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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 17,25).
(Iniziative per risolvere la posizione fiscale del personale italiano a contratto presso le rappresentanze diplomatiche e gli istituti di cultura negli Stati Uniti d'America - n. 2-00368)
PRESIDENTE. L'onorevole Ferdinando Benito Pignataro ha facoltà di illustrare l'interpellanza Bellillo n. 2-00368 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11), di cui è cofirmatario.
FERDINANDO BENITO PIGNATARO. La ringrazio, Presidente.
Signor sottosegretario, proprio mentre preparavamo questa interpellanza urgente nei giorni scorsi, è comparso sul Corriere della sera un articolo dal titolo: «I nostri diplomatici evasori per il fisco degli Stati Uniti».
L'articolo si riferisce a questo contenzioso tra Stati Uniti e Italia. Gli Stati Uniti sostengono che il personale dell'ambasciata deve pagare le tasse in loco. Il personale in servizio presso le ambasciate, le sedi consolari e gli istituti di cultura italiana ha ricevuto in questi giorni una lettera dal fisco americano, che intima di pagare le tasse arretrate entro il 20 febbraio. Si tratta di somme sostanziose: il debito pro-capite che i nostri connazionali avrebbero contratto con il fisco americano ammonterebbe a somme da 75 mila a 100 mila dollari.
L'articolo riportava tra l'altro che se queste persone non pagheranno entro il 20 febbraio, saranno trattate alla stregua di criminali comuni.
Credo che intanto sia necessario precisare che non si tratta di diplomatici, ma del personale delle sedi diplomatiche. Il fatto riguarda, in particolare, il personale non già del Ministero degli affari esteri, ma di quelle persone a contratto locale, di cui abbiamo già avuto modo di parlare per le tante vertenze e i tanti problemi, segnalati Pag. 107ai governi che si sono succeduti in questi anni e, purtroppo, rimasti drammaticamente irrisolti.
Per ultimo, proprio durante la discussione e l'esame della legge finanziaria 2007 (ma anche su questo punto non siamo riusciti a far approvare la nostra tesi) avevamo esperito il tentativo di modificare il decreto-legge n. 223 del 2006 (successivamente convertito in legge, il cosiddetto decreto Bersani), che a sua volta modificava l'articolo 3, comma 1, e l'articolo 24, comma 3, del testo unico per le imposte sul reddito, stabilendo che i soggetti non residenti, oltre a non avere diritto alle deduzioni per carichi di famiglia, non avrebbero, e non avranno, più diritto alle deduzioni per assicurare la progressività dell'imposizione, la cosiddetta no tax area.
Ci troviamo di fronte all'assurdo che il personale a contratto, il cui reddito viene sottoposto al regime fiscale italiano, subisce un trattamento fiscale discriminante rispetto a quello riservato al personale di ruolo, a parità di reddito, di condizione lavorative e familiari.
Si tratta di una delle tante discriminazioni a cui sono soggetti questi lavoratori e connazionali, i quali sono poi quei lavoratori fissi delle ambasciate, delle sedi consolari e degli istituti di cultura italiana. Si tratta di dipendenti fissi perché, mentre il personale del ministero degli affari esteri viene spostato in rapida successione da sede a sede, questi lavoratori sono la memoria storica presso le nostre sedi diplomatiche e istituti di cultura. Sono quei lavoratori che hanno il contatto, il rapporto continuo con i nostri connazionali che lavorano o risiedono all'estero.
Guardi, sottosegretario, credo che essi rischino tra l'altro anche una beffa ulteriore.
Pare infatti che le spese per le nostre sedi all'estero sarebbero decurtate del 35 per cento, facendo prevedere la chiusura di sedi consolari. A fronte di questo problema, a differenza che per il personale di ruolo non c'è nessuna previsione, per la ricollocazione del personale a contratto ed il mantenimento dei livelli occupazionali.
Su questo, sui diritti sindacali negati (basti pensare che questi lavoratori, a differenza degli altri, sono esclusi dalle elezioni delle rappresentanze sindacali, in base al decreto legislativo n. 103 del 2000), su tutte queste discriminazioni noi presenteremo nei prossimi giorni dei progetti di legge.
Le differenze e discriminazioni che riguardano questi lavoratori, però, sono tante: esse riguardano l'avanzamento professionale di carriera, diversificato rispetto al personale di ruolo, la stessa disparità di trattamento salariale (vi è fra l'altro anche una differenza nell'adeguamento all'aumento del costo della vita), le disparità sul trattamento economico in casi di malattia, il non accesso ai processi di formazione e riqualificazione.
Insomma, signor sottosegretario, si tratta di una vertenza ampia che ci auguriamo - visto che abbiamo sollevato il problema alla sua presenza - possa trovare un tavolo stabile al Ministero degli affari esteri, al fine di risolvere, caso per caso, tutte le questioni.
L'urgenza dell'interpellanza sta nel fatto che entro il 20 questi nostri cittadini o non accetteranno il condono e quindi saranno perseguiti dalla giustizia degli Stati Uniti d'America, oppure lo accetteranno e si autodenunceranno quali evasori fiscali; ciò, pur avendo regolarmente pagato le imposte - prelevate, accantonate e versate dal Ministero degli affari esteri, quale sostituto d'imposta - al ministero delle finanze americano. Essi pagano per un'omissione del Ministero degli affari esteri, che nella fase di accantonamento e versamento delle imposte avrebbe dimenticato di applicare i dettati dell'accordo bilaterale Italia-Usa. Quindi, non si tratta di evasori, ma di vittime di un errore che essi non hanno commesso.
Nei giorni scorsi le loro organizzazioni sindacali avevano chiesto all'ambasciata italiana negli Stati Uniti d'America di conferire un incarico ad un esperto americano di questioni fiscali, in modo che potesse dirimere la matassa, seguire la loro vicenda, il loro contenzioso e tentare Pag. 108di recuperare la situazione; fino ad oggi, però, non vi è stata nessuna risposta.
Anche il personale delle ambasciate di altri paesi è stato coinvolto nella verifica fiscale dall'amministrazione americana, partita nel febbraio 2006. Esso però è stato sollevato dall'amministrazione di provenienza, che è riuscita (come nel caso della Gran Bretagna, che si è fatta carico di rimborsare direttamente le imposte al fisco americano) a trovare soluzioni che tutelassero i loro dipendenti.
L'intervento che noi chiediamo riguarda lo slittamento della data del 20 febbraio relativa al condono e, nel frattempo, la revisione degli accordi fra l'Italia e gli Stati Uniti in materia tributaria, in modo che il trattamento fiscale sia improntato alla reciprocità fra stati aderenti. Insomma, vogliamo che vi siano accordi più chiari per prevenire situazioni di conflitto ed evitare le conseguenze date dalla richiesta di regolarizzazione relativa a situazioni debitorie pregresse nei confronti del personale a contratto.
Tra l'altro, vi è un precedente pericolosissimo avvenuto l'anno presso le nostre sedi consolari in Canada. Ad un dipendente le autorità canadesi hanno posto sotto sequestro tutti i beni in suo possesso e richiesto la restituzione di 300 mila euro, nonostante le tasse fossero pagate e incassate dal fisco italiano.
Quindi, si rende indispensabile la ratifica degli accordi sottoscritti da parte del Parlamento e una decisione in base alla quale le irregolarità causate dalle inadempienze del ministero vengano prontamente sanate. In ogni caso, credo urga un intervento immediato presso gli Stati Uniti per cercare di chiudere una vicenda, che potrebbe provocare danni enormi a lavoratori italiani.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Donato Di Santo, ha facoltà di rispondere.
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Le prime avvisaglie di un irrigidimento del fisco statunitense sulla questione evocata dall'onorevole interpellante risalgono al marzo 2006. In quella occasione la nostra ambasciata a Washington aveva informato il Ministero degli affari esteri di un possibile, nuovo approccio americano al complesso tema del regime fiscale applicabile al personale a contratto, in servizio presso tutte le missioni estere negli USA.
Questo sviluppo, come segnalava l'ambasciata, lasciava tra le altre cose intravedere la possibilità di eventuali future verifiche del fisco locale sulla posizione tributaria di tutti i potenziali interessati, tra cui anche un certo numero di nostri dipendenti locali a contratto.
Nessuno sviluppo concreto è seguito nei mesi successivi. Tuttavia, il Ministero degli affari esteri ha proceduto, comunque, ad un approfondimento della materia con lo scopo di mettere meglio a fuoco la posizione fiscale del personale interessato, anche in relazione alle convenzioni vigenti.
Dalla verifica è emerso che, in una serie di casi (49 impiegati su un totale di 123) il regime fiscale previsto dai contratti di impiego dei singoli dipendenti non risultava conforme al dettato della convenzione bilaterale tra Italia e Stati Uniti per evitare le doppie imposizioni, in vigore dal 1985, in quanto in essi erano contenute clausole che disponevano l'assoggettamento degli interessati ai prelievi alla fonte dell'erario italiano.
Questa difformità non era, però, immotivata. La decisione di applicare ai casi in parola il regime fiscale italiano anziché quello americano nasceva, infatti, dalla constatazione dell'esistenza di una situazione di reciprocità de facto, che è risultata sostanzialmente avallata anche dalla vigente normativa statunitense.
Veniva, infatti, rilevato che le autorità tributarie americane sembravano essere prevalentemente interessate ad esercitare la propria potestà tributaria sui propri cittadini in servizio all'estero alle dipendenze delle proprie rappresentanze diplomatiche.
Solo all'inizio dello scorso dicembre le avvisaglie di irrigidimento del fisco statunitense prendevano concretezza con la comunicazione formale a tutte le missioni Pag. 109estere degli Stati Uniti dell'avvenuta adozione di un provvedimento del servizio delle entrate, consistente in una proposta di condono fiscale diretta a tutti gli impiegati delle rappresentanze estere negli Stati Uniti che non fossero in regola con il versamento delle imposte nel paese. Come termine di scadenza per aderire alla proposta di condono veniva fissata la data del 20 febbraio 2007, un termine apparso subito palesemente inadeguato in rapporto all'obiettiva complessità della materia, come anche del numero dei soggetti di vari paesi potenzialmente coinvolti.
Di fronte alle comprensibili preoccupazioni del personale interessato, il Ministero degli affari esteri ha intrapreso una serie di iniziative e contatti miranti a ottenere una congrua proroga del suddetto termine del 20 febbraio, a pervenire ad un riconoscimento da parte statunitense dell'esistenza di una condizione di reciprocità che, anche sulla base delle stesse disposizioni interne americane (sezione 893 del codice delle entrate fiscali) consenta il mantenimento dello status quo ante ovvero, in subordine, escluda qualsiasi effetto retroattivo delle pretese del fisco statunitense.
Per il conseguimento del primo obiettivo, in aggiunta ai numerosi interventi effettuati a livello bilaterale sia a Washington sia a Roma - in parallelo con analoghe sollecitazioni svolte anche da altri paesi dell'Unione europea - sono state date istruzioni alla nostra ambasciata affinché si facesse attiva promotrice anche di un passo da parte della Presidenza tedesca dell'Unione europea. Un'iniziativa simile veniva intrapresa in ambito ONU dalla nostra rappresentanza permanente a New York.
La pressante azione condotta sulla controparte statunitense attraverso tutti i canali possibili ha sortito un primo fondamentale risultato. Abbiamo, infatti, appreso proprio ieri che le autorità americane sono infine pervenute alla decisione di prorogare fino al 30 marzo prossimo il termine per l'adesione alla proposta di condono fiscale, dando pertanto spazio all'avvio dei necessari articolati contatti anche a livello tecnico per chiarire la situazione.
Alla luce di tale sviluppo è stato già richiesto all'ambasciata a Washington di informare i propri interlocutori locali che l'Italia intende avviare immediatamente consultazioni bilaterali, che includano anche le competenti autorità tributarie, al fine di pervenire ad un'intesa definitiva e soddisfacente per entrambe le parti sulla controversa materia.
Vale la pena ad ogni modo sottolineare che, nei contatti sinora avvenuti, la controparte americana ha già manifestato la propria disponibilità ad approfondire la questione della reciprocità.
Nelle consultazioni che interverranno con le autorità statunitensi, l'amministrazione si avvarrà di uno specialista appositamente individuato dalla nostra rappresentanza a Washington.
Vorrei infine precisare che sui progressivi sviluppi della vicenda sono state tenute costantemente aggiornate le organizzazioni sindacali attraverso apposite informative, tenute sia a Roma che a Washington. Incontri di uguale tenore anche con il personale direttamente interessato si sono svolti a Washington e in altre sedi negli Stati Uniti.
PRESIDENTE. Il deputato Pignataro ha facoltà di replicare.
FERDINANDO BENITO PIGNATARO. Sono soddisfatto dell'intervento del Governo relativo alla mia interpellanza urgente, perché ritengo che il sottosegretario si sia presentato con risposte fattive alle nostre richieste di una proroga, anche se in termini molto brevi. È un fatto importante - era la prima richiesta che facevamo - che permetterà di promuovere quel chiarimento tecnico sugli accordi bilaterali e soprattutto di tentare di risolvere il problema della reciprocità.
Riguardo alla seconda questione, di cui credo non si possa che essere soddisfatti, si tratta di una risposta ad una delle richieste che era stata avanzata dalle organizzazioni sindacali e dagli stessi lavoratori Pag. 110a contratto negli Stati Uniti: essi chiedevano appunto di essere seguiti in tutta la fase di chiarimento e di confronto da uno specialista, di cui - il sottosegretario ce lo ha annunciato - la delegazione italiana si avvarrà.
Ritengo, quindi, che su questa vicenda ci possa essere soddisfazione, perché le risposte risultano adeguate e danno un segnale abbastanza chiaro di interesse da parte del Ministero degli affari esteri italiano verso questi lavoratori, che operano nelle nostre sedi consolari.
Ho fatto tutta una premessa nel mio ragionamento per arrivare a parlare di una vertenza molto più ampia, sulla quale mi pare evidente che il sottosegretario non potesse rispondere e che non era posta nei termini veri e propri di una interpellanza. Voglio, però, approfittare della presenza del sottosegretario Di Santo per sollecitarlo a questo punto, proprio perché vi sono elementi gravissimi di una vertenza che perdura da molto tempo e su cui non vi è alcuna soluzione, di farsi promotore o di promuovere in modo diretto un incontro con le organizzazioni sindacali su tutta la partita che riguarda i lavoratori a contratto delle ambasciate italiane, delle sedi consolari e degli istituti di cultura italiani all'estero.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.