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Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Riprendiamo gli interventi sul complesso degli emendamenti.
Constato l'assenza dell'onorevole Khalil Alì, detto Alì Raschid: si intende che abbia rinunciato ad intervenire.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci accingiamo a votare questo decreto-legge di rifinanziamento delle missioni, relativo anche a quella in Afghanistan, dopo che nelle scorse settimane il Governo è entrato in piena crisi in materia di politica estera. Si arriva all'esame di questo decreto dopo che il Governo è stato costretto a presentare le dimissioni innanzi al Presidente della Repubblica, a causa della mancanza al Senato di una maggioranza sulla politica estera. Il Governo si è dimesso e poi ha ricevuto il reincarico da parte del Presidente della Repubblica, ottenendo, come sappiamo, la fiducia al Senato ancora per pochi voti. Tuttavia, gli spigoli e le problematiche interne alla maggioranza restano e soltanto pochi giorni dopo ci troviamo ad affrontare uno degli aspetti più critici per questa maggioranza, come appunto la politica estera ed in questo caso il rifinanziamento delle missioni, tra cui quella portata avanti in Afghanistan.
In quel paese sono presenti i nostri soldati e le nostre truppe, impegnate in missione. Sappiamo oggi da quanto sta accadendo in queste ore, da quanto è accaduto nei giorni scorsi e da quanto è presumibile accada nelle prossime settimane che certamente non si tratta più di una missione di pace; purtroppo possiamo dire che ci troviamo in una situazione di guerra. Ci troviamo in tale situazione con una maggioranza di Governo che ha applaudito, quando a governare era il centrodestra, Zapatero, che decise di ritirare la propria partecipazione militare dagli scenari internazionali di guerra.
Era la maggioranza che sventolava le bandiere della pace e che diceva che c'è solo una pace «senza se e senza ma». Era una maggioranza che chiamava le truppe italiane e americane truppe di occupazione, nei territori dove invece i nostri soldati andavano per mantenere la pace e per cercare di sistemare le situazioni di difficoltà esistenti. Era una maggioranza che diceva che la guerra non ci doveva essere, sempre, «senza se e senza ma». Era una maggioranza che quindi mai nessuno pensava avrebbe fatto le scelte che pare si accinga a fare in questi giorni.
Quindi riscontriamo una contraddizione forte, chiara, palese in questa votazione, visto che, da quanto sappiamo, anche la parte della sinistra più radicale pare voler votare questo rifinanziamento, sul quale noi peraltro siamo ovviamente d'accordo. Quindi, al di là della sceneggiata che c'è stata al Senato, da parte di alcuni senatori, i quali dicevano che mai avrebbero votato il rifinanziamento della missione in Afghanistan e che mai avrebbero votato questa politica estera, la paura del voto - la paura di questa maggioranza, che non ci sarebbe più, qualora si dovesse tornare al voto - è più forte degli ideali, con i quali si andava a sventolare la bandiera della pace nei mesi scorsi e negli anni scorsi, nelle piazze italiane e nelle manifestazioni a favore della pace che venivano fatte. Questa crediamo sia la sintesi politica che si può cogliere, al di là del fatto che anche il nostro gruppo appoggerà il rifinanziamento di questa missione.Pag. 69
La votazione di questo provvedimento viene accettata con alcuni «contentini». Si parla di una conferenza di pace, da organizzare non si sa bene ancora dove e da portare all'attenzione degli organismi internazionali, una conferenza di pace dove si discuterà di tutto e di più relativamente a ciò che riguarda la pace, ma che ancora oggi non è chiara. È messa lì come contentino per chi con difficoltà sarà costretto a votare questo decreto. Una conferenza di pace che ad oggi si stima costerà all'Italia circa 500 mila euro. Ma questo è solo il prezzo previsto per l'Italia; poi non si sa quanto verrà a costare agli altri paesi che vorranno prendere parte a questa conferenza di pace, ammesso che vogliano parteciparvi. Non vorremmo che magari, nel momento in cui questa iniziativa non giungesse in porto, i 500 mila euro, accantonati nei capitoli della politica estera, venissero poi utilizzati per rifinanziare ancora un'operazione di guerra, come quella che si sta prefigurando in Afghanistan. Sarebbe quasi uno scherzo del destino per chi ha chiesto questa conferenza di pace, rispetto alla quale oggi non vi è alcuna certezza, al di là del fumo che si vuole vendere con questa proposta.
Inoltre abbiamo sentito formulare l'ipotesi dell'utilizzo dell'oppio che viene prodotto in Afghanistan per fini farmaceutici; un utilizzo che è stato proposto, ed anche in parte condiviso, da diversi gruppi della maggioranza, ma poi abbiamo visto essere stato smentito nei fatti. Tuttavia chi mastica un po' di questa materia ci ha spiegato che una proposta di questo genere non sarebbe nemmeno praticabile, in quanto ai fini terapeutici oggi l'oppio costa circa 20-30 dollari al chilo, mentre nel mercato illegale si viene a pagare circa 130 dollari al chilo. Quindi, chi mette illegalmente sul mercato questo oppio è portato a farlo in vista di un vantaggio economico. Cercare di convincerlo a comportarsi diversamente, è un tentativo che chiaramente da un punto di vista economico non sta in piedi.
Bisogna, invece, praticare politiche finalizzate alla riconversione delle produzioni; azioni in tal senso sono state già intraprese ed hanno conseguito risultati parzialmente positivi. È questa la politica che deve essere perseguita, anziché pensare di commercializzare, magari «istituzionalmente», l'oppio a fini farmaceutici, come è stato proposto da alcuni componenti della maggioranza.
Onorevoli colleghi, purtroppo possiamo tranquillamente affermare che oggi, in Afghanistan, esiste una situazione che si sta drammaticamente aggravando. L'inverno è finito ed in primavera, come affermano gli analisti che si intendono di questi scenari, saremo sicuramente di fronte non ad una missione di pace, ma ad una prospettiva di vera e propria crisi; del resto, chi è già intervenuto ha parlato di una vera e propria guerra. Quindi, ci troviamo a rifinanziare non più una missione di pace, ma un impegno che incontrerà chiaramente momenti di difficoltà e (anche se speriamo di no) di criticità particolare.
Osserviamo che oggi le nostre truppe paiono non essere in grado non dico di attaccare (perché non chiediamo ciò), ma addirittura di difendersi da eventuali situazioni di crisi. Attualmente, infatti, i nostri militari, per come il Governo intende questa missione, non sono capaci di difendersi da attacchi che, anche nelle zone da essi occupate, potrebbero eventualmente subire. Ciò perché la situazione, come è stato affermato, si sta «irachizzando»: in altri termini, la realtà in Afghanistan si sta aggravando a tal punto da prefigurare scenari che ricordano quanto avvenuto in Iraq. Pertanto, risulta difficile la ricerca di quella famosa «terza via» che il centrosinistra vorrebbe individuare.
Vorrei segnalare che «la prima via» è rappresentata dalla partecipazione delle nostre truppe alla guerra, mentre la seconda è costituita dal ritiro. La «terza via» che il centrosinistra vorrebbe seguire non si capisce chiaramente quale sia e, in uno scenario di questo tipo, probabilmente nemmeno c'è!
Dunque, una «terza via», ipotetica o ideale, non esiste: o si decide di partecipare ad una missione che non è più di pace, ma è di guerra, oppure si sceglie la Pag. 70strada del ritiro. Purtroppo, di fronte ad una situazione che si sta lentamente, ma inesorabilmente aggravando, «terze vie», come intende prefiggersi il Governo in carica, non ce ne sono!
Concludo il mio intervento rilevando come questa missione, appoggiata inizialmente, nella scorsa legislatura, dalla Casa delle libertà, abbia comunque conseguito alcuni risultati. Possiamo infatti affermare che, oggi, l'Afghanistan è un paese più libero di prima. È altresì possibile riconoscere che determinati diritti civili ed umani, anche se non nel modo in cui siamo abituati a conoscerli, cominciano ad essere comunque rispettati. La figura della donna, inoltre, non patisce più le condizioni precedenti, ed oggi gode di maggiori diritti. Abbiamo constatato, infine, che anche la tecnologia e l'informazione si stanno espandendo.
Certo, si tratta di risultati minimi rispetto a quelli cui siamo abituati, ma sono comunque conquiste tangibili e chiaramente visibili. Formuliamo, quindi, l'auspicio che le modalità della partecipazione dei nostri soldati - che, purtroppo, si trovano in uno scenario di guerra - siano chiare e precise. Non vorremmo, infatti, che venissero lasciati in una condizione di ambiguità, perché ciò potrebbe anche condurli allo sbaraglio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.
GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, vorrei aprire il mio intervento esprimendo solidarietà alla famiglia del giornalista rapito in Afghanistan ed auspicando, altresì, il suo pronto rilascio da parte dei sedicenti talebani che ne hanno rivendicato il rapimento.
La discussione sulle linee generali che si è svolta ieri in quest'aula e i titoli dei giornali di questa mattina hanno dimostrato, ancora una volta, la mancanza di una linea di politica estera comune da parte di questa maggioranza, la quale solo pochi giorni fa aveva dato la fiducia al Governo.
Sicuramente, si tratta di una fiducia a tempo. Probabilmente, chi ha votato la fiducia sapeva che, dopo qualche giorno, non sarebbe stato nella condizione di poter votare il provvedimento all'esame ed ecco allora spuntare su tutti i giornali la panacea di ogni male: dopo la fiducia a tempo anche le maggioranze variabili. Indubbiamente, è una innovazione politica che ha un solo significato, quello di ribadire che il centrosinistra non ha la maggioranza in politica estera e di digerire il fatto che per poter andare avanti è necessario avere i voti del centrodestra. Questo per noi è sicuramente inaccettabile, anche se tuttavia, da forza responsabile come siamo, non faremo mancare il nostro appoggio, sia ai militari impegnati nei vari scenari internazionali sia con riferimento agli impegni internazionali che l'Italia ha sottoscritto.
Gli alleati, atlantici e non, devono sapere che l'Italia è affidabile, che possono contarci, e che tale affidabilità deriva non dalla sua maggioranza di governo, ma dal centrodestra, che aiuta a sostenere la politica estera del paese. La credibilità di un intero paese è stata minata da questa maggioranza; ne è stata umiliata in più di una occasione, non con un solo voto, bensì con due voti parlamentari, che hanno portato addirittura alla crisi di governo; poi, come se niente fosse siamo andati avanti!
Noi voteremo questo provvedimento, come già ricordato, per senso di responsabilità; tuttavia dobbiamo ribadire che, nel caso in cui, al netto dei voti favorevoli della nostra parte politica, l'Unione non avesse la maggioranza, dovrebbe prenderne atto e, come ha detto D'Alema in tempi non sospetti, dovrebbe anche andare a casa (e noi lo auspichiamo).
Come forza responsabile abbiamo compiuto un'attività emendativa (con particolare riferimento ad un emendamento) per riuscire a migliorare il testo del provvedimento in esame, che sotto alcuni punti di vista ci lascia quantomeno perplessi. A tale proposito, in questa fase politica e in uno scenario internazionale instabile, noi riteniamo necessario riportare Pag. 71il finanziamento delle missioni da annuale a semestrale, perché non possiamo asservire a basse logiche di politica interna il ruolo svolto dall'Italia negli scenari internazionali.
Il Parlamento deve avere la possibilità di continuare a vigilare sulle azioni che noi svolgiamo all'estero e deve essere messo in grado, attraverso il rifinanziamento semestrale, anche di prendere le decisioni più opportune e maggiormente idonee all'eventuale mutamento degli scenari internazionali. Ricordiamo che tale era la posizione che voi avete tenuto durante tutta la scorsa legislatura, nel corso della quale noi siamo sempre stati accusati di voler scippare al Parlamento il controllo sulle missioni internazionali.
A questo punto, noi riteniamo di venire incontro alle vostre richieste, per cui abbiamo presentato l'emendamento cui ho fatto cenno per poter mantenere a livello semestrale il finanziamento delle missioni.
Quanto all'altra novità, contenuta in questo provvedimento, dei milioni stanziati per la cooperazione, se, da un lato, troviamo positivo il fatto che vengano destinate risorse al sostegno della popolazione civile e alla ricostruzione delle infrastrutture e del tessuto sociale in Afghanistan, dall'altra ci lascia molto perplessi la mancanza di meccanismi di controllo che possano garantire l'effettiva efficacia della spesa che viene effettuata in base ai fondi messi a disposizione.
Anche dalle audizioni informali svolte in Commissione non è emerso un vero e proprio meccanismo di controllo, dunque non siamo certi di come i soldi verranno spesi. Pertanto, abbiamo paura che i così tanti fondi destinati a vari interventi possano correre il rischio di finanziare le coltivazioni di oppio, magari i signori della guerra, che altro non fanno che aumentare l'instabilità e la precarietà del Governo afgano.
L'altro punto che, tramite emendamenti qualificati, abbiamo cercato di mitigare è quello riguardante il rischio che i fondi della cooperazione non vadano ad effettivo appannaggio del popolo afgano, ma vengano spesi per contratti di consulenza, che spesso possono finire a sedicenti organizzazioni non governative, che sovente sono autoreferenziali e che non fanno il bene del popolo afgano.
Quanto alla questione dell'oppio, anche autorevoli esponenti della sinistra, come ad esempio Pino Arlacchi - che, nel 1994, fu eletto nelle fila degli allora progressisti -, hanno affermato che si tratta di una via non praticabile, sia perché non vi è domanda, sia perché non è una vera e propria forma che consente di sostenere la conversione delle colture da parte dei contadini afgani. Pertanto riteniamo si tratti di una proposta al limite dell'irresponsabile, se non addirittura senza senso.
Quanto alla Conferenza di pace, occorre chiarire che saremmo favorevoli ad una Conferenza di pace in grado di risolvere nei fatti i problemi dell'Afghanistan. Tuttavia, riteniamo che l'attuale quadro politico e la posizione assunta dai vari attori che dovrebbero prendere parte a tale Conferenza evidenzino che ciò sarà possibile solo dopo la soluzione della situazione irachena. Se non si scioglie il nodo dell'Iraq, paesi come l'Iran difficilmente parteciperanno, assumendo una posizione costruttiva e fattiva, alla Conferenza di pace sull'Afghanistan. Conseguentemente, riteniamo che lo stanziamento di 500 mila euro destinato alla Conferenza sull'Afghanistan debba essere speso con molta più efficacia per l'Iraq ed abbiamo presentato emendamenti in tal senso.
A questo punto, rimane il tema di fondo relativo alla situazione di queste missioni all'estero. Mi rivolgo ai compagni della sinistra: dovete chiarirvi le idee, dovete smetterla di mentire a voi stessi, dovete rendervi conto che esiste un'opinione pubblica alla quale non potete mentire!
I recenti episodi accaduti in Afghanistan - le 16 vittime dell'altro ieri, i 9 morti civili di ieri nonché i continui attacchi suicidi - dimostrano che ci troviamo in un teatro di combattimento. Anche se la zona dove sono schierati i militari italiani e la Pag. 72cooperazione civile italiana in questo momento non è interessata da eventi bellici, essi possono facilmente verificarsi.
Allora, dobbiamo essere pronti e consapevoli che i nostri militari potrebbero essere chiamati a difendersi e che non lo potranno fare con le bandiere della pace, ma dovranno farlo con le armi.
Credo sia compito di una maggioranza di Governo rendersi conto che questa evenienza può, effettivamente, verificarsi.
La politica estera di questo Governo è venuta meno prima riguardo alla base di Vicenza, poi con la bocciatura al Senato delle linee dell'Esecutivo presentate dall'onorevole D'Alema. Ci chiediamo quale sarà la prossima occasione in cui verrà meno la maggioranza: forse essa riguarderà questo provvedimento sull'Afghanistan o, forse, lo stanziamento per gli F35 che verranno assemblati nella base di Cameri.
Questa, quindi, non sembra la svolta pacifista che la sinistra radicale ha chiesto al Governo: finanziare attraverso 800 milioni di dollari un programma militare teso alla realizzazione del Joint strike fighter F35 non ci sembra una politica di pace.
Concludo affermando che, probabilmente, il cambio di titolo di questo provvedimento e i milioni a pioggia per la cooperazione civile potranno placare la coscienza di qualche appartenente alla sinistra radicale permettendogli di esprimere un voto favorevole. Questo, però, non farà diminuire i rischi a cui sono sottoposti i militari in tutti i teatri in cui operano (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ascierto. Ne ha facoltà.
FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, ci troviamo dinnanzi alla conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali, quindi è d'obbligo ricordare gli uomini e le donne, in divisa o meno, che in ogni parte del mondo, rappresentando l'Italia, esprimono il valore della solidarietà che, grazie alla loro azione, si estrinseca in profonda umanità.
Vi sono circa 8 mila 500 militari impegnati in più di venti missioni, nell'ambito delle quali le Forze armate hanno potuto manifestare tutta la loro grande professionalità. Vorrei ricordarle queste missioni: Kosovo, Scopje, Bosnia, Sarajevo, Afghanistan, India, Libano, Baghdad, Gaza, Medio Oriente, Ebron, Cipro, Egitto, Sudan, Malta, Mediterraneo, Congo e Sahara occidentale. Ebbene, dovunque i nostri militari si sono fatti apprezzare per la grande carica di umanità e la vicinanza alle popolazioni.
Le popolazioni non hanno mai ritenuto ostili i nostri militari; talvolta mi rammarico e rimango esterrefatto quando osservo che, invece, in Italia vi è una certa avversità nei loro confronti.
Le attività dei nostri militari hanno portato miglioramenti soprattutto in regioni caratterizzate da forti conflitti etnici, ad esempio ad est, vicino all'Adriatico; grazie all'azione dei nostri militari sono state divise le fazioni tra loro contrapposte, è stata bloccata la pulizia etnica. Inoltre, abbiamo visto operare i nostri militari anche in altre parti del mondo, in Somalia, in Africa; un ruolo fondamentale lo hanno avuto in Medio Oriente e in teatri di guerra quali l'Iraq e l'Afghanistan.
Veniamo, però, al nodo della questione, senza nasconderci dietro la retorica: assicurare la pace tra i popoli non è possibile solo sventolando bandierine e dichiarandosi pacifisti. Bisogna invece assumersi la responsabilità di azioni concrete, nei confronti dei popoli e anche verso il proprio paese.
Pace significa non solo stabilizzazione di un paese sui versanti della democrazia e dei rapporti internazionali; pace significa anche lotta al terrorismo. Proprio da un attacco terroristico sferrato contro l'Occidente è infatti nata l'azione che ha portato alla guerra sia in Afghanistan - dove, invero, la lotta si è concentrata soprattutto contro il terrorismo - sia in Iraq. Dopo l'11 settembre 2001, una risoluzione dell'ONU Pag. 73ha riconosciuto il diritto alla legittima difesa degli Stati Uniti; Stati Uniti e altri paesi dell'Occidente vedevano infatti minacciata la propria libertà e la propria sicurezza.
Avute le prove del coinvolgimento terroristico di Al Qaeda - che aveva le proprie basi proprio in Afghanistan -, è iniziata, quindi, l'operazione Enduring freedom, con l'obiettivo di colpire le cellule dell'organizzazione terroristica di Al Qaeda. Le operazioni, poi protrattesi per due mesi, hanno ottenuto ottimi risultati; il Governo talebano, che finanziava e difendeva Al Qaeda, ha subito non solo perdite cospicue ma anche una sostanziale sconfitta.
Poi, dall'ONU si è passati alla NATO e alla missione ISAF; la partecipazione dell'Italia con un contingente iniziale di 500 uomini - divenuto oggi molto più numeroso - ha avuto funzioni importanti, dapprima nell'impedire infiltrazioni di talebani e di terroristi in una zona al confine tra Afghanistan e Pakistan, quindi, attraverso una costante e importante attività svolta sul territorio. Quest'ultima ha rappresentato non solo un'operazione di difesa ma anche un'operazione altissima di solidarietà.
È bene ricordare, oggi, quanto gli italiani hanno compiuto partecipando alla realizzazione di progetti importanti. Penso al progetto «Una scuola per ogni distretto»: sono in fase di costruzione nuove scuole, specie laddove è concentrato, oggi, il contingente italiano (ma anche altrove). Le scuole consentono l'istruzione, quindi il rinnovamento culturale di nuove generazioni che sicuramente potranno, in posti diversi dalle madrasse, acquisire una cultura moderna anziché quella arcaica in cui si coltivano l'odio e l'integralismo più spietato.
Che dire, poi, di altri progetti importanti, quali quello sulla sicurezza, con il supporto alle forze di polizia afgane, gli equipaggiamenti, l'addestramento, l'attività congiunta sul territorio e la ricostruzione di infrastrutture?
Ma mi riferisco anche ad altri progetti, come ad esempio «L'acqua è vita», realizzato attraverso la costruzione di nuovi pozzi per dissetare la popolazione. Sfogliando i documenti del Ministero della difesa, è possibile prendere visione dei tanti interventi promossi nel settore sanitario (ambulatori, ospedali pediatrici e tante altre strutture sanitarie): questa è l'opera di grande importanza svolta dai nostri uomini e dalle nostre donne in divisa!
Come facciamo, allora, di fronte ad un'azione così importante, a concepire la necessità di ridurre i contingenti che operano in quei luoghi? Casomai - è vero -, si può pensare ad una forma di cooperazione, ad una maggiore partecipazione di civili; tuttavia, dove c'è rischio, i civili potrebbero trovarsi nell'impossibilità di realizzare i progetti, ove non fosse previsto l'affiancamento di una struttura militare che li difenda e che collabori con loro.
Certo, in Afghanistan, come avevamo previsto in una nostra mozione, è necessario combattere le coltivazioni di oppio - che sono il vero, grande problema - e riconvertire l'agricoltura. Vanno fatti sforzi in tutto il paese, perché il 90 per cento dell'oppio immesso sui mercati mondiali proviene proprio dall'Afghanistan. Poiché la popolazione afgana, che sotto il profilo culturale ed economico è a livelli minimi, vive di queste coltivazioni, bisogna riconvertire l'agricoltura. Non si può invece affermare che, prima della riconversione, o durante essa, bisogna acquistare l'oppio: nemmeno per finalità benefiche possiamo acquistare l'oppio per distribuirlo a chi ne ha bisogno! Non possiamo fare gli spacciatori di Stato attraverso le istituzioni! È assolutamente sbagliato: non si combattono in questo modo gli spacciatori, i costruttori di morte! Dovete sapere che in Afghanistan vengono prodotte 6 mila 100 tonnellate di oppio e che con 10 chilogrammi di oppio si produce un chilo di eroina. Pensate ai tanti ragazzi che muoiono nelle nostre strade con le siringhe ancora nelle vene, vittime degli spacciatori di morte anche nostrani, i quali distribuiscono il male ai nostri giovani!Pag. 74
I militari serviranno a distruggere le piantagioni. Un esperimento del genere è stato già avviato in Albania e ha dato frutti importanti, eccezionali: grazie alla collaborazione delle nostre forze dell'ordine con la polizia albanese è quasi scomparso il traffico delle droghe prodotte in Albania. Allora, anche questo è un percorso che dobbiamo seguire.
Per quanto riguarda le altre missioni, vorrei soffermarmi, in particolare, su quella in Iraq. In Iraq c'è una parte dei nostri sentimenti più profondi: il valore della patria e l'attaccamento alle istituzioni. Avevamo sempre detto che la nostra azione in Iraq era fatta di solidarietà e che i nostri militari erano pacificatori: essi hanno dato la vita per la democrazia di un popolo! I nostri militari hanno dato la vita per costruire un percorso solidale: aiutando gli anziani ed i bambini; costruendo ospedali; recuperando il patrimonio artistico ed architettonico dei luoghi in cui sono stati impiegati.
Quando la mano assassina del fanatismo e del terrorismo ha colpito, in Iraq, i carabinieri e gli altri militari, noi abbiamo riflettuto e ci siamo uniti intorno a quel sentimento, a quel valore di patria, condividendo il percorso di pacificazione. Voi avete voluto cercare la discontinuità, chiamando talvolta questi ragazzi in modo improprio, quindi non pacificatori. Tra i banchi di questo Parlamento siedono alcuni rappresentanti che hanno partecipato a manifestazioni nelle quali, invece del sentimento di vicinanza ai nostri uomini impegnati nell'azione di solidarietà, vi è stato un grido insensato e oltraggioso: non possiamo dimenticare i «dieci, cento, mille Nassiriya» urlati nelle piazze e nelle strade da uomini che non hanno nessun senso, né della giustizia né della lotta al terrorismo né della civiltà.
Pertanto, noi oggi rivendichiamo quel ruolo di pacificazione di quanti sono stati impegnati in Iraq. Prendiamo atto che all'interno di questo decreto-legge sono stanziati 30 milioni di euro destinati a continuare l'attività iniziata in Iraq. Era la stessa attività che svolgevano le nostre Forze armate e i nostri carabinieri. Infatti, l'articolo 2, comma 2, lettera a), del decreto-legge in esame destina tali somme «al sostegno dello sviluppo socio-sanitario in favore delle fasce più deboli della popolazione». Che cosa facevano i nostri militari se non proprio questo? La lettera b) dello stesso articolo aggiunge: «al sostegno istituzionale e tecnico». Ma chiedo ancora, che cosa facevano i nostri militari impegnati nella formazione delle forze dell'ordine, della polizia locale e dei militari iracheni? E ancora, la lettera d) destina le somme: «al sostegno dello sviluppo socio-economico».
Ebbene, mi auguro che, attraverso questa contribuzione, ci sia la possibilità di aiutare ancora la popolazione irachena che ha avviato un suo percorso di democrazia che deve ancora completarsi.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FILIPPO ASCIERTO. Questo è l'auspicio e noi voteremo convinti a favore della conversione in legge di questo decreto-legge. Convincetevi anche voi che questa è la strada necessaria per un paese come l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Grazie, signor Presidente. Mi consenta in apertura di puntualizzare che precedentemente, per un mio errore di comprensione sulla fase dei nostri lavori, ho svolto in buona misura un intervento - e mi scuso anche con il sottosegretario Intini - che non era riferito esattamente alle comunicazioni del sottosegretario relativamente alla vicenda del rapimento di Daniele Mastrogiacomo. Va da sé che la posizione mia e del mio gruppo su tale questione è di vicinanza e di sostegno ai familiari e ai cari del giornalista, di attento sostegno alle iniziative che il Governo vorrà prendere al proposito.
Passando alla questione specifica, nella giornata di ieri, il presidente della Commissione esteri Ranieri ha auspicato per Pag. 75questo decreto un'intesa bipartisan. Questo, tuttavia, presidente Ranieri, comporterebbe che, proprio al fine - come si diceva - di preservare il buon nome dell'Italia sulla scena internazionale, entrambe le coalizioni si schierassero compattamente su una posizione comune. Non è un'intesa bipartisan quella in cui l'opposizione supplisce alle defezioni della maggioranza; non è propriamente bipartisan neppure se l'intesa è la mera convergenza dei voti fra quanti, come i partiti della Casa delle libertà, sono da sempre lealmente a sostegno della missione ONU e quanti invece, fin dal 2001, hanno avversato la presenza multinazionale in Afghanistan, ma ora votano a favore dell'impegno militare italiano per ragioni opportunistiche (per non far cadere il Governo), continuando magari a definire naziste le truppe americane, accanto alle quali i militari italiani operano e combattono e - credo - combatteranno.
C'è troppa ipocrisia, pochissima chiarezza d'impostazione, nessuna responsabilità politica nella posizione della maggioranza. Non si può sostenere una presenza militare con la riserva mentale politica di dover impedire qualunque impegno e impiego propriamente militare delle nostre truppe. Eppure, queste cose manifestamente contraddittorie vengono sostenute all'interno della medesima maggioranza.
Infine, signor Presidente, vorrei svolgere qualche breve e personalissima considerazione sulla questione, tanto richiamata in questa discussione, della coltivazione dell'oppio in Afghanistan e delle possibili iniziative.
Vorrei invitare ad una riflessione e ad una discussione non influenzata da considerazioni e convinzioni che nulla hanno a che fare con il tema specifico posto, ossia quello dell'inserimento di una parte almeno della produzione attuale di oppio afghano nel mercato legale della produzione mondiale a fini terapeutici, in particolare per le terapie del dolore.
In tale contesto, non c'entrano alcunché il proibizionismo e l'antiproibizionismo. Le domande cui si deve cercare di dare una risposta sono le seguenti: quale strategia si ritiene più efficace per arginare il crescente fenomeno della produzione di oppio illegale e il traffico illegale su cui i signori della guerra lucrano profitti enormi? Dobbiamo proseguire la strategia, già ampiamente sperimentata senza grande successo, della eradicazione e della riconversione delle colture?
Su questo, vi sono stati tentativi promossi anche dalle agenzie dell'ONU, dal vicesegretario generale dell'ONU, Arlacchi, quando era alla guida dell'UNODC. Questi tentativi, anche attraverso accordi più o meno diretti con i talebani, hanno prodotto risultati scarsissimi, anzi opposti a quelli che ci si aspettava.
Oppure, possiamo scegliere la strategia di ritirare la produzione di oppio, naturalmente ai prezzi di mercato, dai contadini afghani che oggi vengono pagati dai signori della guerra, che con quei soldi armano progetti politici antitetici a quello che vede impegnate le nostre truppe; possiamo scegliere la strategia di ritirare quell'oppio e poi convertirlo nella produzione di morfina e di altri preparati medici.
Sappiamo che la domanda di farmaci derivanti dall'oppio è in forte crescita. Prendiamo il caso dell'Italia: dal 2004 al 2005 siamo passati da 7 a 22 milioni di dosi prevalentemente di morfina. Sappiamo che è stata approvata una legge sulla terapia del dolore che ha avuto anche questo esito e che in molti paesi la domanda non cresce semplicemente per i costi proibitivi di acquisto.
Ad oggi, le stime (e sono stime per difetto) sono di 5 mila tonnellate annue e i dati sono dell'International Narcotic Control Board (INCB) sulla produzione di oppio per fini medicali; tanto per aver un ordine di grandezza, la produzione di oppio in Afghanistan stimata è di 6.100 tonnellate.
Mi chiedo (e credo che il tema posto dai colleghi sia questo e non un altro, che non c'entri la legge Fini-Giovanardi né l'antiproibizionismo) se a questa crescente domanda di farmaci oppiacei si debba far fronte con un aumento della produzione legale in Tasmania o in Turchia o in Pag. 76Francia, come succede, e perché invece si voglia escludere da questo mercato legale i produttori afghani, condannandoli senza possibilità alcuna di alternativa al mercato illegale.
Comprendo molte delle obiezioni che sono sollevate a questa possibilità, a questo tipo di scelta. È chiaro che devono essere sperimentazioni, interventi o scelte attuate a partire dalle aree che, in qualche modo, sono controllate legalmente dal Governo e dalla coalizione.
È evidente che il costo dell'oppio illegale è più alto. Si tratta, dunque, di ritirare le produzioni ad un prezzo che, per chi ha dimestichezza con la politica agricola comunitaria, sarebbe di sostegno e non ad un prezzo di mercato; ma dopo decenni e decenni di PAC, gli europei sono molto attrezzati tecnicamente ad affrontare questo problema. È altrettanto chiaro che i signori della guerra non assisterebbero inerti al prosciugamento delle loro fonti di finanziamento e che esiste la possibilità che si aumenti semplicemente la produzione, destinando altre aree alla produzione illegale.
Credo però, conoscendo la situazione ed avendo consapevolezza anche delle possibili obiezioni, che sarebbe un errore rifiutare pregiudizialmente l'approfondimento di questa strategia in nome di quella che nel mondo, da decenni, è nota complessivamente sotto il nome di «guerra alla droga»; questo, a mio avviso, non è il tema in discussione, e non lo deve neppure diventare, posto dall'iniziativa o dall'intervento volto, ripeto, ad inserire nel circuito del mercato legale della produzione di oppio a fini medicali anche i produttori afghani. Ciò anche perché la realtà è quella che conosciamo oggi, ossia l'aumento della produzione e del traffico illegale, a tutto vantaggio - ciò sta succedendo - di coloro che hanno un interesse opposto al nostro. Il nostro interesse è la stabilizzazione civile e democratica dell'Afghanistan. L'interesse dei signori della guerra, dei talebani, che campano e si finanziano grazie al narcotraffico ed alla produzione illegale di oppio, è proprio la destabilizzazione.
Trovo sagge, in conclusione, su questo tema, le parole usate oggi, nel corso di un'intervista radiofonica, dall'ex ministro Carlo Giovanardi, che sicuramente non è imputabile di fare parte di qualsivoglia fronte antiproibizionista. Giovanardi diceva: se è un metodo legale e pulito per dare un colpo al narcotraffico, si può valutare. Direi: si deve valutare, ma, in fondo, questo è un dettaglio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, come sempre, nel gioco delle parti si tende a ripetere la propria posizione o quella del proprio gruppo politico. Questa sera, anche considerando l'ora e restando in tempi ristretti, vorrei, invece, cercare di svolgere un'analisi non dico diversa, ma forse con un «taglio» diverso della situazione. Dico questo perché ritengo che la situazione in Afghanistan sia estremamente seria; lo abbiamo constatato anche precedentemente, nella discussione sulle comunicazioni del Governo.
Dico subito che questo provvedimento prevede una quantità di missioni sulle quali, bene o male, siamo tutti d'accordo. Perché, sostanzialmente? Perché, di solito, è ben chiara la mission di tali missioni. Come Commissione esteri, ci siamo recati in Libano il mese scorso ed è chiaro ciò che stanno facendo i nostri soldati; in Afghanistan, purtroppo, non è chiaro. Ciò, a mio avviso, deve essere ammesso. Non stiamo in quest'aula a parlare delle diverse posizioni che vi sono all'interno della maggioranza e dell'opposizione, ma soprattutto all'interno della maggioranza. Non è questo il fulcro del problema. Di fatto, la nostra posizione in Afghanistan sta diventando sempre più difficile e sono estremamente preoccupato per ciò che sta avvenendo. Infatti, rispetto all'inizio della missione, quando si pensava forse in un'iniziativa dai tempi brevi, ci si sta sempre di più trincerando in una situazione da cui non si riesce ad uscire, perché non è più chiaro cosa si debba fare. Penso Pag. 77che si debba prendere atto di ciò e, senza infingimenti, cercare di capire quali siano le priorità.
Debbo dare pubblicamente un atto di merito ai presidenti delle Commissioni di Camera e Senato - vedo presenti in quest'aula i colleghi Pinotti e Ranieri - perché questa volta, a differenza delle precedenti proroghe delle diverse missioni italiane, abbiamo avuto la possibilità di tenere una serie di audizioni, alcune delle quali estremamente interessanti, soprattutto per renderci conto di quanto la situazione sia più complessa di come, schematicamente o con un po' di ipocrisia, possa essere interpretata. In questa situazione il punto fondamentale è che non possiamo uscirne subito - è evidente -, ma dobbiamo trovare un modo per poterne uscire. Preannunzio, in proposito, la mia intenzione di sottoscrivere l'emendamento Rivolta 1.50, che mira a ridurre i termini di questo provvedimento. Temo, infatti, che nel mese di agosto la situazione in Afghanistan sarà molto diversa e, purtroppo, peggiorata rispetto alla situazione attuale.
Dunque, ciò che mi preoccupa, a questo punto, è che soltanto a livello internazionale se ne può venire fuori. Nessuno può essere contrario ad una conferenza di pace che, in qualche modo, stabilizzi la situazione o indichi soluzioni, ci si augura attraverso il più alto consesso e consenso da parte di tutti. Il problema è che noi, in questo momento, abbiamo sul terreno alcune migliaia di uomini che sono in evidente stato di difficoltà, anzitutto perché non hanno chiara la loro mission; in secondo luogo perché sono coperti dall'ipocrisia un po' di tutti in quest'aula, a cominciare dal alcune vene, da alcune parti della maggioranza; in terzo luogo, perché penso che i soldati che sono stati chiamati ad affrontare una missione di pace, ed è missione di pace da parte dei soldati italiani, si trovino coinvolti in un, non dico percorso, ma in una situazione di guerra, con possibilità di difesa insufficienti.
Quando in audizione ho chiesto all'ammiraglio Di Paola se i nostri soldati fossero sufficientemente protetti, la risposta sibillina in politichese è stata: per le condizioni normali, sì, abbastanza. In una situazione che sta rapidamente evolvendo questa frase non può essere sufficiente e chiedo al Governo di essere attento su questo punto. Non possiamo lesinare a uomini che stanno rischiando la vita ogni possibile copertura.
È molto ipocrita dire che non si mandano forze armate sufficienti, oppure che non si manda la copertura aerea, oppure sostenere che a tal fine ci si avvarrà soltanto degli aerei di trasporto che non possono combattere o dei Predator che sono senza equipaggio e, quindi, non comportano rischi. Usciamo da queste ambiguità, perché non per nostra volontà ci troviamo in una situazione veramente difficile.
Non possiamo stare a metà del guado: o ci stiamo, e ci stiamo seriamente e con le coperture adeguate, oppure, al limite, veniamo via subito, cosa che, ovviamente, non si può fare. Allora, per il tempo in cui ci stiamo, facciamolo nella completezza degli effettivi e delle coperture, perché, Dio non voglia, se tra qualche giorno qualche nostro soldato saltasse in aria su qualche mina, allora ci chiederemmo se i mezzi di trasporto siano coperti e sufficiente adeguati nel caso in cui, per esempio, passino sopra una mina per una strada afghana, come è successo purtroppo in Iraq.
Come Parlamento, indipendentemente dalla posizione di ciascuno, dobbiamo assumere queste posizioni, che possono anche non piacere a una parte della sinistra, ma che vanno prese perché, altrimenti, mettiamo a rischio anche delle vite umane.
Soprattutto, dobbiamo lavorare dal punto vista politico per venire fuori dall'Afghanistan perché non possiamo in itinere o sine die stare lì. Quando il ministro della difesa dice che ci stiamo almeno fino al 2011, che ragionamenti sono? Se andiamo ad analizzare la storia dell'Afghanistan, vediamo che la situazione non si risolve probabilmente neanche in vent'anni. Secondo me, ci si è messi con estrema leggerezza in una situazione, ma, Pag. 78ripeto, adesso ci siamo dentro ed è positivo che ci siamo andati. Infatti, non potevamo non andarci perché l'Italia ha anche dei costi da pagare a livello internazionale; però prima di tutto occorre pensare alla copertura e alla difesa dei nostri uomini.
Inoltre, sussiste un'altra ipocrisia, quella della cooperazione. Sono assolutamente d'accordo che si faccia della cooperazione in Afghanistan come in tutto il mondo - anzi, sollecito il Governo a stanziare più fondi per tale scopo -, ma, con l'episodio di oggi e i commenti che abbiamo fatto due ore fa quando parlavamo del rapimento di Daniele Mastrogiacomo, pensate che un talebano riesca a distinguere un cooperante da un soldato? Quando devono prendere qualcuno, prendono il primo che capita. Certo, se ha un mitra in mano probabilmente cercheranno anche di sparargli e, in caso contrario, magari aspetteranno - speriamo - a fare un'esecuzione e, comunque, ad uccidere. Comunque, fare della cooperazione senza sicurezza è impossibile: non c'è sicurezza senza cooperazione, ma non c'è cooperazione senza sicurezza. Certi pacifisti hanno detto che volevano andare senza la copertura delle Forze armate, ma dopo accade quanto si è verificato per la signora Sgrena con tutti i fatti conseguenti, o quanto è successo oggi, anche se si tratta di un giornalista che sta lì a fare il suo dovere.
Concludendo, in Afghanistan dobbiamo prima di tutto avere una solidarietà che sia trasversale a tutti i gruppi politici e, quindi, evidentemente un impegno da parte di tutti. In secondo luogo, penso che sia sconveniente giocare la carta della demagogia. In terzo luogo, la maggioranza deve dimostrare anche di essere - come ho detto, su questo non parlo - autosufficiente, indipendentemente dai voti che, poi, arriveranno dal centrodestra, perché, davanti alla «pelle» dei nostri soldati che sono schierati in posizione difficile, non si possono avere delle ambiguità.
Secondo me, è troppo facile giocare la carta dei pacifisti ad oltranza. Nessuno di noi è guerrafondaio perché la guerra è la più brutta cosa che possa esserci al mondo, con le sofferenze collaterali, ma, come dicevo nel precedente intervento, ricordiamoci che in altre parti del mondo, come in Iraq, sono all'ordine del giorno decine di morti per attentati: ahimé, questo sta succedendo anche in Afghanistan. Penso che ci sia veramente bisogno di senso di responsabilità e serietà da parte di tutti (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, anch'io voglio evidenziare come per la prima volta si siano creati seri dubbi sulla credibilità e sull'affidabilità dell'Italia nel contesto internazionale. La politica estera ed in materia di difesa del Governo in carica non ha avuto ultimamente la fiducia del Parlamento al Senato. Il rifinanziamento delle missioni internazionali e, pertanto, il ruolo dell'Italia in politica estera è, ancora una volta, protagonista di questa fase.
La questione afgana ha assunto contorni e dimensioni politici, anche alla luce delle posizioni che via via sono state assunte dalle forze interne alla maggioranza. Fa specie che su un tema fondamentale di politica estera, sul quale l'onorevole D'Alema non ha esitato a porre una sorta di aut aut affermando, con un appello senza «se» e senza «ma», che si sarebbe dovuto esprimere un voto favorevole oppure andare a casa, l'Italia non possa avere una posizione nitida, credibile, coerente, capace di aggregare la maggior parte dei partiti e dei parlamentari.
Ricordiamo che in questa Assemblea è già accaduto di votare mozioni, risoluzioni e ordini del giorno in materia di politica estera. Mentre il centrodestra ha sempre espresso la sua linea ispirata al rigore ed al rispetto di scelte «occidentali», che vengono da lontano e appartengono alla nostra storia, nel centrosinistra sono affiorate Pag. 79divergenze insanabili salvo trovare, magari, un rimedio attraverso una virgola o un aggettivo. Ci apprestiamo ad approvare il rifinanziamento delle missioni e non c'è tempo per ulteriori distinguo. Mi chiedo se e come il Governo possa continuare, liquidando i dissensi interni e invocando il diritto del voto di coscienza.
Posso capire che la sensibilità individuale entri in gioco quando sono in campo valori etici, civili e, persino, religiosi. Tuttavia, è intollerabile che differenze e ostilità emergano su questioni ormai acclarate, radicate nel tempo nelle loro dinamiche e nelle loro ragioni di fondo. Non si può stare nel Governo e in piazza, non si può stare con i nostri soldati e manifestare, in modo spesso indegno, contro le vittime impegnate, in nome della pace, in zone di conflitto e di guerra. Molto onestamente, non capisco nemmeno come mai la maggioranza non provi e non manifesti il proprio disagio davanti ai dissidenti, a coloro che siedono nel Parlamento della Repubblica senza rendersi conto del fatto che il profilo istituzionale e la credibilità di un paese si misurano, soprattutto, in base alle strategie ed alle politiche internazionali, laddove gli interessi di parte dovrebbero, non solo sfumare, ma esaurirsi nel segno di una politica estera comune, condivisa e, soprattutto, sostenuta.
Non sono lontani i tempi nei quali il centrodestra ha appoggiato operazioni come quella nei Balcani, quando Presidente del Consiglio dei ministri era l'onorevole D'Alema. Anche su quel voto si è costruito un orizzonte di rapporti internazionali credibili che, ogni giorno, sono duramente e quotidianamente messi alla prova da quei voti in libertà che della libertà sembrano proprio non occuparsi, specie con riguardo alla libertà di quei popoli che, con la loro presenza, i nostri soldati - ai quali va tutto il nostro apprezzamento - concorrono a difendere dai dispotismi e dalle dittature.
La missione in Afghanistan merita di essere costantemente monitorata. Sul campo, come sappiamo, la situazione può cambiare repentinamente e le regole di ingaggio potrebbero essere declinate da circostanze e da evoluzioni improvvise. Queste missioni sono molto costose in termini finanziari - siamo d'accordo sul fatto che la pace costa - ed in termini di rischio per i nostri soldati, ai quali, come ripeto, dev'essere dato il nostro totale sostegno, la riconoscenza e l'apprezzamento perché non si sentano mai soli, né mercenari.
Sicuramente il voto della Lega Nord Padania non è e non sarà strumentale a nessun disegno, né piegato a ragioni di parte o di convivenza. Esiste una linea della Lega Nord, che viene da lontano, nonostante la nostra storia sia recente e, forse, è anche la freschezza delle nostre idee, non logorate da decenni di mediazione, a renderci liberi di esprimere fino in fondo le nostre convinzioni.
In conclusione, signor Presidente, sappiamo chi sono i nostri avversari e chi sono nel mondo i nostri nemici (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
DARIO RIVOLTA. Signor Presidente, pensavo che sarei intervenuto sul complesso degli emendamenti facendo riferimento, in modo particolare, agli emendamenti da me presentati.
Purtroppo, ho scoperto che quegli emendamenti sono stati giudicati inammissibili. Non voglio entrare nel merito della decisione che ha portato gli uffici a dichiararli inammissibili, anche se confesso che, se dal punto di vista formale, tale decisione potrebbe essere ineccepibile, dal punto di vista del contenuto qualcuno ci ha guadagnato e qualcuno ci ha perso.
Il contenuto di tali emendamenti, infatti, sicuramente dava fastidio a qualcuno che sta nella maggioranza. Senza volerlo, gli uffici hanno fatto un favore a questa maggioranza...
PRESIDENTE. Onorevole Rivolta, mi preme l'obbligo di precisare che la Presidenza Pag. 80ha dichiarato l'inammissibilità degli emendamenti, non gli uffici della Camera.
DARIO RIVOLTA. Allora, mi riferisco agli uffici della Presidenza, così uniamo i due aspetti.
PRESIDENTE. No, onorevole Rivolta, è più preciso fare riferimento solo alla Presidenza.
DARIO RIVOLTA. Benissimo.
Allora, la Presidenza, senza saperlo e senza volerlo, mi ha impedito di fare una buona azione. Infatti, avrei voluto fare una buona azione, perché - lo dico anche ai colleghi - io non condividevo il contenuto degli emendamenti che ho presentato, ma li ho presentati come un atto di generosità politica, per dare voce a coloro che hanno sostenuto in diversi luoghi ciò che ho inserito in questi emendamenti e che hanno difeso e si sono battuti per questi contenuti. Nessuno di loro, però, ha avuto il coraggio di presentarli in quest'aula. Eppure, ci ripetiamo vicendevolmente che la politica deve essere fatta in Parlamento ed avanziamo delle critiche quando le decisioni importanti vengono assunte al di fuori di esso.
Avrei voluto che questi timidi colleghi, non avendo avuto il coraggio di presentare degli emendamenti in prima persona o non avendo avuto l'autorizzazione a farlo, potessero avere voce (andrò ad illustrare ciò che essi hanno sempre sostenuto) attraverso le mie righe e con la mia firma, che li avrebbe resi non responsabili.
In questi emendamenti, che sono stati bocciati (6 su 7), e, in particolare, nell'emendamento 3.51, si stabiliva che il comando e il controllo operativo delle unità militari italiane rimanessero ad esse e non fossero dipendenti dai comandi della NATO. Si è sempre detto, infatti, da parte di certe persone di questo Parlamento, che non si vuole che le nostre truppe siano agli ordini degli «odiati» americani e, quindi, volevo offrire loro il destro affinché si potessero esprimere, per capire se, secondo l'accordo che ha portato in quei luoghi le nostre truppe - e la durata della loro permanenza conferma quell'accordo - i nostri militari agiscono sotto comando unificato della NATO, oppure se, invece, come alcuni colleghi hanno preteso più volte, l'esercito italiano in Afghanistan sia indipendente dal comando NATO.
Purtroppo, tale emendamento non potrà essere votato. Credevo che questo argomento stesse a cuore dei colleghi che, purtroppo, con sorpresa, ora sono totalmente assenti: non vi è nessuno di Rifondazione comunista, nessuno dei Comunisti italiani e nessuno dei Verdi, ma è presente solo il capogruppo del gruppo Misto (Commenti del deputato Boato). Quindi, forse, non è così o forse la timidezza persiste.
Comunque, voglio informare questi colleghi, tramite il resoconto della seduta, che nel Comitato dei nove il Governo si è espresso e ha dichiarato di essere contrario a questo emendamento. Il Governo ha ribadito - lo si deve sapere e io ne sono personalmente contento - che il comando al quale i nostri militari devono rispondere è il comando NATO, non solo quello italiano.
Il mio emendamento 3.52, poi, stabiliva che non avremmo potuto trasmettere le informazioni in nostro possesso (parlo, naturalmente, dei nostri militari e dei nostri servizi di informazione in loco) agli alleati o al comando superiore. A mio avviso, è logico che queste informazioni si trasmettano, quando ci si trovi in quei teatri; però, ancora una volta, ho voluto dare voce a chi sostiene queste posizioni al di fuori di questa Assemblea, ma non ha il coraggio di dirlo in questa sede. Il Governo, anche in questo caso, giustamente - e lo ringrazio - ha espresso un parere contrario.
Nel mio emendamento 3.53 si dice che, in caso di richiesta di aiuto da parte di altro contingente alleato che si trova attaccato o in difficoltà, il comando italiano non possa decidere di intervenire, anche se riceve l'ordine dal comando superiore. Secondo questo emendamento, il comando italiano deve chiedere l'autorizzazione all'intervento al Capo di Stato maggiore della difesa, il quale deve informare il Pag. 81ministro della difesa e il ministro degli affari esteri, i quali a loro volta devono informare il Parlamento. Solo dopo questa trafila decisionale democratica e legittima, le nostre truppe potrebbero esser autorizzare a intervenire in soccorso dell'alleato in difficoltà, naturalmente se, nel frattempo, l'alleato in difficoltà è ancora in vita. Anche in questo caso, la risposta del Governo è stata contraria e lo ringrazio per questo: il Governo riconferma - e io ne sono contento - che le nostre truppe, se ricevono una richiesta di aiuto, su ordine del comando unificato superiore della NATO, devono intervenire. Non hanno bisogno di sentire il Parlamento, il ministro della difesa, il ministro degli affari esteri, il capo di Stato maggiore in Italia.
Vi è, poi, il mio emendamento 3.54 che afferma ciò che tanti hanno detto e continuano tuttora a ripetere, ossia che la presenza delle nostre truppe in Afghanistan ha solo uno scopo umanitario. Non siamo lì per altro scopo che quello umanitario: dobbiamo contribuire alla costruzione di istituzioni, di edifici; ma non siamo lì per scopi diversi da quelli umanitari.
Dopo aver ascoltato tante voci dei colleghi di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi, fuori dal Parlamento, mi sono stupito quando, anche su questo argomento, il Governo ha dato una risposta contraria. In altri termini, il Governo ha detto in Commissione (purtroppo, non si è consentito che lo dicesse anche in Assemblea) che noi siamo presenti in quei luoghi non solo per scopi umanitari, ma anche per scopi puramente e necessariamente militari.
Un altro degli emendamenti che sono stati dichiarati inammissibili stabilisce che, se per qualunque motivo le truppe italiane dovessero ripiegare, esse sono tenute a distruggere tutte le installazioni e le infrastrutture militari suscettibili di utilizzazione militare o di polizia da parte di chiunque, cioè anche dei nostri alleati. Anche qui la risposta del Governo è stata negativa e io concordo con esso.
I colleghi di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi - oggi assenti - sappiano che, qualora dovessimo ritirarci (come molti di loro vogliono), le nostre installazioni non potranno essere riportate in Italia. Le installazioni e i nostri armamenti non si spostano: infatti, costerebbe molto di più riportarli indietro piuttosto che lasciarli in loco. E in loco sarebbero regalati o venduti, e potrebbero esser usati a scopo bellico; potrebbero esser usati dai nostri alleati per sparare, per difendersi oppure per allocare le loro truppe. Non ci trovo niente di male: lo trovo del tutto regolare. Tuttavia, lo ripeto, la mia buona azione consisteva nel dar voce a chi - oggi assente - ha sostenuto queste cose in altri momenti, altrove e con forza. Questa voce, evidentemente, non è stata ascoltata dal Governo. Infatti, quest'ultimo ha affermato che non distruggeremo le nostre installazioni e le nostre infrastrutture. Quindi, i nostri colleghi di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi sappiano che, se dovessimo ritirarci, le nostre installazioni quasi sicuramente saranno usate dagli alleati o dalle truppe afgane a scopo bellico, com'è naturale che sia.
Sono costretto invece a ritirare per mia colpa l'unico emendamento dichiarato ammissibile, ovvero l'1.50 a mia firma, in quanto non ho voluto fare una buona azione, anche se involontariamente avrei voluto farla. Infatti, l'emendamento in oggetto è stato riferito (ma non è colpa degli uffici) all'articolo 1, mentre doveva essere riferito all'articolo 3. In Commissione mi è stato correttamente detto che è troppo tardi per poter provvedere ad una modifica.
Tuttavia, anche in questo caso si tratta di un argomento importante. Infatti, la proposta emendativa che sono costretto a ritirare, in quanto riferita in maniera scorretta, chiedeva che la missione in Libano avesse termine non al 31 dicembre 2007, come previsto dal decreto-legge, bensì al 31 agosto 2007. In questa data, infatti, termina il mandato dell'Unifil ricevuto dall'ONU. Noi ci siamo sempre compiaciuti di poter dire di essere in Pag. 82Libano su richiesta dell'ONU e di aver accettato quella missione perché siamo multilaterali. Quindi, è solo l'ONU che può dirci se andare o meno. La contestazione sulla nostra presenza in Iraq era proprio dovuta principalmente a questo motivo, ovvero che non si trattava di un mandato ONU, dimenticando che anche all'inizio neppure la missione in Kosovo avveniva a seguito di un mandato ONU. Tuttavia, qualcuno presente oggi nella maggioranza odierna vi partecipò, bombardando addirittura anche i civili. Quindi, se il mandato ONU è il motivo che ci tiene in Libano, esso scade, come la risoluzione 1701, il 31 agosto 2007. Personalmente, trovo una logica in quanto scritto nel decreto-legge, ma forse non è così per i deputati dei Comunisti Italiani, di Rifondazione Comunista e dei Verdi che decidono di votare un provvedimento eccedente lo stesso mandato ONU, addirittura di sei mesi.
Signor Presidente, mi accingo a concludere e chiedo scusa se ho sottratto troppo tempo all'Assemblea su emendamenti dichiarati inammissibili. Ripeto che si trattava di un atto di buona volontà e di una buona azione. Essi sono stati dichiarati inammissibili; tuttavia mi auguro che dal resoconto stenografico, se qualcuno avrà il piacere e la volontà di leggerlo, i colleghi (o compagni, almeno così si chiamano tra di loro) di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani e dei Verdi si rendano conto che il Governo giustamente ha dato parere negativo su tutto ciò che vanno sostenendo in giro per le piazze d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Può capitare qualche volta che un collega sia soddisfatto della reiezione degli emendamenti da lui presentati. Pertanto, onorevole Rivolta, mi compiaccio che a lei sia capitato di esprimere tale soddisfazione. Non sarebbe neppure il caso di dare conto delle ragioni in base alle quali la Presidenza li aveva giudicati inammissibili, in quanto riguardanti materie non iscritte nel testo del decreto-legge. Per i criteri da noi applicati, le proposte emendative non potevano essere dichiarate ammissibili.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.
GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, l'inasprimento della situazione in Afghanistan ha coinciso con l'inizio della discussione sulla proroga della missione italiana in quel paese. Si tratta di una delle prove più difficili per una maggioranza che al Senato non è tale e che faticosamente si è ritrovata attorno a Prodi dopo la recente crisi di Governo. Dai gruppi dei Verdi e di Rifondazione Comunista arrivano i distinguo e le specifiche. Si è giunti poi al paradosso che almeno tre gruppi di maggioranza propongono di utilizzare l'oppio afghano per soddisfare la domanda di farmaci per la terapia del dolore. Notoriamente l'Afghanistan è il produttore del 69 per cento dell'oppio e quindi è stata proposta questa idea molto fantasiosa. Sorvolo sull'evidente illegalità di tale idea, ed infatti in quel paese l'impegno del Governo è totale per distruggere le piantagioni, che abbondano soprattutto nella parte meridionale del paese. Tuttavia, è evidente il tentativo di trovare nuove argomentazioni per giustificare il voto favorevole dei parlamentari della sinistra radicale, che in politica estera non condividono il programma dell'Ulivo.
Il testo del decreto-legge prevede interventi di gruppo e cooperazione, tre fumose conferenze internazionali, nonché fondi per militari e forze di polizia. Si tratta davvero di un modesto contrappeso, un vero e proprio piatto di lenticchie, per chiedere il voto a colleghi che sono pronti a mettere in discussione sessant'anni di politica estera filoamericana ed atlantica. Lo scopo cinico è soltanto quello di chiudere ogni trattativa a Montecitorio per evitare il rischio di una seconda, approfondita lettura al Senato.
Il responsabile esteri del Partito della Rifondazione Comunista ha affermato recentemente che sul versante del conflitto mediorientale l'Italia di Berlusconi e di Fini aveva completamente abbandonato la Pag. 83tradizionale politica filo-araba e mediterranea dell'Italia, per schierarsi «senza se e senza ma» a fianco di Sharon e del Governo israeliano, in nome della comune santa guerra al terrorismo, e che i neoconservatori aspirano a creare un nuovo ordine mondiale che cancella il diritto internazionale e che fonda il primato statunitense sulla bruta forza militare, alimentando così una corsa al riarmo globale, sotto gli occhi di tutti. Egli afferma, sostanzialmente, che il problema dell'unilateralismo americano esiste, ma bisogna ragionare sul fatto che è falso affermare che ci sono troppi Stati Uniti; è vero semmai che c'è troppa poca Europa. E su questo potremmo anche concordare.
Permane un forte antiamericanismo non solo tra i movimenti, ma addirittura tra i parlamentari. Il responsabile del dipartimento esteri di Rifondazione usa parole molto dure nel parlare degli Stati Uniti: è ora che la sinistra esca dagli schemi culturali e della politica internazionale del secolo scorso; i blocchi non ci sono più, il Muro è caduto, oggi tutto è più veloce; il mondo e le dinamiche socioeconomiche sono molto più fluide.
Dopo la strage di civili di domenica a Jalalabad, il ministro D'Alema ha affermato che ci vuole una riflessione molto seria: non uccidere i civili sarebbe un modo per fare andare meglio le cose. Ma quale pensiero illuminante ha avuto questo ministro! Nel tentativo di stabilizzare una maggioranza traballante, insufficiente nei numeri e nell'operato, il ministro degli esteri ha rilasciato dichiarazioni sull'Afghanistan non troppo concilianti verso gli Stati Uniti d'America. E mentre la situazione in Afghanistan peggiora, giorno dopo giorno, la Spagna corre ai ripari e invia rinforzi al proprio contingente, nonostante Zapatero avesse annunciato che la Spagna non avrebbe aumentato il suo impegno: si assume, come scusa, la necessità di rafforzare la sicurezza delle truppe spagnole in Afghanistan. I servizi di intelligence di quel paese avevano lanciato l'allarme circa i rischi di un'intensificazione dell'attività talebana nelle quattro province occidentali, considerate più deboli a causa dell'esiguità delle forze alleate.
In pratica, mentre si combatte di più noi ci disarmiamo. Si vis pacem, para bellum, dicevano i latini. Il mondo non è basato sul modello della pace perpetua di Kant. La sinistra nostrana se lo deve mettere bene in testa. A differenza del contingente inglese ed americano, i mezzi di cui dispongono gli italiani in Afghanistan sono leggeri e inadeguati. Non dispongono di artiglieria, né di veicoli da combattimento. Il vizio italico, accentuato dal Governo di sinistra, di inviare contingenti leggeri, sperando di evitare il combattimento, si perpetua. In questo modo si mortifica l'orgoglio militare delle nostre truppe e si espone il nostro contingente al sacrificio di vite innocenti, sull'altare delle missioni di pace, nel cui ambito i nostri militari storicamente si sono dimostrati veri operatori di pace, contribuendo alla ricostruzione di infrastrutture e curando tante e tante persone malate nell'ambito delle strutture sanitarie che si sono dispiegate in quei territori.
Dalla disamina del provvedimento in questione e dell'annessa relazione tecnica, si può affermare con serenità che il decreto-legge non interessa solamente il rifinanziamento delle missioni militari italiane nei teatri in cui siamo chiamati ad operare, quali Afghanistan e Libano, ma anche l'avvio della cooperazione, sotto l'egida del Dicastero degli esteri, e quindi civile, in Iraq. Da qui il rilievo: non sarebbe stato più opportuno dividere le esigenze, in modo da far sapere con concretezza quanto costano i militari in missione di pace e quanto invece costano i civili? In futuro potremo avere, a mio giudizio, sgradite sorprese, soprattutto per l'avvento delle cooperative. Al riguardo, faccio un paio di esempi: 3,8 milioni di euro per contractor, al fine di assicurare la sicurezza dei civili italiani in Iraq. Non entro nel comportamento tenuto da molti parlamentari in occasione del sacrificio del nostro connazionale Quattrocchi, ma mi chiedo: quando questi contractor saranno costretti a sparare, chi si assumerà Pag. 84la responsabilità? A quale sistema giudiziario saranno ricondotti? Chi paga l'orchestra sceglie la musica e quindi la responsabilità sarà di questo Governo e di questa maggioranza!
Quindi, soldati o civili, i terroristi iracheni non faranno sconti, come non li hanno fatti al Governo Berlusconi, responsabile delle azioni di allora. Ma che dire dei 75 mila euro, previsti per installare - udite, udite - semafori a Nassiriya? In quella Nassiriya a noi così cara, per il ricordo dei nostri caduti. Il ministro D'Alema vuole farci credere che i problemi iracheni si risolvono con tre lucette, verde, gialla e rossa, installate agli angoli di Nassiriya? No: l'Iraq ha certamente bisogno di misure molto più concrete, e non di un Governo, come quello italiano attuale, troppo attento alle cooperative, le quali non necessariamente fanno buona cooperazione!
Pertanto, nel riconfermare la fiducia nell'operato e nello spirito delle Forze armate italiane, ed augurandoci maggiore chiarezza futura sul ruolo del Ministero degli affari esteri rispetto a provvedimenti del Ministero della difesa, rimane solo da evidenziare la modesta figura internazionale che il nostro paese rimedia, nello scenario mondiale, a causa di un Governo inadeguato, che compromette l'immagine di serietà che si erano ritagliati il Governo Berlusconi e l'allora ministro degli esteri Gianfranco Fini (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Menia, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, preannuncio che il mio intervento sarà brevissimo. Ho la fortuna di appartenere ad uno schieramento di minoranza, e tale fortuna mi permette di distaccarmi dalle posizioni politiche della minoranza stessa - in quanto essa non ha il dovere di mantenere alcunché - e di dire, in piena ed assoluta libertà, alcune cose che mi passano per la mente.
I pensieri che mi passano per la mente, in piena ed assoluta libertà, sono: «pace senza se e senza ma», «portiamo a casa le nostre truppe» e «facciamo sì che i nostri soldati non debbano partecipare ad una guerra»!
Noi, ovviamente, siamo in sintonia con coloro che pensano in questo modo. Non possiamo pensare, infatti, che vi siano forze politiche che vogliono che i nostri soldati vadano a fare la guerra; non possiamo nemmeno immaginare che, ad aprile, si aprirà un fronte dove scorrerà del sangue e che noi saremo complici del versamento di tale sangue.
Quindi, a casa i nostri soldati e, soprattutto, una politica estera che sia più europea e meno americana! La democrazia è qualcosa che non si esporta! Non riesco a pensare che si faccia una «guerra preventiva» all'Iraq ipotizzando che vi siano delle armi che successivamente non vengono trovate e nel frattempo, non sapendo cosa fare, si impicchi il Capo di quello Stato!
Per carità: se fossi da solo in una stanza con lui, lo ucciderei personalmente, pur rendendomi conto di essere un assassino! Tuttavia, nell'ambito di una situazione globale ed internazionale, non si può pensare che uno Stato aggredisca un altro ritenendo che vi siano delle armi pericolose e poi, una volta scoperto che non ci sono, dal momento che siamo lì ne ammazziamo il Capo!
Questo è un discorso che vale dappertutto. Pensiamo un attimo a Cuba: siamo diventati pazzi? Siamo forse diventati lacché degli americani? Essi, infatti, in una situazione dove ormai è pacificamente dimostrato che si è al di fuori di quella crisi che io non ricordo neanche, perché ero troppo piccolo (essa risale quindi a moltissimi anni fa), continuano ancora a mantenere un embargo nei confronti del popolo cubano con 183 voti contro 2! Ma credono di essere diventati i padroni del mondo?
Concludo, signor Presidente. Noi dobbiamo rivisitare la nostra politica estera, per renderla più europea e meno americana. Gli americani non sono i padroni del Pag. 85mondo: devono capirlo e devono comprendere di stare in una comunità internazionale civile! I nostri soldati devono tornare a casa e non devono partecipare a nessuna guerra, perché la pace deve vincere (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, anche il gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista vuole offrire il proprio contributo al dibattito sulla conversione in legge di questo importante decreto, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
La discussione, ovviamente, si è incentrata soprattutto sull'Afghanistan. Vorrei rappresentare, tuttavia, che noi siamo tra coloro che ritengono che l'Afghanistan rappresenti solo una parte, così come lo era l'Iraq, delle missioni umanitarie ed internazionali svolte dal nostro paese, poiché stiamo parlando anche del Kosovo, della Bosnia, del Sudan e del Libano. Si trovano in queste aree, infatti, le operazioni nel mondo che ci accingiamo a finanziare.
Noi non facciamo come coloro che vogliono porre l'accento sull'autosufficienza o meno di questa maggioranza, oppure discutere di possibili maggioranze variabili. Noi siamo qui ad assumerci come socialisti riformisti - e, uso l'articolo determinativo, noi siamo «i socialisti», «la sinistra», non siamo «una sinistra», come è venuto fuori nel dibattito massimalista che non ha assolutamente nulla di sinistra, anzi solamente a nominarlo fa venire veramente i brividi (Applausi del deputato Fasolino)...! - noi siamo qui per pensare alla nostra politica estera, che è la politica dell'Italia e degli italiani. Bisogna venire in Parlamento sapendo che non possiamo pensare che il giorno dopo a livello internazionale verrà a mancare la nostra credibilità, la credibilità di una nazione di cui i nostri padri fondatori costituenti, i padri della prima Repubblica - quelli che ad essa hanno dato molto, contribuendo al suo progresso e al suo sviluppo, facendola diventare la quinta potenza economica - non debbono vergognarsi considerando come siamo ridotti adesso: siamo ridotti a dover subire ricatti di questo o quel deputato o senatore.
Il bipolarismo è finito. Questo è un Governo che ha sicuramente bisogno del sostegno: come nella scuola esiste l'insegnante di sostegno, così vi è bisogno di sostegno per questo Governo, che avrà vita breve. Stiamo aspettando di staccare la spina prima o poi, perché non può continuare ad andare avanti così!
Abbiamo approvato con il voto di fiducia la legge finanziaria, ma in quella legge, - vivaddio! - i vari Turigliatto, Rossi e Cannavò non si sono accorti che erano previsti i soldi per il rifinanziamento di queste missioni? Eppure, hanno dato il loro «sì», e adesso come vengono fuori? Ma sono degli irresponsabili, sono di fronte al paese! E non possono essere un giorno da una parte e un altro giorno dall'altra, come meri protagonisti di rissosità e di indeterminazione.
Per tal motivo ritengo che questo Parlamento, a prescindere da qualche scheggia impazzita, come tutte le nazioni civili del mondo debba avere una politica estera vera, il punto di riferimento di quanti (militari e civili) sono laggiù a rischiare la loro vita, meritando questo rispetto. È questo il profilo alto che non è in questo Parlamento e soprattutto in questo Governo. Signor viceministro, sa perfettamente quanto io la rispetti e quanta stima abbia nei suoi confronti; comprendo il suo imbarazzo.
Veniamo ai dettagli, perché è su di essi che dobbiamo lavorare. Stiamo intervenendo sul complesso degli emendamenti, in cui si parla di infrastrutture, di sostegno istituzionale e tecnico, di sviluppo socio-economico ai paesi in cui sono in corso le missioni umanitarie, di scuole, di mezzi di comunicazione, di attività didattico-formative.
Abbiamo i soldati in Kosovo, dove tra qualche mese, come lei sa, signor viceministro Ugo Intini, chissà cosa potrà succedere: è una polveriera! E questo Parlamento Pag. 86se ne dovrà rioccupare. Come è possibile leggere che per le missioni umanitarie, ad esempio in Kosovo, si stanzierà un solo milione di euro!
A tale proposito, voglio darvi un metro di paragone: è quanto ha preso la Hunziker per presentare il festival di San Remo, ma come è possibile? E ancora, su questioni come quelle dei 30 milioni di euro per la realizzazione di interventi di cooperazione in Afghanistan: sono grosso modo la metà di una consulenza di Consorte! Su questo vi invito a riflettere; il Parlamento attraverso gli emendamenti che abbiamo presentato deve cercare di uscire fuori da questa melma e da queste difficoltà, dando veramente respiro e punti di riferimento di politica estera, soprattutto per quelle «missioni umanitarie internazionali» che sono il «sale» della nostra Costituzione e sono quello che abbiamo sempre fatto. Siamo famosi nel mondo proprio per questa nostra capacità.
Guardate bene che il dibattito si è svolto sull'Afghanistan, mentre, se osservate i numeri, 417 milioni di euro sono previsti per il Libano e solo 310 per l'Afghanistan. Noi siamo orgogliosi che i nostri soldati siano laggiù in Libano a farsi rispettare e a portare in alto la bandiera con il nostro tricolore. Allo stesso modo siamo orgogliosi di averli in Afghanistan, sapendo perfettamente quanto sia difficile. Abbiamo parlato prima di un nostro giornalista che non sappiamo dove sia, ci auguriamo che presto possa tornare a casa.
Il momento è difficile e il paese deve essere unito su questi temi, senza sprofondare in dibattiti su maggioranze variabili che ci fanno diventare veramente piccoli, come del resto siamo. Infatti, i veri statisti non ci sono più, li abbiano cacciati via per far venire al governo della Repubblica nani e ballerini ignoranti, che non sanno neanche cosa sia la sintassi.
Concludo, sottolineando che il Parlamento deve svolgere un compito importante, convertendo al più presto questo provvedimento. Infatti, il decreto-legge è datato 31 gennaio e la missione copre il periodo dal 1o gennaio al 31 dicembre; perché vi è stato questo mese di ritardo? È semplice, perché il Governo doveva svolgere un'opera di convincimento interno; dunque, l'Esecutivo ha perso del tempo importante per convincere due o tre parlamentari che non dovevano essere in questo Parlamento perché non rappresentano sicuramente il volere della nazione.
Questo ritardo obbliga il Senato ad approvare il testo in esame entro il 1o aprile; speriamo che per i nostri soldati non sia un pesce d'aprile, perché non se lo meriterebbero!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Salerno. Ne ha facoltà.
ROBERTO SALERNO. Ci tengo ad intervenire su un tema così delicato di politica estera che, in questo momento di congiuntura internazionale, vede non solo confrontasi questioni diplomatiche e di tipo economico, ma anche il verificarsi di tensioni gravissime che hanno esposto la comunità internazionale a notevoli rischi.
Stiamo assistendo ad un confronto tra l'Occidente democratico - quello dell'Europa e dell'America -, che non è solo l'Occidente di matrice confessionale, ma quello che va da Vladivostok agli Stati Uniti d'America, e il mondo dell'integralismo e del fondamentalismo. È un mondo verso il quale dobbiamo avere mille cautele perché basta indossare una maglietta per scatenare una violenza inaudita e reazioni non controllate. Bisogna guardare con grande attenzione a questo mondo che non accetta il dialogo.
Qualche settimana fa, addirittura, un paese ha avuto il coraggio culturale, storico ed umano di indire una conferenza per dimostrare che l'Olocausto è un'invenzione.
Possiamo ammettere che la comunità internazionale assista alle dichiarazioni del presidente eletto della repubblica islamica iraniana senza dire nulla, al di là delle frasi di maniera, delle classiche proteste formali? Tutta la comunità internazionale dovrebbe indignarsi in maniera autentica ed omogenea. Invece, qua e là, Pag. 87abbiamo sentito solamente qualche giudizio contrario.
La nostra politica estera deve tener conto di questo scenario, di questi momenti di tensione ai quali debbono prestare attenzione non solo il Governo e la maggioranza, ma tutti gli italiani.
Noi siamo disorientati dalla politica estera di questo Governo, di questa maggioranza divisa su tutto e priva di una posizione chiara. Siamo gravemente preoccupati perché assistiamo ad un antiamericanismo diffuso, inconsistente, violento, intransigente, fondamentalista; il fondamentalismo, infatti, non riguarda solo la religione, ma anche la politica e la cultura.
All'interno di questa maggioranza - forse anche all'interno di questo Governo - vi sono i no America, i no Coca-Cola, i no TAV e i no global.
Siamo disorientati e preoccupati poiché il nostro ministro degli esteri si permette di recarsi in Libano, a Beirut, e di prendere sotto braccio un deputato di Hamas senza tener conto che questo appartiene ad un movimento che nega l'esistenza dello Stato di Israele e che propugna il terrorismo come strumento di lotta politica e non politica.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Hezbollah!
ROBERTO SALERNO. Abbiamo un ministro che non assume una chiara posizione sul quartetto e non riusciamo a capire perché egli non parta dall'assunto che lo Stato di Israele esiste: debbono riconoscerlo anche i paesi arabi, musulmani, i paesi come l'Iran.
Non è ammissibile che vi sia ancora qualche paese che siede all'ONU e che afferma di non volere, di non accettare lo Stato di Israele poiché non esiste.
Non possiamo assistere alla formazione del nuovo governo libanese, mentre Hamas rappresenta una parte forte, parte integrante di questo processo di negazione. Possiamo ancora accettare nel 2007 che vi sia la negazione dello Stato di Israele? Io dico di no, ma non sento una parola da parte del ministro degli esteri che, però, si indigna quando riceve lettere provenienti da qualche diplomatico. È giusto che i diplomatici, gli ambasciatori, svolgano attività diplomatica e scrivano lettere di moral suasion nei confronti del ministro degli esteri italiano, affinché tenga la posizione degli alleati sul tema delle missioni?
Cosa vuol dire equidistanza, equivicinanza, multilateralismo? Di contro, non viene mai manifestata una chiara posizione. Dove possiamo andare in questo modo?
Abbiamo spedito come un «pacco» altri 2.500 uomini in Libano, senza regole chiare e senza un mandato chiaro; li abbiamo considerati quasi dei vigili del traffico, tant'è che vedrete se non inizieranno di nuovo gli scontri in Libano. Infatti, con questo modo di procedere abbiamo, di fatto, reso quasi non produttiva, non operativa una missione di pace estremamente importante.
Il disarmo degli Hezbollah oggi non esiste; si sono riarmati più di prima e basterà una scintilla a determinare di nuovo morti, distruzione e una reazione sicuramente legittima dello Stato di Israele per la tutela del proprio territorio.
Mi sembra doveroso, Presidente, osservare che la maggioranza ed il Governo mancano di prendere una posizione chiara proprio su quello scacchiere; continuiamo a negare che, a qualche migliaio di chilometri da noi, in Medio oriente, si sta consumando la vera battaglia dell'occidente. Il grande sogno arabo di unire tutto il mondo arabo oggi più che mai è diventato il sogno di Ahmadinejad: saldare, non più politicamente, ma religiosamente, tutto il mondo arabo.
In qualche maniera, tutto quel mondo sta diventando, infatti, una sorta di magma islamico, integralista e fondamentalista; questo è l'obiettivo dell'Iran e dei suoi alleati: come non comprenderlo? E come non prendere posizione sulle dichiarazioni di un Presidente di una nazione araba come Ahmadinejad il quale dichiara di voler usare la bomba atomica per distruggere Israele?Pag. 88
Spesso sento che in termini molto superficiali si evocano storie, movimenti, nazionalismi e quant'altro; ebbene, vorrei dire, in questa sede, che Ahmadinejad è un po' come Hitler. Alla fine degli anni Trenta, la comunità internazionale, noi, l'Europa, il mondo hanno alquanto sottovalutato Hitler pensando che poi alla fine sarebbe stato solo, per così dire, uno un po' matterello, che non avrebbe fatto seguire i fatti alle proprie dichiarazioni. Ma, alla fine, così non è stato. Ebbene, noi oggi stiamo sottovalutando questo signore della guerra e dell'odio e forse, un giorno, ci troveremo di fronte all'inevitabile anche con Ahmadinejad. Noi, ora come allora alla fine degli anni Trenta, stiamo ancora predicando una diplomazia dell'equidistanza, dell'equivicinanza, del multilaterialismo: ma cosa mai significheranno tali espressioni quando il presidente Ahmadinejad sta facendo lavorare le centrifughe per arricchire l'uranio e finalmente giungere a confezionare la sua bomba mentre noi non stiamo facendo nulla?
Non solo non stiamo intervenendo - infatti, certamente non potremmo condurre un'azione militare - ma non si scorge neppure una politica estera che difenda l'occidente. Pensare che l'attacco ad Israele sia rivolto solo contro Israele è miopia - e anzi cecità - intollerabile ed inaccettabile; in realtà, il colpo viene dato a tutto l'occidente! Oggi, tutto l'occidente è rappresentato da Israele; oggi, Israele rappresenta l'occidente di fronte a tutto l'Islam e a tutto il fondamentalismo arabo. Come non capire che difendere oggi Israele equivale a difendere l'occidente?
Dinanzi a tutto ciò, il nostro ministro degli affari esteri, di fatto, latita; di fatto, non c'è, e noi continuiamo, per così dire, a distruggere quel poco di linea politica e di ruolo internazionale, nonché di prestigio, che abbiamo conservato. Manchiamo anche di assumerci doverose responsabilità in quanto mandare uomini in teatri di guerra estremamente difficili, prima ancora che essere un'operazione politica, è un'operazione di responsabilità: oggi combattere il terrorismo in Medio oriente vuol dire evitare che il terrorismo giunga alle porte di casa nostra, alle porte dell'Europa e alle porte della nazione.
Allora, concludo, signor Presidente, augurandomi che presto questo Governo cada in quanto otto mesi sono stati un po' il campanello; non il campanello d'allarme, ma quello giusto che noi volevamo sentire: una maggioranza inconsistente, disunita, senza programma, senza rotta, senza timoniere. È una barca che va alla deriva e, urtando ogni tanto uno scoglio, si arena: adesso l'abbiamo nuovamente tirata fuori dalle secche e rimessa in mare aperto; fino al prossimo scoglio, perché non vi è timoniere, non una rotta, non una carta di navigazione.
Spero che presto suoni il secondo campanello, che, stavolta, non vi sia una seconda chiamata e si vada a casa. Occorre una forma di politica che non sia umiliante - non soltanto in politica estera - per tutta la nazione, per le categorie, per chi ci guarda, per chi ci ascolta: ministri e sottosegretari partecipano a cortei nei quali si urla «dieci, cento, mille Nassiriya!», si brucia la bandiera americana e si lanciano le Molotov! Il pacifismo dei no global e dei no TAV è, in realtà, una violenza incredibile, come abbiamo visto a Genova, a Napoli e, da ultimo, in Val di Susa: i no TAV, che non sarebbero violenti, distruggono tutto dovunque passino!
Speriamo che si volti presto pagina e si diano all'Italia il Governo e la politica che essa merita!
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere delle Commissioni.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, il parere delle Commissioni sull'emendamento Rivolta 1.50 è contrario, ma credo che l'onorevole Rivolta l'abbia ritirato.
PRESIDENTE. Confermo che l'emendamento è stato ritirato.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Le Commissioni invitano al Pag. 89ritiro degli emendamenti Bricolo 1.21 e Paoletti Tangheroni 1.53; esprimono parere contrario sull'emendamento Bricolo 1.56 e parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 1.51; invitano al ritiro dell'emendamento Paoletti Tangheroni 1.54; esprimono parere contrario sull'emendamento Paoletti Tangheroni 1.52 e parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 1.55; invitano al ritiro dell'emendamento Paoletti Tangheroni 2.53 ed esprimono parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 2.51, purché riformulato nel modo seguente: la parola «disposizioni» è sostituita dalla seguente: «attività» e, tra le parole «interessati» e «valutazione», la parola «alla» è sostituita dalla seguente: «nella».
Le Commissioni invitano al ritiro dell'emendamento Bricolo 2.54; esprimono parere favorevole sull'emendamento Paoletti Tangheroni 2.50 e parere contrario sull'emendamento Paoletti Tangheroni 2.52.
Ricordando che gli emendamenti Rivolta da 3.51 a 3.56 sono stati dichiarati inammissibili, le Commissioni esprimono parere contrario sugli emendamenti Cicu 3.50 e Cossiga 3.57; invitano al ritiro degli emendamenti Cossiga 3.58 e Cicu 3.59; esprimono parere favorevole sugli emendamenti Cossiga 3.60 e Rugghia 4.50 e, infine, esprimono parere contrario sugli emendamenti Bricolo 5.50 e Cossiga Tit.1.
PRESIDENTE. Il Governo?
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
PRESIDENTE. Sta bene.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.