricercare una nuova casa, il più delle volte in affitto, visti gli oneri economici che la separazione stessa comporta. L'incremento notevolissimo delle separazioni crea dunque nuove sacche di domanda debole.
Infine gli immigrati. Su un totale di 2.400.000 individui circa 1.450.000 sono in condizioni abitative stabili (100.000 in proprietà e 1.350.000 in affitto) ma più di 950.000 si trovano in condizioni di precariato abitativo di diversa natura; sommando a questi ultimi i lavoratori immigrati che abitano in affitto ma in condizioni di grave sovraffollamento (circa 540.000), l'area del disagio cresce fino a coinvolgere circa 1.500.000 immigrati (più del 60 per cento del totale). Inoltre gli immigrati non si avvicinano alle forme sociali più elementari di autotutela, comePag. 87il sindacato degli inquilini, soprattutto perché, pur riconoscendone l'importanza, hanno paura a far valere i loro diritti. E la ragione è semplice: temono di perdere il lavoro, la casa e le opportunità che cercano nel nostro paese.
Il problema del disagio abitativo esiste ed è drammatico per chi lo vive in prima persona ma non è tale da non poter essere affrontato e risolto. È una questione di razionalizzazione e di ottimizzazione della risorsa casa che sul territorio dei comuni italiani è scandalosamente sottoutilizzata a tutto danno delle fasce più deboli della popolazione in generale e di quella immigrata in particolare.
Cosa fare per razionalizzare e ottimizzare in termini di politiche sociali adeguate una risorsa tanto sovrabbondante? Sono in atto da molti decenni in diversi paesi europei, e da anni anche in alcuni comuni italiani, iniziative che mirano a portare a soluzione almeno parziale il problema casa indotto anche dai flussi migratori. Si tenta di sostenere piani di sviluppo dei comuni limitrofi alle grandi aree urbane che frenino la concentrazione della popolazione: piani che non prevedono solo lo sviluppo abitativo ma che includono anche la creazione di nuove infrastrutture industriali o del trasferimento delle vecchie e di servizi ricreativi e commerciali decentrati.
Il problema della casa è centrale nel dibattito politico, così come il lavoro, la scuola e la sanità.
Di cose in questo campo se ne possono e se ne devono fare diverse, utilizzando tutti gli strumenti disponibili e differenziando gli interventi in relazione ai bisogni dei destinatari (giovani coppie, lavoratori in mobilità, donne sole, anziani, immigrati, eccetera). Usare la leva fiscale e dell'Ici per «premiare» il fitto a certe condizioni e «penalizzare» le case «sfitte» da tempo; promuovere la residenza temporanea «casa in cambio di accudimento» per proprietari soli ed anziani; riqualificare il patrimonio pubblico lasciato in disuso attraverso lavori di ristrutturazione e manutenzione di appartamenti che possono essere ancora vivibili e non lasciati al degrado.
In contesti come quello italiano in cui il mercato delle locazioni è bloccato dalla paura dell'inquilino che non paga, una iniziativa di grande rilievo è quella che vede i comuni farsi conduttori, titolari di contratti di locazione con i privati, per poi gestire gli appartamenti presi in affitto in maniera tale da garantire i proprietari. Questa misura ha consentito, dove è stata adottata, di ottenere in breve tempo la disponibilità di decine e decine di appartamenti.
Un'altra iniziativa rilevante potrebbe essere quella del recupero e adattamento di vecchie strutture comunitarie abbandonate: collegi, ex-seminari, ex-caserme, a residenze per lavoratori italiani e stranieri, con stanze singole o doppie e servizi di portineria, pulizia, mensa, lavanderia e socializzazione anche in relazione alle nuove esigenze di mobilità lavorativa.
Ma per questo occorrono risorse finanziarie che solo una politica lungimirante può ottenere dal sistema finanziario con mutui a 15-20 anni per un investimento sul futuro.
Tutti, con accenti più o meno forti sul ruolo dei comuni, riconoscono alle istituzioni un ruolo primario di progetto e coordinamento delle politiche abitative. Occorre dunque dare piena attuazione alla legge n. 21 sul disagio abitativo che, se finanziata ed attuata, può dare utili risultati secondo quattro direttrici da seguire: la prima indica un miglior utilizzo dei fondi per l'affitto, destinandone una quota agli affitti degli extracomunitari. La seconda è rivolta al Governo che deve essere incalzato fino ad ottenere nuovi stanziamenti per l'edilizia agevolata in affitto. La terza: le regioni devono anch'esse destinare risorse proprie all'abitazione. La quarta: sono da escludersi fondi finanziati dalle imprese per alloggi-ghetto, destinati ai propri dipendenti che subirebbero tra l'altro «la doppia dipendenza», sia come lavoratori che come inquilini, una strada vecchia, iniqua e non percorribile.Pag. 88
Importanti invece le sinergie tra fondi immobiliari, fondazioni bancarie e fondi pensione. I fondi immobiliari, secondo il sindacato SUNIA, partiti in ritardo, investono solo in edilizia non residenziale: «è possibile costruire un percorso che coniughi redditività e bisogno sociale abitativo? Io penso di sì e l'affitto potrebbe confluire nel fondo». Le fondazioni bancarie potrebbero «indirizzare risorse là dove c'è fortissima richiesta di alloggi che, in questo senso, avrebbe i connotati di un bisogno sociale». Sui fondi pensione poi si potrebbe pensare di reinvestirne parte in fondi immobiliari per garantire loro maggior redditività. Queste sono le proposte che questo Governo dovrà trovare ai tavoli di concertazione.
E da queste risposte potremo valutare se la sinistra vuoi essere una forza riformista come noi auspichiamo.
VITTORIO ADOLFO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame riguarda 2.200.000 persone.
Tuttavia, la prevista proroga per gli sfratti a famiglie in forte disagio, con reddito annuo di 27 mila euro e con anziani, figli e portatori di handicap a carico per un periodo di otto mesi non risolve assolutamente il problema.
Manca una politica strategica di programmazione nonché le risorse finanziarie necessarie per dare a tutti una casa.
Pertanto annuncio il voto d'astensione del gruppo dell'UDC in considerazione del forte disagio sociale che vivono le categorie meno abbienti.
GUIDO DUSSIN. Pur riconoscendo la difficoltà di raggiungere un equilibrio fra interessi divergenti in un tema, come quello degli sfratti, con forti ripercussioni sociali, c'è da sottolineare che non si può continuare a penalizzare i piccoli proprietari «sfortunati» che hanno dato in affitto il proprio immobile ad inquilini ultrasessantacinquenni e che da anni aspettano di rientrare nel possesso del proprio immobile. Non è possibile far ricadere su di loro, all'infinito, i costi sociali.
Un tale comportamento del Governo contraddice i principi basilari della Costituzione sui diritti della proprietà privata.
Del resto la continua proroga degli sfratti per alcune categorie di cittadini blocca in realtà lo stesso mercato delle locazioni, creando dei precedenti che dissuadono i proprietari ad affittare i propri immobili a persone ultrassessantacinquenni o portatori di handicap, finendo per danneggiare proprio le categorie che dovrebbero essere tutelate. Il nostro gruppo, in più occasioni, ha sostenuto che, inevitabilmente, in futuro diverrà impossibile per tali categorie trovare un alloggio da affittare nel libero mercato. Infatti, quale proprietario vorrà mai affittare un appartamento alle categorie cosiddette «tutelate» sapendo che successivamente gli sarà impossibile o per lo meno alquanto difficile rientrare nel possesso del proprio immobile?
Occorre partire dal principio che un locatore, anche ai sensi della Costituzione (articoli 24, 42 e 102) deve poter disporre della sua proprietà privata non solo quando gli serve per assoluta necessità sua o della sua famiglia ma proprio alla scadenza del contratto di locazione. Non è pensabile obbligare i privati a sopperire alle attuali inefficienze della pubblica amministrazione in materia edilizia residenziale pubblica.
In merito alla costituzione di apposite commissioni presso le prefetture per la graduazione degli sfratti, riteniamo che occorre evitare di effettuare passi indietro alterando ancora una volta il normale corso dei procedimenti di sfratto. Oramai, le competenze in materia di sfratti sono state restituite alla magistratura ordinaria e il capitolo delle commissioni prefettizie dovrebbe essere chiuso per sempre. La Lega Nord, in passato, ha condotto vere battaglie contro le commissioni prefettizie, ossia contro l'introduzione di un organo politico di governo, il prefetto, in problematiche afferenti il processo civile. Si ricorda che in passato queste commissioni non hanno mai funzionato e sono state la causa di una serie di proroghe degli sfratti (e la prova evidente è il fatto che non hanno risolto la situazione ma hanno solo spostato il problema nel tempo).Pag. 89
Infine, La Lega è contraria all'intromissione dello Stato in materie di competenza regionale, come quella dell'edilizia residenziale pubblica. Si tratta di un passo indietro che capovolge l'attuale decentramento in materia. Peraltro si ricorda che si tratta di competenze trasferite dallo Stato alle regioni con la «riforma Bassanini», del Governo di centro-sinistra (decreto legislativo 112/98).
Attualmente le regioni hanno già definito, con propria legge, gli obiettivi e gli indirizzi della programmazione dell'edilizia residenziale e i comuni hanno già recepito nei propri regolamenti tali criteri generali.
Si tratta di obiettivi e indirizzi che devono tenere conto delle peculiarità regionali e che non possono essere di nuovo accentrate a livello nazionale. Riteniamo impossibile definire un «programma nazionale di edilizia residenziale pubblica» senza intromettersi nelle prerogative regionali.
Il nostro gruppo voterà contro il presente provvedimento per i seguenti motivi: per l'ampliamento della platea dei beneficiari della proroga degli sfratti su tutto il territorio nazionale, che si presenta come un'inversione di marcia rispetto ai provvedimenti di proroga disposti dal Governo Berlusconi che hanno cercato di limitare, progressivamente, tale proroga ai casi più manifesti di crisi abitativa; per la riconsegna nelle mani del prefetto e di nuove «commissioni prefettizie» della graduazione delle azioni di rilascio degli alloggi; per l'invasione da parte dello Stato delle competenze delle regioni nella materia dell'edilizia residenziale pubblica, attraverso la prevista istituzione di un «programma nazionale di edilizia residenziale pubblica».
Il nostro gruppo è stato da sempre contrario alle proroghe dei termini di sospensione delle procedure esecutive di sfratto, proroghe che si rivelano pesanti soprattutto per i piccoli proprietari e finiscono di fatto per trasformarsi in veri e propri «espropri» della proprietà immobiliare scaricando sulle spalle dei privati cittadini le insufficienze dello Stato in materia di politica sociale.